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Copyright © 2012 A.SE.FI. Editoriale Srl - Via dell’Aprica, 8 - Milano
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Prima edizione Tsunami Edizioni, novembre 2012 - Gli Uragani 13
Tsunami Edizioni è un marchio registrato di A.SE.FI. Editoriale Srl
Foto di copertina: © Pam Springsteen/Corbis
Foto IV di copertina: © Enzo Mazzeo - www.enzomazzeo.com
Progetto copertina: Eugenio Monti
Finito di stampare nel novembre 2012 da
ISBN: 978-88-96131-47-3
Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, in qualsiasi formato senza
l’autorizzazione scritta dell’Editore.
La presente opera di saggistica è pubblicata con lo scopo di rappresentare un’analisi critica, rivolta
alla promozione di autori ed opere di ingegno, che si avvale del diritto di citazione. Pertanto tutte le
immagini e i testi sono riprodotti con finalità scientifiche, ovvero di illustrazione, argomentazione e
supporto delle tesi sostenute dall’autore.
Nell’impossibilità di risalire agli aventi diritto delle fotografie pubblicate, l’Editore si dichiara disponibile a sanare ogni eventuale controversia.
GIOVANNI ROSSI
‘
NIENTE MI PUO FERMARE
INDICE
INTRODUZIONE............................................................................................ 7
THE REZNOR MANUFACTURING COMPANY...................................................... 11
CROWN OF THORNS..................................................................................... 23
PRETTY HATE MACHINE.............................................................................. 37
LOLLAPALOOZA........................................................................................... 53
LA ROTTURA CON TVT.................................................................................... 69
NOTHING.................................................................................................. 77
BROKEN................................................................................................... 85
BROKEN MOVIE........................................................................................ 97
THE DOWNWARD SPIRAL............................................................................ 109
WOODSTOCK........................................................................................... 135
NATURAL BORN KILLERS.............................................................................. 145
NEW ORLEANS......................................................................................... 159
ANTICHRIST SUPERSTAR............................................................................. 165
AMICI E PARASSITI.................................................................................. 173
LOST HIGHWAY........................................................................................ 179
TRADIMENTI............................................................................................ 187
DRAMMI PERSONALI................................................................................ 197
THE FRAGILE............................................................................................ 205
OVERDOSE.............................................................................................. 229
DIETRO LO SCHERMO................................................................................ 241
TWELVE-STEP PROGRAM........................................................................... 249
HURT...................................................................................................... 255
LA FINE DEL NULLA.................................................................................... 261
WITH TEETH............................................................................................ 267
TAPEWORM............................................................................................ 293
WITH TEETH TOUR..................................................................................... 299
YEAR ZERO.............................................................................................. 315
LA RIVOLUZIONE INEVITABILE DI NIGGY TARDUST............................................ 335
NULL CORPORATION................................................................................... 349
GHOSTS I-IV............................................................................................ 357
THE SLIP................................................................................................. 371
WAVE GOODBYE..................................................................................... 388
HOW TO DESTROY ANGELS......................................................................... 403
THE SOCIAL NETWORK............................................................................... 411
OSCAR.................................................................................................... 427
THE GIRL WITH THE DRAGON TATTOO............................................................ 433
IL FUTURO................................................................................................ 443
DISCOGRAFIA........................................................................................... 449
FONTI..................................................................................................... 453
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RINGRAZIAMENTI
Alla mia famiglia
A Eugenio e Max per il supporto e la fiducia
Ma soprattutto a tutti quelli che mi hanno sostenuto, incoraggiato e consigliato
in questa impresa. Di solito in occasioni come questa si dice “sarebbe impossibile
elencare tutti quanti”, dove il vero timore non è quello di occupare troppo spazio,
bensì di dimenticare qualcuno. Non me lo perdonerei mai. E qualcuno che nel corso
di questi tre anni, per un verso o per un altro, mi ha aiutato a posare un piccolo
mattoncino su questo robusto edificio, temo di poterlo perdere nei recessi della memoria. Allora preferisco restare così, sul generico, ringraziando tutto il popolo dei
Nine Inch Nails che ho incontrato ai concerti, nei forum, in rete, ringraziando tutti
gli amici, gli artisti, gli appassionati che mi hanno ispirato ed aiutato, ringraziando
tutti voi
you know who you are
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INTRODUZIONE
Il 27 febbraio 2011 Trent Reznor e Atticus Ross vincono l’Oscar per la colonna
sonora di “The Social Network”.
Non ci credo.
Torno a casa alla sera e mi addentro negli articoli di giornale, nelle rassegne dei
siti musicali, nei forum, voglio sapere ogni dettaglio. Ma a parte le dichiarazioni dei
vincitori e il video della consegna della statuetta, mi ritrovo immerso in una serie di
fantasiose ricostruzioni, che alla fine non dicono niente, su chi siano Trent Reznor
e i Nine Inch Nails. Più o meno tutti ricorrono al collaudatissimo stratagemma del
tacito patto scellerato tra giornalista e lettore, quello in cui il primo simula di sapere
di cosa sta parlando perché il secondo possa fingere di aver capito ciò di cui si parla.
Inclassificabile, oscuro, indescrivibile, inafferrabile, misterioso, geniale, lui; inclassificabile, indescrivibile, oscura, inimitabile, la musica. Poco altro. Perché i Nine Inch Nails
sono un oggetto strano che tutti scrutano con deferenza, ammirano con distaccato
rispetto, citano con altezzoso snobismo, ma in pochi conoscono.
Non li biasimo. Non è facile sapere chi siano Trent Reznor e i Nine Inch Nails,
perché abbiamo a che fare con un artista che ha realizzato sette album in ventitré
anni ed è poco propenso alle interviste, schivo con i giornalisti, isolato dal mondo
delle major, muto su tutto quello che è la sua vita personale, riottoso a qualsiasi
esposizione mediatica; qualcuno di cui è quasi impossibile abbozzare due note biografiche che non siano un copia/incolla da Wikipedia. Se non lo conosci bene. E per
conoscerlo bene serve molto, molto tempo.
Fu proprio in quei giorni che decisi di iniziare a mettere in ordine lo sterminato
archivio di interviste, articoli, recensioni, discussioni su forum, post sui social network che avevo raccolto nel corso degli anni, per provare a rispondere meglio alla
domanda: Chi sono i Nine Inch Nails?
“I Nine Inch Nails sono Trent Reznor”, così è scritto nelle note di copertina
del loro album di debutto. Nella sua straordinaria semplicità, è vero. I Nine Inch
Nails sono un ragazzo che è cresciuto in mezzo agli sconfinati campi di grano della
Pennsylvania, e hanno fatto la loro comparsa esattamente nel momento in cui il
mondo musicale era nel bel mezzo di una burrasca. Il glam era stato travolto dall’ondata del grunge, le grandi icone del rock anglosassone attraversavano un momento
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introduzione
di apatia e di stanchezza da parte del loro pubblico, nu metal e crossover iniziavano
a muovere i primi passi, si diffondeva un’etichetta, quella di musica alternativa, che
in realtà serviva ai critici disorientati per racchiudere una serie di artisti impossibili
da accomunare sotto un’unica definizione.
In tutto questo marasma, Reznor inizia a muovere i primi passi. Giovanissimo,
studia il piano, apprende tutti i segreti di come funziona uno studio di registrazione,
si affaccia al mondo dei synth, impara a fare tutto da solo. Anzi, impara a governare
le macchine affinché queste gli possano consentire di fare tutto da sé: secondo lui
non c’è nessuno che possa stargli a fianco nell’aiutarlo a perseguire le sue ambizioni
musicali, così decide di portare avanti tutto con le proprie forze. Ed è in questo
momento che sceglie di dare un nome alla sua creatura: nascono i Nine Inch Nails.
La musica dei suoi primi album irrompe sul mercato come qualcosa di sconvolgente, e chi cerca di trovare dei paragoni va a cozzare impietosamente contro una
serie di muri. Sì, perché i Nine Inch Nails propongono qualcosa che non è solo
musica elettronica, non è proprio metal, non è esattamente industrial, è un coacervo
di paradossi, la sottrazione di elementi sotterranei dal loro ambiente e l’addizione a
gerarchie popolari, l’esaltazione del limite e la corsa lungo la lama del rasoio. Trent
Reznor e i Nine Inch Nails fluttuano su tre piani di esistenza.
Il primo. I Nine Inch Nails funzionano benissimo ad un ascolto superficiale,
perché colpiscono dritto l’emisfero destro, quello del pensiero laterale, portando
l’ascoltatore ad elaborare un suono che ha pochi corrispondenti. Su questa dimensione, Reznor riesce a costruire brani che catturano, avvincono e restano impressi,
perché le strutture delle canzoni si avvicinano molto a quelle della musica popolare,
ma l’innesto di particolati alieni a questo mondo rende il tutto inquietante e sgradevolmente affascinante, provocatorio, oltre il limite della vertigine, qualcosa che
mette presto il progetto al centro di curiosità, attenzione e osservazione.
Esiste poi una seconda dimensione, quella del dettaglio, quella della macchina.
Ogni brano è un meticoloso studio del suono in cui i particolari vengono scandagliati, scelti, modellati e tagliati con perizia maniacale, senza concessioni a soluzioni
facili o ripetitive. Reznor è ossessionato dalla perfezione, malato di eccesso di lavoro,
padrone geloso di ogni istante che si riversa su nastro, avido ricercatore della massima qualità possibile, vorace consumatore di tecnologia. Il più delle volte, lavorare
con lui ha tanti risvolti negativi, può essere sfiancante, ossessionante, snervante,
impossibile, avvilente, eppure dal primo all’ultimo produttore o musicista che si è
seduto al suo fianco, ognuno ha ammesso di essersi trovato al cospetto di un genio,
un incredibile talento, il musicista più dotato mai conosciuto. Un carattere chiuso, difficile, ostile, ma alla fine un genio.
Per ultima, la dimensione umana. Trent Reznor riempie i solchi delle proprie
canzoni con ogni grammo del suo tormentato essere umano: la ricerca di se stesso,
il terrore per lo smarrimento, la perdita di controllo, la seduzione del vizio, la lotta
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Giovanni Rossi
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introduzione
con Dio, la dipendenza, gli affetti che non ci sono più. I Nine Inch Nails parlano
direttamente al cuore, puntano agli angoli più remoti dell’animo, perché è da lì che
provengono, e nella loro spiazzante umanità creano un legame inscindibile con chi
si trova dall’altra parte dell’amplificatore. Sul palco, i Nine Inch Nails sudano, piangono, saltano, sanguinano ogni brandello di carne, vivono ogni centimetro d’aria ed
aspirano le tonalità della realtà a pieni polmoni per riversare pennellate di grigio, di
rosso, di nero.
Nel portare avanti la sua straordinaria avventura, nel corso degli anni Reznor si
è fatto affiancare da una folta serie di grandissimi comprimari che hanno profuso
tempo ed energie per i Nine Inch Nails, sia dal vivo che in studio, persone ed amici
che hanno lavorato nell’ombra per costruire ogni volta un nuovo tassello della storia
di questo straordinario progetto, partendo dai folli palchi del Lollapalooza, fino al
trionfo assoluto nel fango di Woodstock, per poi approdare sul luccicante palco
dell’Oscar. Una storia che ha pochi eguali, perché non si ripete mai fedele a se stessa.
Nei Nine Inch Nails non esistono album uguali ad altri, suoni che si ripropongono,
schemi e matrici, idee collaudate, scorciatoie e riempitivi. Per Reznor tutto questo
è inconcepibile.
E allora chi sono i Nine Inch Nails? Questo libro cerca di rispondere alla domanda
scavando dentro le pieghe di una vicenda umana, delle collaborazioni e delle amicizie che l’hanno accompagnata, parla di lotte e liti furiose, tradimenti e rotture,
successi e fiaschi, abbandoni e dipartite, vita e morte. Ma non solo.
Questo libro è anche uno spaccato che attraversa trent’anni di storia musicale
americana, raccontandone di riflesso l’evoluzione, le crisi, le sfide: perché Reznor
non si è mai limitato a recitare il ruolo di osservatore di quanto lo circondava, ed è
invece diventato uno dei maggiori sperimentatori ed innovatori del settore.
“Niente mi può fermare” non è solo il mantra che attraversa tutta la discografia di
Reznor, è anche la pietra angolare della sua esistenza, la dichiarazione programmatica di una vita fatta di formidabile determinazione, abbattimento del controllo, sfida
alle leggi del moto, palingenesi del dettaglio, ma anche richiesta d’aiuto, ammissione
di debolezza, dimostrazione di fragilità, paura.
“Niente mi può fermare” è un tuffo nell’abisso più profondo, un viaggio di andata
e ritorno nella disperazione più nera, la cronaca di momenti di gloria e di esaltazione. È una relazione che diventa una trappola, la trappola della droga che rischia
di uccidere, la morte dei punti di riferimento, il solo riferimento in mezzo al nulla.
I Nine Inch Nails sono un’esperienza unica, irripetibile, e questa è la loro storia.
THE REZNOR
MANUFACTURING
COMPANY
Siamo il secondo Stato più anziano nell’Unione perché troppi dei nostri
giovani stanno abbandonando la Pennsylvania. La stanno lasciando per
cercare opportunità altrove. (Edward Gene Rendell)
Q
uando George Foster Reznor decise di dare un nome alla piccola fabbrica che aveva allestito nell’angusto caseggiato dietro casa, a Mercer, scelse di battezzarla con la roboante ma semplice insegna di ‘The Reznor
Manufacturing Company’. Era il 1888 e l’impresa si buttava in un mercato non
ancora nato, quello del condizionamento domestico, che tradotto nel linguaggio
dell’epoca significava essenzialmente una cosa: ventilatori. Ma fu solo con il passaggio al figlio George Watson Reznor che la ‘Reznor Manufacturing’ divenne un’azienda in senso proprio.
George Watson era nato il 28 dicembre del 1916, membro della Chiesa del
Cuore Immacolato di Maria, diploma alla Mercer High School e, pochi anni dopo,
laurea all’Università dell’Idaho. Nel 1938 entra nell’azienda di famiglia per aiutare il
padre. Il 10 ottobre 1940 si sposa con la fidanzata del Liceo, Helen O’Mahony, nella
Chiesa di Tutti i Santi di Mercer. Officiante del rito il reverendo Denis O’Mahony,
zio della sposa. In Europa infuria la guerra, e quando gli Stati Uniti fanno il loro
ingresso nel conflitto, George decide di non riconvertire la produzione in direzione
bellica, spingendo anzi sullo sviluppo commerciale del prodotto. Diventa prima
capo del settore sviluppo, poi dirigente dell’azienda, portandola di lì a poco a divenire una delle prime industrie della Pennsylvania. Cristiano devoto, padre di famiglia
esemplare, mette al mondo tre figlie e due figli, uno dei quali è Michael Reznor.
George Watson è anche uno degli uomini più in vista della comunità di Mercer,
cittadina di appena duemila abitanti collocata a metà strada tra Erie e Pittsburgh.
Suona la fisarmonica, compone canzoni per gli amici e si diverte anche con piccoli
racconti dedicati ai dieci nipotini. La decisione di vendere la compagnia nel 1960 è
una delle più sofferte della sua vita, ed il figlio Michael deve così trovarsi un lavoro
come designer d’interni. Anche lui ha una grande passione per la musica, ereditata
dal padre.
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the reznor manufacturing company
Michael sposa ancora giovanissimo Nancy Lou Clark, il suo amore dei tempi della scuola, ed il 17 maggio 1965, alle 7.30 di mattina, viene alla luce Michael Trent
Reznor. Il padre vuole ripetere l’usanza di famiglia, dando al primogenito maschio il
suo stesso nome, come il nonno aveva fatto a sua volta con il proprio figlio. Giusto
un ‘Trent’ di mezzo, per distinguere i due.
Trent è un bambino timido e riservato, capelli neri, carnagione chiara, magro e
dallo sguardo profondo. I suoi passatempi preferiti sono lo skateboard, i boy scout,
la pesca e la costruzione di modellini di aerei. Molte di queste passioni le condivide
proprio con il padre.
Il primo contatto del giovane Trent con la musica avviene presto: ‘Quando avevo
cinque anni, sono stato costretto a prendere lezioni di pianoforte. E per me è stato davvero
naturale. Sono cresciuto con un sacco di musica e di strumenti intorno a me, anche perché
mio padre aveva un piccolo negozio di musica dove vendeva strumenti acustici, violini,
mandolini, banjo. Il classico negozio musicale da piccola cittadina’. Reznor inizia così il
suo cammino nel mondo della musica, proprio nello stesso periodo in cui i genitori
decidono di comune accordo di divorziare. Michael ha un breve colloquio con il figlio.
“Sto per andarmene”.
“Quando torni, papà?”.
“Non torno”.
Si fa fatica a capire una cosa del genere, e vale anche per un bambino sveglio.
‘Il ricordo più vivo che ho di mio padre in quel periodo è di quando ce ne andavamo al
drugstore il sabato sera. Io mi prendevo un bicchiere di coca alla ciliegia e mio padre una
alla cioccolata. Mi chiesi cosa ne sarebbe stato di quei fine settimana’.
Il piccolo Trent viene affidato ai nonni materni subito dopo la separazione dei
genitori, mentre la sorella Tera, nata sei anni dopo di lui, dopo un brevissimo tempo
trascorso con i nonni rimane con la madre. Reznor non ha mai ricordato questo
periodo come orribile o traumatico, come ci si potrebbe attendere da chi ha vissuto
il divorzio dei propri genitori, ed ha sempre riconosciuto come il nonno William
“Bill” Paul Clark e soprattutto la nonna Clara siano stati per lui degli ottimi genitori: ‘Per mia madre è stato più facile lasciare che io e mia sorella restassimo con i miei
nonni, perché vivevano vicini l’uno all’altro. Erano persone buone e sono stati dei bravissimi genitori, ma nonostante questo mi sento come si può sentire chiunque abbia avuto
genitori separati. Lacerato, in un certo senso. Non che questo mi abbia portato chissà
quale effetto, semplicemente capisci che non sei su “Happy Days”. È il mondo reale, ed è
necessario che ignori ciò per cui sei stato programmato dalle sit-com. Ed è necessario che
inizi a pensare a come dovrebbe essere la tua vita. Io non do la colpa a nessuno. I miei
genitori erano molto giovani quando si sono sposati ed io probabilmente avrei fatto la
stessa cosa. Ne sono sicuro’.
Al di là dell’amore dei nonni, l’assenza delle figure familiari di riferimento inizia
a scavare in Reznor un buco sottile, ma profondissimo, una carenza costante, ma
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the reznor manufacturing company
apparentemente impercettibile che lavora nel suo animo come un male oscuro, meschino e invisibile.
Nonostante questo forte cambiamento di vita, non è mai venuto meno il forte
rapporto tra Reznor ed il padre: ‘Mio padre Mike ed io siamo grandi amici. È praticamente responsabile per il modo in cui sono cresciuto artisticamente. Lui mi ha fornito
delle piccole scintille di ispirazione artistica qua e là sotto forme diverse, e tutta la mia famiglia ha sempre sostenuto quello che faccio’. I ricordi che legano Reznor al padre non
sono solo limitati all’influenza sulla decisione di iniziare a suonare, ma avvolgono la
sua formazione musicale a più ampio raggio: ‘Il mio primo ricordo di tipo musicale è
legato ad un’immagine vaga, quella in cui insisto con mio padre per ascoltare “Are You
Experienced?”. di Jimi Hendrix. Lui stesso mi ha spesso ricordato questa mia fissazione.
E il primo concerto che ho visto è stato di Eagles, Fleetwood Mac e Boz Scaggs. È stata la
cosa più grandiosa che ricordi! Mi ci aveva portato mio padre e per me fu un’autentica
folgorazione, una cosa completamente fuori dal comune! Mi ricordo anche il mio primo
acquisto di dischi, sempre in quello stesso periodo. Fu il “Greatest Hits” della Partridge
Family, comprato per 3,99 dollari ad una catena tipo Wal-Mart chiamata Jamesway,
che ora è fallita’.
Il concerto degli Eagles è anche stata una delle prime esperienze di trasgressione
di Reznor, vissuta proprio insieme al padre: ‘Mi ricordo che gli Eagles stavano suonando “Fooled Around And Fell In Love” quando a me e a mio padre è stato passato un
joint, ed era la cosa più bella che avessi mai fatto fino a quel momento. Indossavo una
T-shirt con le lettere stirate a mano che dicevano “EAGLES”, perché erano la mia band
preferita’.
In quei primissimi anni di vicinanza al mondo della musica, Reznor inizia a
studiare il pianoforte con passione e determinazione, come ha notato anche il nonno Bill, secondo cui ‘La musica era la sua vita, fin da quando era un ragazzino. Era
decisamente dotato’. E la stessa cosa venne ricordata in seguito anche dalla prima insegnante, Rita Beglin, secondo cui ‘Reznor mi ha sempre ricordato Harry Connick Jr’.
Eppure, nonostante un rigoroso e serrato programma di studi, il nostro manifesta fin da subito una tendenza divergente rispetto agli schematismi classici: ‘Nel giro
di poco ero diventato un bravo pianista, e spesso finivo nei guai perché il modo in cui
suonavo i pezzi non era quello rigoroso in cui si sarebbero dovuti suonare. Mi piaceva
aggiungere inflessioni, interpretarli a modo mio anche quando non avrei dovuto farlo.
Ero stato costretto a imparare il pianoforte dai miei genitori, ma avevo finito per apprezzarlo molto perché mi ero reso conto che si trattava di uno strumento davvero espressivo.
Era arrivato il momento in cui avevo capito che potevo esprimere il mio stato d’animo
con uno strumento musicale’.
Le emozioni ed i pensieri che iniziano ad attraversare la testa di Reznor nell’adolescenza sono principalmente legati a due aspetti: la religione e la sua città, Mercer.
La prima è la protagonista indiscussa non solo dell’ambiente in cui cresce, ma anche
the reznor manufacturing company
della sua primissima educazione: è il collante che tiene unita la famiglia dei nonni
paterni, l’appuntamento domenicale, il serbatoio di valori che portano con sé da
decenni. I suoi nonni sono protestanti, e lui cresce con un’educazione improntata al
rispetto ed all’osservanza del credo. ‘Io credo in Dio. Sono stato cresciuto andando al
catechismo e in chiesa alla domenica, ma in realtà questo non significa nulla’, ammette
Reznor. ‘Credo che ci sia un Dio, ma non sono troppo sicuro di come sia. Penso che
l’attenzione che ho dato alla religione nel corso della mia vita derivi dal fatto che per
me è solo un altro sistema di credenze che ha fallito, che non regge a qualsiasi genere di
controllo. Mi piacciono le storie, le storie di fantasia, la mitologia, le storie di fantasmi,
ma per me il sistema religioso in cui sono stato cresciuto non regge meglio di quanto non
facciano le storie di fantasmi che si raccontano attorno al fuoco’.
Questa posizione nei confronti della religione e questo fortissimo dissidio interiore entreranno di peso nelle sue liriche e costituiranno uno dei temi ricorrenti delle
future produzioni targate Nine Inch Nails. La dicotomia tra il sistema di credenze
proposto dalla tradizione e dall’organizzazione religiosa è per Reznor inconciliabile
con l’incomprensibilità delle domande che lo affliggono. La religione inizia così a
diventare per lui un ostacolo, più che una risposta. Quello che dovrebbe essere un
sistema di ricerca di sé, finisce ai suoi occhi per incarnare un ottuso ed inafferrabile
coacervo di rituali e regole: ‘Sono sempre stato alla ricerca di qualcosa, piuttosto che
avere un modo definito con cui affrontare la vita’. I conti iniziano a non tornare.
Mercer è l’altro punto grigio nella visuale ancora giovanissima di Reznor. La
piccola cittadina americana è una specie di archetipo dell’America rurale fatta di
steccati bianchi, festa del Ringraziamento, 94% di popolazione bianca e sette cognomi per duemila abitanti. ‘A livello culturale, a Mercer non succedeva nulla’, ricorda
Reznor. ‘È un posto molto simile alla città di “Velluto Blu”: alberi, campi di grano, il
resto del mondo a un milione di miglia di distanza. Non era male, ma ha semplicemente
instillato in me il pensiero che non volevo che la mia vita finisse qui. Ci si sentiva come se
il mondo fosse lontanissimo, in un posto che non avrei mai potuto raggiungere. Riuscivo
a vederlo un po’ in TV, ma non potevo arrivarci. Non sapevo come fare quello che volevo,
e mi sentivo schiacciato da questa educazione di merda. C’erano un sacco di cose che
iniziavo a voler conoscere, come le religioni orientali. I miei viaggi erano al massimo in
un raggio di mezz’ora, e ogni piccola città aveva lo stesso Kmart, e il Cineplex trasmetteva
gli stessi cinque film, tutti di Sylvester Stallone. Il fatto di avere un campo di grano senza
fine come cortile è difficile da capire per le persone che sono cresciute in città, ma è questo
il modo in cui è fatta grandissima parte dell’America’.
La televisione diventa uno dei modi più semplici ed immediati con cui Reznor
inizia ad evadere da Mercer: è a portata di mano, in qualsiasi momento. Eppure
anche quello che per molti potrebbe essere uno spensierato divertimento giovanile,
stordirsi di programmi nel doposcuola, per il giovane Trent inizia ben presto a diventare l’ennesimo problema: ‘La mia esperienza di vita derivava dal guardare film,
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guardare la TV, leggere libri e riviste. Non c’era MTV. Non c’era niente. Il mio mondo
erano fumetti, fantascienza del cazzo e film di paura. Qualsiasi cosa fossi in grado di
assorbire. Non voglio dipingere un quadro di un’infanzia terribile, ma sono cresciuto
praticamente in mezzo al nulla. È stato pre-internet, pre-MTV. Non c’erano le radio dei
college. L’unico vero modo per ottenere notizie di un certo tipo era attraverso la rivista
‘Rolling Stone’, all’epoca non ancora asservita ai capricci del business come sarà in seguito. E tutto questo ha iniziato ad instillare in me questa idea di fuga dalla Pennsylvania.
Perché quando la tua cazzo di cultura viene dal guardare la televisione ogni giorno, sei
bombardato da immagini di cose che sembrano divertenti, luoghi che sembrano interessanti, persone che hanno un lavoro, carriere ed opportunità. Niente di tutto ciò succedeva
nel posto in cui mi trovavo, e questo sembrava quasi insegnarmi che non faceva per me’.
Reznor frequenta con profitto la Mercer Area High School, dove impara a suonare anche la tastiera e il sax tenore. Si fa conoscere come un giovane pulito e disponibile, il tipico bravo ragazzo che studia, si applica e che trova persino il tempo
per dedicare il proprio talento alla banda cittadina. Hendley Hoge, il direttore della
banda di Mercer, ha una buona opinione di lui, ‘Lo considero veramente amichevole e
positivo, e penso che tutte quelle dicerie sul suo essere un “oscuro angelo vendicatore” siano
solo una trovata di marketing’.
La predilezione per l’espressione artistica inizia ad emergere anche in altri campi,
e Reznor viene votato dai suoi compagni di scuola come miglior attore drammatico
del liceo per le interpretazioni di Giuda in “Jesus Christ Superstar” e del Professor
Harold Hill in “The Music Man”. Ma non tutto è a posto, come ricorda lui stesso
pensando a quel periodo: ‘A scuola mi sentivo come un estraneo, perché tutto si basava
su cose che non mi interessavano, soprattutto l’atletica. Se eri nella squadra di football,
eri una celebrità, se ti trovavi a suonare nella banda o frequentavi lezioni d’arte, come
me, eri un fallito. Mi sentivo una sorta di emarginato, un lebbroso. Odiavo la scuola,
anche se non sono mai stato vittima di bullismo né sono mai stato rinchiuso dentro
un armadietto. [...] Non ero un nerd, quanto piuttosto un ragazzo che stava sempre a
gironzolare nelle aule di arte e ad ascoltare musica. Ero un solitario e in seguito non ho
mantenuto amici di quel periodo’.
Ancora una volta, la figura del padre torna in soccorso alla crescita di Trent, sostituendosi all’assenza di amici nel momento giusto, quello in cui si possono fare le
scelte sbagliate perché si è da soli: ‘I miei genitori mi hanno permesso di fare cose che i
miei amici non erano autorizzati a fare. La prima volta che ho fumato erba è stato con
mio padre quando avevo quattordici anni. Non mi piacque. Più tardi, ho flirtato con la
cocaina, ho provato l’eroina quando ho ascoltato Lou Reed, ma il giorno dopo mi sono
reso conto che era stata la cosa più stupida che avessi mai fatto in vita mia. Il motivo
per cui non ho fatto molto uso di droga è più o meno semplice: non mi ci trovavo bene.
E quando successivamente mi sono trasferito lontano da casa, non sono andato completamente a male né sono diventato un drogato, come alcuni dei miei amici che hanno
the reznor manufacturing company
avuto una vita familiare più opprimente. Se fossi cresciuto in un ambiente urbano sarei
probabilmente diventato un tossicodipendente’.
Ma se non la droga, in quegli anni altre influenze hanno strisciato nella testa di
Reznor: ‘Ricordo di aver visto “L’Esorcista” quando avevo undici o dodici anni. Mi ha
devastato in modo permanente, perché era la cosa più terrificante che avessi mai potuto
immaginare. Non riuscivo a pensare fosse una cazzata, come ho potuto fare con “Alien”,
perché ero stato tirato su con tutte queste stronzate propinate dal cristianesimo che mi hanno fatto dire “sì, questo potrebbe accadere”. E in realtà ho pensato per molto tempo di essere
l’Anticristo, dopo aver visto “Il Presagio” quando avevo 13 anni’. La suggestione della
rappresentazione filmica, dell’immaginario horror e del potere mediatico della televisione sarà di lì a breve uno dei capisaldi tematici su cui Reznor costruirà il suo lavoro.
Pur nella frustrazione di un’adolescenza in cui la mancanza di rapporti lo fa
crescere come un solitario, il nostro riconosce con freddezza e lucidità i lati positivi
e cauterizzanti di tale ambiente: ‘Penso che un posto dove non c’è niente da fare e dove
non c’è nulla da vandalizzare offra più tempo per starsene seduti con le mani in mano per
capire cosa si vuole fare, per trovare un modo di scappare. Voglio dire che crescere lì era
come stare in campeggio per diciotto anni: hai sentito che fuori di lì c’è un intero mondo,
si sente che c’è un posto dove le cose accadono, ma non ci puoi arrivare perché non sai dove
si trova’. E in tutto questo, la musica gioca fin da subito un ruolo molto importante
nello sviluppo del carattere di Reznor: ‘Sapere di essere bravo in qualcosa ha svolto un
ruolo molto importante per la mia autostima. Sono sempre stato timido, a disagio in
mezzo alla gente. Scivolavo via. Ma con la musica, non l’ho mai fatto. Suonavo in alcune band. Ho studiato sassofono, tromba e sono arrivato al punto in cui il mio insegnante
era convinto che potessi diventare un pianista. Ma a quindici anni l’ultima cosa che
volevo sentire era “non sei ancora completo, che ne pensi di abbandonare la scuola, studiare tutto il tempo e diventare un pianista?”. Avevo scoperto la musica rock, e l’idea di
essere rinchiuso da qualche parte per fare pratica tutto il giorno non sembrava un buon
modo per conoscere ragazze, quindi la mia attenzione si è spostata dal possedere una
grande tecnica nel suonare uno strumento, al conoscere un po’ di tutto. Ero appassionato
di computer perché ero bravo in matematica, ma l’idea di fare “musica elettronica” non
mi aveva mai sfiorato sino a quando ho comprato un Moog Prodigy, a circa sedici o diciassette anni. Quando intorno all’inizio degli anni ’80 arrivò il boom della musica fatta
con i synth, fu davvero emozionante; i sequencer erano appena usciti, di lì a poco sarei
andato al college per studiare ingegneria informatica e ho pensato: “io amo la musica,
amo gli strumenti a tastiera, forse potrei darmi al design dei sintetizzatori”. Era quella
la mia vocazione, non i Sex Pistols. Se all’inizio ho pensato di unire la matematica e la
musica è perché se non fossi diventato un musicista sarei stato un matematico, l’unica
materia in cui riuscivo veramente bene’.
L’elettronica apre a Reznor nuovi scenari e possibilità fino ad allora sconosciute.
La formazione classica al pianoforte gli risulta fondamentale per poter apprezzare
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e valorizzare al meglio un approccio musicale che stava emergendo nella musica
mainstream proprio in quel periodo. ‘Quando ho avuto il mio primo sintetizzatore,
ho praticamente abbandonato di colpo il pianoforte. I sintetizzatori sembravano molto
più di uno strumento. Non riesco a spiegarlo, ma avevano una presa misteriosa su di me.
Era un grande, nuovo giocattolo che poteva fare tutti questi suoni incredibili. Ero molto
preso dai computer e dall’elettronica e tutto sembrava adatto a me. Ho scritto musica
nel periodo in cui i file MIDI e i sequencer sono entrati in scena, così fin dall’inizio ho
iniziato a comporre su computer e sequencer’.
Durante le scuole superiori, Reznor suona in alcune band di studenti mettendo
insieme uno strano puzzle formato da quanto imparato nelle lezioni di pianoforte e
dalle pulsioni tecnologiche originate dalla scoperta delle tastiere. Il padre Michael è
anche il primo a procurare al giovane Trent un posto dove suonare: ‘Ricordo benissimo che aveva un piccolo negozio di musica in cui vendeva strumenti acustici e nella
stanza sul retro io e un paio di amici abbiamo poi incominciato negli anni a suonare in
band terribili. Mi resi conto che la musica non era solo imparare un pezzo al pianoforte.
Ma non sono stato influenzato dal punk, ero in una zona geografica in cui potevi ascoltare solo qualcosa che era già morto. Non c’erano le college radio, non c’erano negozi di
dischi alternativi, non c’era nulla’.
Le primissime esperienze in band liceali sono per Reznor un piccolo capitolo
oscuro che non ha mai meritato più di qualche accenno veloce. Gruppi nutriti della
miseria musicale che si respirava nel recluso isolamento di Mercer e che non riuscivano a restituire altro che timidi tentativi di imitazione di suoni che già erano vecchi: ‘Non ho mai fatto stronzate come suonare ai matrimoni. Al liceo ero in quel tipo di
band che ripeteva tutto quello che si sente per radio. La zona rurale della Pennsylvania in
cui sono cresciuto non è mai stata realmente considerata una buona culla per la musica
indipendente’.
Proprio per questo, le influenze musicali di cui Reznor inizia a nutrirsi in quegli
anni attingono ancora una volta alla collezione di dischi del padre, per poi pescare
in direzioni inaspettate, molte delle quali si riproporranno nella sua produzione
futura. I Pink Floyd occupano un posto in prima fila, ma non mancano molti altri
nomi estremamente diversi tra loro: ‘Ho ascoltato decine di volte “The Wall” dei Pink
Floyd. A volte ho immaginato Roger Waters mentre si guardava allo specchio e vedeva nel
suo sguardo la follia che lo spaventava. Ecco perché ha scritto “The Wall”, per studiare
il modo di scomporre in pezzi la propria anima e scacciare tutti i demoni. “Remain in
Light” dei Talking Heads, prodotto da Brian Eno, è secondo me uno dei dischi più ispirati di tutti i tempi, certamente il mio favorito sia come canzoni che dal punto di vista
della produzione. Ho studiato questo disco, l’ho ascoltato probabilmente venti milioni
di volte, e mi fa letteralmente impazzire proprio nel modo in cui è assemblato poliritmicamente. Un altro album che è stato diverso da qualsiasi cosa abbia mai sentito è
“Kiss Alive!”. dei Kiss. Poi per me è stato particolarmente importante “Non Stop Erotic
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Cabaret”: ho sempre pensato che Marc Almond fosse un genio, e i Soft Cell sono stati
una mia grande influenza, anche solo nel tono, nel modo in cui potevano descrivere una
situazione che sembrava disperata, ma vulnerabile, e incredibilmente squallida. Sono
senza pari. Parlando di musica industriale, invece, “The Voice Of America” dei Cabaret
Voltaire è il loro album che mi ha influenzato maggiormente, la prima volta che l’ho
ascoltato mi ha confuso e terrorizzato’.
Dopo essersi diplomato nell’estate del 1983, Reznor decide di entrare all’università. Si iscrive all’Allegheny College di Meadville, indirizzo ingegneria informatica,
sua grande passione oltre alla musica: ‘Avevo un ottimo rapporto con la tecnologia e
dopo l’high school ho pensato di volere un normale percorso professionale su cui poter
ripiegare, così andai al college per studiare ingegneria informatica. Ero interessato a
partecipare alla progettazione di sistemi informatici musicali, che a quel tempo erano il
Fairlight e cose del genere. Sapevo che tutto questo settore stava per decollare: le registrazioni digitali multi-traccia, studi computerizzati... Mi sono cimentato con l’ingegneria,
e mi sono reso conto che era tutta matematica e meccanica, piuttosto che applicazioni
creative. Ma io ero più interessato ad essere la persona che dice “voglio fare così e così”,
e ho scoperto che le possibilità offerte da questa tecnologia erano più importanti rispetto
alla meccanica che le aveva realizzate. Allo stesso tempo ho capito che non volevo competere con le persone la cui vita ruotava intorno all’ingegneria, poiché era solo una parte di
ciò che volevo fare. La mia vera vocazione era la musica. Così ho cazzeggiato in giro per
un paio di anni cercando di capire cosa volessi fare’.
A pochi mesi dall’ingresso al college, Reznor fa la conoscenza di un tipo che si fa
chiamare ‘TK’ e che suona la chitarra in una band locale. Si tratta degli Option 30,
la prima esperienza musicale del nostro ad andare oltre il puro dilettantismo. ‘Gli
Option 30 furono la mia prima vera band’, ricorda Reznor. ‘In realtà suonavamo circa
un terzo di brani originali e per il resto cover, passando da Elvis Costello a Wang Chung’.
Gli Option 30 sono Timothy K. Smith alla voce e chitarra, Todd Nero alla batteria
e Jim Nordstorm al basso. Oltre a suonare le tastiere, Reznor diventa anche la voce
solista della formazione. Il gruppo suona una specie di new wave vagamente ispirata
ai primissimi Police, ma per Reznor si tratta solamente di un primo esercizio con
una formazione seria e nulla più, tant’è che decide di abbandonare Nordstorm e soci
prima ancora di entrare in sala di incisione per registrare il primo demo del gruppo.
L’esperienza gli serve anche per entrare in contatto con l’ambiente dei concerti dal
vivo, ovviamente a base di feste studentesche, riti di iniziazione da confraternita e
fine settimana alcolici.
Più che per il passaggio negli Option 30, questi anni di college hanno importanza perché rappresentano la prima volta in cui Reznor può allargare il proprio
orizzonte oltre i campi di grano di Mercer, scoprendo un universo musicale fino ad
allora sconosciuto. ‘È stato come un risveglio musicale. C’erano un sacco di gruppi che
non sapevo neppure esistessero, dai Test Dept. agli XTC, e le onde radio erano affollate da
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tutte quelle classiche synth band da un successo e via. È stato quando erano appena usciti
i sequencer per personal computer ed i sintetizzatori stavano diventando relativamente
abbordabili che mi sono imbattuto in quel genere di musica che incorporava elementi
elettronici, quella che qualcuno, ma non io, ha iniziato a definire come “industriale”.
Era adatta alle cose che giravano nella mia testa. Improvvisamente, la musica ha iniziato
ad avere un senso’.
Reznor scopre i primi pionieri della musica industrial ed affonda le mani nella
new wave e nell’elettronica. Dopo aver schivato ogni tipo di influenza punk, osserva
a distanza l’hard rock accarezzato ai tempi dei Kiss, lasciandosi invece travolgere
da Human League e XTC fino a scoprire una nuova schiera di artisti che, con sin
troppa fretta, i critici dell’epoca avevano deciso di raccogliere sotto l’ombrello della
musica industriale. ‘Mi piaceva il modo in cui alcuni gruppi stavano prendendo quel
suono piegandone le regole. Usavano gli strumenti così come si pensava dovessero essere
utilizzati, ma alcuni estraevano suoni differenti ed esploravano il lato più aggressivo delle
cose, e tutto questo mi piaceva veramente. Mi riferisco in particolare alle band dell’etichetta Wax Trax! a metà degli anni ’80. In America questi gruppi sono stati etichettati,
in modo un po’ improprio, come “industriali”. Ma hanno rappresentato la fusione della
musica dance elettronica con il rumore, e questo per me è stato emozionante e fonte di
ispirazione per ciò che avrei fatto successivamente’.
Skinny Puppy e Ministry diventano per Reznor gli esempi di un nuovo accesso
alla musica elettronica. Come ricorderà in futuro, ‘non ho mai ascoltato qualcosa che
abbia avuto più influenza su di me quanto gli Skinny Puppy di “VIVIsectVI” e “The
Land of Rape And Honey” dei Ministry. Questi album erano originali, innovativi e
potenti. Mai prima di allora avevo sentito qualcosa di così stimolante. Mi hanno colpito
molto e la stessa cosa è successa con i Front 242’. Gli assalti all’arma bianca portati dalla
formazione canadese e dal progetto di Al Jourgensen sono i primi fulgidi esempi di
un genere che spreme al massimo le possibilità dell’elettronica in chiave iconoclasta.
Tutto questo non sfugge a Reznor, che trova soprattutto negli Skinny Puppy un
modello di sviluppo che aggiorna la lezione di Devo e Soft Cell.
Dopo appena un anno di college, il nostro capisce che la propria strada non è
quella dell’ingegneria. Ha scelto la musica. ‘Il momento che ha davvero cambiato la
mia vita è stato durante il mio primo e solo anno di college. Ero a lezione e ad un certo
punto stavo guardando tutti questi nerd seduti in classe con me. Io stesso ero un nerd, ma
loro lo erano davvero in modo convinto. Erano entusiasti di fare otto ore di compiti a
casa per il giorno dopo, non vedevano l’ora di farlo. Anche io avrei potuto farlo, ma non
volevo. Non mi piaceva. Sapevo cosa mi piaceva molto, la musica, ma non si può ottenere
una laurea in quella materia. Così ho abbandonato il college. Sapevo che avrei potuto
fare matematica, il mio cervello è cablato in questo modo, ma non mi piaceva farlo. Ho
preso la decisione e ho detto: “Fanculo, devo fare quello che penso di essere capace di fare,
la musica. Non so come farlo, e sono in una città di merda in mezzo al nulla. Ma se starò
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arando campi quando avrò quarant’anni, almeno saprò che ci ho provato!”. Ero molto
preoccupato per questa scelta, ma la feci comunque’.
Pur non avendo un’alternativa di vita, Reznor sceglie la strada della coerenza con
le proprie aspirazioni, per quanto vaghe ed intangibili potessero risultare. Ma anche
in questo la sua famiglia si mostra comprensiva, evitando di metterlo in croce per
aver gettato alle ortiche una carriera universitaria. Ancora una volta, il padre Mike
riprende il figlio Trent sotto la propria ala. ‘Quando ho lasciato il college, nel 1984, ho
passato un anno intero senza far nulla. Ho vissuto con mio padre nei boschi e suonavo
in cover band per trecento dollari a settimana. È stata la parte più schifosa della mia
carriera musicale fino a quel momento. Suonavo le tastiere e cantavo, il mio destino era
in una band lounge’.
Ormai era ora di cambiare aria: Mercer e il college avevano fatto il loro tempo.
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