principali linee guida per dare avvio concreto al progetto di eda rivista

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Mario Roberto Álvarez: alla ricerca del Moderno
Renato Capozzi
DiARC_Dipartimento di Architettura_Università degli Studi di Napoli “Federico II”
ABSTRACT: The work of Argentinean architect Mario Roberto Alvarez in his very numerous and
varied production tackling a variety of issues represents a remarkable example of integrity and rigor
within the complex history of the Latin American Modern architecture of the last century. The essay
in outlining his training and his debut focuses on the analysis of three of his works that testify the
value of his research based on reduction to a few basic principles in a strict relationship between the
technical forms and architectural ones.
Un’opera di architettura può essere concepita, letta o
registrata nel pensiero in due modi: può essere
registrata come l’affettazione di un pensiero, o può
essere concepita come un pensiero in azione.
La differenza è minima ma essenziale
Ignacio Lewokowicz y Pablo Sztulwark1
1
L’opera dell’architetto argentino Mario Roberto Álvarez - scomparso nel 2011 alla veranda
età di novantasette anni - nella sua variegata e numerosissima produzione 2 rappresenta una
singolare testimonianza di coerenza e rigore all’interno della complessa vicenda dell’architettura
latino-americana del secolo scorso. L’architettura moderna in quella parte del continente americano,
com’è noto, è stata ed è continuamente in bilico tra un’ortodossia razionalista e riduttiva di matrice
tedesca attraverso la rilettura dei suoi maestri Mies, Gropius e una versione espressionista o per
meglio dire “formalista” della lezione lecorbusieriana soprattutto in Messico e in Brasile con le
opere di Alberto Kalach e di Oscar Niemeyer. Nell’architettura argentina3, in un certo senso, sono
compresenti entrambe le polarità rappresentate da un lato dall’eterogenea produzione plasticobrutalista, con accenti al limite del pittoresco, di Clorindo Testa (Biblioteca Nacional e Banca di
Londra y Sudamerica di Buenos Aires) accumunabile spesso alle successive macrostrutture urbane
di Justo Jorge Solsona, e dal versante “opposto”4 dalla ben più vasta opera di Mario Álvarez (e per
certi versi di Vladimiro Acosta5 in alcuni progetti come l’Edificio Repetto) intrisa di un’insolita
esattezza, di una sobria “forma moderna” 6 paragonabile a quella dei riconosciuti maestri europei e
nord americani (Jacobsen, Saarinen, Ludwig, Eiermann, Bunshaft (SOM), Martínez GarcíaOrdóñez, Ortiz-Echagüe y Echaide), troppo frettolosamente ascritti agli esiti dell’International Style
proposto da Philip Johnson e da Henry-Russell Hitchcock. Álvarez - com’era accaduto ad altri
architetti eredi della stagione eroica del Razionalismo europeo degli anni ’20 e ’30 - lavora, sin
dagli esordi e per più settant’anni, su pochi principi essenziali all’insegna di un metodo operativo
basato su pochi principi di volta in volta applicati ai vari temi affrontati. Per Álvarez la nozione di
“moderno” non è di tipo linguistica ma vieppiù metodologica, diviene una condizione non
transitoria, assumendo il monito di Rimbaud «Bisogna essere assolutamente moderni»,
EdA, Esempi di Architettura, Febbraio 2014
contrapposto a quello di Baudelaire secondo il quale «la modernità è il transitorio, il fuggitivo, il
contingente, la metà dell'arte, di cui l'altra metà è l'eterno e l'immutabile».
Il moderno in architettura non è propriamente uno stile (semmai è un’aspirazione ad un progetto
stilistico) o una ricetta valida una volta per tutte come teorizzavano Johnson e Hitchcock ed in
alcuni momenti lo stesso Gropius ma è un modo razionale - modus hodiernus7- di guardare alla
realtà del proprio tempo per risolverne le contraddizioni, per proporre una migliore condizione
dell’abitare dell’uomo in un continuo confronto con i bisogni, le aspirazioni, le aspettative della
collettività utilizzando il progresso tecnico come strumento necessario e non come fine o peggio
come dominio ineluttabile. La formazione di Álvarez si conclude con il suo viaggio premio dal
1938 al 1939 in Europa visitando l'Olanda, la Germania, la Francia, l’Inghilterra, il Belgio e l’Italia
[Sol Dellepiane, A. s.d.] (e non la Spagna a causa della guerra civile) per studiare il tema della
residenza economica e l’edilizia sanitaria in quei paesi. Durante il viaggio-studio stabilì contatti con
Le Corbusier, Gropius, Mendelsohn, e lo stesso Speer, e le loro architetture documentate dai
meravigliosi appunti di viaggio [Álvarez, M.R. 2011], a testimonianza di un particolare ed intenso
interesse nel ritrovare le radici dell’architettura moderna sia nelle opere dei contemporanei sia nel
ridisegno delle architetture della storia dal romanico al gotico.
2
M. R. Álvarez, Sanatorio de la Corporación Médica de San Martín, 1936-37
L’esordio di Álvarez nel 1936-37, dopo vari riconoscimenti accademici8, con la sede del Sanatorio
de la Corporación Médica de San Martín, frutto di un concorso - pubblicata nella rivista
“Casabella” diretta da Edoardo Persico che ne colse lo « spirito di rinnovamento razionale» - segnò
un chiaro distacco sia dagli ultimi esiti di un ingigantito stile déco (Teatro Opera, Edificio
KAVANAGH e Edificio SAFICO) [Borghini, S.; Salama, H; Solsona J. 1987] sia da uno stanco
eclettismo storicista anch’esso di stampo francese sovente con accenti art noveau (si pensi
pasticciato Palacio Barolo di Mario Palanti) che imperversavano in Argentina, ma anche da un
EdA, Esempi di Architettura, Febbraio 2014
sobrio protorazionalismo monumentalista d’importazione (Edificio COMEGA). Il Sanatorio è
definito da una semplice composizione di masse sovrapposte tra loro ortogonali nel portico di
ingresso asimmetrico che denucia il suo debito con analoghi manufatti collettivi costruiti in quegli
anni in Germania. Analoga tecnica compositiva è rinvenibile nel Club gimasia y esgrima. Dopo
alcuni anni d’impiego come consulente presso il Ministero dei Lavori Pubblici (1937-1942) e come
architetto capo dell’Ufficio tecnico del Comune di Avellaneda (1942-1947) [Aa. Vv. 2003], per il
quale progettò e realizzò numerosi edifici collettivi e residenze sociali, con il concorso per il
Monumento a la Bandera a Rosario del 19409, iniziò la collaborazione con Macedonio Oscar Ruiz.
Ma la svolta linguistica nel percorso di Álvarez è del 1947 quando venne in contatto con
Mies van der Rohe già presente a Chicago. Da questo incontro, infatti, scaturiranno non poche
conseguenze sulla sua ricerca progettuale e professionale che inizierà con la fondazione - assieme a
Leonardo Kopiloff y Eduardo T. Santoro - dello Studio “MRAyA_Mario Roberto Álvarez y
Asociados”. Negli stessi anni incontrerà Gropius, Neutra, Breuer, Johnson e Pertierra. Da quel
punto che può essere considerato una veria proria maturazione e chiarificazione della sua ricerca
progettuale, Álvarez e il suo studio, ha prodotto una serie impressionate di progetti e realizzazioni
sondando una pluralità di temi: dagli edifici residenziali unifamiliari e collettivi, alle infrastrutture e
ai trasporti, dagli edifici per uffici ai centri commerciali sino agli edifici collettivi fino a diventare
negli ultimi anni una delle più grandi e affidabili società di ingegneria del sud America anche con
molte produzioni commerciali non sempre di altissimo livello. Al gran numero di riconoscimenti
internazionali e premi, tra cui la designazione da parte dell’ AIA_American Institute of Architects
del 1976 come uno degli undici architetti più illustri del mondo, assieme a Stirling, Pietra, Fathy e
ad altri, hanno fatto riscontro una settantina di realizzazioni prevalentemente in Argentina.
Nell’economia di questo saggio sarebbe impossibile esaurire la disanima di tutta la sua produzione,
ci si concentrerà pertanto solo su alcuni progetti emblematici prevalentemente realizzati attorno agli
anni ’50 e ’70 che esemplificano la sua particolare ricerca e traiettoria formale e ne fissano i
principi informatori. A partire dal 1947, assorbendo la lezione appresa dal poeta Virgilio, nelle sue
stesse parole, divengono fondamentali per il progetto «la busqueda de sintesis y simplification y las
varias pruebas para una misma solucion/la ricerca della sintesi e semplificazione e le varie prove
per la stessa soluzione». Quest’ostinazione su pochi ed essenziali principi o regole
contraddistinguerà tutta la sua produzione successiva. In un’altra occasione, infatti, a proposito del
suo lavoro ha dichiarato: «(…) Cerco di trovare il significato e la ragione di ogni progetto, perché
credo che sia l'unica base della permanenza dell’opera. I nostri principi fondamentali sono i
seguenti: qualità degli spazi e delle forme, la proporzione e il dettaglio. Concentrarsi su pochi
elementi, al fine di ottenere una sintesi non solo costruttiva ma uno sforzo per eliminare futuri
fattore di danno e garantire la durata. Cerchiamo di dare risposte simili a requisiti complessi» 10. O
ancora quando, come estrema coerenza, ha afferamato lapidariamente che «la permanenza, la
funzione, la sintesi, la sobrietà, queste sono le basi che sono sopravvissute al tempo » [Sol
Dellepiane A., s.d.]. Non è chi non veda, in queste parole, l’eco di molti precetti e aforismi
miesiani: la ricerca del significato dell’opera, lo spazio e la forma, la precisione, la proporzione
adeguata, l’ossessione per la perfezione e il dettaglio (Weniger mehr ist / Less is more), la chiarezza
costruttiva, la flessibilità, la riduzione di complessi programmi a pochi e semplici elementi e
soluzioni costruttive e tipologiche (Beinache nicht!). Nella sua ultima intervista a “La Nación” del
200711 alla richiesta di quali delle sue opere ritenesse maggiormente rappresentative della sua
ricerca rispose: «Dipende dal tempo. Per esempio, Somisa è stato il primo edificio al mondo
realizzato con struttura a piastra (chapa) sospesa. Allo stesso modo il Teatro San Martin e IBM
sono opere in cui l'architettura e la struttura sono legati insieme. Credo che siano opere che
definiscano abbastanza una produzione di settanta anni». Nella stessa intervista aveva affermato di
EdA, Esempi di Architettura, Febbraio 2014
3
non avere “temi non affrontati” e rimpianti, tranne il desiderio di costruire una chiesa 12. Saranno
pertanto proprio queste tre opere, principalmente, oggetto dell’investigazione di questo scritto
tentando di verificare come in ognuna di esse sia applicato un medesimo procedimento compositivo
che parte dalla riflessione tematica distintiva, fa corrispondere a questa “ragione” una precisa
articolazione volumetrica connessa a una chiara scelta tipologica dialetticamente confrontata con
un luogo specifico, per poi assumere un adeguato assetto tecnico-costruttivo e infine determina attraverso la proporzione tra il tutto e le parti fino alla definizione e misura degli elementi
architettonici e l’espressività della struttura- il carattere conveniente al tema.
4
M. R. Álvarez, Teatro Municipal General e Centro Cultural de San Martin, 1954-60, sezione assonometrica d’insieme
Il Teatro Municipal General San Martin frutto anch’esso della collaborazione con
Macedonio Ruiz [Álvarez, M.R.; Ruiz, M. 1959] costruito a partire dal 1954 e inaugurato nel 1960
rappresenta l’opera matura forse più famosa di Álvarez, quella che più di altre ne ha sancito la
rilevanza nel panorama architettonico sud americano e non solo. Il programma era notevolmente
complesso e articolato così come il lotto a disposizione notevolmente profondo con un affaccio
principale sull’importante Avenida Corrientes. La scelta è stata innanzitutto quella di identificare
con diversi blocchi unitari calibrando altezze differenti in relazione alle diverse e ingenti
destinazioni richieste. Sull’Avenida Corrientes è disposto a cortina il primo blocco con gli uffici
EdA, Esempi di Architettura, Febbraio 2014
amministrativi e quelli distaccati del Ministero della cultura e al piano terra, annunciato da un ampia
pensilina aggettante, il vasto atrio di ingresso a quadrupla altezza ai due teatri sovrapposti conclusi
nel fondo del lotto dalla alta torre scenica (con i camerini, i locali di servizio e gli impianti) a cui si
accosta la scuola di arte drammatica e al Centro Cultural San Martin realizzato a partire dal 1960 e
terminato nel 1964 affacciato verso la Calle Sarmiento da cui si accede al parcheggio sotterraneo.
A questa chiara successione volumetrica fa riscontro un essenziale assetto tipologico che dopo
l’espansione dovuta alla presenza delle aule gradinate sovrapposte regolarizza il lotto con i sistemi
di risalita alla lama degli uffici e si conclude con il complesso apparato della torre scenica.
Il complesso del Centro Cultural risolve il problema funzionale attraverso la combinazione
della lama verticale ortogonale al teatro che sovrasta una ampia sala sospesa a sua volta staccata dal
suolo per far posto ad una piazza coperta da cui si possono raggiungere ulteriori sale per concerti,
cinema e manifestazioni collettive. Nel Teatro, invece, è proprio attraverso l’adozione del tipo ad
aula con la sovrapposizione di quello a lastra servita con ballatoio centrale che viene mediato il
delicato rapporto con la strada offrendo a questa una estensione nel vasto atrio di ingresso. A
quest’articolazione per piani sovrapposti ed altrettanti tipi di riferimento corrisponde un altrettanto
evidente scelta costruttiva: una teoria di colonne diversamente ordinate a sostenere la grande platea
in calcestruzzo della sala principale o l’ordito della lama degli uffici. Proprio all’evidenza e
regolarità del sistema ipostilo è affidata la rappresentazione sintetica del carattere dell’edificio che
si annuncia nel trattamento della facciata come una composizione di parti differenti in cui gli spazi
interni si dilatano in ragione del differente rango rappresentativo. Il grande atrio a tre altezze serrato da due scale aperte avvolge la cavea principale (librata nel vuoto come nel Mannheim di
Mies) separandola e al tempo stesso collegandola a quella interrata – denuncia la ragione collettiva
dell’edifcio all’esterno attraverso il proporzionamento amplificato delle grandi vetrate a tutt’altezza
cui fanno da contrappunto la serrata ripetizione del curtain wall stretto dai due muri ciechi di
confine. La lama degli uffici è sottolineata, per differenza, dalla sovrapposizione orizzontale dei
brise-soleil che tendono ad abbassare il volume focalizzando l’attenzione per la parte inferiore. Non
mancano infine in quest’opera soluzioni dettaglio di grande raffinatezza, dalle scale alle maniglie
delle porte d’ingresso al sistema d’illuminazione che esalta la plasticità della cavea e delle
numerose decorazioni pittoriche che adornano il profondo atrio.
M. R. Álvarez, Teatro Municipal General San Martin, 1954-60, facciata principale, atrio e veduta delle due aule
EdA, Esempi di Architettura, Febbraio 2014
5
Sulla scia del Teatro San Martin e attraverso un successivo approfondimento della
grammatica miesiana possono essere affiancati altri edifici a carattere terziario costruiti dagli anni
’50 agli anni ’80 come la Bank of America del 1963-65 che lavora anch’essa sulla sovrapposizione
di corpi a carattere differente; il Banco_Popular_Argentino_(Anexo_Casa_Central) del 1968 in cui
ricorre il tema dei brise-soleil; la orre lu
lem n del 1972 posta normalmente alla stessa
Avenida Corrientes quasi a voler negare l’effetto cortina media, con la piastra basamentale, il
rapporto con la strada; la Galería Jardín del 1977 che introita nella piastra con il suo patio alberato
una parte della stretta Calle Florida dominato dalla omonima torre; l’ di icio an art n del 1979
che ripone sullo stesso piano la dialettica piastra torre separate da un piano libero, fino all’Edificio
Chacofi (con Carolo Ramos) del 1980 che nell’arretramento rispetto alla strada ottenendo in base al
regolamento edilizio (Código de Edificación) il permesso di una maggiore cubatura, ritrova una
piazza interna, come nel Seagram building, adeguata alla sua notevole altezza che consente a
distanza di apprezzare la vista del Rio de La Plata.
L’Edificio Teniente General Castiñeiras meglio conosciuto come Edificio SOMISA [Mercé,
C. 2011] dal nome dell’impresa siderurgica che lo ha promosso, iniziato nel 1966 e terminato nel
1977, tra le architetture di Álvarez quella di maggiore impegno tecnico con una complessa vicenda
realizzativa. Il tema era quello della sede generale della Sociedad MIxta Siderurgia Argentina creata nel 1947 durante il regime peronista - che nel 1966 bandì un concorso per la realizzazione
della sua sede con la prescrizione, tutt’altro che ovvia, che il nuovo edificio dovesse essere
realizzato totalmente con una struttura in carpenteria metallica a vista in modo da dichiarare
immediatamente l’identità della compagnia. Sul piano tematico si trattava di un edificio per uffici
abbastanza canonico (atrio di ingresso, sistema di risalite, uffici di varie pezzature) quello che
definiva fortemente il senso del manufatto era proprio il vincolo dell’utilizzo dell’acciaio. Sul piano
tipologico l’edificio adotta il blocco con cortile aperto su tre fronti per rispondere anche alla forma
triangolare del lotto d’angolo lungo la Diagonal Sur, all’incrocio dell’Avenida Belgrano e della Av.
Pres. Julio A. Roca 782.
M. R. Álvarez, Edificio SOMISA, 1966-77, piante del pianto terra, interrato, tipo e veduta angolare
Il trapezoide del sedime viene regolarizzato attraverso l’individuazione della bisettrice che diviene
l’asse di simmetria del blocco ulteriormente rafforzato dalle pause in corrispondenza dei blocchi
scala che individuano un settore circolare dove sono allocate tre coppie di ascensori contrapposti
che anticipano i servizi posti nella parte finale lungo il muro cieco di confine. Al piano terra
completamente libero trova posto l’atrio principale dal quale è possibile raggiungere l’interrato con
la sala convegni ad emiciclo o i piani di uffici serviti da due ballatoi contrapposti a definire una
corte trapezia. Ma com’è stato anticipato tale estrema chiarezza distributiva è resa possibile
dall’adozione di un ardito sistema costruttivo posto lungo i lati maggiori che con sole due colonne
EdA, Esempi di Architettura, Febbraio 2014
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rastremate per faccia e cinque grandi travi parete a vista (ogni due piani) consente di appendere e/o
sostenere gli implacati e soprattutto di liberare completamente al piano terra la hall di appoggi
interni realizzando con l’arretramento della vetrata anche un portico perimetrale che culmina nel
grande aggetto del vertice a sbalzo - con le nervature della piastra a vista - di grande effetto
espressivo: totalmente sospeso nel vuoto segnato solo dalle teste delle travi lasciate volutamente
tronche e scollegate.
M. R. Álvarez, Edificio SOMISA, 1966-77, foto del cantiere, atrio a doppia altezza, montaggio delle travi e scorcio
Nel Somisa, in altri termini pur riprendendo etimi già indagati in altri edifici - si pensi
all’analoga soluzione costruttiva ‘perimetralizzata’ della Bank of America - la soluzione tecnica
pervasiva diviene la principale responsabile del carattere rappresentativo che la stessa committenza
esigeva mostrando in re la natura essenziale del materiale su cui si fondava la sua ragione d’essere.
Ma tale allegorica corrispsondenza viene superata dall’esatta commodulazione degli elementi
tettonici conferendo all’edificio un carattere talmente aulico che dopo la privatizzazione della
SO.MI.S.A. l’edificio è stato scelto come sede del Direzione del Gabinetto dei Ministri della
Repubblica Argentina (Jefatura de Gabinete de Ministros) a conferma del valore architettonico
della sua concezione. L’edificio inoltre, pur conservando la linea di gronde dei lotti contigui, riesce
opportunamente a sottolineare un punto speciale della città dove la trama regolare delle Manzanas
viene contraddetta dalla irruzione di un sistema diagonale determinando un luogo “inaspettato” in
grado di attrarre e moltiplicare numerose direzioni e giaciture realizzando una cospicua apertura
nella asfittica e ossessiva trama reticolare circostante. Le parole di Álvarez « noi abbiamo scelto un
percorso, un credo, cominciando ogni volta da lì, se le nostre opere sono riconoscibili come tali
sarà perché abbiamo esercitato lo stesso linguaggio partendo dagli stessi principi che non superano
una dozzina, per questo abbiamo guadagnato l'etichetta di essere i più ingegneri tra gli architetti e i
più architetti tra gli ingegneri» sembrano non solo appropriate per descrivere egregiamente il
pensiero sotteso a questo capolavoro ma testimoniano ancor più tenacemente l’ostinazione di questo
maestro che nel corso della sua lunga vita ha dato prova di conoscere e applicare con
consapevolezza i principi non transeunti del nostro antico mestiere.
La Torre IBM Argentina13 progettata nel 1978 e completata nel 1983 rappresenta anch’essa
uno dei punti più alti della ricerca di Álvarez. Senza entrare nel merito del dibattito storico-critico14
sulla derivazione della soluzione “ad albero” dagli Uffici Olivetti a Francoforte del 1972 di Egor
EdA, Esempi di Architettura, Febbraio 2014
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Eiermann o invece dall’antecedente progettato dallo stesso Álvarez nella succursale a Quilmes del
Banco de Avellaneda del 1958 o dal quasi contemporaneo Edificio Banco Santander Río del 1977,
quello che qui interessa discutere è la particolare raffinatezza compositiva di questa Torre che, lungi
dal proporsi come l’ennesimo rascacielos senza carattere della area direzionale di Catalinas Norte
in prossimità del porto di Buenos Aires, opportunamente si confronta sul piano architettonico e
costruttivo con il tema della ‘torre urbana’ di derivazione europea distinguendo, nella articolazione
dell’edificio alto, parti differenti in ragione della proporzione generale e del rapporto con la città. Il
programma terziario ma anche rappresentativo di una delle più importanti multinazionali del mondo
come già era accaduto in altri progetti viene articolato in parti autonome in ragione del grado di
rappresentatività e di utilizzo degli spazi: le parti collettive nella piastra di base anche a formare un
portico esterno, il corpo degli uffici di maggiore rilevanza dimensionale nel fusto, il sistema
impiantistico e tecnologico nella prevalentemente cieca parte sommitale.
8
M. R. Álvarez, Torre IBM Argentina, 1978-83, schizzo di studio e veduta esterna
A quest’articolazione di masse corrisponde linearmente l’assetto tipologico che di volta in volta
assume schemi di riferimento collaudati adattati alle particolari esigenze. La main hall per l’accesso
del pubblico è pensata come un’aula quadrata vetrata di circa 25 metri, centrata sui blocchi
ascensore e montacarichi, serrata dai volumi delle risalite e coperta da un tetto aggettatane con una
figura slittata rispetto a quella della lobby a formare portici di differente spessore. Il corpo della
torre vera e propria nel riproporre la figura rettangolare della piastra la riproporziona disassandola
mediante un rapporto 1/√2 ovvero quello più prossimo al quadrato. L’assetto è di tipo periptero con
i nuclei irrigidenti riassunti in due tubes/cores e presenta una pianta completamente libera per gli
uffici circondati da una vetrata intervallata e ritmata da setti perimetrali che si affacciano su una
balconata continua servita da una scala di sicurezza sospesa ai vari piani. Tal estrema chiarezza di
spazi è anche qui resa possibile da un innovativo sistema costruttivo “ad albero” utilizzando i cores
irrigidenti che attraversando le differenti parti dell’edifico sostengono una piastra a sezione
variabile, una sorta di sols artificiels, da cui si dipartono i sostegni/ pendoli perimetrali che
diventano appoggi e irrigidimenti per i vari impalcati dei solai. Il grande ‘solettone’ rastremato è
completamente staccato per circa 9 metri dalla piastra facendo levitare il corpo della torre che a sua
volta, nell’adozione di un trattamento di grande effetto chiaroscurale a fasce perimetrali determinato
EdA, Esempi di Architettura, Febbraio 2014
dalla sequenza dei parapetti, attenua visivamente la verticalità della torre conclusa in copertura con
un’alta fascia piena dietro alla quale sono allocati gli impianti frigoriferi. Ma come si è visto con la
forma della pianta questa impresa tecnica non vuole essere una mera esibizione muscolare: anche
nella sezione, infatti, il fusto è regolato da rapporti dinamici con la stessa ratio (1/√2 ) della pianta
che come nei grandi edifici del Rinascimento viene ‘ribaltata’ in alzato fino all’intradosso del
coronamento. Il progetto per la Torre IBM, che rappresentò un notevole avanzamento rispetto agli
edifici per uffici fino ad allora sperimentata servirà da modello per altri analoghi progetti in cui alla
efficienza funzionale del tema si accostata una rilevante esigenza rappresentativa.
M. R. Álvarez, Torre IBM Argentina, 1978-83, piante e sezione con proporzioni e vedute interne ed esterna
È il caso della Bolsa de Comercio a Rosario che riproponendo la dialettica tra piastra disassata e
torre a fasce orizzontali, anche attraverso il rivestimento in pietra calcarea, inverte il gigantismo
globalista dei grattacieli à la américaine (cui lo stesso studio MRA+A a partire dagli anni ‘90 ha
aderito si vedano ad esempio la Torre Le Parc del 1992, Torre San Martín 344 del 2001, la
gigantesca Torre Galicia Central del 2007 a Buenos Aires o il pur raffinato e articolato Edificio
Aqualina a Rosario del 2009) riportando il tema dell’edificio alto ad una matrice europea - è
evidente il riferimento al progetto ‘teorico’ di Mies per un edifico per uffici in cemento armato del
1922 - che rende la torre un elemento singolare della città che non determina però un
affastellamento incoerente e caotico ma si propone come elemento segnaletico e di riferimento
dotato di finitezza e misura.
Come ha affermato Daniel Silberfaden15 a proposito del lungo percorso e del “modo di fare
e di pensare/una manera de hacer y de pensar” di Álvarez: «(…) compromesso con la modernità,
si è rivelato fin dall'inizio come un architetto sensibile, buon disegnatore e professionista che
possiede un forte carattere etico che lo porta a valutare la coerenza e l'autenticità, evitando qualsiasi
affettazione che nasconde la verità delle cose» [Vecino, M.A. 2013]. Infine, a chiusura di questa
sintetica e senz’altro incompleta disamina del portato dell’opera di Mario Álvarez - un maestro
troppo poco indagato alla ricerca Moderno e avverso ad ogni formalismo ‘naturalista’
contemporaneo - vorrei usare le belle parole di Helio Piñón: « L’opera di Mario Roberto Alvarez è
una di quelle architetture che, mentre ha goduto di un indiscusso prestigio in Argentina e nei paesi
vicini, non è stata oggetto del riconoscimento internazionale che meritava per la sua qualità e la
coerenza: è raro trovare un’opera sviluppata in oltre 60 anni – i suoi primi edifici sono del 1937 che senza esitazione nella sua modernità, in funzione della quantità e varietà di dottrine durante gli
ultimi 50 anni abbia cercato di ‘correggere’ le farneticazioni del formalismo moderno» [Piñon
Pallares H. 2001]).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
EdA, Esempi di Architettura, Febbraio 2014
9
Aa. Vv. 1993, Arquitecto Mario Roberto Álvarez y Asociados, Obras 1937-1993. Buenos Aires: SCA Revista
Aa. Vv. 2003. Mario Roberto Alvarez: Sus primeras obras en Avellaneda. Movimiento moderno en la Argentina / His
first works in Avellaneda. Modern Movement in Argentina. Buenos Aires: Nobuko
Álvarez, M.R. 2011. Cuadernos de viajes. Buenos Aires: Universidad de Palermo – UP
Alvarez, M.R.; Dagnino, T.; de Brea, A. 1999. Se~nores Arquitectos: Dialogos Con Mario Roberto Alvarez y Clorindo
Testa. Buenos Aires: Ubroc
Álvarez, M.R.; Ruiz, M. 1959. Teatro Municipal General San Martín. Buenos Aires: Infinito
Borghini, S.; Salama, H; Solsona J. 1987. Arquitectura moderna en Buenos Aires. 1930-1950. Buenos Aires: FADU Ed.
Lewokowicz, I., Sztulwark, P. 2003. rquitectura Plus de sentido…. Buenos Aires: Editorial Altamira
Liernur, F. 2001. «Desarrollo y utopías. 1960-1980». Arquitectura en la Argentina del siglo XX. La construcción de la
modernidad. Buenos Aires: Fondo Nacional de las Artes
Liernur, J.F. ; Pschepiurca P., 2008. La Red Austral. Obras y proyectos de Le Corbusier y sus discípulos en la
Argentina (1929-1964). Buenos Aires: Universidad Nacional de Quilmes
Mercé C., 2011. Mecano de acero. “ARQ”. Fonte: http://arq.clarin.com/arquitectura/Mecano-acero_0_587941472.html
MRA+A - Sito web dello Studio “Mario Roberto Álvarez y Asociados”: http://www.mraya.com.ar
Petrina A., Aslán, L., Joselevich I.; Novoa, G.; Santaló, A.; Saiegh, D. 1998. Buenos Aires, ocho recorridos por la
Ciudad, Guía de Arquitectura Buenos Aires-Sevilla: Junta de Andalucia
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Sol Dellepiane, A. s.d. Al estilo de Mario Roberto Alvarez, in “DyD” (D&D Diseño y Decoración en Argentina
Registro de Propiedad Intelectual Nro 130324) n° 71
Vecino, M.A. 2013. Fragmentos de arquitectura moderna. Las primeras obras de Mario Roberto Álvarez. Fonte:
http://miguelvecino.com.ar/archivos/MAV_desplegable_final-21-01-2013.pdf
NOTE
1
Cfr. [Lewokowicz, I., Sztulwark, P. 2003].
Cfr. Sulla vastissima produzione di Álvarez e del suo studio associato “MRA+A” si veda: Iribarne, J. 1993. “El valor
de una trayectoria”, in [Aa. Vv. 1993], et, http://www.mraya.com.ar.
3
In Argentina i primi contatti con Le Corbusier, a partire dalla realizzazione della Casa Curutchet a La Plata, hanno
avuto in Alberto Prebisch , Antonio Vilar e Wladimiro Acosta (che seguì i lavori della casa) i principali collegamenti
con l’opera del maestro. Cfr. [Liernur, J.F. ; Pschepiurca P., 2008]. Sui caratteri dell’architettura moderna argentina si
veda [Liernur, F. 2001].
4
Non è un caso che Álvarez, nella sua ultima intervista a “La Nación”, a proposito di Clorindo Testa abbia affermato: «
(…) Clorindo Testa hace una arquitectura contraria a la mía. Como alguien lo ha definido, Testa es un arquitectoartista, un arquitecto que hace arquitectura pintoresca, que a todo el mundo le agrada. Y él mismo es muy simpático.
Yo en cambio hago una arquitectura más bien ingenieril. Para mí, lo ideal sería ser como Nervi, un ingeniero italiano
que, además de arquitecto, era proyectista. O Antonio Vilar, que era ambas cosas: ingeniero y arquitecto. Es decir, la
arquitectura de Testa y la mía no tienen nada que ver. »
5
La ricerca di Wladimiro Acosta nei suoi ultimi progetti si sarebbe incentrata su uno sperimentalismo tecnologicocostruttivo a partire dall’utilizzo del sistema ad ombrello Helios.
6
Cfr. http://formamoderna.blogspot.it a cura di Rubén Sancho e Álvaro García.
7
Devo il ricordo di questa significativa origine del termine ad Antonio Monestiroli che ringrazio. Nel Qohelet (7,10) ad
esempio si legge: «Non dire – i tempi antichi perché erano più felici di questi?- perché non è domanda intelligente».
8
Nel 1931 vince la Medaglia d’oro del Colegio Nacional de Buenos Aires, nel 1936 la Medaglia d’oro della Facutad de
Arquitectura, nel 1934 è presidente del Centro de Estudiantes de Arquitectura, nel 1934 vince il Premio Anual de
Arquitectura, nel 1935 il Premio Rene Villeminot e nel 1938 il Premio Beca Ader che gli consentì di compiere il suo
viaggio di studio in Europa. Fonte MRA_CV: http://www.mraya.com.ar/MRA-CV.pdf.
9
Il progetto di Mario Àlvarez e Macedonio Ruiz col motto “Altar de la Patria” si classificò al 3° posto. In tal senso si
veda: http://www.monumentoalabandera.gob.ar/page/historia/id/3/title/1939.
10
Arq. Mario Roberto Álvarez y Asociados, in “Suplementos Summa”, n. 80/81, Buenos Aires 1978.
11
Entrevista con un maestro. Mario Roberto Álvarez, Entrevista del diario, in “La Nación”, 29-08-2007.
12
Ibidem. È interessante notare che anche per Mies quello che manacava alla sua opera era una cattedrale,
13
Cfr. Edificio IBM Argentina, in “Summa” (Ediciones Summa) n.161, 1981 pp. 31/34.
14
¿Copia o inspiración? Diario de Arquitectura, in “Diario Clarín” (ca.2004). Citato in D. Construir y Decorar
15 Decano della Universidad de Palermo di cui il Nostro è stato nominato nel 2003 Professore emerito honoris causa.
2
EdA, Esempi di Architettura, Febbraio 2014
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