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approfondimenti
A BRESCIA IL SEMINARIO DELL’ASSOCIAZIONE TEOLOGICA PER LO STUDIO DELLA MORALE
Morale e spirituale
teologia bilingue
«Intersezioni e parallelismi» il sottotitolo, a dire la necessità di pensare insieme le due
discipline. Dal seminario di Brescia, dopo un’esaustiva rivisitazione storica, l’esplorazione
dei territori comuni, la verifica delle precomprensioni, delle incomprensioni e dei
linguaggi. L’esigenza di un raccordo con la teologia pastorale.
S ono cresciuto in un “maso” trentino, un paio di chilometri lontano dal
paese. Ero ancora monto piccolo quando nell’unica casa vicina c’è stato un
matrimonio. Da quel momento, la sposa che si è trasferita nella dimora
del marito per me era semplicemente la vicina di casa. Ho scoperto solo
più tardi – tutti davano per scontato io lo sapessi – che era una mia prima
cugina. Con mia vergogna.
Mi si perdoni la confidenza autobiografica: mi serve a dar misura della
sorpresa mortificata che deve aver imbarazzato i cultori della teologia morale e della teologia spirituale. Per secoli, le due discipline hanno vissuto
in case diverse, studiando testi diversi grazie al contributo di esperti intenti a un oggetto ritenuto proprio e soltanto “vicino di casa” dell’altro. Poi
sono arrivate le opere di p. Häring (teologo della morale) e il Vaticano II,
e le due discipline hanno scoperto di essere cugine, anzi sorelle.
settimana 1° settembre 2013 | n° 30
Storia di una convergenza
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Il seminario dell’ATISM (Associazione teologica italiana per lo studio
della morale), organizzato quest’anno a Brescia1 sul tema “Teologia morale e teologia spirituale. Intersezioni e parallelismi”, si è aperto con una
relazione della prof.sa Donna Orsuto,2 che ha dato conto dell’“Evoluzione
storica della problematica”. In un primo lungo periodo, che va dagli apostoli al Medioevo, la vita cristiana è stata inizialmente interpretata come
sequela. La vita e gli insegnamenti di Gesù sono norma per la vita dei discepoli (morale), per i quali però la sequela si configura come rapporto
personale con Cristo (spirituale). Negli anni delle persecuzioni, il martirio fa coincidere le due tensioni; è l’espressione di un’unione a Cristo che
porta a scelte radicali estreme. Successivamente, il monachesimo si carica
di temi a cerniera tra spiritualità e morale (grazia e peccato, comandamenti e consigli...), coniuga ora et labora, osservanza e contemplazione.
La Regola di Benedetto è insieme direttorio spirituale e normativa disciplinare. Agostino sviluppa la spiritualità del desiderio e dell’intimità e,
insieme a Gregorio Magno, teorizza l’«interiorità morale» come uno degli elementi essenziali della vita cristiana («Ama e fa’ ciò che vuoi» si attribuisce in sintesi ad Agostino).
Il secondo periodo arriva alla Controriforma e inizia con la silenziosa
ma radicale innovazione introdotta dai monaci irlandesi, l’abbinamento
di spiritualità del pellegrinaggio ed enfasi sulla penitenza. La penitenza
tariffata porterà la celebrazione del sacramento tra le vie ordinarie di crescita spirituale. I secoli XII e XIII segnano un momento felice del rapporto fra morale e spiritualità; Bernardo prima e gli ordini mendicanti
poi testimoniano una fede vissuta come riflesso dell’amore di Dio sperimentato anche affettivamente e come un’identificazione “sine glossa” con
Gesù; l’ascesi si propone di portare a essere “amici di Cristo”. La felice intesa si sfalda nei secoli successivi, sotto i fendenti del rasoio di Occam e
del nominalismo. La morale si pensa ora come obbedienza cieca alla volontà arbitraria di Dio, oggettivata nella norma; la spiritualità ricerca i
sentieri preferibilmente ardui dell’ascetica e dell’imitazione.
Dalla Controriforma la teologia morale si occupa dell’applicazione dei
precetti divini, mentre la vita spirituale si rivolge a chi ricerca il di più
della perfezione e della santità. Morale e spirituale si strutturano in rapporto piramidale di valore. Alla base la morale, che si occupa del “minimo
dovuto”; l’ascetica si appoggia sul livello sottostante, dal quale non si
pensa certo esente, e guida alla ricerca del “di più” evangelico; il vertice mistico è la meta-premio di una vita morale e ascetica vissuta con generosità.
In parallelo con lo sviluppo dei principi nella teologia morale speculativa, la teologia spirituale registra la definizione dei modelli di via alla
santità (Ignazio, Giovanni della Croce, Teresa...). Per Francesco di Sales la
sequela è “devozione”, cioè integrazione della vita di fede e della vita di
carità operosa.
I secoli XVII e XVIII vedono l’imporsi del legalismo in morale e del rigorismo nella vita spirituale. Sant’Alfonso ricompone una sintesi di verità,
coscienza e libertà nella Pratica di amar Gesù Cristo, ma le due discipline
proseguiranno percorsi distinti, benché consapevoli della reciproca necessità: una morale senza spiritualità è moralismo soffocante e una spiritualità senza morale è fuga irrealistica.
Agli inizi del Novecento, Thomas Slater classifica il suo Manual of Moral Theology (1906)3 come un’opera “tecnica”, analoga «ai testi scolastici
degli avvocati e dei medici». A suo giudizio, i manuali trattano di ciò che
è obbligatorio sotto pena di peccato, quasi a occuparsi più di “patologia
morale” che di teologia morale, servono cioè per l’azione medicinale del
prete in confessione. La teologia morale si pone il compito si definire
bene e male, indirizzando all’ascetica e alla mistica quanti cercano le vette
o l’ideale di vita cristiana. Sostanzialmente, fino alla prima metà del secolo
scorso, a detta del prof. Basilio Petrà,4 «non esiste un problema formale
nel rapporto tra le due discipline».
La scoperta del gemellaggio
Poi venne Bernard Häring. Poi venne il concilio Vaticano II. E ci si
trova a discutere dello specifico delle due discipline teologiche. Il p. Häring si propone, con la sua opera di teologia morale,5 di «spiegare ed
esporre ciò che caratterizza la vita cristiana» e adotta un approccio che va
nella direzione opposta rispetto a Slater: questi estrometteva l’ascetica e
la mistica dallo studio della teologia morale, Häring vuole intrometterle.
L’«interiore cristificazione» è fonte e termine della legge morale, la Legge
di Cristo; la teologia spirituale è parte della teologia morale.
Il Vaticano II conferma – indirettamente – l’approccio e l’impianto di
p. Häring. Il concilio parla esplicitamente solo una volta della teologia
spirituale (SC 16; EV 1/27) e nel Dizionario del concilio ecumenico Vaticano II del 1969 non c’è la voce spiritualità. Il decreto Optatam totius sulla
formazione sacerdotale, al cap. V (Revisione degli studi ecclesiastici), n.
16, formula l’obiettivo e, per quanto riguarda la teologia morale, afferma:
«Tutte le [altre] discipline teologiche vengano rinnovate per mezzo di un
contatto più vivo col mistero di Cristo e con la storia della salvezza. Si
ponga speciale cura nel perfezionare la teologia morale in modo che la sua
esposizione scientifica, maggiormente fondata sulla sacra Scrittura, illustri l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo» (EV 1/808).
«Contatto più vivo col mistero di Cristo», «vocazione dei fedeli in Cristo», «obbligo di apportare frutto nella carità per la vita nel mondo»: naturalmente, non si tratta di trovare citazioni letterali alle quali imputare
la responsabilità di un passaggio epocale. È l’insieme del concilio che, in
un rapporto reciproco di causa-effetto con le acquisizioni della teologia del
tempo, recepisce e insieme causa la revisione degli statuti epistemologici.
Perché ha inizio, a monte, un profondo cambiamento nell’antropologia
cristiana: teologia e magistero guardano con occhi nuovi l’uomo, il
mondo, la storia. Non è un singolo versetto di OT ad avere scatenato lo
spostamento d’asse antropologico, ma l’insieme inseparabile del magistero conciliare (e della teologia che lo ha alimentato e poi mediato). Non
solo il cap. V di Lumen gentium (Vocazione universale alla santità), ma
l’intera costituzione, inestricabile dalle altre.
«Scopo della sequela è diventare ciò che si è; la metanoia non si aggiunge alla sequela, ma ne è la condizione e il risvolto faticoso» (Ezio Bolis).6 Il principio carità si propone come cerniera e perno. «La carità è un
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Reciprocità nell’unità della vita cristiana
Dato per acquisito – è ammissione condivisa – che teologia morale e
teologia spirituale si sovrappongono per vaste aree del loro studio, se ne
riconoscono la complementarietà e la reciprocità: «due dinamiche diverse
che si necessitano a vicenda» (García). Il seminario ATISM – che ha ospitato voci da entrambi i versanti – ha ribadito l’imbarazzo comune al momento di definirne lo specifico. È pressoché immediata e quasi ovvia la
differenza, ma è arduo dettagliarne la descrizione. Qualunque oggetto la
teologia morale definisca “proprio” può essere rivendicato dalla teologia
spirituale, e viceversa. E così sono risuonate numerose articolazioni e metafore, tutte suggestive, nessuna sufficiente.
Quella su cui atterrano i più – senza permesso della torre di controllo
– assegna l’universale alla teologia morale e il singolare alla teologia spirituale. «Parliamo di due modi complementari di riflettere sulla fede: una
teologia propositiva, sistematico-dogmatica, che si muove nell’ambito dell’affermazione “universale” del dato cristiano... e di una teologia dell’appropriazione, che si colloca nella riflessione “singolare” e propone la riflessione sull’esperienza vissuta del dato rivelato» (García).
Molto prossima la polarità oggettivo e soggettivo. Una “spartizione” respinta da entrambi i versanti. La teologia morale si qualifica come rinnovata proprio a partire dalla conglobazione del soggettivo; la teologia
spirituale rivendica alla sua competenza lo studio degli elementi oggettivi
del vissuto allo scopo di coglierne criteri di valutazione. Si pensi anche
Paradigmi e prospettive
Il confronto durante il seminario è stato pertinente e a tratti elettrizzante. Una gara di fioretto, per la quale si percepiva un allenamento in
corso da tempo. Ma per la quale nessuno, onestamente, cercava la vittoria. Ne viene di più dal perdurare del confronto che dal suo esito.
Giuseppe Trentin10 indica nel comandamento dell’amore il riferimento
comune, imprescindibile e fondante per le due teologie. 1Gv afferma
l’unità fra conoscenza di Dio e comandamento: non vi può essere teologia morale senza teologia spirituale, né viceversa. Per gli studiosi di entrambi gli ambiti è necessario il “bilinguismo”, se non altro per conoscere
il significato diverso che ciascuno dà agli stessi termini.
Secondo A. Fumagalli, le due discipline hanno estensione comune, entrambe si occupano di esperienza e di ragione. La teologia morale più intenta a cogliere gli elementi strutturanti e la teologia spirituale quelli paradigmatici. Riprendendo la metafora linguistica di Trentin, ipotizza che
lo studio della morale sia analogo all’interesse per la lingua, condizione di
esercizio «singolare e creativo» della retorica, analogo alla teologia spirituale. Non due lingue, né due dialetti della stessa lingua, nemmeno – per
dirla con T. Goffi – due accordi dentro la medesima unità armonica; piuttosto, il rapporto che si dà fra grammatica e poesia, dove l’una permette
l’altra e l’altra plasma e fa evolvere l’una. La teologia morale struttura il
linguaggio per dire la vita cristiana, e la teologia spirituale ne fornisce
l’ermeneutica.
A giudizio dei convenuti, sarebbe necessario rivedere il programma
dei corsi accademici delle due discipline, per metterne in evidenza la reciproca “intersezione” e sfrondare i “parallelismi”.
Ma, oltre al piano accademico, è sul piano pastorale che si manifesta
evidente la necessità di recepire l’apporto congiunto di teologia spirituale
e teologia morale. «Il sacerdote che si limitasse a formare i fedeli alla semplice etica virtuosa, alla sola onestà morale, mancherebbe fondamentalmente al suo ministero» (T. Goffi).
Marcello Matté
Istituto Paolo VI, 2-5 luglio.
Originaria dell’Ohio, è docente di teologia spirituale alla Gregoriana.
3 Primo manuale in lingua inglese, molto citato dagli studiosi anglofoni.
4 Docente di teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia centrale, ha tenuto una
relazione su “La prospettiva della teologia morale sulla teologia spirituale”.
5 La Legge di Cristo, 1961.
6 Docente di teologia spirituale presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, ha tenuto una relazione su “La prospettiva della teologia spirituale sulla teologia morale”.
7 Docente di teologia spirituale presso l’Università pontificia salesiana, è intervenuto su
“Nodi problematici e orizzonti futuri”.
8 “Il contributo di un protagonista: Tullo Goffi”.
9 EDB, Bologna 1984.
10 Docente di teologia morale presso la Facoltà teologica del Triveneto, è intervenuto su
“Nodi problematici e orizzonti futuri”.
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modo di essere che si struttura e si attua come trasformazione del soggetto
perché sia sempre più conforme a Cristo». La carità è ciò che conforma il
soggetto a Cristo (“trasformazione cristica”) e insieme principio dell’azione; dalla trasformazione dell’umano alla trasformazione del mondo
(Petrà).
Teologia morale e teologia spirituale scoprono così di avere al cuore
del loro studio un oggetto, se non uguale, nemmeno molto diverso. «Le
due discipline hanno un tronco comune: la carità. L’imperativo morale
“regola” un certo ordine che procede dall’incontro con Cristo e con il suo
amore. ... Ambedue si riferiscono alla vita concreta e riguardano il lato
pratico dell’esistenza umana. ... Alla base del reincontro tra la morale e la
spiritualità la vocazione universale alla santità» (Jésus Manuel García).7
È con l’opera di Tullo Goffi che trova una riflessione tematica e sistematica il rapporto quanto meno complementare fra teologia morale e spirituale. All’autore bresciano, morto nel 1996, il seminario ATISM ha riservato l’intervento di Diego Facchetti.8 Goffi si concentra sul rapporto
nel volume Etico-spirituale. Dissonanza nell’unitaria armonia.9 «Egli afferma che “è ritenuta azione etica se compiuta dal redento in virtù della
grazia che ha ricevuto; è anche spirituale se si rivela un assecondare l’iniziativa propria dello Spirito di Cristo operante nell’anima”. E specifica:
“Per l’etica il cristiano stesso è impegnato ad avviare l’universo verso la
sua forma escatologica di regno di Dio; mentre per lo spirituale egli ha
fede che lo Spirito opera nell’intimo della sua azione così da realizzare in
essa e con essa in modo trascendente un mondo nuovo. Per l’etica il cristiano si affida mediante la propria fede alla misericordia di Dio; per lo
spirituale la misericordia di Dio in Cristo è comunicata e fatta vivere dallo
Spirito nel profondo del proprio essere personale. ... La vita etica cristiana
è regolata da norme del dovere personale, mentre la vita spirituale cristiana si traduce nell’esortazione ad aderire agli inviti amicali dello Spirito che si offre come luce nell’intimo».
solo alle cause di beatificazione: quando ci sono gli elementi per proporre
la vita di un singolo a modello universale?
Storicamente, è stata a lungo accettata la suddivisione dei territori legittimata dalla teologia di un cristianesimo proposto come religione etica:
alla morale i comandamenti e i precetti, alla spiritualità i cosiddetti consigli. La santità – e la spiritualità si è alimentata di agiografia – è per pochi eletti che desiderano «seguire più da vicino Cristo»; di loro si occupa
la teologia spirituale. Gli altri, convien che razzolino con la teologia morale. L’una si occuperebbe della norma, l’altra della parenesi. La mappatura
catastale del Vaticano II ha semplicemente annullato questi confini artificiosi.
Ancor più inaccettabile l’idea che la teologia spirituale si occupi dell’essere e la teologia morale del fare, l’una dell’amore per Dio, l’altra dell’amore per il prossimo. Non si possono separare l’essere dal fare né l’intrinseco legame fra i due più grandi comandamenti, che peraltro vanno
letti come vocazione e grazia ancor prima che come imperativo etico.
Si è ancora disposti a discutere sulla distinzione fra progetto e vissuto:
la teologia morale si occupa di improntare il “disegno” per un progetto di
vita cristiana, la teologia spirituale studia le realizzazioni personali, tutte
carismatiche e sostanzialmente uniche. Ingegneria, architettura e storia
dell’arte: analoghe situazioni di tensioni accademiche.
«Mentre per la teologia spirituale le indicazioni che provengono dallo
studio dell’esperienza vissuta della carità sono fondamentali per scoprire
le costanti individuali del “sapersi cristiani”, non è così per la teologia morale che resta una ratio practica fide illuminata del “dover essere cristiani”.
Le indicazioni che la teologia spirituale riesce a cogliere dallo studio dell’esperienza vissuta non fissano un obbligo, ma sono piuttosto indicazioni per il cammino spirituale di una persona, oggetto di un particolare
disegno di Dio, per renderla disponibile all’azione dello Spirito divino»
(García).
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