ANTROPOLOGIA CULTURALE PROF.SSA BARBARA GHIRINGHELLI A.A. 2013 – 2014 Libera Università di Lingue e comunicazione IULM Facoltà di Interpretariato e Comunicazione Introduzione per lo studente: Il materiale è composto dal riassunto del testo “Dal tribale al globale” di Fabietti, Malighetti e Matera e dagli appunti presi a lezione, comprese le slide fornite dalla stessa Prof.ssa Ghiringhelli. Molto importanti per l’esame orale sono le definizioni e la data di nascita della disciplina antropologica. Voto conseguito all’esame: 29. Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 1 “DAL TRIBALE AL GLOBALE” Parte 1 1. Confini disciplinari L’antropologia culturale è il “sapere della differenza”: • “sapere” in quanto è nata in Occidente e si è sviluppata secondo le modalità che costituiscono la conoscenza entro la tradizione scientifica e accademica occidentale; • “differenza” perché va a delimitare la specificità dell’ambito disciplinare antropologico (discorso che parla degli altri), mettendo in luce la sua particolarità in quanto pratica di ricerca. Si propone infatti di raggiungere una comprensione dei fatti (usi e costumi) che appaiono strani e incomprensibili al nostro sguardo perché diversi rispetto a quelli che ci sono familiari e che ci appaiono naturali. Geertz: “Se volete capire che cosa sia una scienza dovete guardare cosa fanno coloro che la praticano, i suoi specialisti, e non le teorie e le scoperte”. L’antropologia nasce in Europa nell’800 e si caratterizza come studio dei popoli primitivi (selvaggi o tribali). Come afferma Kluckhohn, antropologo americano, lo studio dei primitivi ci mette in grado di vedere meglio noi stessi, l’antropologia pone all’uomo un grande specchio che gli permette di osservarsi nella sua molteplice varietà. Sullo sfondo dell’antropologia del ‘900 si delineano due intenti: a. studiare le altre culture, documentarle, per salvaguardare le differenze culturali dal rischio di un massiccio processo di omogeneizzazione culturale mondiale; b. farsi critica culturale della stessa società occidentale attraverso lo studio delle altre società. Fino a qualche anno fa il mondo contemporaneo era diviso in 3 parti: 1. Primo Mondo, dell’economia capitalistica, naturale e razionale 2. Secondo Mondo, dei paesi ex-socialisti 3. Terzo mondo, dei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, regno dell’irrazionalità, schiacciato da tradizioni primitive e assurde; campo di applicazione quasi esclusivo del concetto di cultura in senso antropologico, oggi tale concezione non è più possibile, a causa del mutato panorama mondiale. In un certo senso l’intento dell’antropologia è stato oggi raggiunto: tutti i popoli della Terra sono collocati spazialmente e conosciuti, le loro culture sono localizzate. Tuttavia questo obiettivo è piuttosto riduttivo a causa delle riformulazioni della globalizzazione. La ricerca antropologica della prima metà del ‘900 costituisce sempre un importante momento di apertura concettuale nei confronti dei “rimasugli della storia”. La società e le culture non sono statiche ma sono in continuo movimento, nonostante siano tese nel tentativo di apparire statiche: non sempre però l’antropologia è stata in grado di cogliere questi aspetti. Il passaggio dalla molteplicità culturale alla pluralità storica non è scontato: solo negli ultimi anni è sorta un’antropologia del noi, sensibile agli aspetti dinamici delle culture, con un concetto di cultura adatto alle società moderne. Il processo di mutamento non è univoco, ma ammette la natura ibrida di qualsiasi formazione Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 2 culturale e si entra in una prospettiva concettuale utile a cogliere il senso degli altri: le società e le culture non sono statiche, ma in continuo movimento. Tylor: “La cultura o civiltà è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società”. Questa definizione è il punto di riferimento classico dell’antropologia culturale, cronologico, in quanto il 1871 è la data di nascita dell’antropologia, logico, perché quella definizione si offre a precisazioni, riformulazioni, ampliamenti o restringimenti. L’espressione “insieme complesso” sottolinea uno degli aspetti più importanti di questa definizione, ovvero il mescolare, in quanto usi e costumi sono mescolati alla conoscenza, all’arte, alla morale; ma così come il costume, anche la conoscenza e il diritto non sono trasmessi geneticamente ma acquisiti socialmente. La cultura inoltre supera la separazione in classi, ceti o strati sociali, e “intesa nel suo ampio senso etnografico” accomuna tutte le società umane. Con questo Tylor apre la via alla riflessione antropologica, sancendo che la cultura è una caratteristica dell’uomo sociale. Come afferma Remotti, l’antropologia non può fare a meno di abbattere la linea di separazione fra un luogo della verità e della ragione di là dei confini dei quali dilagherebbero l’errore e l’irrazionalità dei costumi. La cultura è una caratteristica dell’uomo sociale in quanto tale, quale sia il luogo in cui si trova e il modo in cui si è organizzato. Le definizioni successive a quella di Tylor hanno un duplice carattere: 1. Cercano di individuare i contenuti che costituiscono l’ambito oggettivo della cultura (es. abiti, comportamenti sociali, credenze, regole); 2. Affermano il carattere di acquisizione sociale della cultura. Sia Boas sia Malinowski, fondatori delle due maggiori scuole antropologiche del ‘900, respingono il punto di vista storico-evolutivo di Tylor, negando la possibilità di riportare tutte le culture a uno schema unico e universalmente valido di sviluppo culturale e di determinarne le fasi secondo leggi uniformi per ciascuna. Boas afferma la necessità di studiare le culture nel loro particolare contesto storico, Malinowski ritiene che ogni cultura sia un sistema chiuso, un complesso di elementi legati fra loro da relazioni funzionali e quindi che ogni istituzione debba essere studiata nella sua funzione. Tylor inoltra parla di cultura al singolare, ma il concetto si è esteso in un concetto collettivo che indica una molteplicità di culture diverse e indipendenti. Si fa strada l’idea della pluralità di culture particolari, di “collezione di culture” come le definisce Clifford. A partire dai primi del Novecento invece di seguire la via logica della continuità proposta da Tylor, si fa strada la logica della discontinuità, le cui derivazioni sono le teorie del relativismo culturale, la salvaguardia culturale, il concetto di collezione di culture, ecc. La cultura dunque non è un sistema originario, ma un insieme di processi mutevoli e dinamici, come l’identità, mentre l’etnia è il prodotto di una classificazione analitica e terminologica, utile a individuare i gruppi all’interno di uno spazio sociale. Vi sono tre principali teorie antropologiche: l’universalismo evoluzionista (con lo sviluppo, spariranno le differenza), universalismo relativista (salvaguardia delle differenze) e universalismo gerarchico (le differenze ci sono, ma ci sono società più uguali di altre). Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 3 2. Lo studio. Oggetti e teorie La parola antropologia, antropos e logos, significa “discorso, ragionamento, sull’uomo”; l’oggetto primario è infatti l’uomo, che come gli altri animali è immerso in un ambiente, fisico (clima, terreno), biotico (piante e animali), sociale (interazione con gli altri membri della specie umana). L’ecologia è lo studio delle relazioni fra gli organismi e l’ambiente in cui vivono e vicino ad esso c’è lo studio antropologico dell’adattamento umano: il modo in cui gli individui o le popolazioni reagiscono alle condizioni ambientali e si garantiscono il sostentamento e la sopravvivenza. L’uomo, che appartiene alla specie homo sapiens, è prima di tutto un organismo animale, immerso in un ecosistema, che deve trovare l’energia necessaria per mantenersi in vita (cibo), deve mantenere la temperatura corporea (protezione da freddo/caldo) e deve riprodursi (da solo non vivrebbe). Presenta però caratteristiche diverse da quelle degli altri animali, come la stazione eretta, il coordinamento tra occhio e mani, la presa di precisione, la ricettività femminile permanente e la tendenza alla fetalizzazione. Le strategie adattative si basano su 3 elementi portanti: tecnologia, organizzazione sociale, credenze religiose e i valori; un ulteriore elemento cruciale dell’adattamento umano è lo scambio di informazioni, la capacità di comunicazione, dove il frutto più importante dell’intelligenza è il linguaggio. Gli studiosi (filosofi, antropologi, sociologi, psicologi) hanno da tempo accolto l’idea dell’unità del genere umano, tuttavia anche uno sguardo anche superficiale ha sempre rivelato non l’unità ma la diversità: gli esseri umani costituiscono infatti una specie animale incredibilmente differenziata (colori, fattezze, misure, lingue, usi e costumi differenti) e abbiamo idee sul mondo e su noi stessi differenti. Ci unisce però una comune matrice biologica e psichica. Vi è però un’altra particolarità dell’essere umano che lo distingue dagli animali, ovvero la capacità di produrre idee e rappresentazioni del mondo, la dimensione simbolica della nostra esistenza. Gli uomini danno significati da loro stessi costruiti al mondo, agli oggetti, agli eventi, alle persone, ai comportamenti, alle percezioni e alle emozioni e agiscono come se questi significati fossero reali. Questa prospettiva socio-costruttivista (risale a Marx e Durkheim, esplicitata da Berger e Luckmann) ci riporta concetto di cultura, e a quello collegato di società. L’antropologia è nata entro il guscio dell’evoluzionismo vittoriano (Inghilterra all’apice della potenza militare, della ricchezza economica e del potere politico, rendendo visibili le diseguaglianze sociali e culturali), caratterizzandosi come un progetto scientifico e conoscitivo molto ambizioso e globale (scoprire leggi che regolano l’evoluzione culturale, comuni a tutti i popoli della terra). La sua vocazione globale è stata però di breve durata, infatti nel primo trentennio del ‘900 si verificò il passaggio dalla grande visione ottocentesca dell’antropologia come una vera e propria “scienza dell’uomo” all’idea novecentesca della disciplina intesa come una pratica di ricerca intensiva e specifica. La procedura etnografica che nel ‘900 diventò il tratto distintivo dello studio delle culture portò: 1. Ridimensionare la tendenza degli evoluzionisti a formulare asserzioni di portata universale sull’uomo; 2. Elevatissimo livello di contestualizzazione delle ricerche e del sapere antropologici; 3. Ridimensionare la portata del metodo comparativo. Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 4 L’oggetto dell’antropologia divenne a partire dai primi anni del ‘900 la singola cultura nella sua individualità empiricamente osservabile. Per Boas è necessario studiare le culture nel loro particolare contesto storico, per Malinowski una cultura è un complesso di elementi legati fra loro da relazioni funzionali, mentre Radcliffe-Brown si convinse che l’oggetto dell’antropologo dovesse essere la società concretamente osservabile e non la cultura. Le culture in quanto reti di significati costruite dai loro stessi membri attraverso l’azione, l’esperienza, l’interazione entro specifiche cornici storiche, economiche, ambientali, politiche non si possono studiare adottando una prospettica “esterna” ma vanno comprese dall’interno, sforzandoci di metterci nei loro panni. Poi possiamo far ricorso a nozioni e prospettive esterne. Bisogna ricordare però che società e culture sonno prodotti storici e per questo cambiano nel tempo; il mutamento culturale è però un processo complesso e articolato, non è più valida l’equazione mutamento=distruzione=degenerazione. La dimensione conflittuale e il mutamento sono due costanti di tutte le società umane. Il termine cultura è una parola centrale nell’antropologia, ma dopo la definizione di Tylor se ne assesta un’altra, ovvero “un complesso integrato di configurazioni di pensiero e di comportamento trasmesso e condiviso socialmente”. Nessuna comunità umana, per quanto all’apparenza statica, stabile, confinata, isolata può essere considerata “fredda” o “fuori dalla storia”, come afferma Sahlins nel libro sui popoli del Pacifico Isole di storia. Una cultura è sempre aperta al contatto, al confronto, allo scambio con altre culture, per questo non esistono culture pure, culture che non sono autosufficienti ma incomplete o “aperte” allo scambio, all’incrocio e all’ibridazione (a differenza dell’antropologia della prima metà del ‘900). Il tratto che più caratterizza l’antropologia del dopoguerra è l’interesse per le dinamiche sociali, e non più per gli equilibri. Nell’antropologia funzionalista che Moore definisce “malinowskiana” mancavano gli strumenti concettuali per concepire e cogliere la dinamica contradditoria dei processi sociali e quindi per avviare una riflessione sulle condizioni e sui meccanismi del cambiamento sociale e culturale, strumenti che vengono trovati dagli antropologi della generazione successiva nel pensiero di Marx. Nasce anche l’idea che sia “figlia del colonialismo”. Essa però non può più considerarsi lo studio di “isole esotiche” e “giungle lontane”. Con il lavoro di Gluckman, fondatore della scuola di Manchester, si inverte la tendenza “astorica” del funzionalismo; studiò infatti il tema del conflitto sociale all’interno delle società africane e le situazioni inedite prodotte dal colonialismo in quelle società, mettendo in lice che le società “tradizionali” e le società “dei bianchi” sono legate da molti rapporti e quindi lo studio di società in isolamento non era fondato. Turner, esponente di questa scuola, coniò l’espressione “dramma sociale” per definire la complessa dimensione conflittuale che coinvolge gli ndembu (attuale Zambia). L’orizzonte tematico e teorico dell’antropologia in questi anni si dilata: è importante l’instabilità, il conflitto, il mutamento, la trasgressione. Balandier colloca gli oggetti dell’antropologia nel quadro di una “situazione coloniale”, con cui intende portare in primo piano i molteplici legami tra le società tradizionali e la società occidentale che le prospettive precedenti avevano negato o occultato. Questa è l’espressione di un’attitudine intellettuale tipicamente etnocentrica che Hymes ha definito “colonialismo scientifico”, ovvero un processo che determina la localizzazione del centro di gravità per l’acquisizione di conoscenza riguardo a un popolo. Anche Bastide in quegli anni aveva sottolineato il fenomeno del “sincretismo”, cioè l’intreccio fra culture diverse. Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 5