Pierre Sorlin MEMORIA, NARRAZIONE, AUDIOVISIVO a cura di Silvia Leonzi ARMANDO EDITORE SORLIN, Pierre Memoria, narrazione, audiovisivo ; A cura di Silvia Leonzi Roma : Armando, © 2013 144 p. ; 20 cm. (Lezioni romane) ISBN: 978-88-6677-347-4 I. Silvia Leonzi II. Pierre Sorlin III. Giovanni Ciofalo 1. Sociologia dell’audiovisivo 2. La forza delle immagini 3. Estetica della narrazione audiovisiva CDD 300 © 2013 Armando Armando s.r.l. Viale Trastevere, 236 - 00153 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: [email protected] ; [email protected] 02-11-003 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i Paesi. 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L’estetica del ricordo tra visibile e invisibile Pierre Sorlin 25 C’eravamo tanto amati: storia, memoria e industria culturale (1946-1974) Giovanni Ciofalo, Silvia Leonzi 35 Signore e signori, buonanotte: storia, memoria e industria culturale (1974-1994) 57 Giovanni Ciofalo, Silvia Leonzi PARTE SECONDA 77 La forza delle immagini Pierre Sorlin 79 Il racconto del terrorismo. Attentati, opinione pubblica e media Pierre Sorlin 89 Il corpo narrato: luogo d’incontro tra stereotipi, esperienza vissuta e sistemi mediali Pierre Sorlin 103 PARTE TERZA 121 Da Méliès a Verhoeven: il tramonto del cinema? Pierre Sorlin 123 Appunti per un’estetica della narrazione audiovisiva Pierre Sorlin 131 La lezione di Pierre Sorlin Giovanni Ciofalo 139 PER UNA SOCIOLOGIA DELL’AUDIOVISIVO Silvia Leonzi Il terzo volume della Collana Lezioni romane nasce, come i precedenti, in occasione del soggiorno di Pierre Sorlin presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale1 de La Sapienza Università di Roma, in qualità di visiting professor. Con una piccola variazione rispetto ai primi due volumi si è scelto, piuttosto che rendere conto dell’incontro con Pierre Sorlin attraverso gli interventi svolti da docenti e studiosi in occasione delle giornate romane dell’autore, di far parlare principalmente il sociologo e storico francese, chiamato a riflettere su alcune tematiche di comune interesse. Coloro che hanno condiviso con Sorlin sia i momenti istituzionali, sia quelli più conviviali, hanno avuto il piacere di conoscere uno studioso rigoroso e un uomo affabile, disponibile allo scambio e al confronto scientifico, anche su questioni di attualità, ma attento ad evitare di offrire opinioni e giudizi su argomenti poco attinenti alle sue competenze. Un understatement, il suo, che costituisce un elemento decisamente apprezzabile, non soltanto un dato di stile, ma una questione di sostanza. Un esempio concreto di come la ricerca e lo studio di specifiche tematiche, condotti a lungo e in modo approfondito, senza concessioni alle mode del momento, possano restituire alla professione accademica e al confronto scientifico, spesso penalizzati da politiche culturali miopi e da una tendenza alla iperburocratizzazione dell’istituzione universitaria, un valore in termini di crescita collettiva e di civilizzazione. Tra i tanti motivi per cui si è scelto di invitare Sorlin come visiting professor c’è anche il fatto che la storia del nostro paese non è sconosciuta a 1 Struttura che raccoglie l’eredità scientifica e didattica del Dipartimento di Sociologia e Comunicazione della Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza Università di Roma. 7 questo professore, emerito presso l’Università Paris-Sorbonne Nouvelle dove insegna media audiovisivi, grazie alla sua lunga collaborazione con il dipartimento audiovisivo dell’Istituto storico Parri Emilia-Romagna, di Bologna, nato nel 1963 con l’obiettivo di conservare la memoria della Resistenza, considerando la cultura dell’antifascismo come vettore fondamentale per la costruzione di una nuova Italia democratica. La memoria, l’identità, l’uso delle fonti storiografiche e audiovisive sono, del resto, i temi più importanti di cui più si è occupato Pierre Sorlin, che, nell’alveo della tradizione francese de «Les Annales», ha coltivato un approccio attento alle pratiche della vita materiale, alla storia della longue durée, allo studio dell’evoluzione delle mentalità. L’obiettivo di questo testo, dunque, è in primo luogo quello di offrire un’introduzione al lavoro di Sorlin attraverso una raccolta di contributi che testimoniano il suo carattere di studioso eclettico e al tempo stesso impegnato a chiarire, approfondire, aggiornare alcuni concetti fondamentali attorno a cui si strutturano le sue riflessioni. Le parole chiave che più spesso vengono chiamate in causa nel volume sono memoria, audiovisivo, narrazione: elementi profondamente interconnessi, da cui emerge un quadro coerente ed esplicativo delle relazioni che si instaurano tra comunicazione, società e cultura nel mondo contemporaneo. L’audiovisivo, nella sua evoluzione storica, che viene ripercorsa attraverso numerosi esempi che vanno dalla pittura, alla fotografia, al cinema, è al centro di un processo di narrazione e costruzione della realtà, in cui le immagini non possiedono un valore meramente estetico, ma assumono piuttosto lo statuto di documenti storici fondamentali ed attendibili per comprendere il passato, fatta salva l’attenzione che lo studioso deve riservare alla selezione, all’uso e all’interpretazione di strumenti sensibili e carichi di una forte componente emotiva. Nel suo saggio dedicato alla memoria, Sorlin sottolinea come questa possieda una natura essenzialmente sociale: condividere ricordi e tramandarli costituisce un importante veicolo di socializzazione, anche se si deve tener conto delle differenze che intercorrono tra la dimensione collettiva della memoria e quella individuale del ricordo, non sempre del tutto coincidenti. In questo senso è interessante sottolineare come la memoria privata corrisponda fondamentalmente al territorio del vissuto e non si sovrapponga completamente alla dimensione storica, anche se i ricordi personali vengono integrati dai gruppi all’interno di un quadro sociale che valorizza il passato appreso e narrato. 8 Proprio sulla scorta della sua lezione, sono stati inseriti all’interno del volume due contributi che, in particolare, si concentrano sul percorso intrapreso dall’Italia verso la modernizzazione, nel tentativo di analizzare i principali nodi di un cammino difficile e sofferto, in cui le vicende dell’industria culturale si intrecciano con quelle della politica e della società civile. Ricorrendo all’approccio adottato da Sorlin, in questa narrazione, che procede affrontando alcuni momenti cruciali della nostra storia, un ruolo fondamentale è assegnato al cinema prima e alla televisione poi: strumenti essenziali per il racconto e la conservazione di una memoria che resta fissata nelle immagini restituendo, con la stessa forza delle fonti storiche più tradizionali, il resoconto del passato di una nazione e della vita quotidiana della sua gente. Nel viaggio compiuto dal paese a partire dal dopoguerra fino al nostro presente è possibile, dunque, individuare alcuni peccati originali della nostra Repubblica, che sotto forma di contraddizioni mai risolte sembrano ripresentarsi più volte in modo diverso nei momenti storici presi in considerazione, in ragione del complesso e tardivo conseguimento di un’identità nazionale, forse mai del tutto pienamente acquisita nella sua forma più compiuta. In questa prospettiva, la ricognizione storica di alcuni passaggi cruciali della memoria si propone di costituire un punto di partenza per la messa in luce dei meccanismi (o cortocircuiti) alla base delle relazioni tra sistema economico, culturale, sociale e politico, le cui anomalie giustificano la definizione di “caso italiano” per definire il transito del nostro paese verso la modernità. Un aspetto della storia, non solo italiana, a cui Sorlin dedica la sua attenzione è il fenomeno del terrorismo: a partire da una riflessione che prende in considerazione luoghi, eventi, contesti e memorie differenti. Dalla sua analisi emerge soprattutto la rilevanza del racconto che ne fanno i media: lo studioso, infatti, si chiede se quella che sembra essere una delle paure più sentite delle società occidentali non sia sovrastimata per qualità e quantità. Forse a causa del tipo di trattamento dell’informazione operato dai mezzi di comunicazione, che sembrano avere un qualche interesse a coltivare nell’opinione pubblica la percezione di un pericolo diffuso, ignoto e astratto, accompagnato da una scarsa conoscenza in merito all’identità dei soggetti responsabili di queste minacce. Tra i temi di cui si occupa Sorlin, anche la rappresentazione del corpo assume un ruolo rilevante: questo oggetto scientifico è al centro di una forma di narrazione che lo studioso individua nel rapporto tra immagine della persona, studio del movimento e rappresentazione, evidenziando 9 ancora una volta attraverso esempi estremamente suggestivi, presi dalla letteratura, dalla filosofia, dall’arte, dal cinema, come la scrittura del corpo sia cambiata nel tempo, al mutare delle concezioni che lo hanno accompagnato nel corso dei secoli. Concentrandosi sull’attualità del rapporto tra corpo e audiovisivo, Sorlin sottolinea inoltre come l’analisi delle immagini cinematografiche e televisive sia alla base di un possibile confronto tra il quadro ideale di una società e il contesto reale a cui quei corpi appartengono. Una parte rilevante delle lezioni romane di Sorlin, infine, è dedicata alle trasformazioni del medium cinematografico, come fondamentale chiave di lettura degli stili di vita e dei valori di una società. Mentre in passato l’immaginario creato dal cinema prendeva forma esclusivamente in una sfera dello spettacolo separata da quella della vita quotidiana, oggi la pervasività delle immagini produce un complesso arcipelago in cui le produzioni professionali si affiancano a quelle più amatoriali e al cui interno l’individuo rischia di perdersi, facendo fatica a distinguere tra la realtà e la finzione delle rappresentazioni che gli vengono fornite. L’evoluzione del digitale introduce in questo panorama un ulteriore elemento di complessità, grazie alla possibilità di creare immagini pensando a soggetti e oggetti che non esistono concretamente. Tuttavia, afferma Sorlin, nonostante le opportunità immaginifiche offerte dalle nuove tecnologie è un dato incontrovertibile il fatto che noi non siamo in grado di creare forme che non esistono, andando al di là della rappresentazione umana, e questo limite offre un’importante garanzia per la veridicità di quelle che potrebbero essere considerate, altrimenti, immagini false. L’interrogativo principale da porsi in merito all’introduzione del digitale, sottolinea Sorlin, riguarda essenzialmente la sua capacità di trasformare in modo significativo il futuro del cinema. Se infatti questo medium, così come lo conosciamo, si fonda sul consumo passivo dello spettatore, l’integrazione con il web configura una moltiplicazione e una velocizzazione di oggetti, dati, immagini che possono venire frammentati e poi ricostruiti, in una continua manipolazione che mette in discussione la costruzione del flusso narrativo, più o meno lineare, ma comunque non modificabile dal fruitore. 10 PARTE PRIMA PIERRE SORLIN: UN VIAGGIO TRA STORIA, MEMORIA ED ESTETICA Silvia Leonzi Il discorso sulla memoria, a partire dalla seconda metà del Novecento, ha coinciso prevalentemente con la volontà di “non dimenticare”, di salvare dall’oblio ricordi e testimonianze legate a eventi drammatici della storia dell’umanità, cercando di tradurli in significati condivisi e incontrovertibili, con il chiaro proposito di evitare di ripetere gli errori del passato. Oggi, tuttavia, la riflessione sulla memoria si dipana lungo percorsi più articolati e differenziati di definizione e interpretazione. Alla dimensione etica del ricordare, che è auspicabile sia ormai entrata a far parte delle regole non scritte del processo di civilizzazione, si affiancano anche prospettive estetiche, legate soprattutto a nuove forme di espressività, consentite da un lato dalle possibilità di trattamento e gestione dei documenti offerte dall’evoluzione delle tecnologie, dall’altro dal riconoscimento dei prodotti dell’industria culturale come fonti autorevoli della memoria sociale e storica. L’obiettivo di queste riflessioni è quello di sottolineare il rischio di una lettura del presente ripiegata su se stessa, che non tenga conto dell’insegnamento del passato e che produca, dunque, contributi eccessivamente contingenti e progetti culturali di breve respiro, se non adeguatamente sostenuti da un lavoro sulla memoria, che pur nel riconoscimento delle contraddizioni e dei conflitti, persino dell’impossibilità di giungere a una piena condivisione, costituisca la base per un dialogo tra le generazioni. Nell’attuale società della comunicazione, i media alimentano una forte tendenza al presentismo; un flusso continuo di fatti, immagini, informazioni moltiplica inevitabilmente la produzione di memoria. Questo 13 overload di dati, oltre a rappresentare un importante indicatore delle trasformazioni intervenute nel processo di costruzione e mediazione della realtà, reclama una sempre maggiore attenzione, anche in relazione alle scelte politico-culturali destinate alla raccolta, alla selezione e alla conservazione di materiali ritenuti significativi1. La comunicazione, divenuta ormai l’habitus elettivo dell’attore sociale contemporaneo, rappresenta dunque il fattore propulsivo di un ambito della conoscenza in cui la dialettica di ricordo e oblio costituiscono una delle sfide più importanti del nostro secolo. Il sistema dei media e le nuove tecnologie, infatti, influiscono in maniera decisiva sia sulle dinamiche di produzione che su quelle di archiviazione della memoria, ridefinendo equilibri di potere che incidono sul presente e sedimentano costellazioni di rapporti tra soggetti, istituzioni, società, anche in vista del patrimonio da consegnare alle generazioni future. D’altra parte, le accresciute opportunità di visibilità, conoscenza, trasmissibilità arricchiscono il panorama del dibattito pubblico sulle funzioni del ricordo, ma generano anche preoccupazioni relative alla cosiddetta memoria delegata. In effetti, la possibilità o meno di fare riferimento a forme di memoria condivisa ha da sempre costituito un’importante posta in gioco nella lotta tra diversi attori sociali per il dominio sulla sfera simbolica, condotta anche attraverso le dinamiche di colonizzazione dell’immaginario. Le modalità di costruzione e trasmissione della memoria possono essere considerate una fondamentale espressione dell’identità comunitaria, della possibilità che un gruppo sociale ha di rappresentare un passato comune, interpretandolo ed attualizzandolo2 anche in relazione agli interessi e ai progetti condivisi nel presente. In questo senso gli oblii, i silenzi della storia, le vere e proprie censure operate dalle élites dominanti sono strumenti di manipolazione della memoria, la cui appropriazione, ad opera di un soggetto collettivo o di un gruppo piuttosto che di un altro, rappresenta un nodo fondamentale nella gestione degli equilibri di potere e della spartizione delle risorse simboliche e strategiche3. L’allungamento delle catene d’interdipendenza tra individui e istituzioni, all’interno di un mondo altamente complesso e globalizzato, fa sì che i rapporti che gli individui stabiliscono con i mezzi di conoscenza e costruzione della realtà si sviluppino sempre più all’interno di un ambien1 D. Crane, La produzione culturale, il Mulino, Bologna, 1997. M. Halbwachs, La memoria collettiva, Unicopli, Milano, 2001. 3 J. Le Goff, Storia e memoria, Einaudi, Torino, 1992. 2 14 te fortemente mediatizzato: pertanto, le relazioni tra esperienza, sapere e memoria costituiscono uno dei nodi critici fondamentali delle dinamiche di civilizzazione e democratizzazione di una società in cui l’informazione diventa la risorsa simbolica più importante e più contesa. In questo contesto, le dinamiche concettuali che trasformano la conoscenza in memoria diventano anch’esse sempre più rapide, meno controllabili e al contempo più conflittuali. In una società in cui il progresso diviene “routine”, in cui il rinnovamento continuo è richiesto per la sopravvivenza del sistema stesso, la novità si affranca dalla sua caratterizzazione rivoluzionaria4. L’ansia del soggetto moderno non è più generata dalla difficoltà di reperire i mezzi funzionali al soddisfacimento degli obiettivi5, bensì, a fronte di un eccesso degli strumenti, sono i fini ad essere indefiniti, mutevoli, e ad essere oggetto di una condizione di continua fibrillazione6. La progettualità dell’individuo è sempre più suggestionata dalle incertezze del presente, da un passato ormai depauperato della sua funzione di grande narrazione, e da un futuro non prevedibile. La creazione di archivi sempre più ricchi, specializzati e decentrati, costituiti dal complesso insieme dei documenti storici, delle storie di vita, dei diari autoprodotti, dei materiali audiovisivi e iconografici, pertanto non può che porsi come terreno di confronto e conflitto, di dialettica e contrattazione. La presentazione e la sopravvivenza delle idee, dei luoghi, degli oggetti, pur in presenza di processi di disaggregazione7, sono strettamente dipendenti dalla possibilità di accedere ai supporti della memoria al fine di avviare scenari di scambio e dialogo tra differenti forme del ricordare. Se la costruzione della memoria, dunque, rappresenta un luogo sociale, culturale e politico al centro di un processo di cooperazione interpretativa, allora le sfasature, le censure e le rimozioni di fasi, eventi, azioni che avvengono a livello pubblico si pongono come tracce fondamentali nel cammino che una società compie in direzione di processi di civilizzazione e modernizzazione. In questo senso, tenendo conto della distinzione tra storia e memoria8 non possiamo non considerare che tra questi due ambiti, pure distinguibili sotto molti punti di vista, esiste un legame profondo che attiene alla 4 G. Vattimo, La società trasparente, Garzanti, Milano, 1989. M. Weber, Economia e società, Edizioni di Comunità, Milano, 1961. 6 Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002. 7 A. Giddens, Le conseguenze della modernità, il Mulino, Bologna, 1994. 8 J. Le Goff, Storia e memoria, cit. 5 15 dialettica tra aspetti micro e macro sociali e che, inoltre, almeno dalla metà del Novecento, attraverso la produzione di testimonianze e prodotti audiovisivi, abbiamo sviluppato la possibilità di osservare e analizzare le vicende e il percorso compiuto da una nazione ricorrendo a diversi generi di fonti documentarie. La memoria come costruzione sociale costituisce un oggetto di analisi estremamente attuale sotto molteplici punti di vista e possiede un valore aggiunto nel momento in cui viene affrontata nel contesto degli studi della comunicazione e dei processi sociali, poiché proprio negli ultimi anni il moltiplicarsi delle narrazioni, dei punti di vista, delle fonti accettate e accettabili ha dato vita, da una lato, a una maggiore democratizzazione della storia, dall’altro a preoccupanti episodi di revisionismo. È proprio in questo ambito, a mio avviso, che l’attenzione nei confronti di ciò che è stato dovrebbe essere consolidata e, quando possibile, amplificata, per evitare il pericolo, sempre costante nel nostro paese, di fratture nella trama della memoria collettiva che potrebbero contribuire ad alimentare le pericolose fragilità di un tessuto sociale e identitario. In quella che è stata definita una “società senza padri”9, caratterizzata da una crisi del senso di appartenenza e da una mancanza di punti di riferimento certi, in cui soprattutto i più giovani sembrano vagabondare in un sorta di no man’s land – schiacciati tra una cultura del presentismo veicolata dai media e una sostanziale opacità del futuro, alimentata da un senso globale di incertezza e precarietà – il richiamo alla memoria nel contesto di un’aula universitaria, attraverso la lezione di un prestigioso conoscitore del racconto della storia attraverso i media, come Sorlin, ci è sembrata un’occasione preziosa di approfondimento e di crescita. La memoria rappresenta attualmente un argomento di estrema rilevanza per gli studiosi di comunicazione e di processi culturali, nel contesto di una società al tempo stesso globalizzata e ricca di localismi, rispetto a cui è necessario assumere una prospettiva ecologica e dinamica, vale a dire, in grado di occuparsi in modo consapevole del modo in cui le reti di relazione tessono la trama della vita culturale e sociale: relazioni tra gli esseri umani, tra l’uomo e l’ambiente, tra l’individuo e la società, tra passato, presente e futuro. Temi questi di grande interesse, analizzati adottando una prospettiva processuale che rifugge da qualunque semplificazione, che tuttavia, forse, da soli, non avrebbero giustificato la forte volontà della presenza di 9 16 C. Risé, Il mestiere di padre, San Paolo Edizioni, Milano, 2004. Sorlin in una facoltà di comunicazione come visiting professor. Il motivo principale per cui la presenza dello studioso francese ha costituito un’occasione fondamentale è la centralità che egli assegna alle immagini e ai prodotti dell’industria culturale, come racconti emblematici e testimoni del tempo. È anche grazie alla sua opera di sensibilizzazione, analisi e interpretazione, che il documento audiovisivo non è più considerato con sospetto, o perlomeno molti storici hanno abbandonato questa pregiudiziale, e inizia a essere valutato e spesso utilizzato come una fonte storica tout court, che, pur con le dovute cautele legate alla potenza espressiva delle immagini, costituisce un prezioso strumento di lettura della società e della sua evoluzione. È certamente vero che oggi viviamo nella società dell’immagine, ed è altrettanto evidente che lo sviluppo di tecniche sempre più accessibili di riproduzione e diffusione ne ha enfatizzato l’importanza, ma Sorlin, sottraendosi ancora una volta all’arbitrio delle mode, sottolinea come in realtà è da sempre che l’immagine è al centro del nostro rapporto con la realtà: «L’immagine organizza il nostro rapporto col mondo, ad essa dobbiamo il fatto di conoscere, senza averli mai visti, luoghi, vegetali, paesi, abitanti; essa ci aiuta inoltre a cogliere evoluzioni graduali, meccanismi appena visibili, dei quali, senza di lei, non avremmo alcuna idea»10. Di fronte alle infinite possibilità offerte dalle innovazioni tecnologiche, si apre, però, l’annosa questione della legittimità e verificabilità delle fonti, ancor più di quelle audiovisive, poiché, se le sistematizzazioni ottocentesche fondavano l’esame critico dei documenti utilizzati sui parametri di autenticità ed esattezza, oggi questi due criteri devono fare i conti con le enormi possibilità di manipolazione delle fonti, con l’ampliamento degli orizzonti d’indagine, con l’aggiornamento degli strumenti d’analisi al mutato rapporto con l’oggetto studiato: la storia. Il passaggio dalla Storia delle élite alla storia sociale ha coinciso necessariamente con una ridefinizione dei mezzi d’indagine, costringendo gli studiosi a interrogarsi sull’adeguatezza di categorie interpretative storico-sociali fino ad allora considerate scientificamente valide. La nouvelle histoire, infatti, punta l’attenzione su una storia quotidiana del costume, delle abitudini, delle mentalità, compiendo una rivoluzione metodologica frutto di una nuova sensibilità, che presuppone il coinvolgimento, 10 P. Sorlin, I figli di Nadar. Il secolo dell’immagine analogica, Einaudi, Torino, 2001, p. 121. 17 nello studio della storia, di altre discipline, che orienta le scienze sociali verso oggetti di analisi più sfuggenti e meno definiti, ma anche capaci di generare contribuiti conoscitivi inediti e stimolanti. Questa volontà di analizzare il modo in cui le “persone comuni” sono transitate attraverso la storia è il punto di partenza per un’analisi comparata che non attinga solo alle fonti ufficiali, ma si predisponga alla ricerca di quello spirito del tempo, declinato sull’hic et nunc11 del vissuto quotidiano, che traspare nella rappresentazione che una determinata società, in un particolare momento storico, fornisce di se stessa. Attraverso i racconti che i media hanno prodotto in merito a eventi, situazioni e snodi cruciali, è dunque possibile creare e individuare aree di sovrapposizione tra una dimensione macro-sociale, istituzionale e “storica”, e una, invece, microsociale, personale e comunitaria. In questa ottica, le fonti audiovisive che si prestano allo studio della “storia lenta” e della vita materiale nella lunga durata acquistano prestigio, al pari dei documenti scritti, dotati di ufficialità e autorevolezza. «Non ci può essere la lettura storica di un film senza riferimenti ad alcune categorie interpretative mutuate da altre discipline come la semiologia e l’antropologia e, soprattutto, prescindendo dalla mediazione concettuale offerta da una nozione come quella di “cultura cinematografica” come chiave per decifrarne l’ambiguità e la complessità dei segni e dei significati»12. Le dimensioni relative all’oralità storicamente si contrappongono a quelle della scrittura: ma una seconda oralità13, legata sempre di più alle immagini, si fa portavoce di un attore sociale il cui habitat è animato dal linguaggio audiovisivo, aprendo spazi a nuove forme di narrazione articolate su più livelli interpretativi. In questo senso, afferma Sorlin, «i film non [vanno] considerati come semplici finestre sull’universo; essi costituiscono uno degli strumenti di cui una società dispone per mettersi in scena e mostrarsi e, proprio in quanto tali, sono importanti documenti del loro tempo e fonti per lo sto- 11 Cfr. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 2000 [1966]; cfr. E. Morin, Lo spirito del tempo, Meltemi, Roma, 2005 [1962]. 12 G. De Luna, L’occhio e l’orecchio dello storico, le fonti audiovisive nella ricerca e nella didattica della storia, La Nuova Italia, Scandicci, 1993, p. 19. 13 W.J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, il Mulino, Bologna, 1986. 18 rico per scoprire e analizzare il modo in cui in un certo periodo ne veniva socialmente pensato un altro»14. Un film, in quanto opera collettiva, è per sua stessa natura socialmente influenzato, rappresenta, dunque, da un lato il clima del tempo in cui è nato e dall’altro interpreta, attraverso la rappresentazione fornita, il passato fino a quel momento conosciuto. La forza del documento audiovisivo, inoltre, è legata in molti casi alla sua inconsapevolezza, poiché l’immagine, da sola, nella sua istantanea rappresentazione del reale, è una testimonianza del passato, ed è quindi intrisa di storia. La quotidianità si manifesta nei prodotti dell’industria culturale come esigenza dell’abitare luoghi e spazi e di utilizzare gli strumenti di comunicazione in grado di esprimere un determinato stadio di civiltà; i prodotti audiovisivi, in particolare, sono in grado di esprimere attraverso momenti, figure, stereotipi, i mutamenti e le trasformazioni materiali e immateriali della vita collettiva, permettendo di cogliere lo zeitgeist che si riflette nelle tracce che il vissuto comune lascia nei documenti d’epoca, nelle opere cinematografiche, nelle riprese televisive e così via. Un film, attraverso i suoi meccanismi narrativi e la messa in scena di una porzione di realtà storicamente determinata, ha la capacità di intrecciare i drammi individuali con l’evoluzione dell’umanità, lasciando emergere la rilevanza delle grandi svolte storiche dalla trama anodina delle vicende raccontate. Il documento audiovisivo, che individua il mondo come referente, ha una triplice valenza: come fonte diretta della storia del periodo in cui è stato girato, in quanto testimone di paesaggi e comportamenti, come fonte indiretta, poiché riflesso delle mentalità correnti e dell’immaginario collettivo; come scrittura storica, cioè mezzo per rappresentarla. «Schematicamente, alla descrizione si attribuisce la capacità di evocare il passato, alla narrazione quella di raccontarlo suscitando interesse e di spiegarlo attraverso una concatenazione di cause ed effetti che si dipana in ordine cronologico; in realtà, al momento della spiegazione contribuisce sempre più un’analisi attenta più che al movimento diacronico della storia al suo sviluppo sincronico, alle connessioni esistenti tra eventi e processi simultanei. Questo aspetto è quello ampiamente prevalente nei modelli narrativi tipici dei media»15. 14 P. Sorlin, Sociologia del cinema, Garzanti, Milano, 1979, p. 312. 15 G. De Luna, L’occhio e l’orecchio dello storico. Le fonti audiovisive nella ricerca e nella didattica della storia, cit., p. 31. 19 Lo storico si avvicina a una pellicola cinematografica, confrontandosi, da un lato, con il presente che l’ha prodotta, dall’altro, con il passato che essa intende raccontare e riprodurre. Solo considerando il documento cinematografico in tutta la sua complessità, tenendo conto, cioè, della sua irriducibile ambivalenza tra reale e fantastico, del legame con la sua epoca, dell’ottica particolare degli autori e dell’involucro ideologico che lo avvolge il connubio tra cinema e storia diviene possibile. Pierre Sorlin è tra gli studiosi che per primi hanno applicato alla storiografia una metodologia basata sullo studio delle fonti audiovisive con la sua opera Sociologia del cinema16. Nella sua prospettiva il cinema rappresenta uno strumento di trasmissione del sapere utile alla ricostruzione di uno scenario passato tanto quanto le fonti scritte, seppure con linguaggi e modalità differenti: «I film sono immagini globali. I loro materiali sono assemblati per ritrarre situazioni, azioni, individui o gruppi»17. Per avvicinarsi a questo nuovo studio degli audiovisivi è indispensabile non solo una conoscenza semiotica dell’oggetto filmico, ma anche la capacità di applicare un adeguato apparato teorico alla conoscenza del passato e alla sua rielaborazione. Lo studio storico dei film necessita di un’attenzione particolare alle influenze che l’ideologia, i valori, le mentalità e le rappresentazioni collettive esercitano sulla realizzazione del film stesso. In questa prospettiva, per Sorlin, diviene centrale il ruolo dello spettatore, che non è quello di un ricettore passivo, ma piuttosto di un soggetto in grado di determinare, da un punto di vista sociologico, «i moduli di percezione, gli elementi accettati da una cerchia che si inseriscono a loro volta fra le componenti della mentalità di essa»18. Nel metodo di studio adottato dallo studioso francese in ogni film si rileva la presenza simultanea di due elementi: l’aspetto di realtà da una parte e la lettura della mentalità e delle ideologie dall’altra. A tal proposito, è fondamentale nell’approccio di Sorlin il concetto di “visibile”: «Parlando di visibile si ribadisce la capacità del cinema di riprodurre la realtà fisica, o più precisamente il mondo vissuto che gli spettatori vengono invitati a riconoscere, ma al tempo stesso si evidenzia la sua capaci16 Cfr. P. Sorlin, Sociologia del cinema, cit. P. Sorlin, Cinema e identità europea. Percorsi nel secondo Novecento, La Nuova Italia, Scandicci, 2001, p. 13. 18 Cfr. P. Sorlin, Sociologia del cinema, cit. 17 20 tà di costruire, attraverso la selezione e attraverso il racconto, una rappresentazione socialmente e soggettivamente determinata del mondo»19. Le condizioni capaci di influenzare le trasformazioni del visivo sono strettamente connesse al contesto storico-sociale in cui un dato prodotto è stato realizzato: un gruppo “vede ciò che può vedere” e il perimetro del visibile definisce lo spazio di consapevolezza entro cui esso si muove; il cinema, essendo allo stesso tempo repertorio e produttore di immagini, mostra non il “reale”, ma i frammenti di realtà che il pubblico può accettare e riconoscere. In questo caso svolge una doppia funzione: sedimenta le immagini esistenti e allo stesso tempo ne crea di nuove, ampliando i confini dell’immaginario. Sullo schermo viene proiettata un’anima collettiva che riversa nel film una partecipazione emotiva che lo distingue da altre forme di racconto; ogni individuo, infatti, nel buio amniotico della sala cinematografica, è un’entità sociale e morale distinta, capace di scelte e volontà proprie, ma al tempo stesso è partecipe delle tensioni e delle emozioni comuni a chi condivide con lui non solo l’esperienza immediata della visione, ma anche, e soprattutto, quella della semiosi illimitata che i testi aperti permettono. È in questo senso che il cinema riesce, in momenti storici particolari, come ad esempio nel dopoguerra italiano, a costituire, sul piano dell’immaginario, uno strumento di coesione per un corpo sociale frammentato e disperso. Secondo la teoria dello specchio, infatti, «chi realizza un film vive nello stesso paese della maggior parte dei suoi futuri spettatori, con i quali condivide problemi e speranze; a meno che non si rifugi in pure fantasie, egli introdurrà nei film i suoi interessi, anche solo per catturare con più facilità l’attenzione del pubblico. I film non sono la realtà, ma non se ne distaccano mai completamente. Come gli specchi, che incorniciano, delimitano e a volte distorcono, ma in fondo “riflettono” ciò che hanno di fronte, i film illustrano vari aspetti della società che li produce»20. La rivoluzione copernicana, che colloca le storie degli individui al centro dell’indagine delle scienze umane, pone l’accento sull’importanza della memoria sia come possibile terreno di conflitto, sia come collante sociale nella costruzione di identità collettive. Una delle questioni inerenti lo studio della memoria riguarda il problema della trasmissione, in relazione alla forma e agli strumenti con i 19 P. Ortoleva, Scene dal passato, cinema e storia, Loescher Editore, Torino, 1991, p. 40. 20 P. Sorlin, Cinema e identità europea, cit., p. 13. 21 quali essa si tramanda di generazione in generazione. La componente narrativa di questo processo di trasposizione e adattamento in direzione degli orizzonti socio-culturali di accoglienza risulta, dunque, di fondamentale importanza per un’adeguata ricezione di un racconto comune da parte dei membri di un gruppo sociale. La fine della Grandi Narrazioni ha coinciso con un’accresciuta rilevanza dei processi di negoziazione della memoria, in virtù dell’impossibilità di accedere a un’unica versione dotata di senso dell’evoluzione storica, e della proliferazione di punti di vista come fonti di altrettante visioni coerenti e sensate di una stessa porzione di tempo vissuto. Quando parliamo di Grandi Narrazioni non facciamo riferimento solo a un mito originario, fondativo, legittimato dal racconto di storie sull’appartenenza a una Heimat comune, quanto piuttosto a un’interpretazione coerente del destino dell’umanità, un progetto che vedrà il suo compimento in un futuro certo, secondo le promesse, o meglio le premesse di causa effetto alla base di grandi pensieri ideologici come il cristianesimo o il marxismo. Il crollo del progetto moderno ha travolto nella sua caduta le impalcature su cui si reggevano queste cattedrali di senso, polverizzando ciò che era plausibilmente concepita come una verità universale, generando una proliferazione di piccole narrazioni, locali, parziali e circoscritte. La consapevolezza della parzialità del proprio orizzonte, affrancata solo dalle opportunità dei mezzi di comunicazione di dissequestrare l’esperienza dai limiti spazio-temporali, costituisce nella contemporaneità l’unico dato certo di una condizione umana che non si riconosce in nessuna appartenenza rassicurante, in nessun piano di salvezza e nella consapevolezza di far parte di un multi-verso. Il tramonto di una concezione del tempo fondata sulla linearità storica e sull’accumulazione di conoscenze alimenta la precarietà e l’incertezza dei percorsi biografici e sbandamenti macrosociali verso derive più presentiste che programmaticamente responsabili, su uno scambio epidermico di emozioni e sensazioni più che su una condivisione profonda di valori e ideali. Nel tentativo di ridurre il grado di entropia insito nella crescente complessità del presente, si cercano strategie di semplificazione, principalmente riconducibili alla narrazione, traslando a livello sociale quello che la psicanalisi si propone di fare con il singolo: organizzare sotto forma di racconto il magma indistinto di pulsioni, pensieri, progetti e paure che popolano l’animo umano e dunque il tessuto sociale. Attraverso la proliferazione delle narrazioni, sembrano farsi strada 22 due diverse accezioni di memoria: una di tipo individuale, che può essere definita come il processo che permette di trasformare il nostro vissuto in racconti, per noi o per gli altri, e una che Sorlin definisce senza ricordi. All’interno di una struttura sociale ampia, in cui la conoscenza reciproca è prevalentemente mediata, si fa necessariamente riferimento al racconto di avvenimenti che non sempre sono vissuti in prima persona. Poiché l’attualizzazione di questi eventi avviene all’interno delle coscienze individuali, la comunicazione diviene essenziale per dare forma a un racconto comune in grado di innescare un’interazione significativa tra diversi soggetti e, dunque, in una determinata comunità. A questo punto, però, bisogna domandarsi come questa “memoria di nessuno” possa diventare una “memoria di ciascuno” e quale sia la sua valenza sovversiva o associativa. Dal punto di vista delle dinamiche di aggregazione, la memoria ha la funzione di creare forme di solidarietà attraverso il ricorso a riferimenti comuni, sia a livello nazionale (le gesta di grandi uomini o eventi clamorosi), sia a un livello più circoscritto, relativo all’ambiente lavorativo, familiare o comunitario. In questi casi, il processo attraverso cui la memoria viene introiettata costituisce uno strumento d’identificazione e di socializzazione, che potremmo definire di tipo “politico”. Per comprendere meglio la differenza tra i due tipi di memoria può essere utile ricorrere al concetto di oblio: il singolo individuo tende a dimenticare gli eventi spiacevoli mettendo in atto una forma di difesa. All’interno di un gruppo, invece, anche quando non si parla di avvenimenti accaduti, non vuol dire che questi siano stati dimenticati; infatti, essi tendono ad essere oggetto di discussione soprattutto in momenti di conflitto. Ovviamente, esistono differenze fondamentali tra i ricordi individuali e la memoria collettiva, tuttavia i due ambiti risultano strettamente connessi. Forme di memoria condivisa sono accettate spontaneamente dall’individuo per affermare la propria appartenenza al gruppo, ma, deprivati di riferimenti concreti, i ricordi tendono ad essere collocati al di fuori del tempo, in una dimensione astratta, quasi mitica. In assenza di un preciso ancoraggio al presente, la memoria di una comunità si riduce dunque a un’affermazione puramente simbolica del dato condiviso; d’altro canto, la memoria condivisa viene continuamente rielaborata dalla partecipazione attiva dei soggetti che fanno parte di una comunità, i quali la reinterpretano a partire dalla proprie convinzioni ed esigenze. In questo continuo processo di trasformazione alcune culture nazio23 nali si sono dimostrate meno attrezzate rispetto ad altre a resistere alle oscillazioni di corsi e ricorsi storici, portando alla luce le carenze strutturali di un sostrato simbolico su cui erigere una narrazione coerente e resistente all’oblio. In un certo senso, l’Italia è uno di questi paesi, in quanto caratterizzato da una certa difficoltà a concepire racconti compiuti, basati non solo sulla comprensione parziale e intimistica delle esperienze di vita dei soggetti descritti, ma su un epos condiviso, capace non solo di raccontare la realtà assumendo una prospettiva corale, ma anche di innescare processi di cambiamento destinati a coinvolgere un’intera nazione. Non a caso gli studi di Sorlin si sono spesso dedicati al cosiddetto “caso italiano”, facendo riferimento a un aspetto specifico dalla mancata costruzione, da parte delle classi dirigenti e delle élites intellettuali, di un immaginario condiviso forte, resistente alle narrazioni parziali e campaniliste. Il risultato di questo processo è una memoria collettiva fragile, episodica, disseminata di vuoti e zone d’ombra. 24