Il Paradiso degli Orchi: Però un paese ci vuole

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Il Paradiso degli Orchi: Però un paese ci vuole
15/02/13 14.59
RECENSIONI
Giovanna Grignaffini
Però un paese ci vuole
La lepre edizioni, Pag. 400 Euro 18,00
Un paese ci vuole. Ma ci vuole anche pazienza. Pazienza e tempo, perché le pagine sono tante e fitte. E perché all’inizio c’è un
po’ di fatica ad ambientarsi in una storia che sembra bastare a se stessa, chiusa proprio come la gente di paese, che mal tollera
intrusioni e corpi estranei. Ma se si persiste, alla fine questa specie di autoreferenzialità diventa un pregio. Si impara a
conoscere le tipologie, i rituali, a condividere il lessico. Si entra nel gruppo dei protagonisti, che è un’altra comunità chiusa
all’interno della comunità paesana: è la generazione di quelli che nel ’68 avevano vent’anni, e che tornano insieme per
interrogarsi sul senso del loro passato e del loro essere nel presente.
Il ’68 non è mica successo nel ’68, mentre accadeva. Ma dopo, è successo dopo, alla fine, quando tutti hanno detto che era
successo il ’68. Ma noi che eravamo lì, nel bel mezzo del ’68, non ce ne siamo mica accorti.
Il pretesto è il ritorno della protagonista a Fontanellato (un paese vero, non di fantasia, della provincia di Parma). Dopo molti
anni di assenza vuole scoprire chi si nasconde dietro le misteriose buste gialle vuote che le vengono regolarmente inviate da
diverse località d’italia. Un’intuizione la porta a ripartire dal luogo dove tutto ha avuto origine.
Studiosa di cinema, l’Autrice dissemina i riferimenti come le molliche di Pollicino, per tracciare una via. Le citazioni sono tante.
Come ‘I vitelloni’ di Fellini, che ben s’intona all’accidiosa vita di paese. Ma soprattutto è ‘Il grande freddo’ di Lawrence Kasdan a
dare una chiave di lettura. Il libro è anche un’antologia di rievocazioni musicali, indispensabili per ricostruire l’antropologia di
una generazione.
Francesca e i suoi amici sono consapevoli della necessità di un rito di chiusura, che serve a prendere congedo dagli anni ’60.
Come se le loro vite si fossero bloccate in un interrogativo che impedisce loro di accedere al futuro, o di vivere il presente in
modo pieno. Per quanto alcuni si siano allontanati, per quanto si sia cercato di costruire qualcosa, una specie di incantesimo li condiziona. Anche gli amori
di gioventù gravano ancora come dilemmi non risolti.
Complice l’afa estiva della Bassa parmense, complice la nebbia che spesso avvolge le cose, Francesca bighellona con la sua comitiva di un tempo fra
paese e dintorni, con frequenti soste allo storico Bar Centrale, che insieme al Bar Sport è uno dei luoghi topici di Fontanellato. Insieme rievocano i momenti,
le musiche, le lotte studentesche, ma soprattutto contemplano e riconfermano l’affresco corale dove, come succede in una comunità collaudata, ognuno ha
un ruolo e un repertorio. Così Carlo, il filosofo del gruppo, ha il compito di concludere ogni loro incontro con una delle sue “massime capitali”: un aforisma
che di volta in volta sancisce un principio, o stimola una riflessione, o apre un interrogativo in forma di enigma. Esemplare è la sua lettura esistenziale del
ruolo del portiere di calcio.
- Il portiere è l’unico giocatore in campo a poter credere di essere onnipotente senza colpa(…)Il portiere non può coltivare l’amicizia, perché anche gli
amici più fidati finiscono sempre per tradirlo, prima o poi, con un’autorete (…) Il compito affidato al portiere è sempre superiore alle sue forze e si
ripropone sempre identico a se stesso. Come se egli nulla avesse mai compiuto…
Mentre tutti si accapigliano per dirimere le divergenze nella ricostruzione di dettagli a volte irrilevanti della loro storia comune, sotto la superficie ognuno
conduce una solitaria esplorazione del passato e del presente in cerca di bilanci e chiarimenti che spesso portano a nuovi interrogativi o a considerazioni
amare. Qualche risposta scomoda arriva con i colpi di scena delle ultime pagine.
Una ricostruzione storica e ambientale attenta ai dettagli, insieme a un approfondimento psicologico coraggioso e privo di qualsiasi ovvietà costituiscono i
maggiori pregi del romanzo. Alla fine si conclude che sì, valeva la pena di leggere.
di Giovanna Repetto
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Gustoso
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