Il sessantotto e la psichiatria, in AA. VV., Manicomio, società e politica, Pisa, BFS, 2005
IL SESSANTOTTO E LA PSICHIATRIA
SERGIO DALMASSO
Il Sessantotto e la stagione dei movimenti
Anche a distanza di quasi quattro decenni, il 1968 si presenta come un intreccio unico e
forse irripetibile di lotta antimperia1ista e anticolonialista, di protesta studentesca contro la scuola
c1assista e il modello culturale imposto, di spinta operaia contro la fabbrica fordista, di emergenza
generazionale contro il costume, i rapporti familiari e generazionali, le relazioni tra generi. Non è
questa la sede per discutere se questo sia stato l'ultimo episodio di una stagione segnata da
rivoluzioni (il comunismo novecentesco) o il primo di una stagione successiva. Interessa, invece,
sottolineare la specificità del ‘68 italiano. Se in altri paesi la spinta sembra bruciarsi in un breve
arco di tempo, tanto da far parlare di “evento”, nel nostro paese, per un intreccio di motivi 1,
assistiamo a un “68 lungo” che esce dai limiti cronologici del “nuovo biennio rosso” (1968-1969) in
un insolito esplodere e perdurare di quella che è stata definita “stagione dei movimenti” (AAVV,
1988)2. La caratterizza, in Italia, il permanere negli anni:
- di una sinistra operaia che esce dai “limiti” sindacali e pone questioni di potere in fabbrica e
nella società;
- di una protesta studentesca che tocca qualunque ordine di scuola;
- della scelta “per il socialismo” di tanti credenti sull’onda della situazione internazionale e
dell’innovazione conciliare;
- dell’impegno per i diritti civili (no al Concordato, divorzio, aborto, reati d’opinione,
referendum, obiezione di coscienza, libertà sessuale …). Significativa, fatto quasi unico
nella storia dei partiti, l’auto-denuncia del comitato centrale del Psiup, nel gennaio 1970,
contro i reati d’opinione, ma ancor più eloquente L’affermazione, anche a livello di senso
comune, del Partito radicale;
- di contraddizioni nella polizia e nell’esercito;
- di un protagonismo femminile che segna un distacco rispetto al tradizionale
emancipazionismo della sinistra;
- di un movimento di carcerati che rivendica la natura “poltica”del carcere (è fortissima la
suggestione del movimento nero americano);
- della crescita della libertà e dell’impegno degli operatori dell’informazione (cinema,
letteratura, ma non solo);
- di settori professionali, tradizionalmente lontani da posizioni di trasformazione radicale che
aprono vertenze non sul rapporto di lavoro (stipendio, orario), ma sui contenuti professionali
e sulle finalità sociali del proprio lavoro. In questo ambito nascono associazioni quali
Magistratura democratica, Urbanistica democratica, Medicina democratica e Psichiatria
democratica.
Le radici
Così come la “stagione dei movimenti” non si chiude in uno o due anni, ma procede almeno
sino al 1977, così questa ha radici negli anni precedenti. Almeno a partire dal 1956 acquista
dimensione una critica “da sinistra” allo stalinismo, uscendo dai limiti molto minoritari dei gruppi
1
Dalla permanenza dello stesso partito al governo per un quarto di secolo (a quella data) alla conseguente
mancata alternanza, dal rinvio di riforme indispensabili allo squilibrio tra nord e sud, dal peso politico e culturale della
Chiesa cattolica alla condizione femminile.
2
Per una discussione su questi temi DALMASSO (200 l), SCAVINO (2002) e GALLERANO (1998).
1
trockisti e bordighisti ed emergono culture eterodosse a lungo emarginate. Anche indirettamente e
non solo in Germania è, ad esempio, molto forte l'influenza della Scuola di Francoforte. Escono
dallo specialismo degli studi alcuni suoi temi: lo studio della società di massa, contro la “tolleranza
repressi va”, sulla personalità autoritaria. Il rifiuto della apologia della libertà del mondo
occidentale si accompagna alla denuncia della chiusura di ogni spazio per le istanze del pensiero
eterodosso. La certezza che nella società tutto (comportamenti, pensiero, consumi, anche le
tradizionali forme di opposizione) sia integrato diventa convinzione comune a molti settori,
soprattutto di giovani, come testimoniano cinema, teatro, arti figurative. L’attenzione si rivolge
soprattutto sulla famiglia che è letta sempre meno come luogo di libertà e sempre più come scuola
di conformismo, formatrice di personalità adattabili e causa di nevrosi 3. Non a caso tante opere
cinematografiche la interpreteranno come paradigma delle false relazioni e della alienazione
dominanti nella società4.
Le matrici teoriche: Goffman, Foucault, Fanon
Il pensiero di tre grandi autori, in questo quadro di grande fermento culturale, contribuisce a
leggere in termini storici e politici il tema della follia, ad offrire una base teorica alla grande
rivoluzione che Franco Basaglia inizia ad impostare, cancellando, nell’incontro con il malato di
mente, la logica istituzionale che lo seppellisce sotto la malattia (prodotta dalla istituzione stessa).
Il primo è Michel Foucault, teso a mettere in discussione la centralità del soggetto razionale
(cartesiano) come fondamento del sapere scientifico. La Storia della follia (la cui edizione originale
è del 1961) e la Nascita della clinica (1963) analizzano la definizione e rimozione della devianza
psichica e la “medicalizzazione” del corpo, definiscono l’arbitrarietà sociale e storica della
produzione della malattia mentale come “verità” della follia. È Foucault a problematizzare il nesso
tra scienze umane e sistema di potere. La nascita dell’idea di follia e dell’istituzione della clinica
costituiscono una vera e propria rottura epistemologica (non vi è una verità assoluta, ma essa è un
divenire segnato da continue rotture).
Analoga importanza ha l'opera di Erving Goffman. Asylums (1961) e Stigma (1963)5 hanno
al centro una analisi critica delle istituzioni deputate alla gestione e al controllo di quanto è ritenuto
irrazionale e disumano. L’autore mette in discussione le strutture di potere e il funzionamento dei
meccanismi di esclusione e di istituzionalizzazione dell’inferiorità. Il malato di mente non è
solamente l’effetto dell' organizzazione istituzionale, ma il prodotto storico e sociale della
razionalità moderna.
Ancor più lacerante per la cultura europea è il contributo di Frantz Fanon. La sua opera
principale, I dannati della terra (1966, ed orig, 1961), intreccio di psichiatria, sociologia, impegno
politico diretto, esce quando la lotta per l’indipendenza algerina non è ancora conclusa e
l’intellettualità europea si interroga sul proprio ruolo, sulla perdita di centralità nella lotta
internazionale per l’emancipazione, sulla correità nell’opera di colonizzazione e nella politica neo
coloniale che sta emergendo. Al di là dell’aspetto contingente, l’analisi di Fanon presenta una
critica frontale alla psichiatria manicomiale europea che è strumento di istituzionalizzazione del
colonizzato. Lo psichiatra, nell’analisi del processo di esclusione di questo, di cancellazione della
sua cultura, del suo passato, della sua identità individuale e collettiva non può che auto-distruggersi
come soggetto di conoscenza e ricostruirsi come testimone della condizione di esclusione.
3
Questa tematica, legata alla costruzione di nuovi e diversi rapporti interpersonali, è presente nel 1974 nella
campagna a favore del divorzio svolta dal Manifesto (allora gruppo e giornale).
4
Si pensi a I pugni in tasca, prima opera di Marco Bellocchio (Italia, 1965, b/n, 107'), al primo (sopravvalutato)
Salvatore Samperi, a Family life di Ken Loach (Ob, 1971, colore, 110'), direttamente ispirato dalle teorie di Ronald
Laing.
5
Per coincidenza le stesse date dei due testi sopra ricordati di Foucault.
2
Sono questi tre contributi a contribuire in modo determinante alla formazione di un
movimento anti-istituzionale anche nel campo della psichiatria e al suo forte impatto con la realtà
politica:
- per la pratica di sospensione del manicomio come istituzione separata e globale;
- per la critica alla malattia mentale come “verità” scientifica assoluta;
- per l’approccio alla follia non attraverso il rapporto intersoggettivo e individuale tra
medico e paziente, ma attraverso un lavoro pratico alternativo al manicomio.
Inizia a divenire chiara e netta la denuncia dell’istituzione manicomiale. Dietro alla funzione
terapeutica è sotteso un mandato di controllo sociale nei confronti della devianza del povero,
giudicata improduttiva. Le ipotesi di Foucault, Goffman e Fanon, legate alla temperie
internazionalista e antimperialista propria del decennio, all’emergere di una controcultura
testimoniata da arti figurative, cinema, letteratura, ad una protesta contro il pensiero
unidimensionale dominante fanno parte del clima intellettuale che precede e che permea il ‘68.
Ne è segno una rivista anomala, «Il corpo» (1965-1968), che ha come redattori, tra gli altri,
Amodio, Fachinelli, Pericoli e indaga significativamente la corporalità con interesse per la
psicoanalisi, interpretata come possibile eversione dei valori dominanti, lo strutturalismo e il
“marxismo occidentale” nei suoi rapporti con Hegel. È Elvio Fachinelli ad affrontare ripetutamente
il tema psicoanalitico (FACHINELLI, 1966), oggetto, negli anni successivi, di interpretazioni molto
divergenti. La rivista ha temi originali, propone un cambiamento di società che significhi
cambiamento di vita, recupero della felicità individuale e collettiva, contro la politicizzazione
assoluta che caratterizzerà tanta parte della nuova sinistra. L’individuazione negli esclusi di un
nuovo soggetto politico va di pari passo all'accusa al ruolo dell'intellettuale, ormai semplice
produttore e distributore di valori culturali integrati. Non è un caso che «Rinascita», rivista del Pci,
la attacchi duramente, accusandola di “nichilismo” al pari di altre riviste di estrema sinistra.
Dialettiche della liberazione
Il convegno Dialettiche della liberazione si svolge a Londra dal 15 al 30 luglio 1967. È il
punto di incontro di tante e anche diverse culture critiche. Vi partecipano, fra i tanti, Herbert
Marcuse, Paul Sweezy, Stokely Carmichael, Ronald Laing, David Cooper, Allen Ginzberg, Lucien
Goldmann. Ovvio l'intreccio di posizioni politicizzate, “hippies”, del tentativo di legame fra
psicoanalisi e marxismo. Implicito il difficile tentativo di cercare un discorso comune fra tematiche
rivoluzionarie e critica culturale. Il convegno denuncia la schiavitù che produce povertà e fame.
Essa, però, coinvolge anche il ricco occidente. È necessaria una liberazione politica, ma questa non
sarà tale se non verrà accompagnata dalla liberazione da ogni forma di soggezione, tanto più grave
quanto più introiettata. Da queste analisi deriva la fine della psichiatria e della psicoanalisi. Per esse
restano due sole possibilità:
- la denuncia della violenza occulta del sistema sociale (il nesso tra la violenza sul malato di mente
e la repressione sociale);
- lo scardinamento dell’assistenza psichiatrica sino a livelli insostenibili6.
È significativo di questa dialettica tra liberazione politica e soggettiva, quasi ad anticipare
tematiche successive, lo splendido film Marat-Sade di Peter Brook (Ob, 1967, b/n, 116') tratto
dall’opera teatrale di Peter Weiss. Il regista inglese e il drammaturgo tedesco contrappongono
frontalmente Marat, teorico della rivoluzione politica violenta, che vuole cambiare radicalmente il
mondo e il marchese de Sade, intellettuale individualista, chiuso in un cinico pessimismo
individuale, certo della disuguaglianza naturale fra gli uomini, negatore di ogni ideale di rivoluzione
sociale. Il testo tratta ideologicamente il nesso tra follia e rappresentazione e anticipa tematiche che
diverranno comuni in seguito (la diversità di per se stessa ribellione al sistema).
6
La rivista italiana che maggiormente segue il convegno è «Quaderni piacentini», non a caso, quella che sarà
più letta dal movimento studentesco. Cfr. JERVIS (1966).
3
Antiautoritarismo e movimento degli studenti
Militanti politici e culture del ‘68 ipotizzano un mondo in cui tutto è integrato:
l’opposizione, i partiti, i sindacati, ogni scelta individuale, la scuola, la cultura (da cui le
contestazioni ai festival, ai premi, agli intellettuali democratici e di sinistra) 7. Sull’onda delle analisi
francofortesi, per cui, abbandonata la fase della borghesia liberale, la classe dominante non lascia
alcuno spazio all’autonomia individuale e ad ogni forma di opposizione, l’anti-autoritarismo
diviene quindi un cardine di tutta la spinta studentesca e giovanile, coinvolgendo nella critica tutti
gli aspetti della società: la famiglia, le strutture partitiche, l’esercito, la scuola, la cultura, in
prospettiva il rapporto uomo-donna. Tutti i documenti della fase iniziale della protesta studentesca
hanno nella critica all’autoritarismo il loro cardine.
A che cosa serve l’università italiana? Serve soltanto ad indottrinare gli studenti, a renderli
autoritari ed incapaci di discutere, a far perdere loro la capacità di individuare la dimensione
politica e sociale di quello che studiano. Perché i docenti hanno tutto il potere e gli studenti
soltanto dei doveri? Perché gli studenti all’università devono imparare soprattutto a comandare e
ad obbedire, devono disimparare a discutere, devono sapere che la Scienza e la Cultura sono
proprietà privata dei docenti e che per appropriarsene bisogna sottostare alle loro vessazioni
(FACOLTÀ TORINO, 1968).
L’autoritarismo quale forma politica del sistema è il nodo politico intorno al quale
concretare le lotte, ed è inoltre il terreno unitario per la massificazione delle lotte stesse
(FACOLTÀ FIRENZE, 1968).
Ciò che si insegna è “obbedire” e dunque si impara a “comandare”. La “neutralità”
scientifica gronda di valore ideologico. La “libertà accademica” del docente significa soggezione
didattica e culturale dello studente: cioè la sua manipolazione intellettuale [...]. Alla massa
studentesca rimane, cadute le illusioni democraticistiche, cogestionali, riformistiche, che le sue
associazioni e rappresentanze delegate avevano nutrito, l’organizzazione in potere studentesco
come contestazione permanente delle strutture universitarie e del potere accademico, come
strumento di rottura dell'autoritarismo accademico, a cui si può reagire solo con l’organizzazione
del diverso e del contrapposto. (ISTITUTO TRENTO 1968)
Gli studenti lentamente stanno imparando quale è la funzione delle attuali strutture
“antiquate”. Esse servono a trasmettere autoritariamente determinati contenuti scientificoculturali che devono essere appresi cioè recepiti passivamente. Quello che si impara all’università
può soltanto venire insegnato nuovamente in modo autoritario [...]. Serve a preparare degli
esecutori politicamente disarmati e professionalmente limitati: All’Università si impara soprattutto
a comandare e ad obbedire. (Comitato, 1968)
Il testo che più di ogni altro rappresenta la prima fase delle lotte studentesche, che lascerà
poi il terreno al tentativo di rapporto con le fabbriche e alla strutturazione in gruppi politici, è lo
scritto di Guido Viale (1968) sui «Quaderni piacentini», non a caso intitolato Contro l’università.
Questa è strumento di integrazione, ideologica oltre che sociale. Propone cultura, scienza, in modo
falso e autoritario, solamente per riprodurre i già esistenti rapporti sociali e di potere. Il leader del
7
Per continuare con riferimenti alla produzione cinematografica, si veda la rappresentazione della contestazione
in Francia (gli “Stati generali del cinema”), certo la parte più interessante del discutibile Dreamers di Bernardo
Bertolucci (GblFrancia/Italia, 2003, colore, 130'). Per comprendere meglio la lettura del cinema, delle sue funzioni,
della sua estetica in tanta parte della nuova sinistra si leggano gli scritti di Goffredo Fofi sui «Quaderni piacentini» o
alcuni numeri di «Ombre rosse», rivista frontalmente critica all’interpretazione maggioritaria nella sinistra sul
neorealismo e il cinema resistenziale. In campo letterario, si veda l’iconoclasta Scrittori e popolo di Alberto Asor Rosa
che distrugge la letteratura popolare e progressista collocata nella categoria di populismo. Non dimentichiamo che lo
stesso Gramsci è oggetto di “contestazione da sinistra”.
4
movimento torinese esalta la partecipazione di base, soprattutto alle commissioni8 e ai gruppi di
studio come forma di protagonismo studentesco e superamento del rapporto gerarchico e quindi
passivo appreso a scuola. L’autoritarismo e il mantenimento di relazioni gerarchiche non sono
assenti neppure nella comunicazione verso le fabbriche:
Gli studenti si presentano davanti alle fabbriche con volantini e discorsi come i possessori e
gli interpreti della coscienza di classe. All’operaio che li legge o li ascolta non resta che approvare
e andarsene [ ... ]. Tra chi sa certe cose e chi non le sa si crea un rapporto autoritario che
impedisce di collocarsi nella stessa situazione (VIALE, 1968).
La tematica antiautoritaria, legata al tentativo di “riprendersi la vita”, è al centro del maggio
francese. Pur nella enorme differenza delle posizioni (lo spettro va dai marxisti-leninisti ai
situazionisti, passando per il neo anarchismo di Cohn Bendit e la componente trockista di Krivine) è
forte la ribellione, quasi istintiva e pre-politica, contro tutte le forme del potere. Dice una
studentessa:
Quello che occorre subito dire è la nostra gioia di quella notte: Ero fuori di me dalla felicità
di essere nel mezzo degli avvenimenti. Come diceva Bataille la tragedia è l’orizzonte della gioia.
Trovo entusiasmante che tanta gente, me compresa, abbia potuto ribellarsi, semplicemente
ribellarsi. [ ... ] Contro la polizia, contro l’ordine, contro la società. Era qualcosa di asociale
(AAVV, 1968b: 21).
Ancor maggiore è l’intreccio tra lotta politica e critica dell’autoritarismo nel movimento
studentesco, in particolare in Rudi Dutschke (1968):
La psicoanalisi, come dottrina delle conseguenze della rinuncia all’istinto, smascherò la
famiglia come luogo dello scontro col rappresentante del potere, col padre come rappresentante
del principio del rendimento dominante nella società [ ... ]. L’individuo doveva farsi violenza già
nell’epoca precapitalistica. Per poter resistere psichicamente e fisicamente al processo
dell’accumulazione originaria del capitale, doveva imporre alla propria coscienza certe
repressioni degli istinti […] La reificazione dell’uomo non è tanto grande ch’egli non si senta roso
dalla coscienza della falsità e dell’inumanità della società esistente.
Nello stesso testo che comprende il saggio di Dutschke, è interessante, già dal titolo - che
dimostra come il movimento degli studenti si auto-rappresenti e individui come processuale il
cammino compiuto - lo scritto di Bemd Rabehl (1968) Dal movimento antiautoritario
all’opposizione socialista.
La pratica del ‘68: Collegno e Grugliasco
Il movimento anti-istituzionale nasce in Italia certo prima del 1968, ma solamente a quel
punto può strutturarsi nell’incontro con una grande spinta di base. Il legame tra psichiatria e lotta di
classe pare quasi naturale in una fase in cui si sommano la critica alla produzione culturale, alla
scienza, alle istituzioni della società industriale e si rimette in discussione il ruolo dell’intellettuale.
L’opera di Basaglia e l’esperienza dell’ospedale psichiatrico di Gorizia vanno al di là di ogni
specialismo e dimostrano quanto il tema della malattia mentale e della sua gestione tocchino
direttamente i rapporti di potere e assumano una valenza politica. L’istituzione negata, testo
collettivo curato da Basaglia (1968), descrive la prassi di un gruppo di operatori e riflette su questa,
8
Significativa quella su Psicoanalisi e repressione che analizza il rapporto fra civiltà e repressione con lettura
di Freud, Malinowskij, Jones, Marcuse, Adorno, Fromm, Reich.
5
obbligando a riflettere sulle razionalizzazioni che dominano il controllo sociale dei comportamenti
devianti.
L’impatto sugli operatori, ma anche sugli studenti è enorme. Nasce una “lotta contro le
malattie mentali” di cui è parte l’opposizione alla proliferazione sul territorio di ospedali
psichiatrici. Parallela la riflessione sul significato della malattia mentale e sul ruolo del medico
nell’istituzione:
La malattia mentale è [ ... ] il punto dove le contraddizioni sono più acute ed esplicite. Tali
contraddizioni sono quelle che coinvolgono la struttura della medicina come medicina di classe, la
malattia come risultato delle contraddizioni sociali e dell'ambiente, e il medico come funzionario
normalizzatore o reclusore al servizio della classe dirigente. Il potere infatti si serve della scienza
medica come paravento della violenza e incarica il medico della custodia e dell’
“amministrazione” diretta di questi malati. (CAVALLO, 1969)
Occorre non solamente gestire la malattia, ma intervenire sulle sue cause; la medicina deve
ristrutturarsi dal basso. Gli studenti parlano di autogestione della propria salute. A Torino è il
movimento di medicina a praticare un intervento sociale su questi temi. Vengono superate, al suo
interno, le posizioni degli “operaisti”, che sostengono prioritario l’intervento politico verso le
fabbriche. In un confronto certo molto ideologico e “datato”, gli “psichiatri” rispondono affermando
che la lotta contro le istituzioni non è secondaria nel quadro dello scontro di classe, che lo
sfruttamento esiste in fabbrica, ma è reso possibile grazie a tutte le istituzioni del condizionamento
(scuola), del recupero (ospedali), dell’esclusione (prigioni, ospedali psichiatrici ecc.). A questo si
aggiunge il fatto che gli spazi in fabbrica tendono a restringersi, mentre questo non accade nelle
istituzioni dove il processo di razionalizzazione non è ancora intervenuto. Nei quartieri operai, il
movimento degli studenti chiede con forza il controllo di mutue ed ospedali da parte degli assistiti.
L’impegno contro gli ospedali psichiatrici chiede un nuovo tipo di gestione, ma, al tempo stesso, si
propone di sovvertire i rapporti esistenti e di mettere in discussione ruoli cristallizzati.
A differenza di Gorizia, la protesta non parte dall’interno, dai medici, ma dall’esterno. Gli
obiettivi prioritari sono l’apertura dell’ospedale psichiatrico e la formazione di assemblee, di reparto
e generali, che ne affrontino i problemi. A questo si somma la mobilitazione contro la costruzione
di un nuovo ospedale psichiatrico a Grugliasco. Su questo terreno si muove, fungendo da
moltiplicatore, la facoltà di architettura. Al centro, ancora una volta, la domanda su quale ruolo il
futuro professionista debba avere e il rifiuto di assecondare le scelte, ritenute negative ed
antipopolari, del potere politico-economico, anche se l’opposizione al nuovo progetto assorbirà tutta
la contestazione delle istituzioni. L’occupazione dell’ospedale di Collegno segna una tappa ulteriore
della mobilitazione: si chiede di rompere l’isolamento dell’istituzione nella prospettiva
dell’apertura, di dare vita ad assemblee interne, soprattutto che i malati diventino elemento attivo
all’interno dell’ospedale.
I documenti dell’occupazione parlano di mobilitazione delle componenti fino ad allora
subordinate (infermieri e malati) che iniziano ad essere coinvolti nelle decisioni, del rifiuto di creare
un “ghetto interno dorato”, data la refrattarietà dell’ambiente esterno ad accettare il malato di
mente, del tentativo di collegare le varie forze sociali per superare le barriere create dalla divisione
sociale del lavoro, della necessità di un parallelo lavoro di quartiere per far accettare il malato
all’esterno:
Esso deve essere svolto principalmente nel senso di svelare la connessione tra malattia e
ambiente sociale, posto di lavoro. Questo demistifica il concetto di malattia come fenomeno più o
meno ineluttabile, vedendolo organicamente legato e anzi necessario a una certa struttura
produttiva e situando la malattia mentale allo stesso livello delle altre malattie (CAVALLO, 1969).
6
La denuncia è frontale. Sono evidenziate le condizioni dei malati, le terapie, l’annullamento
della personalità del malato, i comportamenti sadici di alcuni medici: “Tra le altre fabbriche della
cosiddetta Detroit italiana, ce n'è una - il manicomio - in cui gli “scarti” del proletariato urbano e
contadino vengono convertiti, attraverso un opportuno trattamento, in pazzi ufficialmente
riconosciuti, etichettati, offerti con garanzia al consumo dei sani” (ASSOCIAZIONE, 1971: 7).
L’intervento apre la strada al lavoro dell’Associazione per la lotta contro le malattie mentali e alla
formazione di una Commissione di tutela:
Il fatto che in ogni reparto i malati venissero a conoscenza dell’esistenza di
un’organizzazione che si occupava in qualche modo dei loro interessi, ha agito su di loro a vari
livelli:
l) il riconoscimento di esistere ancora non solo nell’istituzione, ma anche per il mondo esterno che
all’improvviso comincia a voler vedere com’è la loro condizione di vita e come vengono “curati”;
2) la scoperta di poter avere ancora dei diritti come uomini e come malati;
3) l’esistenza di una prospettiva, di un progetto che possa toglierli dal destino distruttivo cui la
maggior parte di loro è ormai rassegnata;
4) l’individuazione della violenza istituzionale come arbitraria e totalmente estranea alla terapia
delle malattie di cui soffrono. (ASSOCIAZIONE, 1971: 14-15)
La pratica del ‘68: Colorno (Parma)
L’occupazione dell’Ospedale psichiatrico di Colorno costituisce un episodio di indubbia
importanza nell'ambito delle lotte del movimento studentesco negli anni 1968-1969 e insieme
rappresenta una fondamentale tappa nell’evoluzione dell'assistenza psichiatrica (ROSSI, 2000:
175).
Il quadro dell’ospedale prima della occupazione è sconfortante: struttura vecchia, molti
malati, pochi medici ed infermieri. Le leggi vigenti sono quelle del 1904 e del 1909 che hanno
come fine quello di difendere la società dallo scandalo e dalla pericolosità del malato, solo
parzialmente modificate dalla 431 (la legge Mariotti) del 1968 che ha abrogato la norma
sull’iscrizione al Casellario giudiziario dei malati di mente. Come in altri ospedali, è rigida la
divisione tra uomini e donne, infermieri ed infermiere, e in reparti a seconda del “grado del
disturbo” (tranquilli, agitati, epilettici).
A metà anni Sessanta, diviene assessore a sanità e trasporti Mario Tommasini (Pci) che
visita l’ospedale: “Diventai assessore nel 1965; dopo tre giorni dalla nomina sono andato a visitare
il manicomio: era una cosa terrificante, c’erano i reparti chiusi, c’era una violenza terrificante, l’ho
visitato per metà e poi sono tornato a Parma deciso a dimettermi” (Rossi, 2000)9. Si costituisce una
commissione tecnico-sanitaria che entra in contatto con Franco Basaglia, allora a Gorizia. Nasce
l’associazione Che cos’è la psichiatria? e pochi mesi dopo viene pubblicato il testo, curato da
Basaglia (1967), dallo stesso titolo10. L’ospedale inizia ad aprirsi a qualche forma di lavoro esterno.
Nella primavera del 1968 la protesta degli infermieri lega questioni di categoria alla critica alle
condizioni degli stessi malati (camicie di forza, contenzione). A fine anno il movimento studentesco
inizia ad interessarsi di Colorno, vedendo nella psichiatria il paradigma estremo della medicina di
classe.
Dal 27 al 30 gennaio 1969 si svolge a Parma, presente ancora Basaglia, il convegno
Medicina e psichiatria, accompagnato da una mostra fotografica sulle istituzioni violente. Già
all’interno di questo, gli studenti chiedono la formazione di gruppi di studio, l’adozione della
terapia del lavoro e delle comunità terapeutiche già sperimentate a Gorizia. Il 2 febbraio un gruppo
9
10
Sulla personalità di Tommasini cfr. ONGARO BASAGLIA (1991).
Il testo è presentato a Parma, nel ridotto del teatro Regio, sabato 10 giugno 1967.
7
di studenti di medicina occupa il manicomio. Alla base, la denuncia della natura dell’ospedale
psichiatrico e del suo carattere di discriminazione economica e di classe. La mobilitazione si
propone di attivare tutta l’opinione pubblica e le forze politiche e sociali che rifiutano la situazione
esistente. Le assemblee (studenti, personale dell'ospedale, familiari, ammalati) ribadiscono la natura
di classe della malattia che riduce il povero all’etilismo cronico, mentre il ricco è ricoverato in
cliniche private per “esaurimento nervoso”, chiedono l’applicazione della legge su personale ed
organico, ammissioni e dismissioni volontarie, le dimissioni del direttore, il tetto massimo di
cinquecento degenti. Una mozione di questi ultimi propone l’apertura delle porte, assemblee
comuni di uomini e donne, il pensionamento di vecchi medici, legati ad una concezione superata
della malattia, permessi di uscita e di consumo delle sigarette, la cancellazione della sveglia alle sei
e della presenza delle monache alle feste da ballo. Vengono tolte le inferriate alle finestre. È un atto
simbolico. Il governo non risponderà ad altre richieste.
La stampa locale è contraria all' occupazione, sempre presentata a tinte fosche. La «Gazzetta
di Parma» denuncia il “caos”, così come «Il resto del carlino». Su «Gente», settimanale nazionale in
prima linea nella denuncia della contestazione giovanile, Domenico Bartoli parla di speculazione
comunista, senza neppure un riferimento alle drammatiche condizioni dei degenti. Contro
l’occupazione si ha una manifestazione di “giovani di tendenza politica diversa”. Il 28 febbraio un
gruppo di infermieri, probabilmente appoggiati dal direttore, dai primari e dalle suore dà luogo ad
una “contro-occupazione”. Il 4 marzo si ha una “invasione” di fascisti. Le contraddizioni crescono
anche a livello politico-amministrativo. Parte consistente della popolazione di Colorno teme di
subire un danno economico dall’eventuale chiusura dell'ospedale, visto come una risorsa per il
paese. Nella maggioranza provinciale il Psi dissente e frena il lavoro di Tommasini.
All’opposizione, la Dc chiede le dimissioni della giunta, colpevole di appoggiare un atto illegale e
irrazionale, mentre il Msi attacca la “contestazione filocinese”.
Incertezze anche nei sindacati. La Cgil appoggia l’occupazione, a differenza di Cisl e Uil,
preoccupate più delle condizioni degli infermieri che di un discorso complessivo e coerente, ma la
componente socialista esprime dissenso sull’appoggio dato agli studenti. Le Acli sono, invece, a
favore di un’azione che chiede il rinnovamento della società e che protesta contro la
discriminazione di classe esistente all’interno della medicina. La stessa sinistra politica è, quindi,
incerta e contraddittoria. Alcuni anni dopo, in La nave che affonda (AAVV, 1978), Basaglia
accuserà i partiti “storici”, preoccupati di affermare un’avanzata sul piano politico generale, di
avere ceduto al ricatto della buona amministrazione, senza spezzare la continuità del potere
amministrativo. Il 9 marzo l’occupazione ha termine. Riferendosi soprattutto, ma non solo,
all’aggressione fascista, il documento degli studenti scrive: “Ogni volta che i lavoratori, gli studenti,
colpiscono un punto vitale del sistema, esso mette in opera tutti gli strumenti repressivi fino alla
violenza più brutale” (ANONIMO, 1969). Alla fine del 1969, Basaglia diviene direttore dei servizi
psichiatrici di Parma. L’anno successivo viene chiuso il brefotrofio. Nel decennio successivo sarà
varata la 180, la “legge Basaglia”, riferimento anche per molti altri paesi europei.
Il desiderio dissidente. Elvio Fachinelli.
Silvia Vegetti Finzi (1986) definisce Elvio Fachinelli come “uno psicanalista tra i più attenti
ed aperti ai fermenti di rinnovamento degli anni Sessanta”11. In effetti, l’apporto dello psicoanalista
trentino-milanese all’elaborazione della cultura della stagione che il ‘68 apre è evidente. Laurea con
Giulio Maccacaro, collaborazione a «Il corpo», analisi didattica con Cesare Musatti, collaborazione
a riviste, interesse per Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani, che definisce “il primo
testo cinese della nostra letteratura”, fondazione della rivista «L’erbavoglio» costituiscono un
patrimonio di grande spessore evidenziato anche dalle originali analisi sul movimento studentesco.
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Una maggiore comprensione della sua opera è offerta da FACHINELLI (1998).
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Ne Il desiderio dissidente offre una delle poche interpretazioni dell’orizzonte psicologico in
cui si muove la contestazione giovanile. Questo trova giustificazione in una società che promette la
liberazione dal bisogno, ma minaccia la perdita dell’identità personale:
Proviamo a seguire nel tempo i vari movimenti di dissidenza giovanile [ ... ]. Quello che
colpisce, a prima vista, è lo scarto tra la fragilità dei contenuti programmatici e dei comportamenti
da un lato e, dall’altro, la capacità di resistere ai numerosi tentativi di riassorbimento e di
conciliazione [ ... ]. Il gruppo ha messo in moto la dialettica del desiderio. Ogni meta e proposta è
superata nel momento stesso in cui è raggiunta [ ... ]. Dunque ciò che conta non è la meta, non è la
proposta in sé, più o meno reale; il gruppo impara sempre meglio che essenziale per la sua
sopravvivenza non è l’oggetto del desiderio, ma lo stato di desiderio (FACHINELLl, 1968).
Il leader diventa incarnazione del desiderio del gruppo, a causa dell’indebolimento, in
Occidente, della figura patema, della presenza di una madre buona, ma castrante. Solo nel desiderio
e nella proiezione sul leader, ìl giovane recupera identità. I contributi successivi, in particolare
Gruppo chiuso o gruppo aperto? Frammento di un’analisi di gruppo (FACHINELLI, 1968) e Che
cosa chiede Edipo alla Sfinge? (FACHINELLI, 1970) mettono in luce reali contraddizioni e nelle
dinamiche del movimento e nella pratica psicoanalitica, in cui la dottrina di Freud è degradata a
strumento interno al sistema, per il controllo della devianza. È compito culturale-politico rompere il
degrado della psicoanalisi ridotta a rapporto duale analista/paziente, socialmente e culturalmente
privilegiato. Dalla critica a questa realtà nascono la teorizzazione e la pratica di un “lavoro analitico
senza fissa dimora”", dell’asilo autogestito a Porta Ticinese, della rivista «L’erbavoglio». Sulla
stessa onda le mille pratiche auto gestite, spesso in modo spontaneo e spesso di breve durata, a cura
di gruppi, associazioni, organizzazioni politiche; tra queste è significativa la vicenda dei centri
Rousseau (SARDELLA, 1996) che al di là di alcune discussioni interne che possono parere datate e
ideologiche, mettono in discussione il ruolo dell'educatore nella società capitalistica, il ruolo della
famiglia, propongono una comunità educativa che superi l’individualismo già nella formazione.
Luciano
Nel giorno successivo alla morte di un caro amico12, le tematiche toccate in questo convegno
non possono non richiamare alla memoria Luciano Della Mea, scomparso nella primavera 2003.
Militante socialista, organizzatore culturale, giornalista e scrittore, attivo nel PSI, nell’atipico
PSIUP pisano, nella nuova sinistra, per una brevissima fase nel PCI, tra i molteplici interessi coltiva
anche quello per la tematica “basagliana” e il suo “ottimismo della pratica”. Quella che per anni ho
ritenuta essere una propensione cultural-politica, ho scoperto, in una conoscenza personale durata
anni, essere invece derivata da motivazioni personali che hanno segnato tanta parte dell’esistenza di
Luciano.
Fra i tanti suoi scritti è di particolare significato Lettera di un impaziente a David Cooper,
critico verso alcune esperienze, pure di avanguardia e invece attento alla pratica di Agostino Pirella.
Il tema, in un commosso riferimento a Franco Basaglia, tornerà nella collaborazione a «Il grande
vetro», rivista dell’Arci, e alla piccola «Per il sessantotto», coraggiosa rivista che ha difeso per anni
e contro corrente, il patrimonio ideale di una stagione importante e significativa (DELLA MEA,
1995)13.
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Raffaello Renzacci, 46 anni, militante politico e sindacale, muore il giorno che precede il convegno.
Per una riflessione sulla vita, l’opera e la personalità di Luciano Della Mea, cfr. DELLA MEA (1996), il
numero 185 del «Notiziario» del Centro di documentazione di Pistoia» e Ho visto Della Mea, n. 61 de «Il Grande
vetro». L’importanza della proposta “basagliana” su tanti giovani e della denuncia delle istituzioni totali come
paradigma della critica alla società nel suo complesso è testimoniata dalla scelta di uno dei due protagonisti di La
Meglio gioventù di Marco Tullio Giordana (Italia, 2003, colore, 366').
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