Il clero bresciano e l`Unità d`Italia

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LA VOCE DEL POPOLO
27 ottobre 2011
CULTURA
E COMUNICAZIONE
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Dalla prolusione esce
la natura del clero
bresciano: laborioso
e pratico, a fianco
della gente;
possessore in
profondità del valore
dell’Unità d’Italia nella
dimensione spirituale
Studio teologico Paolo VI Inaugurazione dell’anno accademico
Il clero bresciano
e l’Unità d’Italia
L’intervento di don Mario Trebeschi racconta il contesto storico italiano per calarsi
in maniera diretta nella storia di Brescia: a fianco della gente e dei suoi problemi
DI GIOVANNI FORMICHELLA
P
er l’apertura dell’anno teologico del nuovo Seminario è stata scelta una tematica storica: il compito
di svolgere la prolusione è
stato affidato a don Mario Trebeschi,
che ha parlato dell’Unità d’Italia in relazione alla chiesa e al clero bresciani.
Il relatore ricorda che il processo di
unificazione, nei suoi momenti cruciali, per i cattolici, è problematico:
presenta sia aspetti negativi, sia aspetti positivi. Infatti, da una parte, essi
sono emarginati, attraversano fasi di
forte tribolazione e di lacerazioni interne; da un’altra parte, i cattolici sono tra i protagonisti delle fasi risorgimentali e, nella maggior parte dei
casi, difendono l’Unità d’Italia.
In particolare, il clero bresciano vive
il travaglio dei moti risorgimentali, è
calato nella realtà sociale e politica,
non è certo indifferente al processo
dell’unificazione. Esso, però, si lacera
per la questione del potere temporale
del papa, come tutto il clero italiano:
DON OVIDIO VEZZOLI, DON MARIO TREBESCHI E IL VESCOVO LUCIANO MONARI
Il clero bresciano
partecipa ai conflitti:
ci sono alcuni sacerdoti
volontari nella guerra
del 1848, preti
benedicono il tricolore
si verifica una spaccatura tra gli “intransigenti”, coloro che non accettano tale ipotesi, e i “transigenti”, più
liberali, che constatano che è ormai
inevitabile approdare alla fine del
potere temporale. I primi non vedono bene neanche la nascita del nuovo stato e i nuovi rapporti tra Stato e
Chiesa; i secondi vogliono avviare un
percorso di reciproco riconoscimento e di conciliazione. Questa frattura
durerà a lungo e si concluderà definitivamente solo nel 1929, con i Patti
Lateranensi.
Trebeschi approfondisce tutti i principali passaggi del Risorgimento, in
cui si nota la presenza attiva del clero
bresciano. A partire dal 1821, quando
il governo austriaco già esprime un
giudizio critico verso una parte della
Chiesa bresciana e lo stesso vescovo Nava.
Nel 1848 inizia la fase decisiva del
processo storico. Il clero bresciano
partecipa ai conflitti: ci sono alcuni
sacerdoti volontari nella guerra del
1848; si segnalano casi di preti che
benedicono, durante la messa, il tricolore. Nel Comitato insurrezionale ci
sono vari sacerdoti, tra cui il rettore
del Seminario don Pietro Tagliaferri.
Durante le “Dieci giornate” del 1849,
emergono anche alcuni sacerdoti,
come don Pietro Boifava. Gli austriaci, dopo la restaurazione, effettuano
forti controlli sulla Chiesa bresciana,
dove viene nominato vescovo Verzeri. Gli anni più drammatici sono proprio quelli dell’unificazione, il 1860 e
il 1861, in cui la Chiesa si divide: Pio
IX scomunica gli invasori dello Stato
pontificio e la questione della fine del
potere temporale diventa ancora più
lacerante per la Chiesa. A Brescia, ricorda Trebeschi, don Antonio Salvoni fa un appello al clero, in cui afferma che il potere temporale del papa
deve essere messo in discussione e,
così, si scontra col vescovo Verzeri.
In seguito, il governo impone alcune
feste, come quella dello Statuto, per
cui il clero deve celebrare in chiesa
tali ricorrenze. Il vescovo di Brescia
si rifiuta di seguire tale ordine; in varie parti d’Italia ci sono arresti di sacerdoti disobbedienti. La frattura tra
i cattolici si aggrava, dopo il “non expedit” del 1874 di Pio IX, in cui il papa invita i cattolici a non partecipare
alla vita politica dello Stato italiano.
Nel 1878, però, è pubblicato a Brescia
il giornale “Il cittadino”, con mons.
Capretti e Giorgio Montini, padre del
futuro papa, che insiste sulla conciliazione tra Stato e Chiesa. Negli anni
seguenti, la strada del dialogo e della
riconciliazione sarà quella dominante.
In conclusione, da questa analisi sto-
rica emerge la vera natura del clero
bresciano. In primo luogo, la sua operosità, il suo spirito pratico: esso è laborioso, entra nel “mondo della vita” e
vuole capire i problemi concreti delle
persone. Inoltre, la Chiesa bresciana
mostra di possedere in profondità il
valore dell’Unità d’Italia, non sul terreno della politica, ma nella dimensione spirituale, costituita da valori, pensieri, sentimenti. La vera unità di una
nazione si fonda sulla sostanza spirituale di un popolo, non sugli interessi
economici, materiali, fiscali. Questo
messaggio, che proviene della Chiesa
bresciana di 150 anni fa, per noi oggi,
è veramente prezioso e attuale.
La vera unità di una
nazione si fonda sulla
sostanza spirituale di
un popolo, non sugli
interessi economici,
materiali e fiscali
FAMIGLIA
A CURA DI PAOLA BOTTINELLI
La sentenza Ue sulle cellule staminali
Non è brevettabile un procedimento che,
prelevando cellule staminali ricavate da un
embrione umano nello stadio di blastocisti,
comporti la distruzione dell’embrione stesso. È, in sintesi, quanto stabilito il 18 ottobre
dalla Corte di giustizia dell’Unione europea
nella sentenza sul caso C-34/10. La Corte di
Lussemburgo era chiamata a esprimersi in
merito alla domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dalla Corte federale tedesca
di Cassazione cui si era appellato il ricercatore
tedesco Oliver Brüstle dopo la dichiarazione
di nullità di un suo brevetto, relativo alla produzione di cellule progenitrici ricavate da cellule staminali embrionali umane, da parte del
Tribunale federale tedesco competente. L’avvocato generale della Corte,Yves Bot, aveva
confermato la nullità del brevetto ribadendo
la “non brevettabilità” delle cellule staminali
embrionali. In sede di esame della nozione di
“embrione umano”, mancante nella direttiva 98/44/Ce sulla protezione giuridica delle
invenzioni biotecnologiche, la Corte precisa
che in base “a un’interpretazione giuridica
delle pertinenti disposizioni della direttiva”,
il contesto e la finalità di quest’ultima “rivelano che il legislatore dell’Unione ha inteso
escludere qualsiasi possibilità di ottenere un
brevetto quando il rispetto dovuto alla dignità umana può esserne pregiudicato”. Ne
risulta che “la nozione di ‘embrione umano’
deve essere intesa in senso ampio”. Secondo i giudici, “sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere
considerato come un ‘embrione umano’, dal
momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere
umano”; “deve essere riconosciuta questa
qualificazione di ‘embrione umano’ anche
all’ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana
matura e all’ovulo umano non fecondato indotto a dividersi e a svilupparsi attraverso
partenogenesi”. La Corte spiega che “accordare a un’invenzione un brevetto implica lo
sfruttamento industriale e commerciale della
stessa”. ”Una definizione ampia e scientificamente solida dell’embrione umano” e “una
pietra miliare nella protezione della vita umana nella legislazione europea” è il commento della Comece (Commissione episcopati
Comunità europea). Osservando che la Corte “era chiamata a dare una chiara interpretazione giuridica della nozione di embrione
umano”, la Comece condivide quella offerta
dai giudici e la definisce “ampia e scientificamente solida”. Positivo il divieto di brevettare
il prelievo di una cellula staminale da un embrione comportando la distruzione dell’embrione. La Comece sottolinea l’impulso che la
sentenza potrebbe imprimere “allo sviluppo
della ricerca scientifica su fonti alternative”,
rimasta “nell’ombra della ricerca sulle cellule
staminali embrionali umane”, e avverte che
“l’uso di cellule staminali adulte derivate dal
sangue del cordone ombelicale” in alcuni casi
“offre importanti prospettive per la medicina
rigenerativa” e gode di ampia accettazione a
livello scientifico ed etico.
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