La teologia pastorale tra identità e attenzione ai destinatari. Premessa La prospettiva in cui mi pongo e quella di chi intende offrire un contributo di carattere sociologico sui tre argomenti che definiscono il nostro tema: la teologia pastorale, l’ identità e l’attenzione ai destinatari”. I dati sulla religiosità in Italia ci consentono di cogliere caratteristiche e tendenze del rapporto società e religione cattolica ormai consolidate e che perdurano nelle diverse inchieste che si sono succedute in questi anni. Dal Vaticano II in poi sono state fatte numerose indagini sulla religiosità in Italia e si possono notare alcune persistenze che interrogano la pastorale della Chiesa. Tra queste ad esempio: la separazione tra fede e vita, la soggettivizzazione della fede, una mentalità del tipo “Cristo sì, Chiesa no”, la credenza senza appartenenza … possediamo dei dati tendenziali che da decenni si presentano con costanza sullo scenario del rapporto religione e società. Per l’azione pastorale il problema rimane, come vuole la Pastores dabo vobis (10) il discernimento evangelico dei dati a disposizione. Perché per Giovanni Paolo II la lettura spirituale dei dati deve portare a cogliere «un appello che Dio fa risuonare nella stessa situazione storica». I dati infatti necessitano di una attenta analisi e non possano essere presi di fatto come un realistico quadro della “fede” degli italiani, come fanno alcuni frettolosi commentatori. Non a caso in riferimento a queste indagini iniziano a manifestarsi alcune perplessità. Franco Garelli, il sociologo che più di tutti ha curato diverse pubblicazioni sulla religiosità in Italia, ha espresso su un giornale nazionale le seguenti considerazioni: “Quanto sono veritieri i dati sulla religiosità in Italia? Che valore dare alle dichiarazioni di molti italiani che ancor oggi continuano a definirsi cattolici? … Perché al di là delle apparenze, oltre la superficie, si coglie in ampie quote di popolazione una distanza tra le intenzioni e il vissuto religioso che pone non pochi problemi di interpretazione”. Da una parte il fenomeno dell’over reporting, dall’altra il constatare che “il legame religioso di molti non è particolarmente costringente e rispecchia quell’individualismo del credere (o quel «fai da te» religioso) che è tipico dell’epoca attuale” per cui “è assai più diffusa la propensione a “pensarsi” come persone religiose che a ritenersi distanti o estranei dai valori religiosi”. Si chiede il Garelli : “quanto siano lontane dalla fede e dalla chiesa molte persone che pur continuano a mantenere un qualche legame con la religione della tradizione?”. Infine osserva che ci troviamo di fronte “ad un ateismo pratico» (o ateismo «di fatto») assai più esteso nel paese di quanto rilevato dalle statistiche”. In realtà quello che i sociologi incominciano ad osservare è da tempo all’attenzione del magistero e non può non diventare motivo di riflessione per una pastorale che di fatto non è riuscita a scalfire questo cattolicesimo all’italiana. Si può poi osservare che queste distanze proprio nella loro “contraddittorietà” (coloro che si definiscono cattolici sono la stragrande maggioranza degli italiani) ci parlano appunto di una crisi della fede e di una pastorale che sempre più deve fare i conti con una domanda di religione che non va confusa con quel bisogno di salvezza che è la condizione per l’annuncio del Vangelo. Avere un sentimento o bisogno religioso come manifestano le indagini non significa vivere una esperienza di fede perché il “sentimento religioso” non va confuso con un vissuto esistenziale di fede. 1. Alcuni problemi posti alla teologia pastorale Se la pastorale riguarda l’essere e l’agire della Chiesa in quanto Chiesa allora la teologia pastorale è quella riflessione che si propone di definire prima di tutto ciò che appartiene all’essere della chiesa stessa. Ora dalle indagini sociologiche emerge che la chiesa per gli italiani è una realtà che ha il compito fondamentale di insegnare valori, principi che fa bene a promuovere e a difendere, nonostante che tali valori, siani difficili da mettere in pratica. Di conseguenza la vita cristiana è vista come l’osservanza di una morale e non come il vivere l’esperienza di una vita nuova che determina lo stile di vita di coloro che si professano credenti . Un modo di vedere che soffre di una sorta di dualismo tra il sapere e il fare dove il ponte che si vorrebbe costruire tra queste due realtà è sempre un'etica (il discorso sui valori). Persiste quindi una percezione della Chiesa come realtà dottrinale (che fornisce principi e valori) unitamente all’illusione che tali principi possano essere osservati indipendentemente dalla persona di Cristo, in cui questi valori hanno il loro senso. Per molti insomma il cristianesimo sarebbe una (bella) teoria da mettere in pratica, un cristianesimo per deduzione, dove Cristo ci offre un modo di pensare che attraverso uno sforzo della volontà bisogna cercare di praticare. Il risultato è che abbiamo un cattolicesimo ridotto a vademecum morale, interpretato soggettivamente e ampiamente inosservato, per cui il definirsi cattolici non esprime una precisa identità ma un profilo sociologico molto plurale, frutto di una appartenenza “ambientale”. Una religiosità su cui prevale la ricerca della propria realizzazione soggettiva come criterio in base al quale vengono selezionate verità e pratiche religiose, il che rispecchia l’influsso della cultura postmoderna dove ogni persona vive e sceglie secondo i propri gusti, seguendo un proprio esclusivo criterio di preferenza. E questo a scapito sia della dimensione di verità, ma soprattutto di un vissuto di testimonianza di amore ricevuto e donato quale caratteristica del vivere da credenti. E’ la religione diffusa che deriva da motivi “ambientali”, una religiosità che mentre mantiene un suo continuum con la religione-di-chiesa, cioè quella istituzionale, la declina secondo una soggettiva modalità, per cui non vi è né opposizione ma neppure adesione della religione diffusa alla religione di chiesa. Nella società italiana caratterizzata da una lunga tradizione di socializzazione religiosa permane un ricco repertorio di idee e immagini religiose che si sedimentano e che alimentano una religiosità che rimane eco di fondo dell’esistenza. Ma di una religione dello scenario che non determina la mentalità e il vissuto. 2. I problemi posti dal tema dell’identità cristiana. Il magistero ci dice che l’identità cristiana è inseparabile dalla missione evangelizzatrice della Chiesa, quindi dal senso di appartenenza alla Chiesa stessa, e che la motivazione più forte per l’evangelizzatore sta nella dimensione escatologica della fede. Ora tale senso di appartenenza alla Chiesa, ci dicono le indagini, si è fatto debole. Siamo di fronte ad una religiosità che non rifiuta di per sé il riferimento alla tradizione cristiana fondamentale è, ad esempio, il ricorso ad essa per solennizzare i momenti più significativi dell'esistenza come la nascita, il matrimonio e la morte - ma “con la crescita dell'individualismo, si aggiunge il fenomeno della soggettivizzazione della fede. Si registra cioè, da parte di un numero crescente di cristiani, una minore sensibilità all'insieme globale ed oggettivo della dottrina della fede, per un'adesione soggettiva a ciò che piace, che corrisponde alla propria esperienza, che non scomoda le proprie abitudini. …Di qui deriva anche il fenomeno delle appartenenze alla Chiesa sempre più parziali e condizionate” (Giovanni Paolo II, PDV 7). Si parla pertanto di un “cattolicesimo plurale” (poco praticante e … virtuoso a modo mio) per cui il termine “mondo cattolico” è un contenitore che da tempo non esprime più un comune sentire di Chiesa e di fede. Per quanto attiene alla dimensione escatologica della fede, le inchieste ci dicono che tra le verità di fede la massima “confusione” riguarda proprio il tema dei novissimi. Per coloro che si professano credenti, la salvezza di cui ci si occupa è quella di quaggiù, tutta presa da ciò che riguarda la propria integrità psico-fisica e la ricerca di un buon livello di benessere personale. Per molti dalla religione oggi ci si aspetta un aiuto a star bene sulla terra e non la vita futura altre la morte. Siamo ben lontani dalla concezione cristiana del rapporto inscindibile tra la vita futura e quella presente , tra meta e cammino, del valore della memoria del futuro come forza per vivere e testimoniare nel presente. Permane se mai una credenza che in nome di una etica divina, in nome di una spiritualità religiosa l’individuo che migliorerà la propria vita e quella della società sarà premiato. 3. Per identificare meglio chi sono i “destinatari” Chi sono allora coloro che si definiscono “cattolici”? Secondo le indagini sociologiche coloro che credono in Dio e si definiscono cattolici sono la stragrande maggioranza degli italiani, ma nella forma prevalente di un cattolicesimo delle intenzioni (o religione dei valori). Da qui viene quel tragico fraintendimento per cui ci si definisce cattolici perché si condividono delle idee, mentre è assente il fatto che la fede è la risposta al dono della salvezza e l’esperienza di una vita nuova. La persistenza di questo cattolicesimo delle intenzioni o dei valori ideali, è un paradosso evidente nella inchieste sociologiche, per cui ci si definisce tranquillamente cattolici, ma di una religione degli ideali, dove manca il sentirsi membri di una comunità di fratelli e sorelle, quindi un cristianesimo senza la testimonianza dell’amore perché senza una reale adesione a Cristo. L’apporto della sociologia alla pastorale è poi quello aiutare a cogliere, la presenza di domande e aspettative dell’uomo d’oggi per chiedersi se tra queste ci siano domande che possono evolvere verso una “domanda di salvezza”. Ora l’uomo d’oggi ha le sue domande: la ricerca di autorealizzazione, di qualità della vita, di autenticità, di libertà, di benessere e salute … sono le domande tipiche della modernità avanzata. Sono quelle istanze in cui l’uomo d’oggi ricerca una sua salvezza con al centro la soddisfazione dei bisogni e la realizzazione dei desideri. In pastorale si dice che bisogna educare le domande perché divengano via via domanda di senso e di salvezza. Ma occorre chiedersi se dopo aver tentato tanti approcci di tipo culturale - dove ci si interrogava sulla visione del mondo, della vita … - abbiamo portato le persone a Cristo? Tutte le domande sarebbero culturalmente educabili? Per non parlare che per incontrare l’uomo d’oggi prevale una pastorale di intrattenimento … Ma chi sta in pastorale in mezzo alla gente sa che sia l’approccio di tipo culturale, sia quello di intrattenimento, non funzionano per niente. Oggi poi si nota un certa “eccitazione” da parte dei sociologi della religione per una sorta di ritorno dell’uomo a Dio per la voglia e ricerca di sacro che ha portato a parlare di un “reincantamento del mondo” (C. Taylor). Se è vero che aumentano le persone che vanno nei luoghi o che cercano del sacro, ciò non va confuso con “la sete di Dio” (EG 89). Del resto quando questo reincantamento è vissuto come separazione tra sacro e profano, tra materiale e spirituale, … siamo in presenza di un cristianesimo scaduto a religione, mentre è proprio questo dualismo, che è stato radicalmente superato dall’avvento del cristianesimo. Per il cristianesimo tutto è sacro, tutto il profano diventa sacro: c’è il sacro della liturgia e dello spazio delle chiese, il sacro del lavoro e della famiglia, … c’è, in definitiva, l’integrazione tra fede e vita. Per cui alla domenica quando si varca la soglia del tempio, non ci si lascia alle spalle i propri ruoli “profani”, ma nella celebrazione eucaristica si rende sacra ogni realtà profana, la materia si fa spirituale. La parrocchia con le sue attività pastorali è vista apprezzata dalla maggioranza della popolazione italiana soprattutto per il servizio ai bisogni del territorio e in risposta ad una domanda religiosa che non rifiuta di per sé il riferimento alla tradizione cristiana. Ma la parrocchia rischia di essere una sorta di stazione di servizio in cui ci si reca per avere determinati servizi , in particolare i sacramenti che celebrano i "riti di passaggio": il battesimo, la prima comunione, il matrimonio, il funerale ... Ora la domanda è: come si è giunti a questa situazione di crisi della fede e boom della religione? E come si può operare, in pastorale, il passaggio dalla religione alla fede. In conclusione : le cose più importanti non si vedono con le analisi sociologiche Lo Spirito agisce ben al di là delle nostre proiezioni e dei nostri tentativi di incasellare la realtà e chi sta in pastorale lo sperimenta solo continuamente. Al contrario c’è una vita di fede e di santità che le inchieste non riescono a vedere. Sono le persone che incontri andando a benedire le case e che ti raccontano la loro storia di fede e di amore molto provata dalla vita. Persone che in maniera totalmente nascosta al mondo vivono nel sacrificio di se vere storie di santità. Ciò che attira non è tanto la Chiesa con i suoi insegnamenti, ma la vita dei credenti, l’essere lievito nella pasta. Quello che funziona è essere una chiesa in uscita, che va nei bar, nei negozi, nelle case, nei luoghi dove ci sono i cosiddetti lontani che stanno aspettando un annuncio di riconciliazione. Dove i peccatori, considerati i “lontani”, si rivelano come i veri vicini. Anche oggi ci sono dei lontani che riconoscono Cristo mentre i vicini spesso conoscono solo una ideologia religiosa che impedisce avere la conoscenza della salvezza (e del Salvatore) nella remissione dei peccati. E’ la grande intuizione di papa Francesco con l’indizione del nuovo anno giubilare.