la Voce del popolo la Voce del popolo palcoscenico www.edit.hr/lavoce ILTANZTHEATER DIPINABAUSCH Anno 10 • n. 80 martedì, 7 gennaio 2014 UN CAFFÈ CON... PREMI RECENSIONI TEATROGIOVANI Beppe Fiorello Il meglio del «de Zajc» UBU 2013 La torre d’avorio La vera storia di Traviata Il libro della giungla 2|3 L’intervista Questo sono io 3 4|5 7 CARNET PALCOSCeNICO Il cartellone del mese 8 2 martedì, 7 gennaio 2014 UN CAFFÈ CON... palcoscenico la Voce del popolo di Rossana Poletti BEPPEFIORELLO IN SCENA PER REGALARE AL PUBBLICO UN PO’ DI EMOZIONI IN MOMENTI NEI QUALI CI SI INDIGNA SEMPRE PIÙ SPESSO . MA ANCHE PER RESTITUIRE L’AFFETTO CHE HA AVUTO IN QUESTI ANNI Il regista de “Il cuore nel pozzo” ha dichiarato che solo dopo aver realizzato la fiction ne ha scoperto la portata, allora lo spettacolo avrebbe potuto essere diverso. Chi l’ha scritta avrebbe potuto non fare gli errori storici che sono stati compiuti, raccontando una storia, che non era quella vera, mescolando fatti accaduti in altre guerre e in altri contesti che non avevano niente a che vedere con la nostra vicenda. Ma anche questa è l’Italia di oggi, che fa le cose tanto per farle, senza lo spessore culturale, senza l’approfondimento che un Paese come il nostro avrebbe l’obbligo di usare. Ma questo non possiamo certo imputarlo a Beppe Fiorello, che ha fatto bene il suo lavoro. Emerge però ancora più clamorosamente il grande sforzo di comprensione del lavoro di Simone Cristicchi e la sua spasmodica attenzione a controllare tutti i particolari di quello che racconta nel suo “Magazzino 18”. Perché, è ora di dirlo, non è più sufficiente l’affermazione “pur che se ne parli, va bene qualsiasi cosa”. Oggi è giunto il tempo che se ne parli con cognizione di causa e con il rispetto che meritiamo. “M io padre era un grande estimatore di Modugno. Lo cantava sempre nei lunghi viaggi in auto… e gli assomigliava anche molto. Ho così sovrapposto i due personaggi, di mio padre e Modugno, che sono stati i protagonisti dello spettacolo in un certo senso. Racconto di me stesso in chiave originale. In televisione ho raccontato Modugno questa volta è un po’ lui che racconta me”. Questo dice Beppe Fiorello dello spettacolo andato in scena al Politeama Rossetti di Trieste e con il quale sta girando l’Italia. “Racconto storie a me accadute, che possono essere strane, paradossali e grottesche. Parlo di persone realmente esistite. Salgo a bordo del deltaplano delle canzoni di Modugno e sorvolo, oltre alla mia infanzia, la Sicilia e l’Italia di quegli anni, che non ci sono più, quelle degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. È uno spettacolo che vuole in qualche modo colpire il pubblico. “Più che un obiettivo ho la speranza di regalare al pubblico quasi due ore di pura emozione. Infatti mi sembra che oggi si sia un po’ persa l’idea di emozionarsi. Ci si emoziona sempre meno ma ci si indigna sempre di più.” Circa un anno fa Giacomo Poretti, del trio Aldo Giovanni e Giacomo, aveva messo i propri ricordi addirittura in un libro. Adesso per la seconda volta in un solo anno un altro artista sente il bisogno di raccontare se stesso e soprattutto della propria infanzia, guardando ad essa con un misto di gioia e nostalgia. Perché hai Giuseppe Fiorello nasce a Catania il 12 marzo 1969. Comincia la sua vita di artista nei villaggi turistici: scrive e interpreta cabaret. Viene chiamato da Radio Deejay nel 1994 e sarà il primo a dare voce a Radio Capital. Nel 1997 debutta al cinema ne L’ultimo capodanno. Con Carlo Verdone duetta in C’era un cinese in coma. Poi ancora recita ne I Fetentoni per approdare subito dopo ad una serie di fiction Rai: Salvo D’Acquisto, Brancaccio, La Guerra è finita, L’uomo sbagliato, Il grande Torino, Il cuore nel pozzo, lo spettacolo sulle foibe che non fu non molto apprezzato per la totale assenza di approfondimento storico, Il bambino sull’acqua, Joe Petrosino. Nel 2002 il debutto teatrale al fianco di Alessandro Gassman in Delitto per Delitto. Nel 2007 ritorna in tv con la fiction Giuseppe Moscati, il film La vita rubata e la miniserie Il bambino della domenica. Nel 2010 su Rai Uno recita nelle fiction Lo scandalo della Banca Romana, Il sorteggio, La leggenda del bandito e del campione e Sarò sempre tuo padre, e per il cinema in Galantuomini, Baarìa e Magnifica presenza. Nel 2011 con Terraferma approda al 68° Festival del cinema di Venezia.Per i 150 anni dell’unità d’Italia insieme al fratello Rosario produce il cortometraggio Domani. Recita quindi in Volare, film in due puntate sulla vita di Domenico Modugno, seguito da oltre 11 milioni di spettatori. Nel 2013 è di nuovo al cinema con Se Chiudo Gli Occhi Non Sono Più Qui e Benvenuto Presidente con Claudio Bisio. sentito questa necessità? Quale è stato il motivo che ti ha mosso a scrivere questo testo? “Semplicemente il piacere di tornare a teatro e restituire l’affetto che il pubblico mi ha dato in questi tanti anni di lavoro; oltre a questo anche la voglia di raccontare cosa mi lega a Modugno, non solo il film tv ma ben altro, un pezzo della mia vita. Lo spettacolo è anche un omaggio a mio padre”. L’immagine dello spettacolo è quella di un’Italia bella, solare, piena di persone di buoni propositi, di un mondo facile in cui vivere, un mondo che non c’è più, che anzi ci ha lasciato qualche brutto “ricordino”: il siderurgico, le raffinerie,.. (ma non solo in Sicilia e Puglia). Modugno è un simbolo, perché cantò il tanto bello e la tanta disperazione di un sud Italia che ha fatto sempre difficoltà a comprendere il proprio valore e patrimonio, un po’ incapace di coltivarne i frutti? Il Sud ha sempre ben compreso del suo valore culturale e storico altro che!! Diciamo che non siamo stati abbastanza severi da farci rispettare e non deturpare da chi ha sempre pensato che il sud andava e vada ancora usato e maltrattato, è vero però che spesso il male lo abbiamo avuto anche dentro casa. Ma veniamo ad un’altra pagina della tua storia d’artista. Alcuni anni fa interpretasti “Il cuore nel pozzo”, fiction sulla vicenda delle foibe, avvenuta proprio in queste zone tra il Carso triestino e l’Istria. Hai scoperto pagine di storia sconosciute? È stata un’esperienza importante? E che cosa ti ha emozionato di più? palcoscenico la Voce del popolo Penso che un sogno così TRIESTE P oliteama Rossetti. Al Rossetti va in scena Penso che un sogno così. È la prima volta di Giuseppe Fiorello, artista molto amato per la sua grande capacità di attraversare il mondo del cinema, della fiction e ora anche del teatro, sempre con grande talento. In quest’occasione si cimenta in un racconto autobiografico in cui intercala musica e canto, con molta versatilità. Non snocciola infatti la storia di Domenico Modugno, come nella fiction di un anno fa. Racconta la sua vita nella quale le canzoni di Modugno sono una colonna sonora, di quella che fu la sua infanzia, la sua famiglia, ricordi ed emozioni di un bambino timido destinato a diventare un grande artista. Sono le canzoni del sud, in siciliano, quelle più legate ai suoi ricordi di fanciullo, cantate dal padre, un uomo sempre allegro, felice in un mondo che dava poco, ma tutto era gioia e amore. Anche il solo guardare le stelle dal muretto di casa e il mare del golfo bellissimo, devastato poi dal petrolchimico di Megara Iblea. Il padre amatissimo, un uomo con i baffetti da moschettiere e i capelli color petrolio, che cantava Modugno uguale, tanto uguale che sembravano fratelli. L’automobile singhiozzante che impiegava cinque ore per fare soltanto sessanta chilometri e che nessuno aveva mai sorpassato. Insomma un mondo finito di cui resta la memoria soltanto in chi l’ha attraversato e a cui la frenesia e il caos della contemporaneità ci fa guardare con sentimenti misti di nostalgia e malinconia; ma mettendoci qualche accenno all’oggi Beppe Fiorello non si trattiene dall’esprimere il profondo dolore e la rabbia per come sono andate e come vanno le cose nel Bel Paese. Lo spettacolo ha la regia di Giampiero Solari, che gioca sugli effetti; alcuni pannelli scorrevoli portano in scena i due musicisti che accompagnano Fiorello, Daniele Bonaviri e Fabrizio Palma. Sono pannelli su cui sembrano riprodotti i disegni delle rocce in superficie, che la luce però trapassa creando giochi di colore; sugli stessi si riproducono a tratti le immagini dell’epoca, una lunga e stretta strada deserta, le luminarie delle feste patronali del sud, come in quel giorno in cui il padre fu trovato morto nella sua automobile, se n’era andato con il sorriso sulle labbra, felice così come aveva vissuto. E poi l’incontro con la moglie di Modugno, il regalo della giacca con cui il Mimmo nazionale vinse il suo festival di Sanremo, la consacrazione a suo interprete ufficiale e Volare, la canzone con cui porto la fama dell’Italia, un paese che stava vorticosamente risalendo la china, in tutto il mondo. Spettacolo bello, d’effetto e pieno d’affetti, con forse il solo piccolo difetto di diventare un po’ lento e prolisso in alcuni punti. “Il cuore nel pozzo” fu un progetto tv molto importante e lungimirante. Per la prima volta la televisione affrontava un tema storico insabbiato e dimenticato. Io ne sapevo poco delle foibe, quando andai a documentarmi spesso su internet trovavo solo la descrizione logistica delle foibe (cavità carsica) e non la storia disumana che ha segnato un’altra orrenda pagina dell’umanità. Quali pensieri suscita in te la consapevolezza che ci siano italiani veri anche fuori dai confini nazionali e non sono emigrati, ma bensì autoctoni? Sapere di Italiani autoctoni fuori dai confini italiani mi suscita curiosità, mi piacerebbe sapere cosa pensano loro del Bel Paese e di questi squallidi anni in cui l’Italia sta rischiando di affogare nell’immoralità generale. martedì, 7 gennaio 2014 3 PREMI DEL TEATRO LEECCELLENZEDEL«DEZAJC» I RICONOSCIMENTI SONO ANDATI ALLE REALIZZAZIONI E A SINGOLI PER LA STAGIONE DI PROSA 2012/13 E PER LE ULTIME TRE STAGIONI DI BALLETTO I l Teatro nazionale “Ivan de Zajc” ha premiato le eccellenze nello spettacolo per la stagione di prosa 2012/2013 e le ultime tre del Balletto. Il Premio “Đuro Rošić”, assegnato al migliore spettacolo messo in scena dallo “Zajc”, è andato alla commedia “Le nozze di Figaro”, di Pierre Augustine Caron de Beaumarchais, per la regia di Robert Alföldi, proposta dal Dramma croato. Il Premio “Zlata Nikolić” (migliore interpretazione di un ruolo femminile) è stato assegnato ad Andrea Blagojević (per il ruolo di Basile ne “Le nozze di Figaro”), il Premio “Raniero Brumini” (migliore interpretazione maschile) è andato a Jasmin Mekić (per il ruolo di Figaro). A Stefano Katunar il riconoscimento speciale “Đuro Rošić”, per la scenografia della piece “8 donne e un mistero”, di Robert Thomas, diretto da Toni Cafiero e nella messinscena del Dramma Italiano. Ricordiamo che Katunar ha avuto il premio del Teatro croato per la stessa scenografia. “Shut Up and Dance”, progetto d’autore di Ronald Savković, ha avuto il Premio “Boris Papandopulo”. Il titolo è migliore balletto delle tre trascorse stagioni. Sempre per la Danza, il Premio “Olga Orlova” per la miglior interpretazione femminile è stato attribuito a Maša Kolar, che ha brillato in “Carmina Burana”, di Carl Orff, diretto da Hugo Viera. Il premio “Olga Orlova” per la miglior parte maschile è andato a Svebor Zgurić, per “Shut up and dance”, “Mozart efekt” e “La Valse”. Un riconoscimento speciale “Olga Orlova” è andato all’ensemble del Balletto del TNC “Ivan de Zajc”, che così è stato premiato per il lavoro complessivo svolto nelle stagioni prese in esame. Un altro speciale “Olga Orlova” è andato a Deni Šesnić, per le luci in “Mozart efekt”, di Hugo Viera. UBU 2013, il meglio del teatro A l Piccolo teatro di Milano è stato premiato – con i tradizionali Ubu - il “meglio” del teatro 2013. Per la Drammaturgia italiana (Nuovo testo italiano) il riconoscimento è andato a “Pantani” di Marco Martinelli (Teatro delle Albe), per quella straniera al grottesco e amaro “Jucatùre” (Els jugadors) del catalano Pau Mirò, tradotto in napoletano e messo in scena da Enrico Janniello (Teatri Uniti). Per lo spettacolo straniero l’Ubu è andato a Bob Wilson per “Odyssey” (di Simon Armitage, regia di Robert Wilson), coproduzione del Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa e del National Theatre of Greece. Spettacolo dell’anno è “Il panico”, per la regia di Luca Ronconi, mentre per la “Miglior regia” è stato premiato Antonio Latella (“Francamente me ne infischio” di Linda Dalisi e Federico Bellini). L’Ubu per la Miglior scenografia è stato assegnato a Marco Rossi (“Il panico”), mentre quale Miglior attore sono stati premiati Carlo Cecchi e Mario Perrotta. Tre premi nella categoria Miglior attrice a Caterina Carpio, Candida Nieri e Valentina Vacca (votate come corpo unico in “Francamente me ne infischio”). Peppe Servillo è Miglior attore non protagonista, Antonia Truppo è la Migliore attrice non protagonista. L’Ubu per il Nuovo attore o attrice (under 30) premia un’attrice, Alice Spisa. I Premi Speciali Ubu 2013 sono andati a Chiara Guidi (per la pluriennale ricerca nell’ambito pedagogico e in quello della sperimentazione vocale e preverbale), Danio Manfredini (per l’insieme dell’opera artistica e pedagogica), Stefano Massini (per il complesso dell’opera drammaturgica), “Il ratto d’Europa” (ideato e diretto da Claudio Longhi con la produzione di Ert e Teatro Stabile di Roma), ed infine ad Antonio Rezza e Flavia Mastrella. 4 lalaVoce Voce del popolo del popolo martedì, 7 gennaio 2014 LA RECENSIONE LATORRE di Rossana Poletti D’AVORIO IL PROCESSO DI NORIMBERGA. PER LEGGERE IL VINCITORE CHE GIUDICA LO SCONFITTO E L’AUTONOMIA DELL’ARTE DI FRONTE ALLA POLITICA TRIESTE P oliteama Rossetti. Siamo a Berlino nel 1946. Si stanno preparando le accuse e gli accusati per il grande processo di Norimberga ai criminali nazisti, il famoso processo dei vincitori. Il maggiore Arnold, un americano tutto d’un pezzo, è sulle tracce di un indagato d’eccezione: il famoso direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler. L’ufficiale è ignorante, rozzo e offensivo, non ha nessuna conoscenza di musica e di cultura in generale. Non comprende proprio che per un grande artista la politica possa essere l’ultimo dei suoi pensieri e preoccupazioni, non ne concepisce semplicemente la genialità. Tratta Furtwängler come se fosse un qualsiasi SS con cui fare i conti e, dal canto suo, il direttore d’orchestra, abituato a essere amato e considerato da tutti, tedeschi e non, fatica a non perdere la sua compostezza e il suo ostentato senso di superiorità. Tra gli altri protagonisti in scena c’è la segretaria tedesca di Arnold, il cui padre fu uno dei cospiratori contro Hitler, che però in fondo si schiera dalla parte del musicista, lasciando sconcertato il maggiore americano; c’è poi un giovane tenente che dalla Germania scappò in America, perché ebreo, e il cui padre morì in un campo di concentramento. Deve tutto alla sua nuova patria, salvezza, istruzione e libertà soprattutto, ma ciononostante anche lui parteggia sotto sotto per l’artista. E poi ci sono i testi chiamati a deporre, con le loro tristi o ambigue storie personali, che come si sono venduti al nazismo, ora sono pronti a vendersi ai vincitori, pur di farla franca. Furtwängler non prese mai la tessera del partito nazionalsocialista, però aveva rapporti stretti con i gerarchi, cosa che gli consentì di aiutare ad espatriare alcuni musicisti ebrei. Mentre il suo acceso rivale Karajan ne aveva addirittura due di tessere, una austriaca e una tedesca. La questione posta dall’autore de “La torre d’avorio”, Ronald Harwood, è duplice: la politica del vincitore che giudica lo sconfitto, e l’autonomia dell’arte di fronte alla politica. Infatti i due protagonisti non si capiscono, parlano due linguaggi diversi, vivono in due mondi opposti. Da che parte stanno la verità e la ragione, lo devono decidere gli spettatori. Ora però noi sappiamo che Wilhelm Furtwängler fu scagionato da ogni accusa con buona pace del suo accusatore. “La torre d’avorio” ha debuttato al Minerva Theater di Chichester il 18 maggio 1995, per la regia di Harold Pinter. In questa edizione al Rossetti di Trieste, prodotta da Zacotoco, che reca la traduzione del grande Masolino d’Amico, ci sono in scena due pezzi da novanta: Luca Zingaretti, che cura anche la regia, e Massimo De Francovich. Lo spettacolo è molto bello, accurato nelle scene e nei dialoghi. Massimo De Francovich emerge come un titano nella sua parte di artista, ostentando con grande padronanza tutta la sua classe di attore consumato. Per Zingaretti va fatto un discorso a parte. Abituati che siamo a vederlo nel ruolo del commissario Montalbano, sembra non essere capace di uscire da quel ruolo, riesce a centrare poco la fisionomia mentale dell’americano, a cui tanto cinema e televisione ci hanno abituati, pur regalando allo spettatore uno spettacolo ben congegnato e diretto. Gli altri in scena sono: Caterina Gramaglia, Paolo Briguglia, Gianluigi Fogacci e Francesca Ciocchetti. la Voce palcoscenico del popolo LA RECENSIONE martedì, 7 gennaio 2014 5 di Emanuela Masseria LAVERA STORIADI Traviata GORIZIA T eatro Verdi Chi era davvero Violetta Valery, protagonista de La Traviata, il più celebre capolavoro operistico di Giuseppe Verdi? In un caleidoscopio di interpretazioni e analisi tra sociale, musicale e psicologico si trovano le risposte del celebre giornalista e conduttore televisivo Corrado Augias, affiancato dal cantante e pianista Giuseppe Modugno. La coppia di raffinati esperti ha recentemente portato in scena, al Teatro Verdi di Gorizia, “La vera storia di Traviata”, in un dialogo colto, tra lo studiato e l’improvvisazione con inserti al pianoforte, filmati, letture e riflessioni per la regia di Stefano Mazzonis di Pralafera nella produzione dell’Opera Royal de Wallonie - Liegi. Uno spettacolo quasi didattico, adatto anche ai profani, che non disdegna le pieghe del dettaglio tecnico per le musiche e la filologia per il testo. Il confronto parte dalla comparazione del testo letterario di Alexandre Dumas figlio, “La signora delle camelie”. Frutto di una vera storia d’amore tra l’autore e una delle più celebri prostitute d’alto bordo di Parigi di metà Ottocento (al secolo Alphonsine Plessis, diventata nel libro Marguerite Gautier), il romanzo venne pubblicato nel 1848. In breve tempo diventò un dramma teatrale e infine un’ opera lirica, con la musica di Giuseppe Verdi e le parole del librettista Francesco Maria Piave. Un felice insieme di circostanze esplosive sembra aver condotto questo percorso di vita, poi artistico, musicale e letterario, ad una consacrazione globale che perdura nel tempo. A rendere tutti i passaggi, di atto in atto, un Augias purtroppo non in ottima forma a causa di un’influenza che ha un po’ condizionato lo smalto della sua voce narrante. Più frizzante il suo fedelissimo accompagnatore Giuseppe Modugno al pianoforte, ispirato compositore mancato, per sua stessa ammissione, che de La Traviata ha voluto mettere in luce, spiegandole a parole e in musica, la complessità e la genialità di alcuni passaggi di una rappresentazione quasi senza tempo, ma che all’epoca arrivò puntuale. Soprattutto Augias si è invece sperimentato nel trovare le differenze tra l’opera verdiana, decisamente romantica, e le scene a volte più dure e spietate del romanzo. Il libro di Dumas ci regala un’idea della cortigiana come quella di un essere al di fuori della società, libero e tragico, simbolo emblematico di uno scontro tra il quieto vivere borghese e una dimensione di vizi solo apparentemente marginali rispetto alla vita pubblica. È su questi aspetti che il giornalista si concentra con un’analisi più fine. Si parte comunque dalla realtà. CHI ERA DAVVERO VIOLETTA VALERY? UN DELICATO VIAGGIO SOCIALE, PSICOLOGICO E MUSICALE NELLA VITA SOFFERTA DELLA PROTAGONISTA DEL PIÙ CELEBRE CAPOLAVORO VERDIANO. DOPPIA LETTURA DI CONFRONTO TRA L’OPERA E «LA SIGNORA DELLE CAMELIE», DI ALEXANDRE DUMAS La triste storia di Alphonsine/Marie La protagonista è una ragazzina arrivata a Parigi a seguito di un precoce percorso si prostituzione minorile. Alphonsine Plessis nasce nel 1824 in Normandia da una famiglia poverissima. Suo padre la cede, a 14 anni, a una carovana di zingari. Alphonsine, una volta giunta nella capitale francese, decide di mettere a frutto non solo la sua bellezza ma anche la sua riconosciuta perspicacia, in una parabola breve in cui si sarebbe dovuta garantire, con le proprie “virtù”, il resto del suo avvenire. La vecchiaia, all’epoca, era davvero precoce per “una donna di mondo”. Quindi la giovane diventa Marie Duplessis, storpiando il suo cognome e creando così un’”atmosfera” nobiliare. All’apice è una vedette della vita mondana, mantenuta da una “cooperativa” di almeno 7 amanti (vista l’entità delle sue spese). Tra questi c’è Alexandre Dumas, figlio del celebre autore dei “Tre moschettieri”. Una relazione tempestosa che finisce dopo nemmeno un anno. Quel che basta, a sentire Augias, a consacrarlo in “una delle due categorie di uomini ottocenteschi”. Secondo il giornalista “c’erano i mascalzoni e quelli che non capiscono: sicuramente il protagonista del romanzo/Dumas/ rientrava nella seconda delle due.” Ma nemmeno Violetta, fuori dalle scene, ha avuto fortuna. A 23 anni Marie muore di tisi, piena di debiti e sola. Un tripudio di elementi forti che hanno dato spunto a grandi variazioni musicali. Come nel romanzo, anche nell’Opera appare importante il ritmo della narrazione, che procede per flash back. L’inizio del testo corrisponde ad un particolare preludio verdiano, “diverso dal solito, pieno di violini acuti che sembrano finire nel nulla”. Come spiega Modugno, oltre ad essere piuttosto breve darà il via ad una serie di composizioni ricche di note discendenti che ritroveremo fino alla fine. Le stesse, con sequenze invertite, si ritrovano nel terzo atto, nel momento in cui si consuma la cosa più vicina all’idea romantica d’amore dell’intera vicenda, nonché le uniche parentesi ascendenti. Violetta/ Marguerite, a cospetto del sentimento, rinuncia, per tornare a saltare, consapevolmente, “di gioia in gioia”. Non mancano accenni alle atmosfere frizzanti e vagamente morbose dell’epoca, che, in questo spettacolo, portano ad una comparazione tra la società ottocentesca e la nostra. Certo, stiamo parlando di un personaggio, quello di Violetta, che doveva avere uno studiato fascino e una ferrea volontà di sfruttare le altrui debolezze. Immaginiamola però a teatro con il celebre occhialino, un sacchetto di dolci e un mazzo di camelie, che per 25 giorni al mese erano bianche e per i restanti 5 giorni rosse. Altro che infermiere sexi. Ma in fondo, Violetta è comunque ai margini di una società borghese che affida al sesso a pagamento tutto l’erotismo negato nel matrimonio. in musica, quelli che Modugno ha definito più volte “i zumpa-pa-pà che i tedeschi rimproverano a Verdi” sono solo accennate odi a feste un po’ tristi, volgari, come lo erano certe parentesi. Ma nel compositore risuona anche la voglia di far cogliere l’anima di Violetta, meno scontata di quel che si crede, capace di sacrificare il proprio amore per non creare ostacoli proprio alla quiete della borghesia. Lo stesso vale per La Traviata, che scontata non lo è mai. Il raziocinio, forse, è la qualità di Violetta che meglio si rispecchia in certe pensate verdiane, a cui si sommano l’originalità e la libertà del comportamento. A queste caratteristiche, a detta di Modugno, si associa una ricerca di virtuosismi che mettono da sempre in serie difficoltà le soprano sul palcoscenico. Alcune di loro devono allenarsi per settimane per riuscire ad intonare certe note che sono alla portata di pochi. Dilemmi morali e artistici insomma, sullo sfondo di una società parigina che si interrogava già allora con una morale meno bigotta di quella italiana e che come tale da Verdi viene colta. palcoscenico TEATRODANZA di Christian Eccher WIESENLAND AUFDEMGEBIRGEHAT MANEINEGESCHREIGEHÖRT WUPPERTAL T eatro dell’Opera Un’immensa roccia ricoperta di erba e di felci occupa completamente la parete di fondo del palcoscenico; un verde strapiombo alpino fa da scenografia a Wiesenland (Terra ricoperta d’erba), lo spettacolo che Pina Bausch mise in scena nel 2000 e che è stato riproposto quest’anno al Teatro dell’Opera di Wuppertal, nell’ambito del Festival “Pina 40”, con il quale la compagnia della coreografa tedesca scomparsa nel 2009 intende festeggiare i 40 anni di attività del Teatrodanza (Una campo arato, con terra marrone e piccole zolle disseminate su tutta la superficie del palco caratterizza invece “Auf dem Gebirge hat man eine Geschrei gehört” – “Dalla collina si è sentito un grido”, opera del 1984, nuovamente allestita proprio a Wuppertal nel maggio scorso). Un maître de scène Wiesenland si apre con un rapido susseguirsi di scene brevi e concise: una donna si presenta sul palco con un vassoio su cui sono appoggiate una teiera e alcune tazzine e lo porge al pubblico, quasi volesse offrire il tè agli spettatori. Una ragazza si siede a fatica in un catino di stagno e un uomo le getta dell’acqua addosso con un annaffiatoio. Un ballerino sdraiato a terra conta in francese i fili d’erba che tiene stretti in mano. Nel frattempo, alcune attrici asciugano con degli asciugamani bianchi l’acqua traboccata poco prima dal catino. Un uomo spinge un mobile con due scaffali fornito di rotelle verso il centro del palco: su ciascuno dei due scaffali è comodamente sdraiata una donna; entrambe sono elegantemente vestite, fumano e bevono champagne da un calice, mentre indifferenti e sornione guardano il pubblico. L’uomo che spinge la Voce del popolo lo strano mobile è una figura frequente durante tutto lo spettacolo: una sorta di maître de sale che non ha un contatto diretto con quanto avviene sul palco e con gli altri attori-danzatori, ma che sembra supervisionare tutto ciò che accade durante le due ore e mezza di spettacolo (anche in “Auf dem Gebirge…” è presente un maître, inquietante e tenebroso: compare subito dopo la prima scena, durante la quale i ballerini, nel silenzio più assoluto, si dispongono lungo le pareti del palco, completamente aperto fino a far intravvedere le quinte e l’alto soffitto. Cominciano a correre, rasenti al muro, con delle piccole pause, durante le quali ogni danzatore prende il posto di colui che lo precede. Si guardano preoccupati, sono impauriti; scendono dal palco e continuano la corsa con brevi soste anche in platea, sempre procedendo rasenti ai muri. Il pubblico è così circondato dagli attori e una sensazione d’ansia pervade e scuote l’intero teatro. Il maître entra in scena non appena i ballerini scompaiono dietro le quinte da una porta laterale del palco: indossa un costume da bagno, guanti, una cuffia di plastica rossi e occhiali da sole anch’essi dalla montatura rossa. Ha il naso deforme, schiacciato da un filo in plastica trasparente legato alla nuca. Prende un palloncino rosso dal costume e comincia a gonfiarlo; passano interminabili secondi finché il palloncino scoppia. Quindi ripete più volte la stessa operazione con altri palloncini, sempre prendendoli dal costume. La tensione fra il pubblico sale a mano a mano che il palloncino si gonfia a dismisura e il botto, che sembra non arrivare mai, scuote il viso dell’uomo, che resta però impassibile e immobile). Realtà deformata Su una musica viva, intensa e fortemente scandita – Vera Bila, Romano Drom e le loro canzoni in lingua romani fanno da colonna sonora a gran parte dello spettacolo – Wiesenland continua: una donna riccia a carponi graffia il pavimento come farebbe un gatto intento a rifarsi le unghie: nel frattempo un uomo le accarezza e le arruffa la folta chioma. Una ragazza corre sul palco, un uomo la ferma, la porta sulla ribalta e davanti al pubblico la costringe a dire “Bonsoir“ e a sorridere amabilmente. La donna rimane ferma per pochi istanti, poi mostra la lingua al pubblico e scappa via, scontrosa e arrabbiata, finché l’uomo non la riacciuffa e la scena si ripete. La ragazza riccia viene fermata al centro del palco da un ballerino; la costringe a sbottonare il cappotto, da cui cominciano a cadere posate d’argento e piatti di ogni tipo. La donna è costretta a restituire ciò che probabilmente aveva rubato, ma, contrariata e nervosa, afferra una cassa dal lato destro del palco; con fatica cerca di trascinarla via, finché il maître entra in scena, con garbo le bacia la mano e la porta con sé dietro le quinte. Un uomo con un turbante in testa corre verso il lato destro del palco con una pentola in mano: la dispone su due pietre, accende un piccolo fornello a gas e riscalda una pietanza indefinita che, con gioia, offre agli amici accorsi numerosi. Nello stesso tempo, il maître percorre velocemente l’intero palco in diagonale, da destra verso sinistra, accompagnato da una donna con un bizzarro cappello dalle penne blu: lui è vestito in maniera molto elegante, con un completo rosso e un cappello, e spinge insieme alla compagna un carrello della spesa vuoto. (Su una vecchia canzone americana, un uomo fa sdraiare un compagno e gli appoggia la testa e le braccia su dei palloncini in maniera che stia più comodo. Una ragazza, sostenuta da due ballerini, appoggia i piedi sul muro alla destra del palco e cammina, DUE PROPOSTE DEL FESTIVAL «PINA 40» CON IL QUALE LA COMPAGNIA DELLA GRANDE COREOGRAFA TEDESCA PINA BAUSCH VUOLE FESTEGGIARE IL QUARANTESIMO DI ATTIVITÀ DELLO STORICO TANZTHEATER DI WUPPERTAL il corpo parallelo al suolo, quasi volesse sfidare la forza di gravità. Il maître entra in scena e, dopo aver fatto scoppiare i palloncini rimasti a terra sedendocisi sopra, porta via con rabbia e violenza la donna che stava camminando in verticale sul muro. Il maître di “Auf dem Gebirge…” sembra essere l’esatto contrario di quello di “Wiesenland”: mentre il secondo sorveglia bonariamente i personaggi e sembra volerli sempre assecondare, il primo reprime ogni tentativo di fuga dalla realtà, come nel caso della donna che cammina sulla parete del palco. I ballerini entrano all’improvviso tutti in scena, tutti tranne il maître, e danzano disperatamente e disordinatamente sulle note dell’imponente e tragica “War March of the Priests”, di Felix Mendelssohn Bartholdy). La musica per dialogare Una donna dialoga con il pubblico: chiede a chi siede in platea se sia innamorato di qualcuno in questo momento. Se la risposta è negativa si mette, con fare affettato, le mani fra i capelli e chiede “Com’è possibile, perché?“. In Wiesenland il dialogo con gli spettatori è continuo: un’altra attrice domanda a coloro che occupano la prima fila se siano sposati e se abbiano figli. A un certo punto i ballerini lanciano in platea panini e dolciumi. Il pubblico reagisce ogni sera in maniera diversa: a volte gli spettatori che hanno agguantato ciò che è stato loro lanciato dividono le vivande con i vicini, altre volte gettano sul palco ciò che hanno ricevuto. La prima parte dello spettacolo si conclude con una scena dolce e sensuale: le donne, accoccolate con il palmo della mano appoggiato al pavimento, mantengono il busto eretto. Davanti a loro si trova un secchio, in cui degli uomini in piedi versano lentamente acqua da altri secchi che gli stessi ballerini avevano OLIVER LOOK 6 martedì, 7 gennaio 2014 palcoscenico la Voce MATTHIAS ZOLLE del popolo eatro cittadino. Una giungla. Con i suoi colori, i suoi suoni, i suoi silenzi, i suoi pericoli. Il Teatro Popolare Istriano ha proposto “Il libro della giungla”, con un tripudio di effetti luce, di bellissime musiche (firmate da Marijan Jelenić), per la regia di Marijana Peršić e Andrea Gotovina. Si è lavorato sul fantasioso e avventuroso testo di Rudyard Kipling. E quando diciamo avventuroso, pensiamo proprio che non si sia addolcito e commosso per il piccolo abitante della giungla), di Bagheera (la pantera interpretata da Helena Minić), dell’imbranato orso Baloo (Rade Radolović). E ricordate Shere Khan, Kaa, Raksh, Akela... Eppoi la folta schera di lupi, scimmie. Un incanto. Una storia magica, tenera, morbida. Una narrazione che scorre piacevolmente, ricca di una scenografia che ben si può definire spettacolare. È una storia d’amore e di amicizia. Pensate a Mowgli, piccolissimo, all’avventura, che si è vista anche sul palco, con discese dalle liane e acrobazie varie. Chiudete gli occhi e immaginate di vivere nella giungla, poi immedesimatevi in tutte le capriole che vi sembrano necessarie per vivere in un ambiente così terribilmente coinvolgente. Non mancano nella messinscena momenti coreografici, ma va detto che i 23 attori impegnati non hanno pace un solo momento. E non ha pace nemmeno il pubblico, per la bellezza della storia raccontata usando tutti gli strumenti che l’arte scenica offre. E poi i costumi. Un fuoco d’artificio. Di fantasia e colore. La storia la sappiamo, no? È quella di Mowgli (impersonato da Petar Starčević. E non c’è persona, adulto o bambino, solo nella giungla, che la pantera Bagheera trova in una cesta e lo porta a una lupa, affinché lo cresca con i suoi cuccioli. All’infanzia di Mowgli, tra orsi e pantere, lupi e scimmie. Alla grande rinuncia che è un grande atto d’amore per riportarlo nel mondo degli uomini. Così grande il cuore di Bagheera e Baloo, che lo accompagnano al villaggio. E quanto delicato e fragile Mowgli, che non se ne vuole andare, finché non sentirà la dolce voce di una fanciulla e capirà che è a quel mondo che appartiene. E se i bambini leggono (comprensibilmente) la storia con gli occhi dell’avventura, gli adulti lo fanno per i valori che trasmette. T Voglia d’amore La seconda parte di Wiesenland è un susseguirsi di scene e di balletti incentrati sul desiderio di amore da parte dei ballerini e di tutti gli esseri umani. Alle scene si alternano, come sempre negli spettacoli di Pina Bausch, balli di gruppo e assoli mozzafiato. Wiesenland è una piéce ispirata all’Ungheria; la musica zigana domina la seconda parte e conferisce alla creazione della coreografa tedesca vigore e allegria. A un certo punto i ballerini portano in scena dei pannelli di legno e li assemblano a costruire il profilo di una casetta, simile a quelle dei villaggi della puszta ungherese e delle campagne della Voivodina. Il maître spinge fino al centro del palco non più un carrello della spesa, ma una carriola piena di cavoli. In un secondo momento, costruisce un recinto in legno, nel quale fa entrare delle galline. Un ragazzo prende a calci un pallone con movimenti estremamente lenti, come se si trattasse di una scena vista alla moviola. Il pallone è in realtà un palloncino e anch’esso si muove con estrema lentezza, finché di colpo non sale verso il cielo. I danzatori si arrampicano sulla roccia, o sulla collina che si trova dietro di loro e guardano rapiti verso l’alto, quasi riuscissero a intravvedere la palla da qualche parte, lassù, oltre il soffitto del teatro. Improvvisamente applaudono e cominciano a ballare in coppia. Lo spettacolo si conclude esattamente come era terminata la prima parte, con le donne a terra e gli uomini che versano l’acqua nei secchi. Il maître osserva dapprima la scena dall’angolo destro del palco, con una custodia di contrabbasso in mano, poi si arrampica sulla roccia e costruisce con chiodi, martello e listelli in legno una strana composizione, simile allo scheletro di un animale sdraiato con la spina dorsale per terra e le costole rivolte verso l’alto. Le luci si spengono fra gli applausi del pubblico; lo spettacolo, denso di simboli e di allegorie, lascia nello spettatore una sensazione piacevole. La conclusione infatti apre uno spiraglio di speranza: la continua ricerca d’amore, pur non giungendo mai a un esito definitivo, permette a noi esseri umani di comunicare, di costruire ponti e di uscire – anche se solo per periodi di tempo limitati – dalla solitudine esistenziale in cui siamo relegati. 7 Il libro della giungla POLA precedentemente portato sul palco. Le ragazze fumano e, quando espirano, soffiano verso la piccola cascata d’acqua che si crea fra il secchio sospeso e quello appoggiato a terra. I colori dei vestiti, ideati da Marion Cito, sono sgargianti e vividi e la scena è plastica e piena di contrasti cromatici. Nel frattempo, la grande roccia verticale che faceva da scenografia si muove, avanza, va incontro allo spettatore e nello stesso tempo ruota, disponendosi in orizzontale. Quella che era una parete montana ripida e impossibile da scalare diventa così un dolce rilievo verde, una collina su cui i ballerini potranno muoversi e danzare durante la seconda parte dello spettacolo. Le luci in sala si accendono, ma la piéce non si arresta, nonostante una ballerina abbia già annunciato la pausa: una giovane dai tratti orientali canta una canzone dolce e sensuale in lingua coreana. Gli uomini hanno abbandonato il palco, le donne puliscono con degli asciugamani l’acqua schizzata o colata fuori dai secchi. Si fermano soltanto per ascoltare il motivo intonato da Nayoung Kim; la scena comunica allo spettatore una sensazione di calore umano che affratella attori e spettatori (La prima parte di “Auf dem Gebirge…” si conclude in maniera alquanto diversa: una donna dai capelli neri sta ferma al centro della ribalta, davanti agli spettatori: le labbra serrate, non vuol baciare un uomo, che, forse per dispetto, le tinge i capelli di bianco con il gesso, facendola apparire molto più vecchia. Intona le strofe iniziali di “Zikipaki Zikipu”, una delle canzoni più razziste che sia stata scritta nell’Italietta fascista. Narra di una ragazza indù sedotta da un italiano e che successivamente lascia il figlio nato dal loro amore al padre, contento di portare in patria “un italiano in più”. La ragazza intona il motivo con lentezza, e la canzone assume una coloritura malinconica; nella versione originale ha invece un ritmo rapido e un accompagnamento allegro di clarinetti, flauti e fanfare. La donna rimane immobile sul palco per tutta la durata della pausa, a segnalare l’atemporalità di un dolore e di un’offesa, sia essa personale – la violenza dell’uomo che la voleva baciare a forza – sia essa storica – il colonialismo e la prepotenza nei confronti di intere popolazioni). martedì, 7 gennaio 2014 L’allegria della disperazione La nota di allegria degli ultimi spettacoli di Pina Bausch, quelli creati dalla fine degli anni 90 in poi, è dovuta all’influenza dei ballerini più giovani, che hanno portato un’energia nuova al Teatrodanza di Wuppertal. La stessa Pina Bausch ha ammesso più volte di aver creato le opere più allegre nei momenti più disperati della propria vita. Le piéce del Teatrodanza, infatti, sono il frutto di un dialogo continuo fra Pina e gli stessi danzatori, continuamente chiamati in causa nel processo di ideazione e di regia degli spettacoli. (La seconda parte di “Auf dem Gebirge…” è contrassegnata da un’atmosfera cupa e rassegnata. Il maître non ha più alcun ruolo guida, diventa un personaggio come tutti gli altri; le scene collettive del primo tempo lasciano il posto ad assoli e a duetti; come quando un attore ricorda la propria infanzia, asserisce che suo padre lo teneva in braccio ma lo ha poi, per errore o per leggerezza, lasciato cadere a terra. Un uomo, Lutz Förster, si muove disordinatamente sul palco con le braccia tese, come fosse cieco e alla ricerca di qualcosa. Un altro ballerino, Dominique Mercy – che con Förster fa parte della compagnia di Wuppertal dall’anno della sua fondazione – riesce a fermare l’amico porgendogli degli oggetti. Lutz, forse incuriosito da ciò che tocca, ferma per un istante la propria folle corsa verso il nulla. Entrambi danzano poi muovendo appena le mani e le gambe su una canzone di Fred Astaire, “Maybe I love you too much”. Lo spettacolo prende il nome da un’opera corale del musicista barocco Heinrich Schütz, che a sua volta si ispirò al passo della Bibbia: “Dalla collina si è sentito un grido”. Questo spettacolo di Pina Bausch è davvero un urlo; la richiesta di amore presente in Wiesenland viene in questa piéce schiacciata, cancellata dalla violenza e dalla sopraffazione, che assumono volti e sfaccettature diversi: la Storia, il vissuto personale, i rapporti con l’altro sesso possono dare vita a veri propri traumi, profondi e inguaribili. Lo spettacolo si conclude con l’ingresso in scena della banda musicale degli anziani di Wuppertal (nelle opere di Pina Bausch è sempre presente una dialettica con il territorio in cui lo spettacolo si svolge o è stato ideato). Mentre l’orchestra di fiati suona, una donna balla e si schiaffeggia da sola. Una vecchia misteriosa, gobba e coperta da uno scialle, entra in scena con una pala e comincia a scavare. Un ballerino lascia cadere petali e fiori sul palco-campo, quasi a voler creare un percorso, un viottolo. All’improvviso, di nuovo sulle note di Mendelssohn, tutti gli attori compaiono sulla scena e danzano confusi, disperati, in un drammatico assolo collettivo. Le luci sul palco si spengono e passano lunghi, interminabili istanti prima che si accendano quelle in sala). 8 palcoscenico martedì, 7 gennaio 2014 CARNET PALCOSCENICO la Voce del popolo di Carla Rotta e Daniela R. Stoiljković CROAZIA ITALIA • 14, 15, 16, 17 e 18 gennaio ore 19.30 Insieme da Lukas Moodysson. Regia Matjaž Latin FIUME TRIESTE Teatro Nazionale Ivan de Zajc Polietama Rossetti Ciclo: Prosa • 7, 8, 9 gennaio ore 19.30 Lo schiaccianoci di P. I. Tchajkovskij. Regia Ronald Savković. Interpreti Sabina Voinea Vukman, Laura Orlić, Marta Kanazir, Borna Šebelja, Andrei Köteles, Daniele Romeo, Paula Rus, Anka Zgurić, Joseph Cane, Martin Grainger, Daniele Romeo, Cristina Lukanec, Marta Voinea Čavrak, Marta Kanazir, Irina Köteles, Leonid Antontsev, Oxana Brandiboura, Dimitrij Andrejčuk, Danijela Menkinovski • 8, 9, 10 e 11 gennaio ore 20.30; 9 e 12 gennaio ore 16 La scena di e regia Cristina Comencini. Interpreti Angela Finocchiaro, Maria Amelia Monti, Stefano Annoni • 16, 17, 18, 20 e 21 gennaio ore 19.30 Aida di Giuseppe Verdi. Regia Balázs Kovalik. Interpreti Siniša Štork, Tea Demurishvili, Kristina Kolar, George Oniani, Ivica Čikeš, Vitomir Marof, Sergej Kiselev, Anamarija Knego • 24 e 25 gennaio ore 20.30; 26 gennaio ore 16 Qui e ora di e regia Mattia Torre. Interpreti Valerio Mastandrea, Valerio Aprea • 29, 30 e 31 gennaio ore 21 Il registro dei peccati Regia e interprete Moni Ovadia • 24 e 25 gennaio ore 19.30 The turn of the screw di B. Britten. Interpreti Sergej Kiselev, Marijhana Prohaska, Sven Jagarinec, Martina Klarić, Nera Gojanović Kljajić, Vanja Zelčić, Marko Fortunato, Vedrana Šimić, Anamarija Knego • 28, 29 e 30 gennaio ore 19.30 I tre moschettieri di A. Dumas. Regia Kokan Mladenović. Interpreti Mladen Vujčić, Damir Orlić, Igor Kovač, Jasmin Mekić, Dražen Mikulić, Alex Đaković, Rade Radolović, Nika Mišković, Tanja Smoje, Aleksandra Stojaković, Davor Jureško, Anastazija Balaž Lečić, Predrag Sikimić, Denis Brižić • 30 e 31 gennaio ore 19.30 Shut up and dance di e regia Ronald Savković. Interpreti Paula Rus, Marta Kanazir, Marta Voinea Čavrak, Sabina Voinea Vukman, Jovana Mirosavljević, Anka Zgurić, Tanja Tišma, Anna Ponomareva,Tena Ferić Dokmanović, Shaun McLaughlin, Martin Grainger, Svebor Zgurić, Daniele Romeo, Ricardo Freire, Leonid Antontsev, Vitalij Klok • 29, 30 e 31 gennaio ore 20.30 R III - Riccardo Terzo di William Shakespeare. Regia Alessandro Gassman. Interpreti Alessandro Gassmann, Mauro Marino, Giacomo Rosselli, Manrico Gammarota, Emanuele Maria Basso, Sabrina Knaflitz, Marco Cavicchioli, Marta Richeldi, Sergio Meogrossi • 9, 10 e 11 gennaio ore 21; 12 gennaio ore 17 Il tormento e l’estasi di Steve Jobs di Mike Daisey Regia Giampiero Solari. Interpreti Fulvio Falzarano I debuttanti di e regia Ljubomir Kerekeš. Interpreti Teatro cittadino Ljubomir Kerekeš, Draško Zidar, Mijo Pavelko • 14 gennaio ore 19 La Cecchina di Niccolò Piccinni. Allestimento del Dipartimento di Musica dell’Università “Juraj Dobrila” • 14, 15, 16, 17 e 18 gennaio ore 21; 19 gennaio ore 17 Maratona di New York di Edoardo Erba. Regia e interpreti Cristian Giammarini, Giorgio Lupano • 21, 22, 23 e 24 gennaio ore 21 Io provo a volare di Gianfranco Berardi. Regia Gabriella Casolari. Interpreti Gianfranco Berardi, Davide Berardi, Giancarlo Pagliara Teatro lirico «Giuseppe Verdi» • 9, 14, 16 e 18 gennaio ore 20.30; 11 e 12 gennaio ore 16 Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi. Regia Massimo Gasparon. Interpreti Gianluca Terranova, Leonardo Caimi, Devid Cecconi, Aris Argiris, Rachele Stanisci, Virginia Todisco, Mariana Pentcheva, Sandra Pastrana, Dario Giorgelè, Gianpiero Ruggeri, Giacomo Selicato CAPODISTRIA Teatro Cittadino • 8 gennaio ore 20 La notte degli Dei di Miro Gavran. Regia Jaka Ivanc. Interpreti Rok Matek, Danijel Malalan, Lana Jankovič • 21 gennaio ore 20 Pazzi, pazzi, pazzi di Jurij Švajncer. Regia Gregor [email protected] Edizione Progetto editoriale Caporedattore responsabile Errol Superina Collaboratori PALCOSCENICO Silvio Forza Redattore esecutivo Carla Rotta Impaginazione Željka Kovačić Rossana Poletti, Emanuela Masseria, Christian Eccher, Daniela Rotta Stoiljković Foto Dražen Šokčević, Željko Jernejić, Danijel Galić, Tommaso Le Pera, Internet Gli uomini vengono da Marte le donne da Venere di Paul Dewandre. Interprete Paolo Migone Musical & grandi eventi • 15, 16, 17 e 18 gennaio ore 20.30; 18 e 19 gennaio ore 16 Cirque Eloize “iD” Regia Jeannot Painchaud. Interpreti Ignacio Adarve, Lisa Eckert, Nicolas Fortin, Nadia Lumley, Justine Méthé-Crozat, Baptiste Montassier, Samuel “Sam Sung” Nadai, Conor Neall, Thibaut Philippe, Angel Sanchez, Ryan Shinji Murray, Jérémy St-Jean, Kim Sung Jin, Emi Vauthey, Kone Thong Vongpraseuth In The Miller Mood Interpreti Glenn Miller Orchestra SLOVENIA Anno 10 / n. 80 / martedì, 7 gennaio 2014 IN PIÙ Supplementi è a cura di Errol Superina • 28 gennaio ore 20.30 • 20 gennaio ore 21 • 20 gennaio ore 20; 21 gennaio ore 12 La locandiera di Carlo Goldoni. Regia Jasminko Balenović. Interpreti Lana Gojak, Robert Ugrina, Teodor Tiani, Denis Brižić, Romina Vitasović, Elena Orlić, Luka Juričić, Franjo Tončinić del popolo 50 sfumature di Pintus Interprete Angelo Pintus Musica & concerti • 17 gennaio ore 10 e 18; 18 gennaio ore 11 Il libro della giungla di Rudyard Kipling. Regia Andrea Gotovina, Marijana Peršić. Interpreti Helena Minić, Lana Gojak, Rade Radolović e Studio Drammatico la Voce • 23 gennaio ore 20.30 Altri percorsi • 24 gennaio ore 20 POLA Eventi speciali Podrinčik. Interpreti Gregor Podričnik, Luka Velički, Jurij Miler, Natalija Petrič, Maruša Rupert, Miha Pačnik, Nuša Napečnik, Nina Petek, Luka Krajnik, Romanca Šart • 22 gennaio ore 20 Teatro «Orazio Bobbio» Pegan. Interpreti Saša Pavček, Bine Matoh, Ivo Barišič, Teja Glažar, Lara Jankovič, Lidija Sušnik, Mojca Fatur, Ajda Toman, Tjaša Hrovat, Blaž Popovski, Igor Štamulak, Rok Matek, Blaž Valič • 29, 30 e 31 gennaio ore 20 • 17, 18, 20, 22, 24 e 25 gennaio ore 20.30; 19, 21 e 26 gennaio ore 16.30 Prigioniero della Seconda strada di Neil Simon. Regia Giovanni Anfuso. Interpreti Maurizio Casagrabde, Tosca D’Aquino, Adriano Giraldi romanzo di J. Jurčič e J. Kersnik. Regia Miha Nemec. Interpreti Peter Musevski, Jose, Gorazd Jakomini, Blaž Valič, Vesna Vončina, Radoš Bolčina, Peter Harl, Matjaž Višnar, Maja Nemec, Arna Hadžialjević, Alojša Ternovšek, Luka Cimprič, Miha Nemec • 31 gennaio ore 20.30 Eva contro Eva di Mary Orr. Regia Maurizio Panici. Interpreti Pamela Villoresi, Romina Mondello, Luigi Diberti, Massimiliano Franciosa Filumena Marturano di Eduardo De Filippo. Regia Katja I briganti di Miha Nemec, Nejc Valenti in Niet tratto dal