UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE FACOLTÀ DI ECONOMIA E COMMERCIO Corso di laurea in Economia e Commercio TESI IN ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEL COMMERCIALISTA Laureando: Relatore: Luca Pascale Chiar.mo Prof. Cendon P. Correlatrice: Chiar.ma Prof.ssa Ziviz P. ANNO ACCADEMICO 2002/2003 INDICE Elenco delle abbreviazioni 1 Capitolo 1 La prestazione del Dottore Commercialista 1.1. 1.1.1 Il dottore commercialista professionista intellettuale. La progressione delle libere professioni. 3 4 1.2.4 6 Contratto d’opera intellettuale. Le differenze tra contratto d’opera e contratto 7 d’opera intellettuale. Le caratteristiche del contratto d’opera. 9 Prestazione del professionista come obbligazione di 10 mezzi e di risultato. Rapporto tra professionista e cliente. 13 1.3 1.3.1 L’iscrizione all’albo. Le prestazioni riservate agli iscritti agli albi. 14 19 1.4 1.4.1 Attività non esclusiva. Abuso della prestazione. 20 23 1.5 Criteri d’identificazione del professionista. 25 1.6 Carattere intellettuale della prestazione. 28 1.7 Personalità della prestazione. 31 1.8 Carattere professionale della prestazione e scopo 34 di lucro. 1.2 1.2.1 1.2.2 1.2.3 1.8.1 Guadagno e lucro. 36 1.9 1.9.1 1.9.2 Autonomia e discrezionalità. Autonomia. Discrezionalità. 37 37 39 1.10 La prestazione del commercialista. 1.10.1 Aree d’intervento. 41 42 Capitolo 2 La responsabilità contrattuale del Commercialista 2.1 2.1.1 2.1.2 Cenni generali. Responsabilità del professionista. Articolo 2236 c.c.. 46 48 49 2.2 2.2.1 L’inadempimento. Il concetto di danno risarcibile. 51 55 2.3 2.3.1 2.3.2 2.3.3 La diligenza. Diligenza media. Gli obblighi integrativi. L’obbligo d’informazione. 61 64 66 67 2.4 2.4.1 2.4.2 2.4.3 2.4.4 2.4.5 2.4.6 2.4.7 2.4.8 La colpa professionale. Negligenza. Imperizia. Dolo e colpa grave. Imprudenza. Errore professionale. Sostituti e collaboratori. Professionisti associati. Assicurazione del professionista. 70 71 73 77 79 81 84 87 87 Capitolo 3 Responsabilità Extracontrattuale 3.1 3.1.1 3.1.2 3.1.3 3.1.4 3.1.5 3.2 3.2.1 3.2.2 La responsabilità extracontrattuale nei confronti del cliente. Applicabilità dell’art. 2236 c.c.. La colpa extracontrattuale. Evoluzione del rapporto tra diligenza e colpa extracontrattuale. La valutazione soggettiva della colpa. La prova. 90 95 98 100 102 104 La responsabilità extracontrattuale verso il 107 terzo. Ipotesi di responsabilità extracontrattuale. 109 L’applicabilità nei confronti dei terzi dell’art. 2236 111 c.c.. Bibliografia 113 ELENCE DELLE ABBREVIAZIONI AC = Archivio Civile AppNDI = Appendice al Novissimo Digesto Italiano CP = Cassazione penale CS = Consiglio di Stato DCSI = Diritto comunitario e degli scambi internazionali DE = Diritto dell’economia DG = Diritto e giurisprudenza DL = Diritto del lavoro DPL = Diritto e pratica del lavoro EL = Economia del lavoro Enc. = Enciclopedia del diritto FI = Foro italiano GC = Giustizia civile GCCC = Giurisprudenza completa della Cassazione civile Gcomm = Giurisprudenza commerciale GCost = Giurisprudenza costituzionale GI = Giurisprudenza italiana GP = Giurisprudenza penale LD = Lavoro e diritto LI = Lavoro informazione NDI = Novissimo Digesto italiano NGCC = Nuova giurisprudenza civile commentata NGL = Notiziario della giurisprudenza del lavoro NLCC = Le nuove leggi civili commentate RCDP = Rivista critica del diritto privato RDC = Rivista di diritto civile RDComm = Rivista di diritto commerciale RDL = Rivista di diritto del lavoro CAPITOLO 1 LA PRESTAZIONE DEL DOTTORE COMMERCIALISTA 1.1 IL DOTTORE COMMERCIALISTA COME PROFESSIONISTA INTELLETTUALE. Tra le professioni liberali, la figura del dottore commercialista, è una di quelle più recenti; creata nel 19241 ha come oggetto del suo esercizio materie d’economia e commercio2. È una professione per il cui esercizio è richiesta l’iscrizione ad un albo3 ed il superamento di un esame di stato. Nell’ordinamento della professione del libero commercialista4, si riconosce all’art. 1 per tale categoria professionale una competenza tecnica nelle materie commerciali, economiche, 1 R.d.l. 24.1.24, n. 103, convertito nella l. 17.4.25, n. 4739. R.d. 28.3.29, n. 588. 3 È quindi una professione «protetta» il cui svolgimento richiede apposita iscrizione ad un albo secondo la norma dell’art. 2229, 1°, co. c.c., l’assenza della quale comporta, la perdita del diritto al compenso della prestazione eseguita art. 2231 c.c.. 4 D.p.r. 27.10.53, n. 1067. 2 finanziarie, tributarie e di ragioneria5. In particolare, essa comprende le seguenti attività: a. Le perizie e le consulenze tecniche; b. Le ispezioni e le revisioni amministrative; c. L’amministrazione e la liquidazione d’aziende, di patrimoni e di singoli beni; d. I regolamenti e le liquidazioni; e. Le funzioni di sindaco e di revisore delle società commerciali; f. La verificazione ed ogni altra indagine in merito all’attendibilità di bilanci, di conti, di scritture e ogni altro documento contabile delle imprese. 1.1.1 La progressione delle libere professioni. Negli ultimi anni il campo delle libere professioni ha subito un particolare sviluppo, dovuto anche alla terziarizzazione del mercato; sono comparse “un elevato numero di forme 5 V. BRONZINI, Professioni intellettuali. Dottori commercialisti. Problemi in dottrina e giurisprudenza, in RDCo, 1989, 1061; BELLINI, Dottore commercialista, in NovissDI, III, App., Utet, Torino, 1982, 190; PIRAINO, Dottore commercialista, in Dpubbl., V, Utet, Torino, 1990, 335. professionali incorporanti abilità specifiche di nuovo tipo”6; e c’è stata un’evoluzione delle vecchie professioni, così che “il mondo dei liberi professionisti ha visto, nell’evolversi delle vicende storiche che lo hanno riguardato, oscillanti momenti nel farsi della professionalizzazione”7. Le libere professioni sono sempre più ormai occupazioni orientate al servizio, nelle quali si applica un corpo sistematico di conoscenze a problemi strettamente connessi con valori centrali per la sopravvivenza e l’equilibrio della società nel suo insieme8. La dottrina più tradizionale9 considera l’opera intellettuale come una species del tipo generale “lavoro autonomo”, che importa una professionalità, intesa come sistematicità/continuità dell’esercizio della professione10. 6 V. PRANDSTRALLER, Le fasi del professionalismo: neoprofessionalismo e nuove professioni in G.P. Prandstraller, a cura di, Le nuove professioni nel terziario, Giuffrè, Milano, 1994, 4. 7 V. POLATO, Lo sviluppo delle libere professioni, Impresa & Stato, n. 46, 2001, 1. 8 V. SANTORO, Professione e professionalizzazione: approcci teorici e processi storici, in Polis, n° 2, Milano, 1994. 9 V. PERULLI, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu-Messineo, v. XXVII, t. 1, Milano, 1996. 10 È importante rilevare che a seguito del recepimento nell’ordinamento italiano della Direttiva 93/13 della CEE, è stato inserita una nuova definizione di professionista. L’art. 1469 bis, 2° co., sostiene che è professionista la persona fisica o giuridica, pubblica o privata che, nell’insieme della sua attività imprenditoriale o professionale adopera il contratto di cui al primo comma. Tuttavia codesta definizione non è decisiva per identificare il professionista intellettuale, perché essa si riferisce ad un concetto più lato di professionista, al solo scopo di metterlo a confronto alla figura del consumatore. 1.2 IL CONTRATTO D’OPERA INTELLETTUALE. Nell’art. 2222 c.c. è possibile individuare gli elementi essenziali che qualificano il contratto d’opera intellettuale: il soggetto, il professionista intellettuale, assume l’obbligo, nei confronti di un altro soggetto, il cliente, di eseguire una prestazione di contenuto intellettuale, dietro un compenso od onorario, che può esser liberamente pattuito o stabilito, in mancanza d’accordi fra le parti11, in base alla tariffa professionale come riferito nell’art. 2225 c.c.. L’ipotesi di una prestazione di un dottore commercialista, il quale si occupi di eseguire le registrazioni contabili per alcune piccole aziende che effettuano operazione di routine, farà rilevare un lavoro con un contenuto intellettuale minimo. Accade in questo caso che la prestazione si presenti pratica e ripetitiva. Ciò nonostante il contratto concluso dal commercialista non muta in questo caso natura. Tale contratto ha la caratteristica di essere a prestazioni corrispettive e presenta le seguenti peculiarità: • Natura tipicamente professionale; • Carattere intellettuale e tecnico; 11 Cass. 25.7.84, n. 4354, GC, 1984, I, 3014. • Discrezionalità, nello scegliere i modi d’attuazione dell’incarico, al fine della soddisfazione del cliente. 1.2.1 Le differenze tra contratto d’opera e contratto d’opera intellettuale. L’esercizio della professione del dottore commercialista, porta a configurare un contratto d’opera intellettuale: esso rappresenta una sottospecie del lavoro autonomo, come confermato dall’analisi degli elementi strutturali del contratto, come pure dalla precisa sistemazione codicistica12. Il contratto d’opera e contratto d’opera intellettuale rappresentano, due species del medesimo genus, ciascuna con le proprie caratteristiche che le distinguono l’una dall’altra13. La principale diversificazione dei due contratti riguarda la diversa natura dell’opera svolta dal singolo prestatore. Nel contratto d’opera, essa consiste in una qualsiasi attività che determini una modificazione dello stato preesistente di una cosa, anche qualora 12 Il contratto d’opera intellettuale è inserito nell’ambito del titolo III, del Libro V, del codice civile, dedicato al lavoro autonomo, trovandosi così, come del resto prevede l’art. 2230 c.c., alle stesse disposizioni del contratto d’opera in generale, poiché compatibili con la natura del rapporto. 13 V. GIACOBBE, Professioni intellettuali, in ED, XXXVI, 1987, 1069. si tratti di un servizio, tale da permettere una identificazione dell’attività lavorativa del prestatore con il risultato oggettivo14. Nel contratto d’opera intellettuale, invece, l’opera del prestatore rileva nel suo aspetto dinamico e strumentale, ai fini del conseguimento di un determinato obiettivo15. Oggetto del contratto tra professionista intellettuale e cliente può essere un opus. A causa di un preciso richiamo nell’art. 2230 c.c., sorge il problema se la prestazione resa dal singolo sotto forma di servizio possa rientrare, nella tipologia del contratto d’opera intellettuale. La dottrina16 si è espressa in senso favorevole nel comprendere nel concetto di prestazione intellettuale, ricorrendo ai numerosi significati della parola servizio. In ogni caso la prestazione di servizi è compresa nella fattispecie del contratto d’opera intellettuale solo se siano rispettati gli elementi del carattere prevalentemente intellettuale e della non realizzazione in un risultato materiale. 14 V. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in Comm. Cod. civ. art. 2188-2246 a cura di Scialoja e Branca, Zanichelli, Bologna-Roma, 1968, 166. 15 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, 504. 16 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, 504. 1.2.2 Caratteristiche del contratto d’opera intellettuale. Il contratto d’opera intellettuale è un contratto in forza del quale, un soggetto, il professionista intellettuale, assume l’obbligo, nei confronti di un altro soggetto, il cliente, di eseguire, contro onorario o compenso stabilito, o in mancanza stabilito dalle tariffe professionali, una prestazione intellettuale, la quale consiste in un risultato obiettivo, in un comportamento tecnico o in un servizio17. Determinante assume il carattere personale della prestazione. Di conseguenza, l’errore circa l’identità della persona professionista è considerato essenziale, secondo l’art. 1429 c.c., e il decesso del professionista causa sempre l’estinzione del rapporto. Il contratto d’opera è un negozio sinallagmatico18, dove il vincolo o sinallagma si prospetta in modo peculiare: il compenso dovuto dal cliente deve essere correlato al decoro della 17 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, 521. 18 Si tratta di una importante categoria di contratti, molto comuni, come la vendita, la somministrazione, l’assicurazione, la locazione, ecc. nei quali si opera uno scambio fra le prestazioni, in modo tale che ciascuna parte è soddisfatta dalla esecuzione della prestazione altrui e nello stesso tempo deve fornire all’altra la propria prestazione. Il legame fra le due prestazioni prende anche il nome di sinallagma, ed è così essenziale che se una delle due prestazioni viene a mancare o diviene sproporzionata rispetto all’altra l’operazione di scambio programmata dalle parti non ha più senso ed il contratto si risolve per legge. professione19, sì da apparire totalmente slegato dall’utilità che la prestazione professionale offre. 1.2.3 Prestazione del professionista come obbligazione di mezzi e di risultato. A seconda della natura della prestazione è possibile identificare gli obblighi che sorgono dal contratto; infatti, questa caratteristica distingue il contratto d’opera in generale e il contratto d’opera intellettuale20. L’opera intellettuale evidenzia un aspetto strettamente discrezionale nella sua attuazione, che si traduce in libertà del professionista nella scelta dei modi di esecuzione dell’incarico ricevuto più adatti alle richieste del cliente. La prestazione d’opera intellettuale, quindi, viene identificata come obbligazione di mezzi; il prestatore d’opera intellettuale assume, così, l’obbligo di apprestare i mezzi idonei a consentire il risultato e non, come accade per il prestatore d’opera, l’obbligo di realizzare un opus21. 19 Art. 2233, 2° co., c.c.. Come si è visto nel paragrafo 2 dello stesso capitolo. 21 V. RIVA SANSEVERINO, Disciplina delle attività professionali. Impresa in generale, in Comm. cod. civ., diretto da Scialoja e Branca, 6^ ed., Zanichelli, Il Foro Italiano, BolognaRoma, 1968, 210. 20 Il professionista intellettuale non è tenuto alla realizzazione delle finalità economiche che il creditore, ovvero cliente, intendeva raggiungere chiedendo l’ausilio del professionista, ma è tenuto solo ad un comportamento idoneo all’attesa del creditore; nel contratto, quindi, mentre il cliente ricopre la parte del creditore, il professionista quella del debitore di mezzi. Secondo l’art. 1176, 2° comma, cod. civ. e 2236 cod. civ., nelle obbligazioni di mezzi, l’onere della prova della colpa del debitore, ricade sul danneggiato. Il cliente danneggiato deve provare l’inadempimento del professionista22 attraverso la prove dell’elemento soggettivo. L’obbligazione di mezzi è una sottospecie della prestazione di “fare”, nella quale generalmente il debitore si obbliga a svolgere a favore del creditore un’attività determinata senza tuttavia garantire il risultato che da quest’attività il creditore si attende23. Il contratto d’opera intellettuale, quindi, comporta un’obbligazione nell’adempimento della quale va usata la diligenza che la natura dell’attività esige, diligenza che andrà 22 V. FORTINO, La responsabilità civile del professionista. Aspetti problematici, Milano, 1984, 44. 23 Trib. Bari 27.12.78, RCP, 1979, 372. valutata prescindendo dal risultato utile del cliente24. Questo ai sensi dell’art. 1176 c.c., tranne nel caso in cui al professionista sia stato richiesto dal cliente un opus25, in tal caso l’obbligazione è di risultato con la conseguenza che il professionista dovrà rispondere per le eventuali difformità ed i vizi dell’opera, ed in base a criteri soggettivi, quando la possibilità di un particolare impiego o di una determinata utilizzazione sia stata dedotta in contratto26. Nell’obbligazione di risultato, il debitore si assume il rischio della mancata realizzazione del risultato ed è chiamato a rispondere dei danni conseguenti. Al contrario, nelle obbligazioni di mezzi lo scopo pratico assume rilievo ai fini dell’adempimento solo nel caso in cui il cliente fornisca prova della erroneità o inadeguatezza della soluzione tecnica prospettata dal professionista, fermo restando che il professionista è conoscitore della materia e possiede l’esperienza professionale adeguata alla complessità della materia trattata; e che, se un professionista 24 Cass. 31.8.66, n. 2294, GI, 1967, I, 1, 1041; Cass. 12.9.70, n. 1386, GC, 1971, I, 627; Cass. 2.8.73, n. 2230, GC, 1973, I, 1864; Cass. 18.6.75, n. 2439; Cass. 21.12.78, n. 6141, AC, 1983, 496; Cass. 5885/85; Cass. 21.6.83, n. 4245, RFI, 1983, Professioni intellettuali, 49; Cass. 11.8.90, n. 8218, RFI, 1990, Professioni intellettuali, 114. 25 Mantiene il diritto al compenso anche se l’opera non viene realizzata, ove ciò non dipenda da erroneità o inadeguatezza della soluzione dei problemi tecnici a lui demandati 26 Cass. 21.7.89, n. 3476, RFI, 1989, Professioni intellettuali, 78. avveduto ritiene di esser carente di adeguata esperienza, dovrà opportunamente rifiutare di prestare la propria opera, suggerendo al cliente di incaricare un altro professionista più esperto. 1.2.4 Rapporto tra professionista e cliente. Per l’inestimabilità economica delle prestazione riguardanti all’esercizio della professione intellettuale in passato tale esercizio non veniva reputato oggetto di un contratto a titolo oneroso. In epoche successive, il rapporto tra professionista e cliente è stato qualificato come mandato. Tale qualificazione, serviva ad evitare l’applicazione alle professioni liberali dopo schema della locazione, garantendo allo stesso tempo la natura contrattuale del rapporto, e quindi anche la possibilità di agire giudizialmente per il compenso, inteso in honorarium non in controprestazione27. Il codice civile ha risolto questo problema eliminando il termine locazione d’opere ed inserendo nell’ambito del lavoro autonomo la nozione di contratto avente per oggetto una 27 V. MUSOLINO, L’opera intellettuale: obbligazioni e responsabilità professionali, Cedam, Padova, 1995, 47. prestazione d’opera intellettuale, garantendo così non solo il carattere contrattuale, ma una precisa qualificazione del rapporto professionista, cliente. Tra cliente e professionista viene stipulato un contratto d’opera, avente la particolarità di contratto lavoro autonomo con prestazione d’opera intellettuale. La nozione di contratto d’opera, in questo periodo, è sinonimo di contratto di lavoro autonomo in cui il termine opera non riferisce ad opus come risultato dovuto, in quanto l’opera intellettuale consiste in un’attività28. 1.3 L’ISCRIZIONE ALL’ALBO. All’interno delle professioni intellettuali si distinguono quelle per il cui esercizio è richiesta l’iscrizione ad un albo29 dalle professioni per le quali la suddetta iscrizione non è necessaria30. Negli ultimi anni si va sempre più accentuando l’inclinazione ad introdurre il sistema dell’obbligatoria iscrizione 28 V. CATTANEO, La responsabilità civile del commercialista, Giuffrè, Milano, 1958, 2728. 29 Professioni protette. 30 Professioni non protette all’albo, con conseguente diminuzione dell’area coperta dalle professioni intellettuali non protette. Alla fonte di tale inclinazione vi è sicuramente un’esigenza degna d’attenzione, qual è quella di tutelare la posizione di coloro che si avvalgono dell’opera del professionista. L’iscrizione ad un albo, infatti, poiché presuppone l’accertamento anteriore del possesso dei requisiti tecnici professionali per l’esercizio della professione, costituisce una ponderata garanzia per chi si rivolga al professionista. La differenziazione tra professioni protette e professioni non protette ha una sua importanza sul piano della responsabilità. Si prevede, difatti, che solo le prime, in quanto legate al regime del contratto d’opera professionale, comporterebbero l’allocazione del rischio sul cliente; le seconde, invece, rientrerebbero nella circoscrizione delle regole comuni della responsabilità contrattuale31, potendo i prestatori assumere il rischio del lavoro. I professionisti “protetti”, inoltre, possono incorrere in sanzioni disciplinari che sono irrogate in caso di violazione delle regole poste a salvaguardia della dignità e decoro della 31 V. GALGANO, Professioni intellettuali, impresa società, in CI, 1991, 1-18. professione, in altre parole dei codici deontologici specifici delle singole professioni32. Vi è in dottrina chi ha affermato che alla categoria delle professioni intellettuali apparterrebbero (tutto e solo) quelle attività per l’esercizio delle quali la legge richiede l’iscrizione in appositi albi33. In riferimento a questa tesi, l’istituzione di un albo e della struttura organizzativa ad essa collegata, sarebbe condizione necessaria e sufficiente per qualificare «professione» una certa attività e per sottoporla alla disciplina degli artt. 2229 ss. c.c.. Codesto enunciato non può esser accettato, in quanto contro di esso si colloca l’argomento decisivo desumibile dagli artt. 2229, 1° co., e 2231, 1° co. del c.c.. La prima norma afferma che, “la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”; essa individua una riserva di legge allo scopo di determinare, fra le numerose possibili professioni, quelle che verranno assoggettate al controllo dello Stato. La seconda norma, invece afferma che, “quando l’esercizio dell’attività professionale è 32 V. CAFAGGI, Responsabilità del professionista, in Dig, Disc. Priv., XVII, UTET, Torino, 1997, 10. 33 V. CAVALLO, Lo status professionale, I, parte generale, Giuffrè, Milano, 1967, 213. condizionato all’iscrizione in apposito albi o elenchi, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione”. Essa ammette perciò l’esistenza di professioni che non sono controllate, senza che per questo esse perdano la caratteristica di professioni intellettuali. Il difetto di iscrizione all’albo determina nullità del rapporto, per cui il contratto non produce effetto alcuno, secondo l’art. 1418 c.c., che non assegna al professionista diritto al compenso. Nel caso dell’esercizio della professione del ragioniere, la nullità sussiste anche per il professionista, regolarmente iscritto all’albo34, che eserciti propria attività in ambiti in cui la legge riserva la stessa a professionisti iscritti a albi professionali 34 Le norme riguardanti gli ordini professionali non citano, da nessun punto di vista, la sottoposizione dell’attività amministrativa di tali organizzazioni al controllo da parte dello Stato. Non figura alcuna forma di controllo preventivo esterno, che si applichi all’efficacia degli atti emessi dagli ordini, sia per motivi di legittimità, sia per motivi di merito, essendo per contro garantita a tali enti la più ampia autonomia. Deve escludersi, allo stato attuale dell’ordinamento che sussista l’obbligo per gli ordini professionali di sottoporre ad approvazione i propri regolamenti interni e che, conseguentemente, detti regolamenti risultano condizionati nella loro efficacia dal controllo del Ministero di grazia e giustizia. In riferimento al rapporto tra ordini (o i collegi) professionali e coloro che risultano iscritti ai rispettivi albi, compete ai primi una facoltà normativa, che trova la propria previsione nella considerazione secondo cui il potere regolamentare di altre autorità, che non siano il governo nazionale, viene esercitato entro i limiti delle rispettive competenze, conformemente alle leggi particolari. Sulla base della l. 27.6.91, n. 220, in tema di modifiche all’ordinamento della Cassa nazionale del notariato e nella quale sono stati emanati dall’ordine i «Principi di deontologia professionale», anche le altre professioni hanno provveduto, da parte dei consigli nazionali, alla predisposizione di codici deontologici, nel caso dei dottori commercialisti il codice è stato approvato in data 10 febbraio 1987. Sulla potestà normativa degli istituti professionali, e di in particolare, sulla eventualità di controllare le norme deontologiche la giurisprudenza ha evidenziato che alle relazioni, aventi come oggetto prestazione d’opera intellettuale si applicano, ai sensi dell’art. 2230 c.c., le norme del codice civile, quelle delle leggi speciali e quelle relative della deontologia professionale, quindi queste non riferiscono a norme dell’ordinamento, ma quali regole interne della particolare categoria professionale cui si riferiscono. diversi. Non sussiste nullità, invece, nelle ipotesi d’attività per le quali non è richiesta l’abilitazione, sebbene queste siano abitualmente svolte da professionisti iscritti35. Una considerazione a riguardo degli ordini professionali è imposta dalla disciplina comunitaria, la quale mediante il processo di liberalizzazione delle professioni, insieme ad un sistema generale di riconoscimento dei titoli professionali, inevitabilmente si scontra con alcune delle limitazioni che l’ordinamento interno pone alla libera prestazione dell’attività professionale36. L’iscrizione ad un albo non è neppure condizione sufficiente ad inquadrare le attività assoggettabili alla disciplina delle professioni intellettuali, in quanto recentemente l’iscrizione ad albi, registri o ruoli è un fatto assai diffuso che riguarda attività diverse tra loro, difficilmente raggruppabili in unica categoria37. 35 Cass. 18.7.91, n. 8000, RFI, 1991, Professionali intellettuali, 95. V. MASUCCI, Le professioni protette. L’associazione tra professionisti, in Diritto Privato Europeo, a cura di Lipari, 1996. 37 V. IBBA, La categoria «professione intellettuale» in Le professioni intellettuali, Giur. Sist. Dir. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, 20. 36 1.3.1 Le prestazioni riservate agli iscritti agli albi. All’interno della classe delle professioni protette è possibile distinguere tra prestazioni esclusive o tipiche, riservate agli iscritti all’apposito albo, e prestazioni non esclusive o atipiche, che sono di regola eseguite da soggetti iscritti all’albo, ma che possono esser ugualmente fornite da chiunque, anche se non iscritto nell’albo professionale38. Tipici casi nell’ambito della professione forense si sono verificati per la cosiddetta «consulenza legale stragiudiziale» e per la cosiddetta attività del «comparsista»; analogo discorso può esser fatto con riferimento alle figure del dottore commercialista e del ragioniere. La Pretura di Sondrio39a riguardo, ha escluso che vi siano invasioni nella suddetta professione quando si proceda alla redazione di bilanci, se questi hanno la caratteristica di non configurarsi in una semplice operazione contabile nella quale i dati forniti dal cliente sono sottoposti ad un controllo formale, bensì comprenda attività d’indagine e verifica di bilancio stesso per effetto del punto d) 38 V. PERULLI, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, in Tratt. Dir. Civ. e Comm., a cura di Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Giuffrè,Milano, 1996, 382; GALGANO, Professioni intellettuali, impresa società, in CI, 1991, 4. 39 cfr. Pret. Sondrio 9.5.94, RFI, 1994, Professioni intellettuali, 67. del d.pr. n. 1067 del 27 ottobre 1953 e del punto c) d.pr. n.1068 del 27 ottobre 1953. Poiché le professioni intellettuali, non sono solo quelle che prevedono l’iscrizione ad un albo40, occorre individuare gli elementi che caratterizzano tali professioni, con l’evidenza che nessuno di essi sarà esaustivo e sufficiente a far rientrare una data attività nell’ambito di tale categoria. Si ritiene che la classificazione di un’attività delle «professioni intellettuali» presuppone l’insieme di una pluralità di criteri d’identificazione. 1.4 ATTIVITÀ NON ESCLUSIVA. Il professionista intellettuale non è solo colui che risulta iscritto in un albo o in un elenco41; poiché che possano esistere 40 Le leggi regolatrici d’attività lato sensu professionali non utilizzano mai l’espressione «professione intellettuale». 41 Per l’esercizio delle professioni liberali e per molte altre professioni è necessaria l’iscrizione in albi o elenchi, art. 2229, 1° co., c.c., la cui tenuta è demandata agli ordini (e collegi) professionali, sotto la vigilanza dello Stato, art. 2229, 2° co., c.c., in generale tramite il Ministero di grazia e giustizia. Gli ordini costituiscono enti a struttura corporativa riconosciuti dalla Stato e dotati di personalità giuridica di diritto pubblico on relazione: Alla loro costituzione prescritta dalla legge; all’obbligatorietà dell’appartenenza ad essi per gli esercenti la professione; professioni non subordinate ad un’iscrizione42. Quindi la categoria generale delle professioni intellettuali risulta essere assai più ampia. La figura del dottore commercialista è inserita quindi nella categoria del lavoro intellettuale, che ricorre anche per prestazioni di contenuto professionale intellettuale non specificamente caratterizzate per il contenuto43. All’interno della professione protetta del dottore commercialista, si deve differenziare fra prestazioni esclusive o tipiche, riservate agli iscritti dell’apposito albo, e prestazioni non esclusive o atipiche, che sono normalmente eseguite da iscritti all’albo, ma che possono esser eseguite da chiunque, anche se non iscritto nell’albo44. Alle loro funzioni pubbliche, che svolgono mediante i Consigli quale loro attività esterna preminente, cioè tenuta dell’albo professionale ed emanazione dei relativi provvedimenti ed atti, esercizio della potestà disciplinare nei confronti dei professionisti, esercizio del potere tariffario; Ai controlli ed interventi statali cui sono sottoposti: quindi, si tratta di enti pubblici non economici di carattere associativo, dotati di personalità giuridica, che sono portatori tanto dell’interesse generale al corretto svolgimento delle professioni protette, giustifica quindi la qualificazione di enti pubblici, quanto l’interesse della categoria, rispetto alla quale sono enti esponenziali. 42 V. PIAZZESE, L’accesso alla professione: l’esame di Stato, in Professione e preparazione: il dottore commercialista in un sistema economico in evoluzione, Atti del Convegno Unione Giovani Dottori Commercialisti, 1995, 130. 43 Cass. 23.3.88, n. 2532, F, 1988, 3540; Cass. 11.2.88, n. 1468, BT, 1988, 12515. 44 V. GALGANO, Professioni intellettuali, impresa e società, in CI, 1991, 5-6. Ciò che di norma fa il dottore commercialista può liberamente farlo chiunque45; è infatti l’unico caso di professionista che svolge totalmente prestazioni non esclusive. A conferma di questo la giurisprudenza non annovera alcuna prestazione esclusiva riservata al commercialista. La Cassazione aveva affermato la l’invalidità, per difetto di iscrizione del professionista all’albo, dei contratti aventi come oggetto prestazioni di opere intellettuali, riferendosi alle attività riservate a chi è abilitato all’esercizio; per altri, pur se abitualmente esercitati da professionisti iscritti, ci si basa sulla regola generale del libero svolgimento dell’attività. Tale concetto è stato confermato, affermando che, a riguardo della attività di consulenza, riguardante l’organizzazione aziendale, bilanci di previsione e simili, essa non è riservata ai dottori commercialisti, per cui il suo esercizio può esser svolto da soggetti anche non iscritti all’albo46. La dottrina, conferma, individuando due principali conseguenze: a) L’attività professionale dei dottori commercialisti è amplissima considerando il vasto ed elastico ambito 45 V. GALGANO, Professioni intellettuali, impresa e società, in CI, 1991-b, 5-6. 46 Cass. 27.6.75, n. 2526, GI, 1976, I, 1, 775. individuato dall’art. 1 del d.p.r. 27 ottobre 1953, n. 1067; b) L’attività medesima non è esclusiva per codesta figura professionale in quanto può esser svolta da altre categorie47. L’Ordine dei dottori commercialisti, a riguardo, è impegnato a livello nazionale, per ottenere un riconoscimento in materia d’esclusività per determinate prestazioni. 1.4.1 Abuso della prestazione. Se le attività d’amministrazione e contabilità aziendale, e in genere le attività svolte in materia commerciali, economiche, finanziarie, tributarie e di ragioneria esulano completamente dalla competenza del singolo professionista, allora si possono rappresentare i presupposti d’esercizio abusivo della professione. A tal riguardo è stabilito che risponde del reato d’esercizio abusivo della professione, di competenza professionale del 47 V. LEGA, Deontologia forense, Milano, 1975. dottore commercialista, il consulente del lavoro48 che esercita attività di consulenza in campo tributario, o consulenza contabile, fiscale ed amministrativa49. Inoltre si è poi stabilito che l’attività professionale consistente nella tenuta dei libri paga e matricola, della contabilità IVA e ordinaria, formazione dei bilanci e della dichiarazione dei redditi ed IVA è competenza delle funzioni del dottore commercialista; si concreta perciò il presupposto dell’esercizio abusivo della professione nel caso del laureato in economia e commercio non abilitato che svolga una simile attività. La professione del commercialista non può configurarsi come una professione di monopolio50, il 2° comma dell’art. 1, d.p.r. 27 ottobre 1953, n. 1067, precisa che «l’autorità giudiziaria e le pubbliche amministrazioni affidano normalmente gli incarichi relativi alle attività, a persone iscritte nell’albo dei dottori commercialisti, salvo che si tratti d’incarichi che per legge rientrino nella competenza dei ragionieri liberi esercenti, 48 Si può ritenere di esser di fronte ad un’attività di mera consulenza, come tale esercitatile anche da un soggetto non abilitato, solo nel momento in cui non vi sia spossessamento da parte del cliente dei documenti esaminati. 49 Pret. Pontedera, 9.11.83, in FI, 1986, II, 479; Trib. Pisa, 18.6.84, in FI, 1986, II, 479; Trib. Cagliari, 5.10.84; Trib. Trani, 22.12.87, in Soc., 1988, 632. 50 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, 138; CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 389; D’ORSI, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1981, 256. degli avvocati e dei procuratori o che l’amministrazione pubblica conferisce per legge ai propri dipendenti», ciò fa capire che le funzioni individuate nel 1° comma della norma hanno la caratteristica di esser tipiche ma non esclusive perché possono esser esercitate anche da altri professionisti. 1.5 CRITERI D’IDENTIFICAZIONE DEL PROFESSIONISTA. Sotto il profilo giuridico, il dottore commercialista è un prestatore d’opera intellettuale, attività che trova la sua disciplina negli artt. 2229 e ss. del codice civile51. L’art. 2229 c.c. contiene i principi fondamentali della disciplina pubblicistica delle professioni intellettuali, per le quali 51 L’art. 2229 del codice civile, si intitola “Esercizio delle professioni intellettuali”, recita testualmente: “La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi. L’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente.Contro il rifiuto dell’iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all’esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali.” è richiesta l’iscrizione in un albo52; detti principi sono poi attuati nelle leggi speciali che disciplinano le singole professioni. Gli artt. 2224 e 2232 cod. civ. evidenziano come il professionista, e quindi anche il dottore commercialista, abbia obblighi che gli derivano dalle regole di correttezza, nonché dall’interpretazione del contratto secondo buona fede, infine dalla sua integrazione secondo gli usi e l’equità. Nelle professioni intellettuali hanno, inoltre, rilevanza particolare le norme di deontologia professionale, che si concretano in obblighi di correttezza e servono a precisare il contenuto dell’obbligazione del professionista. Qualificare come professione intellettuale una determinata attività appare rilevante in quanto determina l’applicazione di uno specifico regime normativo, relativamente alle obbligazioni che assume chi riceve l’incarico di svolgere tale attività, al regime di responsabilità, ai criteri di determinazione del compenso e alle modalità di esercizio dell’attività; e, inoltre, 52 Che ha carattere d’accertamento costitutivo della sussistenza di uno status professionale anche nei rapporti con i terzi. Si veda comunque capitolo 1, paragrafo 3. esclude che possano trovare applicazione norme previste dall’ordinamento per altre figure di operatori economici53. Il professionista nel prestare la propria opera intellettuale, s’impegna a svolgere un servizio in relazione alla richiesta avuta, utilizzando le proprie risorse e capacità professionali con l’ausilio di una propria struttura organizzativa e/o di una propria strumentazione di lavoro; mentre, il cliente, che gli conferisce l’incarico, è tenuto al pagamento del compenso stabilito, a fronte della prestazione54 svolta. Il professionista può esser identificato attraverso le caratteristiche che riveste la sua prestazione, vale a dire: Il carattere intellettuale; Il carattere personale e infungibile; La prevalenza d’impiego d’intelligenza e cultura, piuttosto che l’uso d’eventuale lavoro manuale; L’esecuzione discrezionale; L’oggetto riguardante il mero compimento di un’attività, indipendentemente dal risultato che sarà raggiunto. 53 Discende che il libero professionista non è soggetto allo statuto dell’imprenditore commerciale e non può esser dichiarato fallito; non è tenuto a redigere il bilancio di esercizio e le altre scritture contabili obbligatorie previste dal Codice Civile per gli imprenditori. 54 Opera o servizio. 1.6 CARATTERE INTELLETTUALE DELLA PRESTAZIONE. Un elemento comune a tutte le professioni intellettuali, cui si applica la disciplina degli artt. 2229 e seguenti del codice civile, è quello del carattere intellettuale dell’attività praticata55. Quest’elemento è riconosciuto dalla legge per le professioni il cui esercizio è subordinato all’iscrizione in un ordine o in un collegio, mentre esso deve esser di volta in volta accertato per le professioni non protette56. L’aggettivo «intellettuale57» ricopre notevole importanza per la determinazione dell’attività professionale. Tuttavia, esso di per sé non è in grado di enucleare la categoria dei professionisti. Il lavoro intellettuale normalmente è contrapposto al lavoro manuale, ma ciò non significa che esistano lavori solo intellettuali o esclusivamente manuali. In qualsiasi attività 55 È, dunque, il carattere prevalentemente intellettuale dell’attività svolta a distinguere la figura del libero professionista da altre figure d’operatori economici tipici, come l’imprenditore, il lavoratore subordinato, il lavoratore autonomo e simili. 56 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 16, IBBA, La categoria «professione intellettuale», in Le professioni intellettuali, in Giur. Sist. Dir. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, 27. 57 L’intellettualità della prestazione professionale libera si caratterizza, dunque, per la sistematicità, la discrezionalità, la liberalità e per l’iscrizione ad un albo o ad un elenco; ma si caratterizza anche per l’integrazione delle competenze, per la specificità delle conoscenze. lavorativa esistono, anche se in diversa misura, momenti intellettuali e momenti manuali. A conferma di questo l’art. 2060 afferma che «il lavoro è tutelato in tutte le sue forme organizzative ed esecutive intellettuali, tecniche e manuali»58. Sorge, quindi, l’esigenza di differenziare l’intellettualità dalle attività disciplinate negli artt. 2229 ss., dall’intellettualità presente in tutte le attività lavorative, e ancora, individuare il nesso tra le diverse componenti59 delle attività la cui identificazione è dubbia. Una prima soluzione è quella mirante a considerare l’intellettualità come valore identificativo quando non è «interna» al soggetto che svolge l’attività ed introduttivo rispetto al servizio offerto, ma si concreta nella prestazione fornita al cliente e per la quale il professionista è responsabile60. In altre parole l’intellettualità costituisce elemento qualificante quando oggetto del contratto con il cliente sia il «servizio intellettuale»; a conferma di questo l’opera intellettuale consiste 58 V. IBBA, La categoria «professione intellettuale», in Le professioni intellettuali, in Giur. Sist. Dir. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, 16; BUSSOLETTI, Le società di revisione, Giufrrè, Milano, 1985, 125; SCOGNAMIGLIO, Personalità umana e tutela costituzionale delle professioni, in DF, 1973, 804; TORRENTE, La prestazione d’opera intellettuale, in RG lav., I, 1962, 3. 59 Materiale, tecnica, o propriamente intellettuale. 60 V. IBBA, La categoria «professione intellettuale», in Le professioni intellettuali, in Giur. Sist. Dir. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, 17; GALAGANO, Diritto commerciale, II, Le società, Zanichelli, Bologna; 1995, 15. nell’applicazione concreta di cognizioni tecniche e scientifiche nell’opera stessa che è l’oggetto della prestazione61. Con riferimento al nesso tra le diverse componenti, invece, si propone l’adozione del criterio della prevalenza, cosicché per aversi una professione intellettuale è necessario che i momenti intellettuali siano prevalenti sui momenti manuali o tecnici; ovvero l’uso della intelligenza e della cultura deve avere un’importanza molto superiore a quella del lavoro manuale prestato62. Tuttavia questo criterio, in sede di applicazione pratica, quando si tratti di individuare se in un’attività vi sia la prevalenza delle facoltà intellettuali o l’apporto di esse rivesta solo un ruolo secondario crea notevoli problemi. Ecco allora la necessità d’esaminare altri elementi identificativi per completare le nozioni di professionista e di attività professionale. 61 62 Cass. 14.4.83, n.2542, GI, 1983, I, 1, 1242. V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 17. 1.7 PERSONALITÀ DELLA PRESTAZIONE. Il codice civile del 1942, innovando rispetto al codice del 1985, ha inteso valorizzare l’elemento personale63, inserendo nel libro V64 l’apposito titolo terzo, che contiene la disciplina del lavoro autonomo; esso è collocata fra la regolamentazione dell’impresa65, e la regolamentazione della società, ed è diviso in due capi, dedicati alle disposizioni generali e alla disciplina delle professioni intellettuali. Secondo l’art. 2232 c.c.. «il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità dei sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione». La prestazione deve esser svolta personalmente dal professionista: questo giacché tra il professionista e il cliente s’instaura un rapporto a carattere fiduciario, dove la rilevanza della persona del prestatore d’opera, sia nella fase della stipulazione del contratto che nella sua esecuzione, è fondamentale. Si tratta, 63 Intrinseco in ogni attività lavorativa. Dedicato al lavoro. 65 Con la normativa del lavoro subordinato. 64 infatti, di una prestazione che, da un lato, prevede particolari conoscenze, esperienze tecniche che vengono garantite attraverso l’iscrizione agli albi ed agli elenchi professionali, dall’altro, la prestazione viene richiesta e concordata intuitu personae rispetto ad un determinato soggetto a preferenza di altri, che sarebbero ugualmente in grado di eseguirla. Il carattere fiduciario determina per il professionista un obbligo di diligenza e di fedeltà nei confronti del cliente, poiché fondato sull’affidamento del cliente nei suoi riguardi66. Derivano, quindi, obblighi di diligenza di informazione, di fedeltà e riservatezza la cui violazione può dar luogo a responsabilità del professionista67. Proprio per questo il carattere fiduciario rispetto alla sola infungibilità della prestazione, nonostante la loro correlazione, ha un’importanza maggiore. Anche il carattere della personalità però, esaminato singolarmente, non permette un’individuazione univoca del 66 V. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in Commentario Scialoja e Branca, 2^ ed., Bologna-Roma, 1963, 223. 67 Nel caso di responsabilità per atti posti in essere dal sostituto o dall’ausiliario, esercitata dal cliente, risponderà il professionista; ciò non toglie che questi, nei rapporti interni, e secondo le norme generali sulla responsabilità per fatto illecito, possa chiamare l’ausiliario o il sostituto a rispondere per danni collegabili ad una condotta non diligente o colposa dell’esecuzione dell’incarico. Cass. 26.8.75, n. 3016 RFI, 1975 Professioni intellettuali, 40. professionista e dell’attività professionale, poiché è un carattere che è presente in tutti i contratti conclusi intuitu personae. Resta da rilevare che, alla luce dell’art. 2232, la personalità della prestazione non esclude la possibilità del professionista di avvalersi d’ausiliari o sostituti. Tale ausilio deve però esser consentito dal contratto o dagli usi, ed è eventualmente escluso ove sia inconciliabile con l’oggetto della prestazione. Gli ausiliari e i sostituti non possono rivolgersi direttamente al cliente: essi sono considerati come una longa manus del prestatore e per questo agiscono sotto la sua sorveglianza68, e il loro compenso sarà corrisposto direttamente da questi69 70. Alla personalità della prestazione si sovrappone il problema delle cosiddette società di professionisti, nelle quali si assiste all’esercizio in forma associata dell’attività professionale71. Sembra, quindi, venir meno l’elemento della personalità del professionista, ma il problema non sussiste poiché 68 V. GIACOBBE, Professioni intellettuali, in ED, XXIII, 1987, 1075; D’ORSI, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1981, 24. 69 V. MISCIONE, La nuova tutela obbligatoria contro i licenziamenti, in La disciplina dei licenziamenti dopo le leggi 108/1990 e leggi 223/1991, Jovene, Napoli, 1991, 719; TORRENTE, La prestazione d’opera intellettuale, in RGlav, I, 1962, 38. 70 Cass. 27.8.86, n.5248, RFI, 1986 Professioni intellettuali, 55; Cass. 5.9.84, n. 4767, RFI, 1984, Professioni intellettuali, 49. 71 Si teme una spersonalizzazione del legame fiduciario tra il professionista ed il cliente con conseguente supremazia dell’elemento organizzazione. con il termine «personalità» sono comprese sia le persone fisiche sia quelle giuridiche72. 1.8 CARATTERE PROFESSIONALE DELLA PRESTAZIONE E SCOPO DI LUCRO. Altro elemento importante, per la determinazione del concetto di professione intellettuale è costituito dalla professionalità; la professione intellettuale si contraddistingue: anzitutto per la natura tipicamente professionale della prestazione, la quale assume particolar rilievo73. La professionalità caratterizza i rapporti che hanno per oggetto l’esercizio di un’attività74, la quale viene svolta abitualmente e con relativa continuità allo scopo di ottenere un guadagno o un lucro. A tal riguardo, con riferimento al rapporto 72 V. SCHIANO DI PEPE, Le società di professionisti, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, XV, 2, Utet, Torino, 1986, 574; RESCIGNO, Struttura giuridica delle società tra professionisti; Professionisti liberali in forma associata: il diritto italiano e i paesi della Comunità; Le società di progettazione; Le società di redattori, in Persona e Comunità, Saggi di diritto privato, Cedam, Padova, 1988, 46. 73 V. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in Commentario Scialoja e Branca, 2^ ed., Bologna-Roma, 1968, 192. 74 Lavorativa, imprenditoriale. di lavoro del libero professionista, alcuni autori hanno osservato che l’elemento dell’abitualità va inteso considerando la natura del rapporto stesso il quale si svolge in regime di libertà; in senso contrario si è sostenuto che il medesimo concetto è un carattere normale, ma non necessario delle professioni intellettuali75. Ciò poiché non esistono, a riguardo alle professioni intellettuali, differenze di disciplina determinate dal carattere stabile anziché occasionale della prestazione. Tale orientamento è seguito pure dalla giurisprudenza76, favorevole a riconoscere la sussistenza del delitto di abusivo esercizio di una professione pure nell’ipotesi del compimento di un solo atto o comunque di una prestazione occasionale77. Per quanto l’esercizio stabile e continuativo della professione non sia decisivo per identificare il professionista intellettuale, si ritiene che la presenza di prestazioni eseguite stabilmente di uno stesso soggetto possano produrre effetti78 in riferimento all’adempimento e quindi alla responsabilità. 75 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 5, 6. Cass. 29.11.83, Cass. 7.3.85, in GP, 1986, II, 418. 77 V. CONTIERI, Esercizio abusivo di professioni arti o mestieri, in ED, XV, 1966, 610; CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 6. 78 Obbligo di informazione e di correzione di eventuali errori professionali. 76 1.8.1 Guadagno e lucro. Quanto al guadagno o lucro, esso è radicato ad ogni prestazione, la quale non si presume mai gratuita. Tuttavia nel rapporto di lavoro professionale non è strettamente essenziale; si pensi al caso in cui le prestazioni sono erogate gratuitamente per motivi sociali79. In via normale il rapporto del lavoro del libero professionista è oneroso, ma non lo è sempre necessariamente, anche perché in alcuni casi il professionista ha l’obbligo di prestare la sua assistenza senza compenso80 a differenza di quanto avviene per la figura dell’imprenditore81. 79 Carità, beneficenza, assistenza sociale, amicizia e parentela. Gratuito patrocinio. 81 L’art. 2082 fornisce la definizione degli elementi qualificativi della figura dell’imprenditore, considera tale chi svolge «professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi». Per quanto riguarda il carattere dell’economicità, la dottrina ha dato varie interpretazioni, individuando l’attività economica non solo come attività creatrice di ricchezza, la quale si manifesta nella produzione di nuovi beni e servizi, ma anche come attività consistente nell’aumento del valore di beni e servizi già esistenti, mediante la loro distribuzione, e inoltre, come attività organizzata attraverso un metodo, che consenta di compensare con i ricavi i costi di produzione. Va, innanzi tutto, notato quell’orientamento secondo il quale «la portata dell’art. 2082 va determinata, per relationem, attraverso gli artt. 2135 e 2195» che distinguono le fondamentali operazioni, tra le quali non figura l’attività del professionista intellettuale. Secondo tale indirizzo, quindi, il concetto di attività economica, inteso nel rispetto dell’art. 2082 cod. civ., non potrebbe esser esteso all’attività del professionista. L’esercizio di un’attività economica, intesa nel senso sopra indicato, rappresenta, espressione delle sole attività imprenditoriali, e questo nonostante, la professione intellettuale costituisca pure essa un’attività produttiva di ricchezza in senso lato. Tuttavia, un’altra parte della dottrina, considera il concetto di attività economica nella sua reale natura, cioè di rilevarsi idonea a rimborsare il singolo, mediante il corrispettivo dei beni o servizi prodotti, di quelle che sono le spese incontrare, s’evidenzia così che il concetto di attività economica si può riferire anche all’attività del professionista intellettuale. La sua 80 1.9 AUTONOMIA E DISCREZIONALITÀ. 1.9.1 Autonomia. Altro intellettuale elemento è caratterizzante costituito della dall’autonomia prestazione d’azione nella prestazione dell’opera professionale, che sussiste anche allorché il professionista presti la propria opera inquadrata in un rapporto di lavoro subordinato82. Figura l’autonomia, tra le caratteristiche dell’attività svolta dal professionista intellettuale, in quanto questi esercita la propria attività in una sfera di piena libertà, che gli permette di agire, determinando egli stesso gli ambiti e gli spazi nei quali effettuare le proprie scelte professionali. La piena autonomia, insieme alla libertà d’azione, rappresenta, un elemento essenziale nella configurazione giuridica del attività realizzata nel rispetto dell’economicità, al pari di quella dell’imprenditore, differenziandosi tuttavia da questa per l’intervento degli altri elementi prefissati dalla norma di cui all’art. 2082 cod. civ.. A tal proposito ulteriori considerazioni sono state fatte, partendo proprio da un’analisi del significato dell’economicità dell’art. 2082, giungendo alla conclusione che l’attività professionale è da considerarsi economica poiché produttiva di nuove utilità e poiché svolta dal professionista per conseguire utili. 82 Caso del medico dipendente dell’ente ospedaliero, il quale è libero di esercitare con autonome modalità di estrinsecazione la propria attività professionale. professionista intellettuale83. Con il concetto di libertà quindi si può individuare: • Libertà del professionista nell’esercitare la professione; • Libertà del professionista quale facoltà di assumere o rifiutare l’incarico dai clienti; • Libertà del professionista nella determinazione della scelta dei mezzi tecnici idonei a realizzare l’oggetto del contratto; • Libertà del professionista di vincoli di gerarchici e di subordinazione nei confronti del cliente84; • Libertà del professionista di vincoli esterni nell’esercizio professionale nell’albo, la poiché, tutela l’obbligatorietà dell’indipendenza dell’iscrizione di questa, garantiscono l’iscritto dalla concorrenza dei non iscritto85. Sul concetto di libertà professionale si osserva come il concetto di tale termine non evidenzia un elemento decisivo per la qualificazione della professione intellettuale. 83 Cass. 18.6.65, n. 1266. V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 8. 85 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, 532. 84 1.9.2 Discrezionalità. Sempre nell’ambito di quelli che si possono considerare gli elementi identificativi della professione intellettuale, deve esser compresa la discrezionalità86; quale potere riconosciuto al singolo professionista di attuare le scelte consone alla realizzazione del fine prefissato, con piena libertà d’individuazione delle regole di comportamento che si rivelano maggiormente idonee per conseguire lo scopo professionale. La discrezionalità si sostanzia, quindi, nella libertà d’esplicazione delle proprie capacità e del proprio giudizio sulla base delle conoscenze inerenti alla professione. Dal confronto della discrezionalità tecnica del libero professionista discrezionalità tecnica amministrativa87, si nota con la che il professionista deve agire non solo secondo scienza88, ma anche secondo le regole della deontologia, avendo attenzione alla tutela degli interessi del cliente89. 86 Secondo alcuni autori, rappresenta l’elemento fondamentale di distinzione tra contratto d’opera intellettuale e contratto di lavoro subordinato. 87 Consistente, nel potere riconosciuto all’Amministrazione di procedere ad una valutazione dei fatti posti dalla legge a presupposto dell’operare, «in misura di conoscenze tecniche». 88 E, quindi, come la Pubblica Amministrazione, nel rigido rispetto delle conoscenze tecniche. 89 V. BALDASSARI A. e BALDASSARI S., La responsabilità del professionista, in Il diritto privato oggi, Giuffrè, Milano, 1993, 11. Il concetto di discrezionalità assume importanza sia per l’identificazione della prestazione intellettuale, come pure sotto il profilo della responsabilità: infatti, il risultato della prestazione richiesta sarà inversamente proporzionale alla discrezionalità usata per l’esecuzione dal professionista e quindi del risultato stesso. Il professionista, nell’esercizio della propria attività deve osservare le regole d’arte o della professione, tuttavia ciò non comporta una standardizzazione del comportamento stesso. Il legame tra discrezionalità ed osservanza delle regole non si presenta mai come una costante, perché varia secondo il tipo di prestazione, del bene o interesse su cui l’attività incide nonché sulle conoscenze tecniche-scientifiche. Naturalmente la discrezionalità del professionista non è senza limiti; il giudice stabilisce i confini di tale potere, evidenziando possibili sconfinamenti di essa; il limite principale è quello che il professionista deve salvaguardare l’interesse del cliente. 1.10 LA PRESTAZIONE DEL COMMERCIALISTA. Nell’art. 1 del d.p.r. 27.10.53, n. 1067, relativo, all’ordinamento della professione di dottore commercialista, è indicato l’oggetto della prestazione. Più precisamente “in particolare formano oggetto della prestazione: amministrazione e liquidazione d’aziende, di patrimoni e di singoli beni; perizie e consulenze tecniche; ispezioni e revisioni amministrative; verifiche e ogni altra indagine relativa ad attendibilità di bilanci, di conti, di scritture e d’ogni altro documento contabile delle imprese, liquidazioni e regolamenti d’avarie, funzioni di sindaco e di revisore nelle società commerciali90”. L’elenco delle attività del presente articolo non pregiudicano l’esercizio di ogni altra attività da parte dei dottori commercialisti. Tuttavia se ci sono incarichi che per legge rientrano nelle competenze degli avvocati, dei procuratori, e dei ragionieri liberi esercenti o che l’amministrazione pubblica assegna per legge ai propri dipendenti, gli incarichi per le attività elencate nell’art. 1, sono affidati dall’autorità giudiziaria e le pubbliche amministrazioni alle persone iscritte nell’Albo dei dottori commercialisti. Qualora 90 D.p.r. 27.10.53, n. 1067, art. 1. codesto incarico sia affidato a persone diverse, nel relativo provvedimento di nomina, dovranno essere evidenziati i motivi particolari di scelta. Il dottore commercialista figura come quel professionista capace di coprire un ampio spettro d’attività, vista la varietà delle prestazioni esercitate: dichiarazione dei redditi, contratti, condono per eventuali tasse, trasferimento di capitali esteri, valutazione di un qualsiasi investimento, alla deducibilità dei beni acquistati, ecc91. 1.10.1 Aree d’intervento. Le aree dell’attività del commercialista possono essere così riassunte: a. Rapporti con privati cittadini; b. Rapporti enti pubblici ed Istituzioni; 91 Bisognerà tener conto a tal proposito della responsabilità, poiché il professionista potrebbe esser obbligato a rispondere sia per prestazioni svolte in prima persona, sia per prestazioni svolte da altri, collaboratori. Ecco allora la necessità do continui aggiornamenti. Proprio questa caratteristica è peculiare ad ogni professionista intellettuale, e considerando la figura del dottore commercialista, aggravata dalla continua produzione di normativa fiscale, oltre al continuo aggiornarsi s’evidenzia tra l’altro la convenienza di avvalersi di collaboratori sempre più specializzati c. Tutela dell’interesse pubblico92. A) Rapporti con privati cittadini. Il dottore commercialista è consulente amministrativo, contabile, e fiscale, per cui si muove liberamente in questo ambito, in tematiche organizzative, giuridiche, tributarie ed economico-finanziarie. Oltre a questo, potrà impiegarsi di sistemi informativi, di contenzioso tributario, d’acquisizioni internazionali, d’arbitrati, di valutazione aziendale, di controllo legale dei conti, di controllo gestionale, ecc. B) Rapporti enti pubblici ed Istituzioni. Le stesse attività individuate nel precedente punto, possono esser svolte anche in ambito pubblico, spaziando sempre in diverse aree: fiscale, contrattuale, giuridica, economica, ecc. 92 V. CULOT, FERRARO, MAGNARIN, SPOLETTI, L’esame del dottore commercialista, Giuffrè, Milano, 1997, 146. Un esempio di una possibile operazione fatta per conto del cliente, ma che abbia contatto con enti pubblichi potrebbe esser individuata nel calcolo, nella liquidazione dell’acconto e del saldo ICI; in questo caso l’ente interessato è il Cmune dove si collocano i beni immobili del cliente. C) Tutela dell’interesse pubblico. Oltre ad avere quindi rapporti con clienti cittadini, nonché con enti pubblici o istituzioni, il dottore commercialista può ricevere gli incarichi di tutela dell’interesse pubblico. Infatti, può esser nominato curatore fallimentare, perito e consulente nel processo penale, consulente tecnico in materia di economia aziendale93, amministratore giudiziario di società, commissario governativo nelle cooperative, rappresentante comune degli obbligazionisti94, esperto in materia economica aziendale95, custode 93 giudiziale Art. 61 c.p.c.. Art. 2417 c.c.. 95 Art. 68 c.p.c.. 96 Art. 676 c.p.c.. 97 Art. 508 c.c.. 94 delle imprese96, curatore d’eredità97, liquidatore di società commerciali98, tutore del minore99, commissario giudiziale nell’amministrazione controllata, ecc. 98 99 Art. 2275 c.c.. Art. 346 c.c.. CAPITOLO 2 LA RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE DEL COMMERCIALISTA 2.1 CENNI GENERALI. La responsabilità del dottore commercialista trova la sua fonte nel contratto100, poiché con l’accettazione dell’incarico sorge tra professionista e cliente il legame, rappresentato dal vincolo contrattuale, da cui discende per il professionista l’obbligo di formulare il proprio parere per risolvere il caso prospettato dal cliente. La responsabilità contrattuale nasce a seguito dell’inadempimento da parte del professionista degli obblighi connessi all’attività esercitata; costituisce inadempimento la mancata, 100 ritardata, inesatta esecuzione della prestazione L’articolo 2230 c.c. indica il contratto avente ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale. richiesta101; ne deriva che l’inadempimento non potrà prescindere dalle caratteristiche proprie della prestazione. Per quanto riguarda il dottore commercialista, egli deve considerarsi responsabile verso il suo cliente in caso d’incuria e d’ignoranza di disposizioni di legge e in genere nei casi in cui per negligenza od imperizia compromette il buon esito del giudizio, secondo quanto disposto negli artt. 2236 e 1176, secondo comma, cod. civ.. Nel caso, invece, d’interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la responsabilità del dottore commercialista medesimo nei confronti del suo cliente a meno di dolo o colpa grave. La disciplina della responsabilità del commercialista, quindi, ruota essenzialmente sul rapporto fra la disposizione dell’art. 1176 c.c. e quella di cui all’art. 2236 c.c.102 La responsabilità del prestatore d’opera intellettuale trova origini antiche103, millenarie addirittura, ma fino ad alcuni decenni fa la casistica riguardante azioni penali o civili per 101 V. MACRÌ, La responsabilità professionale, in Le professioni intellettuali, giur. sist. dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Utet, Torino, 1987, 219. 102 Per un approfondimento, si veda lo stesso capitolo paragrafo 4. 103 V. MASTROROBERTO, Rivedere il concetto di colpa professionale, in MartelliMastroroberto; Implicazioni assicurative della responsabilità professionale del medico nell’ambito del Servizio Sanitario, La Responsabilità Medica in ambito civile, Cedam. Padova, 1989, 193-225. responsabilità professionale era, in senso quantitativo, piuttosto rara, in quanto si mirava a difendere il mito della supremazia dell’autorità culturale dell’uomo della scienza104. Il codice civile italiano del 1942 ha voluto puntualmente disciplinare il contratto d’opera intellettuale e definire l’ambito della responsabilità del professionista, dettando la disposizione dell’art. 2236 c.c.105. 2.1.1 Responsabilità del professionista. La responsabilità contrattuale del professionista intellettuale presenta aspetti complessi, in quanto coinvolge importanti questioni di teoria generale delle obbligazioni e della responsabilità. Essa va esaminata tenendo presente la distinzione tra professionisti protette e professioni libere, poiché si ritiene che solo le prime, in quanto vincolate al regime del contratto 104 Di tale orientamento sono evidenti esempi il codice civile napoleonico e quello italiano del 1865, che includevano il rapporto professionale nello schema del “mandato”, con tutti gli obblighi conseguenti, specificando la disciplina relativa alla responsabilità del professionista, nell’intento di garantire alle professioni intellettuali la loro tipica origine liberale, indipendenti e discrezionali. 105 L’allora Ministro Guardasigilli lo commentò così: “[omissis]… trovare un punto di equilibrio fra due opposte esigenze: quella di non mortificare l’iniziativa del professionista, col timore di ingiuste rappresaglie da parte del cliente in caso di insuccesso, e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista”. d’opera professionale, comporterebbero l’allocazione del rischio della prestazione sul cliente; mentre, le seconde rientrerebbero nell’ambito delle regole comuni della responsabilità contrattuale, potendo i prestatori assumere il rischio del lavoro. Gli esercenti delle professioni protette, altresì, possono incorrere in sanzioni disciplinari, che sono irrogate in caso di violazione delle regole poste a tutela della dignità e del decoro della professione: fattore che rappresenta una seria garanzia per chi si rivolga ad una professionista. 2.1.2 Articolo 2236 c.c.. Circa la responsabilità del prestatore d’opera, l’art. 2236 c.c., evidenzia “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”. La Suprema Corte, in materia, ha stabilito che per la responsabilità professionale del prestatore d’opera intellettuale, la legge prevede un’attenuazione della normale responsabilità nei casi di problemi particolarmente complessi, nel senso che il professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave, mentre, al di fuori di questa ipotesi, il professionista risponde, secondo le regole comuni106, anche per colpa lieve107. L’art. 2236 cod. civ. limita, dunque la responsabilità del prestatore d’opera, circoscrivendola ai soli casi di dolo o colpa grave, qualora il professionista si trovi di fronte a problemi tecnici di speciale difficoltà. Questi ultimi devono intendersi come quei casi, spesso oggetto di dibattiti e studi dagli esiti tra loro opposto, caratterizzati dalla straordinarietà e particolare eccezionalità del loro manifestarsi, dalla novità della loro emersione, e che come tali non possono esser ricompresi nell’ambito del sapere più ordinario. Anche in questo caso quindi, la previsione legislativa deve di volta in volta trovare il suo contenuto peculiare, giacché sono comunque diverse le caratteristiche salienti delle categorie alla quali appartengono i prestatori d’opera, ed essendovi anche all’interno di ognuna, delle peculiarità che meritano di esser 106 107 Ai sensi dell’art. 1176, 2° co., c.c.. Cass. 15.4.82, n. 2274, RFI, 1982, Professioni intellettuali, 48. trattate apprezzandone, per l’appunto, gli aspetti caratterizzanti108. Risiede, invero, nel dettato dell’art. 1176 c.c., “il complesso d’attenzioni che dovrebbero fondare il comportamento d’ogni debitore al momento di soddisfare la propria obbligazione”109. La colpa, in ogni caso, è da esaminare in considerazione di quanto disposto dall’art. 1176, 2° co., c.c., in base alla natura al tipo d’incarico professionale e tenuto conto delle circostanze effettive in cui la prestazione si esegue. 2.2 L’INADEMPIMENTO. L’inadempimento del dottore commercialista non può esser fatto discendere semplicemente dalla mancata realizzazione del risultato al quale mirava il cliente, anche se, è proprio del mancato raggiungimento del risultato che scaturisce il processo a 108 V. TODESCHINI, L’art. 2236 cod. civ. e la sua applicabilità anche al di fuori dell’ambito civilistico. 109 V. TODESCHINI, Spunti di riflessione sul concetto di diligenza. catena, che può sfociare nell’individuazione di un’eventuale responsabilità per inadempimento del professionista110. Si deduce che la responsabilità è connessa, sul piano economico, all’eventuale danno subito dal cliente: pregiudizio causato dall’errato adempimento o dall’inadempimento del professionista111. Per pervenire ad una possibile responsabilità, dunque, bisognerà necessariamente partire dal mancato raggiungimento di un risultato112. A tal proposito la giurisprudenza concorda affermando che l’inadempimento non potrà desumersi senz’altro che dal risultato mancato, ma va valutato alla stregua del dovere di diligenza, che prescinde da quella generale del buon padre di famiglia e si adegua all’attività esercitata113. Si prenda, ad esempio, il caso del dottore commercialista che riceve l’incarico di provvedere anticipatamente alla stesura di un piano pluriennale, che il creditore, cliente, deve presentare per ottenere un finanziamento presso un istituto di credito. Se il finanziamento in questione non viene concesso, il professionista 110 V. FORTINO, La responsabilità civile del professionista. Aspetti problematici, Milano, 1984, 48. 111 V. CATTABRIGA, Delega a terzi d’adempimenti contabili e fiscali, in La tribuna dei Dottori Commercialisti, n. 5, 1996, 31. 112 Si veda il paragrafo 1 dello stesso capitolo. 113 Cass. 12.9.70, n. 1386, GC, 1971, I, 627. non potrà essere considerato responsabile se il budget è stato correttamente eseguito sulle informazioni ricevute dal cliente. Resta comunque inteso che indipendentemente dalla mancanza di risultato e prima che essa si manifesti, nelle obbligazioni di mezzi il comportamento negligente del dottore commercialista può perfezionare di per sé un presupposto di inadempimento114. Non è detto, tuttavia, che la negligenza sfoci necessariamente in un danno. Si pensi al caso del dottore commercialista il quale predispone un ricorso contro un avviso d’accertamento, e vince il ricorso disertando l’udienza dinnanzi alla Commissione Tributaria; è un’ipotesi di comportamento negligente del professionista, comunque non certo dell’accoglimento del ricorso, ma non essendosi verificato nessun danno al cliente, non origina responsabilità per il professionista. Il fatto che il professionista obbligato ad eseguire una prestazione 115 costituisca un risultato determinato dà luogo a non poche difficoltà nell’individuazione dell’inadempimento del 114 115 V. RESCIGNO, Manuale di diritto privato italiano, Novene, Napoli, 1982-b, 653. Cass. 21.3.69, n. 904, in FI, 1969, I, 2958. professionista. Solo con il ricorso a standard generali, quali la diligenza, si riuscirà ad individuare la linea di condotta del professionista e allo stesso tempo determinare i presupposti in presenza dei quali si può configurare l’adempimento dell’obbligazione intellettuale. L’inadempimento va valutato a seconda della natura dell’attività esercitata, considerando il tipo dell’incarico, come pure le circostanze in cui la prestazione venga effettuata; punto saldo è però che la responsabilità del professionista in questione ha sempre per oggetto i soli errori tecnici, derivanti cioè da mancanza di cognizioni tecniche e/o esperienze professionale. È interessante da questo punti di vista il caso in cui il commercialista incaricato della trasmissione telematica invii oltre il termine previsto la dichiarazione tempestivamente consegnatagli dal contribuente. Il professionista in questione incorre sicuramente in sanzioni di legge, tuttavia nell’ipotesi in cui il contribuente che dà l’incarico dell’invio telematico non gli fornisca per tempo tutta la documentazione necessaria per elaborare la dichiarazione, non si ravvisano responsabilità ed obblighi particolari in capo al professionista se non quello di procedere all’invio quando tutta la documentazione viene resa disponibile. 2.2.1 Il concetto di danno risarcibile. Perché possa esser integrata la responsabilità del dottore commercialista sarà essenziale che la prestazione del professionista o il suo inadempimento determino un danno116 116 È sempre l’art. 2043 c.c. la disposizione, la c.d. “norma in bianco”, fondamentale in tema di danno e di risarcimento, che si completa con la disamina dei beni giuridici la cui lesione è da essa vietata, come il diritto al nome, all’immagine, alla riservatezza, e altri diritti soggettivi. Vengono esclusi, invece, dall’ambito della tutela aquiliana gli interessi legittimi, cioè gli interessi privati connessi a quelli pubblici, tutelati in modo occasionale ed indiretto, salvo l’obbligo in capo alla Pubblica Amministrazione di risarcire i danni derivati dall’esercizio di un’attività discrezionale, che abbia leso i diritti soggettivi privati. Il “danno”, come concetto naturalistico, “individua qualunque pregiudizio, nocumento, alterazione o annientamento di una situazione favorevole”; mentre, giuricamente, occorre individuare quale danno l’ordinamento consideri, visto che non ogni danno naturalistico è ritenuto, dal diritto, risarcibile. Per l’art. 1223 c.c., il danno deve discendere direttamente ed immediatamente dal fatto illecito, legato ad esso dal nesso di casualità, inteso come evento dannoso, imputabile al soggetto agente, quanto come evento dannoso risarcibile, in quanto tutelato dall’ordinamento. Il danno, per poter esser risarcito, dovrebbe esser certo ed attuale, anche se non tutti gli interpreti sono d’accordo sulla necessità che questi due aspetti sussistano; ma, soprattutto il danno risarcibile deve esser ingiusto e patrimoniale, salvo che il fatto illecito non costituisca anche un reato e possa esser comunque risarcito, ex art. 2059 c.c., che recita così: “Il danno non patrimoniale deve esser risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. La norma citata, in sostanza, sancisce che il danno non patrimoniale, cioè non valutabile in denaro, può esser risarcito solo se il fatto illecito costituisce un reato, per “assicurare al danneggiato un’utilità sostitutiva che lo compensi, perlomeno in parte, della perdita del piacere di vivere”. Questo tipo di danno può considerarsi come un danno morale puro, una sofferenza patita dal soggetto, vittima del fatto illecito. Per quanto riguarda la valutazione dei danni, soccorre l’art. 2056 c.c., secondo cui: “Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227. Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso”. Il danno risarcibile comprende, infatti, il lucro cessante e il danno emergente. Per lucro cessante, categoria incerta e futura, deve intendersi il mancato guadagno, la perdita di possibilità ed utilità di tipo economico, di cui il danneggiato avrebbe potuto fruire se, appunto, non avesse subito il danno. Per danno emergente si intendono le lesioni alla persona e ai beni del soggetto danneggiato, le spese che egli deve sopportare a seguito del danno subito e le perdite di vario tipo, collegate all’evento dannoso patito. certo ed effettivo, il quale sia connesso ad un comportamento doloso e colposo in capo allo stesso. Solo in presenza di questi elementi si potrà parlare di responsabilità del dottore commercialista117. La necessaria sussistenza del danno, la cui prova è a carico del cliente, viene riscontrata anche per altre attività professionali, soprattutto in quella forense118. Si specifica che il risarcimento del danno da negligente svolgimento dell’attività professionale non può esser enunciata limitatamente alla dichiarazione generica, se l’attore non abbia fornito la prova, oltre che della negligenza o dell’errore professionale del convenuto, di un reale danno patrimoniale e del relativo e necessario nesso di causalità119. Il professionista, qualora sussiste un nesso di causalità tra la propria opera ed il danno provocato, risponderà del danno120: il commercialista sarà tenuto a risarcire il danno solo se il cliente fornisce la prova che il relativo danno verificato è una conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del 117 Cass. 18.5.93, n. 5360, CorG, 1993, 1992. Cass. 11.5.77, n. 1854, 1977; RGI, 1997, Lavoro (rapporto), 203; Cass.25.5.83, n. 3612, GI, 1983, I, 1, 1810. 119 Cass. 5.4.84, n. 2222, RFI, 1984, Professioni intellettuali, 59. 120 V. CATTABRIGA, Delega a terzi di adempimenti contabili e fiscali, in La Tribuna dei Dottori Commercialisti, n.5, 1996, 31. 118 professionista121. In tal caso viene affermato dalla giurisprudenza che: “in caso di mancato conseguimento dello scopo, il cliente, per affermare la responsabilità del professionista per il danno derivante dal mancato raggiungimento del risultato, è tenuto a dimostrare non solo l’esistenza del danno, ma la sussistenza di un nesso di casualità fra l’irregolare prestazione del professionista ed il danno stesso”122. Il danno può consistere anche in una perdita di chances123 qualora emerga che l’evento favorevole impedito si sarebbe verificato con una possibilità almeno pari al 50%124. Risulta interessante il seguente caso. Se, ad esempio, il dottore commercialista omette un adempimento che avrebbe permesso all’assistito di chiedere un beneficio o di fare ricorso contro una sanzione, l’onere probatorio del cliente, a rigore, gli 121 Il criterio più accettato per dimostrare che vi sia un nesso di casualità fra il comportamento di un soggetto responsabile e la produzione del danno, è quello della c.d. casualità adeguata, in base al quale si guarda se la lesione è la conseguenza normale del comportamento colposo o doloso del soggetto agente, secondo i criteri di ordinaria esperienza. La catena delle conseguenze di un determinato comportamento può esser interrotta da un evento straordinario che da sé soltanto è sufficiente a produrre il fatto dannoso. Ove si ragionasse movendo da diverse considerazioni, si può anche concludere che la causa di tutti i guai successivi risale al fatto iniziale, ma di questo passo la catena delle cause non avrebbe mai fine, perché si può sempre risalire ad un fatto senza il quale non si sarebbero verificati gli eventi che sono seguiti, perciò è da scartare il criterio della c.d. “causalità sine qua non” che porterebbe a sifatte conclusioni. 122 Cass. 29.11.68, n. 3848, ARC, 1971, 184. 123 V. PRINCIGALLI, Perdita di chance e danno risarcibile, in RCKP, 1985, 315; BOCCHIOLA, Perdita di una chance e certezza del danno, in RTDCP, 1976, 565; Cass. 5.6.96, n. 5264, Dresp, 1996, 5, 581. 124 Cass. 19.12.85, n. 6506, FI, 1986, I, 383. Sentenza relativa alla perdita di possibilità di assunzione in conseguenza a un concorso pubblico. imporrebbe di dimostrare che rispettato il termine di decadenza e avviata ritualmente l’iniziativa, questa si sarebbe conclusa positivamente. Dimostrazione tutt’altro che semplice, vista l’opinabilità di molte delle questioni tecniche coinvolte e specie se si dovesse dimostrare che una Commissione tributaria, o un giudice, avrebbe sicuramente deciso in senso favorevole. La soluzione individuata dalla giurisprudenza per questi casi consente di superare entrambe le difficoltà. La sussistenza del danno non comporta necessariamente la prova, in termini di certezza, dell’esito favorevole dell’iniziativa omessa o viziata. È sufficiente, invece una “ragionevole probabilità”, ai sensi dell’art. 1225 c.c., circa gli effetti vantaggiosi della condotta professione e diligente, colpevolmente omessa. È questa ragionevole probabilità, poiché entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente autonoma, a dover esser risarcità e a fornire la misura del quantum, ossia l’entità del risarcimento, che va liquidato, per l’appunto, in ragione delle concrete e ragionevoli possibilità di conseguire un utile. Spetta al cliente danneggiato, la prova dell’esistenza di un nesso causale, ovvero la connessione oggettiva tra fatto dannoso e operato del dottore commercialista. L’attore, quindi, deve provare non solo di aver sofferto il danno, ma anche che questo è derivato dalla difettosa prestazione professionale, e cioè dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista125. Successivamente il dottore commercialista, chiamato a risarcire il danno a cliente, potrà invece provare l’assenza di colpa nel comportamento tenuto. L’attore indicherà l’obbligo contrattuale violato per impedimento o negligenza e il conseguente danno, mentre al professionista spetterà dimostrare l’eventuale difetto di colpa per impossibilità oggettiva di effettuare la prestazione. Il dottore commercialista dovrà, come visto prima, dimostrare che l’imperfetta esecuzione della prestazione è dovuta a forza maggiore126 o caso fortuito127. 125 App. Perugina 20.5.95, DResp, 1996, 6, 771. L’impossibilità della prestazione, sopravvenuta dopo il sorgere della obbligazione, estingue il debito, secondo un principio antico: ad impossibilia nemo tenetur. Deve trattarsi, tuttavia, di un’impossibilità di cui non sia responsabile l’obbligato, perciò la legge parla di impossibilità per causa non imputabile al debitore (art. 1256). Essa può dipendere da eventi imprevedibili e accidentali che costituiscono il caso fortuito, o da eventi ai quali non ci si può sottrarre che costituiscono la forza maggiore. Non può trattarsi di una difficoltà soggettiva di adempiere, propria di un determinato debitore piuttosto che di un altro, infatti verrebbe meno il significato stesso del vincolo o dell’impegno se l’obbligato potesse liberarsi solo perché è senza denaro o perché non è in grado di realizzare il risultato promesso. Tuttavia la giurisprudenza ha riconosciuto che la difficoltà potrebbe esser di tale natura da far ritenere moralmente ingiusto o comunque esagerato dal punto di vista economico pretendere l’esecuzione dal debitore di una prestazione pur sempre possibile. Il fondamento di tale inesigibilità della obbligazione sta nel principio di correttezza. L’impossibilità deve esser pertanto assoluta, perché non vi è alcun modo per adempiere, e oggettiva, perché non vi è alcuna persona che sarebbe in grado di eseguire la stessa prestazione. Quest’ultima regola va, tuttavia, adattata alla natura dell’obbligazione, infatti se essa ha per oggetto una prestazione personale, si può dire che anche l’impossibilità soggettiva dovuta ad una malattia o ad un incidente è rilevante. La prestazione fungibile, 126 È sempre il cliente, a dover fornire la prova della negligenza professionale. Qualora essa non venisse data, il professionista non sarà considerato responsabile. L’art. 2236, a tal proposito, sostiene che il dolo e la colpa grave del professionista non possono presumersi, ma devono essere specificatamente provati da chi richiede il risarcimento128. Sempre più spesso il consulente, professionista è chiamato ad assolvere al proprio compito mediante l’invio telematico di istanze al Fisco. Se l’intermediario incaricato non è sufficientemente “pronto di riflessi”, o se incappa in anomalie o blocchi del server tale da non rispettare il termine di scadenza che può indifferentemente esser eseguita dall’uno o dall’altro debitore, deve considerarsi oggettivamente impossibile solo se nessuno, in quelle circostanze, può realizzarla. L’impossibilità estingue l’obbligazione solo se è definitiva. Perciò l’impossibilità temporanea non fa cessare il rapporto, ma rende giustificato il ritardo nell’adempimento da parte del debitore, che non sarà responsabile per la mora. Tuttavia se il ritardo si prolunga eccessivamente vi può esser un limite oltre il quale, tenuto conte della natura della prestazione o del titolo dell’obbligazione, il debitore non si può ritenere obbligato o il creditore non ha più interesse a conseguire la prestazione. In tali ipotesi, anche la impossibilità temporanea può portare alla estinzione dell’obbligazione (art. 1256). L’impossibilità parziale non libera il debitore, che è tenuto ad eseguire la prestazione per la parte rimasta possibile. Infatti dopo il perimento di una cosa determinata egli è tenuto a consegnare il bene deteriorato o la parte residua di esso (art. 1258). L’impossibilità di restituire una cosa perita per caso fortuito non libera il debitore dalla responsabilità: − Se la cosa era stata illecitamente sottratta (art. 1221); − Se la cosa era stata prestata al comandatario e questi la ha usata per un tempo più lungo o un uso diverso da quello consentito, o poteva salvarla sostituendo la cosa propria (art. 1805). Non è concepibile una impossibilità per le cose generiche prima della individuazione (genus numquam perit) né per il danno. Solo il c.d. genere limitato (genus limitatum) può perire totalmente. 127 Cass. 5.8.85, n. 4386, RFI, 1985, Professioni intellettuali, 2480, 76. 128 V. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in Comm. cod. civ., diretto da Scialoja e Branca, Zanichelli, Il Foro Italiano, Bologna-Roma, 1968, 242; Cass. 5.12.85, n. 6109, RFI, 1985, Professioni intellettuali, 2480, n. 78. dell’invio, non potrebbe invocare tali ipotesi come casi d’impossibilità sopravvenuta. Trattando dell’ultimo dei giorni utili, sarebbe stato regola di prudenza non attendere l’ultimo momento. Diversa è l’ipotesi del beneficio concesso sino a esaurimento delle disponibilità. Qui un termine di decadenza non c’è e se il professionista, attivatosi tempestivamente, ha incontrato difficoltà tecniche non imputabili all’inadeguatezza dei propri strumenti, per il cliente sarà praticamente impossibile dimostrare che la propria mancata ammissione sia dipesa da negligenza dell’incaricato. 2.3 LA DILIGENZA. Il commercialista, nell’adempimento dell’obbligazione, è tenuto a seguire tutte quelle regole che vengono considerate idonee al raggiungimento del fine perseguito dal cliente e, quindi, all’attuazione del risultato che il creditore, s’attende. Il professionista, perciò deve osservare un comportamento diligente, da valutarsi in base alla previsione dell’art. 1176 c.c.. Il professionista intellettuale, tenuto conto dell’attività esercitata, dovrà ricorrere a tutti quegli accorgimenti che si rivelano necessari a rendere attuabile la pretesa del cliente. Un’attività corrispondente ad un modello astratto di condotta, quale è postulato in determinate circostanze, potrà dirsi diligentemente compiuta. Il termine di condotta diligente svolge funzioni di determinazione dell’esattezza della prestazione, e, insieme, la funzione generale di un criterio di responsabilità debitoria129; si parla così di un impiego adeguato di mezzi ed energie, utili a misurare la prestazione e quindi alla determinazione di un determinato fine. Il criterio di diligenza è utilizzato a individuare, specificare cosa si richiede che il debitore, dottore commercialista, esegua nelle normali condizioni di esecuzione dell’obbligazione; la diligenza, ancora è utilizzata ad individuare lo sforzo che il debitore in questione deve produrre per realizzare l’esatto adempimento, anche nel superamento degli eventuali ostacoli incontrati. 129 V. VISINTINI, La responsabilità contrattuale, Novene, Napoli, 1979, 190. In riferimento al dovere di diligenza media, si può rammentare il caso di un commercialista, il quale con la presentazione di Unico 2000 (redditi 1999), si impegna con un cliente nell’elaborazione e trasmissione telematica della dichiarazione. Il cliente ha presentato regolari F24 con saldi e acconti d’imposte Irpef, Irap e Inps mediante utilizzo di crediti Irpef. Dal quadro RX è emerso, inoltre, un credito Iva da riportare per l’anno seguente. La dichiarazione non è mai stata spedita dal professionista. L’agenzia delle Entrate ha considerato tutti i crediti come non riconosciuti per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi. Per quanto riguarda la responsabilità e sanzioni, l’art. 6 del decreto legislativo 472/97 stabilisce che il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziarie e addebitabile esclusivamente a terzi; inoltre, ex art. 10 dello stesso decreto chi, inducendo altri in errore incolpevole, determina la commissione di una violazione ne risponde in luogo del suo autore materiale. Restano comunque a carico dei soggetti sopra indicati, l’imposta eventualmente a debito e i relativi interesse. Se, peraltro, per il gioco delle compensazioni, non vi è stata effettiva evasione di tributi, occorre ricordare che la stessa imposta non può esser applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto (neppure nei confronti di soggetti diversi); un’eventuale duplicazione può esser sanata per autotutela. 2.3.1 Diligenza media. La giurisprudenza130, come pure la dottrina131, sostengono che il professionista intellettuale, dottore commercialista, esercita la propria attività in modo corretto quando utilizzi quella particolare diligenza definita diligenza del buon professionista; ovvero la diligenza media di un professionista sufficientemente preparato e accorto, che effettui un’applicazione media necessaria all’esercizio dell’attività. In altri termini, deve esser a conoscenza dei risultati della scienza, oltre che nelle elaborazioni teoriche anche nella sperimentazione e diffusione pratica. In 130 131 Cass. 18.2.81, n. 982, VN, 1981, 1112; Cass. 18.6.75, n. 2439, GC, 1975, I, 1389. V. GALGANO, Diritto Privato, 1990, 34. definitiva, il prestatore deve possedere un normale e necessario corredo di minimo di cultura e d’esperienza132. Una mancata attenzione alle regole d’arte e delle norme necessarie allo svolgimento della professione, da parte del professionista, causerà un inadempimento, e come trattato seguirà una valutazione successivamente comportamento si etica aggiungerà tecnico del soggetto; anche oggettivo che una a questa verifica evidenzi del l’esatto adempimento delle obbligazioni riguardanti l’esercizio della professione133. Perciò il professionista deve operare con la diligenza che si presume possegga un tipo ideale di buon debitore, tenuto a fornire le stesse prestazioni che quel debitore deve dare134. La diligenza vede quindi esser verificata in un’ottica oggettiva. Considerato nel suo insieme, il termine diligenza si presta ad interpretazioni tra loro diverse. Tuttavia nel tentativo di giungere ad una qualificazione e conseguente individuazione del 132 V. MISCIONE, Commento agli artt. 2222-2246 c.c, in Comm. cod. civ.,diretto da Cendon, V, Utet, 1991-a, 736. 133 V. BALDASSARI A. e BALDASSARI S., La responsabilità del professionista, in Il diritto privato oggi, a cura di Cendon, Giuffrè, Milano, 1993, 137. 134 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, 637. concetto di diligenza, si sostiene che tale elemento debba esser inteso in duplice significato. Esso si risolverebbe: A. nell’obbligo del debitore di adoperarsi per evitare che si verifichino situazioni che impediscano la prestazione; ci si riferisce al 1° comma dell’art. 1176, non potendosi pretendere dal professionista una diligenza diversa da quella del bonus pater familiaie nell’evitare fatti e situazioni che possano impedirgli di rendere la prestazione alla quale è obbligato; B. nell’obbligo di prestare la propria opera, con diligenza tecnica che deve caratterizzare il buon professionista; si riferisce al 2° comma dell’art. 1176 c.c., secondo cui la valutazione della diligenza deve avvenire con riguardo alla natura della prestazione. 2.3.2 Gli obblighi integrativi. Come si è visto il professionista è tenuto a svolgere la propria attività nel rispetto del dovere di diligenza, che gli impone di adottare tutti quei comportamenti che si presentano idonei a permettere al cliente la migliore tutela dei suoi interessi. Con ciò, quindi, il dottore commercialista deve porre in essere tutti gli accorgimenti che si rilevano necessari per l’ottenimento di tale finalità, astenendosi dal seguire condotte che possono rivelarsi non conformi al carattere fiduciario, cui risulta improntato il rapporto professionale, e che possono rilevarsi nocive per il cliente stesso. Nell’ambito relativo ai comportamenti da seguire vengono ricompresi tutti quegli obblighi c.d. integrativi, strumentali, che non sono altro che specificazioni ed estensioni dell’obbligo di prestazione135 e che cooperano a rendere l’esecuzione della prestazione professionale maggiormente idonea all’attuazione dell’interesse del cliente. 2.3.3 L’obbligo di informazione. Un particolare aspetto del dovere di diligenza, in quanto manifestazione dell’obbligo di prestazione, è perciò raffigurato dall’obbligo che cade sullo stesso professionista di informare il cliente della possibilità di successo di una eventuale prestazione. 135 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 91. Si tratta di un comportamento al quale il professionista intellettuale deve attenersi nella fase pre-contrattuale, fondato sul fatto che il professionista, poiché esperto in una determinata materia, tratta con un inesperto; tale obbligo può essere oggetto anche di uno specifico contratto con il quale lo stesso professionista s’impegna a fornire un parere o un consiglio, anche in vista di una possibile prestazione. La corretta informazione, che rappresenta un aspetto precorrente nell’evoluzione del consenso manifestato dal cliente, consente quindi la libera decisione del cliente circa l’opportunità di utilizzare l’opera del professionista, e assoggetta questi alla responsabilità per l’inesattezza e incompletezza delle notizie fornite136. La giurisprudenza, a differenza della dottrina che vede nell’ipotesi di silenzio del professionista a riguardo alle possibilità di successo di una determinata attività un tipico caso di responsabilità pre-contrattuale, è favorevole a ricomprendere tale responsabilità nell’ambito di quella contrattuale137. 136 137 Cass. 13.12.69, n. 3958, in GC, 1970, I, 404 in materia di responsabilità dell’avvocato. Cass. 26.03.81, n. 1773, in AC, 1981, 5444 in materia di responsabilità del medico. Per quanto concerne il consenso manifestato dal cliente, questo non dovrà essere un consenso generico o ricavabile implicitamente da altri elementi, ma dovrà esser un consenso esplicito, con una reale presa di visione della situazione individuata dal professionista e un’effettiva conoscenza dei rischi, cui può andare incontro il cliente stesso. Un limite al dovere d’informazione s’incontra per il professionista in campo sanitario, dove può verificarsi la possibilità in cui il suo intervento si dimostri urgente e necessario e il paziente si trovi in uno stato tale da non poter esprimere una cosciente volontà favorevole o contraria138. In ogni modo, l’onere della dimostrazione del mancato assolvimento del dovere d’informazione da parte del professionista graverà sul cliente che agisce in giudizio per l’affermazione di responsabilità139. 138 139 Cass. 18.6.75, n. 2439, in GC, 1975, I, 1389. cfr. App. Milano 30.4.91, in FI, 1991, I, 2855. 2.4 LA COLPA PROFESSIONALE. Il rispetto del commercialista del dovere di diligenza gli impone l’obbligo di adeguarsi a tutta una serie di regole di condotta che, nella loro complessità, rappresentano il presupposto indispensabile affinché il professionista stesso possa considerarsi adempiente in ordine all’incarico accettato140. Proprio dall’individuazione del concetto di diligenza, peraltro assai difficoltosa in conseguenza della pluralità delle situazioni nelle quali si trova ad operare il commercialista e che richiede un’indagine analitica condotta in relazione ad ogni singola fattispecie141, si ottiene conseguentemente il concetto di colpa professionale. Difatti, la diligenza integrata dal comportamento che il prestatore deve osservare al fine di rendere realizzabile la migliore tutela dell’interesse del cliente-creditore. A contrariis la colpa professionale corrisponderà a in quei comportamenti che non si presentano idonei a permettere il 140 141 Trib. Latina 22.5.90, in TR, 1991, 143. Si veda a tal proposito il paragrafo terzo dello stesso capitolo. raggiungimento delle finalità cui si rivolge l’opera del professionista142. Il dottore commercialista potrà esser quindi considerato inadempiente per aver tenuto un comportamento negligente, imperito o imprudente. 2.4.1 Negligenza. La negligenza viene individuata attraverso la descrizione di una serie di atteggiamenti negativi che possono caratterizzare l’operato del professionista intellettuale. La dottrina, a riguardo, ragiona in termini di dimenticanza, svogliatezza, pigrizia143 e, quindi, di comportamenti che assumono importanza nella mancata attuazione di un determinato facere. La giurisprudenza, non presta particolare attenzione a tale differenziazione, la quale non ha alcun’importanza ai fini dell’imputabilità della responsabilità, poiché molto frequentemente si verifica che la negligenza s’accompagni a comportamenti che costituiscono espressione d’imperizia, di 142 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 53. V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, 832. 143 modo che, nella pratica, è assai difficoltoso stabilire se il mancato adempimento del dottore commercialista sia dipeso da semplice disattenzione o da vera e propria incompetenza professionale. Tuttavia il gran numero di sentenze concernenti tale oggetto hanno individuato la negligenza nelle ipotesi di mera omissione del professionista dall’osservanza di determinati comportamenti144. Il commercialista che abbia dimenticato di inviare la dichiarazione Unico entro il termine di presentazione in via telematica, è stato condannato a risarcire il cliente dei danni che gli ha procurato le conseguenze causate dalla sua distrazione145. Nel caso in cui l’amministrazione finanziaria, per colpa dell’intermediario, dovesse rilevare l’omessa presentazione della dichiarazione, il contribuente può richiedere l’annullamento della sanzione, esibendo la copia della dichiarazione e la ricevuta rilasciata dall’intermediario abilitato che “prova” la giusta data di presentazione della dichiarazione. A tal riguardo si sostiene che “un concordato fiscale perduto 144 inchioda alle proprie responsabilità anche il Trib. Padova, 9.8.85, in FI, 1986, I, 1995; App. Napoli, 6.4.82, in AC, 1982, 740; App. Roma, 27.11.86, in ND, 1988, 437. 145 Cass. 31.12.01, n. 15759, (II sezione civile). commercialista a mezzo servizio”; se il professionista ha solo l’incarico di domiciliazione fiscale di una società, rischia di dovere risarcire i danni d’eventuali “guai” tributari patiti dal cliente a causa della sua distrazione 2.4.2 Imperizia. L’imperizia corrisponde ad una vera e propria incompetenza professionale. L’attività intellettuale oggetto della prestazione del professionista deve esser tecnicamente impeccabile e basata sugli strumenti messi a disposizione dalla scienza e sul patrimonio tecnico, scientifico e morale del prestatore, rappresentato soprattutto dal complesso delle sue cognizioni acquisite attraverso lo studio e l’esperienza. Il bagaglio di preparazione scientifica e tecnica del professionista intellettuale costituisce parte integrante della prestazione professionale, con la duplice conseguenza che il professionista è tenuto ad acquisire e conservare la necessaria perizia, e che l’attività in concreto posta in essere dal professionista deve essere conforme ai principi scientifici e tecnici di ogni professione146. Il commercialista dovrà mantenersi costantemente dotato di una normale perizia, ovvero di un livello di conoscenza che lo ponga nelle condizioni di soddisfare l’aspettativa del cliente a ricevere una prestazione, caratterizzata non solo dall’accortezza e dalla prudenza, ma anche da un determinato livello di conoscenza147. Il bagaglio tecnico del professionista non può prescindere dalla conoscenza delle soluzioni portate dalla scienza, che siano consenzialmente accolte dalla pratica. Il professionista deve perciò avere una preparazione professionale tale che gli consenta d’applicare, durante l’esecuzione della propria prestazione, quelle nozioni che siano acquisite, per comune senso e salda sperimentazione, alla scienza ad alla pratica e che costituiscono il necessario corredo148 del professionista diligente149. 146 V. MACRÌ, La responsabilità professionale, in Le professioni intellettuali, Giur. sist. dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Utet, Torino, 1987, 236. 147 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, 832; Cass. 20.2.87, n. 1840, VN, 1987, 388. 148 Si veda capitolo 2 paragrafo 3. 149 Cass. 29.3.76, n.1132, in RDL, 1977, 140. L’insufficienza della preparazione, la quale deve esser accertata in relazione ad ogni singola fattispecie150, cercando di verificare le concrete circostanze in cui la prestazione deve svolgersi151, unito alla preesistenza di regole tecniche di comportamento, ormai acquisite dalla scienza e dalla tecnica, crea quindi il presupposto di una responsabilità per imperizia152. Il dottore commercialista deve tenersi costantemente aggiornato, costituendo ciò un adempimento indispensabile allo scopo di garantire la tutele degli interessi del cliente. Non solo, il professionista dovrà possedere un’esperienza professionale adeguata alla complessità della materia esaminata, che gli consente di affrontare le varie circostanze che possono verificarsi nel corso del singolo caso153. La mancanza di tali presupposti imporrà al professionista, al fine di non incorrere in eventuali ipotesi di responsabilità, il 150 A tal proposito si esamini il caso successivo a questo paragrafo. Cass. 2.8.73, n. 2230, in GC, 1973, I, 1864; Cass. 2.11.82, n. 5885, in AC, 1983, 496; Cass. 15.11.82, n. 6101, in DPA, 1984, 405; Cass. 22.3.68, n. 905, in FI, 1968, I, 2206; Cass. 12.9.70, n. 1386, in GC, 1971, I, 627. 152 Ci si riferii e ad ipotesi di responsabilità del medico per imperizia ma vale lo stesso con riferimento anche ad altre professioni intellettuali tra cui quella del dottore commercialista. 153 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, 832; Cass. 20.2.87, n. 1840, VN, 1987, 644-647; DANOVI, Errore professionale: responsabilità civile e responsabilità disciplinare, in RCP, 1986, 47-102. 151 rifiuto alla prestazione, suggerendo al cliente il ricorso ad altro professionista più esperto154. L’inadeguatezza della prestazione deve esser verificata in relazione ad ogni singola fattispecie. Interessante il caso del commercialista, incaricato da un cliente all’elaborazione della contabilità ordinaria ed alla preparazione della dichiarazione annuale IVA. Il professionista in questione omette di riportare nella dichiarazione in questione, precisamente nel quadro A, l’ammontare dei corrispettivi, ed indica nella dichiarazione dei redditi, nonostante l’inesistenza delle operazioni sostenute nel periodo, ricavi per la cessione di beni. Il cliente ha citato in giudizio, al fine del risarcimento dei danni derivati, dopo l’avviso d’accertamento in rettifica dell’IVA dovuta, il commercialista. Il quale, in giudizio, si difenderà sostenendo che l’attività di consulenza fiscale implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà per cui la responsabilità deve esser considerata limitata, secondo l’art. 2236 c.c., alle sole possibilità di dolo e colpa grave. In tale sede il professionista sosterrà che si tratta di una semplice trasposizione 154 V. MACRÌ, La responsabilità professionale, in Le professioni intellettuali, Giur. sist. dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Utet, Torino, 1987, 237-238. dei dati comunicati dal cliente e non di una scelta tecnica; inoltre, se la rettifica IVA fosse stata oggetto di ricorso dinnanzi alla competente commissione tributaria, c’era la possibilità di successo, con una relativa diminuzione, per il professionista, dell’ammontare dei danni richiesti dal cliente. Tuttavia al professionista è stato accolto il ricorso in appello contro la sentenza di primo grado155, qualora dimostri la mancanza dell’onere della prova, di un comportamento in merito alla possibilità di ricorso contro l’accertamento IVA dell’attore, e nonché dell’esecuzione discrezionale dell’opera professionale e della non configurabilità d’errore professionale. 2.4.3 Dolo e colpa grave. Sono fonte della responsabilità nei confronti dell’attore il dolo e la colpa del professionista, nel cui caso il parere fornito o la scelta effettuata risultino superficialmente erronei, cioè conseguenza d’imperizia, la stessa scelta o lo stesso parere che non sarebbe stata presa o stata scelta dal professionista medio. 155 App. Perugia, 20.5.95, DResp, 1996, 770. Come si è notato nei paragrafi precedenti, la responsabilità del professionista è attenuata ex art. 2236 c.c., ove la prestazione svolta racchiuda in se problemi tecnici di particolare difficoltà; tale valutazione spetterà al giudice 156. La dottrina a riguardo, afferma che l’art. 2236 c.c. tratta sia del problema della gravità della colpa, che quello della certezza, nel senso che svolge funzione di limitare la responsabilità del professionista in caso di colpa certa157. A differenza di un tempo, in cui la dottrina considerava colpa grave una manifestazione d’incapacità evidente e grossolana, o d’ignoranza di cognizioni elementari, oggi s’individua con tale concetto una condotta del debitore particolarmente biasimevole, da valutare caso pere caso. Quindi la colpa grave tenderebbe a coincidere con l’errore dovuto a negligenza, incuria, imprudenza, alla pari della colpa lieve, tutto ciò avendo riguardo però alla natura della prestazione dell’attività svolta158. La Cassazione afferma che la nozione di colpa grave in campo professionale comprende sia gli errori che 156 Cass. 7.5.88, n. 3389, RFI, 1988, Professioni intellettuali, 2380, n. 96; RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in Comm. cod. civ. artt. 2188-2246, a cura di Scialoja e Branca, Zanichelli, Bologna-Roma, 1968, 151-241; GALGANO, Diritto privato, Cedam, Padova, 1990, II, 1, 34; GIACOBBE, Professioni intellettuali , in ED, XXXVI, 1987, 1060-1085. 157 App. Roma 6.9.83, FI, 1983, I, 2838. 158 V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, 850; BONVICINI, La responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 1971, 756. non sono scusabili, sia le ignoranze incompatibili con il grado di addestramento e di preparazione che una data professione richiede o che la reputazione del professionista intellettuale dà motivo di ritenere esistente, sia la temerarietà sperimentale e ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari che il cliente affida alle cure di un prestatore d’opera intellettuale159. Quindi pensando al dottore commercialista, è il caso di un soggetto che non si mantiene aggiornato, che inserisca i dati senza nessuna valutazione discrezionale, che si preoccupi solo superficialmente dei problemi del cliente o non lo informi di non esser in grado di svolgere una determinata prestazione. 2.4.4 Imprudenza. All’interno del concetto di colpa rientra la nozione d’imprudenza. L’obbligo del commercialista d’assumere un comportamento tecnico consono alla situazione nella quale si trova ad esercitare, che tenga sempre e comunque in debita 159 Cass. 21.4.77, n. 1476, RFI, 1977, Professioni intellettuali, 43; Cass. 2.7.91, n. 7262, FI, 1992, I, 803. considerazione la tutela degli interessi del cliente, riproduce quindi il fondamentale presupposto per il corretto esercizio della professione. Egli deve operare utilizzando le conoscenze tecniche essenziali per la soluzione del singolo caso, evitando di accogliere comportamenti che possano esser incompatibili con le finalità del suo operato. Oltre ad una preparazione sufficiente a rendere efficace il suo intervento, deve esser dotato d’esperienza acquisita nel settore cui si riferisce l’opera160, nonché deve astenersi dall’adottare scelte che si pongono al di là dei normali criteri di soluzione del caso. L’imprudenza, quindi, raffigura il limite oltre al quale non si può spingersi la discrezionalità tecnica del professionista. Importante sarà, ai fini della valutazione del comportamento, il raffronto operato tra gli strumenti tecnici impiegati per la soluzione del singolo caso e quelli che sono i mezzi che la tecnica mette a disposizione. La responsabilità del professionista, quale conseguenza d’imprudenza, deve ritenersi esistente nell’ipotesi in cui questi potendo scegliere tra soluzioni diverse, opta per quella che presenti il maggior numero di probabilità di insuccesso. 160 App. Bari, 21.4.83 in materia di responsabilità medica. 2.4.5 Errore professionale. Il professionista intellettuale deve comportarsi, al pari d’ogni altro soggetto passivo del rapporto obbligatorio, nel rispetto del dovere di diligenza, e più esattamente, della diligenza del buon professionista. Il suo comportamento dovrà ispirarsi a quelle regole che gli impongono di tenere una condotta idonea a permettere il soddisfacimento degli interessi del creditore-cliente, l’inosservanza di queste comporterà come conseguenza il sorgere di responsabilità a suo carico e quindi all’eventuale risarcimento dei danni. Si è definito antecedentemente il concetto di colpa professionale, come l’inosservanza del professionista della diligenza professionale nello svolgimento dell’opera o anche osservanza di regole di condotta che non rientrano nei suoi doveri a cui deve uniformarsi. All’interno del comportamento non diligente si tratta di valutare la ricorrenza dell’errore professionale. L’errore professionale serve ad evidenziare un comportamento obiettivamente diverso da quanto esigeva la situazione, ma non necessariamente colposo161, vale a dire una condotta riguardante alla soluzione del problema tecnico che figuri insufficiente, inadatto o perfino controproducente in relazione all’oggetto del contratto162. Si ha errore professionale quando una condotta, nonostante che il commercialista abbia agito diligentemente, non risulta idonea a risolvere il caso. L’errore professionale, viene preso in considerazione come elemento oggettivo, quale comportamento del professionista non conforme alla regole dell’arte, alle recenti cognizioni scientifiche e alla comune esperienze, e non come elemento soggettivo: un comportamento tecnicamente errato ma non necessariamente colposo163. Anche la giurisprudenza considera tale comportamento inidoneo a integrare colpa del professionista, e pone in evidenzia la differenziazione tra errore inescusabili, ricompreso nel concetto di colpa professionale, ed errore scusabile164. L’errore inescusabile è quell’errore che poteva esser evitato usando la 161 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 67. V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, 815-820. 163 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 6067. 164 Cass. 21.4.77, n. 1476; Cass. 8.2.87, in RP, 1988, 202. 162 diligenza richiesta, esso sarà riferito solo all’errore tecnico cioè derivante da mancanza di cognizione tecniche ed esperienza professionale relativa alla professione esercitata; non può inoltre sollevarsi alcun addebito al professionista che sia incorso in un errore relativo a materie non di sua competenza165. Quindi l’errore professionale si delinea quale una vera e propria ipotesi esonerante da responsabilità, sempreché, esso si presenti quale errore scusabile, inevitabile secondo l’uso della diligenza richiesta166. La valutazione dell’errore, come visto prima, deve esser essenzialmente tecnica, cioè relativa alle cognizioni tecniche e all’esperienza professionale del commercialista. Si ha il caso che il professionista propone al cliente di avvalersi di condonare alcune regolarità, pagando una determinata cifra entro una specifica data di scadenza, ipotizziamo di lunedì. Consideriamo una proroga del condono di due mesi, e che la notizia resa pubblica domenica. Il cliente, se ha eseguito il versamento lunedì mattina, perché il suo commercialista non lo ha informato della possibilità di 165 166 Cass. 15.4.82, n. 2274, in GC, 1983, I, 573. Cass. 19.2.86, n. 1003, in RFI, 1986, Obbligazioni in genere, 26. posticipare il pagamento, può aver subito un danno, essendosi privato di una cifra rilevante prima del tempo. In questo caso siamo di fronte ad un errore scusabile del professionista. 2.4.6 Sostituti e collaboratori. Abbiamo già visto che nulla esclude che il commercialista può avvalersi, per l’esecuzione dell’incarico assunto di sostituti e di ausiliari, ossia persone che lo sostituiscono o che collaborino con lui sotto la sua direzione167. L’art. 2232 c.c, dopo aver individuato il carattere prettamente personale della prestazione svolta dal professionista, prevede che questi possa ricorrere, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti ed ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione. In tale caso è, naturalmente, da escludere che i terzi ausiliari abbiano un rapporto contrattuale diretto con il cliente creditore della prestazione, e, dunque, questi non può avere un’azione diretta contro essi per l’adempimento, 167 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 95107. come pure i collaboratori non possono agire nei suoi confronti per il compenso. A conferma di questo, l’art. 2232 c.c. recita “la facoltà del professionista di servirsi della collaborazione di sostituti e ausiliari non comporta mai che costoro diventino parti del rapporto di clientela, restando invece la loro attività giuridicamente assorbita da quella del prestatore d’opera che ha concluso il contratto con il cliente. Il sostituto, pertanto, non è legittimato ad agire contro il cliente medesimo per la corresponsione del compenso, il cui obbligo resta a carico del professionista”. L’esercizio della facoltà di farsi sostituire non è soggetta ad alcun requisito di forma, tranne nel caso in cui la forma stessa sia richiesta dalla disciplina della professione, i possibili difetti possono, però, esser sanati anche in forma tacita, con accettazione della controparte168. Qualora l’utilizzazione di sostituti o d’ausiliari avvenga in mancanza di una precisa convenzione in tal senso con il cliente oppure senza che gli usi lo consentano, il commercialista, risponderà, a causa del proprio inadempimento contrattuale, degli eventuali danni causati dal sostituto o ausiliare, prescindendo 168 Cass. 19.2.57, n. 583. dall’indagine circa la colpa o il dolo di questi169. Dove, invece, l’uso dell’opera di sostituti e d’ausiliari si compia nel rispetto dei limiti del sopraccitato articolo del codice civile, il commercialista sarà oggettivamente responsabile, prescindendo dalla valutazione della sua colpa, dei danni subiti dal cliente per effetto del collaboratore170. Non si esclude, tuttavia, che il collaboratore possa essere chiamato a rispondere nei confronti del professionista in armonia con le norme generali dettate in materia di fatto illecito, dei danni da questo subiti e ricollegati alla sua condotta colposa osservata nell’esecuzione dell’incarico affidatogli171. Nella figura del collaboratore rientrano, oltre che al lavoratore subordinato o autonomo, anche i praticanti; la pratica è diventata172 oggi obbligatoria per gli aspiranti commercialisti che intendono sostenere l’esame di stato. 169 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 100110; MACRÌ, La responsabilità professionale, in Le professioni intellettuali, Giur. sist. dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Utet, Torino, 1987, 264. 170 V. TORRENTE, La prestazione d’opera intellettuale, in RGLav, I,1962-a, 1-38. 171 Cass. 28.8.75, n. 3016, in RCP, 1976, 240. 172 Cass. 17.2.92, n. 206. 2.4.7 Professionisti associati. Posto che parte del contratto d’opera intellettuale sia uno studio di professionisti associati si verificherà una situazione diversa da quella tratta anticipatamente. Non esistendo un rapporto di ausiliarità, in questo ambito, chiunque degli associati può chiedere l’intero compenso al cliente, procedendo per sé e per i propri colleghi173. Quindi, qualsiasi professionista può farsi sostituire senza che sia indispensabile alcun requisito di forma, salvo però che questa non sia richiesta dalla disciplina della professione o dalla legge. 2.4.8 Assicurazione del professionista. Il commercialista, come tutti professionisti, si trova oggi esposto a rischio, il quale risulta più elevato rispetto al passato, e quindi si trova costretto a far ricorso a strumenti di riparo. Tra questi figurano l’assicurazioni e le compagnie operanti nel settore, che hanno creato, fornito polizze adatte a coprire questo tipo di rischi. 173 App. Milano, 21.1.77, AC, 1977, 580. A differenza degli altri paesi della CEE, dove l’assicurazione è obbligatoria, in Italia essa è facoltativa. Essa ha come oggetto la tutela del professionista da quanto sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile: a. Danni corporali o materiali, non voluti cagionati a terzi, clienti; b. Perdite patrimoniali non volute cagionate a terzi, clienti nell’esercizio dell’attività professionale. Oltre che a tutelare l’attività del professionista, l’assicurazione vale anche per la responsabilità civile e personale che possa derivare all’assicurato dal fatto doloso dei suoi dipendenti, nonché dei suoi collaboratori facenti parte dello studio ed iscritti al relativo albo professionale. I contratti d’assicurazione presumono, in genere, che una parte del rischio resti a capo dell’assicurato, utilizzando a tale scopo scoperti e franchigie174. Tuttavia la responsabilità civile continua ad esplicare la sua funzione per la parte di danno che 174 Scoperto indica una quota percentuale ricavata sul danno, di norma il 10%, che non viene coperta dall’assicurazione, questo poi è limitato da un minimo ed un massimo, avente lo scopo di lasciare all’assicurato piccoli sinistri e di evitare, che il suo ammontare divenga troppo onero per il cliente. Franchigia è invece una quota che rimane a carico dell’assicurato indipendentemente dall’ammontare del danno, a seconda della professione, sono previsti diversi rischi esclusi, nel caso del dottore commercialista: responsabilità civile derivante dalla sottoscrizione di relazioni di certificazione dei bilanci della società per azioni quotate in borsa, perdite inerenti l’attività svolta nell’ambito di incarichi di consigliere di amministrazione o di sindaco. supera il massimale e che i danni morali non sono mai ricompresi in garanzia. Inoltre nell’assumere o meno un certo rischi la compagnia considererà i sinistri verificatesi nel passato, come pure la variazioni del livello del rischio a carico dell’assicurazione per indurre o ad una revisione del premio o ad un recesso dal contratto. L’opportunità del commercialista di provvedere alla stipulazione di polizze assicurative, oltre che da parte della dottrina175, viene rilevata anche dalle norme di deontologia professionale. Nelle quali, difatti, si recita, che “il dottore commercialista deve porsi in condizione di risarcire gli eventuali danni causati nell’esercizio della sua professione. A tal fine ove non disponga di sufficienti mezzi di copertura, è tenuto a stipulare un’adeguata polizza d’assicurazione con compagnia di primaria importanza. Il dottore commercialista deve altresì collaborare alla sollecita liquidazione del danno”176. 175 V. CULOT, FERRARO, MAGNARIN e SPOLETTI, L’esame del dottore commercialista, Giuffrè, Milano, 1997, 140-158. 176 Commissione Nazionale di deontologia, 1994, art. 27. CAPITOLO 3 LA RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE DEL COMMERCIALISTA 3.1 LA RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE VERSO IL CLIENTE. L’inosservanza da parte del dottore commercialista di un comportamento diligente e pronto, come tale determinante il verificarsi di un danno a carico del cliente, costituisce il fondamento della responsabilità contrattuale: responsabilità che trova il suo presupposto nel contratto d’opera professionale intercorrente tra cliente e professionista, dal quale deriva l’obbligo, per quest’ultimo di consentire l’osservanza di quei principi che s’intendono indispensabili per il conseguimento dei risultati del cliente connessi al corretto svolgimento della prestazione intellettuale. La condotta del dottore commercialista può esser considerata anche come fonte di responsabilità extracontrattuale qualora tale condotta sia lesiva di un bene protetto dalla legge indipendentemente dalla presenza di un vincolo contrattuale; oltre all’inadempimento contrattuale, si determina la lesione di un diritto primario177 cui è riconosciuta protezione aquiliana178. La responsabilità extracontrattuale del professionista nei confronti del cliente si verifica, perciò, quando l’inadempimento 177 Si riferisce alla situazione in cui un soggetto si trova rispetto ad altri, con riferimento a quello che egli può fare per soddisfare un proprio interesse. Con diritto soggettivo, quindi, si constata quella situazione un cui la tutela dei soggetti è più forte e più diretta. Alla base vi è un’idea unitaria: con il diritto soggettivo la legge vuole tutelare direttamente un soggetto, attribuendo a costui uno o più strumenti giuridici di attuazione e di difesa del suo interesse. Sicché il titolare del diritto può chiedere al giudice un provvedimento a lui favorevole dimostrando la lesione di questo interesse. Non sempre, tuttavia, un interesse del soggetto è tutelato. Esistono interessi che non sono tutelati in nessun modo. Ad esempio l’interesse ad ereditare il patrimonio di un parente ricco non è protetto neppure a favore dei parenti prossimi, chiamati per legge. Difatti il titolare potrebbe disporre per testamento a favore di estranei o potrebbe consumare il suo patrimonio senza lasciare più nulla alla propria morte. Non sempre, del resto, appare chiara la protezione prevista dalla legge. Prima della recente legge sul trattamento dei dati personali si è molto discusso se si poteva parlare di un diritto soggettivo alla privacy, cioè alla riservatezza della persona, distinto ed autonomo rispetto al diritto all’immagine, o alla segretezza della corrispondenza che risultavano certamente tutelati da norme apposite. Talora l’interesse del privato riceve soltanto una tutela indiretta perché alla legge sta a cuore, innanzitutto, la soddisfazione dell’interesse pubblico, ad esempio il candidato che concorre per un pubblico impiego, il quale ha interesse a vincere il concorso, come ciascuno dei partecipanti, ma questo interesse è subordinato all’interesse della collettività affinché sia scelto il migliore. La possibilità di agire in giudizio concessa al cittadino dipende dal fatto che il suo interesse coincide con l’interesse pubblico di cui la legge si preoccupa principalmente. In questi casi non si parla di diritto soggettivo ma di interesse legittimo, rispetto al quale è competente il giudice amministrativo. 178 V. D’ORSI, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1981, 17. del professionista leda allo stesso tempo una situazione soggettiva giuridicamente rilevante in sede aquiliana179. Si prospetta in tal caso un concorso tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale180, conseguente ad un unico comportamento risalente, allo stesso soggetto ed ad un unico avvenimento dannoso che sia lesivo, sia dei diritti derivanti dall’altro contraente dalle clausole del contratto, sia dei diritti181 a lui attribuiti a prescindere dal contratto. 179 L’illecito extracontrattuale o aquiliano (lex aquilia) si ha in tutti i casi, nei quali non si viola un obbligo già sorto, ma una norma che impone a tutti e a ciascuno di non danneggiare gli altri (neminem laedere). Il genere più rilevante di illecito extracontrattuale è costituito, pertanto, dalla offesa di un bene inerente alla persona o attinente al patrimonio. In linea generale si può dire che il danno è certamente ingiusto, allorquando risultano violati dei diritti assoluti. All’infuori di tali casi la giurisprudenza si è forzata di individuare altre ipotesi di ingiustizia del danno che non derivano dalla violazione di diritti assoluti, ma la violazione di beni comunque protetti dalla legge. Ad esempio si parla di responsabilità per false informazioni (da parte di chi non è obbligato a fornire dati esatti in base ad un rapporto giuridico, ad esempio un contratto di consulenza, ma comunque, dicendo colpevolmente cose non vere o inesatte, induce nei terzi un affidamento erroneo: si pensi ad una banca, che descrive la situazione patrimoniale di un cliente come se fosse florida, si che taluno è indotto a fargli credito, mente invece la persona in questione si trova in cattive acque), oppure di responsabilità per lesione del credito da parte di terzi (quindi soggetti diversi dal debitore, che con il loro comportamento impediscono a quest’ultimo di adempiere regolarmente). Diversamente per quanto riguarda l’inadempimento di un obbligo, che può provenire da una parte sola, la violazione che cagiona un illecito extracontrattuale può avvenire per opera di chiunque. Pertanto per agire contro il responsabile nell’illecito contrattuale bisognerà dimostrare che era una obbligazione e che il debitore non ha adempiuto o ha adempiuto male, mentre, nell’illecito extracontrattuale bisognerà dimostrare che vi era un bene protetto dalla legge e che il comportamento del responsabile ha causato lesione. 180 Cass. 7.8.82, n. 4437, in RCP, 1984, 78. 181 Gli interessi che vengono tutelati attraverso lo strumento del diritto soggettivo si possono dividere in due categorie. Da un lato vi è una situazione in cui il soggetto, per godere di un bene e trarre da esso tutta l’utilità che gli serve, non ha bisogno della collaborazione di alcuno. Anzi, ha interesse che gli altri soggetti se ne stiano alla larga, senza creare disturbo, si pensi al bene rappresentato dall’integrità fisica, dal nome, etc. si può dire che la soddisfazione del soggetto, in questo campo, prescinde da un comportamento attivo di collaborazione altrui. Al contrario, si ha interesse che gli altri soggetti non interferiscano in queste attività di godimento e si astengano da ogni possibile violazione. La legge tutela questo tipo di interessi concedendo al titolare la possibilità di respingere ogni offesa, proveniente da qualunque parte, e di ripristinare, per quanto è Questa convergenza tra i due differenti tipi di responsabilità garantisce al creditore-cliente una più ampia protezione182. Ci si chiede, quindi che tipo di relazione s’instauri tra le due responsabilità: a) Se è possibile configurare ipotesi di cumulo sostenendo che il cliente è danneggiato dall’opera per lui eseguita dal professionista; b) Se a riguardo della molteplicità dei criteri d’imputazione, è in qualche modo limitato il principio dell’art. 2236 c.c., costringendosi possibile, la situazione preesistente.ciò avviene attribuendo al soggetto, ad esempio, le azioni petitorie, cioè poste a difesa della proprietà e le altre azioni, inibitorie, risarcitorie e così via, poste a difesa dei singoli diritti. Si parla, in questo caso, di diritti assoluti, ovvero di diritti tutelati “contro tutti”, jus erga omnes. Si può trattare di diritti di natura morale, come il diritto all’onore, al nome ecc., ma anche di diritti di natura patrimoniale, come il diritto di proprietà su di una cosa o il diritto di usufrutto, ecc. Un diverso genere di tutela si richiede, invece, quando la soddisfazione dell’interesse di un soggetto non può aversi senza l’attività di altre persone. Anche i diritti di questo tipo possono concernere interessi di natura personale come interessi di natura morale, si pensi al diritto del figlio in giovane età di esser educato e mantenuto dal proprio genitore, al diritto di fedeltà di ciascun coniuge, al diritto alla restituzione del cosa che si è prestata, al ricevere il pagamento come corrispettivo della merce. In tutti questi casi, poiché è necessaria la collaborazione altrui, la tutela si attua obbligando un determinato soggetto a prestare la propria opera costringendo, quindi, a realizzare il comportamento idoneo a soddisfare il soggetto tutelato. Si parlerà. In questi casi, di diritti relativi, jus in personam, tenendo presente che il legame fra le posizioni dei due soggetti, così intimamente correlate, prende il nome di rapporto giuridico, ovvero relazione fra soggetti determinati, regolata dal diritto. La lesione del diritto, quanto meno, la più rilevante è quella che deriva dal comportamento dl soggetto obbligato, qualora egli non compia ciò che deve. La pretesa di ottenere il comportamento dovuto, che spetta al soggetto tutelato, titolare della situazione soggettiva attiva o soggetto attivo del rapporto, si rivolgerà infatti esclusivamente nei confronti dell’atro soggetto, soggetto passivo del rapporto. Conseguentemente non si potrà prospettare una violazione del diritto se non in quanto proveniente da un atto di inadempimento del soggetto obbligato. 182 App. Roma, 6.9.83, in FI, 1983, I, 2838; App. Firenze, 29.8.63, in FI, 1964, I, 1484. indirettamente il professionista ad utilizzare maggiore attenzione e cautela in vista dei possibili danni che la sua esecuzione potrebbe causare a terzi. Secondo una recente dottrina esisterebbe comunque un’area riservata alla responsabilità extracontrattuale. Si tratta di considerare che, sotto il profilo funzionale, la responsabilità contrattuale tende a sistemare le parti in una posizione migliore di quella in cui si sarebbero diversamente trovate, mentre la responsabilità aquiliana ha come scopo l’evitare che il colpito cliente possa trovarsi in una posizione peggiore a causa dell’atteggiamento lesivo del danneggiante183. Quindi sarebbe possibile differenziare gli obblighi accessori relativi all’esecuzione della prestazione poiché indirizzati a renderla possibile od a potenziare l’utilità, da quelli aventi come oggetto la tutela d’interessi diversi: solo al mancato rispetto dei primi sarebbe associata una responsabilità contrattuale; la garanzia dei secondi spetterebbe, invece alla responsabilità extracontrattuale in concomitanza con quella contrattuale. 183 V. CAFAGGI, Responsabilità del professionista, in Dig. Disc. Priv., XVII, Utet, Torino, 1997, 74. La convenienza delle due forme di responsabilità, quindi, ha permesso d’individuare il diritto al risarcimento di danni derivanti da inadempienze d’obblighi non specificamente riguardanti l’attività professionale desunta in contratto. Resta da dire che mediante l’accoglimento della teoria dei doveri di protezione, che fa rientrare negli obblighi del debitore, utilizzando lo strumento della buona fede integrativa, il dovere di proteggere la persona del creditore dai danni che ad essa possono derivare a causa della prestazione, è possibile giungere allo stesso risultato. 3.1.1 Applicabilità dell’art. 2236 c.c.. La giurisprudenza è pervenuta a conclusioni variegate si afferma che l’art. 2236 trova applicazione oltre che in campo contrattuale anche in quello extracontrattuale, in quanto è previsto un limite di responsabilità per la prestazione della attività dei professionisti, sia che operi nell’ambito del contratto e costituisca perciò adempimento di un’obbligazione contrattuale, sia che venga riguardata al di fuori in un rapporto contrattuale vero e proprio e perciò come fonte di responsabilità extracontrattuale. L’uso di tale soluzione si mostra migliore, poiché evita la separazione tra i criteri d’imputazione soggettiva ai quali il dottore commercialista vedrebbe legata la propria responsabilità a seconda che si causi un danno al cliente o a terzi. Si potrebbe, quindi, creare un legame con l’affermazione dell’art. 1176, 2° co., c.c. che regola in generale l’agire del professionista. Il concorso tra le due responsabilità, nell’ambito della responsabilità del dottore commercialista, porta ai danneggiati vantaggi piuttosto circoscritti. I vantaggi in questione, in conseguenza alla ritenuta ammissibilità delle due responsabilità, incontrano, peraltro, un accomodamento nella norma di cui all’art. 2236 cod. civ. La giurisprudenza, da un lato, ritiene applicabile anche alla responsabilità aquiliana la limitazione contenuta nella norma citata, con la conseguenza che, nel caso di prestazione professionale implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il professionista intellettuale, dottore commercialista, risponderà esclusivamente nel caso che egli si trovi in uno stato di dolo o colpa grave184. Dall’altro la qualificazione dell’obbligazione del professionista come obbligazione di mezzi, porta la giurisprudenza ad equiparare, sotto il profilo probatorio, la posizione delle parti nell’una e nell’altra azione. Diversa opinione viene invece manifestata dalla dottrina, propensa a restringere l’applicabilità della norma di cui all’art. 2236 cod. civ. al solo campo negoziale, quale sede sua propria185. L’estensione, anche alle ipotesi della responsabilità aquiliana, della norma di cui all’art. 2236 c.c. importa che per il cliente danneggiato la differenza pratica tra le due azioni si limiti al solo termine di prescrizione: che per il risarcimento del danno da fatto illecito è quinquennale186, mentre per il danno da inadempimento contrattuale è quello ordinario. Oltre che al danno risarcibile c’è chi ritiene che, in sede contrattuale, siano risarcibili i soli danni derivanti dalla violazione del dovere di prestazione e non quelli che, invece, discendano dalla violazione di obblighi accessori. 184 V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 81; Cass. 26.3.90, n. 2428, in GI, I, 1, 600. 185 V. D’ORSI, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1981, 17. 186 Art. 2947 cod. civ.. 3.1.2 La colpa extracontrattuale. La dottrina187 e la giurisprudenza188 maggioritaria, ricavano dall’ambito penalistico la definizione di colpa extracontrattuale189. Il codice civile non definisce né il concetto di dolo né quello di colpa. Una definizione può, però, trarsi dalle norme del codice penale, che provvedono ad identificare, in 187 V. ALPA, BESSONE, ZENO, ZENCOVICH, I fatti illeciti, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, XIV, 2^ ed., Utet, Torino, 1995, 73; SALVI, Responsabilità extracontrattuale, 1223; BUSNELLI, Illecito Civile, in Enc. Giur. Treccani, XV, 1989, 8; FOCHIELLI, Il problema della determinazione della colpa medica, in La responsabilità medina, collana della rivista Responsabilità civile e previdenza, Giuffrè, Milano, 1982, 105-110; RAVAZZONI, Diligenza, in Enc. giur. treccani, 1988, 5. 188 Esemplare appare Cass. 2488/1979 in Giurt. Civ., 1979, I, 2131: “la colpa in senso tecnico giuridico consiste in un comportamento cosciente dell’agente che, senza volontà di arrecare danno ad altri, sia causa di un evento lesivo per negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di regole e norme di condotta”. 189 Una parte della giurisprudenza e della dottrina arriva a configurare una nozione unitaria della colpa. L’assimilazione della nozione di colpa extracontrattuale a quella della colpa penale, è certamente legata da una dipendenza dell’illecito civile da quello penale. Storicamente tuttavia la separazione è risalente e la codificazione ne costituisce concreta testimonianza. Tra gli aspetti più problematici di questa impostazione è quello di non riuscire ad individuare un limite, tra una diversità funzionale fra le responsabilità, e dunque colpa, penale e quella civile e la conservazione di un’omogeneità strutturale della definizione di colpa penale e civile. Infatti, mentre, si viene sottolineando la perdita di una funzione repressiva della colpa civile, che, in alcune interpretazioni coinvolge anche l’attenuazione della funzione preventiva, per sottolineare sempre più quella di compensazione, si continua a ritenere valida la connotazione strutturale della colpa civile mutata da quella della colpa penale. Uno dei problemi fondamentali di tale omologazione attiene alla caratteristica della responsabilità penale, destinata ad operare attraverso una struttura, che relega la rilevanza della posizione della vittima al tema del nesso di casualità ed a quello della gravità della pena. Chi, seppure, in prima approssimazione, sostiene il cambio della definizione della colpa penale nell’ambito extracontrattuale non ne accetta, per lo più, i postulati soggettivistici, sottolineando da un lato l’evoluzione in senso oggettivo della colpa penale, dall’altro la rilevanza delle distinzioni, tra penale e civile, concernenti l’elemento soggettivo della colpevolezza. Pertanto la rilevanza della distinzione tra responsabilità civile, per colpa, e responsabilità penale, sempre per colpa, verrebbe espressa dall’elemento psichico della colpevolezza, rimanendo sostanzialmente omogeneo l’elemento oggettivo della colpa-negligenza. Contraddittoria invece è la posizione di chi, pur cambiando la definizione di colpa aquiliana da quella penalistica, finisce col definire il modello di condotta alla luce del parametro della diligenza nell’adempimento ex art. 1176 c.c. La dipendenza della definizione della colpa extracontrattuale dalla definizione penalistica ha poi comportato l’adesione della giurisprudenza e di gran parte della dottrina civilistica alla nozione di colpa omissiva adottata da una parte della dottrina penalistica. termini così generali da risultare estensibili, mutatis mutandis, ai fatti illeciti civili, i caratteri comuni e caratteri distintivi del dolo e della colpa com’elementi soggettivi del reato. Comune e imprescindibile è la loro riferibilità ad un’azione od omissione “commessa con conoscenza e volontà190”. La previsione e la volontà dell’evento dannoso, da parte del professionista, “come conseguenza della propria azione od omissione” è il carattere distintivo del dolo. La mancanza di una volontà dell’evento dannoso, e il verificarsi di quest’ultimo “ a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza delle leggi, regolamenti, ordini o discipline191”, sono i caratteri distintivi della colpa192. L’analisi svolta sembra dimostrare gli esiti insoddisfacenti cui conduce il dibattito sulla colpa extracontrattuale quando la si renda dipendente da definizioni mutuate da altre aree del diritto civile, nel caso di assimilazione con la colpa contrattuale, ovvero del diritto penale, nel caso di assimilazione con la colpa penale. Una prima conclusione cui l’indagine può pervenire è quella della necessità dell’affermazione dell’autonomia della 190 Art. 42, 1° co., c.p.. Art. 43, 1° co., c.p.. 192 V. BUSNELLI, Illecito Civile, in Enc. Giur. Treccani, XV, 1989, 8. 191 colpa extracontrattuale sia dalla colpa penale che da quella contrattuale. In tal senso sembrano rilevare sia argomenti concernenti la funzione/posizione della colpa nell’ambito del giudizio di responsabilità sia argomenti fondati sulla struttura della stessa colpa extracontrattuale. 3.1.3 Evoluzione del rapporto tra diligenza e colpa extracontrattuale. Una parte della dottrina definisce la colpa extracontrattuale come mancata previsione e/o prevenzione dell’evento. In quest’ambito si deve distinguere tra chi propone l’adozione di un criterio soggettivo e chi propende per uno oggettivo nella valutazione della condotta193; in quest’ultimo contesto si distingue tra chi predilige un parametro astratto e chi ritiene trattarsi di un criterio concreto legato ad elementi circostanziali. Come precedentemente rilevato, la colpa viene altrove inquadrata come contrarietà alle regole di diligenza, prudenza e perizia o semplicemente come mancanza di diligenza. Il 193 V. ALPA, BESSONE, ZENO, ZENCOVICH, I fatti illeciti, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, XIV, 2^ ed., Utet, Torino, 1995, 73 contrasto tra le due impostazioni dipende, a ben vedere, dalla definizione di diligenza, prudenza e perizia; esso risulta seriamente ridimensionato quando si configurino questi parametri come criteri attraverso cui definire il dovere di prevedere e di prevenire il danno. In una diversa prospettiva si è definita la colpa come creazione di un rischio ingiustificato che sussiste quando l’utilità sociale del rischio creato ed il costo di rimozione siano superiori al rischio creato194. Si ritiene opportuno a tal fine valutare le qualità superiori ed inferiori del danneggiante e, in questo caso è preferito uno standard soggettivo. Altri hanno fatto riferimento al rischio definendo negligente l’azione con cui coscientemente un soggetto espone beni giuridici ad un rischio eccedente la misura consentita195. Secondo diversa concezione la colpa extracontrattuale si riferisce alla creazione di una situazione di pericolo prevedibile da chi la pone in essere. In tale quadro si predilige una valutazione di tipicità, tale per cui costituisce condotta colposa solo quella produttiva della situazione di pericolo ad essa 194 V. TRIMARCHI, Illecito, cit., 99. V. CIAN, Il nuovo capo XIV-bis del codice civile, sulla disciplina dei contatti con i consumatori, in Studium iuris, 416. 195 abitualmente riconducibile. Al nesso di casualità è invece affidata la funzione di selezionare gli eventi dannosi che hanno contribuito alla concretizzazione della situazione di pericolo. Un diverso criterio di delimitazione del dovere di prevedere e prevenire il danno è quello fondato sullo scopo della norma violata. Attraverso l’individuazione dello scopo della norma violata vengono definite le situazioni giuridiche protette, delimitando in tal modo l’estensione dell’onere di precauzione. La giurisprudenza utilizza in particolare tale criterio con specifico riguardo all’ipotesi di norme a contenuto rigido quando lo scopo della prescrizione sia diretto alla tutela di un interesse diverso da quello leso196. 3.1.4 La valutazione soggettiva della colpa. Di recente si è proposta una definizione della colpa che tenga conto delle superiorità ed inferiorità soggettive. Tali elementi inciderebbero sulla valutazione comparativa della posizione del dottore commercialista e del cliente potendo, ad esempio, 196 comportare Cass. 29.1.92, n. 587. l’esonero della responsabilità del professionista anche in ipotesi in cui l’interesse del leso sia socialmente più meritevole di quello perseguito da chi ha posto in essere l’attività dannosa. Con specifico riguardo alla prevedibilità si è proposto, sulla scia di una posizione affermatasi in ambito penalistico, che la misura del dovere di previsione vada calibrata sul valore e sull’entità dei beni giuridici potenzialmente esposti. Sennonché in tal modo si dà per acquisita quell’informazione, valore ed entità del bene esposto all’attività lesiva, il cui conseguimento costituisce lo scopo principale del dovere di previsione ovverosia quali siano, che valore ed entità abbiano, i beni esposti al pericolo generato dall’attività lesiva. Se il dottore commercialista conoscesse tali grandezze gran parte del problema connesso alla prevedibilità sarebbe risolto. La giurisprudenza predilige una definizione della colpa quale mancata previsione dell’evento prevedibile e/o mancata prevenzione dell’evento evitabile. Si tratta di criteri definiti generalmente secondo parametri obiettivi seppure non mancano pronunce tendenti a soggettivizzare i doveri di condotta197. 197 Cass. 11.10.83, n. 5896. Ai fini della definizione di imprevedibilità ed inevitabilità le Corti ricorrono spesso alla utilizzazione del caso fortuito e della forza maggiore. Di recente, tuttavia, la Corte Costituzionale è sembrata adottare un criterio di prevedibilità in concreto al fine di negare la responsabilità nell’ipotesi di mancanza ovvero di prevedibilità in astratto. Nella giurisprudenza di merito si procede ad una tipizzazione di ciò che costituisce evento prevedibile e prevenibile198. 3.1.5 La prova. Quando non si trovi in ipotesi di prestazioni di facile esecuzione, il creditore che agisca in via contrattuale è, in ogni caso, tenuto a provare oltre al danno, la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale ed il nesso causale tra la suddetta inadempienza ed il danno stesso199. Un’anzidetta osservazione porterebbe ad rimuovere le differenze di regime probatorio rispetto alla responsabilità 198 Pret. Roma, 11.5.73, RFI, Resp. Civ., 1974, n. 125. Cass. 2.8.73, n. 2230, GC, 1973, I, 1864; Cass. 10.5.61, n. 1112, FI, 1962, I, 510; Cass. 28.4.61, n. 961, FI, 1962, I, 510. 199 extracontrattuale. Più volte, infatti, si è specificato che tale uguaglianza non può esser portata al limite di sostenere che il creditore-cliente debba provare anche la colpa del dottore commercialista e tanto meno che quest’ultimo possa liberarsi dimostrando semplicemente di aver assunto comportamento diligente. L’applicazione dell’art. 1218 c.c. alla caratteristica strutturale della obbligazioni di mezzi conferisce al creditore il compito di provare l’inadempimento oggettivo, cioè l’irregolarità del comportamento, restando onere del debitore provare di non aver potuto esattamente adempiere per fatto a lui non imputabile200. Una volta qualificata l’obbligazione201 del professionista come obbligazioni di mezzi e non di risultato, e quindi come obbligazione il cui adempimento va determinato alla stregua dl principio di diligenza, per far valere in giudizio la sua responsabilità contrattuale, il cliente non potrà limitarsi a dimostrare l’evento dannoso, ma dovrà altresì provare sia il nesso causale tra l’evento ed il comportamento del professionista, sia 200 Cass. 1.2.91, n. 977, GI, 1991, I, 1, 1379. V. COLOMBINI, La responsabilità del professionista, in ARP, 1967, 981; TUNC, 1947-48, 126; CELLINO 1966, 30. 201 soprattutto che quest’ultimo non ha adempiuto il proprio obbligo di prestare i mezzi tecnici idonei, o li ha prestati con imperizia o negligenza; il professionista poi, dal canto suo, una volta intervenuta la dimostrazione di ciò, potrà avvalersi della prova liberatoria consistente nel dimostrare che l’imperfetta esecuzione della prestazione è dovuta a causa a lui non imputabile202. Con ciò la colpa del professionista non viene individuata in re ipsa, richiedendosi al cliente sempre e nonostante la natura contrattuale della responsabilità la prova della colpa del debitore203. D’altra parte, la recente dottrina ha osservato come, soprattutto nel settore della responsabilità medica, si sia realizzato un processo d’osmosi tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Se da un lato, infatti, la prova della inadeguata prestazione professionale da parte del professionista, come pure la prova del nesso tra condotta ed evento sembrano dar luogo all’applicazione alla responsabilità contrattuale di regole 202 V. FORTINO, La responsabilità civile del professionista. Aspetti problematici, Milano, 1984, 108; CARUSI, Responsabilità del medico e obbligazioni di mezzi, in RaDC, 1991, 601. 203 V. PRINCIGALLI, La responsabilità del medico, Novene, Napoli, 1983, 161; Cass. 28.4.61, n. 961, in FI, 1962, I, 510; Cass. 2.8.73, n. 2230, in GC, 1973, I, 1864; App. Napoli, 6.4.82, in AC, 1982, 740; App. Firenze, 20.9.66; Cass. 18.5.75, n. 2439, in GC, 1975, I, 1389. tipicamente aquiliane; dall’altro, la prova liberatoria gravante sul professionista, anche in ipotesi di responsabilità extracontrattuale, consiste nella dimostrazione dell’impossibilità sopravvenuta e della sua non imputabilità, se non addirittura nel fortuito, con conseguente assorbimento di una principio caratteristico della responsabilità contrattuale. 3.2 LA RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE VERSO IL TERZO. Secondo i criteri della responsabilità extracontrattuale, il professionista che, nell’attuazione della propria attività, ha provocato danni a terzi estranei al rapporto d’opera intellettuale è chiamato a rispondere nei loro confronti. Questo accade quando il contratto d’opera concluso dal professionista sia considerato nullo per contrarietà a norma imperativa204. 204 Il contenuto della norma può essere vario: talora essa qualifica un fatto giuridicamente rilevante, o qualifica un soggetto in relazione ad altri soggetti o in relazione ad un’attività da lui svolta. Tali qualifiche costituiscono il presupposto che consente poi di applicare altre norme giuridiche. Altre volte la previsione normativa è fonte immediata di una situazione giuridica che tutela un soggetto, ad esempio chi subisce un danno ingiusto ha diritto al La Cassazione sostiene che il dottore commercialista risponde in via extracontrattuale dei danni arrecati ai terzi in conseguenza dell’attività da lui esercitata contra legem, nulla rilevando che il contratto d’opera tra di lui ed il cliente sia nullo205. Sarà configurabile un illecito aquiliano, oltre quando l’attività del dottore commercialista pregiudichi situazioni non di pertinenza del cliente, quando l’attività professionale costituisca l’adempimento di una pubblica funzione206. Accade, infatti, che il comportamento del professionista leda l’altrui diritto assoluto di non subire pregiudizi rilevanti per legge, a prescindere dall’esistenza di un vincolo contrattuale. Si determina allora le lesione di un diritto primario, e il danno derivate sarà regolato alla stregua della responsabilità aquiliana. risarcimento del danno nei confronti del responsabile dell’illecito, art. 2043, o regola gli effetti giuridici dell’attività dei privati, ad esempio il contratto ha forza di legge tra le parti, art. 1372. Nell’ambito dei precetti giuridici vale la distinzione tra: norme imperative, quando la regola che viene dettata dalla legge non può essere derogata dai privati, norme dispositive, quando la regola è destinata ad un’applicazione generale, ma è ammessa la modifica da parte degli interessati, e norme suppletiva, allorquando la legge prevede innanzitutto che la regola sia creata dai privati e detta un comando che supplisce alla mancanza di un atto di disposizione dell’interessato. 205 Cass. 20.11.70, n. 2448, RFI, 1971, Professioni intellettuali, 27. 206 Cass. 24.5.81, n. 5882, DF, 1991, II, 674, Con riguardo alla responsabilità del curatore fallimentare. 3.2.1 Ipotesi di responsabilità extracontrattuale. Le ipotesi di responsabilità extracontrattuale del professionista verso i terzi, a dir la verità, non sono molto frequenti. Questo deriva dal fatto che i danni causati dal dottore commercialista ai terzi nell’esecuzione della propria opera, il più delle volte, sono danni meramente patrimoniali, indubbiamente risarcibili in sede contrattuale, non ugualmente in via aquiliana, essendo in questo campo necessaria la violazione di una situazione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento. Va considerato, peraltro, che un ampliamento della tutela potrebbe esser assicurato utilizzando la figura del contratto con effetti di protezione verso i terzi, ove sussista in contemporaneo la lesione dell’interesse leso della parte contraente e quello del terzo. Rimane invece alla responsabilità extracontrattuale il compito di tutelare il terzo da rischi derivanti dall’inadempimento contrattuale connessi alla lesione di diritti preesistenti207. L’ipotesi di gran lunga più frequente di riconoscimento della responsabilità extracontrattuale del professionista è quella nella quale quest’ultimo presti la propria opera nei confronti di un soggetto verso il quale egli non è direttamente obbligato208. Tuttavia la responsabilità del dottore commercialista verso i terzi non è obbligatoriamente legata all’esplicazione di un’attività di tipo professionale, in quanto essa può sorgere anche in presenza di incarichi di diversa natura. La Cassazione, infatti, ha identificato, la responsabilità extracontrattuale del curatore fallimentare nei confronti del creditore, per aver, dopo la revoca fallimentare, anziché restituito la somma all’Istituto di credito, consegnato la somma all’ex fallito209. 207 V. CAFAGGI, Responsabilità del professionista, in Dig. Disc. Priv., XVII, Utet, Torino, 1997, 84 208 Di regola, è quel che avviene per i medici dipendenti di un ospedale, di una casa di cura, di un’università o di un’altra struttura sanitaria pubblica o privata, dove in questi casi il paziente non contratta direttamente con il professionista, ma si indirizza al direttore sanitario o altri soggetti responsabili dell’organizzazione che possono non coincidere con il medico che verrà ad eseguire l’opera. L’orientamento a tal proposito della giurisprudenza è interessante: sia l’ente che il medico vengono ritenuti responsabili dei danni derivati dalla inesatta esecuzione della prestazione, ma il primo risponde a titolo di responsabilità contrattuale, il secondo a titolo di responsabilità extracontrattuale. Cioè solo l’ente ospedaliero, l’università o la casa di cura concludano un contratto d’opera con il ricoverato, obbligandosi ad eseguire le prestazione mediche necessarie a mezzo dei propri dipendenti. 209 Cass. 8.11.79, n. 5761, GC, 1980, I, 340. 3.2.2 L’applicabilità nei confronti dei terzi dell’art. 2236 c.c.. Sia in dottrina che in giurisprudenza ritengono che l’art. 2236 c.c. produca l’effetto della restrizione di responsabilità, soltanto in relazione al rapporto professiosta-cliente210. Questa affermazione resta valida nel caso in cui il cliente fa valere la responsabilità extracontrattuale del professionista211. L’art. 2236 ha la capacità delimitata al complesso di elementi in cui è inserito, cioè la responsabilità del prestatore d’opera intellettuale nei riscontri del committente, e non è trasferibile nell’ambito nel quale è richiesto a salvaguardia dei diritti dei terzi il rispetto di determinate norme di comportamento212. L’accettare questo orientamento dà luogo ad una bipartizione delle regole alle quali il dottore commercialista deve informare il proprio comportamento a fronte di problemi tecnici complessi: nei confronti del cliente, difatti, la diligenza richiesta 210 V. D’ORSI, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1981, 15-50. V. VIGOTTI, La responsabilità del professionista, in La responsabilità civile, diretta da Alpa e Bessone, IV, Utet, 1987, 263; Cass. 8.11.79, n. 5761, GC, 1980, I, 340. 212 Cass. 8.11.79, n. 5066, GC, 1980, 343. 211 sarebbe quella del professionista medio, nei confronti del terzo, invece, il professionista avrebbe l’obbligo di apprestare tutti le accortezze più utili a scongiurare la possibilità di un difetto a terzi. Ove venga in questione la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il dottore commercialista si troverebbe a rispondere solo a titolo di dolo o di colpa grave nei confronti del proprio cliente, e pure a titolo di colpa lieve verso i soggetti estranei al rapporto. Secondo un principio stabile, è accettato il concorso tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, anche per il dottore commercialista, che nell’esecuzione dell’incarico leda i diritti rilevanti ex artt. 2043 ss. c.c.213. 213 Cass. 13.11.79, n. 5699, RCP, 1980, 427, Cass. 17.3.81, n. 1544, RFI, 1981, RC, 44. Bibliografia MONOGRAFIE Adragna P. – Osservazioni sull’evoluzione giurisprudenziale circa l’applicabilità dell’art. 2226 cod. civ. al contratto d’opera intellettuale, in GC, IV, 1967 Adragna P. – Professioni intellettuali; obbligazione di risultato e applicabilità dell’art. 2226 c.c., in GC, 1964 Afferni V. – Professioni intellettuali (dir. comm.), in Enc. giur. 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