Fiabe e leggende da Nord e Sudamerica

SUD AMERICA
Questa leggenda fa parte del patrimonio culturale degli indios Calchaquì che furono
sottomessi dagli Incas. Gli Incas riunirono le credenze mitologiche di varie tribù dell’impero e i
conquistadores spagnoli poterono così raccogliere diverse versioni sugli stessi dei. Il dio supremo
era Viracocha, che non sembra però fosse il dio del popolo comune, ma piuttosto una divinità
venerata dai nobili e dai sacerdoti. Il popolo invocava più spesso Inti, il dio del sole e Mamaquilla,
la dea della luna, dei citati in questo racconto
IL COLIBRÌ E IL COLORE DEGLI UCCELLI
Immaginiamo bambini, di essere in una bellissima foresta dell’America del Sud… quando ancora
non c’erano gli uomini sulla Terra, ma solo gli animali. Nella foresta c’erano tantissimi animali e tra
questi animali c’erano anche tanti uccellini. Proprio di loro parleremo nella nostra storia…
Attraverso i campi, per la foresta e nelle valli corse una voce, la civetta disse a tutti quanti…
(fate con i bambini l’attività del telefono senza fili con la seguente frase: DOMANI CI SARA’ UNA
GRANDE RIUNIONE, NESSUN UCCELLINO DEVE MANCARE)
Domani ci sarà una grande riunione, nessuno uccellino deve mancare! Da un albero all’altro, di
ramo in ramo, di nido in nido, volano gli uccelli a trasmettere la notizia.
Bambini, secondo voi, quali uccellini saranno presenti alla riunione con la civetta? Quali nomi di
uccellini conoscete?
(fate dire ai bambini tutti i nomi di uccellini che conoscono: il passerotto, il pappagallo, l’aquila, il
canarino… di solito nessuno dice il colibrì, ditelo voi e mostrate ai bambini la foto del colibrì)
Gli uccellini dovevano riunirsi per trattare una questione molto, molto importante. Infatti qualche
tempo prima, proprio il colibrì guardandosi le piume aveva sospirato
“Come sarebbe bello avere le piume colorate come i fiori!”
Dovete infatti sapere bambini che al tempo di questa storia, tutti gli uccelli avevano lo stesso colore:
il colore della terra, erano tutti e solo marroni.
Invece i fiori avevano colori meravigliosi e vivaci!
Rosso…giallo…verde…blu…rosa…Colori così lucenti che il colibrì se n’era innamorato!
Per questo, quando il colibrì disse “Che bello se avessi le piume dei colori dei fiori” tutti gli altri
uccelli iniziarono a desiderare di essere di un altro colore che non fosse il marrone
(Fate dire ad ogni bimbo il loro colore preferito e consegnate un pennarello del colore da loro
indicato. Consegnate poi a ciascun bambino il disegno del fiore da colorare. A mano a mano che
finiscono, fate scrivere o scrivete voi per il loro il proprio nome sul retro del fiore e fate disporre i
fiori in un angolo della stanza, per evitare che presi dal fiore non vi ascoltino più per il resto della
storia)
Quindi, il giorno della riunione era arrivato, c’erano tutti, ma proprio tutti, il pappagallo, il
fringuello, la cutrettola e il canarino, il cardinale, l’arara, l’usignolo e la monachella, il picchio, la
cocorita e l’uccello mosca col pettirosso e l’uccello muratore e il merlo e il tordo. Poi molti, molti
ancora e proprio di questo avrebbero parlato gli uccellini: di come fare per diventare belli colorati
come i fiori. Tutti gli uccelli però, riuniti nella foresta, facevano una tal confusione con il loro
cinguettio che la civetta fu costretta a dire CIST CIST CIST e tutti fecero silenzio. Dovete sapere
bambini che quello era il modo della civetta di richiamare il silenzio e l’attenzione con i suoi amici
uccellini.
(da questo momento puoi usare il verso della civetta quando vorrai silenzio) “
Gli uccellini tra di loro dicevano: “Come faremo a dipingere le nostre ali dei colori dei fiori?”,
“Dove li troveremo i colori?” Alcuni suggerivano una cosa, altri avevano un’idea differente.
Quando tutti avevano detto come la pensavano la civetta disse 3 volte “CIST CIST CIST!” e tutti
fecero silenzio.
“La cosa migliore da fare – disse la civetta – è mettersi in viaggio verso il cielo per chiedere al dio
Inti [il dio sole] la grazia di dipingere le nostre piume come un tempo dipinse i fiori”
La proposta fu accettata da tutti!
(applausi)
All’alba, prestissimo, partirono tutti. Anzi, proprio tutti no: c’era a chi il colore della terra piaceva e
quindi non aveva bisogno di mettersi in viaggio e poi rimase anche il colibrì: lui, piccolo com’era
non poteva volare così lontano. “Non importa, andate voi… io resterò qui a giocare con i fiori
perché non si sentano tristi e soli per la vostra lontananza”
E così gli uccelli spiccarono il volo, e volarono, volarono, volarono sempre più in alto, fino a
stancarsi le ali; ma continuarono a volare ugualmente, senza mai fermarsi.
(Far fare ai bambini un trenino e far sbattere loro le braccia come se fossero le ali, sempre più
forte per mimare la fatica degli uccellini. Mettete in sottofondo una musica andina)
Fu allora che il dio Inti, sbirciando da dietro una nuvola, li vide salire per arrivare a lui. Preoccupato
disse: “Poveri uccellini! Il loro desiderio è giusto e molto bello. ma non riusciranno mai a
raggiungermi perché il calore dei miei raggi li ucciderà prima! Cosa posso fare??”
Allora la dea Mamaquilla [la dea Luna] gli suggerì di aiutarli.
E così il dio Inti, sotto suggerimento della dea Mamaquilla, riunì alcune nuvole e diede loro l’ordine
di far piovere. La pioggia cominciò a cadere
(Chiedere ai bimbi di riprodurre il suono della pioggia che cade battendo 2 dita sul palmo
dell’altra mano, poi 3, poi 4, poi battere le mani piano, forte, fortissimo, mentre l’educatore
accompagna i bambini con il bastone della pioggia)
Gli uccelli spaventati si lamentavano della loro sfortuna “E adesso che facciamo?” “Siamo così
stanchi! La terra è lontana e il sole anche e in più piove!”
Ma il dio Inti in quel momento comandò alla pioggia di cessare e, aprendo uno spiraglio tra le
nuvole, fece passare qualcuno dei suoi raggi. Ciò che gli uccelli videro era così bello che non
riuscivano a crederci: un grande arco di 7 colori che percorreva tutto il cielo.
Che cos’era bimbi secondo voi? Ma certo, l’arcobaleno!
Gli uccellini impazzivano dalla gioia e volavano di qua e poi di là, tuffandosi nei colori.
(Date ai bimbi un pezzo di nastro colorato e, con la musica andina come sottofondo, fateli danzare e
muoversi liberamente, imitando gli uccellini che si tuffano nei colori dell’arcobaleno)
Alcuni si coloravano tuffandosi nel giallo, altri nel rosso, altri nel blu; qualcuno faceva le ali di un
colore e il petto di un altro…un altro invece attraversò tutti i colori e per questo, ancora oggi si
chiama sette colori. Non s’era mai vista una cosa del genere. E il dio Inti sorrideva felice.
Al ritorno ci fu una gran festa: cantarono e ballarono per 7 giorni di fila in onore del dio Sole e della
dea Luna. Tutti fecero festa, anche i passerotti che erano rimasti sulla Terra perché a loro piaceva il
colore marrone.
…e il colibrì? Anche lui fece festa, perché i fiori, riconoscenti della sua compagnia, gli avevano
regalato ognuno un po’ del suo colore.
Per questo il colibrì ha colori così brillanti e stupendi, ma è tanto piccolo e veloce che noi appena
riusciamo a notarli.
Come dicevamo, la festa durò per ben 7 giorni, cioè fino a quando la civetta richiamò tutti
all’ordine dicendo “CIST, CIST, CIST, è ora di andare a dormire!”
ATTIVITA’ ALI DA COLORARE:
Al termine del racconto dite, bene bambini, adesso dobbiamo colorare le ali degli uccellini e date ad
ogni bimbo un disegno di ala da colorare e un solo pennarello, che sarà l’unico che potranno usare.
Ognuno colorerà solo un pezzettino della sua ala e poi la passerà al compagno alla destra così che
ogni bimbo avrà colorato un pezzettino della sua ala e colorerà anche un pezzo di ala di tutti i
compagni. Donare un po’ del nostro colore agli altri e accettare che altri ci donino il proprio, che
magari non è il nostro preferito o non è ben colorato, ma nel complesso rende le ali molto più belle
che se ognuno, con un solo colore avesse dipinto le proprie.
LA LEGGENDA DEL MATE
Molto tempo fa Yasí, la luna, guardava piena di desiderio e di curiosità, dal cielo scuro, le foreste
verdi con le quali Tupá, il dio potente dei guaraní, aveva ricoperto la terra. Gli occhi chiari di Yasí
guardavano l'erba fine e liscia dei pendii, gli alti alberi che allungavano la loro ombra nella notte
luminosa, i fiumi di acqua scintillante, e il suo desiderio di abbassarsi fino a raggiungere la foresta
diventava sempre più forte.
Una notte Yasí chiamò Arai, la nube rosata del crepuscolo, e le disse:
- Desideri scendere con me sulla terra?
Arai rimase stupita dello strano desiderio di Yasi, che proseguì:
- Dai, vieni con me, Arai. Domani sera lasceremo l'azzurro del cielo e andremo nella foresta, fra
gli alti alberi.
- Ma tutti sapranno cosa abbiamo fatto; al calare della notte noteranno la tua assenza.
rispose Arai.
Yasí sorrise, mentre i sui occhi brillavano divertiti.
- Soltanto le nubi, tue sorelle, lo sapranno. Le chiamerò, chiederò loro che vengano con la
massima rapidità. Copriranno il cielo e nessuno saprà della nostra avventura.
Le parole di Yasí convinsero la nube e al tramonto del giorno seguente, Yasí e Arai, trasformate in
due belle ragazze, fecero una passeggiata nella foresta, mentre nubi nere e dense si addensavano
minacciando tempesta. Yasí guardava eccitata gli alberi, con i loro frutti profumati, i rami
fruscianti, spostati dal vento e il verde delle foglie. Sentì sotto i piedi nudi la piacevole umidità
dell'erba e vide il suo bel viso riflesso nelle acque profonde dei fiumi. Yasí ed Arai erano felici della
loro escursione attraverso la foresta, e camminavano nella notte oscura lasciando sui loro passi una
scia di luce. Ben presto però si stancarono; in un punto distante della foresta videro una baracca e vi
si diressero per riposare. Improvvisamente, i loro orecchi udirono il leggero rumore di un
ramoscello che viene rotto. Yasí guardò verso la direzione da cui proveniva il suono e la sua luce
illuminò una tigre, che si stava avventando su di loro, ma che rimase abbagliata dall’improvviso
chiarore. Le due ragazze ne approfittarono per gettarsi a terra, evitando il suo attacco; in quel
momento arrivò in loro aiuto un anziano indiano, che iniziò a lottare contro la tigre. Era un uomo
che aveva esperienza come cacciatore, come dimostrava il fatto che riuscisse ad evitare gli attacchi
della belva, colpendola ripetutamente col coltello. Nonostante la sua abilità, però, non riusciva ad
avere la meglio sull’animale. Infine, con uno sforzo fuori del comune si lanciò per un’ultima volta
sulla tigre; la lama luccicò un istante nell'aria e poi cadde con forza sulla testa della fiera,
staccandola dal resto del corpo.
L’uomo si voltò verso le due ragazze e disse loro:
- Non dovete più aver paura . Accettate l'ospitalità che posso offrirvi nella mia baracca.
Yasí e la compagna accettarono l'invito, e lo seguirono nella capanna.
- Sedetevi su quelle stuoie mentre avverto mia moglie e mia figlia perché vengano ad accogliervi
– disse il vecchio.
E sparì, mentre le due giovani si guardavano stupite senza parlare. Intorno a loro tutto era
malandato e misero e, se già erano meravigliate che un uomo vivesse in tale desolazione, lo stupore
aumentò quando capirono che due donne vivevano con lui.
L’avventura sulla terra cominciava a rivelarsi piena di sorprese.
Non ebbero però tempo per stupirsi più di tanto perché la moglie e la figlia dell’indiano entrarono,
ricoprendo Yasí e Arai di attenzioni.
-Veniamo a offrirvi la nostra povertà - disse la moglie.
Ma Yasí ed Arai capirono a malapena quello che veniva detto loro, perché erano stupite della
bellezza della giovane figlia, che, con fare timido, stava di fronte a loro.
Non preoccupatevi – disse Yasi, scuotendosi - noi ringrazieremo per qualunque cosa voi
possiate offrirci, perché camminiamo dal tramonto e siamo più stanche che affamate.
La giovane si affrettò allora a portare due torte di mais che, mantenute sulle braci del fuoco,
avevano conservato il loro tepore e la loro morbidezza. Ma quello che le due divinità non sapevano,
poiché sotto la forma umana avevano perso i loro poteri divini, era che quelle torte saporite erano
state fatte con l'unico mais che c’era nella baracca.
Nonostante venisse ricoperta di attenzioni, Yasí rimaneva un po’ in disparte, pensierosa.
Le sembrava strano che quelle tre persone vivessero là, così lontane dagli altri uomini e così
esposte ai pericoli delle belve, e pensava che vi fosse un qualche mistero.
-
Il vecchio disse loro:-Non vogliamo stancare chi si ripara sotto il nostro tetto, perché Tupá guarda
con disdegno chi non è ospitale; vi lasceremo quindi riposare per il resto della notte. Domani, se
desiderate lasciare queste foreste, vi accompagnerò fin dove non esiste nessun pericolo.
Una volta detto questo, uscì seguito dalla moglie e dalla figlia.
Quando Yasí fu da sola con Arai lasciò che la sua luce illuminasse la stanza, in quanto da quando
avevano incontrato l'indiano nella foresta si era piegata su se stessa in modo da non emettere nessun
chiarore. Arai disse:
- Che cosa facciamo ora, Yasí? Torniamo alla nostra dimora e lasciamo che questa gente creda che
il nostro incontro è stato un sogno?
Yasí scosse il capo.
- No, no, Arai. Sono curiosa di sapere per quale motivo si sono ritirati in questo luogo
richiudendo con loro una giovane così bella. Aspettiamo domani, in modo che ce lo dicano.
Il mattino dopo, la moglie e la figlia salutarono le due ragazze che, accompagnate dal vecchio,
intrapresero il cammino.
Appena si furono allontanati dalla baracca, Yasí chiese:
- Da molto tempo vivete nel bosco?
- Da parecchio, e non posso lamentarmi per questa solitudine, perché mi ha dato la tranquillità
che mi mancava quando vivevo con la mia tribù.
Allora il vecchio raccontò alle due ragazze il motivo per cui si era ritirato a vivere nella baracca che
loro avevano visto.
Da giovane aveva vissuto con la sua tribù, che era dedita alla caccia ed alla lotta.
Là conobbe quella che diventò sua moglie e la sua gioia non conobbe limiti il giorno in cui nacque
sua figlia, una ragazza così bella da aumentare la normale gioia dei suoi genitori. Ma la gioia
diminuì, a causa della preoccupazione man mano che la ragazza cresceva, perché era così
innocente, sincera e priva di cattivi pensieri , che il padre cominciò a temere il giorno in cui
avrebbe perso queste qualità.
Poco a poco, il disagio ed il timore invasero lo spirito dell'indiano fino a che non decise di
allontanarsi della comunità in modo tale che la solitudine potesse conservare quelle virtù che Tupà
le aveva donato.
- Abbandonai tutto quello che non mi era necessario per vivere nella foresta – disse il vecchio e, senza dire a nessuno dove andavo, fuggii come un cervo cacciato, verso la solitudine. Da
allora vivo da solo. Soltanto l'affetto verso mia figlia mi portò a compiere questa follia. Ma
sono felice e vivo tranquillo.
Il vecchio si zittì e nessuna delle due seppe cosa dire.
Allora Yasí, vedendo che il limite della foresta era vicino, gli chiese di lasciarle, dopo essersi fatta
promettere che non parlasse con nessuno del suo incontro.
L' anziano se ne andò e, una volta che Yasí ed Arai furono da sole, persero le sembianze umane e
risalirono in cielo.
Passarono alcuni giorni, durante i quali la pallida divinità non poté dimenticare l’ avventura e
soprattutto l'incontro che aveva avuto nella foresta. Osservando l' anziano dalla solitudine del cielo,
capì tutto il valore dell'ospitalità che lui aveva offerto loro nella sua baracca, perché vide che le
torte di mais che avevano mangiato lei e Arai erano le ultime, e la famiglia non aveva più di che
nutrirsi.
Allora, una sera, parlò con Arai e le disse cosa aveva osservato.
- Credo – disse la nube rosa - che dobbiamo premiare quella gente. Che ne pensi, Yasí?
- Ho pensato la stessa cosa e per questo ho desiderato parlartene. Potremmo far sì che il nostro
premio sia per la figlia, visto che il vecchio tiene tanto a lei.
Da quel momento, le due divinità si dedicarono con entusiasmo alla ricerca di un premio adatto.
Alla fine venne loro in mente qualcosa di veramente originale e, con il massimo segreto, decisero di
metterlo in pratica. Così, una notte, fecero cadere le tre persone della baracca in un sonno profondo
e, mentre dormivano, Yasí , nelle sembianze di una candida fanciulla, seminò un seme celeste nello
spazio libero davanti alla baracca. Più tardi tornò alla sua dimora e dal cielo scuro illuminò quel
posto, mentre Arai faceva cadere dolce una pioggia leggera che impregnava amorevolmente la
terra. Arrivò la mattina, Yasí fu nascosta dal sole, ma il suo lavoro era concluso. Davanti alla
baracca erano comparsi piccoli alberi, di origine sconosciuta, e i loro bianchi fiori si mostrarono
timidi fra la verde oscurità delle foglie. Quando il vecchio si svegliò dal suo sonno profondo e uscì
per andare nella foresta, si stupì per il prodigio che avveniva davanti alla sua capanna.
Chiamò sua moglie e sua figlia e, mentre stavano guardando quello che per loro era un prodigio,
un'altra sorpresa li fece cadere in ginocchio sulla terra umida.
Le nubi, che vagavano nel cielo luminoso, si erano raggruppate provocando una forte oscurità, e
contemporaneamente, una forma bianca e luminosa scendeva fra loro.
Yasí, con le sembianza della ragazza, sorrise loro.
- Non abbiate alcun timore – disse - io sono Yasí, la divinità che vive sulla luna, e vengo per
premiare la vostra bontà. Questa nuova pianta che vedete è la Yerba Mate, e d'ora in poi
costituirà sempre per voi e tutti gli uomini di questa regione il simbolo dell'amicizia. E vostra
figlia vivrà eternamente e non perderà mai né l’innocenza né la bontà del suo cuore. Sarà la
proprietaria dell'erba.
Poi la dea li fece alzare e insegnò loro a tostare e a bere il mate.
Passarono alcuni anni e per i due vecchi giunse l’ora della morte. La figlia, compiuti i suoi doveri
rituali scomparve dalla terra.
Da allora si lascia vedere di tanto in tanto dai raccoglitori di Yerba Mate, con le sembianze di una
giovane bella e bionda, e i suoi occhi rispecchiano il candore e l’innocenza della sua anima.
L’ORIGINE DELLA PIANTA DEL CACAO (TRATTO DA UNA LEGGENDA
SUDAMERICANA)
In un Paese Lontano nel centro america vivevano un principe e una principessa. Vivevano in una
bella casa, si amavano molto e avevano un tesoro, fatto di oro, argento, gioielli e pietre preziose.
La sera si ritrovavano tutti a mangiare insieme e dopo aver mangiato ballavano. Vi insegno la danza
che facevano?
NHECO NHECO
Un giorno il Principe dovette andare lontano, perché c’erano delle persone cattive che volevano far
male ala suo popolo e lui andò a combattere e difendere il paese. Prima di partire lasciò il tesoro
alla principessa, affinché lo custodisse fino al suo rientro.
Un brutto giorno però arrivarono i nemici dalla principessa e chiesero: “Dov’è il tesoro?. La
principessa che era molto coraggiosa non disse mai dove aveva nascosto il tesoro e così i nemici
dovettero partire a mani vuoto, ma per vendetta uccisero la principessa.
Dal suo sangue nacque una pianta nel cui frutto erano nascosti dei semi amari come la sofferenza,
forti come la sua virtù e rossi come il sangue: erano i semi della pianta del cacao. (fai vedere ai
bambini i semi)
Quando il principe tornò a casa, vide questi semi/frutto e capì che venivano dalla sua principessa.
Così decise di prendersi cura di loro: (far fare i gesti di semina etc etc ai bambini) li mise sotto terra
, diede loro da bere e terra buona. Il sole li scaldava e piano piano dal seme spuntò la pianta che
diventò sempre più grande. Il principe continuò a curarli, levare gli insetti nocivi, il sole dava alla
pianta energia e l’acqua vita Finalmente dalla pianta nacquero le foglie, i fiori e dai fiori i frutti. (far
vedere la foto della pianta del cacao e dei semi). I frutti quando sono acerbi sono giallini o verdini;
quando sono maturi sono arancioni, rossi, rosso scuro, viola…..
Volete anche voi bambini avere un albero del cacao in classe?
Mettere al centro della stanza un cartellone con disegnato l’albero del cacao solo tronco e rami e
dare ad ogni bambini un frutto da colorare. Poi appenderlo all’albero.
Mentre la pianta del cacao cresceva passò il tempo e il principe diventò un re e venne chiamato
Topiltzin Quetzalcoàtl :“Serpente Piumato”.
Il re era molto amato dal suo popolo perché aveva insegnato agli uomini a costruire i templi, a
coltivare la terra e gli alberi di cacao, e portò la pace nel suo regno.
Lo "xocolatl" dava energia e i guerrieri lo bevevano in abbondanza prima di scendere in battaglia.
Ma voi bambini vi accontentate di disegnarlo il cacao o volete vedere i frutti veri? Dare in mano i
frutti veri ai bambini.
Un giorno dal mare occidentale giunse una strana nave. Su di essa stava un uomo dalla pelle chiara,
accompagnato da uomini alti e dalla fluente barba. Il principe invitò il comandante della nave a casa
sua, gli offrì oro, argento e pietre preziose e anche molti semi di cacao (che per quel popolo erano
un tesoro prezioso). Per ristorarlo diede da bere al comandante, il signor Cortes, la “bevanda degli
dei” (la cioccolata) che loro facevano mescolando i semi di cacao macinati con acqua e
peperoncino. Al comandante non piacque per niente, ma per rispetto la bevve ….. e scoprì che
quella bevanda gli dava energia e forza! E la portò a casa in Europa… disse al pasticcere della città
di trovare una soluzione per questa bevanda così forte ed energetica, ma difficile da bere perché
troppo amara. E questo pasticciere dopo tanti tentativi… ci mise il latte e lo zucchero…
LA LEGGENDA DEL DREAM CATCHER SECONDO LA CULTURA DEI CHEYENNE1
«Molto tempo prima che arrivasse l’uomo bianco2, in un villaggio cheyenne viveva una bambina il
cui nome era Nuvola Fresca3. Un giorno la piccola disse alla madre, Ultimo Sospiro della Sera:
“quando scende la notte, spesso arriva un uccello nero a nutrirsi, becca pezzi del mio corpo e mi
mangia finché non arrivi tu, leggera come il vento e lo cacci via. Ma non capisco cosa sia tutto
questo”.
Con grande amore materno Ultimo Sospiro della Sera rassicurò la piccola dicendole: “le cose che
vedi di notte si chiamano sogni4 e l’uccello nero che arriva è soltanto un’ombra che viene a salvarti”
Nuvola fresca rispose: “ma io ho tanta paura, vorrei vedere solo le ombre bianche che sono buone”.
Allora la saggia madre, sapeva che in cuor suo sarebbe stato ingiusto chiudere la porta alla paura
della sua bimba, inventò una rete tonda per pescare i sogni nel Lago della notte. Al centro della rete
intrecciata mise un piccolo sasso come catalizzatore e intorno ad esso una goccia d’argento, un
pezzo di turchese (come significato del desiderio) e un dente di animale forte (simbolo di
protezione), infine code di animali e piume di uccelli furono legati all'estremo inferiore della rete,
poi diede all’oggetto un potere magico: riconoscere i sogni buoni, cioè quelli utili per la crescita
spirituale della sua bambina, da quelli cattivi, cioè insignificanti e ingannevoli. Ultimo Sospiro della
Sera costruì tanti dream catcher e li appese sulle culle di tutti i piccoli del villaggio cheyenne. Man
mano che i bambini crescevano abbellivano il loro acchiappasogni con oggetti a loro cari e il potere
magico cresceva, cresceva, cresceva insieme a loro… Ogni cheyenne conserva il suo
acchiappasogni per tutta la vita, come oggetto sacro portatore di forza e saggezza. Ancora oggi, a
secoli di distanza, ogni volta che nasce un bambino, gli Indiani costruiscono un dreamcatcher e lo
collocano sopra la sua culla. Con un legno speciale, molto duttile5, plasmano un cerchio6, che
rappresenta l'universo, e intrecciano al suo interno una rete simile alla tela del ragno 7. Alla ragnatela
assegnano quindi il compito di catturare e trattenere tutti i sogni che il piccolo farà. Se si tratterà di
sogni positivi, il dream catcher li affiderà al filo delle perline (le forze della natura) e li farà
avverare. Se li giudicherà invece negativi, li consegnerà alle piume di un uccello 8 e li farà portare
via, lontano, disperdendoli nei cieli...».
ANIMALI TORTEMICI
1
Cheyenne sono una popolazione indiana dell'area delle Grandi Pianure, situate nell'America Settentrionale nei
2 stati statunitensi dell'Oklahoma e del Montana. Il loro nome significa " il popolo degli uomini" come loro si riferivano
a se stessi. Sono stati sterminati nel massacro del Fiume Sand Creek ad opera del Colonnello Custer, che non si è
fermato davanti la bandiera americana che sventolava alta sopra al loro accampamento.
2
Questa espressione viene usata per dire “quando le cose andavano bene”, “quando tutto funzionava secondo
tradizione”, “la vita scorreva secondo le leggi della natura”.
3
I nomi delle persone rappresentano una situazione importante per la persona stessa, un modo di fare, un
sogno, una visione che ha avuto.
4
Il rapporto tra l’uomo e i “sogni”, le “visioni”sono la base di questa cultura. L’Essere Supremo parla all’uomo
indicandogli la strada attraverso le visioni e i sogni, appunto.
5
Solitamente è il salice perché è malleabile, ma col tempo, presa la forma data nella lavorazione, diventa
durissimo e tiene proprio la forma stessa.
6
Per l’importanza del cerchio leggi il paragrafo al termine delle leggende.
7
Tra gli animali totemici il ragno è uno dei più importanti: la Nonna Ragno rappresenta la saggezza allo stato
più alto ed è sempre pronta ad aiutare gli uomini, ancora di più i bambini, nelle loro ricerche e prove della vita. Nessun
nativo romperà mai una ragnatela: porta sfortuna!
8
L’uccello, in particolare l’aquila, è considerata il messaggero dell’Essere Supremo proprio per il suo volare
più in alto di tutti e poi venire a terra. Gli uccelli volano in alto e nell’aria libereranno le paure che si perdono nell’aria.
Totem: Indica il complesso delle credenze e dei riti attraverso i quali si manifesta la parentela di un
clan con un animale o anche con una pianta, considerati di solito l’antenato mitico. L’oggetto
totemico (in prevalenza animale) sarebbe l’emblema del clan, il suo spirito custode, in alcuni casi
l’antenato mitico o l’eroe fondatore della cultura. Per questo, tutti gli appartenenti a un determinato
totem si riconoscono come parenti fra loro. Il totem rappresentava la stretta relazione che c’è tra
l’uomo e l’animale ma era usato anche per attirare qualità positive dell'animale.
I nativi americani, nella vita tradizionale e ancora adesso, di fronte ad un momento di difficoltà, di
dubbio cercano di fermarsi e “ricercare una visione”, un “sogno” che, una volta interpretato possa
essere per loro un segno che gli indichi la via giusta da percorrere, la scelta da intraprendere. Spesso
il protagonista di questa visione è un animale.
I nomi delle persone sono composti con dei nomi di animale: esso è il simbolo del suo compito e
del suo ruolo di questa vita, rappresenta le caratteristiche, le sue capacità, le sue debolezze. Le
organizzazioni claniche e tribali hanno sempre un animale totemico che conferisce particolari
compiti e capacità.
Fiaba “IL RADUNO DEGLI ANIMALI SELVAGGI”
Dalla tradizione degli Tsimshian9
Molto tempo fa i Tsimshian, quando vivevano lungo il corso superiore del fiume Skeena, a Prairie
Town, erano i più intelligenti ed i più robusti di tutti gli esseri umani.
Erano abili cacciatori e prendevano molti animali. Cacciavano tutto l’anno e tutti gli animali
temevano per la loro sopravvivenza.
Orso, sempre attento al bene della comunità, stanco di vedere la paura negli occhi dei suoi amici
animali selvaggi, invitò tutti i grossi animali nella sua casa.
“Una terribile calamità è piombata su di noi con questi cacciatori che ci inseguono persino nelle
tane”, disse. “Propongo di chiedere a Colui Che Ci Fece di rendere gli inverni più freddi per tenere i
cacciatori nelle loro case e lontani dalle nostre tane!”
Tutti i grossi animali furono d’accordo e Lupo, sempre molto leale con il gruppo, aggiunse:
“Invitiamo anche i piccoli animali come il saggio Ragno, Lucertola, Formica, Tartaruga, che sa
sempre molte cose, e il forte Serpente… ad unirsi a noi per dare più peso alla nostra proposta”.
Il giorno seguente i grossi animali si radunarono in una vasta prateria e convocarono tutti i piccoli
animali, persino gli insetti. Vennero anche Puma, Lupo, Alce, Cervo e Bisonte, l’aquila, il falco
rosso e il corvo volavano in alto. Per ultimi arrivarono la Volpe in spalla al possente Cavallo e il
Coyote aggrappato alla agile Antilope.
Allora Orso Grizzly si alzò e disse: “Amici! Sapete molto bene quanto le persone ci caccino sulle
montagne e sulle colline, inseguendoci perfino nelle nostre tane. Perciò, fratelli miei, noi grossi
animali abbiamo deciso di chiedere a Colui Che Ci Fece di inviare sulla terra inverni freddi, più
freddi che mai, affinché la gente che ci caccia non possa venire nelle nostre tane ad uccidere noi e
voi! Grossi animali, non è così?”
Il Puma fece valere il suo carisma e disse: “Io appoggio pienamente questa saggia decisione”. E
tutti i grossi animali furono d’accordo. Orso si voltò verso i piccoli animali e disse: “Vogliamo
sapere cosa pensate di questa faccenda.”
Sulle prime i piccoli animali non risposero. Dopo che furono rimasti un po’ in silenzio, Ragno si
alzò e disse: “Amici, la vostra strategia è molto buona per voi, perché tutti voi avete delle fitte e
calde pellicce adatte al più rigido freddo. Ma guardate questi piccoli insetti. Non hanno affatto
I Tsimshian, o Popolo del Fiume Skeena, sono una tipica tribu’ della Costa nordoccidentale del Pacifico,
culturalmente imparentata con gli Haida ed i Kwakiutl. Come questi ultimi, i Tsimshian sono abili intagliatori,
artisticamente dotati, e tessitori di coperte Chikat. La loro fonte principale di cibo era costituita dal salmone, dall’halibut
(è un pesce), dal merluzzo e dai molluschi, e saltuariamente anche dalle balene. La loro patria originaria era lungo il
corso del fiume Skeena, nella Colombia Britannica, ma un pastore della Chiesa d’Inghilterra li persuase nel 1884 a
trasferirsi in Alaska. Oggi circa un migliaio di Tsimshian occupano la riserva di Annette Island di 86.500 acri
nell’Alaska sudorientale e svolgono in questo Stato un attivo ruolo politico ed economico.
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pelliccia che li tenga caldi in inverno. Inoltre, come possono gli insetti ed i piccoli animali
procurarsi il cibo se gli inverni sono più freddi? Perciò dico questo: non chiedete più freddo!” Poi si
sedette.
Orso si alzò di nuovo e disse: “Non abbiamo bisogno di prestare attenzione a ciò che afferma
Ragno…Tutti voi animali grossi siete d’accordo, non è vero?!?”
“Ebbene” riprese Ragno “ascoltatemi ancora una volta! Vi farò soltanto una domanda: se ci sarà
quel freddo, le radici di tutte le piante e delle bacche selvatiche geleranno e moriranno. Come vi
procurerete il cibo?”
I grossi animali rimasero senza parole di fronte alla saggezza del Ragno. Alla fine Orso ammise:
“E’ vero ciò che hai detto Ragno…” Ed i grossi animali scelsero Ragno come loro saggio e come il
primo tra i piccoli animali.
Allora Ragno parlò di nuovo con la sua saggezza: “Le stagioni rimarranno come sono: sei mesi
d’inverno e sei mesi d’estate. Solo così tutti, grandi e piccoli, andranno nelle loro tane e rimarranno
nascosti per sei mesi.”
Tutti approvarono e tornarono felici ognuno alla propria casa.
Ecco perché gli animali selvaggi, grandi e piccoli, si mettono nelle loro tane d’inverno.
Soltanto Ragno non si nasconde, ma va in giro a far visita ai vicini. Ragno andò anche dagli animali
che gli avevano mancato di rispetto e da quel giorno, dicendo cose sagge, tutti lo rispettarono».