Poveri e vagabondi nella letteratura spagnola e tedesca

CULTURA,
CIVILTÀ
E
RELIGIOSITÀ
Povertà e letteratura in Spagna
UNITÀ 7
Disagio sociale
e necessità di
provvedimenti
repressivi
1
Bartolomé Esteban
Murillo, San Diego di
Alcalà distribuisce il pane
ai poveri, 1646 (Madrid,
Accademia di San
Fernando). Gli storici
stimano che nel Seicento,
in Europa occidentale,
l’insieme dei poveri
costituisse circa
un quarto della
popolazione totale.
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
Poveri e vagabondi nella letteratura spagnola e tedesca
A partire dalla metà del Cinquecento, numerosi testi letterari furono dedicati alla descrizione del mondo dei poveri, degli emarginati e dei vagabondi. Gli storici non sono
concordi sul valore da attribuire a questi scritti come fonte storica; in alcuni casi, infatti, è possibile che l’autore fosse ben informato sulla realtà sociale che presenta, ma in vari
altri testi siamo di fronte, al contrario, a rappresentazioni stereotipate oppure a racconti
moraleggianti. Dunque, in linea di massima, i testi che parlano dei poveri nel Cinquecento e nel Seicento ci informano non tanto sui miserabili stessi, bensì sul modo in cui
la comunità che deve rapportarsi con loro li raffigura e li percepisce.
I testi che descrivono il mondo dei vagabondi e degli accattoni insistono in genere su alcuni elementi costanti. Innanzi tutto si afferma ripetutamente che la maggioranza dei
poveri sono degli impostori, che fin da piccoli hanno imparato una vera e propria arte.
Per la maggior parte, si dice, i mendicanti sono degli abilissimi attori, degli straordinari
simulatori capaci di suscitare la pietà della gente; in tal modo, senza faticare, diventano
ricchissimi. Inoltre, li si presenta come organizzati in una vera e propria contro-società,
dotata di autorità, di gerarchie e di norme del tutto diverse da quelle vigenti nel mondo
IPERTESTO
A
APPROFONDIMENTO
Poveri e vagabondi
nella letteratura
spagnola e tedesca
APPROFONDIMENTO A
rispettabile. Sotto questo profilo, numerosi storici hanno sottolineato la somiglianza tra
lo stereotipo del vagabondo e quello della strega: in entrambi i casi, vengono presentate
delle vere e proprie associazioni segrete, capaci di infliggere danni ai bravi cristiani, che
vivono onestamente del loro lavoro.
Nella Spagna del cosiddetto secolo d’oro (1550-1650), la tendenza a porre al centro di una
narrazione un soggetto marginale si manifestò in modo particolarmente forte, al punto da
coinvolgere anche numerosi scrittori di notevole fama, primo fra tutti Miguel de Cervantes. Nella letteratura spagnola, il tipico vagabondo viene chiamato picaro, termine che alla
lettera significa servitore, cioè figura di bassa estrazione sociale che si mette al servizio di
uno o più padroni, li imbroglia, deve fuggire e vive una serie di avventure, prima di trovare una sistemazione più o meno dignitosa nel mondo normale. Di solito, la narrazione
picaresca è condotta in prima persona, in forma di confessione da parte del picaro.
Nel Seicento spagnolo, trovarono ampia diffusione tra gli intellettuali gli scritti di Cristobál Pérez de Herrera, che nella doppia veste di giurista e di «primo medico delle galere spagnole» si assunse il compito di studiare il fenomeno del pauperismo in Spagna
e di proporre soluzioni al problema, ispirate alla nuova concezione dei
poveri che si era diffusa a partire dal xvi secolo. A suo giudizio, il numero dei vagabondi era in continua crescita, al punto che, secondo le
Pauperismo
sue stime, nel 1608 i mendicanti sarebbero stati 500 000; nel 1617, arDal latino pauper, cioè “povero”, indirivò a proporre la cifra di un milione. A titolo di spiegazione, Pérez de
ca il fenomeno della povertà.
Herrera ricordava che moriscos e zingari erano quanto mai prolifici, «mentre noi diminuiamo in conseguenza delle guerre». In realtà, la Spagna
aveva vissuto a tutti i livelli un fortissimo incremento demografico, che
aveva fatto crescere i suoi abitanti da 7 a 8 milioni nella seconda metà
del Cinquecento. Dalle campagne, un numero altissimo di contadini
disoccupati si era spostato in direzione delle città, al punto che Siviglia, tra il 165 e il 1590 raddoppiò la propria popolazione, toccando la quota di 150 000 abitanti. Madrid, che contava appena 40 000
persone nel 1570, nel 1617 ospitava circa 150 000 persone.
Queste città non erano affatto dei grandi centri manifatturieri; anzi,
in un Paese che disprezzava il lavoro produttivo (considerato un’attività indegna dei veri cristiani, perché in passato praticata in prevalenza
dagli ebrei e dai moriscos), i soli che potevano davvero trovar lavoro erano quanti riuscivano a mettersi a servizio di qualche signore.
UNITÀ 7
le parole
IL SEICENTO DEI POVERI E DELLE STREGHE
2
Il disprezzo per gli emarginati
Nelle sovraffollate città spagnole, il numero dei disoccupati, e quindi dei poveri senza fissa dimora, dei vagabondi e degli accattoni, spesso era veramente notevole: se a Medina del Campo e a Valladolid la
percentuale era vicina al 9-10%, a Segovia arrivò al 16%. Siamo molto lontani dalle cifre proposte da Pérez de Herrera; tuttavia, erano comunque numeri molto elevati, tali da incutere una forte paura negli uomini perbene.
Molti degli scrittori che si impegnarono nel genere picaresco diedero voce
a questa paura diffusa a proposito dei miserabili, e composero opere che,
di fatto, servirono a giustificare la politica di repressione sociale adottata dal governo, traendo ispirazione dagli scritti di Vives e Pérez de Herrera. Il picaro è spesso presentato come un individuo di origine infame: è figlio illegittimo, oppure ha il padre ladro e la madre prostitu-
Joos van Craesbeek, Giovane mendicante, dipinto del XVII secolo
(Vienna, Kunsthistoriches Museum).
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
Nella locanda del Mulinello, che sorge nelle celebri praterie di Alcudia, dove si arriva andando dalla Castiglia all’Andalusia, capitarono per caso, un giorno di quelli estivi, afosi, due
ragazzi di forse quattordici, quindici anni: né l’uno né l’altro ne aveva certo più di sedici; entrambi piuttosto belli, però malconci, laceri e crostosi. Mantello, non ne avevano; i calzoni
erano di telaccia, e di carne le calze; vero è che le scarpe non erano da meglio, quelle dell’uno essendo logore ciocie, e quelle dell’altro tutte buchi e senza suola, sì che più che calzari fungevano da pastoie. Uno sfoggiava una berretta verde da cacciatore; l’altro un cappello senza nastro, largo di falde e basso di cupola. Buttata sulla schiena e annodata sul
petto, quegli portava una camicia color giallo, d’incerato e con una manica tutta ficcata; questi andava sciolto e senza bisaccia, ma in seno aveva un gran rigonfio che, come risultò poi,
era una gorgiera [fascia di tessuto rigido, indossato attorno al collo, n.d.r.] di quelle chiamate Spiega l’espressione
secondo cui le calze
vallone, inamidata d’unto e talmente sfrangiata e strappata, da sembrar fatta di stracci. In
erano
essa nascondeva un mazzo di carte da gioco che avevano ormai forma ovale perché, a fu«di carne».
ria di usarle, le punte si erano rotte e, per farle durare dell’altro, erano state cimate. Ambedue apparivano cotti dal sole, le unghie listate di nero, le mani non troppo pulite. L’uno portava una mezza spada e l’altro un coltellaccio dal manico di corno, di quelli che chiamano Spiega l’espressione
«inamidata d’unto»
da beccaio.
riferita alla gorgiera.
I due andarono a mettersi al rezzo [all’ombra, n.d.r.] d’un porticato posto davanti alla locanda e, sedutisi l’uno di fronte all’altro, quello che pareva il maggiore disse al minore: «Di Che tono hanno le
che parte è vossignoria, signor gentiluomo, e dove va di bello?».
espressioni
«La mia patria, signor cavaliere» rispose l’interrogato «la ignoro, e neppure so dove vado».
«vossignoria»,
«Tuttavia» riprese il maggiore «vossignoria non sembra venuto dal cielo, né questo è luogo
«signor
da stabilircisi, ché per forza bisogna proseguire».
gentiluomo»,
«Proprio così» fece l’altro «ma io ho detto il vero affermando che non ho patria, perché
«signor cavaliere»?
nel luogo natale ho un padre il quale non mi ritiene
suo figlio, e una matrigna che mi tratta come un figliastro, e la mia strada porta alla ventura e la percorrerò finché non trovi chi mi assicuri tanto da tirare
avanti questa miserabile vita».
«E vossignoria conosce qualche mestiere?» domandò il maggiore.
«Non so far altro che correre come una lepre,
saltare come un daino e maneggiare assai bene le
forbici» rispose il minore.
«Tutto molto buono, utile e lucroso» commentò
il primo […]. «Ma se non m’inganno, se gli occhi non
mi mentono, vossignoria ha anche altre abilità che
però preferisce tener celate».
«Proprio come vostra signoria ha molto acutamente osservato» confermò il minore «solo che non
sono cose da mettere in piazza» [si tratta di trucchi
per imbrogliare e derubare la gente; le forbici, ad
esempio, sono usate per tagliare le borse delle persone ricche, n.d.r.].
M. DE CERVANTES, Novelle esemplari, Mondadori, Milano
1986, pp. 105-106, trad. it. G. ERNESTI
Hicronimus Bosch, Il prestigiatore, 1475-1480
(Saint-Germain-en-laye, Musée Municipal).
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
APPROFONDIMENTO A
Nella novella intitolata Cantuccio e Taglierino, Miguel de Cervantes presenta due tipiche figure di
picari: due ragazzi che, precocemente, hanno intrapreso la vita del vagabondo, che preferisce ricorrere al furto e all’imbroglio piuttosto di dedicarsi a un onesto lavoro.
UNITÀ 7
DOCUMENTI
3
Poveri e vagabondi nella letteratura spagnola e tedesca
Ritratto di due giovani picari
APPROFONDIMENTO A
ta; in altri casi, l’accento cade sul fatto che la madre proviene da una famiglia di nuovi
cristiani, cioè discende da antenati ebrei o musulmani. In un Paese come la Spagna, profondamente attaccato al valore della limpidezza di sangue, queste condizioni di partenza indirizzavano fin dall’inizio l’individuo verso la devianza sociale: il peccato, infatti, secondo la mentalità spagnola del tempo, era una specie di malattia ereditaria, che si attaccava alla persona, condizionandone l’intero comportamento.
Per contrapporsi alle dottrine riformate, il cattolicesimo spagnolo insisteva sul libero arbitrio; per questo motivo, nei romanzi picareschi, assieme all’origine infame del protagonista si sottolineava anche la scelta consapevole che, a un certo punto della propria esistenza, il picaro compiva uscendo dalla comunità degli uomini rispettabili, per intraprendere
una vita disonesta. Alla base di tutto viene posto l’ozio, la pigrizia, il rifiuto di guadagnarsi
il pane con il sudore della fronte; di conseguenza, il vagabondo vive di espedienti e di
piccole truffe, oppure si trasforma in ladro e in mendicante imbroglione. L’unico valore che veramente conta è l’astuzia, l’ingegno, la capacità di ingannare il prossimo.
Il ritratto del picaro, insomma, in genere è impietoso; anche le scene descritte, spesso, possono apparire divertenti e grottesche, così come a volte sono appassionanti le avventure,
le beffe o le fughe, il giudizio sul mondo dei miserabili e dei vagabondi finisce per essere duro, improntato a severa condanna e scarsa comprensione della reale disperazione
di chi era costretto a vivere di espedienti.
UNITÀ 7
Emarginati nella letteratura tedesca
1
Riferimento
storiografico
pag. 6
IL SEICENTO DEI POVERI E DELLE STREGHE
4
Ritroviamo un’impostazione simile nel più celebre racconto tedesco del Seicento che
si occupò di una figura deviante: La vita dell’arcitruffatrice e furfante Courage, di Hans
Jacob von Grimmelshausen. È probabile che l’autore conoscesse qualche testo picaresco spagnolo; di quella tradizione, infatti, egli imita la tipica abitudine di presentare la
storia in prima persona, in forma autobiografica. La principale novità è nel genere del
Giacomo Ceruti
(il Pitocchetto),
Piccola mendicante
e donna che fila, dipinto
del XVIII secolo
(Senigallia, collezione
privata).
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
APPROFONDIMENTO A
Un’abile truffatrice
UNITÀ 7
personaggio: Courage, infatti, è una donna, mentre tutti i più celebri picari spagnoli sono maschi; d’altronde, proprio come molti personaggi iberici, anche Courage è figlia illegittima.
Il nome Cuorage, in genere, è tradotto in italiano con Coraggio; in realtà, pare che nel gergo militare del Seicento l’espressione significasse piuttosto brutalità, temerarietà. Il fatto
stesso che fosse un termine straniero lo connotava in senso negativo; nel complesso, pare
potesse indicare l’impeto, la determinazione, la spietatezza e il cinismo con cui la protagonista perseguiva il suo obiettivo di raggiungere una vita agiata e sicura. La pratica della prostituzione e il matrimonio con soggetti che possano portarle qualche vantaggio materiale o promozione sociale sono le due strategie più frequentemente messe in atto dalla donna, che però esercita con altrettanta abilità l’arte della vivandiera, o meglio della venditrice di cibo e altri generi di prima necessità ai soldati impegnati nell’interminabile guerra dei Trent’anni. Courage, insomma, è un’abilissima truffatrice: priva di qualsiasi scrupolo morale, vive come un parassita esercitando tutti i mestieri (leciti o illeciti) più vantaggiosi e sfruttando tutti coloro con cui ha a che fare.
Nel xx secolo, la figura di Mutter Courage (Madre Coraggio) fu ripresa dal drammaturgo
tedesco Bertolt Brecht, che ne fece una vittima della guerra e della società violenta in cui
viveva; in Grimmelshausen, in realtà, il giudizio è assai meno sfumato e compassionevole: anzi, al tradizionale disprezzo per i marginali, tipico degli esponenti della società normale, si aggiunge la totale incomprensione per tutte le donne che (nel Seicento, come in
altri momenti storici) si trovarono costrette a vendere se stesse, al puro e semplice fine di
sopravvivere alla fame o alla guerra.
Poveri e vagabondi nella letteratura spagnola e tedesca
5
Pieter Brueghel il Vecchio, Dulle Griet (Margot la folle), dipinto su tavola, 1561 o 1562 (Anversa, Museo Mayer van den Bergh).
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APPROFONDIMENTO A
Riferimenti storiografici
1
Hans Jacob von Grimmelshausen compose due testi satirici che ebbero notevole risonanza nella
successiva cultura tedesca. Il primo lavoro – L’avventuroso Simplicissimus (del 1668-1669) – aveva come
protagonista un uomo; il secondo, Vita dell’arcitruffatrice e vagabonda Coraggio (del 1670) – descriveva le avventure di una donna. In entrambi i casi, un personaggio di umili origini doveva lottare per
sopravvivere in una Germania sconvolta dalle guerre di religione.
UNITÀ 7
IL SEICENTO DEI POVERI E DELLE STREGHE
6
Grimmelshausen e la vagabonda Coraggio
Pieter Bruegel
il Vecchio, Testa di
donna, 1563 ca.,
(Monaco, Alte
Pinakothek).
Nel Simplicissimus, lo scrittore racconta la vita e le avventure eroico-fantastiche del suo
protagonista Simplicius Simplicissimus, la cui esistenza inizia in un villaggio contadino della
Germania centrale e termina, dopo avventure straordinarie e mirabolanti in tutte le parti della
terra, su di una lussureggiante e disabitata isola dei mari del Sud. Qui Simplicio, felice e solitario abitante di quel luogo meraviglioso, decide di rimanere per sempre, rifiutando la compagnia degli altri uomini e il ritorno in Europa, dove l’aspetta la società violenta e ingiusta
che ha conosciuto durante la guerra dei Trent’anni. Grimmelshausen riesce così, attraverso
il racconto della vita di Simplicio, a rappresentare la Germania del Seicento, attraversata e
distrutta degli eserciti mercenari delle potenze europee durante la guerra dei Trent’anni, mostrandone l’impotenza politica, la decadenza economica, l’arretramento della dimensione
socio-politica, l’imbarbarimento dei rapporti umani, il prevalere di forme di superstizione e
di relitti medievali nell’ambito della religione e del pensiero quotidiano. Non ultimo per una
consistente vena ironico-satirica e per una rappresentazione forte e violenta, per quanto sempre linguisticamente elaboratissima, degli avvenimenti descritti, questo ampio romanzo
sulla vita di Simplicius ebbe subito un tale successo da stimolare non solo la preparazione
di superficiali imitazioni simpliciane e la pubblicazione di numerose edizioni-pirata, ma anche da invogliare lo stesso Grimmelshausen a continuare nello stesso genere e a raccontare la Vita dell’arcitruffatrice e vagabonda Coraggio, dove vengono rielaborati motivi e personaggi del suo precedente e fortunato romanzo.
L’occasione esterna che spinge Coraggio a chiamare un segretario e dettargli la propria
vita esemplarmente corrotta, è costituita da osservazioni offensive fatte da Simplicio nella
propria edificante biografia. Su questo motivo della vendetta Grimmelshausen costruisce
tutto il suo romanzo, assicurando così, alle avventure episodiche narrate da Coraggio, la necessaria cornice esterna. Ma, in questo modo, il
testo di Grimmelshausen si dimostra, per ciò che
riguarda la forma letteraria, l’antitesi perfetta della
letteratura tedesca del Seicento, codificata in
poetiche normative gestite da società puristiche
e da accademie letterarie di ogni specie e natura.
Infatti, se per i retori dell’epoca la letteratura in
prosa, già di per sé era qualcosa di artisticamente indegno, la scelta di una donna di basso
rango e di bassi istinti, a protagonista dello stesso
[del romanzo, n.d.r.] era poi da rifiutare a priori;
se, infine, questa donna era completamente perversa, corrotta e incurante delle virtù religiose,
come dimostra di essere Coraggio in tante occasioni, allora quella pornografia, nel senso letterale del termine [raffigurazione dello squallore
morale e dell’oscenità, n.d.r.] era semplicemente
aberrante, soprattutto perché il lettore timorato
non avvertiva alla fine della storia nessun alito di
pentimento nell’animo della protagonista. […]
[Coraggio intraprende] una curiosa e originale opera di autoeducazione a quella scuola di
libertinaggio che è la società centroeuropea durante quella guerra di religione durata trent’anni.
Deve però fare i conti con tutti i divieti e le norme
relative alla sfera del sesso, per cui la soluzione
più facile e più ragionevole per lei si dimostra
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
I.M. BATTAFARANO, Nota introduttiva, in H.J. VON GRIMMELSHAUSEN,
Vita dell’arcitruffatrice e vagabonda Coraggio, Einaudi, Torino 1988, pp. V-IX
Per quali ragioni il romanzo di Grimmelshausen su Coraggio era un’opera eretica, per i parametri
estetici del tempo?
Quale personalissima guerra combatte Coraggio, all’interno del grande conflitto politico e
religioso in cui si trova inserita?
Per quale motivo il contratto matrimoniale tra Coraggio e Saltincampo è definito blasfemo?
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
APPROFONDIMENTO A
UNITÀ 7
7
Poveri e vagabondi nella letteratura spagnola e tedesca
sempre quella di ignorare la morale vigente, la religione cristiana e le leggi sociali, stando attenta che i maschi non prendano troppa e troppo deleteria [pericolosa, dannosa, n.d.r.] influenza su di lei. Costretta così ad essere donna, Coraggio dichiara guerra all’altro sesso,
cercando in ogni momento di prevalere sul maschio e sul marito, sul socio in affari e sul nemico in guerra, conducendo insomma una lunga guerra personale per la conquista dei calzoni, nella quale non pochi mariti dovranno, con le buone o con le cattive, capitolare di fronte
a lei. Alla fine Coraggio riesce non solo a portare i calzoni, segno del dominio che la società
conferisce al maschio, ma si dimostra anche capace di sfruttare il potere del denaro, riconosciuto come l’unico vero mezzo per avere successo in quella società, e la propria straordinaria bellezza, per costringere Saltincampo ad un contratto matrimoniale sui generis [di
tipo particolare, n.d.r.], che è il perfetto rovesciamento, a favore della donna, dei normali matrimoni stipulati dalla società e sanciti dalla religione cristiana a favore del maschio. In questo scambio dei ruoli s’avverte anche quanto sia decisivo e determinante l’elemento patriarcale, costituito in questo caso essenzialmente dalla procreazione dei figli, in una società
agraria, ancora semifeudale, qual era la Germania del Seicento, seppure in completo disfacimento a causa della lunga guerra e a causa soprattutto del problema istituzionale – l’unità nazionale – non ancora risolto. Una clausola di quell’originalissimo contratto blasfemo
tra Coraggio e Saltincampo prevede infatti che sarà soltanto l’arrivo di eventuali figli a rimettere in discussione quell’avvenuto scambio di ruoli e di funzioni tra l’uomo e la donna.
Perché soltanto qualora Coraggio si trovasse fecondata da Saltincampo, ella si rassegnerà
ad andare nella chiesa dei cristiani ed accettare le mansioni subordinate che quella società
e quella religione assegnano alla donna. E così, in una società nella quale l’uomo, se non
fa il contadino, porta le armi, la paternità si dimostra ciò che assicura il potere al maschio
nella famiglia e nella comunità sociale, mentre la maternità distrugge la donna in quanto persona umana autonoma, la sottomette al marito, le impone una degradazione sociale, la trasforma nel sesso subalterno. E Coraggio, per essere Coraggio, viene resa da Grimmelshausen sterile, ovvero più donna, meno moglie, nient’affatto madre. A documentare
questa situazione socio-sessuale, basterebbe citare l’editto del tribunale di Norimberga del
14 febbraio 1450, col quale si permetteva, per i successivi dieci anni, ad ogni uomo di sposare due donne, al fine di incrementare la popolazione sacrificata in quella guerra di religione
appena conclusa.
Di questo ruolo subordinato, al quale è costretta la donna nella società del Seicento, Coraggio è divenuta tanto cosciente da evitare con Saltincampo il matrimonio ufficiale e da mettere per iscritto il diritto al dominio che ella conserverà sempre sul denaro, sugli affari, sui
servi, sulle bestie, sul proprio corpo. […] Se un giorno facesse l’errore di sposarlo ufficialmente, quel maschio sottomesso, allora costui rifiuterebbe di obbedirle, pretendendo per
sé i calzoni, e sapendo di poter contare sempre, in questa lotta, sull’aiuto delle autorità civili e religiose. E così, in questa utopia femminista che è il mondo dei sensi, senza l’inutile
peso dei buoni sentimenti e dei falsi rimorsi di coscienza, e nel quale Coraggio vive felice e
soddisfatta, Saltincampo alla fine si deve rassegnare al ruolo di schiavo, di prototipo del
sesso maschile divenuto subalterno. È il mondo alla rovescia, nel quale, fin dall’inizio, Coraggio ha potuto osservare […] quanto sia difficile per una donna vivere in quella società. Il
rifiuto delle leggi dominanti e delle norme costituite nella sfera del sesso spinge Coraggio a
perdersi, a incarnare cioè fino in fondo e senz’alcun rimorso di coscienza, la donna perduta,
la prostituta, la zingara vagabonda.