La crisi globale

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Copertina Crisi-Europa-Euro:Crisi capitalistica 12/12/11 18.02 Pagina 1
RiccaRdo BellofioRe (arezzo, 1953) è Professore di
economia Politica al dipartimento di Scienze economiche ‘Hyman P. Minsky’ dell’Università di
Bergamo, dove insegna economia Monetaria, Storia dell’economia Politica e international Monetary
economics. Gli interessi di ricerca includono la teoria marxiana del valore e della crisi, le tendenze del
capitalismo contemporaneo, gli approcci endogeni
alla moneta, la filosofia dell’economia. fa parte del
comitato Scientifico dell’edizione italiana delle
Opere Complete di Marx ed engels e dell’International Symposium on Marxian Economic Theory.
oltre ad una monografia su claudio Napoleoni
(Unicopli 1991), ha curato, da solo o in collaborazione, volumi su Sraffa (angeli 1986), von Mises
(eSi 1999), Marx (Macmillan 1998, Palgrave 2004
e 2009; manifestolibri 2007; città del Sole 2009,
editori Riuniti 2009), luxemburg (Routledge
2009), l’operaismo (edizioni alegre 2008), Minsky
(elgar 2001; Bollati Boringhieri 2009), la globalizzazione (BfS 1998; elgar 1999, feltrinelli 2002).
Ha collaborato a varie riviste, tra cui Quaderni Piacentini, Primo Maggio, Unità Proletaria, Metamorfosi, l’Indice dei libri del mese, Nuvole, Altre
ragioni, Vis-à-Vis, la rivista del manifesto, Critica
Marxista, Alternative per il socialismo, l’Ospite Ingrato. collabora al manifesto e Liberazione. con
Giovanna Vertova tiene la pagina facebook Economisti di classe.
9 788895 146423
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La crisi globale,
l’Europa, l’euro, la Sinistra
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Bellofiore
Riccardo Bellofiore La crisi globale
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l’Europa, l’euro, la Sinistra
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in tre brevi saggi viene proposta una lettura della crisi
globale che va controcorrente rispetto a quelle oggi dominanti, anche a sinistra. in “due o tre cose che so di
lei”, la Grande Recessione dal 2007 è vista come la crisi
di un capitalismo ‘neoliberista’ che, lungi dall’essere
monetarista e stagnazionistica, è stato una sorta di ‘keynesismo privatizzato’. dominato dai money manager e
spinto dalla inflazione delle attività finanziarie, il
‘nuovo’ capitalismo ha prodotto da un lato lavoratori
‘traumatizzati’, dall’altro consumatori ‘indebitati’. il lavoro è stato realmente sussunto al capitale finanziario:
la ‘centralizzazione’ del capitale non si è più accompagnata alla sua ‘concentrazione’, mentre le banche centrali hanno immesso moneta per nutrire le bolle
speculative. l’instabilità è stata rimandata, ma l’insostenibilità del modello è infine esplosa violentemente,
prima con la crisi delle dotcom, poi con quella dei subprime. in “finestra sul vuoto” la crisi europea e del debito pubblico viene letta come l’altra faccia della crisi
globale e del debito privato. Si ricostruiscono le tappe
del percorso di unificazione monetaria, dal Trattato di
Maastricht all’istituzione dell’euro, se ne ricordano le
contraddizioni come le possibili alternative, e se ne
spiega il singolare ma temporaneo successo iniziale, dovuto anche agli sbocchi forniti dal capitalismo anglosassone ai neomercantilismi forti e deboli. l’impasse
europea non è una riedizione della crisi del 1992 né il
meccanico esito degli squilibri commerciali: è piuttosto
il ‘rimbalzo’ della crisi globale, reso ancor più drammatico dalla frantumazione politica e sociale europea, e
dalle politiche di austerità. “l’europa al bivio” (scritto
con Jan Toporowski) sostiene che il default non è necessario, il ‘diritto all’insolvenza’ una falsa soluzione,
l’uscita dall’euro oggi comunque catastrofica per i lavoratori. Una autentica via d’uscita dovrebbe coniugare
una politica monetaria di rifinanziamento dei disavanzi
degli stati e di mutualizzazione del debito pubblico europeo, una reflazione trainata da una spesa pubblica capace di modificare la composizione della produzione,
una socializzazione in profondità delle economie. Ma la
crisi capitalistica ha oggi un segno di classe di attacco al
lavoro e alla riproduzione sociale, e la sinistra è ancora
in grave ritardo. di fronte alla barbarie che avanza, la
sinistra appare ferma ad una critica etica e/o distributiva, divisa tra subalternità al social-liberismo e incapacità di mettere in questione il modo di produzione.
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