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MULTUM IN PARVO
«Disse che la casa gli era indispensabile per terminare il poema, perché in un angolo
della cantina c’era un Aleph. Spiegò che un Aleph è uno dei punti dello spazio che
contengono tutti i punti. […] “Si, il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i
luoghi della terra, visti da tutti gli angoli. Non rivelai a nessuno la mia scoperta ma vi
tornai ancora…”.»
J.L. Borges, L’Aleph, 1949
L’intero lavoro di Giorgio Milano è avvicinabile ad una ricostruzione critico-estetica del rapporto
tra visibile e invisibile. Ma quest’ultimo non appartiene alla sfera della non scienza, del non
spiegabile perché affioramento di energie sotterranee agitate da forze oscure. In effetti non bisogna
ricorrere per spiegare la presenza del non visibile a X Files o a potenze ctonie o notturne, basta
rivolgersi alla scienza che nel Novecento ha avuto numerose rivoluzioni che ne hanno spostato le
fondamenta. In effetti uno dei paradigmi del lavoro di Milano, uno dei suoi referenti culturali, è
proprio l’immaginario epistemologico. La fisica quantistica ha alla sua base l’idea che la certezza
che conoscevamo legata al sapere scientifico, non ha una linearità razionalista, ma assume i tratti
aleatori dei processi stocastici. Le particelle atomiche e quelle subatomiche che continuano ad
essere scoperte, non sono visibili in sé, ma se ne riscontrano le tracce, i passaggi probabilistici con
strumenti molto sofisticati come i sincrotroni. Soprattutto la meccanica quantistica ha stabilito che
problemi storici della fisica come l’antitesi tra la teoria corpuscolare della luce e quella ondulatoria,
non sono risolvibili in via definitiva e assertoria. La luce può essere composta da onde o particelle a
seconda dell’osservatore e del tipo di osservazione, quindi nelle teorie scientifiche si sono introdotti
dei parametri di indeterminatezza sconosciuti fino agli anni ’20 del secolo scorso.
L’interesse di un artista come Giorgio Milano per tematiche scientifiche va proprio nella direzione
di confrontare un proprio immaginario con un universo in costante movimento. C’è anche la
tentazione di concentrare nel proprio lavoro, sulla tela da dipingere, un punto di vista che in qualche
modo sintetizzi le idee accumulate, oltre alla conoscenza dei paradigmi scientifici che ampliano e
modificano la nostra visione dell’universo. In fondo siamo tutti calati nell’immaterialità amniotica
dello spazio-tempo. Magari la disattenzione del quotidiano apre a delle possibilità di isolamento o
d’indipendenza che in effetti non esistono. Il non visibile per Milano è proprio l’universo tenuto
insieme dalle quattro forze o interazioni fondamentali (gravitazionale, elettromagnetica, nucleare
debole e nucleare forte) che condizionano da sempre tutta la vita dell’uomo, anche se questo non se
ne accorge. Allora la sua pittura definibile per convenzione “astratta”, ha in sé l’idea che anche
l’arte che dipende da sempre dall’osservatore (Boccioni, Duchamp, etc.) possa diventare un
territorio di sintesi di paradigmi scientifici ed estetici. I suoi lavori possiedono una verità che non è
spiegabile in termini di metafora della scienza come in artisti le cui immagini rispecchiano quelle di
visioni scientifiche e strumentali di cellule, neuroni, viste alla luce di un microscopio elettronico.
Giorgio Milano non si abbandona mai alla rappresentazione. Non vuole creare una specularità tra il
mondo cellulare, anatomico, biologico e delle immagini che in qualche modo l’arte ruba per
portarle dentro l’universo dell’esperienza estetica. Milano vuole creare un nuovo punto di vista in
cui il quadro non è uno specchio sull’universo della fisica quantistica, ma ne costituisce una parte
importante proprio perché è una lente che fa convergere i raggi che dalla realtà convergono sulla
superficie.
In questo certamente un pensiero va all’Aleph protagonista di un celebre racconto di Jorge Luis
Borges. Si tratta di trovare un punto di convergenza di tutte le cose che però restano distinte, non si
sovrappongono né confondono. La pittura in questo caso focalizza la diversità insopprimibile del
mondo, il suo avere origine dalla casualità degli atomi magari per darle un ordine immanente ma
provvisorio. Giorgio Milano si fa lui stesso Aleph, punto di incontro del visibile e del non visibile,
intersezione tra il perdersi e ritrovarsi. La sua pittura anche se porta dentro di sé i paradigmi della
meccanica quantistica perché parte della cultura dell’artista, ha in sé anche i germi della trance,
dell’artista che diventa sciamano e interpreta il mondo per una necessità interiore. Milano dipinge
stendendo la tela in piano, la usa come un supporto (quasi) scrittorio, alimentando in fondo l’idea
che il mondo si forma mentre viene de/scritto. Una semiosi ad libitum e che fa nascere altri segni in
una proliferazione illimitata ma sempre lucida e controllata. Sullo sfondo c’è una visione del mondo
in cui la complessità riflette l’essenza della trasformazione, dell’irripetibile che succede
all’irripetibile. Non ci sono regolarità che confortino le certezze. Il Caos ha delle leggi che lo
governano senza cessare di essere tale, è il riflesso di una differenza tra le condizioni iniziali e
quelle finali. La matematica studia le catastrofi e le visualizza in immagini, anche ciò che sembra
impossibile da disciplinare e prevedere, possiede un sostrato di conoscibilità. Per questo l’arte di
Giorgio Milano non si pre/occupa della rappresentazione dell’universo della scienza che possiede
già di suo, uno sviluppato quanto consolidato immaginario. Ne cerca le essenze, le proprietà
quantiche nascoste per porre la sua pittura dentro un processo universale che ha dei coaguli, degli
addensamenti di forma e colore che fanno di quel quadro un punto di vista assoluto e transitorio.
Questo è l’Aleph, prima lettera cabalistica della lingua sacra ebraica che sta per la divinità illimitata
e pura, orizzonte di eventi che concentra il molto, se non il tutto. Questa è l’arte quando viene
portata a livello di una gnoseologia contemporanea che non rinuncia a porsi sullo stesso piano della
scienza perché i segni generano altri segni, le immagini altre immagini. Tutto nietzschianamente
ritorna, il caos partorisce l’equilibrio e l’equilibrio farà nascere il suo opposto, perché il tempo è
assoluto come l’arte, mentre a noi umani non resta che vivere la relatività dell’Esserci.
Valerio Dehò
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