la responsabilità civile del commercialista

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
FACOLTÀ DI ECONOMIA E COMMERCIO
Corso di laurea in Economia e Commercio
TESI IN ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO
LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEL
COMMERCIALISTA
Laureando:
Relatore:
Luca Pascale
Chiar.mo Prof. Cendon P.
Correlatrice:
Chiar.ma Prof.ssa Ziviz P.
ANNO ACCADEMICO 2002/2003
INDICE
Elenco delle abbreviazioni
1
Capitolo 1
La prestazione del Dottore Commercialista
1.1.
1.1.1
Il
dottore
commercialista
professionista
intellettuale.
La progressione delle libere professioni.
3
4
1.2.4
6
Contratto d’opera intellettuale.
Le differenze tra contratto d’opera e contratto
7
d’opera intellettuale.
Le caratteristiche del contratto d’opera.
9
Prestazione del professionista come obbligazione di
10
mezzi e di risultato.
Rapporto tra professionista e cliente.
13
1.3
1.3.1
L’iscrizione all’albo.
Le prestazioni riservate agli iscritti agli albi.
14
19
1.4
1.4.1
Attività non esclusiva.
Abuso della prestazione.
20
23
1.5
Criteri d’identificazione del professionista.
25
1.6
Carattere intellettuale della prestazione.
28
1.7
Personalità della prestazione.
31
1.8
Carattere professionale della prestazione e scopo
34
di lucro.
1.2
1.2.1
1.2.2
1.2.3
1.8.1
Guadagno e lucro.
36
1.9
1.9.1
1.9.2
Autonomia e discrezionalità.
Autonomia.
Discrezionalità.
37
37
39
1.10 La prestazione del commercialista.
1.10.1 Aree d’intervento.
41
42
Capitolo 2
La responsabilità contrattuale del
Commercialista
2.1
2.1.1
2.1.2
Cenni generali.
Responsabilità del professionista.
Articolo 2236 c.c..
46
48
49
2.2
2.2.1
L’inadempimento.
Il concetto di danno risarcibile.
51
55
2.3
2.3.1
2.3.2
2.3.3
La diligenza.
Diligenza media.
Gli obblighi integrativi.
L’obbligo d’informazione.
61
64
66
67
2.4
2.4.1
2.4.2
2.4.3
2.4.4
2.4.5
2.4.6
2.4.7
2.4.8
La colpa professionale.
Negligenza.
Imperizia.
Dolo e colpa grave.
Imprudenza.
Errore professionale.
Sostituti e collaboratori.
Professionisti associati.
Assicurazione del professionista.
70
71
73
77
79
81
84
87
87
Capitolo 3
Responsabilità Extracontrattuale
3.1
3.1.1
3.1.2
3.1.3
3.1.4
3.1.5
3.2
3.2.1
3.2.2
La responsabilità extracontrattuale nei confronti
del cliente.
Applicabilità dell’art. 2236 c.c..
La colpa extracontrattuale.
Evoluzione del rapporto tra diligenza e colpa
extracontrattuale.
La valutazione soggettiva della colpa.
La prova.
90
95
98
100
102
104
La responsabilità extracontrattuale verso il
107
terzo.
Ipotesi di responsabilità extracontrattuale.
109
L’applicabilità nei confronti dei terzi dell’art. 2236
111
c.c..
Bibliografia
113
ELENCE DELLE ABBREVIAZIONI
AC
= Archivio Civile
AppNDI = Appendice al Novissimo Digesto Italiano
CP = Cassazione penale
CS = Consiglio di Stato
DCSI = Diritto comunitario e degli scambi internazionali
DE
= Diritto dell’economia
DG = Diritto e giurisprudenza
DL = Diritto del lavoro
DPL = Diritto e pratica del lavoro
EL = Economia del lavoro
Enc. = Enciclopedia del diritto
FI = Foro italiano
GC = Giustizia civile
GCCC = Giurisprudenza completa della Cassazione civile
Gcomm = Giurisprudenza commerciale
GCost
= Giurisprudenza costituzionale
GI = Giurisprudenza italiana
GP = Giurisprudenza penale
LD = Lavoro e diritto
LI = Lavoro informazione
NDI = Novissimo Digesto italiano
NGCC = Nuova giurisprudenza civile commentata
NGL = Notiziario della giurisprudenza del lavoro
NLCC = Le nuove leggi civili commentate
RCDP = Rivista critica del diritto privato
RDC = Rivista di diritto civile
RDComm = Rivista di diritto commerciale
RDL = Rivista di diritto del lavoro
CAPITOLO 1
LA PRESTAZIONE DEL DOTTORE COMMERCIALISTA
1.1
IL
DOTTORE
COMMERCIALISTA
COME
PROFESSIONISTA INTELLETTUALE.
Tra
le
professioni
liberali, la figura del dottore
commercialista, è una di quelle più recenti; creata nel 19241 ha
come oggetto del suo esercizio materie d’economia e
commercio2. È una professione per il cui esercizio è richiesta
l’iscrizione ad un albo3 ed il superamento di un esame di stato.
Nell’ordinamento della professione del libero commercialista4, si
riconosce all’art. 1 per tale categoria professionale una
competenza tecnica nelle materie commerciali, economiche,
1
R.d.l. 24.1.24, n. 103, convertito nella l. 17.4.25, n. 4739.
R.d. 28.3.29, n. 588.
3
È quindi una professione «protetta» il cui svolgimento richiede apposita iscrizione ad un
albo secondo la norma dell’art. 2229, 1°, co. c.c., l’assenza della quale comporta, la perdita
del diritto al compenso della prestazione eseguita art. 2231 c.c..
4
D.p.r. 27.10.53, n. 1067.
2
finanziarie, tributarie e di ragioneria5. In particolare, essa
comprende le seguenti attività:
a. Le perizie e le consulenze tecniche;
b. Le ispezioni e le revisioni amministrative;
c. L’amministrazione
e
la
liquidazione
d’aziende,
di
patrimoni e di singoli beni;
d. I regolamenti e le liquidazioni;
e. Le funzioni di sindaco e di revisore delle società
commerciali;
f. La verificazione ed ogni altra indagine in merito
all’attendibilità di bilanci, di conti, di scritture e ogni altro
documento contabile delle imprese.
1.1.1
La progressione delle libere professioni.
Negli ultimi anni il campo delle libere professioni ha
subito un particolare sviluppo, dovuto anche alla terziarizzazione
del mercato; sono comparse “un elevato numero di forme
5
V. BRONZINI, Professioni intellettuali. Dottori commercialisti. Problemi in dottrina e
giurisprudenza, in RDCo, 1989, 1061; BELLINI, Dottore commercialista, in NovissDI, III,
App., Utet, Torino, 1982, 190; PIRAINO, Dottore commercialista, in Dpubbl., V, Utet,
Torino, 1990, 335.
professionali incorporanti abilità specifiche di nuovo tipo”6; e c’è
stata un’evoluzione delle vecchie professioni, così che “il mondo
dei liberi professionisti ha visto, nell’evolversi delle vicende
storiche che lo hanno riguardato, oscillanti momenti nel farsi
della professionalizzazione”7.
Le libere professioni sono sempre più ormai occupazioni
orientate al servizio, nelle quali si applica un corpo sistematico di
conoscenze a problemi strettamente connessi con valori centrali
per la sopravvivenza e l’equilibrio della società nel suo insieme8.
La dottrina più tradizionale9 considera l’opera intellettuale
come una species del tipo generale “lavoro autonomo”, che
importa una professionalità, intesa come sistematicità/continuità
dell’esercizio della professione10.
6
V. PRANDSTRALLER, Le fasi del professionalismo: neoprofessionalismo e nuove
professioni in G.P. Prandstraller, a cura di, Le nuove professioni nel terziario, Giuffrè,
Milano, 1994, 4.
7
V. POLATO, Lo sviluppo delle libere professioni, Impresa & Stato, n. 46, 2001, 1.
8
V. SANTORO, Professione e professionalizzazione: approcci teorici e processi storici, in
Polis, n° 2, Milano, 1994.
9
V. PERULLI, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, in
Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu-Messineo, v. XXVII, t. 1, Milano,
1996.
10
È importante rilevare che a seguito del recepimento nell’ordinamento italiano della
Direttiva 93/13 della CEE, è stato inserita una nuova definizione di professionista. L’art.
1469 bis, 2° co., sostiene che è professionista la persona fisica o giuridica, pubblica o
privata che, nell’insieme della sua attività imprenditoriale o professionale adopera il
contratto di cui al primo comma. Tuttavia codesta definizione non è decisiva per
identificare il professionista intellettuale, perché essa si riferisce ad un concetto più lato di
professionista, al solo scopo di metterlo a confronto alla figura del consumatore.
1.2
IL CONTRATTO D’OPERA INTELLETTUALE.
Nell’art. 2222 c.c. è possibile individuare gli elementi
essenziali che qualificano il contratto d’opera intellettuale: il
soggetto, il professionista intellettuale, assume l’obbligo, nei
confronti di un altro soggetto, il cliente, di eseguire una
prestazione di contenuto intellettuale, dietro un compenso od
onorario, che può esser liberamente pattuito o stabilito, in
mancanza d’accordi fra le parti11, in base alla tariffa
professionale come riferito nell’art. 2225 c.c..
L’ipotesi di una prestazione di un dottore commercialista, il
quale si occupi di eseguire le registrazioni contabili per alcune
piccole aziende che effettuano operazione di routine, farà rilevare
un lavoro con un contenuto intellettuale minimo. Accade in
questo caso che la prestazione si presenti pratica e ripetitiva. Ciò
nonostante il contratto concluso dal commercialista non muta in
questo caso natura. Tale contratto ha la caratteristica di essere a
prestazioni corrispettive e presenta le seguenti peculiarità:
• Natura tipicamente professionale;
• Carattere intellettuale e tecnico;
11
Cass. 25.7.84, n. 4354, GC, 1984, I, 3014.
• Discrezionalità, nello scegliere i modi d’attuazione
dell’incarico, al fine della soddisfazione del cliente.
1.2.1
Le differenze tra contratto d’opera e contratto d’opera
intellettuale.
L’esercizio della professione del dottore commercialista,
porta a configurare un contratto d’opera intellettuale: esso
rappresenta una sottospecie del lavoro autonomo, come
confermato dall’analisi degli elementi strutturali del contratto,
come pure dalla precisa sistemazione codicistica12. Il contratto
d’opera e contratto d’opera intellettuale rappresentano, due
species
del
medesimo
genus,
ciascuna
con
le
proprie
caratteristiche che le distinguono l’una dall’altra13. La principale
diversificazione dei due contratti riguarda la diversa natura
dell’opera svolta dal singolo prestatore. Nel contratto d’opera,
essa consiste in una qualsiasi attività che determini una
modificazione dello stato preesistente di una cosa, anche qualora
12
Il contratto d’opera intellettuale è inserito nell’ambito del titolo III, del Libro V, del
codice civile, dedicato al lavoro autonomo, trovandosi così, come del resto prevede l’art.
2230 c.c., alle stesse disposizioni del contratto d’opera in generale, poiché compatibili con
la natura del rapporto.
13
V. GIACOBBE, Professioni intellettuali, in ED, XXXVI, 1987, 1069.
si tratti di un servizio, tale da permettere una identificazione
dell’attività lavorativa del prestatore con il risultato oggettivo14.
Nel contratto d’opera intellettuale, invece, l’opera del prestatore
rileva nel suo aspetto dinamico e strumentale, ai fini del
conseguimento di un determinato obiettivo15. Oggetto del
contratto tra professionista intellettuale e cliente può essere un
opus. A causa di un preciso richiamo nell’art. 2230 c.c., sorge il
problema se la prestazione resa dal singolo sotto forma di
servizio possa rientrare, nella tipologia del contratto d’opera
intellettuale. La dottrina16 si è espressa in senso favorevole nel
comprendere nel concetto di prestazione intellettuale, ricorrendo
ai numerosi significati della parola servizio. In ogni caso la
prestazione di servizi è compresa nella fattispecie del contratto
d’opera intellettuale solo se siano rispettati gli elementi del
carattere prevalentemente intellettuale e della non realizzazione
in un risultato materiale.
14
V. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in Comm. Cod. civ. art. 2188-2246 a
cura di Scialoja e Branca, Zanichelli, Bologna-Roma, 1968, 166.
15
V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974,
504.
16
V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974,
504.
1.2.2
Caratteristiche del contratto d’opera intellettuale.
Il contratto d’opera intellettuale è un contratto in forza del
quale, un soggetto, il professionista intellettuale, assume
l’obbligo, nei confronti di un altro soggetto, il cliente, di
eseguire, contro onorario o compenso stabilito, o in mancanza
stabilito dalle tariffe professionali, una prestazione intellettuale,
la quale consiste in un risultato obiettivo, in un comportamento
tecnico o in un servizio17.
Determinante
assume
il
carattere
personale
della
prestazione. Di conseguenza, l’errore circa l’identità della
persona professionista è considerato essenziale, secondo l’art.
1429 c.c., e il decesso del professionista causa sempre
l’estinzione del rapporto.
Il contratto d’opera è un negozio sinallagmatico18, dove il
vincolo o sinallagma si prospetta in modo peculiare: il compenso
dovuto dal cliente deve essere correlato al decoro della
17
V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974,
521.
18
Si tratta di una importante categoria di contratti, molto comuni, come la vendita, la
somministrazione, l’assicurazione, la locazione, ecc. nei quali si opera uno scambio fra le
prestazioni, in modo tale che ciascuna parte è soddisfatta dalla esecuzione della prestazione
altrui e nello stesso tempo deve fornire all’altra la propria prestazione. Il legame fra le due
prestazioni prende anche il nome di sinallagma, ed è così essenziale che se una delle due
prestazioni viene a mancare o diviene sproporzionata rispetto all’altra l’operazione di
scambio programmata dalle parti non ha più senso ed il contratto si risolve per legge.
professione19, sì da apparire totalmente slegato dall’utilità che la
prestazione professionale offre.
1.2.3
Prestazione del professionista come obbligazione di
mezzi e di risultato.
A seconda della natura della prestazione è possibile
identificare gli obblighi che sorgono dal contratto; infatti, questa
caratteristica distingue il contratto d’opera in generale e il
contratto d’opera intellettuale20. L’opera intellettuale evidenzia
un aspetto strettamente discrezionale nella sua attuazione, che si
traduce in libertà del professionista nella scelta dei modi di
esecuzione dell’incarico ricevuto più adatti alle richieste del
cliente. La prestazione d’opera intellettuale, quindi, viene
identificata come obbligazione di mezzi; il prestatore d’opera
intellettuale assume, così, l’obbligo di apprestare i mezzi idonei a
consentire il risultato e non, come accade per il prestatore
d’opera, l’obbligo di realizzare un opus21.
19
Art. 2233, 2° co., c.c..
Come si è visto nel paragrafo 2 dello stesso capitolo.
21
V. RIVA SANSEVERINO, Disciplina delle attività professionali. Impresa in generale, in
Comm. cod. civ., diretto da Scialoja e Branca, 6^ ed., Zanichelli, Il Foro Italiano, BolognaRoma, 1968, 210.
20
Il
professionista
intellettuale
non
è
tenuto
alla
realizzazione delle finalità economiche che il creditore, ovvero
cliente,
intendeva
raggiungere
chiedendo
l’ausilio
del
professionista, ma è tenuto solo ad un comportamento idoneo
all’attesa del creditore; nel contratto, quindi, mentre il cliente
ricopre la parte del creditore, il professionista quella del debitore
di mezzi.
Secondo l’art. 1176, 2° comma, cod. civ. e 2236 cod. civ.,
nelle obbligazioni di mezzi, l’onere della prova della colpa del
debitore, ricade sul danneggiato. Il cliente danneggiato deve
provare l’inadempimento del professionista22 attraverso la prove
dell’elemento soggettivo.
L’obbligazione
di
mezzi
è
una
sottospecie
della
prestazione di “fare”, nella quale generalmente il debitore si
obbliga a svolgere a favore del creditore un’attività determinata
senza tuttavia garantire il risultato che da quest’attività il
creditore si attende23. Il contratto d’opera intellettuale, quindi,
comporta un’obbligazione nell’adempimento della quale va usata
la diligenza che la natura dell’attività esige, diligenza che andrà
22
V. FORTINO, La responsabilità civile del professionista. Aspetti problematici, Milano,
1984, 44.
23
Trib. Bari 27.12.78, RCP, 1979, 372.
valutata prescindendo dal risultato utile del cliente24. Questo ai
sensi dell’art. 1176 c.c., tranne nel caso in cui al professionista
sia stato richiesto dal cliente un opus25, in tal caso l’obbligazione
è di risultato con la conseguenza che il professionista dovrà
rispondere per le eventuali difformità ed i vizi dell’opera, ed in
base a criteri soggettivi, quando la possibilità di un particolare
impiego o di una determinata utilizzazione sia stata dedotta in
contratto26.
Nell’obbligazione di risultato, il debitore si assume il
rischio della mancata realizzazione del risultato ed è chiamato a
rispondere dei danni conseguenti. Al contrario, nelle obbligazioni
di mezzi lo scopo pratico assume rilievo ai fini dell’adempimento
solo nel caso in cui il cliente fornisca prova della erroneità o
inadeguatezza
della
soluzione
tecnica
prospettata
dal
professionista, fermo restando che il professionista è conoscitore
della materia e possiede l’esperienza professionale adeguata alla
complessità della materia trattata; e che, se un professionista
24
Cass. 31.8.66, n. 2294, GI, 1967, I, 1, 1041; Cass. 12.9.70, n. 1386, GC, 1971, I, 627;
Cass. 2.8.73, n. 2230, GC, 1973, I, 1864; Cass. 18.6.75, n. 2439; Cass. 21.12.78, n. 6141,
AC, 1983, 496; Cass. 5885/85; Cass. 21.6.83, n. 4245, RFI, 1983, Professioni intellettuali,
49; Cass. 11.8.90, n. 8218, RFI, 1990, Professioni intellettuali, 114.
25
Mantiene il diritto al compenso anche se l’opera non viene realizzata, ove ciò non
dipenda da erroneità o inadeguatezza della soluzione dei problemi tecnici a lui demandati
26
Cass. 21.7.89, n. 3476, RFI, 1989, Professioni intellettuali, 78.
avveduto ritiene di esser carente di adeguata esperienza, dovrà
opportunamente rifiutare di prestare la propria opera, suggerendo
al cliente di incaricare un altro professionista più esperto.
1.2.4
Rapporto tra professionista e cliente.
Per
l’inestimabilità
economica
delle
prestazione
riguardanti all’esercizio della professione intellettuale in passato
tale esercizio non veniva reputato oggetto di un contratto a titolo
oneroso. In epoche successive, il rapporto tra professionista e
cliente è stato qualificato come mandato. Tale qualificazione,
serviva ad evitare l’applicazione alle professioni liberali dopo
schema della locazione, garantendo allo stesso tempo la natura
contrattuale del rapporto, e quindi anche la possibilità di agire
giudizialmente per il compenso, inteso in honorarium non in
controprestazione27.
Il codice civile ha risolto questo problema eliminando il
termine locazione d’opere ed inserendo nell’ambito del lavoro
autonomo la nozione di contratto avente per oggetto una
27
V. MUSOLINO, L’opera intellettuale: obbligazioni e responsabilità professionali,
Cedam, Padova, 1995, 47.
prestazione d’opera intellettuale, garantendo così non solo il
carattere contrattuale, ma una precisa qualificazione del
rapporto professionista, cliente. Tra cliente e professionista viene
stipulato un contratto d’opera, avente la particolarità di contratto
lavoro autonomo con prestazione d’opera intellettuale. La
nozione di contratto d’opera, in questo periodo, è sinonimo di
contratto di lavoro autonomo in cui il termine opera non riferisce
ad opus come risultato dovuto, in quanto l’opera intellettuale
consiste in un’attività28.
1.3
L’ISCRIZIONE ALL’ALBO.
All’interno delle professioni intellettuali si distinguono
quelle per il cui esercizio è richiesta l’iscrizione ad un albo29
dalle professioni per le quali la suddetta iscrizione non è
necessaria30. Negli ultimi anni si va sempre più accentuando
l’inclinazione ad introdurre il sistema dell’obbligatoria iscrizione
28
V. CATTANEO, La responsabilità civile del commercialista, Giuffrè, Milano, 1958, 2728.
29
Professioni protette.
30
Professioni non protette
all’albo, con conseguente diminuzione dell’area coperta dalle
professioni intellettuali non protette. Alla fonte di tale
inclinazione vi è sicuramente un’esigenza degna d’attenzione,
qual è quella di tutelare la posizione di coloro che si avvalgono
dell’opera del professionista.
L’iscrizione ad un albo, infatti, poiché presuppone
l’accertamento anteriore del possesso dei requisiti tecnici
professionali per l’esercizio della professione, costituisce una
ponderata garanzia per chi si rivolga al professionista.
La differenziazione tra professioni protette e professioni
non protette ha una sua importanza sul piano della responsabilità.
Si prevede, difatti, che solo le prime, in quanto legate al regime
del
contratto
d’opera
professionale,
comporterebbero
l’allocazione del rischio sul cliente; le seconde, invece,
rientrerebbero nella circoscrizione delle regole comuni della
responsabilità contrattuale31, potendo i prestatori assumere il
rischio del lavoro.
I professionisti “protetti”, inoltre, possono incorrere in
sanzioni disciplinari che sono irrogate in caso di violazione delle
regole poste a salvaguardia della dignità e decoro della
31
V. GALGANO, Professioni intellettuali, impresa società, in CI, 1991, 1-18.
professione, in altre parole dei codici deontologici specifici delle
singole professioni32.
Vi è in dottrina chi ha affermato che alla categoria delle
professioni intellettuali apparterrebbero (tutto e solo) quelle
attività per l’esercizio delle quali la legge richiede l’iscrizione in
appositi albi33. In riferimento a questa tesi, l’istituzione di un albo
e della struttura organizzativa ad essa collegata, sarebbe
condizione necessaria e sufficiente per qualificare «professione»
una certa attività e per sottoporla alla disciplina degli artt. 2229
ss. c.c..
Codesto enunciato non può esser accettato, in quanto
contro di esso si colloca l’argomento decisivo desumibile dagli
artt. 2229, 1° co., e 2231, 1° co. del c.c.. La prima norma afferma
che, “la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio
delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”;
essa individua una riserva di legge allo scopo di determinare, fra
le
numerose
possibili
professioni,
quelle
che
verranno
assoggettate al controllo dello Stato. La seconda norma, invece
afferma che, “quando l’esercizio dell’attività professionale è
32
V. CAFAGGI, Responsabilità del professionista, in Dig, Disc. Priv., XVII, UTET,
Torino, 1997, 10.
33
V. CAVALLO, Lo status professionale, I, parte generale, Giuffrè, Milano, 1967, 213.
condizionato all’iscrizione in apposito albi o elenchi, la
prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il
pagamento della retribuzione”. Essa ammette perciò l’esistenza
di professioni che non sono controllate, senza che per questo
esse perdano la caratteristica di professioni intellettuali. Il difetto
di iscrizione all’albo determina nullità del rapporto, per cui il
contratto non produce effetto alcuno, secondo l’art. 1418 c.c., che
non assegna al professionista diritto al compenso.
Nel caso dell’esercizio della professione del ragioniere, la
nullità sussiste anche per il professionista, regolarmente iscritto
all’albo34, che eserciti propria attività in ambiti in cui la legge
riserva la stessa a professionisti iscritti a albi professionali
34
Le norme riguardanti gli ordini professionali non citano, da nessun punto di vista, la
sottoposizione dell’attività amministrativa di tali organizzazioni al controllo da parte dello
Stato. Non figura alcuna forma di controllo preventivo esterno, che si applichi all’efficacia
degli atti emessi dagli ordini, sia per motivi di legittimità, sia per motivi di merito, essendo
per contro garantita a tali enti la più ampia autonomia. Deve escludersi, allo stato attuale
dell’ordinamento che sussista l’obbligo per gli ordini professionali di sottoporre ad
approvazione i propri regolamenti interni e che, conseguentemente, detti regolamenti
risultano condizionati nella loro efficacia dal controllo del Ministero di grazia e giustizia.
In riferimento al rapporto tra ordini (o i collegi) professionali e coloro che risultano iscritti
ai rispettivi albi, compete ai primi una facoltà normativa, che trova la propria previsione
nella considerazione secondo cui il potere regolamentare di altre autorità, che non siano il
governo nazionale, viene esercitato entro i limiti delle rispettive competenze,
conformemente alle leggi particolari. Sulla base della l. 27.6.91, n. 220, in tema di
modifiche all’ordinamento della Cassa nazionale del notariato e nella quale sono stati
emanati dall’ordine i «Principi di deontologia professionale», anche le altre professioni
hanno provveduto, da parte dei consigli nazionali, alla predisposizione di codici
deontologici, nel caso dei dottori commercialisti il codice è stato approvato in data 10
febbraio 1987. Sulla potestà normativa degli istituti professionali, e di in particolare, sulla
eventualità di controllare le norme deontologiche la giurisprudenza ha evidenziato che alle
relazioni, aventi come oggetto prestazione d’opera intellettuale si applicano, ai sensi
dell’art. 2230 c.c., le norme del codice civile, quelle delle leggi speciali e quelle relative
della deontologia professionale, quindi queste non riferiscono a norme dell’ordinamento,
ma quali regole interne della particolare categoria professionale cui si riferiscono.
diversi. Non sussiste nullità, invece, nelle ipotesi d’attività per le
quali non è richiesta l’abilitazione, sebbene queste siano
abitualmente svolte da professionisti iscritti35.
Una considerazione a riguardo degli ordini professionali è
imposta dalla disciplina comunitaria, la quale mediante il
processo di liberalizzazione delle professioni, insieme ad un
sistema generale di riconoscimento dei titoli professionali,
inevitabilmente si scontra con alcune delle limitazioni che
l’ordinamento interno pone alla libera prestazione dell’attività
professionale36.
L’iscrizione ad un albo non è neppure condizione
sufficiente ad inquadrare le attività assoggettabili alla disciplina
delle professioni intellettuali, in quanto recentemente l’iscrizione
ad albi, registri o ruoli è un fatto assai diffuso che riguarda
attività diverse tra loro, difficilmente raggruppabili in unica
categoria37.
35
Cass. 18.7.91, n. 8000, RFI, 1991, Professionali intellettuali, 95.
V. MASUCCI, Le professioni protette. L’associazione tra professionisti, in Diritto
Privato Europeo, a cura di Lipari, 1996.
37
V. IBBA, La categoria «professione intellettuale» in Le professioni intellettuali, Giur.
Sist. Dir. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, 20.
36
1.3.1
Le prestazioni riservate agli iscritti agli albi.
All’interno della classe delle professioni protette è
possibile distinguere tra prestazioni esclusive o tipiche, riservate
agli iscritti all’apposito albo, e prestazioni non esclusive o
atipiche, che sono di regola eseguite da soggetti iscritti all’albo,
ma che possono esser ugualmente fornite da chiunque, anche se
non iscritto nell’albo professionale38. Tipici casi nell’ambito
della professione forense si sono verificati per la cosiddetta
«consulenza legale stragiudiziale» e per la cosiddetta attività del
«comparsista»; analogo discorso può esser fatto con riferimento
alle figure del dottore commercialista e del ragioniere. La Pretura
di Sondrio39a riguardo, ha escluso che vi siano invasioni nella
suddetta professione quando si proceda alla redazione di bilanci,
se questi hanno la caratteristica di non configurarsi in una
semplice operazione contabile nella quale i dati forniti dal cliente
sono sottoposti ad un controllo formale, bensì comprenda attività
d’indagine e verifica di bilancio stesso per effetto del punto d)
38
V. PERULLI, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, in Tratt.
Dir. Civ. e Comm., a cura di Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Giuffrè,Milano,
1996, 382; GALGANO, Professioni intellettuali, impresa società, in CI, 1991, 4.
39
cfr. Pret. Sondrio 9.5.94, RFI, 1994, Professioni intellettuali, 67.
del d.pr. n. 1067 del 27 ottobre 1953 e del punto c) d.pr. n.1068
del 27 ottobre 1953.
Poiché le professioni intellettuali, non sono solo quelle che
prevedono l’iscrizione ad un albo40, occorre individuare gli
elementi che caratterizzano tali professioni, con l’evidenza che
nessuno di essi sarà esaustivo e sufficiente a far rientrare una data
attività nell’ambito di tale categoria. Si ritiene che la
classificazione di un’attività delle «professioni intellettuali»
presuppone l’insieme di una pluralità di criteri d’identificazione.
1.4
ATTIVITÀ NON ESCLUSIVA.
Il professionista intellettuale non è solo colui che risulta
iscritto in un albo o in un elenco41; poiché che possano esistere
40
Le leggi regolatrici d’attività lato sensu professionali non utilizzano mai l’espressione
«professione intellettuale».
41
Per l’esercizio delle professioni liberali e per molte altre professioni è necessaria
l’iscrizione in albi o elenchi, art. 2229, 1° co., c.c., la cui tenuta è demandata agli ordini (e
collegi) professionali, sotto la vigilanza dello Stato, art. 2229, 2° co., c.c., in generale
tramite il Ministero di grazia e giustizia.
Gli ordini costituiscono enti a struttura corporativa riconosciuti dalla Stato e dotati di
personalità giuridica di diritto pubblico on relazione:
Alla loro costituzione prescritta dalla legge; all’obbligatorietà dell’appartenenza ad
essi per gli esercenti la professione;
professioni non subordinate ad un’iscrizione42. Quindi la
categoria generale delle professioni intellettuali risulta essere
assai più ampia.
La figura del dottore commercialista è inserita quindi nella
categoria del lavoro intellettuale, che ricorre anche per
prestazioni
di
contenuto
professionale
intellettuale
non
specificamente caratterizzate per il contenuto43.
All’interno
della
professione
protetta
del
dottore
commercialista, si deve differenziare fra prestazioni esclusive o
tipiche, riservate agli iscritti dell’apposito albo, e prestazioni non
esclusive o atipiche, che sono normalmente eseguite da iscritti
all’albo, ma che possono esser eseguite da chiunque, anche se
non iscritto nell’albo44.
Alle loro funzioni pubbliche, che svolgono mediante i Consigli quale loro attività
esterna preminente, cioè tenuta dell’albo professionale ed emanazione dei relativi
provvedimenti ed atti, esercizio della potestà disciplinare nei confronti dei
professionisti, esercizio del potere tariffario;
Ai controlli ed interventi statali cui sono sottoposti:
quindi, si tratta di enti pubblici non economici di carattere associativo, dotati di personalità
giuridica, che sono portatori tanto dell’interesse generale al corretto svolgimento delle
professioni protette, giustifica quindi la qualificazione di enti pubblici, quanto l’interesse
della categoria, rispetto alla quale sono enti esponenziali.
42
V. PIAZZESE, L’accesso alla professione: l’esame di Stato, in Professione e
preparazione: il dottore commercialista in un sistema economico in evoluzione, Atti del
Convegno Unione Giovani Dottori Commercialisti, 1995, 130.
43
Cass. 23.3.88, n. 2532, F, 1988, 3540; Cass. 11.2.88, n. 1468, BT, 1988, 12515.
44
V. GALGANO, Professioni intellettuali, impresa e società, in CI, 1991, 5-6.
Ciò che di norma fa il dottore commercialista può
liberamente farlo chiunque45; è infatti l’unico caso di
professionista che svolge totalmente prestazioni non esclusive.
A conferma di questo la giurisprudenza non annovera alcuna
prestazione esclusiva riservata al commercialista.
La Cassazione aveva affermato la l’invalidità, per difetto
di iscrizione del professionista all’albo, dei contratti aventi come
oggetto prestazioni di opere intellettuali, riferendosi alle attività
riservate a chi è abilitato all’esercizio; per altri, pur se
abitualmente esercitati da professionisti iscritti, ci si basa sulla
regola generale del libero svolgimento dell’attività. Tale concetto
è stato confermato, affermando che, a riguardo della attività di
consulenza, riguardante l’organizzazione aziendale, bilanci di
previsione e simili, essa non è riservata ai dottori commercialisti,
per cui il suo esercizio può esser svolto da soggetti anche non
iscritti all’albo46. La dottrina, conferma, individuando due
principali conseguenze:
a) L’attività professionale dei dottori commercialisti è
amplissima considerando il vasto ed elastico ambito
45
V. GALGANO, Professioni intellettuali, impresa e società, in CI, 1991-b, 5-6.
46
Cass. 27.6.75, n. 2526, GI, 1976, I, 1, 775.
individuato dall’art. 1 del d.p.r. 27 ottobre 1953, n.
1067;
b) L’attività medesima non è esclusiva per codesta
figura professionale in quanto può esser svolta da
altre
categorie47.
L’Ordine
dei
dottori
commercialisti, a riguardo, è impegnato a livello
nazionale, per ottenere un riconoscimento in materia
d’esclusività per determinate prestazioni.
1.4.1
Abuso della prestazione.
Se le attività d’amministrazione e contabilità aziendale, e
in genere le attività svolte in materia commerciali, economiche,
finanziarie, tributarie e di ragioneria esulano completamente
dalla competenza del singolo professionista, allora si possono
rappresentare i presupposti d’esercizio abusivo della professione.
A tal riguardo è stabilito che risponde del reato d’esercizio
abusivo della professione, di competenza professionale del
47
V. LEGA, Deontologia forense, Milano, 1975.
dottore commercialista, il consulente del lavoro48 che esercita
attività di consulenza in campo tributario, o consulenza contabile,
fiscale ed amministrativa49. Inoltre si è poi stabilito che l’attività
professionale consistente nella tenuta dei libri paga e matricola,
della contabilità IVA e ordinaria, formazione dei bilanci e della
dichiarazione dei redditi ed IVA è competenza delle funzioni del
dottore commercialista; si concreta perciò il presupposto
dell’esercizio abusivo della professione nel caso del laureato in
economia e commercio non abilitato che svolga una simile
attività.
La professione del commercialista non può configurarsi
come una professione di monopolio50, il 2° comma dell’art. 1,
d.p.r. 27 ottobre 1953, n. 1067, precisa che «l’autorità giudiziaria
e le pubbliche amministrazioni affidano normalmente gli
incarichi relativi alle attività, a persone iscritte nell’albo dei
dottori commercialisti, salvo che si tratti d’incarichi che per
legge rientrino nella competenza dei ragionieri liberi esercenti,
48
Si può ritenere di esser di fronte ad un’attività di mera consulenza, come tale esercitatile
anche da un soggetto non abilitato, solo nel momento in cui non vi sia spossessamento da
parte del cliente dei documenti esaminati.
49
Pret. Pontedera, 9.11.83, in FI, 1986, II, 479; Trib. Pisa, 18.6.84, in FI, 1986, II, 479;
Trib. Cagliari, 5.10.84; Trib. Trani, 22.12.87, in Soc., 1988, 632.
50
V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974,
138; CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 389;
D’ORSI, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1981, 256.
degli avvocati e dei procuratori o che l’amministrazione pubblica
conferisce per legge ai propri dipendenti», ciò fa capire che le
funzioni individuate nel 1° comma della norma hanno la
caratteristica di esser tipiche ma non esclusive perché possono
esser esercitate anche da altri professionisti.
1.5
CRITERI
D’IDENTIFICAZIONE
DEL
PROFESSIONISTA.
Sotto il profilo giuridico, il dottore commercialista è un
prestatore d’opera intellettuale, attività che trova la sua disciplina
negli artt. 2229 e ss. del codice civile51.
L’art. 2229 c.c. contiene i principi fondamentali della
disciplina pubblicistica delle professioni intellettuali, per le quali
51
L’art. 2229 del codice civile, si intitola “Esercizio delle professioni intellettuali”, recita
testualmente: “La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è
necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi.
L’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei
medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni
professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga
diversamente.Contro il rifiuto dell’iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e
contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto
all’esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei
termini stabiliti dalle leggi speciali.”
è richiesta l’iscrizione in un albo52; detti principi sono poi attuati
nelle leggi speciali che disciplinano le singole professioni.
Gli artt. 2224 e 2232 cod. civ. evidenziano come il
professionista, e quindi anche il dottore commercialista, abbia
obblighi che gli derivano dalle regole di correttezza, nonché
dall’interpretazione del contratto secondo buona fede, infine
dalla sua integrazione secondo gli usi e l’equità. Nelle
professioni intellettuali hanno, inoltre, rilevanza particolare le
norme di deontologia professionale, che si concretano in
obblighi di correttezza e servono a precisare il contenuto
dell’obbligazione del professionista.
Qualificare come professione intellettuale una determinata
attività appare rilevante in quanto determina l’applicazione di
uno specifico regime normativo, relativamente alle obbligazioni
che assume chi riceve l’incarico di svolgere tale attività, al
regime di responsabilità, ai criteri di determinazione del
compenso e alle modalità di esercizio dell’attività; e, inoltre,
52
Che ha carattere d’accertamento costitutivo della sussistenza di uno status professionale
anche nei rapporti con i terzi. Si veda comunque capitolo 1, paragrafo 3.
esclude che possano trovare applicazione norme previste
dall’ordinamento per altre figure di operatori economici53.
Il professionista nel prestare la propria opera intellettuale,
s’impegna a svolgere un servizio in relazione alla richiesta avuta,
utilizzando le proprie risorse e capacità professionali con
l’ausilio di una propria struttura organizzativa e/o di una propria
strumentazione di lavoro; mentre, il cliente, che gli conferisce
l’incarico, è tenuto al pagamento del compenso stabilito, a fronte
della prestazione54 svolta.
Il professionista può esser identificato attraverso le caratteristiche
che riveste la sua prestazione, vale a dire:
Il carattere intellettuale;
Il carattere personale e infungibile;
La prevalenza d’impiego d’intelligenza e cultura, piuttosto
che l’uso d’eventuale lavoro manuale;
L’esecuzione discrezionale;
L’oggetto riguardante il mero compimento di un’attività,
indipendentemente dal risultato che sarà raggiunto.
53
Discende che il libero professionista non è soggetto allo statuto dell’imprenditore
commerciale e non può esser dichiarato fallito; non è tenuto a redigere il bilancio di
esercizio e le altre scritture contabili obbligatorie previste dal Codice Civile per gli
imprenditori.
54
Opera o servizio.
1.6
CARATTERE
INTELLETTUALE
DELLA
PRESTAZIONE.
Un elemento comune a tutte le professioni intellettuali, cui
si applica la disciplina degli artt. 2229 e seguenti del codice
civile, è quello del carattere intellettuale dell’attività praticata55.
Quest’elemento
è
riconosciuto dalla legge per le
professioni il cui esercizio è subordinato all’iscrizione in un
ordine o in un collegio, mentre esso deve esser di volta in volta
accertato per le professioni non protette56.
L’aggettivo «intellettuale57» ricopre notevole importanza
per la determinazione dell’attività professionale. Tuttavia, esso di
per sé non è in grado di enucleare la categoria dei professionisti.
Il lavoro intellettuale normalmente è contrapposto al
lavoro manuale, ma ciò non significa che esistano lavori solo
intellettuali o esclusivamente manuali. In qualsiasi attività
55
È, dunque, il carattere prevalentemente intellettuale dell’attività svolta a distinguere la
figura del libero professionista da altre figure d’operatori economici tipici, come
l’imprenditore, il lavoratore subordinato, il lavoratore autonomo e simili.
56
V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 16,
IBBA, La categoria «professione intellettuale», in Le professioni intellettuali, in Giur. Sist.
Dir. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, 27.
57
L’intellettualità della prestazione professionale libera si caratterizza, dunque, per la
sistematicità, la discrezionalità, la liberalità e per l’iscrizione ad un albo o ad un elenco; ma
si caratterizza anche per l’integrazione delle competenze, per la specificità delle
conoscenze.
lavorativa esistono, anche se in diversa misura, momenti
intellettuali e momenti manuali. A conferma di questo l’art. 2060
afferma che «il lavoro è tutelato in tutte le sue forme
organizzative ed esecutive intellettuali, tecniche e manuali»58.
Sorge, quindi, l’esigenza di differenziare l’intellettualità dalle
attività disciplinate negli artt. 2229 ss., dall’intellettualità
presente in tutte le attività lavorative, e ancora, individuare il
nesso tra le diverse componenti59 delle attività la cui
identificazione è dubbia. Una prima soluzione è quella mirante a
considerare l’intellettualità come valore identificativo quando
non è «interna» al soggetto che svolge l’attività ed introduttivo
rispetto al servizio offerto, ma si concreta nella prestazione
fornita al cliente e per la quale il professionista è responsabile60.
In altre parole l’intellettualità costituisce elemento qualificante
quando oggetto del contratto con il cliente sia il «servizio
intellettuale»; a conferma di questo l’opera intellettuale consiste
58
V. IBBA, La categoria «professione intellettuale», in Le professioni intellettuali, in Giur.
Sist. Dir. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, 16; BUSSOLETTI, Le società di
revisione, Giufrrè, Milano, 1985, 125; SCOGNAMIGLIO, Personalità umana e tutela
costituzionale delle professioni, in DF, 1973, 804; TORRENTE, La prestazione d’opera
intellettuale, in RG lav., I, 1962, 3.
59
Materiale, tecnica, o propriamente intellettuale.
60
V. IBBA, La categoria «professione intellettuale», in Le professioni intellettuali, in Giur.
Sist. Dir. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, 17; GALAGANO, Diritto
commerciale, II, Le società, Zanichelli, Bologna; 1995, 15.
nell’applicazione concreta di cognizioni tecniche e scientifiche
nell’opera stessa che è l’oggetto della prestazione61.
Con riferimento al nesso tra le diverse componenti, invece,
si propone l’adozione del criterio della prevalenza, cosicché per
aversi una professione intellettuale è necessario che i momenti
intellettuali siano prevalenti sui momenti manuali o tecnici;
ovvero l’uso della intelligenza e della cultura deve avere
un’importanza molto superiore a quella del lavoro manuale
prestato62. Tuttavia questo criterio, in sede di applicazione
pratica, quando si tratti di individuare se in un’attività vi sia la
prevalenza delle facoltà intellettuali o l’apporto di esse rivesta
solo un ruolo secondario crea notevoli problemi.
Ecco allora la necessità d’esaminare altri elementi
identificativi per completare le nozioni di professionista e di
attività professionale.
61
62
Cass. 14.4.83, n.2542, GI, 1983, I, 1, 1242.
V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 17.
1.7
PERSONALITÀ DELLA PRESTAZIONE.
Il codice civile del 1942, innovando rispetto al codice del
1985, ha inteso valorizzare l’elemento personale63, inserendo nel
libro V64 l’apposito titolo terzo, che contiene la disciplina del
lavoro autonomo; esso è collocata fra la regolamentazione
dell’impresa65, e la regolamentazione della società, ed è diviso in
due capi, dedicati alle disposizioni generali e alla disciplina delle
professioni intellettuali.
Secondo l’art. 2232 c.c.. «il prestatore d’opera deve
eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia valersi,
sotto la propria direzione e responsabilità dei sostituti e ausiliari,
se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e
non è incompatibile con l’oggetto della prestazione». La
prestazione deve esser svolta personalmente dal professionista:
questo giacché tra il professionista e il cliente s’instaura un
rapporto a carattere fiduciario, dove la rilevanza della persona
del prestatore d’opera, sia nella fase della stipulazione del
contratto che nella sua esecuzione, è fondamentale. Si tratta,
63
Intrinseco in ogni attività lavorativa.
Dedicato al lavoro.
65
Con la normativa del lavoro subordinato.
64
infatti, di una prestazione che, da un lato, prevede particolari
conoscenze, esperienze tecniche che vengono garantite attraverso
l’iscrizione agli albi ed agli elenchi professionali, dall’altro, la
prestazione viene richiesta e concordata intuitu personae rispetto
ad un determinato soggetto a preferenza di altri, che sarebbero
ugualmente in grado di eseguirla. Il carattere fiduciario determina
per il professionista un obbligo di diligenza e di fedeltà nei
confronti del cliente, poiché fondato sull’affidamento del cliente
nei suoi riguardi66. Derivano, quindi, obblighi di diligenza di
informazione, di fedeltà e riservatezza la cui violazione può dar
luogo a responsabilità del professionista67. Proprio per questo il
carattere fiduciario rispetto alla sola infungibilità della
prestazione, nonostante la loro correlazione, ha un’importanza
maggiore.
Anche il carattere della personalità però, esaminato
singolarmente, non permette un’individuazione univoca del
66
V. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in Commentario Scialoja e Branca, 2^
ed., Bologna-Roma, 1963, 223.
67
Nel caso di responsabilità per atti posti in essere dal sostituto o dall’ausiliario, esercitata
dal cliente, risponderà il professionista; ciò non toglie che questi, nei rapporti interni, e
secondo le norme generali sulla responsabilità per fatto illecito, possa chiamare l’ausiliario
o il sostituto a rispondere per danni collegabili ad una condotta non diligente o colposa
dell’esecuzione dell’incarico. Cass. 26.8.75, n. 3016 RFI, 1975 Professioni intellettuali, 40.
professionista e dell’attività professionale, poiché è un carattere
che è presente in tutti i contratti conclusi intuitu personae.
Resta da rilevare che, alla luce dell’art. 2232, la personalità
della prestazione non esclude la possibilità del professionista di
avvalersi d’ausiliari o sostituti. Tale ausilio deve però esser
consentito dal contratto o dagli usi, ed è eventualmente escluso
ove sia inconciliabile con l’oggetto della prestazione.
Gli ausiliari e i sostituti non possono rivolgersi
direttamente al cliente: essi sono considerati come una longa
manus del prestatore e per questo agiscono sotto la sua
sorveglianza68, e il loro compenso sarà corrisposto direttamente
da questi69 70.
Alla personalità della prestazione si sovrappone il
problema delle cosiddette società di professionisti, nelle quali si
assiste
all’esercizio
in
forma
associata
dell’attività
professionale71. Sembra, quindi, venir meno l’elemento della
personalità del professionista, ma il problema non sussiste poiché
68
V. GIACOBBE, Professioni intellettuali, in ED, XXIII, 1987, 1075; D’ORSI, La
responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1981, 24.
69
V. MISCIONE, La nuova tutela obbligatoria contro i licenziamenti, in La disciplina dei
licenziamenti dopo le leggi 108/1990 e leggi 223/1991, Jovene, Napoli, 1991, 719;
TORRENTE, La prestazione d’opera intellettuale, in RGlav, I, 1962, 38.
70
Cass. 27.8.86, n.5248, RFI, 1986 Professioni intellettuali, 55; Cass. 5.9.84, n. 4767, RFI,
1984, Professioni intellettuali, 49.
71
Si teme una spersonalizzazione del legame fiduciario tra il professionista ed il cliente con
conseguente supremazia dell’elemento organizzazione.
con il termine «personalità» sono comprese sia le persone fisiche
sia quelle giuridiche72.
1.8
CARATTERE
PROFESSIONALE
DELLA
PRESTAZIONE E SCOPO DI LUCRO.
Altro elemento importante, per la determinazione del
concetto
di
professione
intellettuale
è
costituito
dalla
professionalità; la professione intellettuale si contraddistingue:
anzitutto
per
la
natura
tipicamente
professionale
della
prestazione, la quale assume particolar rilievo73.
La professionalità caratterizza i rapporti che hanno per
oggetto l’esercizio di un’attività74, la quale viene svolta
abitualmente e con relativa continuità allo scopo di ottenere un
guadagno o un lucro. A tal riguardo, con riferimento al rapporto
72
V. SCHIANO DI PEPE, Le società di professionisti, in Trattato di diritto privato, diretto
da Rescigno, XV, 2, Utet, Torino, 1986, 574; RESCIGNO, Struttura giuridica delle società
tra professionisti; Professionisti liberali in forma associata: il diritto italiano e i paesi
della Comunità; Le società di progettazione; Le società di redattori, in Persona e
Comunità, Saggi di diritto privato, Cedam, Padova, 1988, 46.
73
V. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in Commentario Scialoja e Branca, 2^
ed., Bologna-Roma, 1968, 192.
74
Lavorativa, imprenditoriale.
di lavoro del libero professionista, alcuni autori hanno osservato
che l’elemento dell’abitualità va inteso considerando la natura
del rapporto stesso il quale si svolge in regime di libertà; in senso
contrario si è sostenuto che il medesimo concetto è un carattere
normale, ma non necessario delle professioni intellettuali75. Ciò
poiché non esistono, a riguardo alle professioni intellettuali,
differenze di disciplina determinate dal carattere stabile anziché
occasionale della prestazione. Tale orientamento è seguito pure
dalla giurisprudenza76, favorevole a riconoscere la sussistenza del
delitto di abusivo esercizio di una professione pure nell’ipotesi
del compimento di un solo atto o comunque di una prestazione
occasionale77. Per quanto l’esercizio stabile e continuativo della
professione non sia decisivo per identificare il professionista
intellettuale, si ritiene che la presenza di prestazioni eseguite
stabilmente di uno stesso soggetto possano produrre effetti78 in
riferimento all’adempimento e quindi alla responsabilità.
75
V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 5, 6.
Cass. 29.11.83, Cass. 7.3.85, in GP, 1986, II, 418.
77
V. CONTIERI, Esercizio abusivo di professioni arti o mestieri, in ED, XV, 1966, 610;
CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 6.
78
Obbligo di informazione e di correzione di eventuali errori professionali.
76
1.8.1
Guadagno e lucro.
Quanto al guadagno o lucro, esso è radicato ad ogni
prestazione, la quale non si presume mai gratuita. Tuttavia nel
rapporto di lavoro professionale non è strettamente essenziale; si
pensi al caso in cui le prestazioni sono erogate gratuitamente per
motivi sociali79.
In via normale il rapporto del lavoro del libero
professionista è oneroso, ma non lo è sempre necessariamente,
anche perché in alcuni casi il professionista ha l’obbligo di
prestare la sua assistenza senza compenso80 a differenza di
quanto avviene per la figura dell’imprenditore81.
79
Carità, beneficenza, assistenza sociale, amicizia e parentela.
Gratuito patrocinio.
81
L’art. 2082 fornisce la definizione degli elementi qualificativi della figura
dell’imprenditore, considera tale chi svolge «professionalmente un’attività economica
organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi». Per quanto riguarda
il carattere dell’economicità, la dottrina ha dato varie interpretazioni, individuando l’attività
economica non solo come attività creatrice di ricchezza, la quale si manifesta nella
produzione di nuovi beni e servizi, ma anche come attività consistente nell’aumento del
valore di beni e servizi già esistenti, mediante la loro distribuzione, e inoltre, come attività
organizzata attraverso un metodo, che consenta di compensare con i ricavi i costi di
produzione. Va, innanzi tutto, notato quell’orientamento secondo il quale «la portata
dell’art. 2082 va determinata, per relationem, attraverso gli artt. 2135 e 2195» che
distinguono le fondamentali operazioni, tra le quali non figura l’attività del professionista
intellettuale. Secondo tale indirizzo, quindi, il concetto di attività economica, inteso nel
rispetto dell’art. 2082 cod. civ., non potrebbe esser esteso all’attività del professionista.
L’esercizio di un’attività economica, intesa nel senso sopra indicato, rappresenta,
espressione delle sole attività imprenditoriali, e questo nonostante, la professione
intellettuale costituisca pure essa un’attività produttiva di ricchezza in senso lato. Tuttavia,
un’altra parte della dottrina, considera il concetto di attività economica nella sua reale
natura, cioè di rilevarsi idonea a rimborsare il singolo, mediante il corrispettivo dei beni o
servizi prodotti, di quelle che sono le spese incontrare, s’evidenzia così che il concetto di
attività economica si può riferire anche all’attività del professionista intellettuale. La sua
80
1.9
AUTONOMIA E DISCREZIONALITÀ.
1.9.1
Autonomia.
Altro
intellettuale
elemento
è
caratterizzante
costituito
della
dall’autonomia
prestazione
d’azione
nella
prestazione dell’opera professionale, che sussiste anche allorché
il professionista presti la propria opera inquadrata in un rapporto
di lavoro subordinato82. Figura l’autonomia, tra le caratteristiche
dell’attività svolta dal professionista intellettuale, in quanto
questi esercita la propria attività in una sfera di piena libertà, che
gli permette di agire, determinando egli stesso gli ambiti e gli
spazi nei quali effettuare le proprie scelte professionali. La piena
autonomia, insieme alla libertà d’azione, rappresenta, un
elemento
essenziale
nella
configurazione
giuridica
del
attività realizzata nel rispetto dell’economicità, al pari di quella dell’imprenditore,
differenziandosi tuttavia da questa per l’intervento degli altri elementi prefissati dalla
norma di cui all’art. 2082 cod. civ.. A tal proposito ulteriori considerazioni sono state fatte,
partendo proprio da un’analisi del significato dell’economicità dell’art. 2082, giungendo
alla conclusione che l’attività professionale è da considerarsi economica poiché produttiva
di nuove utilità e poiché svolta dal professionista per conseguire utili.
82
Caso del medico dipendente dell’ente ospedaliero, il quale è libero di esercitare con
autonome modalità di estrinsecazione la propria attività professionale.
professionista intellettuale83. Con il concetto di libertà quindi si
può individuare:
• Libertà del professionista nell’esercitare la professione;
• Libertà del professionista quale facoltà di assumere o
rifiutare l’incarico dai clienti;
• Libertà del professionista nella determinazione della scelta
dei mezzi tecnici idonei a realizzare l’oggetto del
contratto;
• Libertà del professionista di vincoli di gerarchici e di
subordinazione nei confronti del cliente84;
• Libertà del professionista di vincoli esterni nell’esercizio
professionale
nell’albo,
la
poiché,
tutela
l’obbligatorietà
dell’indipendenza
dell’iscrizione
di
questa,
garantiscono l’iscritto dalla concorrenza dei non iscritto85.
Sul concetto di libertà professionale si osserva come il
concetto di tale termine non evidenzia un elemento decisivo per
la qualificazione della professione intellettuale.
83
Cass. 18.6.65, n. 1266.
V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 8.
85
V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974,
532.
84
1.9.2
Discrezionalità.
Sempre nell’ambito di quelli che si possono considerare gli
elementi identificativi della professione intellettuale, deve esser
compresa la discrezionalità86; quale potere riconosciuto al
singolo professionista di attuare le scelte consone alla
realizzazione
del
fine
prefissato,
con
piena
libertà
d’individuazione delle regole di comportamento che si rivelano
maggiormente idonee per conseguire lo scopo professionale. La
discrezionalità si sostanzia, quindi, nella libertà d’esplicazione
delle proprie capacità e del proprio giudizio sulla base delle
conoscenze inerenti alla professione. Dal confronto della
discrezionalità
tecnica
del
libero
professionista
discrezionalità
tecnica
amministrativa87,
si
nota
con
la
che
il
professionista deve agire non solo secondo scienza88, ma anche
secondo le regole della deontologia, avendo attenzione alla tutela
degli interessi del cliente89.
86
Secondo alcuni autori, rappresenta l’elemento fondamentale di distinzione tra contratto
d’opera intellettuale e contratto di lavoro subordinato.
87
Consistente, nel potere riconosciuto all’Amministrazione di procedere ad una valutazione
dei fatti posti dalla legge a presupposto dell’operare, «in misura di conoscenze tecniche».
88
E, quindi, come la Pubblica Amministrazione, nel rigido rispetto delle conoscenze
tecniche.
89
V. BALDASSARI A. e BALDASSARI S., La responsabilità del professionista, in Il
diritto privato oggi, Giuffrè, Milano, 1993, 11.
Il concetto di discrezionalità assume importanza sia per
l’identificazione della prestazione intellettuale, come pure sotto il
profilo della responsabilità: infatti, il risultato della prestazione
richiesta sarà inversamente proporzionale alla discrezionalità
usata per l’esecuzione dal professionista e quindi del risultato
stesso.
Il professionista, nell’esercizio della propria attività deve
osservare le regole d’arte o della professione, tuttavia ciò non
comporta una standardizzazione del comportamento stesso. Il
legame tra discrezionalità ed osservanza delle regole non si
presenta mai come una costante, perché varia secondo il tipo di
prestazione, del bene o interesse su cui l’attività incide nonché
sulle
conoscenze
tecniche-scientifiche.
Naturalmente
la
discrezionalità del professionista non è senza limiti; il giudice
stabilisce i confini di tale potere, evidenziando possibili
sconfinamenti di essa; il limite principale è quello che il
professionista deve salvaguardare l’interesse del cliente.
1.10
LA PRESTAZIONE DEL COMMERCIALISTA.
Nell’art. 1 del d.p.r. 27.10.53, n. 1067, relativo,
all’ordinamento della professione di dottore commercialista, è
indicato l’oggetto della prestazione. Più precisamente “in
particolare formano oggetto della prestazione: amministrazione e
liquidazione d’aziende, di patrimoni e di singoli beni; perizie e
consulenze tecniche; ispezioni e revisioni amministrative;
verifiche e ogni altra indagine relativa ad attendibilità di bilanci,
di conti, di scritture e d’ogni altro documento contabile delle
imprese, liquidazioni e regolamenti d’avarie, funzioni di sindaco
e di revisore nelle società commerciali90”. L’elenco delle attività
del presente articolo non pregiudicano l’esercizio di ogni altra
attività da parte dei dottori commercialisti. Tuttavia se ci sono
incarichi che per legge rientrano nelle competenze degli avvocati,
dei procuratori, e dei ragionieri liberi esercenti o che
l’amministrazione pubblica assegna per legge ai propri
dipendenti, gli incarichi per le attività elencate nell’art. 1, sono
affidati dall’autorità giudiziaria e le pubbliche amministrazioni
alle persone iscritte nell’Albo dei dottori commercialisti. Qualora
90
D.p.r. 27.10.53, n. 1067, art. 1.
codesto incarico sia affidato a persone diverse, nel relativo
provvedimento di nomina, dovranno essere evidenziati i motivi
particolari di scelta.
Il dottore commercialista figura come quel professionista
capace di coprire un ampio spettro d’attività, vista la varietà delle
prestazioni esercitate: dichiarazione dei redditi, contratti,
condono per eventuali tasse, trasferimento di capitali esteri,
valutazione di un qualsiasi investimento, alla deducibilità dei
beni acquistati, ecc91.
1.10.1 Aree d’intervento.
Le aree dell’attività del commercialista possono essere
così riassunte:
a. Rapporti con privati cittadini;
b. Rapporti enti pubblici ed Istituzioni;
91
Bisognerà tener conto a tal proposito della responsabilità, poiché il professionista
potrebbe esser obbligato a rispondere sia per prestazioni svolte in prima persona, sia per
prestazioni svolte da altri, collaboratori. Ecco allora la necessità do continui aggiornamenti.
Proprio questa caratteristica è peculiare ad ogni professionista intellettuale, e considerando
la figura del dottore commercialista, aggravata dalla continua produzione di normativa
fiscale, oltre al continuo aggiornarsi s’evidenzia tra l’altro la convenienza di avvalersi di
collaboratori sempre più specializzati
c. Tutela dell’interesse pubblico92.
A)
Rapporti con privati cittadini.
Il dottore commercialista è consulente amministrativo,
contabile, e fiscale, per cui si muove liberamente in questo
ambito, in tematiche organizzative, giuridiche, tributarie ed
economico-finanziarie. Oltre a questo, potrà impiegarsi di sistemi
informativi,
di
contenzioso
tributario,
d’acquisizioni
internazionali, d’arbitrati, di valutazione aziendale, di controllo
legale dei conti, di controllo gestionale, ecc.
B)
Rapporti enti pubblici ed Istituzioni.
Le stesse attività individuate nel precedente punto, possono
esser svolte anche in ambito pubblico, spaziando sempre in
diverse aree: fiscale, contrattuale, giuridica, economica, ecc.
92
V. CULOT, FERRARO, MAGNARIN, SPOLETTI, L’esame del dottore commercialista,
Giuffrè, Milano, 1997, 146.
Un esempio di una possibile operazione fatta per conto del
cliente, ma che abbia contatto con enti pubblichi potrebbe esser
individuata nel calcolo, nella liquidazione dell’acconto e del
saldo ICI; in questo caso l’ente interessato è il Cmune dove si
collocano i beni immobili del cliente.
C)
Tutela dell’interesse pubblico.
Oltre ad avere quindi rapporti con clienti cittadini, nonché
con enti pubblici o istituzioni, il dottore commercialista può
ricevere gli incarichi di tutela dell’interesse pubblico. Infatti, può
esser nominato curatore fallimentare, perito e consulente nel
processo penale, consulente tecnico in materia di economia
aziendale93, amministratore giudiziario di società, commissario
governativo nelle cooperative, rappresentante comune degli
obbligazionisti94, esperto in materia economica aziendale95,
custode
93
giudiziale
Art. 61 c.p.c..
Art. 2417 c.c..
95
Art. 68 c.p.c..
96
Art. 676 c.p.c..
97
Art. 508 c.c..
94
delle
imprese96,
curatore
d’eredità97,
liquidatore di società commerciali98, tutore del minore99,
commissario giudiziale nell’amministrazione controllata, ecc.
98
99
Art. 2275 c.c..
Art. 346 c.c..
CAPITOLO 2
LA RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE DEL
COMMERCIALISTA
2.1
CENNI GENERALI.
La responsabilità del dottore commercialista trova la sua
fonte nel contratto100, poiché con l’accettazione dell’incarico
sorge tra professionista e cliente il legame, rappresentato dal
vincolo contrattuale, da cui discende per il professionista
l’obbligo di formulare il proprio parere per risolvere il caso
prospettato dal cliente.
La
responsabilità
contrattuale
nasce
a
seguito
dell’inadempimento da parte del professionista degli obblighi
connessi all’attività esercitata; costituisce inadempimento la
mancata,
100
ritardata,
inesatta
esecuzione
della
prestazione
L’articolo 2230 c.c. indica il contratto avente ad oggetto la prestazione d’opera
intellettuale.
richiesta101; ne deriva che l’inadempimento non potrà prescindere
dalle caratteristiche proprie della prestazione.
Per quanto riguarda il dottore commercialista, egli deve
considerarsi responsabile verso il suo cliente in caso d’incuria e
d’ignoranza di disposizioni di legge e in genere nei casi in cui per
negligenza od imperizia compromette il buon esito del giudizio,
secondo quanto disposto negli artt. 2236 e 1176, secondo
comma, cod. civ.. Nel caso, invece, d’interpretazione di leggi o
di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la
responsabilità del dottore commercialista medesimo nei confronti
del suo cliente a meno di dolo o colpa grave. La disciplina della
responsabilità del commercialista, quindi, ruota essenzialmente
sul rapporto fra la disposizione dell’art. 1176 c.c. e quella di cui
all’art. 2236 c.c.102
La responsabilità del prestatore d’opera intellettuale trova
origini antiche103, millenarie addirittura, ma fino ad alcuni
decenni fa la casistica riguardante azioni penali o civili per
101
V. MACRÌ, La responsabilità professionale, in Le professioni intellettuali, giur. sist.
dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Utet, Torino, 1987, 219.
102
Per un approfondimento, si veda lo stesso capitolo paragrafo 4.
103
V. MASTROROBERTO, Rivedere il concetto di colpa professionale, in MartelliMastroroberto; Implicazioni assicurative della responsabilità professionale del medico
nell’ambito del Servizio Sanitario, La Responsabilità Medica in ambito civile, Cedam.
Padova, 1989, 193-225.
responsabilità professionale era, in senso quantitativo, piuttosto
rara, in quanto si mirava a difendere il mito della supremazia
dell’autorità culturale dell’uomo della scienza104.
Il codice civile italiano del 1942 ha voluto puntualmente
disciplinare il contratto d’opera intellettuale e definire l’ambito
della responsabilità del professionista, dettando la disposizione
dell’art. 2236 c.c.105.
2.1.1
Responsabilità del professionista.
La
responsabilità
contrattuale
del
professionista
intellettuale presenta aspetti complessi, in quanto coinvolge
importanti questioni di teoria generale delle obbligazioni e della
responsabilità. Essa va esaminata tenendo presente la distinzione
tra professionisti protette e professioni libere, poiché si ritiene
che solo le prime, in quanto vincolate al regime del contratto
104
Di tale orientamento sono evidenti esempi il codice civile napoleonico e quello italiano
del 1865, che includevano il rapporto professionale nello schema del “mandato”, con tutti
gli obblighi conseguenti, specificando la disciplina relativa alla responsabilità del
professionista, nell’intento di garantire alle professioni intellettuali la loro tipica origine
liberale, indipendenti e discrezionali.
105
L’allora Ministro Guardasigilli lo commentò così: “[omissis]… trovare un punto di
equilibrio fra due opposte esigenze: quella di non mortificare l’iniziativa del professionista,
col timore di ingiuste rappresaglie da parte del cliente in caso di insuccesso, e quella
inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del
professionista”.
d’opera professionale, comporterebbero l’allocazione del rischio
della prestazione sul cliente; mentre, le seconde rientrerebbero
nell’ambito delle regole comuni della responsabilità contrattuale,
potendo i prestatori assumere il rischio del lavoro.
Gli esercenti delle professioni protette, altresì, possono
incorrere in sanzioni disciplinari, che sono irrogate in caso di
violazione delle regole poste a tutela della dignità e del decoro
della professione: fattore che rappresenta una seria garanzia per
chi si rivolga ad una professionista.
2.1.2
Articolo 2236 c.c..
Circa la responsabilità del prestatore d’opera, l’art.
2236 c.c., evidenzia “Se la prestazione implica la soluzione di
problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non
risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”.
La Suprema Corte, in materia, ha stabilito che per la
responsabilità professionale del prestatore d’opera intellettuale, la
legge prevede un’attenuazione della normale responsabilità nei
casi di problemi particolarmente complessi, nel senso che il
professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per
dolo o colpa grave, mentre, al di fuori di questa ipotesi, il
professionista risponde, secondo le regole comuni106, anche per
colpa lieve107.
L’art. 2236 cod. civ. limita, dunque la responsabilità del
prestatore d’opera, circoscrivendola ai soli casi di dolo o colpa
grave, qualora il professionista si trovi di fronte a problemi
tecnici di speciale difficoltà. Questi ultimi devono intendersi
come quei casi, spesso oggetto di dibattiti e studi dagli esiti tra
loro opposto, caratterizzati dalla straordinarietà e particolare
eccezionalità del loro manifestarsi, dalla novità della loro
emersione, e che come tali non possono esser ricompresi
nell’ambito del sapere più ordinario.
Anche in questo caso quindi, la previsione legislativa deve
di volta in volta trovare il suo contenuto peculiare, giacché sono
comunque diverse le caratteristiche salienti delle categorie alla
quali appartengono i prestatori d’opera, ed essendovi anche
all’interno di ognuna, delle peculiarità che meritano di esser
106
107
Ai sensi dell’art. 1176, 2° co., c.c..
Cass. 15.4.82, n. 2274, RFI, 1982, Professioni intellettuali, 48.
trattate
apprezzandone,
per
l’appunto,
gli
aspetti
caratterizzanti108.
Risiede, invero, nel dettato dell’art. 1176 c.c., “il
complesso
d’attenzioni
che
dovrebbero
fondare
il
comportamento d’ogni debitore al momento di soddisfare la
propria obbligazione”109.
La colpa, in ogni caso, è da esaminare in considerazione di
quanto disposto dall’art. 1176, 2° co., c.c., in base alla natura al
tipo d’incarico professionale e tenuto conto delle circostanze
effettive in cui la prestazione si esegue.
2.2
L’INADEMPIMENTO.
L’inadempimento del dottore commercialista non può
esser fatto discendere semplicemente dalla mancata realizzazione
del risultato al quale mirava il cliente, anche se, è proprio del
mancato raggiungimento del risultato che scaturisce il processo a
108
V. TODESCHINI, L’art. 2236 cod. civ. e la sua applicabilità anche al di fuori
dell’ambito civilistico.
109
V. TODESCHINI, Spunti di riflessione sul concetto di diligenza.
catena, che può sfociare nell’individuazione di un’eventuale
responsabilità per inadempimento del professionista110. Si deduce
che la responsabilità è connessa, sul piano economico,
all’eventuale danno subito dal cliente: pregiudizio causato
dall’errato
adempimento
o
dall’inadempimento
del
professionista111. Per pervenire ad una possibile responsabilità,
dunque,
bisognerà
necessariamente
partire
dal
mancato
raggiungimento di un risultato112.
A tal proposito la giurisprudenza concorda affermando che
l’inadempimento non potrà desumersi senz’altro che dal risultato
mancato, ma va valutato alla stregua del dovere di diligenza, che
prescinde da quella generale del buon padre di famiglia e si
adegua all’attività esercitata113.
Si prenda, ad esempio, il caso del dottore commercialista
che riceve l’incarico di provvedere anticipatamente alla stesura di
un piano pluriennale, che il creditore, cliente, deve presentare per
ottenere un finanziamento presso un istituto di credito. Se il
finanziamento in questione non viene concesso, il professionista
110
V. FORTINO, La responsabilità civile del professionista. Aspetti problematici, Milano,
1984, 48.
111
V. CATTABRIGA, Delega a terzi d’adempimenti contabili e fiscali, in La tribuna dei
Dottori Commercialisti, n. 5, 1996, 31.
112
Si veda il paragrafo 1 dello stesso capitolo.
113
Cass. 12.9.70, n. 1386, GC, 1971, I, 627.
non potrà essere considerato responsabile se il budget è stato
correttamente eseguito sulle informazioni ricevute dal cliente.
Resta comunque inteso che indipendentemente dalla
mancanza di risultato e prima che essa si manifesti, nelle
obbligazioni di mezzi il comportamento negligente del dottore
commercialista può perfezionare di per sé un presupposto di
inadempimento114.
Non
è
detto,
tuttavia,
che
la
negligenza
sfoci
necessariamente in un danno. Si pensi al caso del dottore
commercialista il quale predispone un ricorso contro un avviso
d’accertamento, e vince il ricorso disertando l’udienza dinnanzi
alla Commissione Tributaria; è un’ipotesi di comportamento
negligente
del
professionista,
comunque
non
certo
dell’accoglimento del ricorso, ma non essendosi verificato
nessun danno al cliente, non origina responsabilità per il
professionista.
Il fatto che il professionista obbligato ad eseguire una
prestazione 115 costituisca un risultato determinato dà luogo a non
poche difficoltà nell’individuazione dell’inadempimento del
114
115
V. RESCIGNO, Manuale di diritto privato italiano, Novene, Napoli, 1982-b, 653.
Cass. 21.3.69, n. 904, in FI, 1969, I, 2958.
professionista. Solo con il ricorso a standard generali, quali la
diligenza, si riuscirà ad individuare la linea di condotta del
professionista e allo stesso tempo determinare i presupposti in
presenza
dei
quali
si
può
configurare
l’adempimento
dell’obbligazione intellettuale.
L’inadempimento va valutato a seconda della natura
dell’attività esercitata, considerando il tipo dell’incarico, come
pure le circostanze in cui la prestazione venga effettuata; punto
saldo è però che la responsabilità del professionista in questione
ha sempre per oggetto i soli errori tecnici, derivanti cioè da
mancanza di cognizioni tecniche e/o esperienze professionale.
È interessante da questo punti di vista il caso in cui il
commercialista incaricato della trasmissione telematica invii oltre
il
termine
previsto
la
dichiarazione
tempestivamente
consegnatagli dal contribuente. Il professionista in questione
incorre sicuramente in sanzioni di legge, tuttavia nell’ipotesi in
cui il contribuente che dà l’incarico dell’invio telematico non gli
fornisca per tempo tutta la documentazione necessaria per
elaborare la dichiarazione, non si ravvisano responsabilità ed
obblighi particolari in capo al professionista se non quello di
procedere all’invio quando tutta la documentazione viene resa
disponibile.
2.2.1
Il concetto di danno risarcibile.
Perché possa esser integrata la responsabilità del dottore
commercialista
sarà
essenziale
che
la
prestazione
del
professionista o il suo inadempimento determino un danno116
116
È sempre l’art. 2043 c.c. la disposizione, la c.d. “norma in bianco”, fondamentale in
tema di danno e di risarcimento, che si completa con la disamina dei beni giuridici la cui
lesione è da essa vietata, come il diritto al nome, all’immagine, alla riservatezza, e altri
diritti soggettivi. Vengono esclusi, invece, dall’ambito della tutela aquiliana gli interessi
legittimi, cioè gli interessi privati connessi a quelli pubblici, tutelati in modo occasionale ed
indiretto, salvo l’obbligo in capo alla Pubblica Amministrazione di risarcire i danni derivati
dall’esercizio di un’attività discrezionale, che abbia leso i diritti soggettivi privati. Il
“danno”, come concetto naturalistico, “individua qualunque pregiudizio, nocumento,
alterazione o annientamento di una situazione favorevole”; mentre, giuricamente, occorre
individuare quale danno l’ordinamento consideri, visto che non ogni danno naturalistico è
ritenuto, dal diritto, risarcibile. Per l’art. 1223 c.c., il danno deve discendere direttamente ed
immediatamente dal fatto illecito, legato ad esso dal nesso di casualità, inteso come evento
dannoso, imputabile al soggetto agente, quanto come evento dannoso risarcibile, in quanto
tutelato dall’ordinamento. Il danno, per poter esser risarcito, dovrebbe esser certo ed
attuale, anche se non tutti gli interpreti sono d’accordo sulla necessità che questi due aspetti
sussistano; ma, soprattutto il danno risarcibile deve esser ingiusto e patrimoniale, salvo che
il fatto illecito non costituisca anche un reato e possa esser comunque risarcito, ex art. 2059
c.c., che recita così: “Il danno non patrimoniale deve esser risarcito solo nei casi
determinati dalla legge”. La norma citata, in sostanza, sancisce che il danno non
patrimoniale, cioè non valutabile in denaro, può esser risarcito solo se il fatto illecito
costituisce un reato, per “assicurare al danneggiato un’utilità sostitutiva che lo compensi,
perlomeno in parte, della perdita del piacere di vivere”. Questo tipo di danno può
considerarsi come un danno morale puro, una sofferenza patita dal soggetto, vittima del
fatto illecito. Per quanto riguarda la valutazione dei danni, soccorre l’art. 2056 c.c., secondo
cui: “Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni
degli articoli 1223, 1226 e 1227. Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo
apprezzamento delle circostanze del caso”. Il danno risarcibile comprende, infatti, il lucro
cessante e il danno emergente. Per lucro cessante, categoria incerta e futura, deve intendersi
il mancato guadagno, la perdita di possibilità ed utilità di tipo economico, di cui il
danneggiato avrebbe potuto fruire se, appunto, non avesse subito il danno. Per danno
emergente si intendono le lesioni alla persona e ai beni del soggetto danneggiato, le spese
che egli deve sopportare a seguito del danno subito e le perdite di vario tipo, collegate
all’evento dannoso patito.
certo ed effettivo, il quale sia connesso ad un comportamento
doloso e colposo in capo allo stesso. Solo in presenza di questi
elementi
si
potrà
parlare
di
responsabilità
del
dottore
commercialista117.
La necessaria sussistenza del danno, la cui prova è a carico
del cliente, viene riscontrata anche per altre attività professionali,
soprattutto in quella forense118. Si specifica che il risarcimento
del danno da negligente svolgimento dell’attività professionale
non può esser enunciata limitatamente alla dichiarazione
generica, se l’attore non abbia fornito la prova, oltre che della
negligenza o dell’errore professionale del convenuto, di un reale
danno patrimoniale e del relativo e necessario nesso di
causalità119.
Il professionista, qualora sussiste un nesso di causalità tra
la propria opera ed il danno provocato, risponderà del danno120: il
commercialista sarà tenuto a risarcire il danno solo se il cliente
fornisce la prova che il relativo danno verificato è una
conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del
117
Cass. 18.5.93, n. 5360, CorG, 1993, 1992.
Cass. 11.5.77, n. 1854, 1977; RGI, 1997, Lavoro (rapporto), 203; Cass.25.5.83, n. 3612,
GI, 1983, I, 1, 1810.
119
Cass. 5.4.84, n. 2222, RFI, 1984, Professioni intellettuali, 59.
120
V. CATTABRIGA, Delega a terzi di adempimenti contabili e fiscali, in La Tribuna dei
Dottori Commercialisti, n.5, 1996, 31.
118
professionista121. In tal caso viene affermato dalla giurisprudenza
che: “in caso di mancato conseguimento dello scopo, il cliente,
per affermare la responsabilità del professionista per il danno
derivante dal mancato raggiungimento del risultato, è tenuto a
dimostrare non solo l’esistenza del danno, ma la sussistenza di un
nesso di casualità fra l’irregolare prestazione del professionista
ed il danno stesso”122.
Il danno può consistere anche in una perdita di chances123
qualora emerga che l’evento favorevole impedito si sarebbe
verificato con una possibilità almeno pari al 50%124.
Risulta interessante il seguente caso. Se, ad esempio, il
dottore commercialista omette un adempimento che avrebbe
permesso all’assistito di chiedere un beneficio o di fare ricorso
contro una sanzione, l’onere probatorio del cliente, a rigore, gli
121
Il criterio più accettato per dimostrare che vi sia un nesso di casualità fra il
comportamento di un soggetto responsabile e la produzione del danno, è quello della c.d.
casualità adeguata, in base al quale si guarda se la lesione è la conseguenza normale del
comportamento colposo o doloso del soggetto agente, secondo i criteri di ordinaria
esperienza. La catena delle conseguenze di un determinato comportamento può esser
interrotta da un evento straordinario che da sé soltanto è sufficiente a produrre il fatto
dannoso. Ove si ragionasse movendo da diverse considerazioni, si può anche concludere
che la causa di tutti i guai successivi risale al fatto iniziale, ma di questo passo la catena
delle cause non avrebbe mai fine, perché si può sempre risalire ad un fatto senza il quale
non si sarebbero verificati gli eventi che sono seguiti, perciò è da scartare il criterio della
c.d. “causalità sine qua non” che porterebbe a sifatte conclusioni.
122
Cass. 29.11.68, n. 3848, ARC, 1971, 184.
123
V. PRINCIGALLI, Perdita di chance e danno risarcibile, in RCKP, 1985, 315;
BOCCHIOLA, Perdita di una chance e certezza del danno, in RTDCP, 1976, 565; Cass.
5.6.96, n. 5264, Dresp, 1996, 5, 581.
124
Cass. 19.12.85, n. 6506, FI, 1986, I, 383. Sentenza relativa alla perdita di possibilità di
assunzione in conseguenza a un concorso pubblico.
imporrebbe di dimostrare che rispettato il termine di decadenza e
avviata ritualmente l’iniziativa, questa si sarebbe conclusa
positivamente. Dimostrazione tutt’altro che semplice, vista
l’opinabilità di molte delle questioni tecniche coinvolte e specie
se si dovesse dimostrare che una Commissione tributaria, o un
giudice, avrebbe sicuramente deciso in senso favorevole. La
soluzione individuata dalla giurisprudenza per questi casi
consente di superare entrambe le difficoltà. La sussistenza del
danno non comporta necessariamente la prova, in termini di
certezza, dell’esito favorevole dell’iniziativa omessa o viziata. È
sufficiente, invece una “ragionevole probabilità”, ai sensi
dell’art. 1225 c.c., circa gli effetti vantaggiosi della condotta
professione e diligente, colpevolmente omessa. È questa
ragionevole
probabilità,
poiché
entità
patrimoniale
giuridicamente ed economicamente autonoma, a dover esser
risarcità e a fornire la misura del quantum, ossia l’entità del
risarcimento, che va liquidato, per l’appunto, in ragione delle
concrete e ragionevoli possibilità di conseguire un utile.
Spetta al cliente danneggiato, la prova dell’esistenza di un
nesso causale, ovvero la connessione oggettiva tra fatto dannoso
e operato del dottore commercialista. L’attore, quindi, deve
provare non solo di aver sofferto il danno, ma anche che questo è
derivato dalla difettosa prestazione professionale, e cioè dalla
insufficiente o inadeguata attività del professionista125.
Successivamente il dottore commercialista, chiamato a
risarcire il danno a cliente, potrà invece provare l’assenza di
colpa nel comportamento tenuto. L’attore indicherà l’obbligo
contrattuale violato per impedimento o negligenza e il
conseguente danno, mentre al professionista spetterà dimostrare
l’eventuale difetto di colpa per impossibilità oggettiva di
effettuare la prestazione. Il dottore commercialista dovrà, come
visto prima, dimostrare che l’imperfetta esecuzione della
prestazione è dovuta a forza maggiore126 o caso fortuito127.
125
App. Perugina 20.5.95, DResp, 1996, 6, 771.
L’impossibilità della prestazione, sopravvenuta dopo il sorgere della obbligazione,
estingue il debito, secondo un principio antico: ad impossibilia nemo tenetur. Deve trattarsi,
tuttavia, di un’impossibilità di cui non sia responsabile l’obbligato, perciò la legge parla di
impossibilità per causa non imputabile al debitore (art. 1256). Essa può dipendere da eventi
imprevedibili e accidentali che costituiscono il caso fortuito, o da eventi ai quali non ci si
può sottrarre che costituiscono la forza maggiore. Non può trattarsi di una difficoltà
soggettiva di adempiere, propria di un determinato debitore piuttosto che di un altro, infatti
verrebbe meno il significato stesso del vincolo o dell’impegno se l’obbligato potesse
liberarsi solo perché è senza denaro o perché non è in grado di realizzare il risultato
promesso. Tuttavia la giurisprudenza ha riconosciuto che la difficoltà potrebbe esser di tale
natura da far ritenere moralmente ingiusto o comunque esagerato dal punto di vista
economico pretendere l’esecuzione dal debitore di una prestazione pur sempre possibile. Il
fondamento di tale inesigibilità della obbligazione sta nel principio di correttezza.
L’impossibilità deve esser pertanto assoluta, perché non vi è alcun modo per adempiere, e
oggettiva, perché non vi è alcuna persona che sarebbe in grado di eseguire la stessa
prestazione. Quest’ultima regola va, tuttavia, adattata alla natura dell’obbligazione, infatti
se essa ha per oggetto una prestazione personale, si può dire che anche l’impossibilità
soggettiva dovuta ad una malattia o ad un incidente è rilevante. La prestazione fungibile,
126
È sempre il cliente, a dover fornire la prova della
negligenza professionale. Qualora essa non venisse data, il
professionista non sarà considerato responsabile.
L’art. 2236, a tal proposito, sostiene che il dolo e la colpa
grave del professionista non possono presumersi, ma devono
essere specificatamente provati da chi richiede il risarcimento128.
Sempre più spesso il consulente, professionista è chiamato
ad assolvere al proprio compito mediante l’invio telematico di
istanze
al
Fisco.
Se
l’intermediario
incaricato
non
è
sufficientemente “pronto di riflessi”, o se incappa in anomalie o
blocchi del server tale da non rispettare il termine di scadenza
che può indifferentemente esser eseguita dall’uno o dall’altro debitore, deve considerarsi
oggettivamente impossibile solo se nessuno, in quelle circostanze, può realizzarla.
L’impossibilità estingue l’obbligazione solo se è definitiva. Perciò l’impossibilità
temporanea non fa cessare il rapporto, ma rende giustificato il ritardo nell’adempimento da
parte del debitore, che non sarà responsabile per la mora. Tuttavia se il ritardo si prolunga
eccessivamente vi può esser un limite oltre il quale, tenuto conte della natura della
prestazione o del titolo dell’obbligazione, il debitore non si può ritenere obbligato o il
creditore non ha più interesse a conseguire la prestazione. In tali ipotesi, anche la
impossibilità temporanea può portare alla estinzione dell’obbligazione (art. 1256).
L’impossibilità parziale non libera il debitore, che è tenuto ad eseguire la prestazione per la
parte rimasta possibile. Infatti dopo il perimento di una cosa determinata egli è tenuto a
consegnare il bene deteriorato o la parte residua di esso (art. 1258). L’impossibilità di
restituire una cosa perita per caso fortuito non libera il debitore dalla responsabilità:
−
Se la cosa era stata illecitamente sottratta (art. 1221);
−
Se la cosa era stata prestata al comandatario e questi la ha usata per un tempo più
lungo o un uso diverso da quello consentito, o poteva salvarla sostituendo la cosa
propria (art. 1805).
Non è concepibile una impossibilità per le cose generiche prima della individuazione
(genus numquam perit) né per il danno. Solo il c.d. genere limitato (genus limitatum) può
perire totalmente.
127
Cass. 5.8.85, n. 4386, RFI, 1985, Professioni intellettuali, 2480, 76.
128
V. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in Comm. cod. civ., diretto da
Scialoja e Branca, Zanichelli, Il Foro Italiano, Bologna-Roma, 1968, 242; Cass. 5.12.85, n.
6109, RFI, 1985, Professioni intellettuali, 2480, n. 78.
dell’invio, non potrebbe invocare tali ipotesi come casi
d’impossibilità sopravvenuta. Trattando dell’ultimo dei giorni
utili, sarebbe stato regola di prudenza non attendere l’ultimo
momento. Diversa è l’ipotesi del beneficio concesso sino a
esaurimento delle disponibilità. Qui un termine di decadenza non
c’è e se il professionista, attivatosi tempestivamente, ha
incontrato difficoltà tecniche non imputabili all’inadeguatezza
dei propri strumenti, per il cliente sarà praticamente impossibile
dimostrare che la propria mancata ammissione sia dipesa da
negligenza dell’incaricato.
2.3
LA DILIGENZA.
Il commercialista, nell’adempimento dell’obbligazione, è
tenuto a seguire tutte quelle regole che vengono considerate
idonee al raggiungimento del fine perseguito dal cliente e, quindi,
all’attuazione del risultato che il creditore, s’attende. Il
professionista, perciò deve osservare un comportamento
diligente, da valutarsi in base alla previsione dell’art. 1176 c.c..
Il professionista intellettuale, tenuto conto dell’attività
esercitata, dovrà ricorrere a tutti quegli accorgimenti che si
rivelano necessari a rendere attuabile la pretesa del cliente.
Un’attività corrispondente ad un modello astratto di condotta,
quale è postulato in determinate circostanze, potrà dirsi
diligentemente compiuta.
Il termine di condotta diligente svolge funzioni di
determinazione dell’esattezza della prestazione, e, insieme, la
funzione generale di un criterio di responsabilità debitoria129; si
parla così di un impiego adeguato di mezzi ed energie, utili a
misurare la prestazione e quindi alla determinazione di un
determinato fine. Il criterio di diligenza è utilizzato a individuare,
specificare
cosa
si
richiede
che
il
debitore,
dottore
commercialista, esegua nelle normali condizioni di esecuzione
dell’obbligazione; la diligenza, ancora è utilizzata ad individuare
lo sforzo che il debitore in questione deve produrre per realizzare
l’esatto adempimento, anche nel superamento degli eventuali
ostacoli incontrati.
129
V. VISINTINI, La responsabilità contrattuale, Novene, Napoli, 1979, 190.
In riferimento al dovere di diligenza media, si può
rammentare il caso di un commercialista, il quale con la
presentazione di Unico 2000 (redditi 1999), si impegna con un
cliente
nell’elaborazione
e
trasmissione
telematica
della
dichiarazione. Il cliente ha presentato regolari F24 con saldi e
acconti d’imposte Irpef, Irap e Inps mediante utilizzo di crediti
Irpef. Dal quadro RX è emerso, inoltre, un credito Iva da
riportare per l’anno seguente. La dichiarazione non è mai stata
spedita dal professionista. L’agenzia delle Entrate ha considerato
tutti i crediti come non riconosciuti per omessa presentazione
della dichiarazione dei redditi. Per quanto riguarda la
responsabilità e sanzioni, l’art. 6 del decreto legislativo 472/97
stabilisce che il contribuente, il sostituto e il responsabile
d’imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento
del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità
giudiziarie e addebitabile esclusivamente a terzi; inoltre, ex art.
10 dello stesso decreto chi, inducendo altri in errore incolpevole,
determina la commissione di una violazione ne risponde in luogo
del suo autore materiale. Restano comunque a carico dei soggetti
sopra indicati, l’imposta eventualmente a debito e i relativi
interesse.
Se, peraltro, per il gioco delle compensazioni, non vi è
stata effettiva evasione di tributi, occorre ricordare che la stessa
imposta non può esser applicata più volte in dipendenza dello
stesso presupposto (neppure nei confronti di soggetti diversi);
un’eventuale duplicazione può esser sanata per autotutela.
2.3.1
Diligenza media.
La giurisprudenza130, come pure la dottrina131, sostengono
che il professionista intellettuale, dottore commercialista, esercita
la propria attività in modo corretto quando utilizzi quella
particolare diligenza definita diligenza del buon professionista;
ovvero la diligenza media di un professionista sufficientemente
preparato e accorto, che effettui un’applicazione media
necessaria all’esercizio dell’attività. In altri termini, deve esser a
conoscenza dei risultati della scienza, oltre che nelle elaborazioni
teoriche anche nella sperimentazione e diffusione pratica. In
130
131
Cass. 18.2.81, n. 982, VN, 1981, 1112; Cass. 18.6.75, n. 2439, GC, 1975, I, 1389.
V. GALGANO, Diritto Privato, 1990, 34.
definitiva, il prestatore deve possedere un normale e necessario
corredo di minimo di cultura e d’esperienza132.
Una mancata attenzione alle regole d’arte e delle norme
necessarie allo svolgimento della professione, da parte del
professionista, causerà un inadempimento, e come trattato
seguirà
una
valutazione
successivamente
comportamento
si
etica
aggiungerà
tecnico
del
soggetto;
anche
oggettivo
che
una
a
questa
verifica
evidenzi
del
l’esatto
adempimento delle obbligazioni riguardanti l’esercizio della
professione133. Perciò il professionista deve operare con la
diligenza che si presume possegga un tipo ideale di buon
debitore, tenuto a fornire le stesse prestazioni che quel debitore
deve dare134. La diligenza vede quindi esser verificata in
un’ottica oggettiva.
Considerato nel suo insieme, il termine diligenza si presta
ad interpretazioni tra loro diverse.
Tuttavia nel tentativo di
giungere ad una qualificazione e conseguente individuazione del
132
V. MISCIONE, Commento agli artt. 2222-2246 c.c, in Comm. cod. civ.,diretto da
Cendon, V, Utet, 1991-a, 736.
133
V. BALDASSARI A. e BALDASSARI S., La responsabilità del professionista, in Il
diritto privato oggi, a cura di Cendon, Giuffrè, Milano, 1993, 137.
134
V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano,
1974, 637.
concetto di diligenza, si sostiene che tale elemento debba esser
inteso in duplice significato. Esso si risolverebbe:
A. nell’obbligo del debitore di adoperarsi per evitare che si
verifichino situazioni che impediscano la prestazione; ci si
riferisce al 1° comma dell’art. 1176, non potendosi
pretendere dal professionista una diligenza diversa da
quella del bonus pater familiaie nell’evitare fatti e
situazioni che possano impedirgli di rendere la prestazione
alla quale è obbligato;
B. nell’obbligo di prestare la propria opera, con diligenza
tecnica che deve caratterizzare il buon professionista; si
riferisce al 2° comma dell’art. 1176 c.c., secondo cui la
valutazione della diligenza deve avvenire con riguardo alla
natura della prestazione.
2.3.2
Gli obblighi integrativi.
Come si è visto il professionista è tenuto a svolgere la
propria attività nel rispetto del dovere di diligenza, che gli
impone di adottare tutti quei comportamenti che si presentano
idonei a permettere al cliente la migliore tutela dei suoi interessi.
Con ciò, quindi, il dottore commercialista deve porre in essere
tutti gli accorgimenti che si rilevano necessari per l’ottenimento
di tale finalità, astenendosi dal seguire condotte che possono
rivelarsi non conformi al carattere fiduciario, cui risulta
improntato il rapporto professionale, e che possono rilevarsi
nocive per il cliente stesso.
Nell’ambito relativo ai comportamenti da seguire vengono
ricompresi tutti quegli obblighi c.d. integrativi, strumentali, che
non sono altro che specificazioni ed estensioni dell’obbligo di
prestazione135 e che cooperano a rendere l’esecuzione della
prestazione professionale maggiormente idonea all’attuazione
dell’interesse del cliente.
2.3.3
L’obbligo di informazione.
Un particolare aspetto del dovere di diligenza, in quanto
manifestazione dell’obbligo di prestazione, è perciò raffigurato
dall’obbligo che cade sullo stesso professionista di informare il
cliente della possibilità di successo di una eventuale prestazione.
135
V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 91.
Si tratta di un comportamento al quale il professionista
intellettuale deve attenersi nella fase pre-contrattuale, fondato sul
fatto che il professionista, poiché esperto in una determinata
materia, tratta con un inesperto; tale obbligo può essere oggetto
anche di uno specifico contratto con il quale lo stesso
professionista s’impegna a fornire un parere o un consiglio,
anche in vista di una possibile prestazione.
La corretta informazione, che rappresenta un aspetto
precorrente nell’evoluzione del consenso manifestato dal cliente,
consente quindi la libera decisione del cliente circa l’opportunità
di utilizzare l’opera del professionista, e assoggetta questi alla
responsabilità per l’inesattezza e incompletezza delle notizie
fornite136.
La giurisprudenza, a differenza della dottrina che vede
nell’ipotesi di silenzio del professionista a riguardo alle
possibilità di successo di una determinata attività un tipico caso
di responsabilità pre-contrattuale, è favorevole a ricomprendere
tale responsabilità nell’ambito di quella contrattuale137.
136
137
Cass. 13.12.69, n. 3958, in GC, 1970, I, 404 in materia di responsabilità dell’avvocato.
Cass. 26.03.81, n. 1773, in AC, 1981, 5444 in materia di responsabilità del medico.
Per quanto concerne il consenso manifestato dal cliente,
questo non dovrà essere un consenso generico o ricavabile
implicitamente da altri elementi, ma dovrà esser un consenso
esplicito, con una reale presa di visione della situazione
individuata dal professionista e un’effettiva conoscenza dei
rischi, cui può andare incontro il cliente stesso.
Un limite al dovere d’informazione s’incontra per il
professionista in campo sanitario, dove può verificarsi la
possibilità in cui il suo intervento si dimostri urgente e necessario
e il paziente si trovi in uno stato tale da non poter esprimere una
cosciente volontà favorevole o contraria138.
In ogni modo, l’onere della dimostrazione del mancato
assolvimento
del
dovere
d’informazione
da
parte
del
professionista graverà sul cliente che agisce in giudizio per
l’affermazione di responsabilità139.
138
139
Cass. 18.6.75, n. 2439, in GC, 1975, I, 1389.
cfr. App. Milano 30.4.91, in FI, 1991, I, 2855.
2.4
LA COLPA PROFESSIONALE.
Il rispetto del commercialista del dovere di diligenza gli
impone l’obbligo di adeguarsi a tutta una serie di regole di
condotta
che,
nella
loro
complessità,
rappresentano
il
presupposto indispensabile affinché il professionista stesso possa
considerarsi adempiente in ordine all’incarico accettato140.
Proprio dall’individuazione del concetto di diligenza, peraltro
assai difficoltosa in conseguenza della pluralità delle situazioni
nelle quali si trova ad operare il commercialista e che richiede
un’indagine analitica condotta in relazione ad ogni singola
fattispecie141, si ottiene conseguentemente il concetto di colpa
professionale. Difatti, la diligenza integrata dal comportamento
che il prestatore deve osservare al fine di rendere realizzabile la
migliore tutela dell’interesse del cliente-creditore.
A contrariis la colpa professionale corrisponderà a in quei
comportamenti che non si presentano idonei a permettere il
140
141
Trib. Latina 22.5.90, in TR, 1991, 143.
Si veda a tal proposito il paragrafo terzo dello stesso capitolo.
raggiungimento delle finalità cui si rivolge l’opera del
professionista142.
Il dottore commercialista potrà esser quindi considerato
inadempiente per aver tenuto un comportamento negligente,
imperito o imprudente.
2.4.1
Negligenza.
La negligenza viene individuata attraverso la descrizione
di una serie di atteggiamenti negativi che possono caratterizzare
l’operato del professionista intellettuale. La dottrina, a riguardo,
ragiona in termini di dimenticanza, svogliatezza, pigrizia143 e,
quindi, di comportamenti che assumono importanza nella
mancata attuazione di un determinato facere.
La giurisprudenza, non presta particolare attenzione a tale
differenziazione, la quale non ha alcun’importanza ai fini
dell’imputabilità
della
responsabilità,
poiché
molto
frequentemente si verifica che la negligenza s’accompagni a
comportamenti che costituiscono espressione d’imperizia, di
142
V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 53.
V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano,
1974, 832.
143
modo che, nella pratica, è assai difficoltoso stabilire se il
mancato adempimento del dottore commercialista sia dipeso da
semplice disattenzione o da vera e propria incompetenza
professionale. Tuttavia il gran numero di sentenze concernenti
tale oggetto hanno individuato la negligenza nelle ipotesi di mera
omissione del professionista dall’osservanza di determinati
comportamenti144.
Il commercialista che abbia dimenticato di inviare la
dichiarazione Unico entro il termine di presentazione in via
telematica, è stato condannato a risarcire il cliente dei danni che
gli ha procurato le conseguenze causate dalla sua distrazione145.
Nel caso in cui l’amministrazione finanziaria, per colpa
dell’intermediario, dovesse rilevare l’omessa presentazione della
dichiarazione, il contribuente può richiedere l’annullamento della
sanzione, esibendo la copia della dichiarazione e la ricevuta
rilasciata dall’intermediario abilitato che “prova” la giusta data di
presentazione della dichiarazione.
A tal riguardo si sostiene che “un concordato fiscale
perduto
144
inchioda
alle
proprie
responsabilità
anche
il
Trib. Padova, 9.8.85, in FI, 1986, I, 1995; App. Napoli, 6.4.82, in AC, 1982, 740; App.
Roma, 27.11.86, in ND, 1988, 437.
145
Cass. 31.12.01, n. 15759, (II sezione civile).
commercialista a mezzo servizio”; se il professionista ha solo
l’incarico di domiciliazione fiscale di una società, rischia di
dovere risarcire i danni d’eventuali “guai” tributari patiti dal
cliente a causa della sua distrazione
2.4.2
Imperizia.
L’imperizia
corrisponde
ad
una
vera
e
propria
incompetenza professionale. L’attività intellettuale oggetto della
prestazione
del
professionista
deve
esser
tecnicamente
impeccabile e basata sugli strumenti messi a disposizione dalla
scienza e sul patrimonio tecnico, scientifico e morale del
prestatore, rappresentato soprattutto dal complesso delle sue
cognizioni acquisite attraverso lo studio e l’esperienza. Il
bagaglio di preparazione scientifica e tecnica del professionista
intellettuale costituisce parte integrante della prestazione
professionale, con la duplice conseguenza che il professionista è
tenuto ad acquisire e conservare la necessaria perizia, e che
l’attività in concreto posta in essere dal professionista deve essere
conforme ai principi scientifici e tecnici di ogni professione146.
Il commercialista dovrà mantenersi costantemente dotato
di una normale perizia, ovvero di un livello di conoscenza che lo
ponga nelle condizioni di soddisfare l’aspettativa del cliente a
ricevere una prestazione, caratterizzata non solo dall’accortezza e
dalla prudenza, ma anche da un determinato livello di
conoscenza147.
Il bagaglio tecnico del professionista non può prescindere
dalla conoscenza delle soluzioni portate dalla scienza, che siano
consenzialmente accolte dalla pratica. Il professionista deve
perciò avere una preparazione professionale tale che gli consenta
d’applicare, durante l’esecuzione della propria prestazione,
quelle nozioni che siano acquisite, per comune senso e salda
sperimentazione, alla scienza ad alla pratica e che costituiscono
il necessario corredo148 del professionista diligente149.
146
V. MACRÌ, La responsabilità professionale, in Le professioni intellettuali, Giur. sist.
dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Utet, Torino, 1987, 236.
147
V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano,
1974, 832; Cass. 20.2.87, n. 1840, VN, 1987, 388.
148
Si veda capitolo 2 paragrafo 3.
149
Cass. 29.3.76, n.1132, in RDL, 1977, 140.
L’insufficienza della preparazione, la quale deve esser
accertata in relazione ad ogni singola fattispecie150, cercando di
verificare le concrete circostanze in cui la prestazione deve
svolgersi151, unito alla preesistenza di regole tecniche di
comportamento, ormai acquisite dalla scienza e dalla tecnica,
crea quindi il presupposto di una responsabilità per imperizia152.
Il dottore commercialista deve tenersi costantemente
aggiornato, costituendo ciò un adempimento indispensabile allo
scopo di garantire la tutele degli interessi del cliente. Non solo, il
professionista dovrà possedere un’esperienza professionale
adeguata alla complessità della materia esaminata, che gli
consente di affrontare le varie circostanze che possono verificarsi
nel corso del singolo caso153.
La mancanza di tali presupposti imporrà al professionista,
al fine di non incorrere in eventuali ipotesi di responsabilità, il
150
A tal proposito si esamini il caso successivo a questo paragrafo.
Cass. 2.8.73, n. 2230, in GC, 1973, I, 1864; Cass. 2.11.82, n. 5885, in AC, 1983, 496;
Cass. 15.11.82, n. 6101, in DPA, 1984, 405; Cass. 22.3.68, n. 905, in FI, 1968, I, 2206;
Cass. 12.9.70, n. 1386, in GC, 1971, I, 627.
152
Ci si riferii e ad ipotesi di responsabilità del medico per imperizia ma vale lo stesso con
riferimento anche ad altre professioni intellettuali tra cui quella del dottore commercialista.
153
V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano,
1974, 832; Cass. 20.2.87, n. 1840, VN, 1987, 644-647; DANOVI, Errore professionale:
responsabilità civile e responsabilità disciplinare, in RCP, 1986, 47-102.
151
rifiuto alla prestazione, suggerendo al cliente il ricorso ad altro
professionista più esperto154.
L’inadeguatezza della prestazione deve esser verificata in
relazione ad ogni singola fattispecie. Interessante il caso del
commercialista, incaricato da un cliente all’elaborazione della
contabilità ordinaria ed alla preparazione della dichiarazione
annuale IVA. Il professionista in questione omette di riportare
nella dichiarazione in questione, precisamente nel quadro A,
l’ammontare dei corrispettivi, ed indica nella dichiarazione dei
redditi, nonostante l’inesistenza delle operazioni sostenute nel
periodo, ricavi per la cessione di beni.
Il cliente ha citato in giudizio, al fine del risarcimento dei
danni derivati, dopo l’avviso d’accertamento in rettifica dell’IVA
dovuta, il commercialista. Il quale, in giudizio, si difenderà
sostenendo che l’attività di consulenza fiscale implica la
soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà per cui la
responsabilità deve esser considerata limitata, secondo l’art. 2236
c.c., alle sole possibilità di dolo e colpa grave. In tale sede il
professionista sosterrà che si tratta di una semplice trasposizione
154
V. MACRÌ, La responsabilità professionale, in Le professioni intellettuali, Giur. sist.
dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Utet, Torino, 1987, 237-238.
dei dati comunicati dal cliente e non di una scelta tecnica; inoltre,
se la rettifica IVA fosse stata oggetto di ricorso dinnanzi alla
competente commissione tributaria, c’era la possibilità di
successo, con una relativa diminuzione, per il professionista,
dell’ammontare dei danni richiesti dal cliente.
Tuttavia al professionista è stato accolto il ricorso in
appello contro la sentenza di primo grado155, qualora dimostri la
mancanza dell’onere della prova, di un comportamento in merito
alla possibilità di ricorso contro l’accertamento IVA dell’attore, e
nonché dell’esecuzione discrezionale dell’opera professionale e
della non configurabilità d’errore professionale.
2.4.3
Dolo e colpa grave.
Sono fonte della responsabilità nei confronti dell’attore il
dolo e la colpa del professionista, nel cui caso il parere fornito o
la scelta effettuata risultino superficialmente erronei, cioè
conseguenza d’imperizia, la stessa scelta o lo stesso parere che
non sarebbe stata presa o stata scelta dal professionista medio.
155
App. Perugia, 20.5.95, DResp, 1996, 770.
Come si è notato nei paragrafi precedenti, la responsabilità
del professionista è attenuata ex art. 2236 c.c., ove la prestazione
svolta racchiuda in se problemi tecnici di particolare difficoltà;
tale valutazione spetterà al giudice 156.
La dottrina a riguardo, afferma che l’art. 2236 c.c. tratta sia
del problema della gravità della colpa, che quello della certezza,
nel senso che svolge funzione di limitare la responsabilità del
professionista in caso di colpa certa157. A differenza di un tempo,
in cui la dottrina considerava colpa grave una manifestazione
d’incapacità evidente e grossolana, o d’ignoranza di cognizioni
elementari, oggi s’individua con tale concetto una condotta del
debitore particolarmente biasimevole, da valutare caso pere caso.
Quindi la colpa grave tenderebbe a coincidere con l’errore
dovuto a negligenza, incuria, imprudenza, alla pari della colpa
lieve, tutto ciò avendo riguardo però alla natura della prestazione
dell’attività svolta158. La Cassazione afferma che la nozione di
colpa grave in campo professionale comprende sia gli errori che
156
Cass. 7.5.88, n. 3389, RFI, 1988, Professioni intellettuali, 2380, n. 96; RIVA
SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, in Comm. cod. civ. artt. 2188-2246, a cura di
Scialoja e Branca, Zanichelli, Bologna-Roma, 1968, 151-241; GALGANO, Diritto privato,
Cedam, Padova, 1990, II, 1, 34; GIACOBBE, Professioni intellettuali , in ED, XXXVI,
1987, 1060-1085.
157
App. Roma 6.9.83, FI, 1983, I, 2838.
158
V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano,
1974, 850; BONVICINI, La responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 1971, 756.
non sono scusabili, sia le ignoranze incompatibili con il grado di
addestramento e di preparazione che una data professione
richiede o che la reputazione del professionista intellettuale dà
motivo di ritenere esistente, sia la temerarietà sperimentale e ogni
altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i
beni primari che il cliente affida alle cure di un prestatore d’opera
intellettuale159. Quindi pensando al dottore commercialista, è il
caso di un soggetto che non si mantiene aggiornato, che inserisca
i dati senza nessuna valutazione discrezionale, che si preoccupi
solo superficialmente dei problemi del cliente o non lo informi di
non esser in grado di svolgere una determinata prestazione.
2.4.4
Imprudenza.
All’interno del concetto di colpa rientra la nozione
d’imprudenza.
L’obbligo
del
commercialista
d’assumere
un
comportamento tecnico consono alla situazione nella quale si
trova ad esercitare, che tenga sempre e comunque in debita
159
Cass. 21.4.77, n. 1476, RFI, 1977, Professioni intellettuali, 43; Cass. 2.7.91, n. 7262, FI,
1992, I, 803.
considerazione la tutela degli interessi del cliente, riproduce
quindi il fondamentale presupposto per il corretto esercizio della
professione. Egli deve operare utilizzando le conoscenze tecniche
essenziali per la soluzione del singolo caso, evitando di
accogliere comportamenti che possano esser incompatibili con le
finalità del suo operato. Oltre ad una preparazione sufficiente a
rendere efficace il suo intervento, deve esser dotato d’esperienza
acquisita nel settore cui si riferisce l’opera160, nonché deve
astenersi dall’adottare scelte che si pongono al di là dei normali
criteri di soluzione del caso.
L’imprudenza, quindi, raffigura il limite oltre al quale non
si può spingersi la discrezionalità tecnica del professionista.
Importante sarà, ai fini della valutazione del comportamento, il
raffronto operato tra gli strumenti tecnici impiegati per la
soluzione del singolo caso e quelli che sono i mezzi che la
tecnica mette a disposizione.
La responsabilità del professionista, quale conseguenza
d’imprudenza, deve ritenersi esistente nell’ipotesi in cui questi
potendo scegliere tra soluzioni diverse, opta per quella che
presenti il maggior numero di probabilità di insuccesso.
160
App. Bari, 21.4.83 in materia di responsabilità medica.
2.4.5
Errore professionale.
Il professionista intellettuale deve comportarsi, al pari
d’ogni altro soggetto passivo del rapporto obbligatorio, nel
rispetto del dovere di diligenza, e più esattamente, della diligenza
del buon professionista. Il suo comportamento dovrà ispirarsi a
quelle regole che gli impongono di tenere una condotta idonea a
permettere il soddisfacimento degli interessi del creditore-cliente,
l’inosservanza di queste comporterà come conseguenza il sorgere
di responsabilità a suo carico e quindi all’eventuale risarcimento
dei danni.
Si è definito antecedentemente il concetto di colpa
professionale, come l’inosservanza del professionista della
diligenza professionale nello svolgimento dell’opera o anche
osservanza di regole di condotta che non rientrano nei suoi
doveri a cui deve uniformarsi. All’interno del comportamento
non diligente si tratta di valutare la ricorrenza dell’errore
professionale. L’errore professionale serve ad evidenziare un
comportamento obiettivamente diverso da quanto esigeva la
situazione, ma non necessariamente colposo161, vale a dire una
condotta riguardante alla soluzione del problema tecnico che
figuri insufficiente, inadatto o perfino controproducente in
relazione all’oggetto del contratto162.
Si ha errore professionale quando una condotta, nonostante
che il commercialista abbia agito diligentemente, non risulta
idonea a risolvere il caso.
L’errore professionale, viene preso in considerazione come
elemento oggettivo, quale comportamento del professionista non
conforme alla regole dell’arte, alle recenti cognizioni scientifiche
e alla comune esperienze, e non come elemento soggettivo: un
comportamento tecnicamente errato ma non necessariamente
colposo163.
Anche la giurisprudenza considera tale comportamento
inidoneo a integrare colpa del professionista, e pone in evidenzia
la differenziazione tra errore inescusabili, ricompreso nel
concetto di colpa professionale, ed errore scusabile164. L’errore
inescusabile è quell’errore che poteva esser evitato usando la
161
V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 67.
V. LEGA, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano,
1974, 815-820.
163
V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 6067.
164
Cass. 21.4.77, n. 1476; Cass. 8.2.87, in RP, 1988, 202.
162
diligenza richiesta, esso sarà riferito solo all’errore tecnico cioè
derivante da mancanza di cognizione tecniche ed esperienza
professionale relativa alla professione esercitata; non può inoltre
sollevarsi alcun addebito al professionista che sia incorso in un
errore relativo a materie non di sua competenza165.
Quindi l’errore professionale si delinea quale una vera e
propria ipotesi esonerante da responsabilità, sempreché, esso si
presenti quale errore scusabile, inevitabile secondo l’uso della
diligenza richiesta166.
La valutazione dell’errore, come visto prima, deve esser
essenzialmente tecnica, cioè relativa alle cognizioni tecniche e
all’esperienza professionale del commercialista.
Si ha il caso che il professionista propone al cliente di
avvalersi
di
condonare
alcune
regolarità,
pagando
una
determinata cifra entro una specifica data di scadenza,
ipotizziamo di lunedì. Consideriamo una proroga del condono di
due mesi, e che la notizia resa pubblica domenica. Il cliente, se
ha eseguito il versamento lunedì mattina, perché il suo
commercialista non lo ha informato della possibilità di
165
166
Cass. 15.4.82, n. 2274, in GC, 1983, I, 573.
Cass. 19.2.86, n. 1003, in RFI, 1986, Obbligazioni in genere, 26.
posticipare il pagamento, può aver subito un danno, essendosi
privato di una cifra rilevante prima del tempo. In questo caso
siamo di fronte ad un errore scusabile del professionista.
2.4.6
Sostituti e collaboratori.
Abbiamo già visto che nulla esclude che il commercialista
può avvalersi, per l’esecuzione dell’incarico assunto di sostituti e
di ausiliari, ossia persone che lo sostituiscono o che collaborino
con lui sotto la sua direzione167.
L’art. 2232 c.c, dopo aver individuato il carattere
prettamente personale della prestazione svolta dal professionista,
prevede che questi possa ricorrere, sotto la propria direzione e
responsabilità, di sostituti ed ausiliari, se la collaborazione di altri
è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con
l’oggetto della prestazione. In tale caso è, naturalmente, da
escludere che i terzi ausiliari abbiano un rapporto contrattuale
diretto con il cliente creditore della prestazione, e, dunque, questi
non può avere un’azione diretta contro essi per l’adempimento,
167
V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 95107.
come pure i collaboratori non possono agire nei suoi confronti
per il compenso. A conferma di questo, l’art. 2232 c.c. recita “la
facoltà del professionista di servirsi della collaborazione di
sostituti e ausiliari non comporta mai che costoro diventino parti
del rapporto di clientela, restando invece la loro attività
giuridicamente assorbita da quella del prestatore d’opera che ha
concluso il contratto con il cliente. Il sostituto, pertanto, non è
legittimato ad agire contro il cliente medesimo per la
corresponsione del compenso, il cui obbligo resta a carico del
professionista”.
L’esercizio della facoltà di farsi sostituire non è soggetta
ad alcun requisito di forma, tranne nel caso in cui la forma stessa
sia richiesta dalla disciplina della professione, i possibili difetti
possono, però, esser sanati anche in forma tacita, con
accettazione della controparte168.
Qualora l’utilizzazione di sostituti o d’ausiliari avvenga in
mancanza di una precisa convenzione in tal senso con il cliente
oppure senza che gli usi lo consentano, il commercialista,
risponderà, a causa del proprio inadempimento contrattuale, degli
eventuali danni causati dal sostituto o ausiliare, prescindendo
168
Cass. 19.2.57, n. 583.
dall’indagine circa la colpa o il dolo di questi169. Dove, invece,
l’uso dell’opera di sostituti e d’ausiliari si compia nel rispetto dei
limiti del sopraccitato articolo del codice civile, il commercialista
sarà oggettivamente responsabile, prescindendo dalla valutazione
della sua colpa, dei danni subiti dal cliente per effetto del
collaboratore170. Non si esclude, tuttavia, che il collaboratore
possa
essere
chiamato
a
rispondere
nei
confronti
del
professionista in armonia con le norme generali dettate in materia
di fatto illecito, dei danni da questo subiti e ricollegati alla sua
condotta
colposa
osservata
nell’esecuzione
dell’incarico
affidatogli171.
Nella figura del collaboratore rientrano, oltre che al
lavoratore subordinato o autonomo, anche i praticanti; la pratica
è diventata172 oggi obbligatoria per gli aspiranti commercialisti
che intendono sostenere l’esame di stato.
169
V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 100110; MACRÌ, La responsabilità professionale, in Le professioni intellettuali, Giur. sist. dir.
civ. comm., fondata da Bigiavi, Utet, Torino, 1987, 264.
170
V. TORRENTE, La prestazione d’opera intellettuale, in RGLav, I,1962-a, 1-38.
171
Cass. 28.8.75, n. 3016, in RCP, 1976, 240.
172
Cass. 17.2.92, n. 206.
2.4.7
Professionisti associati.
Posto che parte del contratto d’opera intellettuale sia uno
studio di professionisti associati si verificherà una situazione
diversa da quella tratta anticipatamente. Non esistendo un
rapporto di ausiliarità, in questo ambito, chiunque degli associati
può chiedere l’intero compenso al cliente, procedendo per sé e
per i propri colleghi173. Quindi, qualsiasi professionista può farsi
sostituire senza che sia indispensabile alcun requisito di forma,
salvo però che questa non sia richiesta dalla disciplina della
professione o dalla legge.
2.4.8
Assicurazione del professionista.
Il commercialista, come tutti professionisti, si trova oggi
esposto a rischio, il quale risulta più elevato rispetto al passato, e
quindi si trova costretto a far ricorso a strumenti di riparo. Tra
questi figurano l’assicurazioni e le compagnie operanti nel
settore, che hanno creato, fornito polizze adatte a coprire questo
tipo di rischi.
173
App. Milano, 21.1.77, AC, 1977, 580.
A
differenza
degli
altri
paesi
della
CEE,
dove
l’assicurazione è obbligatoria, in Italia essa è facoltativa. Essa ha
come oggetto la tutela del professionista da quanto sia tenuto a
pagare, quale civilmente responsabile:
a. Danni corporali o materiali, non voluti cagionati a terzi,
clienti;
b. Perdite patrimoniali non volute cagionate a terzi, clienti
nell’esercizio dell’attività professionale.
Oltre
che
a
tutelare
l’attività
del
professionista,
l’assicurazione vale anche per la responsabilità civile e personale
che possa derivare all’assicurato dal fatto doloso dei suoi
dipendenti, nonché dei suoi collaboratori facenti parte dello
studio ed iscritti al relativo albo professionale.
I contratti d’assicurazione presumono, in genere, che una
parte del rischio resti a capo dell’assicurato, utilizzando a tale
scopo scoperti e franchigie174. Tuttavia la responsabilità civile
continua ad esplicare la sua funzione per la parte di danno che
174
Scoperto indica una quota percentuale ricavata sul danno, di norma il 10%, che non
viene coperta dall’assicurazione, questo poi è limitato da un minimo ed un massimo, avente
lo scopo di lasciare all’assicurato piccoli sinistri e di evitare, che il suo ammontare divenga
troppo onero per il cliente. Franchigia è invece una quota che rimane a carico
dell’assicurato indipendentemente dall’ammontare del danno, a seconda della professione,
sono previsti diversi rischi esclusi, nel caso del dottore commercialista: responsabilità civile
derivante dalla sottoscrizione di relazioni di certificazione dei bilanci della società per
azioni quotate in borsa, perdite inerenti l’attività svolta nell’ambito di incarichi di
consigliere di amministrazione o di sindaco.
supera il massimale e che i danni morali non sono mai ricompresi
in garanzia. Inoltre nell’assumere o meno un certo rischi la
compagnia considererà i sinistri verificatesi nel passato, come
pure
la
variazioni
del
livello
del
rischio
a
carico
dell’assicurazione per indurre o ad una revisione del premio o ad
un recesso dal contratto.
L’opportunità del commercialista di provvedere alla
stipulazione di polizze assicurative, oltre che da parte della
dottrina175, viene rilevata anche dalle norme di deontologia
professionale. Nelle quali, difatti, si recita, che “il dottore
commercialista deve porsi in condizione di risarcire gli eventuali
danni causati nell’esercizio della sua professione. A tal fine ove
non disponga di sufficienti mezzi di copertura, è tenuto a
stipulare un’adeguata polizza d’assicurazione con compagnia di
primaria importanza. Il dottore commercialista deve altresì
collaborare alla sollecita liquidazione del danno”176.
175
V. CULOT, FERRARO, MAGNARIN e SPOLETTI, L’esame del dottore
commercialista, Giuffrè, Milano, 1997, 140-158.
176
Commissione Nazionale di deontologia, 1994, art. 27.
CAPITOLO 3
LA RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE DEL
COMMERCIALISTA
3.1
LA RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE
VERSO IL CLIENTE.
L’inosservanza da parte del dottore commercialista di un
comportamento diligente e pronto, come tale determinante il
verificarsi di un danno a carico del cliente, costituisce il
fondamento della responsabilità contrattuale: responsabilità che
trova il suo presupposto nel contratto d’opera professionale
intercorrente tra cliente e professionista, dal quale deriva
l’obbligo, per quest’ultimo di consentire l’osservanza di quei
principi che s’intendono indispensabili per il conseguimento dei
risultati del cliente connessi al corretto svolgimento della
prestazione intellettuale.
La condotta del dottore commercialista può esser
considerata anche come fonte di responsabilità extracontrattuale
qualora tale condotta sia lesiva di un bene protetto dalla legge
indipendentemente dalla presenza di un vincolo contrattuale;
oltre all’inadempimento contrattuale, si determina la lesione di
un diritto primario177 cui è riconosciuta protezione aquiliana178.
La responsabilità extracontrattuale del professionista nei
confronti del cliente si verifica, perciò, quando l’inadempimento
177
Si riferisce alla situazione in cui un soggetto si trova rispetto ad altri, con riferimento a
quello che egli può fare per soddisfare un proprio interesse. Con diritto soggettivo, quindi,
si constata quella situazione un cui la tutela dei soggetti è più forte e più diretta. Alla base
vi è un’idea unitaria: con il diritto soggettivo la legge vuole tutelare direttamente un
soggetto, attribuendo a costui uno o più strumenti giuridici di attuazione e di difesa del suo
interesse. Sicché il titolare del diritto può chiedere al giudice un provvedimento a lui
favorevole dimostrando la lesione di questo interesse.
Non sempre, tuttavia, un interesse del soggetto è tutelato. Esistono interessi che non sono
tutelati in nessun modo. Ad esempio l’interesse ad ereditare il patrimonio di un parente
ricco non è protetto neppure a favore dei parenti prossimi, chiamati per legge. Difatti il
titolare potrebbe disporre per testamento a favore di estranei o potrebbe consumare il suo
patrimonio senza lasciare più nulla alla propria morte.
Non sempre, del resto, appare chiara la protezione prevista dalla legge. Prima della recente
legge sul trattamento dei dati personali si è molto discusso se si poteva parlare di un diritto
soggettivo alla privacy, cioè alla riservatezza della persona, distinto ed autonomo rispetto al
diritto all’immagine, o alla segretezza della corrispondenza che risultavano certamente
tutelati da norme apposite.
Talora l’interesse del privato riceve soltanto una tutela indiretta perché alla legge sta a
cuore, innanzitutto, la soddisfazione dell’interesse pubblico, ad esempio il candidato che
concorre per un pubblico impiego, il quale ha interesse a vincere il concorso, come
ciascuno dei partecipanti, ma questo interesse è subordinato all’interesse della collettività
affinché sia scelto il migliore. La possibilità di agire in giudizio concessa al cittadino
dipende dal fatto che il suo interesse coincide con l’interesse pubblico di cui la legge si
preoccupa principalmente. In questi casi non si parla di diritto soggettivo ma di interesse
legittimo, rispetto al quale è competente il giudice amministrativo.
178
V. D’ORSI, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1981, 17.
del professionista leda allo stesso tempo una situazione
soggettiva giuridicamente rilevante in sede aquiliana179.
Si prospetta in tal caso un concorso tra responsabilità
contrattuale e responsabilità extracontrattuale180, conseguente ad
un unico comportamento risalente, allo stesso soggetto ed ad un
unico avvenimento dannoso che sia lesivo, sia dei diritti derivanti
dall’altro contraente dalle clausole del contratto, sia dei diritti181 a
lui attribuiti a prescindere dal contratto.
179
L’illecito extracontrattuale o aquiliano (lex aquilia) si ha in tutti i casi, nei quali non si
viola un obbligo già sorto, ma una norma che impone a tutti e a ciascuno di non
danneggiare gli altri (neminem laedere). Il genere più rilevante di illecito extracontrattuale è
costituito, pertanto, dalla offesa di un bene inerente alla persona o attinente al patrimonio.
In linea generale si può dire che il danno è certamente ingiusto, allorquando risultano
violati dei diritti assoluti. All’infuori di tali casi la giurisprudenza si è forzata di individuare
altre ipotesi di ingiustizia del danno che non derivano dalla violazione di diritti assoluti, ma
la violazione di beni comunque protetti dalla legge. Ad esempio si parla di responsabilità
per false informazioni (da parte di chi non è obbligato a fornire dati esatti in base ad un
rapporto giuridico, ad esempio un contratto di consulenza, ma comunque, dicendo
colpevolmente cose non vere o inesatte, induce nei terzi un affidamento erroneo: si pensi ad
una banca, che descrive la situazione patrimoniale di un cliente come se fosse florida, si che
taluno è indotto a fargli credito, mente invece la persona in questione si trova in cattive
acque), oppure di responsabilità per lesione del credito da parte di terzi (quindi soggetti
diversi dal debitore, che con il loro comportamento impediscono a quest’ultimo di
adempiere regolarmente).
Diversamente per quanto riguarda l’inadempimento di un obbligo, che può provenire da
una parte sola, la violazione che cagiona un illecito extracontrattuale può avvenire per
opera di chiunque. Pertanto per agire contro il responsabile nell’illecito contrattuale
bisognerà dimostrare che era una obbligazione e che il debitore non ha adempiuto o ha
adempiuto male, mentre, nell’illecito extracontrattuale bisognerà dimostrare che vi era un
bene protetto dalla legge e che il comportamento del responsabile ha causato lesione.
180
Cass. 7.8.82, n. 4437, in RCP, 1984, 78.
181
Gli interessi che vengono tutelati attraverso lo strumento del diritto soggettivo si
possono dividere in due categorie. Da un lato vi è una situazione in cui il soggetto, per
godere di un bene e trarre da esso tutta l’utilità che gli serve, non ha bisogno della
collaborazione di alcuno. Anzi, ha interesse che gli altri soggetti se ne stiano alla larga,
senza creare disturbo, si pensi al bene rappresentato dall’integrità fisica, dal nome, etc. si
può dire che la soddisfazione del soggetto, in questo campo, prescinde da un
comportamento attivo di collaborazione altrui. Al contrario, si ha interesse che gli altri
soggetti non interferiscano in queste attività di godimento e si astengano da ogni possibile
violazione. La legge tutela questo tipo di interessi concedendo al titolare la possibilità di
respingere ogni offesa, proveniente da qualunque parte, e di ripristinare, per quanto è
Questa
convergenza
tra
i
due
differenti
tipi
di
responsabilità garantisce al creditore-cliente una più ampia
protezione182.
Ci si chiede, quindi che tipo di relazione s’instauri tra le
due responsabilità:
a) Se è possibile configurare ipotesi di cumulo
sostenendo che il cliente è danneggiato dall’opera
per lui eseguita dal professionista;
b) Se
a
riguardo
della
molteplicità
dei
criteri
d’imputazione, è in qualche modo limitato il
principio
dell’art.
2236
c.c.,
costringendosi
possibile, la situazione preesistente.ciò avviene attribuendo al soggetto, ad esempio, le
azioni petitorie, cioè poste a difesa della proprietà e le altre azioni, inibitorie, risarcitorie e
così via, poste a difesa dei singoli diritti. Si parla, in questo caso, di diritti assoluti, ovvero
di diritti tutelati “contro tutti”, jus erga omnes. Si può trattare di diritti di natura morale,
come il diritto all’onore, al nome ecc., ma anche di diritti di natura patrimoniale, come il
diritto di proprietà su di una cosa o il diritto di usufrutto, ecc.
Un diverso genere di tutela si richiede, invece, quando la soddisfazione dell’interesse di un
soggetto non può aversi senza l’attività di altre persone. Anche i diritti di questo tipo
possono concernere interessi di natura personale come interessi di natura morale, si pensi al
diritto del figlio in giovane età di esser educato e mantenuto dal proprio genitore, al diritto
di fedeltà di ciascun coniuge, al diritto alla restituzione del cosa che si è prestata, al ricevere
il pagamento come corrispettivo della merce. In tutti questi casi, poiché è necessaria la
collaborazione altrui, la tutela si attua obbligando un determinato soggetto a prestare la
propria opera costringendo, quindi, a realizzare il comportamento idoneo a soddisfare il
soggetto tutelato. Si parlerà. In questi casi, di diritti relativi, jus in personam, tenendo
presente che il legame fra le posizioni dei due soggetti, così intimamente correlate, prende
il nome di rapporto giuridico, ovvero relazione fra soggetti determinati, regolata dal diritto.
La lesione del diritto, quanto meno, la più rilevante è quella che deriva dal comportamento
dl soggetto obbligato, qualora egli non compia ciò che deve. La pretesa di ottenere il
comportamento dovuto, che spetta al soggetto tutelato, titolare della situazione soggettiva
attiva o soggetto attivo del rapporto, si rivolgerà infatti esclusivamente nei confronti
dell’atro soggetto, soggetto passivo del rapporto. Conseguentemente non si potrà
prospettare una violazione del diritto se non in quanto proveniente da un atto di
inadempimento del soggetto obbligato.
182
App. Roma, 6.9.83, in FI, 1983, I, 2838; App. Firenze, 29.8.63, in FI, 1964, I, 1484.
indirettamente
il
professionista
ad
utilizzare
maggiore attenzione e cautela in vista dei possibili
danni che la sua esecuzione potrebbe causare a terzi.
Secondo una recente dottrina esisterebbe comunque
un’area riservata alla responsabilità extracontrattuale. Si tratta di
considerare che, sotto il profilo funzionale, la responsabilità
contrattuale tende a sistemare le parti in una posizione migliore
di quella in cui si sarebbero diversamente trovate, mentre la
responsabilità aquiliana ha come scopo l’evitare che il colpito
cliente possa trovarsi in una posizione peggiore a causa
dell’atteggiamento lesivo del danneggiante183.
Quindi sarebbe possibile differenziare gli obblighi
accessori relativi all’esecuzione della prestazione poiché
indirizzati a renderla possibile od a potenziare l’utilità, da quelli
aventi come oggetto la tutela d’interessi diversi: solo al mancato
rispetto
dei
primi
sarebbe
associata
una
responsabilità
contrattuale; la garanzia dei secondi spetterebbe, invece alla
responsabilità extracontrattuale in concomitanza con quella
contrattuale.
183
V. CAFAGGI, Responsabilità del professionista, in Dig. Disc. Priv., XVII, Utet, Torino,
1997, 74.
La convenienza delle due forme di responsabilità, quindi,
ha permesso d’individuare il diritto al risarcimento di danni
derivanti da inadempienze d’obblighi non specificamente
riguardanti l’attività professionale desunta in contratto. Resta da
dire che mediante l’accoglimento della teoria dei doveri di
protezione, che fa rientrare negli obblighi del debitore,
utilizzando lo strumento della buona fede integrativa, il dovere di
proteggere la persona del creditore dai danni che ad essa possono
derivare a causa della prestazione, è possibile giungere allo
stesso risultato.
3.1.1
Applicabilità dell’art. 2236 c.c..
La giurisprudenza è pervenuta a conclusioni variegate si
afferma che l’art. 2236 trova applicazione oltre che in campo
contrattuale anche in quello extracontrattuale, in quanto è
previsto un limite di responsabilità per la prestazione della
attività dei professionisti, sia che operi nell’ambito del contratto e
costituisca perciò adempimento di un’obbligazione contrattuale,
sia che venga riguardata al di fuori in un rapporto contrattuale
vero e proprio e perciò come fonte di responsabilità
extracontrattuale. L’uso di tale soluzione si mostra migliore,
poiché evita la separazione tra i criteri d’imputazione soggettiva
ai quali il dottore commercialista vedrebbe legata la propria
responsabilità a seconda che si causi un danno al cliente o a terzi.
Si potrebbe, quindi, creare un legame con l’affermazione dell’art.
1176, 2° co., c.c. che regola in generale l’agire del professionista.
Il concorso tra le due responsabilità, nell’ambito della
responsabilità del dottore commercialista, porta ai danneggiati
vantaggi piuttosto circoscritti. I vantaggi in questione, in
conseguenza alla ritenuta ammissibilità delle due responsabilità,
incontrano, peraltro, un accomodamento nella norma di cui
all’art. 2236 cod. civ.
La giurisprudenza, da un lato, ritiene applicabile anche alla
responsabilità aquiliana la limitazione contenuta nella norma
citata, con la conseguenza che, nel caso di prestazione
professionale implicante la soluzione di problemi tecnici di
particolare difficoltà, il professionista intellettuale, dottore
commercialista, risponderà esclusivamente nel caso che egli si
trovi in uno stato di dolo o colpa grave184. Dall’altro la
qualificazione
dell’obbligazione
del
professionista
come
obbligazione di mezzi, porta la giurisprudenza ad equiparare,
sotto il profilo probatorio, la posizione delle parti nell’una e
nell’altra azione.
Diversa opinione viene invece manifestata dalla dottrina,
propensa a restringere l’applicabilità della norma di cui all’art.
2236 cod. civ. al solo campo negoziale, quale sede sua propria185.
L’estensione, anche alle ipotesi della responsabilità
aquiliana, della norma di cui all’art. 2236 c.c. importa che per il
cliente danneggiato la differenza pratica tra le due azioni si limiti
al solo termine di prescrizione: che per il risarcimento del danno
da fatto illecito è quinquennale186, mentre per il danno da
inadempimento contrattuale è quello ordinario. Oltre che al
danno risarcibile c’è chi ritiene che, in sede contrattuale, siano
risarcibili i soli danni derivanti dalla violazione del dovere di
prestazione e non quelli che, invece, discendano dalla violazione
di obblighi accessori.
184
V. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 81;
Cass. 26.3.90, n. 2428, in GI, I, 1, 600.
185
V. D’ORSI, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1981, 17.
186
Art. 2947 cod. civ..
3.1.2
La colpa extracontrattuale.
La dottrina187 e la giurisprudenza188 maggioritaria, ricavano
dall’ambito
penalistico
la
definizione
di
colpa
extracontrattuale189. Il codice civile non definisce né il concetto
di dolo né quello di colpa. Una definizione può, però, trarsi dalle
norme del codice penale, che provvedono ad identificare, in
187
V. ALPA, BESSONE, ZENO, ZENCOVICH, I fatti illeciti, in Tratt. dir. priv., diretto da
Rescigno, XIV, 2^ ed., Utet, Torino, 1995, 73; SALVI, Responsabilità extracontrattuale,
1223; BUSNELLI, Illecito Civile, in Enc. Giur. Treccani, XV, 1989, 8; FOCHIELLI, Il
problema della determinazione della colpa medica, in La responsabilità medina, collana
della rivista Responsabilità civile e previdenza, Giuffrè, Milano, 1982, 105-110;
RAVAZZONI, Diligenza, in Enc. giur. treccani, 1988, 5.
188
Esemplare appare Cass. 2488/1979 in Giurt. Civ., 1979, I, 2131: “la colpa in senso
tecnico giuridico consiste in un comportamento cosciente dell’agente che, senza volontà di
arrecare danno ad altri, sia causa di un evento lesivo per negligenza, imprudenza o
imperizia ovvero per inosservanza di regole e norme di condotta”.
189
Una parte della giurisprudenza e della dottrina arriva a configurare una nozione unitaria
della colpa. L’assimilazione della nozione di colpa extracontrattuale a quella della colpa
penale, è certamente legata da una dipendenza dell’illecito civile da quello penale.
Storicamente tuttavia la separazione è risalente e la codificazione ne costituisce concreta
testimonianza. Tra gli aspetti più problematici di questa impostazione è quello di non
riuscire ad individuare un limite, tra una diversità funzionale fra le responsabilità, e dunque
colpa, penale e quella civile e la conservazione di un’omogeneità strutturale della
definizione di colpa penale e civile. Infatti, mentre, si viene sottolineando la perdita di una
funzione repressiva della colpa civile, che, in alcune interpretazioni coinvolge anche
l’attenuazione della funzione preventiva, per sottolineare sempre più quella di
compensazione, si continua a ritenere valida la connotazione strutturale della colpa civile
mutata da quella della colpa penale. Uno dei problemi fondamentali di tale omologazione
attiene alla caratteristica della responsabilità penale, destinata ad operare attraverso una
struttura, che relega la rilevanza della posizione della vittima al tema del nesso di casualità
ed a quello della gravità della pena. Chi, seppure, in prima approssimazione, sostiene il
cambio della definizione della colpa penale nell’ambito extracontrattuale non ne accetta,
per lo più, i postulati soggettivistici, sottolineando da un lato l’evoluzione in senso
oggettivo della colpa penale, dall’altro la rilevanza delle distinzioni, tra penale e civile,
concernenti l’elemento soggettivo della colpevolezza. Pertanto la rilevanza della distinzione
tra responsabilità civile, per colpa, e responsabilità penale, sempre per colpa, verrebbe
espressa dall’elemento psichico della colpevolezza, rimanendo sostanzialmente omogeneo
l’elemento oggettivo della colpa-negligenza. Contraddittoria invece è la posizione di chi,
pur cambiando la definizione di colpa aquiliana da quella penalistica, finisce col definire il
modello di condotta alla luce del parametro della diligenza nell’adempimento ex art. 1176
c.c. La dipendenza della definizione della colpa extracontrattuale dalla definizione
penalistica ha poi comportato l’adesione della giurisprudenza e di gran parte della dottrina
civilistica alla nozione di colpa omissiva adottata da una parte della dottrina penalistica.
termini così generali da risultare estensibili, mutatis mutandis, ai
fatti illeciti civili, i caratteri comuni e caratteri distintivi del dolo
e della colpa com’elementi soggettivi del reato. Comune e
imprescindibile è la loro riferibilità ad un’azione od omissione
“commessa con conoscenza e volontà190”. La previsione e la
volontà dell’evento dannoso, da parte del professionista, “come
conseguenza della propria azione od omissione” è il carattere
distintivo del dolo. La mancanza di una volontà dell’evento
dannoso, e il verificarsi di quest’ultimo “ a causa di negligenza o
imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza delle leggi,
regolamenti, ordini o discipline191”, sono i caratteri distintivi
della colpa192.
L’analisi svolta sembra dimostrare gli esiti insoddisfacenti
cui conduce il dibattito sulla colpa extracontrattuale quando la si
renda dipendente da definizioni mutuate da altre aree del diritto
civile, nel caso di assimilazione con la colpa contrattuale, ovvero
del diritto penale, nel caso di assimilazione con la colpa penale.
Una prima conclusione cui l’indagine può pervenire è
quella della necessità dell’affermazione dell’autonomia della
190
Art. 42, 1° co., c.p..
Art. 43, 1° co., c.p..
192
V. BUSNELLI, Illecito Civile, in Enc. Giur. Treccani, XV, 1989, 8.
191
colpa extracontrattuale sia dalla colpa penale che da quella
contrattuale. In tal senso sembrano rilevare sia argomenti
concernenti la funzione/posizione della colpa nell’ambito del
giudizio di responsabilità sia argomenti fondati sulla struttura
della stessa colpa extracontrattuale.
3.1.3
Evoluzione
del
rapporto
tra
diligenza
e
colpa
extracontrattuale.
Una parte della dottrina definisce la colpa extracontrattuale
come mancata previsione e/o prevenzione dell’evento. In
quest’ambito si deve distinguere tra chi propone l’adozione di un
criterio soggettivo e chi propende per uno oggettivo nella
valutazione della condotta193; in quest’ultimo contesto si
distingue tra chi predilige un parametro astratto e chi ritiene
trattarsi di un criterio concreto legato ad elementi circostanziali.
Come precedentemente rilevato, la colpa viene altrove
inquadrata come contrarietà alle regole di diligenza, prudenza e
perizia o semplicemente come mancanza di diligenza. Il
193
V. ALPA, BESSONE, ZENO, ZENCOVICH, I fatti illeciti, in Tratt. dir. priv., diretto da
Rescigno, XIV, 2^ ed., Utet, Torino, 1995, 73
contrasto tra le due impostazioni dipende, a ben vedere, dalla
definizione di diligenza, prudenza e perizia; esso risulta
seriamente
ridimensionato
quando
si
configurino
questi
parametri come criteri attraverso cui definire il dovere di
prevedere e di prevenire il danno.
In una diversa prospettiva si è definita la colpa come
creazione di un rischio ingiustificato che sussiste quando l’utilità
sociale del rischio creato ed il costo di rimozione siano superiori
al rischio creato194. Si ritiene opportuno a tal fine valutare le
qualità superiori ed inferiori del danneggiante e, in questo caso è
preferito uno standard soggettivo.
Altri hanno fatto riferimento al rischio definendo
negligente l’azione con cui coscientemente un soggetto espone
beni giuridici ad un rischio eccedente la misura consentita195.
Secondo diversa concezione la colpa extracontrattuale si
riferisce alla creazione di una situazione di pericolo prevedibile
da chi la pone in essere. In tale quadro si predilige una
valutazione di tipicità, tale per cui costituisce condotta colposa
solo quella produttiva della situazione di pericolo ad essa
194
V. TRIMARCHI, Illecito, cit., 99.
V. CIAN, Il nuovo capo XIV-bis del codice civile, sulla disciplina dei contatti con i
consumatori, in Studium iuris, 416.
195
abitualmente riconducibile. Al nesso di casualità è invece affidata
la funzione di selezionare gli eventi dannosi che hanno
contribuito alla concretizzazione della situazione di pericolo.
Un diverso criterio di delimitazione del dovere di
prevedere e prevenire il danno è quello fondato sullo scopo della
norma violata. Attraverso l’individuazione dello scopo della
norma violata vengono definite le situazioni giuridiche protette,
delimitando in tal modo l’estensione dell’onere di precauzione.
La giurisprudenza utilizza in particolare tale criterio con
specifico riguardo all’ipotesi di norme a contenuto rigido quando
lo scopo della prescrizione sia diretto alla tutela di un interesse
diverso da quello leso196.
3.1.4
La valutazione soggettiva della colpa.
Di recente si è proposta una definizione della colpa che
tenga conto delle superiorità ed inferiorità soggettive. Tali
elementi inciderebbero sulla valutazione comparativa della
posizione del dottore commercialista e del cliente potendo, ad
esempio,
196
comportare
Cass. 29.1.92, n. 587.
l’esonero
della
responsabilità
del
professionista anche in ipotesi in cui l’interesse del leso sia
socialmente più meritevole di quello perseguito da chi ha posto
in essere l’attività dannosa.
Con specifico riguardo alla prevedibilità si è proposto,
sulla scia di una posizione affermatasi in ambito penalistico, che
la misura del dovere di previsione vada calibrata sul valore e
sull’entità dei beni giuridici potenzialmente esposti. Sennonché
in tal modo si dà per acquisita quell’informazione, valore ed
entità del bene esposto all’attività lesiva, il cui conseguimento
costituisce lo scopo principale del dovere di previsione ovverosia
quali siano, che valore ed entità abbiano, i beni esposti al
pericolo generato dall’attività lesiva. Se il dottore commercialista
conoscesse tali grandezze gran parte del problema connesso alla
prevedibilità sarebbe risolto.
La giurisprudenza predilige una definizione della colpa
quale mancata previsione dell’evento prevedibile e/o mancata
prevenzione dell’evento evitabile. Si tratta di criteri definiti
generalmente secondo parametri obiettivi seppure non mancano
pronunce tendenti a soggettivizzare i doveri di condotta197.
197
Cass. 11.10.83, n. 5896.
Ai fini della definizione di imprevedibilità ed inevitabilità
le Corti ricorrono spesso alla utilizzazione del caso fortuito e
della forza maggiore. Di recente, tuttavia, la Corte Costituzionale
è sembrata adottare un criterio di prevedibilità in concreto al fine
di negare la responsabilità nell’ipotesi di mancanza ovvero di
prevedibilità in astratto.
Nella giurisprudenza di merito si procede ad una
tipizzazione di ciò che costituisce evento prevedibile e
prevenibile198.
3.1.5
La prova.
Quando non si trovi in ipotesi di prestazioni di facile
esecuzione, il creditore che agisca in via contrattuale è, in ogni
caso, tenuto a provare oltre al danno, la violazione dei doveri
inerenti allo svolgimento dell’attività professionale ed il nesso
causale tra la suddetta inadempienza ed il danno stesso199.
Un’anzidetta osservazione porterebbe ad rimuovere le
differenze di regime probatorio rispetto alla responsabilità
198
Pret. Roma, 11.5.73, RFI, Resp. Civ., 1974, n. 125.
Cass. 2.8.73, n. 2230, GC, 1973, I, 1864; Cass. 10.5.61, n. 1112, FI, 1962, I, 510; Cass.
28.4.61, n. 961, FI, 1962, I, 510.
199
extracontrattuale. Più volte, infatti, si è specificato che tale
uguaglianza non può esser portata al limite di sostenere che il
creditore-cliente debba provare anche la colpa del dottore
commercialista e tanto meno che quest’ultimo possa liberarsi
dimostrando semplicemente di aver assunto comportamento
diligente.
L’applicazione dell’art. 1218 c.c. alla caratteristica
strutturale della obbligazioni di mezzi conferisce al creditore il
compito di provare l’inadempimento oggettivo, cioè l’irregolarità
del comportamento, restando onere del debitore provare di non
aver potuto esattamente adempiere per fatto a lui non
imputabile200.
Una volta qualificata l’obbligazione201 del professionista
come obbligazioni di mezzi e non di risultato, e quindi come
obbligazione il cui adempimento va determinato alla stregua dl
principio di diligenza, per far valere in giudizio la sua
responsabilità contrattuale, il cliente non potrà limitarsi a
dimostrare l’evento dannoso, ma dovrà altresì provare sia il nesso
causale tra l’evento ed il comportamento del professionista, sia
200
Cass. 1.2.91, n. 977, GI, 1991, I, 1, 1379.
V. COLOMBINI, La responsabilità del professionista, in ARP, 1967, 981; TUNC,
1947-48, 126; CELLINO 1966, 30.
201
soprattutto che quest’ultimo non ha adempiuto il proprio obbligo
di prestare i mezzi tecnici idonei, o li ha prestati con imperizia o
negligenza; il professionista poi, dal canto suo, una volta
intervenuta la dimostrazione di ciò, potrà avvalersi della prova
liberatoria consistente nel dimostrare che l’imperfetta esecuzione
della prestazione è dovuta a causa a lui non imputabile202. Con
ciò la colpa del professionista non viene individuata in re ipsa,
richiedendosi al cliente sempre e nonostante la natura
contrattuale della responsabilità la prova della colpa del
debitore203.
D’altra parte, la recente dottrina ha osservato come,
soprattutto nel settore della responsabilità medica, si sia
realizzato un processo d’osmosi tra responsabilità contrattuale ed
extracontrattuale. Se da un lato, infatti, la prova della inadeguata
prestazione professionale da parte del professionista, come pure
la prova del nesso tra condotta ed evento sembrano dar luogo
all’applicazione alla responsabilità contrattuale di regole
202
V. FORTINO, La responsabilità civile del professionista. Aspetti problematici, Milano,
1984, 108; CARUSI, Responsabilità del medico e obbligazioni di mezzi, in RaDC, 1991,
601.
203
V. PRINCIGALLI, La responsabilità del medico, Novene, Napoli, 1983, 161; Cass.
28.4.61, n. 961, in FI, 1962, I, 510; Cass. 2.8.73, n. 2230, in GC, 1973, I, 1864; App.
Napoli, 6.4.82, in AC, 1982, 740; App. Firenze, 20.9.66; Cass. 18.5.75, n. 2439, in GC,
1975, I, 1389.
tipicamente aquiliane; dall’altro, la prova liberatoria gravante sul
professionista,
anche
in
ipotesi
di
responsabilità
extracontrattuale, consiste nella dimostrazione dell’impossibilità
sopravvenuta e della sua non imputabilità, se non addirittura nel
fortuito, con conseguente assorbimento di una principio
caratteristico della responsabilità contrattuale.
3.2
LA RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE
VERSO IL TERZO.
Secondo i criteri della responsabilità extracontrattuale, il
professionista che, nell’attuazione della propria attività, ha
provocato danni a terzi estranei al rapporto d’opera intellettuale è
chiamato a rispondere nei loro confronti. Questo accade quando
il contratto d’opera concluso dal professionista sia considerato
nullo per contrarietà a norma imperativa204.
204
Il contenuto della norma può essere vario: talora essa qualifica un fatto giuridicamente
rilevante, o qualifica un soggetto in relazione ad altri soggetti o in relazione ad un’attività
da lui svolta. Tali qualifiche costituiscono il presupposto che consente poi di applicare altre
norme giuridiche. Altre volte la previsione normativa è fonte immediata di una situazione
giuridica che tutela un soggetto, ad esempio chi subisce un danno ingiusto ha diritto al
La Cassazione sostiene che il dottore commercialista
risponde in via extracontrattuale dei danni arrecati ai terzi in
conseguenza dell’attività da lui esercitata contra legem, nulla
rilevando che il contratto d’opera tra di lui ed il cliente sia
nullo205.
Sarà configurabile un illecito aquiliano, oltre quando
l’attività del dottore commercialista pregiudichi situazioni non di
pertinenza del cliente, quando l’attività professionale costituisca
l’adempimento di una pubblica funzione206. Accade, infatti, che il
comportamento del professionista leda l’altrui diritto assoluto di
non subire pregiudizi rilevanti per legge, a prescindere
dall’esistenza di un vincolo contrattuale. Si determina allora le
lesione di un diritto primario, e il danno derivate sarà regolato
alla stregua della responsabilità aquiliana.
risarcimento del danno nei confronti del responsabile dell’illecito, art. 2043, o regola gli
effetti giuridici dell’attività dei privati, ad esempio il contratto ha forza di legge tra le parti,
art. 1372. Nell’ambito dei precetti giuridici vale la distinzione tra: norme imperative,
quando la regola che viene dettata dalla legge non può essere derogata dai privati, norme
dispositive, quando la regola è destinata ad un’applicazione generale, ma è ammessa la
modifica da parte degli interessati, e norme suppletiva, allorquando la legge prevede
innanzitutto che la regola sia creata dai privati e detta un comando che supplisce alla
mancanza di un atto di disposizione dell’interessato.
205
Cass. 20.11.70, n. 2448, RFI, 1971, Professioni intellettuali, 27.
206
Cass. 24.5.81, n. 5882, DF, 1991, II, 674, Con riguardo alla responsabilità del curatore
fallimentare.
3.2.1
Ipotesi di responsabilità extracontrattuale.
Le
ipotesi
di
responsabilità
extracontrattuale
del
professionista verso i terzi, a dir la verità, non sono molto
frequenti. Questo deriva dal fatto che i danni causati dal dottore
commercialista ai terzi nell’esecuzione della propria opera, il più
delle volte, sono danni meramente patrimoniali, indubbiamente
risarcibili in sede contrattuale, non ugualmente in via aquiliana,
essendo in questo campo necessaria la violazione di una
situazione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento.
Va considerato, peraltro, che un ampliamento della tutela
potrebbe esser assicurato utilizzando la figura del contratto con
effetti di protezione verso i terzi, ove sussista in contemporaneo
la lesione dell’interesse leso della parte contraente e quello del
terzo. Rimane invece alla responsabilità extracontrattuale il
compito
di
tutelare
il
terzo
da
rischi
derivanti
dall’inadempimento contrattuale connessi alla lesione di diritti
preesistenti207.
L’ipotesi di gran lunga più frequente di riconoscimento
della responsabilità extracontrattuale del professionista è quella
nella quale quest’ultimo presti la propria opera nei confronti di
un soggetto verso il quale egli non è direttamente obbligato208.
Tuttavia la responsabilità del dottore commercialista verso
i terzi non è obbligatoriamente legata all’esplicazione di
un’attività di tipo professionale, in quanto essa può sorgere anche
in presenza di incarichi di diversa natura. La Cassazione, infatti,
ha identificato, la responsabilità extracontrattuale del curatore
fallimentare nei confronti del creditore, per aver, dopo la revoca
fallimentare, anziché restituito la somma all’Istituto di credito,
consegnato la somma all’ex fallito209.
207
V. CAFAGGI, Responsabilità del professionista, in Dig. Disc. Priv., XVII, Utet, Torino,
1997, 84
208
Di regola, è quel che avviene per i medici dipendenti di un ospedale, di una casa di cura,
di un’università o di un’altra struttura sanitaria pubblica o privata, dove in questi casi il
paziente non contratta direttamente con il professionista, ma si indirizza al direttore
sanitario o altri soggetti responsabili dell’organizzazione che possono non coincidere con il
medico che verrà ad eseguire l’opera. L’orientamento a tal proposito della giurisprudenza è
interessante: sia l’ente che il medico vengono ritenuti responsabili dei danni derivati dalla
inesatta esecuzione della prestazione, ma il primo risponde a titolo di responsabilità
contrattuale, il secondo a titolo di responsabilità extracontrattuale. Cioè solo l’ente
ospedaliero, l’università o la casa di cura concludano un contratto d’opera con il ricoverato,
obbligandosi ad eseguire le prestazione mediche necessarie a mezzo dei propri dipendenti.
209
Cass. 8.11.79, n. 5761, GC, 1980, I, 340.
3.2.2
L’applicabilità nei confronti dei terzi dell’art. 2236 c.c..
Sia in dottrina che in giurisprudenza ritengono che l’art.
2236 c.c. produca l’effetto della restrizione di responsabilità,
soltanto in relazione al rapporto professiosta-cliente210. Questa
affermazione resta valida nel caso in cui il cliente fa valere la
responsabilità extracontrattuale del professionista211. L’art. 2236
ha la capacità delimitata al complesso di elementi in cui è
inserito, cioè la responsabilità del prestatore d’opera intellettuale
nei riscontri del committente, e non è trasferibile nell’ambito nel
quale è richiesto a salvaguardia dei diritti dei terzi il rispetto di
determinate norme di comportamento212.
L’accettare questo orientamento dà luogo ad una
bipartizione delle regole alle quali il dottore commercialista deve
informare il proprio comportamento a fronte di problemi tecnici
complessi: nei confronti del cliente, difatti, la diligenza richiesta
210
V. D’ORSI, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano, 1981, 15-50.
V. VIGOTTI, La responsabilità del professionista, in La responsabilità civile, diretta da
Alpa e Bessone, IV, Utet, 1987, 263; Cass. 8.11.79, n. 5761, GC, 1980, I, 340.
212
Cass. 8.11.79, n. 5066, GC, 1980, 343.
211
sarebbe quella del professionista medio, nei confronti del terzo,
invece, il professionista avrebbe l’obbligo di apprestare tutti le
accortezze più utili a scongiurare la possibilità di un difetto a
terzi. Ove venga in questione la soluzione di problemi tecnici di
speciale difficoltà, il dottore commercialista si troverebbe a
rispondere solo a titolo di dolo o di colpa grave nei confronti del
proprio cliente, e pure a titolo di colpa lieve verso i soggetti
estranei al rapporto.
Secondo un principio stabile, è accettato il concorso tra
responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale,
anche per il dottore commercialista, che nell’esecuzione
dell’incarico leda i diritti rilevanti ex artt. 2043 ss. c.c.213.
213
Cass. 13.11.79, n. 5699, RCP, 1980, 427, Cass. 17.3.81, n. 1544, RFI, 1981, RC, 44.
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