la Voce
del popolo
la Voce
del popolo
palcoscenico
www.edit.hr/lavoce
ILTANZTHEATER
DIPINABAUSCH
Anno 10 • n. 80
martedì, 7 gennaio 2014
UN CAFFÈ CON...
PREMI
RECENSIONI
TEATROGIOVANI
Beppe Fiorello
Il meglio del «de Zajc»
UBU 2013
La torre d’avorio
La vera storia
di Traviata
Il libro della giungla
2|3
L’intervista
Questo sono io
3 4|5
7
CARNET PALCOSCeNICO
Il cartellone del mese
8
2
martedì, 7 gennaio 2014
UN CAFFÈ CON...
palcoscenico
la Voce
del popolo
di Rossana Poletti
BEPPEFIORELLO
IN SCENA PER
REGALARE AL
PUBBLICO UN PO’
DI EMOZIONI IN
MOMENTI NEI QUALI
CI SI INDIGNA SEMPRE
PIÙ SPESSO . MA
ANCHE PER RESTITUIRE
L’AFFETTO CHE HA
AVUTO IN QUESTI ANNI
Il
regista de “Il cuore
nel pozzo” ha dichiarato
che solo dopo aver realizzato la
fiction ne ha scoperto la portata, allora
lo spettacolo avrebbe potuto essere diverso.
Chi l’ha scritta avrebbe potuto non fare gli
errori storici che sono stati compiuti, raccontando
una storia, che non era quella vera, mescolando
fatti accaduti in altre guerre e in altri contesti che non
avevano niente a che vedere con la nostra vicenda. Ma
anche questa è l’Italia di oggi, che fa le cose tanto per
farle, senza lo spessore culturale, senza l’approfondimento
che un Paese come il nostro avrebbe l’obbligo di usare. Ma
questo non possiamo certo imputarlo a Beppe Fiorello,
che ha fatto bene il suo lavoro. Emerge però ancora
più clamorosamente il grande sforzo di comprensione
del lavoro di Simone Cristicchi e la sua spasmodica
attenzione a controllare tutti i particolari di quello
che racconta nel suo “Magazzino 18”. Perché, è ora
di dirlo, non è più sufficiente l’affermazione
“pur che se ne parli, va bene qualsiasi cosa”.
Oggi è giunto il tempo che se ne parli
con cognizione di causa e con il
rispetto che meritiamo.
“M
io padre era un grande
estimatore di Modugno.
Lo cantava sempre
nei lunghi viaggi in auto… e gli
assomigliava anche molto. Ho così
sovrapposto i due personaggi, di mio
padre e Modugno, che sono stati i
protagonisti dello spettacolo in un
certo senso. Racconto di me stesso
in chiave originale. In televisione ho
raccontato Modugno questa volta è
un po’ lui che racconta me”.
Questo dice Beppe Fiorello dello
spettacolo andato in scena al Politeama
Rossetti di Trieste e con il quale sta
girando l’Italia.
“Racconto storie a me accadute, che
possono essere strane, paradossali e
grottesche. Parlo di persone realmente
esistite. Salgo a bordo del deltaplano
delle canzoni di Modugno e sorvolo,
oltre alla mia infanzia, la Sicilia e
l’Italia di quegli anni, che non ci sono
più, quelle degli anni Cinquanta,
Sessanta e Settanta.
È uno spettacolo che vuole in qualche
modo colpire il pubblico.
“Più che un obiettivo ho la speranza
di regalare al pubblico quasi due ore
di pura emozione. Infatti mi sembra
che oggi si sia un po’ persa l’idea di
emozionarsi. Ci si emoziona sempre
meno ma ci si indigna sempre di più.”
Circa un anno fa Giacomo Poretti, del trio
Aldo Giovanni e Giacomo, aveva messo
i propri ricordi addirittura in un libro.
Adesso per la seconda volta in un solo
anno un altro artista sente il bisogno di
raccontare se stesso e soprattutto della
propria infanzia, guardando ad essa con
un misto di gioia e nostalgia. Perché hai
Giuseppe Fiorello nasce a Catania il 12 marzo 1969. Comincia la sua vita di
artista nei villaggi turistici: scrive e interpreta cabaret. Viene chiamato da
Radio Deejay nel 1994 e sarà il primo a dare voce a Radio Capital. Nel 1997
debutta al cinema ne L’ultimo capodanno. Con Carlo Verdone duetta in C’era
un cinese in coma. Poi ancora recita ne I Fetentoni per approdare subito dopo
ad una serie di fiction Rai: Salvo D’Acquisto, Brancaccio, La Guerra è finita,
L’uomo sbagliato, Il grande Torino, Il cuore nel pozzo, lo spettacolo sulle foibe
che non fu non molto apprezzato per la totale assenza di approfondimento
storico, Il bambino sull’acqua, Joe Petrosino. Nel 2002 il debutto teatrale al
fianco di Alessandro Gassman in Delitto per Delitto. Nel 2007 ritorna in tv con
la fiction Giuseppe Moscati, il film La vita rubata e la miniserie Il bambino della
domenica. Nel 2010 su Rai Uno recita nelle fiction Lo scandalo della Banca
Romana, Il sorteggio, La leggenda del bandito e del campione e Sarò sempre
tuo padre, e per il cinema in Galantuomini, Baarìa e Magnifica presenza. Nel
2011 con Terraferma approda al 68° Festival del cinema di Venezia.Per i 150
anni dell’unità d’Italia insieme al fratello Rosario produce il cortometraggio
Domani. Recita quindi in Volare, film in due puntate sulla vita di Domenico
Modugno, seguito da oltre 11 milioni di spettatori. Nel 2013 è di nuovo al
cinema con Se Chiudo Gli Occhi Non Sono Più Qui e Benvenuto Presidente con
Claudio Bisio.
sentito questa necessità? Quale è stato il
motivo che ti ha mosso a scrivere questo
testo?
“Semplicemente il piacere di tornare
a teatro e restituire l’affetto che il
pubblico mi ha dato in questi tanti
anni di lavoro; oltre a questo anche
la voglia di raccontare cosa mi lega
a Modugno, non solo il film tv ma
ben altro, un pezzo della mia vita. Lo
spettacolo è anche un omaggio a mio
padre”.
L’immagine dello spettacolo è quella di
un’Italia bella, solare, piena di persone
di buoni propositi, di un mondo facile
in cui vivere, un mondo che non c’è più,
che anzi ci ha lasciato qualche brutto
“ricordino”: il siderurgico, le raffinerie,..
(ma non solo in Sicilia e Puglia).
Modugno è un simbolo, perché cantò il
tanto bello e la tanta disperazione di un
sud Italia che ha fatto sempre difficoltà
a comprendere il proprio valore e
patrimonio, un po’ incapace di coltivarne
i frutti?
Il Sud ha sempre ben compreso del
suo valore culturale e storico altro
che!! Diciamo che non siamo stati
abbastanza severi da farci rispettare
e non deturpare da chi ha sempre
pensato che il sud andava e vada
ancora usato e maltrattato, è vero
però che spesso il male lo abbiamo
avuto anche dentro casa.
Ma veniamo ad un’altra pagina della
tua storia d’artista. Alcuni anni fa
interpretasti “Il cuore nel pozzo”, fiction
sulla vicenda delle foibe, avvenuta proprio
in queste zone tra il Carso triestino e l’Istria.
Hai scoperto pagine di storia sconosciute? È
stata un’esperienza importante? E che cosa
ti ha emozionato di più?
palcoscenico
la Voce
del popolo
Penso che
un sogno così
TRIESTE
P
oliteama Rossetti. Al Rossetti va
in scena Penso che un sogno così.
È la prima volta di Giuseppe
Fiorello, artista molto amato per la
sua grande capacità di attraversare il
mondo del cinema, della fiction e ora
anche del teatro, sempre con grande
talento. In quest’occasione si cimenta
in un racconto autobiografico in cui
intercala musica e canto, con molta
versatilità.
Non snocciola infatti la storia di
Domenico Modugno, come nella
fiction di un anno fa. Racconta la
sua vita nella quale le canzoni di
Modugno sono una colonna sonora,
di quella che fu la sua infanzia, la sua
famiglia, ricordi ed emozioni di un
bambino timido destinato a diventare
un grande artista. Sono le canzoni
del sud, in siciliano, quelle più legate
ai suoi ricordi di fanciullo, cantate
dal padre, un uomo sempre allegro,
felice in un mondo che dava poco,
ma tutto era gioia e amore. Anche il
solo guardare le stelle dal muretto
di casa e il mare del golfo bellissimo,
devastato poi dal petrolchimico di
Megara Iblea. Il padre amatissimo, un
uomo con i baffetti da moschettiere
e i capelli color petrolio, che cantava
Modugno uguale, tanto uguale che
sembravano fratelli. L’automobile singhiozzante che impiegava cinque ore
per fare soltanto sessanta chilometri
e che nessuno aveva mai sorpassato.
Insomma un mondo finito di cui resta
la memoria soltanto in chi l’ha attraversato e a cui la frenesia e il caos
della contemporaneità ci fa guardare
con sentimenti misti di nostalgia e
malinconia; ma mettendoci qualche accenno all’oggi Beppe Fiorello
non si trattiene dall’esprimere il profondo dolore e la rabbia per come
sono andate e come vanno le cose
nel Bel Paese. Lo spettacolo ha la
regia di Giampiero Solari, che gioca
sugli effetti; alcuni pannelli scorrevoli portano in scena i due musicisti
che accompagnano Fiorello, Daniele
Bonaviri e Fabrizio Palma. Sono
pannelli su cui sembrano riprodotti i
disegni delle rocce in superficie, che
la luce però trapassa creando giochi
di colore; sugli stessi si riproducono
a tratti le immagini dell’epoca, una
lunga e stretta strada deserta, le luminarie delle feste patronali del sud,
come in quel giorno in cui il padre fu
trovato morto nella sua automobile,
se n’era andato con il sorriso sulle
labbra, felice così come aveva vissuto. E poi l’incontro con la moglie di
Modugno, il regalo della giacca con
cui il Mimmo nazionale vinse il suo
festival di Sanremo, la consacrazione
a suo interprete ufficiale e Volare, la
canzone con cui porto la fama dell’Italia, un paese che stava vorticosamente
risalendo la china, in tutto il mondo.
Spettacolo bello, d’effetto e pieno d’affetti, con forse il solo piccolo difetto
di diventare un po’ lento e prolisso in
alcuni punti.
“Il cuore nel pozzo” fu un progetto
tv molto importante e lungimirante.
Per la prima volta la televisione
affrontava un tema storico insabbiato
e dimenticato. Io ne sapevo poco delle
foibe, quando andai a documentarmi
spesso su internet trovavo solo la
descrizione logistica delle foibe (cavità
carsica) e non la storia disumana che
ha segnato un’altra orrenda pagina
dell’umanità.
Quali pensieri suscita in te la
consapevolezza che ci siano italiani veri
anche fuori dai confini nazionali e non
sono emigrati, ma bensì autoctoni?
Sapere di Italiani autoctoni fuori dai
confini italiani mi suscita curiosità, mi
piacerebbe sapere cosa pensano loro
del Bel Paese e di questi squallidi anni
in cui l’Italia sta rischiando di affogare
nell’immoralità generale.
martedì, 7 gennaio 2014
3
PREMI DEL TEATRO
LEECCELLENZEDEL«DEZAJC»
I RICONOSCIMENTI SONO ANDATI ALLE REALIZZAZIONI
E A SINGOLI PER LA STAGIONE DI PROSA 2012/13
E PER LE ULTIME TRE STAGIONI DI BALLETTO
I
l Teatro nazionale “Ivan de Zajc”
ha premiato le eccellenze nello
spettacolo per la stagione di prosa
2012/2013 e le ultime tre del Balletto.
Il Premio “Đuro Rošić”, assegnato al
migliore spettacolo messo in scena dallo
“Zajc”, è andato alla commedia “Le
nozze di Figaro”, di Pierre Augustine
Caron de Beaumarchais, per la regia di
Robert Alföldi, proposta dal Dramma
croato.
Il Premio “Zlata Nikolić” (migliore
interpretazione di un ruolo femminile) è
stato assegnato ad Andrea Blagojević (per
il ruolo di Basile ne “Le nozze di Figaro”),
il Premio “Raniero Brumini” (migliore
interpretazione maschile) è andato a
Jasmin Mekić (per il ruolo di Figaro).
A Stefano Katunar il riconoscimento
speciale “Đuro Rošić”, per la scenografia
della piece “8 donne e un mistero”, di
Robert Thomas, diretto da Toni Cafiero
e nella messinscena del Dramma
Italiano. Ricordiamo che Katunar ha
avuto il premio del Teatro croato per la
stessa scenografia.
“Shut Up and Dance”, progetto d’autore
di Ronald Savković, ha avuto il Premio
“Boris Papandopulo”. Il titolo è migliore
balletto delle tre trascorse stagioni.
Sempre per la Danza, il Premio “Olga
Orlova” per la miglior interpretazione
femminile è stato attribuito a Maša Kolar,
che ha brillato in “Carmina Burana”, di
Carl Orff, diretto da Hugo Viera.
Il premio “Olga Orlova” per la miglior
parte maschile è andato a Svebor
Zgurić, per “Shut up and dance”,
“Mozart efekt” e “La Valse”. Un
riconoscimento speciale “Olga Orlova”
è andato all’ensemble del Balletto del
TNC “Ivan de Zajc”, che così è stato
premiato per il lavoro complessivo
svolto nelle stagioni prese in esame. Un
altro speciale “Olga Orlova” è andato
a Deni Šesnić, per le luci in “Mozart
efekt”, di Hugo Viera.
UBU 2013,
il meglio del teatro
A
l Piccolo teatro di Milano è stato premiato – con i
tradizionali Ubu - il “meglio” del teatro 2013. Per
la Drammaturgia italiana (Nuovo testo italiano) il
riconoscimento è andato a “Pantani” di Marco Martinelli (Teatro
delle Albe), per quella straniera al grottesco e amaro “Jucatùre”
(Els jugadors) del catalano Pau Mirò, tradotto in napoletano e
messo in scena da Enrico Janniello (Teatri Uniti). Per lo spettacolo
straniero l’Ubu è andato a Bob Wilson per “Odyssey” (di Simon
Armitage, regia di Robert Wilson), coproduzione del Piccolo Teatro
di Milano-Teatro d’Europa e del National Theatre of Greece.
Spettacolo dell’anno è “Il panico”, per la regia di Luca
Ronconi, mentre per la “Miglior regia” è stato premiato
Antonio Latella (“Francamente me ne infischio” di Linda Dalisi
e Federico Bellini). L’Ubu per la Miglior scenografia è stato
assegnato a Marco Rossi (“Il panico”), mentre quale Miglior
attore sono stati premiati Carlo Cecchi e Mario Perrotta.
Tre premi nella categoria Miglior attrice a Caterina Carpio,
Candida Nieri e Valentina Vacca (votate come corpo unico in
“Francamente me ne infischio”). Peppe Servillo è Miglior attore
non protagonista, Antonia Truppo è la Migliore attrice non
protagonista. L’Ubu per il Nuovo attore o attrice (under 30)
premia un’attrice, Alice Spisa.
I Premi Speciali Ubu 2013 sono andati a Chiara Guidi (per
la pluriennale ricerca nell’ambito pedagogico e in quello della
sperimentazione vocale e preverbale), Danio Manfredini
(per l’insieme dell’opera artistica e pedagogica), Stefano
Massini (per il complesso dell’opera drammaturgica), “Il
ratto d’Europa” (ideato e diretto da Claudio Longhi con la
produzione di Ert e Teatro Stabile di Roma), ed infine ad
Antonio Rezza e Flavia Mastrella.
4
lalaVoce
Voce
del popolo
del popolo
martedì, 7 gennaio 2014
LA RECENSIONE
LATORRE
di Rossana Poletti
D’AVORIO
IL PROCESSO DI NORIMBERGA. PER LEGGERE
IL VINCITORE CHE GIUDICA LO SCONFITTO E
L’AUTONOMIA DELL’ARTE DI FRONTE ALLA POLITICA
TRIESTE
P
oliteama Rossetti. Siamo a Berlino
nel 1946. Si stanno preparando
le accuse e gli accusati per il
grande processo di Norimberga ai
criminali nazisti, il famoso processo
dei vincitori. Il maggiore Arnold, un
americano tutto d’un pezzo, è sulle
tracce di un indagato d’eccezione: il
famoso direttore d’orchestra Wilhelm
Furtwängler. L’ufficiale è ignorante,
rozzo e offensivo, non ha nessuna
conoscenza di musica e di cultura in
generale. Non comprende proprio
che per un grande artista la politica
possa essere l’ultimo dei suoi pensieri
e preoccupazioni, non ne concepisce
semplicemente la genialità. Tratta
Furtwängler come se fosse un qualsiasi
SS con cui fare i conti e, dal canto suo,
il direttore d’orchestra, abituato a essere
amato e considerato da tutti, tedeschi
e non, fatica a non perdere la sua
compostezza e il suo ostentato senso di
superiorità. Tra gli altri protagonisti in
scena c’è la segretaria tedesca di Arnold,
il cui padre fu uno dei cospiratori contro
Hitler, che però in fondo si schiera
dalla parte del musicista, lasciando
sconcertato il maggiore americano;
c’è poi un giovane tenente che
dalla Germania scappò in
America, perché ebreo, e
il cui padre morì in un
campo di concentramento.
Deve tutto alla sua nuova
patria, salvezza, istruzione
e libertà soprattutto, ma
ciononostante anche lui
parteggia sotto sotto per
l’artista. E poi ci sono i
testi chiamati a deporre,
con le loro tristi o ambigue
storie personali, che come
si sono venduti al nazismo,
ora sono pronti a vendersi ai
vincitori, pur di farla franca.
Furtwängler non prese mai la
tessera del partito nazionalsocialista,
però aveva rapporti stretti con i gerarchi,
cosa che gli consentì di aiutare ad
espatriare alcuni musicisti ebrei. Mentre
il suo acceso rivale Karajan ne aveva
addirittura due di tessere, una austriaca
e una tedesca.
La questione posta dall’autore de “La
torre d’avorio”, Ronald Harwood, è
duplice: la politica del vincitore che
giudica lo sconfitto, e l’autonomia
dell’arte di fronte alla politica. Infatti
i due protagonisti non si capiscono,
parlano due
linguaggi
diversi, vivono in due mondi opposti. Da
che parte stanno la verità e la ragione, lo
devono decidere gli spettatori. Ora però
noi sappiamo che Wilhelm Furtwängler
fu scagionato da ogni accusa con
buona pace del suo accusatore. “La
torre d’avorio” ha debuttato al Minerva
Theater di Chichester il 18 maggio 1995,
per la regia di Harold Pinter. In questa
edizione al Rossetti di Trieste, prodotta
da Zacotoco, che reca la traduzione
del grande Masolino d’Amico, ci sono
in scena due pezzi da novanta: Luca
Zingaretti, che cura anche la regia, e
Massimo De Francovich. Lo spettacolo
è molto bello, accurato nelle scene e
nei dialoghi. Massimo De Francovich
emerge come un titano nella sua
parte di artista, ostentando
con grande padronanza
tutta la sua classe di attore consumato.
Per Zingaretti va fatto un discorso a
parte. Abituati che siamo a vederlo nel
ruolo del commissario Montalbano,
sembra non essere capace di uscire da
quel ruolo, riesce a centrare poco la
fisionomia mentale dell’americano, a
cui tanto cinema e televisione ci hanno
abituati, pur regalando allo spettatore
uno spettacolo ben congegnato e
diretto. Gli altri in scena sono: Caterina
Gramaglia, Paolo Briguglia, Gianluigi
Fogacci e Francesca Ciocchetti.
la Voce
palcoscenico
del popolo
LA RECENSIONE
martedì, 7 gennaio 2014
5
di Emanuela Masseria
LAVERA
STORIADI
Traviata
GORIZIA
T
eatro Verdi Chi era davvero
Violetta Valery, protagonista de La
Traviata, il più celebre capolavoro
operistico di Giuseppe Verdi? In un
caleidoscopio di interpretazioni e analisi
tra sociale, musicale e psicologico si
trovano le risposte del celebre giornalista
e conduttore televisivo Corrado Augias,
affiancato dal cantante e pianista
Giuseppe Modugno. La coppia di raffinati
esperti ha recentemente portato in scena,
al Teatro Verdi di Gorizia, “La vera storia
di Traviata”, in un dialogo colto, tra lo
studiato e l’improvvisazione con inserti
al pianoforte, filmati, letture e riflessioni
per la regia di Stefano Mazzonis di
Pralafera nella produzione dell’Opera
Royal de Wallonie - Liegi. Uno spettacolo
quasi didattico, adatto anche ai profani,
che non disdegna le pieghe del dettaglio
tecnico per le musiche e la filologia per
il testo.
Il confronto parte dalla comparazione
del testo letterario di Alexandre Dumas
figlio, “La signora delle camelie”. Frutto
di una vera storia d’amore tra l’autore
e una delle più celebri prostitute d’alto
bordo di Parigi di metà Ottocento (al
secolo Alphonsine Plessis, diventata nel
libro Marguerite Gautier), il romanzo
venne pubblicato nel 1848. In breve
tempo diventò un dramma teatrale e
infine un’ opera lirica, con la musica di
Giuseppe Verdi e le parole del librettista
Francesco Maria Piave.
Un felice insieme di circostanze
esplosive sembra aver condotto questo
percorso di vita, poi artistico, musicale e
letterario, ad una consacrazione globale
che perdura nel tempo. A rendere
tutti i passaggi, di atto in atto, un
Augias purtroppo non in ottima forma
a causa di un’influenza che ha un po’
condizionato lo smalto della sua voce
narrante. Più frizzante il suo fedelissimo
accompagnatore Giuseppe Modugno
al pianoforte, ispirato compositore
mancato, per sua stessa ammissione,
che de La Traviata ha voluto mettere in
luce, spiegandole a parole e in musica,
la complessità e la genialità di alcuni
passaggi di una rappresentazione quasi
senza tempo, ma che all’epoca arrivò
puntuale. Soprattutto Augias si è invece
sperimentato nel trovare le differenze
tra l’opera verdiana, decisamente
romantica, e le scene a volte più dure e
spietate del romanzo.
Il libro di Dumas ci regala un’idea della
cortigiana come quella di un essere al
di fuori della società, libero e tragico,
simbolo emblematico di uno scontro
tra il quieto vivere borghese e una
dimensione di vizi solo apparentemente
marginali rispetto alla vita pubblica.
È su questi aspetti che il giornalista si
concentra con un’analisi più fine. Si
parte comunque dalla realtà.
CHI ERA DAVVERO VIOLETTA VALERY? UN DELICATO
VIAGGIO SOCIALE, PSICOLOGICO E MUSICALE NELLA
VITA SOFFERTA DELLA PROTAGONISTA DEL PIÙ
CELEBRE CAPOLAVORO VERDIANO. DOPPIA LETTURA
DI CONFRONTO TRA L’OPERA E «LA SIGNORA DELLE
CAMELIE», DI ALEXANDRE DUMAS
La triste storia di Alphonsine/Marie
La protagonista è una ragazzina arrivata
a Parigi a seguito di un precoce percorso
si prostituzione minorile. Alphonsine
Plessis nasce nel 1824 in Normandia
da una famiglia poverissima. Suo padre
la cede, a 14 anni, a una carovana di
zingari. Alphonsine, una volta giunta
nella capitale francese, decide di mettere
a frutto non solo la sua bellezza ma
anche la sua riconosciuta perspicacia,
in una parabola breve in cui si sarebbe
dovuta garantire, con le proprie “virtù”,
il resto del suo avvenire. La vecchiaia,
all’epoca, era davvero precoce per “una
donna di mondo”. Quindi la giovane
diventa Marie Duplessis, storpiando il suo
cognome e creando così un’”atmosfera”
nobiliare. All’apice è una vedette
della vita mondana, mantenuta da
una “cooperativa” di almeno 7 amanti
(vista l’entità delle sue spese). Tra
questi c’è Alexandre Dumas, figlio del
celebre autore dei “Tre moschettieri”.
Una relazione tempestosa che finisce
dopo nemmeno un anno. Quel che
basta, a sentire Augias, a consacrarlo
in “una delle due categorie di uomini
ottocenteschi”. Secondo il giornalista
“c’erano i mascalzoni e quelli che non
capiscono: sicuramente il protagonista del
romanzo/Dumas/ rientrava nella seconda
delle due.” Ma nemmeno Violetta, fuori
dalle scene, ha avuto fortuna. A 23 anni
Marie muore di tisi, piena di debiti e
sola. Un tripudio di elementi forti che
hanno dato spunto a grandi variazioni
musicali. Come nel romanzo, anche
nell’Opera appare importante il ritmo
della narrazione, che procede per flash
back. L’inizio del testo corrisponde ad un
particolare preludio verdiano, “diverso
dal solito, pieno di violini acuti che
sembrano finire nel nulla”. Come spiega
Modugno, oltre ad essere piuttosto breve
darà il via ad una serie di composizioni
ricche di note discendenti che
ritroveremo fino alla fine. Le stesse, con
sequenze invertite, si ritrovano nel terzo
atto, nel momento in cui si consuma
la cosa più vicina all’idea romantica
d’amore dell’intera vicenda, nonché le
uniche parentesi ascendenti. Violetta/
Marguerite, a cospetto del sentimento,
rinuncia, per tornare a saltare,
consapevolmente, “di gioia in gioia”. Non
mancano accenni alle atmosfere frizzanti
e vagamente morbose dell’epoca, che,
in questo spettacolo, portano ad una
comparazione tra la società ottocentesca
e la nostra. Certo, stiamo parlando di
un personaggio, quello di Violetta, che
doveva avere uno studiato fascino e
una ferrea volontà di sfruttare le altrui
debolezze.
Immaginiamola però a teatro con il
celebre occhialino, un sacchetto di dolci
e un mazzo di camelie, che per 25 giorni
al mese erano bianche e per i restanti
5 giorni rosse. Altro che infermiere
sexi. Ma in fondo, Violetta è comunque
ai margini di una società borghese
che affida al sesso a pagamento tutto
l’erotismo negato nel matrimonio.
in musica, quelli che Modugno ha
definito più volte “i zumpa-pa-pà che
i tedeschi rimproverano a Verdi” sono
solo accennate odi a feste un po’ tristi,
volgari, come lo erano certe parentesi.
Ma nel compositore risuona anche la
voglia di far cogliere l’anima di Violetta,
meno scontata di quel che si crede,
capace di sacrificare il proprio amore
per non creare ostacoli proprio alla
quiete della borghesia. Lo stesso vale per
La Traviata, che scontata non lo è mai. Il
raziocinio, forse, è la qualità di Violetta
che meglio si rispecchia in certe pensate
verdiane, a cui si sommano l’originalità
e la libertà del comportamento. A queste
caratteristiche, a detta di Modugno, si
associa una ricerca di virtuosismi che
mettono da sempre in serie difficoltà
le soprano sul palcoscenico. Alcune di
loro devono allenarsi per settimane per
riuscire ad intonare certe note che sono
alla portata di pochi. Dilemmi morali e
artistici insomma, sullo sfondo di una
società parigina che si interrogava già
allora con una morale meno bigotta
di quella italiana e che come tale da
Verdi viene colta.
palcoscenico
TEATRODANZA
di Christian Eccher
WIESENLAND
AUFDEMGEBIRGEHAT
MANEINEGESCHREIGEHÖRT
WUPPERTAL
T
eatro dell’Opera Un’immensa roccia
ricoperta di erba e di felci occupa
completamente la parete di fondo
del palcoscenico; un verde strapiombo
alpino fa da scenografia a Wiesenland
(Terra ricoperta d’erba), lo spettacolo che
Pina Bausch mise in scena nel 2000 e che
è stato riproposto quest’anno al Teatro
dell’Opera di Wuppertal, nell’ambito
del Festival “Pina 40”, con il quale la
compagnia della coreografa tedesca
scomparsa nel 2009 intende festeggiare i
40 anni di attività del Teatrodanza (Una
campo arato, con terra marrone e piccole
zolle disseminate su tutta la superficie del
palco caratterizza invece “Auf dem Gebirge
hat man eine Geschrei gehört” – “Dalla
collina si è sentito un grido”, opera del
1984, nuovamente allestita proprio a
Wuppertal nel maggio scorso).
Un maître de scène
Wiesenland si apre con un rapido
susseguirsi di scene brevi e concise:
una donna si presenta sul palco con
un vassoio su cui sono appoggiate una
teiera e alcune tazzine e lo porge al
pubblico, quasi volesse offrire il tè agli
spettatori. Una ragazza si siede a fatica
in un catino di stagno e un uomo le getta
dell’acqua addosso con un annaffiatoio.
Un ballerino sdraiato a terra conta in
francese i fili d’erba che tiene stretti
in mano. Nel frattempo, alcune attrici
asciugano con degli asciugamani bianchi
l’acqua traboccata poco prima dal catino.
Un uomo spinge un mobile con due
scaffali fornito di rotelle verso il centro
del palco: su ciascuno dei due scaffali
è comodamente sdraiata una donna;
entrambe sono elegantemente vestite,
fumano e bevono champagne da un
calice, mentre indifferenti e sornione
guardano il pubblico. L’uomo che spinge
la Voce
del popolo
lo strano mobile è una figura frequente
durante tutto lo spettacolo: una sorta
di maître de sale che non ha un contatto
diretto con quanto avviene sul palco
e con gli altri attori-danzatori, ma che
sembra supervisionare tutto ciò che
accade durante le due ore e mezza di
spettacolo (anche in “Auf dem Gebirge…”
è presente un maître, inquietante e
tenebroso: compare subito dopo la prima
scena, durante la quale i ballerini, nel
silenzio più assoluto, si dispongono lungo
le pareti del palco, completamente aperto
fino a far intravvedere le quinte e l’alto
soffitto. Cominciano a correre, rasenti al
muro, con delle piccole pause, durante
le quali ogni danzatore prende il posto
di colui che lo precede. Si guardano
preoccupati, sono impauriti; scendono dal
palco e continuano la corsa con brevi soste
anche in platea, sempre procedendo rasenti
ai muri. Il pubblico è così circondato dagli
attori e una sensazione d’ansia pervade
e scuote l’intero teatro. Il maître entra in
scena non appena i ballerini scompaiono
dietro le quinte da una porta laterale
del palco: indossa un costume da bagno,
guanti, una cuffia di plastica rossi e
occhiali da sole anch’essi dalla montatura
rossa. Ha il naso deforme, schiacciato
da un filo in plastica trasparente legato
alla nuca. Prende un palloncino rosso dal
costume e comincia a gonfiarlo; passano
interminabili secondi finché il palloncino
scoppia. Quindi ripete più volte la stessa
operazione con altri palloncini, sempre
prendendoli dal costume. La tensione fra
il pubblico sale a mano a mano che il
palloncino si gonfia a dismisura e il botto,
che sembra non arrivare mai, scuote il
viso dell’uomo, che resta però impassibile e
immobile).
Realtà deformata
Su una musica viva, intensa e fortemente
scandita – Vera Bila, Romano Drom e
le loro canzoni in lingua romani fanno
da colonna sonora a gran parte dello
spettacolo – Wiesenland continua:
una donna riccia a carponi graffia il
pavimento come farebbe un gatto intento
a rifarsi le unghie: nel frattempo un
uomo le accarezza e le arruffa la folta
chioma. Una ragazza corre sul palco, un
uomo la ferma, la porta sulla ribalta e
davanti al pubblico la costringe a dire
“Bonsoir“ e a sorridere amabilmente. La
donna rimane ferma per pochi istanti,
poi mostra la lingua al pubblico e scappa
via, scontrosa e arrabbiata, finché l’uomo
non la riacciuffa e la scena si ripete. La
ragazza riccia viene fermata al centro
del palco da un ballerino; la costringe a
sbottonare il cappotto, da cui cominciano
a cadere posate d’argento e piatti di ogni
tipo. La donna è costretta a restituire ciò
che probabilmente aveva rubato, ma,
contrariata e nervosa, afferra una cassa
dal lato destro del palco; con fatica cerca
di trascinarla via, finché il maître entra
in scena, con garbo le bacia la mano e la
porta con sé dietro le quinte. Un uomo
con un turbante in testa corre verso il
lato destro del palco con una pentola in
mano: la dispone su due pietre, accende
un piccolo fornello a gas e riscalda una
pietanza indefinita che, con gioia, offre
agli amici accorsi numerosi. Nello stesso
tempo, il maître percorre velocemente
l’intero palco in diagonale, da destra
verso sinistra, accompagnato da una
donna con un bizzarro cappello dalle
penne blu: lui è vestito in maniera molto
elegante, con un completo rosso e un
cappello, e spinge insieme alla compagna
un carrello della spesa vuoto. (Su una
vecchia canzone americana, un uomo
fa sdraiare un compagno e gli appoggia
la testa e le braccia su dei palloncini in
maniera che stia più comodo. Una ragazza,
sostenuta da due ballerini, appoggia i piedi
sul muro alla destra del palco e cammina,
DUE PROPOSTE DEL
FESTIVAL «PINA 40»
CON IL QUALE LA
COMPAGNIA DELLA
GRANDE COREOGRAFA
TEDESCA PINA BAUSCH
VUOLE FESTEGGIARE
IL QUARANTESIMO DI
ATTIVITÀ DELLO STORICO
TANZTHEATER DI
WUPPERTAL
il corpo parallelo al suolo, quasi volesse
sfidare la forza di gravità. Il maître entra
in scena e, dopo aver fatto scoppiare i
palloncini rimasti a terra sedendocisi
sopra, porta via con rabbia e violenza la
donna che stava camminando in verticale
sul muro. Il maître di “Auf dem Gebirge…”
sembra essere l’esatto contrario di quello di
“Wiesenland”: mentre il secondo sorveglia
bonariamente i personaggi e sembra volerli
sempre assecondare, il primo reprime
ogni tentativo di fuga dalla realtà, come
nel caso della donna che cammina sulla
parete del palco. I ballerini entrano
all’improvviso tutti in scena, tutti tranne
il maître, e danzano disperatamente e
disordinatamente sulle note dell’imponente
e tragica “War March of the Priests”, di
Felix Mendelssohn Bartholdy).
La musica per dialogare
Una donna dialoga con il pubblico:
chiede a chi siede in platea se sia
innamorato di qualcuno in questo
momento. Se la risposta è negativa si
mette, con fare affettato, le mani fra
i capelli e chiede “Com’è possibile,
perché?“. In Wiesenland il dialogo con
gli spettatori è continuo: un’altra attrice
domanda a coloro che occupano la prima
fila se siano sposati e se abbiano figli.
A un certo punto i ballerini lanciano
in platea panini e dolciumi. Il pubblico
reagisce ogni sera in maniera diversa: a
volte gli spettatori che hanno agguantato
ciò che è stato loro lanciato dividono le
vivande con i vicini, altre volte gettano
sul palco ciò che hanno ricevuto. La
prima parte dello spettacolo si conclude
con una scena dolce e sensuale: le donne,
accoccolate con il palmo della mano
appoggiato al pavimento, mantengono
il busto eretto. Davanti a loro si trova
un secchio, in cui degli uomini in piedi
versano lentamente acqua da altri
secchi che gli stessi ballerini avevano
OLIVER LOOK
6
martedì, 7 gennaio 2014
palcoscenico
la Voce
MATTHIAS ZOLLE
del popolo
eatro cittadino. Una giungla. Con
i suoi colori, i suoi suoni, i suoi
silenzi, i suoi pericoli. Il Teatro
Popolare Istriano ha proposto “Il libro
della giungla”, con un tripudio di effetti
luce, di bellissime musiche (firmate
da Marijan Jelenić), per la regia di
Marijana Peršić e Andrea Gotovina. Si
è lavorato sul fantasioso e avventuroso
testo di Rudyard Kipling. E quando
diciamo avventuroso, pensiamo proprio
che non si sia addolcito e commosso
per il piccolo abitante della giungla),
di Bagheera (la pantera interpretata
da Helena Minić), dell’imbranato orso
Baloo (Rade Radolović). E ricordate
Shere Khan, Kaa, Raksh, Akela... Eppoi
la folta schera di lupi, scimmie. Un
incanto. Una storia magica, tenera,
morbida. Una narrazione che scorre
piacevolmente, ricca di una scenografia
che ben si può definire spettacolare.
È una storia d’amore e di amicizia.
Pensate a Mowgli, piccolissimo,
all’avventura, che si è vista anche sul
palco, con discese dalle liane e acrobazie
varie. Chiudete gli occhi e immaginate di
vivere nella giungla, poi immedesimatevi
in tutte le capriole che vi sembrano
necessarie per vivere in un ambiente così
terribilmente coinvolgente. Non mancano
nella messinscena momenti coreografici,
ma va detto che i 23 attori impegnati
non hanno pace un solo momento. E
non ha pace nemmeno il pubblico, per la
bellezza della storia raccontata usando
tutti gli strumenti che l’arte scenica offre.
E poi i costumi. Un fuoco d’artificio.
Di fantasia e colore. La storia la
sappiamo, no? È quella di Mowgli
(impersonato da Petar Starčević. E
non c’è persona, adulto o bambino,
solo nella giungla, che la pantera
Bagheera trova in una cesta e lo
porta a una lupa, affinché lo cresca
con i suoi cuccioli. All’infanzia di
Mowgli, tra orsi e pantere, lupi e
scimmie. Alla grande rinuncia che è
un grande atto d’amore per riportarlo
nel mondo degli uomini. Così grande
il cuore di Bagheera e Baloo, che
lo accompagnano al villaggio. E
quanto delicato e fragile Mowgli, che
non se ne vuole andare, finché non
sentirà la dolce voce di una fanciulla
e capirà che è a quel mondo che
appartiene. E se i bambini leggono
(comprensibilmente) la storia con
gli occhi dell’avventura, gli adulti lo
fanno per i valori che trasmette.
T
Voglia d’amore
La seconda parte di Wiesenland è un
susseguirsi di scene e di balletti incentrati
sul desiderio di amore da parte dei
ballerini e di tutti gli esseri umani. Alle
scene si alternano, come sempre negli
spettacoli di Pina Bausch, balli di gruppo e
assoli mozzafiato. Wiesenland è una piéce
ispirata all’Ungheria; la musica zigana
domina la seconda parte e conferisce alla
creazione della coreografa tedesca vigore
e allegria. A un certo punto i ballerini
portano in scena dei pannelli di legno e
li assemblano a costruire il profilo di una
casetta, simile a quelle dei villaggi della
puszta ungherese e delle campagne della
Voivodina. Il maître spinge fino al centro
del palco non più un carrello della spesa,
ma una carriola piena di cavoli. In un
secondo momento, costruisce un recinto
in legno, nel quale fa entrare delle galline.
Un ragazzo prende a calci un pallone con
movimenti estremamente lenti, come se si
trattasse di una scena vista alla moviola.
Il pallone è in realtà un palloncino e
anch’esso si muove con estrema lentezza,
finché di colpo non sale verso il cielo. I
danzatori si arrampicano sulla roccia, o
sulla collina che si trova dietro di loro
e guardano rapiti verso l’alto, quasi
riuscissero a intravvedere la palla da
qualche parte, lassù, oltre il soffitto del
teatro. Improvvisamente applaudono
e cominciano a ballare in coppia. Lo
spettacolo si conclude esattamente come
era terminata la prima parte, con le donne
a terra e gli uomini che versano l’acqua
nei secchi. Il maître osserva dapprima la
scena dall’angolo destro del palco, con
una custodia di contrabbasso in mano,
poi si arrampica sulla roccia e costruisce
con chiodi, martello e listelli in legno
una strana composizione, simile allo
scheletro di un animale sdraiato con la
spina dorsale per terra e le costole rivolte
verso l’alto. Le luci si spengono fra gli
applausi del pubblico; lo spettacolo,
denso di simboli e di allegorie, lascia nello
spettatore una sensazione piacevole. La
conclusione infatti apre uno spiraglio di
speranza: la continua ricerca d’amore,
pur non giungendo mai a un esito
definitivo, permette a noi esseri umani di
comunicare, di costruire ponti e di uscire –
anche se solo per periodi di tempo limitati
– dalla solitudine esistenziale in cui siamo
relegati.
7
Il libro della giungla
POLA
precedentemente portato sul palco. Le
ragazze fumano e, quando espirano,
soffiano verso la piccola cascata d’acqua
che si crea fra il secchio sospeso e quello
appoggiato a terra. I colori dei vestiti,
ideati da Marion Cito, sono sgargianti
e vividi e la scena è plastica e piena
di contrasti cromatici. Nel frattempo,
la grande roccia verticale che faceva
da scenografia si muove, avanza, va
incontro allo spettatore e nello stesso
tempo ruota, disponendosi in orizzontale.
Quella che era una parete montana
ripida e impossibile da scalare diventa
così un dolce rilievo verde, una collina
su cui i ballerini potranno muoversi e
danzare durante la seconda parte dello
spettacolo. Le luci in sala si accendono,
ma la piéce non si arresta, nonostante una
ballerina abbia già annunciato la pausa:
una giovane dai tratti orientali canta
una canzone dolce e sensuale in lingua
coreana. Gli uomini hanno abbandonato
il palco, le donne puliscono con degli
asciugamani l’acqua schizzata o colata
fuori dai secchi. Si fermano soltanto per
ascoltare il motivo intonato da Nayoung
Kim; la scena comunica allo spettatore
una sensazione di calore umano che
affratella attori e spettatori (La prima
parte di “Auf dem Gebirge…” si conclude in
maniera alquanto diversa: una donna dai
capelli neri sta ferma al centro della ribalta,
davanti agli spettatori: le labbra serrate,
non vuol baciare un uomo, che, forse per
dispetto, le tinge i capelli di bianco con il
gesso, facendola apparire molto più vecchia.
Intona le strofe iniziali di “Zikipaki Zikipu”,
una delle canzoni più razziste che sia stata
scritta nell’Italietta fascista. Narra di una
ragazza indù sedotta da un italiano e che
successivamente lascia il figlio nato dal
loro amore al padre, contento di portare
in patria “un italiano in più”. La ragazza
intona il motivo con lentezza, e la canzone
assume una coloritura malinconica; nella
versione originale ha invece un ritmo rapido
e un accompagnamento allegro di clarinetti,
flauti e fanfare. La donna rimane immobile
sul palco per tutta la durata della pausa, a
segnalare l’atemporalità di un dolore e di
un’offesa, sia essa personale – la violenza
dell’uomo che la voleva baciare a forza – sia
essa storica – il colonialismo e la prepotenza
nei confronti di intere popolazioni).
martedì, 7 gennaio 2014
L’allegria della disperazione
La nota di allegria degli ultimi spettacoli
di Pina Bausch, quelli creati dalla fine
degli anni 90 in poi, è dovuta all’influenza
dei ballerini più giovani, che hanno
portato un’energia nuova al Teatrodanza
di Wuppertal. La stessa Pina Bausch
ha ammesso più volte di aver creato
le opere più allegre nei momenti più
disperati della propria vita. Le piéce del
Teatrodanza, infatti, sono il frutto di
un dialogo continuo fra Pina e gli stessi
danzatori, continuamente chiamati in
causa nel processo di ideazione e di regia
degli spettacoli. (La seconda parte di
“Auf dem Gebirge…” è contrassegnata da
un’atmosfera cupa e rassegnata. Il maître
non ha più alcun ruolo guida, diventa un
personaggio come tutti gli altri; le scene
collettive del primo tempo lasciano il posto
ad assoli e a duetti; come quando un attore
ricorda la propria infanzia, asserisce che
suo padre lo teneva in braccio ma lo ha
poi, per errore o per leggerezza, lasciato
cadere a terra. Un uomo, Lutz Förster, si
muove disordinatamente sul palco con
le braccia tese, come fosse cieco e alla
ricerca di qualcosa. Un altro ballerino,
Dominique Mercy – che con Förster fa parte
della compagnia di Wuppertal dall’anno
della sua fondazione – riesce a fermare
l’amico porgendogli degli oggetti. Lutz,
forse incuriosito da ciò che tocca, ferma
per un istante la propria folle corsa verso
il nulla. Entrambi danzano poi muovendo
appena le mani e le gambe su una canzone
di Fred Astaire, “Maybe I love you too
much”. Lo spettacolo prende il nome da
un’opera corale del musicista barocco
Heinrich Schütz, che a sua volta si ispirò
al passo della Bibbia: “Dalla collina si è
sentito un grido”. Questo spettacolo di Pina
Bausch è davvero un urlo; la richiesta
di amore presente in Wiesenland viene
in questa piéce schiacciata, cancellata
dalla violenza e dalla sopraffazione, che
assumono volti e sfaccettature diversi:
la Storia, il vissuto personale, i rapporti
con l’altro sesso possono dare vita a veri
propri traumi, profondi e inguaribili. Lo
spettacolo si conclude con l’ingresso in
scena della banda musicale degli anziani
di Wuppertal (nelle opere di Pina Bausch
è sempre presente una dialettica con il
territorio in cui lo spettacolo si svolge o è
stato ideato). Mentre l’orchestra di fiati
suona, una donna balla e si schiaffeggia
da sola. Una vecchia misteriosa, gobba
e coperta da uno scialle, entra in scena
con una pala e comincia a scavare. Un
ballerino lascia cadere petali e fiori sul
palco-campo, quasi a voler creare un
percorso, un viottolo. All’improvviso,
di nuovo sulle note di Mendelssohn,
tutti gli attori compaiono sulla scena
e danzano confusi, disperati, in un
drammatico assolo collettivo. Le luci
sul palco si spengono e passano lunghi,
interminabili istanti prima che si
accendano quelle in sala).
8
palcoscenico
martedì, 7 gennaio 2014
CARNET PALCOSCENICO
la Voce
del popolo
di Carla Rotta e Daniela R. Stoiljković
CROAZIA
ITALIA
• 14, 15, 16, 17 e 18 gennaio ore 19.30
Insieme da Lukas Moodysson. Regia Matjaž Latin
FIUME
TRIESTE
Teatro Nazionale Ivan de Zajc
Polietama Rossetti
Ciclo: Prosa
• 7, 8, 9 gennaio ore 19.30
Lo schiaccianoci di P. I. Tchajkovskij. Regia Ronald
Savković. Interpreti Sabina Voinea Vukman, Laura Orlić, Marta
Kanazir, Borna Šebelja, Andrei Köteles, Daniele Romeo, Paula
Rus, Anka Zgurić, Joseph Cane, Martin Grainger, Daniele
Romeo, Cristina Lukanec, Marta Voinea Čavrak, Marta Kanazir,
Irina Köteles, Leonid Antontsev, Oxana Brandiboura, Dimitrij
Andrejčuk, Danijela Menkinovski
• 8, 9, 10 e 11 gennaio ore 20.30; 9 e 12 gennaio ore 16
La scena di e regia Cristina Comencini. Interpreti Angela
Finocchiaro, Maria Amelia Monti, Stefano Annoni
• 16, 17, 18, 20 e 21 gennaio ore 19.30
Aida di Giuseppe Verdi. Regia Balázs Kovalik. Interpreti Siniša
Štork, Tea Demurishvili, Kristina Kolar, George Oniani, Ivica
Čikeš, Vitomir Marof, Sergej Kiselev, Anamarija Knego
• 24 e 25 gennaio ore 20.30; 26 gennaio ore 16
Qui e ora di e regia Mattia Torre. Interpreti Valerio
Mastandrea, Valerio Aprea
• 29, 30 e 31 gennaio ore 21
Il registro dei peccati Regia e interprete Moni Ovadia
• 24 e 25 gennaio ore 19.30
The turn of the screw di B. Britten. Interpreti Sergej
Kiselev, Marijhana Prohaska, Sven Jagarinec, Martina Klarić,
Nera Gojanović Kljajić, Vanja Zelčić, Marko Fortunato, Vedrana
Šimić, Anamarija Knego
• 28, 29 e 30 gennaio ore 19.30
I tre moschettieri di A. Dumas. Regia Kokan Mladenović.
Interpreti Mladen Vujčić, Damir Orlić, Igor Kovač, Jasmin Mekić,
Dražen Mikulić, Alex Đaković, Rade Radolović, Nika Mišković,
Tanja Smoje, Aleksandra Stojaković, Davor Jureško, Anastazija
Balaž Lečić, Predrag Sikimić, Denis Brižić
• 30 e 31 gennaio ore 19.30
Shut up and dance di e regia Ronald Savković. Interpreti
Paula Rus, Marta Kanazir, Marta Voinea Čavrak, Sabina Voinea
Vukman, Jovana Mirosavljević, Anka Zgurić, Tanja Tišma, Anna
Ponomareva,Tena Ferić Dokmanović, Shaun McLaughlin,
Martin Grainger, Svebor Zgurić, Daniele Romeo, Ricardo Freire,
Leonid Antontsev, Vitalij Klok
• 29, 30 e 31 gennaio ore 20.30
R III - Riccardo Terzo di William Shakespeare. Regia
Alessandro Gassman. Interpreti Alessandro Gassmann, Mauro
Marino, Giacomo Rosselli, Manrico Gammarota, Emanuele
Maria Basso, Sabrina Knaflitz, Marco Cavicchioli, Marta Richeldi,
Sergio Meogrossi
• 9, 10 e 11 gennaio ore 21; 12 gennaio ore 17
Il tormento e l’estasi di Steve Jobs di Mike Daisey
Regia Giampiero Solari. Interpreti Fulvio Falzarano
I debuttanti di e regia Ljubomir Kerekeš. Interpreti
Teatro cittadino
Ljubomir Kerekeš, Draško Zidar, Mijo Pavelko
• 14 gennaio ore 19
La Cecchina di Niccolò Piccinni. Allestimento del
Dipartimento di Musica dell’Università “Juraj Dobrila”
• 14, 15, 16, 17 e 18 gennaio ore 21; 19 gennaio ore 17
Maratona di New York di Edoardo Erba. Regia e
interpreti Cristian Giammarini, Giorgio Lupano
• 21, 22, 23 e 24 gennaio ore 21
Io provo a volare di Gianfranco Berardi. Regia Gabriella
Casolari. Interpreti Gianfranco Berardi, Davide Berardi, Giancarlo
Pagliara
Teatro lirico «Giuseppe Verdi»
• 9, 14, 16 e 18 gennaio ore 20.30; 11 e 12 gennaio ore 16
Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi. Regia Massimo
Gasparon. Interpreti Gianluca Terranova, Leonardo Caimi, Devid
Cecconi, Aris Argiris, Rachele Stanisci, Virginia Todisco, Mariana
Pentcheva, Sandra Pastrana, Dario Giorgelè, Gianpiero Ruggeri,
Giacomo Selicato
CAPODISTRIA
Teatro Cittadino
• 8 gennaio ore 20
La notte degli Dei di Miro Gavran. Regia Jaka Ivanc.
Interpreti Rok Matek, Danijel Malalan, Lana Jankovič
• 21 gennaio ore 20
Pazzi, pazzi, pazzi di Jurij Švajncer. Regia Gregor
[email protected]
Edizione
Progetto editoriale
Caporedattore responsabile
Errol Superina
Collaboratori
PALCOSCENICO
Silvio Forza
Redattore esecutivo
Carla Rotta
Impaginazione
Željka Kovačić
Rossana Poletti, Emanuela Masseria, Christian Eccher, Daniela Rotta Stoiljković
Foto
Dražen Šokčević, Željko Jernejić, Danijel Galić, Tommaso Le Pera, Internet
Gli uomini vengono da Marte le donne da
Venere di Paul Dewandre. Interprete Paolo Migone
Musical & grandi eventi
• 15, 16, 17 e 18 gennaio ore 20.30; 18 e 19 gennaio ore 16
Cirque Eloize “iD” Regia Jeannot Painchaud. Interpreti
Ignacio Adarve, Lisa Eckert, Nicolas Fortin, Nadia Lumley, Justine
Méthé-Crozat, Baptiste Montassier, Samuel “Sam Sung” Nadai,
Conor Neall, Thibaut Philippe, Angel Sanchez, Ryan Shinji
Murray, Jérémy St-Jean, Kim Sung Jin, Emi Vauthey, Kone Thong
Vongpraseuth
In The Miller Mood Interpreti Glenn Miller Orchestra
SLOVENIA
Anno 10 / n. 80 / martedì, 7 gennaio 2014
IN PIÙ Supplementi è a cura di Errol Superina
• 28 gennaio ore 20.30
• 20 gennaio ore 21
• 20 gennaio ore 20; 21 gennaio ore 12
La locandiera di Carlo Goldoni. Regia Jasminko
Balenović. Interpreti Lana Gojak, Robert Ugrina, Teodor Tiani,
Denis Brižić, Romina Vitasović, Elena Orlić, Luka Juričić, Franjo
Tončinić
del popolo
50 sfumature di Pintus Interprete Angelo Pintus
Musica & concerti
• 17 gennaio ore 10 e 18; 18 gennaio ore 11
Il libro della giungla di Rudyard Kipling. Regia Andrea
Gotovina, Marijana Peršić. Interpreti Helena Minić, Lana Gojak,
Rade Radolović e Studio Drammatico
la Voce
• 23 gennaio ore 20.30
Altri percorsi
• 24 gennaio ore 20
POLA
Eventi speciali
Podrinčik. Interpreti Gregor Podričnik, Luka Velički, Jurij Miler,
Natalija Petrič, Maruša Rupert, Miha Pačnik, Nuša Napečnik,
Nina Petek, Luka Krajnik, Romanca Šart
• 22 gennaio ore 20
Teatro «Orazio Bobbio»
Pegan. Interpreti Saša Pavček, Bine Matoh, Ivo Barišič, Teja
Glažar, Lara Jankovič, Lidija Sušnik, Mojca Fatur, Ajda Toman,
Tjaša Hrovat, Blaž Popovski, Igor Štamulak, Rok Matek, Blaž Valič
• 29, 30 e 31 gennaio ore 20
• 17, 18, 20, 22, 24 e 25 gennaio ore 20.30; 19, 21 e 26
gennaio ore 16.30
Prigioniero della Seconda strada di Neil Simon.
Regia Giovanni Anfuso. Interpreti Maurizio Casagrabde, Tosca
D’Aquino, Adriano Giraldi
romanzo di J. Jurčič e J. Kersnik. Regia Miha Nemec. Interpreti
Peter Musevski, Jose, Gorazd Jakomini, Blaž Valič, Vesna
Vončina, Radoš Bolčina, Peter Harl, Matjaž Višnar, Maja Nemec,
Arna Hadžialjević, Alojša Ternovšek, Luka Cimprič, Miha Nemec
• 31 gennaio ore 20.30
Eva contro Eva di Mary Orr. Regia Maurizio Panici.
Interpreti Pamela Villoresi, Romina Mondello, Luigi Diberti,
Massimiliano Franciosa
Filumena Marturano di Eduardo De Filippo. Regia Katja
I briganti di Miha Nemec, Nejc Valenti in Niet tratto dal