museo Pirro Marconi GUIDA BREVE a cura di Agata Villa Museo Pirro Marconi Coordinamento generale e scientifico Agata Villa Depositi temporanei Museo Archeologico Antonino Salinas Ideazione Enrico Caruso, Agata Villa Video “Il Tempio della Vittoria” No Real, Torino, regia di Davide Borra Progetto espositivo e direzione lavori Enrico Caruso Modelli del Tempio e della gronda leonina Eikon, Marsala, di Carola Salvaggio e Emanuele Canzonieri Responsabile Unico Procedimento Giuseppe Comparetto Restauri Trasmissione al Futuro Conservazione Immagine, Roma, di Anna Maria Carruba Coordinamento tecnico e organizzativo, comunicazione Maria Rosa Panzica Consulenti scientifici Nunzio Allegro, Franco D’Angelo, Dieter Mertens, Stefano Vassallo Collaborazione scientifica Matteo Valentino Selezione reperti e immagini, ricerche di archivio, didascalie Valentina Consoli Redazione Nunzio Allegro, Valentina Consoli, Agata Villa Rilievi, disegni, progettazione grafica, pannellistica, collaborazione al progetto espositivo Francesco Scirè Fotografie, acquisizioni immagini, elaborazioni digitali Giuseppe Blanda, Salvatore Perdichizzi, Francesco Scirè Fotografie di archivio Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Palermo Museo Archeologico Antonino Salinas, Palermo Collaborazione al restauro Manuela Faieta, Laura Pillitteri; Lorenzo De Masi per le fotografie Calco della coppia di sposi Paolo Scirpo Ditta esecutrice dei lavori Ati Himera, Favara (Agrigento) Vetrine ed espositori Wood artigiani del legno, Carini (Palermo) Traduzioni Elizabeth Fraser Stampa materiale divulgativo Officine Tipografiche Aiello e Provenzano, Bagheria (Palermo) Hanno collaborato Anna Maria Fazio, Giuseppe Gargano, Antonio Librizzi, Grazia Mantia, Maria Martines, Giuseppa Palumbo e tutto il personale del Parco Archeologico di Himera Introduzione Agata Villa Direttore del Parco Archeologico di Himera Un museo per raccontare l’altra Himera, quella lambita dal mare e attraversata dal fiume, il sito che offrì l’approdo ai primi coloni giunti dalla Grecia, il luogo delle grandi battaglie, delle vittorie e delle sconfitte, delle fosse comuni, del monumentale tempio dorico, delle vaste necropoli che noi archeologi abbiamo violato, sottraendo tuttavia all’oblio migliaia di individui con le loro storie da narrare… E molte cose ci raccontano indubbiamente le sepolture e i corredi che vengono esposti per la prima volta: ci aiutano a conoscere i costumi funerari, le cause di morte, i rapporti intessuti con altri centri del Mediterraneo, la produzione artigianale locale e così via. All’interno del nuovo museo si può rivivere, attraverso le immagini del video, una pagina fondamentale della storia antica: la sanguinosa battaglia del 480 a.C. fra Greci e Cartaginesi, la successiva edificazione del Tempio della Vittoria (impresa titanica e grande esempio di architettura greca che meritava di essere illustrata), infine la battaglia del 409 a.C. e la distruzione di Himera. Questi i temi sviluppati nel nuovo percorso espositivo. Ed è risultato naturale decidere di intitolare il museo a Pirro Marconi, lo studioso che non solo ha portato alla luce l’edificio templare [ Pirro Marconi durante lo scavo del Tempio della Vittoria (1929-30)], ma ha segnato l’avvio delle ricerche sistematiche nel sito di Himera, condotte poi dall’Università e dalla Soprintendenza di Palermo. Degli scavi eseguiti nell’area del Tempio, a partire da quelli di Marconi, non erano mai stati esposti i reperti, custoditi nei depositi del Parco. Di questi scavi viene proposta ora un’ampia selezione, in grado di offrire una visione completa delle fasi di vita che hanno interessato il Tempio e la zona circostante. La sezione dedicata all’edificio sacro è stata poi una preziosa occasione per riprenderne lo studio e presentare al pubblico una ricca documentazione relativa all’analisi del monumento e al contesto più generale dell’architettura dorica coeva. Il progetto di allestimento del nuovo museo è divenuto realtà grazie all’eccellente lavoro di squadra portato avanti con entusiasmo da Enrico Caruso, Valentina Consoli, Maria Rosa Panzica, Salvatore Perdichizzi, Francesco Scirè e da chi scrive. Davide Borra ed Emanuele Canzonieri hanno realizzato con grande professionalità rispettivamente il video e i modelli del tempio e della gronda leonina. Fondamentale è stata la consulenza scientifica prestata con amichevole cordialità da Nunzio Allegro, Franco D’Angelo, Dieter Mertens e Stefano Vassallo. Un grazie sincero va a tutto il personale del Parco per la disponibilità e la fattiva collaborazione. 5 Himera. Profilo storico archeologico Nunzio Allegro Università di Palermo 9 La città bassa e le necropoli Stefano Vassallo Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Palermo Matteo Valentino Archeologo 15 Il Tempio della Vittoria nel contesto dell’architettura di Stile Severo Dieter Mertens già Direttore Istituto Archeologico Germanico di Roma Valentina Consoli Archeologa 21 Rilievo e restituzione grafica del Tempio della Vittoria Francesco Scirè Architetto 25 Buonfornello dal Medioevo agli inizi Novecento Franco D’Angelo Archeologo medievista 31 Un nuovo museo alla foce dell’Imera Enrico Caruso Progettista e direttore dei lavori 35 Itinerario di visita del museo e del Tempio della Vittoria Valentina Consoli Archeologa 40 Bibliografia Himera. Profilo storico archeologico Nunzio Allegro Università di Palermo Fondata dai Calcidesi di Zankle nel 648 a.C. sulla riva destra del fiume Imera, la città occupò un settore della piana costiera (città bassa) ad Est del fiume e i due terrazzi retrostanti denominati Piano di Imera e Piano del Tamburino (città alta). Il Piano di Imera, sede del santuario poliade di Athena, doveva costituire l’acropoli della città. Alla fondazione parteciparono tre gruppi di coloni guidati da tre ecisti: Eukleidas, Simos e Sakon. Due erano probabilmente calcidesi, di Zankle e della madrepatria Calcide, il terzo era costituito dai Myletidai, profughi provenienti dalla dorica Siracusa. Per questo motivo il dialetto parlato ad Himera era un misto di dorico e ionico; mentre le istituzioni erano calcidesi (Tucidide, VI 5,1). Della città dei coloni fondatori conosciamo pochi resti di abitazioni sul Piano di Imera, sufficienti, comunque, per ipotizzare un impianto urbano per strigas, costituito da una maglia di isolati orientati NO-SE in cui si inseriva, all’angolo NE del pianoro, il santuario di Athena, dove già alla fine del VII sec. a.C. venne costruito il primo edificio di culto (Tempio A). Sull’estensione e sulla struttura della città bassa delle prime generazioni sappiamo ancora poco, ma è certo che il settore più vicino alla riva sinistra del fiume, dove agli inizi del V sec. a.C. sorgerà il Tempio della Vittoria, era stato occupato dai primi coloni. E’ probabile che già alla fine del VII sec. a.C. si fosse sviluppato, sulla riva opposta del fiume, e certamente in rapporto con le attività emporiche della città, un quartiere portuale, di cui gli scavi recenti hanno portato alla luce resti significativi. Nei primi decenni del VI sec. a.C. l’abitato sul Piano di Imera, e forse anche i quartieri in pianura, subiscono una distruzione violenta: un evento che non ha lasciato traccia nelle fonti antiche. La città viene subito dopo ricostruita, forse con un perimetro più ampio, che abbracciava anche il Piano del Tamburino e l’area pianeggiante a Nord di esso. Viene ridisegnato anche l’impianto urbano: nella città alta una maglia di isolati larghi m 32 ca, orientati E-O e separati da strade larghe m 5,60-5,80 ca, sono attraversati da un asse viario nord-sud largo m 6,20, che doveva collegare la porta sud della città con il temenos. 5 Anche i limiti del santuario di Athena vengono ridefiniti in relazione alla nuova struttura urbana. Sulle rovine del Tempio A viene costruito un tempio più grande e monumentale, il Tempio B, dotato di terrecotte architettoniche policrome e di un fregio in terracotta con la rappresentazione delle fatiche di Erakle, l’eroe greco che per primo, secondo la tradizione, aveva attraversato il territorio di Himera (Diodoro IV 23,1; V 3). Nel corso del VI sec. a.C. a Nord e a Sud del Tempio B vennero costruiti due sacelli di minori dimensioni (Tempio C e Tempio D) e lungo i lati nord ed ovest del temenos due stoai. La ricostruzione interessò anche la parte bassa della città e il quartiere portuale alla foce del fiume Imera. La nuova struttura era un impianto per strigas con isolati larghi m 42 ca, orientati nord-sud e separati da strade larghe m 6,20 ca. Un grande asse viario est-ovest (plateia) doveva limitare a Nord l’agora; un’altra plateia est-ovest doveva attraversare l’abitato più a Sud. Sulla storia di Himera in età arcaica abbiamo poche notizie. La città avrebbe dato i natali a Stesicoro, il più grande lirico dell’Occidente greco, vissuto negli anni della tirannide dell’akragantino Falaride, al quale la tradizione attribuisce la mira al dominio su Himera. Tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C. Himera è retta dal tiranno Terillo ed è inserita in una rete di relazioni “tirreniche” che comprende le città dello stretto, Zankle e Rhegion, allora sotto la tirannide di Anassilao, e Cartagine. La cacciata di Terillo da parte del tiranno akragantino Terone intorno al 483 a.C. (Erodoto VII, 165) determina l’intervento militare di Cartagine che, nel 480 a.C., assedia Himera. La vittoria, che darà una svolta epocale alla storia dei Greci d’Occidente, arride ai tiranni di Akragas e di Siracusa (Erodoto VII, 167; Diodoro XI 20, 3 ss.), e sancisce il dominio akragantino sulla città, ora governata da Trasideo, figlio di Terone (Diodoro XI 48, 4-8). Nel 476 a.C. gli Imeresi si ribellano al dominio di Trasideo e Terone mette a ferro e a fuoco la città, causandone un forte depauperamento demografico, tant’è vero che chiama a ripopolarla 10.000 coloni dori provenienti dalle città della madrepatria (Diodoro XI 49, 3 ss.), tra cui Ergotele di Cnossos, celebrato da Pindaro per la sua vittoria nella corsa a Olimpia (Pindaro, Olimpiche XII). Ma pochi anni dopo, nel 472 a.C., muore Terone e gli Imeresi, con l’aiuto dei Siracusani, si liberano della tirannide di Trasideo. Gli anni della dominazione akragantina sono anni tormentati, che hanno lasciato tracce palesi nell’abitato, dove è ben riconoscibile un’intensa attività di ristrutturazione delle case, a seguito delle 7 distruzioni provocate dalla repressione di Terone e dei frequenti cambiamenti di proprietà determinati dall’arrivo dei nuovi coloni. E se è vero che dopo la vittoria sui Cartaginesi venne eretto a Himera il Tempio della Vittoria, è pur vero che questo monumentale edificio, del tutto estraneo alla cultura architettonica della colonia calcidese, venne costruito per celebrare la vittoria dei tiranni di Akragas e di Siracusa. Nonostante il periodo travagliato seguito alla battaglia del 480 a.C., gli Imeresi, liberatisi dal dominio akragantino e trovata un’intesa per una convivenza pacifica con i coloni portati da Terone, risollevano le sorti della loro città e godono nel corso del V sec. a.C. di un lungo periodo di prosperità e di pace, interrotto soltanto da qualche azione militare ai confini della chora e dal sostegno dato a Siracusa nell’epico scontro con l’esercito ateniese nella guerra del 415-413 a.C. La nuova offensiva militare cartaginese, iniziata con la distruzione di Selinunte nel 409 a.C., travolge pochi mesi dopo anche Himera (Diodoro XIII 59, 4 ss; XIII 62, 5) e, dopo qualche anno, altre importanti città greche della Sicilia, come Akragas, Gela e Kamarina. Segni di una distruzione violenta sono ben evidenti in tutta la città, che non sopravviverà a questa catastrofe e verrà abbandonata per sempre. Ai margini di quella che era stata la 8 chora di Himera sorgono nuovi insediamenti che ne ereditano il controllo territoriale: Thermai ad Ovest, l’erede diretta dell’antica colonia calcidese, Kephaloidion ad Est e, tra la media e la bassa valle del fiume Imera, il centro anonimo di Monte Riparato presso Caltavuturo. La città bassa e le necropoli Stefano Vassallo Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Palermo Matteo Valentino Archeologo La città bassa La peculiare conformazione del sito della colonia di Himera, che occupa in parte la zona costiera, in parte le colline che la delimitano a monte, determinò una netta divisione dell’abitato in due parti, definite, convenzionalmente, città bassa e città alta. La città bassa, dove agli inizi del V sec. a.C venne costruito il Tempio della Vittoria, si estende per circa 60 ettari sulla pianura costiera ed era delimitata a Nord dal mare e a Est dal corso del fiume Imera Settentrionale. Le ricerche degli ultimi decenni hanno consentito di riconoscere alcuni degli elementi più significativi di questo settore dell’abitato, che probabilmente costituì l’area più vitale e ricca dell’antica colonia. Le fortificazioni. All’angolo nord/ovest della città bassa è stato messo in luce un lungo tratto della fortificazione, databile tra la seconda metà del VI e il V secolo a.C. Si tratta di una solida struttura in blocchi calcarei ed elevato in mattoni crudi; l’angolo venne rafforzato, probabilmente nella prima metà del V secolo, con una torre quadrangolare. L’impianto urbanistico. A partire dalla prima metà del VI sec. a.C., l’abitato della città bassa fu ristrutturato secondo un ordinato impianto urbanistico, con strade e isolati orientati in senso nord/sud e con almeno una grande strada (plateia) est-ovest. La sistemazione urbanistica dell’intera area, che comprendeva anche la città alta, costituisce uno degli esempi più importanti di pianificazione urbana del mondo greco arcaico. L’agorà. A nord/ovest del Tempio della Vittoria è stata localizzata l’agorà, lo spazio dove si concentravano le principali attività politiche, economiche e sociali della colonia. Le prime indagini hanno accertato che, almeno sul lato orientale, la piazza era delimitata da edifici pubblici. Il fiume. Sul lato orientale la città bassa era definita dal corso del fiume Imera, sulle cui sponde, probabilmente in prossimità del 10 tratto finale, si dovevano trovare gli apprestamenti portuali. La vallata di questo fiume costituì per Himera anche una via naturale di penetrazione verso l’entroterra abitato dalle popolazioni sicane. Le necropoli Le necropoli erano ubicate lungo le strade di ingresso e di uscita dall’abitato, poco al di fuori delle mura cittadine. Sulla pianura poco distante dal mare erano situate a Est la necropoli di Pestavecchia, a Ovest quella di Buonfornello; entrambe occupavano una fascia parallela alla spiaggia, probabilmente lungo la strada costiera. Inoltre, in direzione Sud, lungo il percorso verso l’entroterra, vi era una terza necropoli, in località Scacciapidocchi. Sono state esplorate oltre 13000 sepolture, databili tra la seconda metà del VII e la fine del V sec. a.C. Si tratta di una delle ricerche più significative e importanti per gli studi sui costumi funerari delle colonie di Sicilia e Magna Grecia. Il paesaggio funerario. La presenza delle tombe era indicata, in superficie, da segnacoli di vario tipo: semplici pietre che sporgevano sul terreno; circoli o rettangoli di pietre che probabilmente delimitavano tumuli di terra; piccoli monumenti funerari [ ]. Tutti questi “segni” marcavano il sito della deposizione e costituivano l’elemento tangibile della memoria dei defunti e il luogo dove raccogliersi, in particolari ricorrenze, al fine di perpetuarne il ricordo, con cerimonie legate alla loro commemorazione. Numerose deposizioni votive, composte da piccoli oggetti quali lucerne oppure ossa bruciate di piccoli animali, attestano i riti che dovevano accompagnare le celebrazioni funerarie. Rituali e modalità funerarie. Sono attestati sia il rito dell’inumazione (88% circa) sia quello dell’incinerazione (12% circa). Si tratta, in genere, di deposizioni singole (monosome) orientate prevalentemente in senso est/ovest, con cranio a Est. Le inumazioni. Sono attestate tutte le tipologie più comuni nel mondo greco; prevalgono quelle del tipo ad enchytrismòs, ma frequenti sono quelle a fossa. Nelle tombe ad enchytrismòs venivano utilizzati come contenitori soprattutto anfore da trasporto, ma anche pithoi, chytrai e stamnoi. Questo tipo di sepoltura era usato in particolare per le deposizioni infantili. Altissima era la percentuale di bambini morti tra il momento della nascita e i primissimi mesi di vita (oltre il 50% di tutte le sepolture). Il più delle volte i piccoli venivano deposti entro grandi contenitori in posizione rannicchiata, spesso con pochi oggetti di corredo, tra cui era frequente il guttus. Tra le tombe a fossa si distinguono diverse tipologie: 11 - “alla cappuccina” (usate soprattutto per adulti), coperte da tegole piane poste a doppio spiovente, raramente sormontate da coppi e da due testate. All’interno della tomba, il piano di posa poteva essere costituito dalla semplice terra o da un letto di tegole piane [ ]; - “a cassa”, rivestite interamente da tegole piane; - “a fossa terragna”(il tipo più comune), in cui il cadavere veniva deposto abitualmente in posizione supina dorsale, con gli arti distesi lungo i fianchi [ Inumazione di neonato entro fossa]; - entro vaschette fittili (in origine destinate alla lavorazione di prodotti agricoli o artigianali), riutilizzate per le sepolture infantili e dotate talvolta, su uno dei lati corti, di un beccuccio di versamento, sull’altro, di un incasso. 12 Le incinerazioni. Si presentano come semplici lenti di bruciato o come uno strato vero e proprio di carbone, all’interno di fosse rettangolari o ovali, entro cui era collocata la pira lignea. Circa il 90% è costituito da incinerazioni primarie, il 10% da quelle secondarie. Nelle incinerazioni primarie i resti del cadavere combusto venivano lasciati sul fondo della fossa. La disposizione delle ossa e dei resti dei corredi ha consentito di ipotizzare che il cadavere veniva sistemato sulla pira, disteso su un “letto funebre”. Nelle incinerazioni secondarie le ossa, dopo la combustione, venivano raccolte e conservate per lo più entro vasi di terracotta, solitamente crateri, e, in percentuale minore, chytrai. Il recipiente poi era collocato all’interno dello strato di carbone, o, in rari casi, in fossette appositamente scavate. La riscoperta della storia: le fosse comuni dei caduti nelle battaglie di Himera del 480 e del 409 a.C. I corredi funerari. Circa il 40% delle tombe ha restituito corredi funebri, destinati ad accompagnare il defunto oltre la vita. In genere si tratta di vasi ceramici di mediocre qualità; ma non mancano vasi figurati attici, di maggiore pregio. Numerose sono le sepolture collegabili a particolari aspetti della società o della cultura imerese. Tra i casi più interessanti si segnalano: - le tombe di tre schiavi, caratterizzate dagli anelli di ferro alle caviglie; - alcuni crani con fori di trapanazione; - lo scheletro di un uomo affetto da nanismo, che rappresenta il caso più antico di questa patologia genetica attestato nel mondo greco; - alcune laminette di piombo (defixiones) legate a pratiche magiche, in cui si affidavano al mondo degli inferi le persone a cui si voleva del male; - alcune tombe di animali (tre cani e un agnello) che, oltre alle sepolture di cavalli, attestano un’usanza non comune nelle necropoli greche. Dal punto di vista storico, riveste eccezionale importanza la scoperta di nove fosse comuni e di varie sepolture singole relative ai morti in due delle più importanti battaglie della Sicilia greca. La prima si svolse nel 480 a.C. quando Imeresi, Siracusani e Agrigentini, guidati da Gelone tiranno di Siracusa, sconfissero l’esercito punico di Amilcare davanti a Himera, nello stesso anno in cui a Salamina gli Ateniesi fermavano i Persiani. Settanta anni dopo, nel 409 a.C., l’esercito cartaginese assediava e distruggeva Himera, facendo strage di soldati e di cittadini; la colonia veniva abbandonata per sempre. Nella necropoli, decine di deposizioni di giovani uomini – con ferite mortali e talvolta con le armi (cuspidi di lancia, lame e punte di freccia) ancora infisse nelle ossa – attestano questi tragici eventi, restituendo alla memoria il ricordo del loro sacrificio in battaglia e della loro morte a difesa della città. Oltre alle tombe dei soldati caduti, sono state messe in luce centinaia di sepolture attribuibili ai cittadini massacrati in città, i cui cadaveri, distrutta la colonia, vennero portati e sepolti affrettatamente 13 nell’area della necropoli [ Deposizione di cittadini morti probabilmente nella distruzione della città]. Sono state rinvenute anche numerose tombe di cavalli, uccisi negli scontri davanti alle mura della città. Si tratta di una documentazione eccezionale e unica nel mondo greco, in cui si percepisce in modo straordinario il collegamento tra i dati archeologici e la narrazione storica delle battaglie e della fine di Himera, tramandata dal racconto dello storico Diodoro Siculo. 14 Il Tempio della Vittoria nel contesto dell’architettura di Stile Severo Dieter Mertens già Direttore Istituto Archeologico Germanico di Roma Valentina Consoli Archeologa All’indomani della battaglia combattuta nel 480 a.C. alle porte di Himera tra Greci e Cartaginesi fu edificato, sulla riva sinistra del fiume Imera, l’unico tempio periptero della città. Il sito scelto includeva una porzione di abitato d’età arcaica, interessata da attività artigianali, ai margini orientali della città bassa. Per far posto alla nuova costruzione, le abitazioni private furono espropriate e demolite e fu delimitato il recinto sacro comprendente il tempio. I saggi archeologici effettuati nell’area non hanno restituito dati sufficienti all’individuazione del temenos, che possiamo tuttavia immaginare racchiuso entro un muro perimetrale accessibile da un ingresso e abbellito probabilmente da portici e altri piccoli edifici, come testimoniato dagli elementi architettonici di modulo minore provenienti dall’area [ Tempio della Vittoria. Ricostruzione 3D del temenos]. Sulla base del passo di Diodoro Siculo (XII,26,2), si attribuisce l’edificazione del tempio alla volontà di celebrazione della vittoria sui Cartaginesi da parte di Gelone di Siracusa e Terone di Agrigento, che ordinarono di costruire due templi nei quali conservare i trattati di pace; tale interpretazione ha poi determinato la corrente denominazione di “Tempio della Vittoria”. La costruzione dell’imponente edificio periptero, estraneo alla cultura architettonica della colonia calcidese, potrebbe inoltre essere riferita alla volontà di dominio politico esercitata dal tiranno agrigentino Trasideo, figlio di Terone, sulla città. Pur non avendo certezza riguardo la divinità alla quale il tempio fu dedicato, esso è stato convenzionalmente attribuito ad Atena per analogia con il coevo Athenaion di Siracusa. I pochi frammenti della decorazione scultorea sembrano indicare la scelta del tema della Gigantomachia per lo spazio frontonale. L’architettura severa in Occidente Il Tempio della Vittoria di Himera si inserisce nella scia di una nuova sperimentazione architettonica che procede di pari passo in Occidente e in madrepatria, portando alla formulazione di una cultura artistica e figurativa denominata Stile Severo, che si sviluppa nella prima metà del V secolo a.C. In Sicilia in particolare, a seguito della consolidata tradizione dorica di età arcaica, soprattutto selinuntina, una nuova stagione architettonica, aperta agli influssi provenienti dalla Grecia (Tempio degli Alcmeonidi a Delfi), è annunciata dalla realizzazione del Tempio di Erakle ad Agrigento agli inizi del V a.C. Tale cultura architettonica si manifesta nella creazione di un modello canonico di tempio dorico, che esprime sia una concezione innovativa dello spazio interno dell’edificio, sia un maggiore equilibrio tra le fronti, mediante la simmetrica disposizione del pronao e dell’opistodomo in 16 antis, in sostituzione dell’arcaico spazio inaccessibile dell’adyton sul fondo. Dopo la battaglia di Himera del 480 a.C., il nuovo modello si manifesta pienamente nella realizzazione di due coevi edifici peripteri, il Tempio della Vittoria a Himera [ Tempio della Vittoria. Pianta] e l’Athenaion di Siracusa [ Parte della peristasi inglobata nei muri del Duomo], simili nelle dimensioni e nelle scelte architettoniche. Queste si rivelano soprattutto nel simmetrico equilibrio della planimetria, nell’attento dimensionamento dei singoli elementi e nell’armoniosa proporzione delle parti tra pianta ed elevato, ricercati sulla base dell’insegnamento pitagorico. In particolare, tali edifici risolvono in maniera ponderata la questione del conflitto d’angolo dato dall’alternanza di metope e triglifi nel loro rapporto con il colonnato. Mentre le dimensioni delle colonne vengono definite in relazione all’interasse, la trabeazione, grazie alla sua chiara articolazione interna fra triglifi e metope, è progettata con poche ma efficaci proporzioni fondamentali: il rapporto 2:3 nello sviluppo orizzontale e quello 3:5 per il corpo del triglifo, che assume la valenza di modello per tutto il progetto (così come esposto nel famoso trattato di Vitruvio, l’unico “manuale” teoretico sull’architettura antica pervenutoci). Carattere distintivo dei templi severi, infine, è il profilo rigido che contraddistingue i capitelli Siracusa, Athenaion. Capitello dorico]. [ La raffinata concezione plastica e spaziale dell’architettura severa troverà ulteriori esemplificazioni negli edifici peripteri di altre poleis di Sicilia e Magna Grecia alla metà del V a.C.: il Tempio E di Selinunte [ ], pur con la conservazione del tradizionale adyton, e il cosiddetto Tempio di Nettuno a Poseidonia (che ispirò a Goethe la definizione di stile “severo”), per concludersi con l’imponente serie sulla Collina dei Templi di Agrigento. Tali costruzioni confermano la spiccata tendenza alla sperimentazione architettonica delle colonie d’Occidente, perseguita tramite il costante interagire con le coeve soluzioni della madrepatria (Tempio di Zeus ad Olimpia) [ ]. Nuovi edifici di Stile Severo verranno realizzati in altre fiorenti città coloniali, quali Crotone, Gela e ancora Selinunte, in cui sarà ravvisabile anche l’influsso dell’esperienza attica, giunta in Occidente insieme alle maestranze itineranti con i preziosi marmi al seguito. Il Tempio della Vittoria Il lacunoso stato di conservazione dell’edificio in pietra calcarea, limitato per lo più al basamento, alla sima e a pochi elementi dell’elevato, rende difficile la restituzione dell’architettura del tempio nella sua interezza. La presente ipotesi di ricostruzione si basa sull’indispensabile pubblicazione di Pirro Marconi del 1931 e sui recenti rilievi effettuati in occasione del nuovo allestimento museale e della realizzazione del plastico, oltre che sul confronto con il coevo Athenaion di Siracusa. L’edificio poggia su un basamento (krepidoma) di quattro gradini concluso dallo stilobate, su cui si elevano le colonne della peristasi (6 sui lati brevi e 14 su quelli lunghi), tutte di uguale diametro (m 1,91) e interasse regolare (m 4,19); variano soltanto i primi due interassi angolari di entrambe le fronti, che si contraggono progressivamente per superare il conflitto d’angolo tipico dell’ordine dorico. Sulla base di un’equilibrata concezione spaziale, la cella è posta all’interno della peristasi rispettando la corrispondenza tra le ante terminali dei muri e le terze colonne dei lati lunghi. Secondo una medesima simmetria, l’ampio naos centrale è preceduto dal pronaos e concluso dall’opistodomo, entrambi in antis; tra il naos e il pronaos, leggermente più profondo dell’opistodomo, si collocano le due 18 torri scalari che raggiungevano il soffitto verosimilmente per motivi cultuali: questi ultimi porteranno in seguito all’apertura della finestra sul timpano del Tempio della Concordia ad Agrigento per l’epifania della divinità. L’edificio mostra elementi dell’avvenuta chiusura dell’intercolumnio dei lati lunghi mediante blocchi parallelepipedi in calcare, effettuata verosimilmente in età non successiva alla distruzione della città, per ragioni forse di tipo cultuale. Procedendo per analogia con i coevi templi di Stile Severo e considerando la rigida regola dell’ordine dorico, è stato restituito un elevato basato sull’altezza della colonna (m 8,40) pari al doppio della misura dell’interasse. Nella trabeazione, invece, sono stati rispettati il rapporto di 2:3 tra la larghezza del triglifo e quella della metopa, e il rapporto di 3:5 tra la larghezza e l’altezza del triglifo, come già noto a Siracusa; all’altezza del fregio dorico (m 1,40) si aggiunge quindi quella dell’architrave, conservato per intero (m 1,46). Della cornice di coronamento, infine, è possibile ricostruire il geison orizzontale, decorato dai mutuli a goccia, sia sui lati lunghi sia su quelli brevi, mentre è del tutto ipotetica la restituzione dei rampanti del timpano sulle fronti; la loro inclinazione, tuttavia, può essere ricostruita sulla base del rapporto di 1:4 tra altezza e lunghezza, già rilevato su altri templi di età classica in Sicilia. Ben conservata, invece, è la grandiosa serie di gocciolatoi a protome leonina che decoravano la cornice della sima sui lati lunghi, a terminazione della tegola di sima. La restituzione del tetto a due spioventi di tegole in terracotta, non pervenute, si fonda sulla larghezza della tegola di sima in pietra (m 1,13), modellata in forma di due tegole giustapposte. In base al confronto con altri edifici è stata ipotizzata la tessitura in travi lignee degli spioventi e delle capriate. Non sussistono elementi utili, infine, per ricostruire le figure acroteriali a coronamento del tetto e i gruppi plastici dei frontoni, documentati da esigui frammenti. La proposta di restituzione della policromia, essenziale per l’immagine del tempio di Stile Severo, è basata, oltre che sul canone valido per il periodo, sulle osservazioni di Pirro Marconi e sui disegni di Rosario Carta. 19 1. Tempio della Vittoria 2. Deposito scavi 1929-30 3. Museo 4. Mulino 20 Rilievo e restituzione grafica del Tempio della Vittoria Francesco Scirè Architetto Lo studio del tempio e di alcune strutture limitrofe è stato affrontato per mezzo di un rilievo strumentale; con la tecnica fotogrammetrica si è proceduto alla documentazione di alcuni setti murari interni alla struttura museale, dove sono evidenti alcuni elementi di reimpiego provenienti probabilmente dai piccoli edifici che ricadevano all’interno del temenos. I setti murari, non intonacati, sono tutt’ora visibili all’ingresso del museo per lasciare una testimonianza tangibile degli elementi architettonici in essi presenti. All’esterno del complesso è stato effettuato il rilievo di tutta l’area, ivi compreso il fotopiano di alcuni blocchi depositati durante gli scavi condotti nel 1929-30 da Pirro Marconi [ ]. Ma l’obiettivo principale dello studio si è rivolto al Tempio della Vittoria. Il rilievo topografico del monumento si è contraddistinto in tre fasi: realizzazione del piano quotato – rilievo di tutti gli elementi caratterizzanti le parti meno deteriorate – rilievo del colonnato e dei setti murari tra gli intercolunni. Effettuata una restituzione grafica planimetrica sono state riportate delle considerazioni metriche secondo i dati ottenuti. Abbiamo disegnato tutte le colonne con raggio pari a 0.955 m riscontrato nelle due del lato Nord e nelle tre del lato Sud. La loro diversa posizione planimetrica, fa pensare che tutte le colonne avessero uguale dimensione, ma non abbiamo alcuna certezza per quelle angolari del tutto mancanti. Di certo risulta esserci una contrazione angolare del colonnato, misurabile grazie alla presenza dei fori quadrangolari presenti nello stilobate per la collocazione dei primi rocchi di colonna. Dall’analisi metrica risulta che l’interasse tra tutte le colonne di 4.19 m, in corrispondenza tra la terza e la seconda colonna diventa di 4.09 m mentre, nell’ultimo interasse risulta essere di 3.94 m. La pianta disegnata in ambiente CAD è stata sovrapposta a quella realizzata da Pirro Marconi; sul campo inoltre è stato eseguito un rilievo mediante laser scanner dalla ditta Studio Tre Engineering di Pietro Furnari. Anche la planimetria ottenuta con questa moderna tecnica di rilievo è stata sovrapposta a quella ricostruttiva del tempio. Già con il rilievo topografico avevamo notato un evidente cedimento strutturale delle fondazioni e del crepidoma del fronte est, 21 quello cioè più esposto alle inondazioni in epoche passate del fiume Imera. Abbiamo volutamente omesso questa deformazione metrica mantenendo una pianta geometrica del tutto analoga, per le restanti parti, ai rilievi condotti in passato, ma con le più recenti tecniche di rilievo. Il motivo di tale scelta è stato l’obiettivo iniziale che ci eravamo posti; la realizzazione di un plastico che ci facesse tornare indietro nel tempo, ripercorrendo dunque tutte le fasi progettuali del tempio e non presentando lo stato di fatto dell’edificio ben visibile all’esterno della struttura museale. Una volta ottenuto l’elaborato planimetrico definitivo, abbiamo iniziato a disegnare il prospetto longitudinale e trasversale, pur avendo pochi elementi architettonici relativi agli alzati del tempio. Con il fondamentale supporto di Dieter Mertens siamo comunque riusciti nel nostro intento per mezzo di riferimenti tipologici (Athenaion di Siracusa), stilistici (Stile Severo) e dei dati metrici 22 (altezza della colonna calcolata in base all’interasse delle stesse) e abbiamo infine sviluppato gli elevati del tempio. Sono state elaborate diverse sezioni interne per comprendere appieno gli elementi che componevano il pronao e l’opistodomo, la cella e il sistema di apertura del grande cancello di ingresso a essa, le due torri scalari e tutti gli elementi che componevano la trabeazione sia esterna che interna, fino ad arrivare alla copertura, disegnata per mezzo di due piante riportanti l’orditura orizzontale e quella delle due falde inclinate del maestoso complesso di travi lignee, grazie anche all’analisi metrica dei molti frammenti di tegole in pietra ancora esistenti in situ; lo studio della copertura in pianta è stato poi verificato e riportato nelle sezioni verticali [ Tempio della Vittoria. Piante e sezioni]. Definiti gli elaborati grafici bidimensionali, la ditta No Real.it 3d agency di Davide Borra si è occupata della modellazione tridimensionale del monumento in ogni suo singolo dettaglio architettonico, costruttivo, e decorativo [ ]. Contemporaneamente si è sentita l’esigenza di soffermarsi sulla decorazione pittorica delle gronde leonine poste sulla sommità dei lati lunghi del tempio. Prendendo le mosse dal disegno ad acquerello di Rosario Carta, abbiamo cercato di ricostruire e completare tale decorazione basandoci sui riferimenti suggeriti da Dieter Mertens e sulle tracce di colore ancora presenti su alcune gronde del Museo Salinas e di Himera. Anche i tre becchi di civetta che si collocavano subito al di sotto delle gronde, restaurati a Himera ed esposti nel nuovo museo, hanno dato l’occasione di identificare e definire meglio il colore nero presente nelle decorazioni che caratterizzavano questa parte del tempio e che incorniciavano la testa leonina. I due apparati espositivi – ossia il plastico del tempio in scala 1:40 e quello della gronda leonina in scala 1:1 – sono il risultato di questa attività di studio e di elaborazione condotti preliminarmente. Essi sono il frutto di una precisa definizione e corrispondenza rispetto ai disegni ricostruttivi, in quanto ottenuti per mezzo della realizzazione degli elementi principali con stampante 3d; ogni singolo pezzo, una volta stampato e assemblato con gli altri elementi è stato definito con le più antiche tecniche artigianali fornite dall’equipe di Emanuele Canzonieri 23 (Eikon servizi per i Beni Culturali) [ Gronda leonina: dal disegno di Rosario Carta al modello ricostruttivo]. All’interno della sala dedicata al Tempio della Vittoria sono stati inoltre inseriti sia una seduta a forma di rocchio di colonna con indicazione delle tracce per la realizzazione delle scanalature, sia una gigantografia raffigurante la soluzione angolare del prospetto longitudinale in corrispondenza delle gronde leonine: entrambi gli apparati sono di dimensioni reali per consentire al visitatore di apprezzare la maestosità di questo importante edificio templare. 24 Buonfornello dal Medioevo agli inizi Novecento Franco D’Angelo Archeologo medievista Sono numerose le città antiche che, dopo la loro violenta distruzione, sono risorte nei secoli successivi anche se in maniera diversa e con inferiore importanza. Non si sa esattamente quando, ma parte della città bassa di Himera è tornata a vivere con il nome di Bonfornello (poi divenuto Buonfornello) grazie anche ad alcune attività produttive: un trappeto di cannamele, una fornace per ceramiche, un mulino a ruota orizzontale e delle case contadine sviluppatesi nei pressi del Tempio della Vittoria. Anche sulle strutture del Tempio stesso sorsero numerose costruzioni e, osservando le fotografie scattate prima della loro demolizione, tutti gli edifici appaiono di epoca post medievale. Pirro Marconi, negli anni 1929-30, durante i lavori di abbattimento del borgo che si era sovrapposto al Tempio della Vittoria, lamentava che “[…] grandissima era la mole delle fabbriche da demolire, circa otto edifici, alcuni abbandonati e già scompagnati, altri robustissimi fatti di malte e impasti duri più della pietra […]. Oltre al torrione fondato sull’opistodomo del tempio e alle altre fabbriche laterali, nel XVII secolo vi erano istallati una fabbrica di laterizi disseminando grandi banchi di cocci e di detriti, fino a determinare una montagnola alta cinque metri e culminata da un rustico belvedere […]. Nel lato meridionale, nel terreno dove era la cappella, era sorto un rustico cimitero dei secoli XVII – XVIII […]” (Marconi 1931, pp.19-23). Durante la ripresa e la prosecuzione delle indagini archeologiche a Buonfornello, rispettivamente nel 1966 e nel 1984-85 (Bonacasa 1976, pp.629-645; Allegro 198889, pp. 637-647) vennero recuperati pochi frammenti ceramici riferibili alla frequentazione del sito in età medievale e moderna: due del tipo “a pavoncella” (X secolo); uno di “forma da zucchero” con bordo liscio, un’altro di un’anfora dipinta a bande rosse (XII secolo); una lucerna integra ( XIV secolo); un frammento di “lustro” di area valenciana ( XV secolo). 25 Il trappeto di cannamele L’industria saccarifera venne introdotta nell’isola in età islamica come una delle tante attività produttive utili agli uomini. Essa divenne un’industria dispendiosa ma molto redditizia nei secoli XV-XVII. Per questo motivo sorsero trappeti di cannamele lungo tutte le pianure costiere dell’isola a scapito di altre coltivazioni più utili ma poco redditizie. A Buonfornello è segnalato un trappeto di cannamele nel 1433 (Termotto 2005, p. 3), ma non è ancora accertato dove fosse ubicato. Tuttavia, l’edificio rurale che si sviluppa in lunghezza al Km 207 della SS 113, chiamato “il Trappeto” (Case Artese, oggi sede dei nuovi uffici del Parco) potrebbe essere lo stabilimento per cannamele dei secoli passati (Gulì 1985, p. 56, fig. 12). Inoltre si ha notizia che nel gennaio del 1516 venivano estesi i “privilegi a favore dei trappeti” anche agli uomini che lavoravano nel trappeto di Andrea Alliata a Buonfornello (Trasselli 1982, pp.31-32). L’incisione dal titolo “Saccharum” [ ] realizzata nella seconda metà del XVI secolo da Philip Galle di Harlem e Jan van der Straet di Bruges descrive tutto il processo produttivo dello zucchero: la raccolta delle canne e il loro trasporto allo stabilimento; il taglio e la macinazione (manca la macina che in questa incisione è meccanica, mentre in Sicilia era utilizzato un frantoio, o trappeto, munito di 26 ruota in pietra posta in senso verticale, che, ruotando, schiacciava le cannamele); le canne macinate erano sottoposte al torchio; il sugo ottenuto era cotto e solidificato in grandi caldaie; infine lo zucchero veniva raffinato in apposite forme a cono, in primo piano a destra nell’incisione. Proprio per le esigenze della raffinazione dello zucchero, sia nel trappeto di Buonfornello che in quelli limitrofi di Galbonogara, di Brocato e di Roccella, erano necessarie migliaia di forme a cono in terracotta [ ], per cui era stata impiantata nei pressi del Tempio della Vittoria la fornace per ceramiche. La fornace È probabile che a Buonfornello, per riempire i tempi morti del trappeto, oltre le forme da zucchero, si iniziò a produrre altra ceramica. Nello scarico della fornace, della quale rimane la camera di combustione, sono stati trovati frammenti di boccali e di piatti “tipo Polizzi” [ ], insieme a forme da zucchero con bordo sagomato, molto frammentate. Alcuni degli scarti presentano delle fenditure, oppure sono ipercotti per colpi di fiamma. Per ottenere questi due prodotti è probabile che gli artigiani di Buonfornello abbiano utilizzato le argille scagliose brune della vicina contrada Villaurea, in particolare del Cozzo Rocca del Drago, lungo il corso del Fiume Imera Settentrionale (Alaimo, Anzalone, Calderone, Ferla, Vianelli 1974, pp.15-19). Le ceramiche “tipo Polizzi” devono il loro nome al fatto che proprio a Polizzi Generosa, presso il Convento dei Cappuccini, sono stati rinvenuti scarti di una produzione eseguita in maniera diversa da quella tradizionale dell’isola, in quanto non veniva realizzato il consueto schiarimento superficiale (ottenuto durante la prima cottura), bensì il rivestimento di ingobbio. Su di esso era applicata la decorazione geometrica in bruno, in verde, a volte in giallo, ricoperta da vetrina al piombo trasparente, mentre la superficie interna era rivestita da vetrina color bruno-verde. (D’Angelo, Gioia, Reginella 2011, pp. 313-323). Il mulino Nei pressi del Tempio della Vittoria, proprio alla foce del Fiume Imera Settentrionale (o Fiume Grande del Senescalco) si trovano i resti di un mulino (ora parzialmente crollato ma ancora attivo nel secolo scorso) costruito con grossi ciottoli di fiume legati con malta di calce; gli stipiti e le finestre cieche sono realizzati in mattoni di cotto legati anch’essi con malta; il canale di adduzione delle acque con grossi 27 blocchi di pietra di cava ben squadrata. Lungo tutto il corso del fiume non si individuano altri resti di mulini perché a causa del regime torrentizio, alla fine della stagione delle piogge, il fondo del fiume rimaneva a secco e la totale mancanza d’acqua non consentiva di alimentare l’ingranaggio dei mulini. Nei pressi della foce, invece, il mulino prendeva la forza motrice dall’acqua stagnante in uno dei rami occidentali dell’alveo. 28 A seconda delle esigenze, l’acqua veniva captata da uno sbarramento detto prisa o porta d’acqua e incanalata nella saia (canale di alimentazione) in leggera pendenza, raccolta in un invaso detto gurgo che alimentava la gora o vutti che sovrastava il mulino. Da lì, con la pressione acquisita dalla caduta, l’acqua sfociava, attraverso un ugello, sulla ruota idraulica orizzontale posta alla base del mulino. L’impatto dell’acqua sulle pale della ruota orizzontale imprimeva un movimento rotatorio che, attraverso un asse di collegamento, faceva girare la macina superiore (o mola) chiamata anche currituri. La mola inferiore detta frascino, insieme alla mola superiore, avrebbero macinato i chicchi di grano lasciati scivolare tra le due mole. Esaurita la spinta propulsiva, l’acqua tornava al fiume passando da una grande apertura chiamata garraffo (Carcasio 2000, pp. 11-12; Bresc, Di Salvo 2001). Nei pressi del mulino si trovano numerose grandi mole rotonde, spesse e compatte (cm 130x40; 123x36; 115x28) da identificarsi con le mole inferiori, quelle fisse. La casa contadina Attorno al mulino ad acqua e alla fornace si era creato un piccolo raggruppamento di case abitate da artigiani che operavano nei due stabilimenti e da contadini che curavano la coltivazione di ortaggi e di frutti indispensabili per la sopravvivenza di tutti gli abitanti. La spoglia struttura della casa contadina tra il mulino e il Tempio della Vittoria è stata lasciata intatta a testimonianza della vita rurale di un tempo non molto lontano. Lo spazio interno è diviso orizzontalmente in zona notte nella parte superiore, raggiungibile da una scala a pioli, e da una zona riservata alle attività domestiche nella parte inferiore. In fondo alla stanza, nell’angolo destro, è ancora visibile la mangiatoia destinata all’animale da soma e alla capra. Gli animali facevano parte integrante dell’economia e della famiglia del contadino e il loro riparo all’interno della casa era previsto nella distribuzione degli spazi. Nell’angolo sinistro, accanto all’ingresso, rimangono i resti di un fornello chiamato “tannura” ed alcuni elementi indicherebbero anche la presenza di un piccolo forno per la cottura del pane. Due finestrelle in alto davano luce alla casa. 29 Un nuovo museo alla foce dell’Imera Enrico Caruso Progettista e direttore dei lavori Nei pressi della foce del fiume Imera, dove in antico sorgeva la città distrutta da Cartagine nel 409 a.C., il luogo ha da tempo dismesso i panni di sito della memoria delle due memorabili battaglie che videro la città greca prima trionfare nel 480 a.C. e 70 anni dopo definitivamente soccombere. Il tempo ha semplicemente fatto di questo luogo un’area del lavoro manifatturiero, legato all’attività agricola. Dalla fine dell’Ottocento agli inizi del Novecento questo paesaggio costiero che vide importanti viaggiatori notare la presenza di un castello (in verità solo un borgo con una torre), ha ulteriormente cambiato volto, grazie anche all’archeologia che da tempo sottrae terra, pietre e frammenti fittili alla stratificazione millenaria di troppe alluvioni e di palinsesti architettonici anch’essi pluristratificati, al fine di spiegare ai moderni come complessa sia stata la storia del luogo e delle civiltà susseguitesi nel medesimo posto. Quest’area, divenuta poi un sito martoriato dal passaggio della ferrovia e dall’autostrada, è a questo punto di fatto separata dal mare e dalla vista del Tirreno. In questo spazio ormai senza tempo si stagliavano recentemente solo le mute rovine del basamento di un tempio, pomposamente definito “della Vittoria”, glissando altrettanto sommessamente sulla precoce sconfitta che è subentrata appena due generazioni dopo la sua creazione. Mute rovine però, perché niente consentiva di capire la loro storia e il loro valore, dal momento che le parti aeree superstiti sono state trafugate in antico, mentre una parte consistente restava celata sotto il borgo rurale dalla torre massiccia, fondata sull’opistodomo del tempio classico. Negli anni venti del XX secolo Pirro Marconi, archeologo insigne, grande filosofo e valente storico dell’Arte, lavorò oltre due anni per dismettere il borgo, dedicando un intero anno allo smontaggio pietra su pietra della torre cinquecentesca. La perdita del borgo è stata un’operazione terribile! Ma erano altri tempi. L’arte e in particolare l’architettura dei “tempi oscuri” (medievali, barocchi e tardo barocchi), era considerata – specie dagli archeologi – un inutile fardello da cui liberarsi per lasciare emergere l’unica Arte meritevole di attenzione, la Greca: era quindi un imperativo 31 smontare per riportare alla luce, espressione di una cultura ampiamente diffusa e condivisa. Questo sentimento, al quale solo pochi illuminati archeologi riescono ancora oggi a sfuggire, portò a quell’episodio di tesaurizzazione successivo allo scavo della prima metà del Novecento: le straordinarie sculture delle gronde policrome, esempio illustre di un coronamento crollato alla base del tempio, con le fauci leonine minacciosamente aperte verso l’alto, furono trasferite a Palermo nel grande Museo Archeologico Nazionale, oggi “Antonino Salinas”. Sul posto solo rovine, sovente coperte dall’erba, ed edifici rurali sette-ottocenteschi che non nascondevano alcun importante resto al loro interno: una modesta casa contadina, i ruderi di un mulino in totale abbandono e un magazzino senza tetto, senza infissi e pavimento, tutt’uno con una bella casa solerata contadina. In questo contesto il progetto d’amenagement appena concluso prevedeva di esporre i principali corredi tombali delle Necropoli Occidentale ed Orientale di Himera. Ma il bel magazzino, una struttura alla lombarda, realizzata con materiali locali, belle pietre antiche rubate a strutture sepolte, mattoni di cotto forse prodotti in loco e tanti ciottoli di fiume, portati lì dalla corrente fluviale e forse lavorati dal mare, era un rudere: bei muri massicci, costruiti con materiali non 32 proprio coerenti, con aperture sormontate da trabeazioni in legno, forse in sostituzione di antiche travi o introdotte da un precedente tentativo di restauro mai completato. Il suo recupero era stato progettato immaginando di lasciare molte parti a faccia vista, sia all’interno che all’esterno, con pavimentazioni in cotto rustico e tetti con capriate in legno che, purtroppo, ignoravano la struttura originaria di un capannone scandito da muri trasversali e massicci pilastri centrali che ben volentieri avremmo voluto far ritornare alla loro funzione portante originaria. Complice un capitolato senza possibilità di varianti, con materiali imposti anche quando non condivisi, il progetto portato a compimento ha tuttavia sovvertito diversi assunti obbligatori, definendo una spazialità di ben altro respiro rispetto alla tradizionale opera di restauro pensata in un uniforme quanto poco brillante lessico globalizzante. Oggi niente tetti in legno color “legno scuro”, niente porte e finestre in legno massello del medesimo colore che avrebbero finito con il rendere buio, cupo, l’interno del Museo, un luogo separato dal mondo, sottratto al naturale dialogo con il contesto. Oggi i vetri trasparenti lo lasciano entrare, facendolo diventare a pieno titolo elemento del percorso museale, una pausa che scandisce ed amplia lo sguardo del visitatore sul paesaggio circostante e verso il cielo con tutte le sue variazioni di luce e colori. L’interno, rivelatosi poi nel corso dei lavori a forte pendio, è stato trattato come un susseguirsi di ambienti a diversa altezza, con i pavimenti a terrazzo che si adeguano alla china e con rampe di discesa che permettono di superare i forti dislivelli e creano spostamenti e rotazioni del punto di vista, offrendo di volta in volta scorci inaspettati. Dal nuovo ingresso (ricavato sul lato minore sud dell’edificio, di fronte al Tempio “della Vittoria”, a rimarcare che il Museo intende dialogare con le mute rovine dando una voce e un colore ai suoi resti) gli ambienti interni – con il tetto ligneo e con capriate alleggerite dal colore chiaro, posto sulla stessa linea di gronda – diventano via via sempre più alti grazie all’artificio dei piani che si abbassano. Separati da muri divisori, lasciati nella loro altezza pervenuta e con i pilastri conservati con tutti i difetti (che poi finiscono con il diventare dei pregi), ciascun settore si articola con bianche vetrine che esaltano il colore rosato del cocciopesto delle pareti e dei mattoni pavimentali in cotto, però non rustico. A un solo fronte o bifacciali, le vetrine cambiano forma secondo lo spazio in cui sono inserite e lo definiscono, destinate ciascuna ai temi sviluppati dal percorso espositivo e dal racconto delle battaglie legate alla fondazione del Tempio ed alla sua distruzione. L’esposizione dei reperti è improntata alla semplicità, la maniera è moderna, senza artificiose e invasive soluzioni. Alla piccola saletta, in cui viene presentato il filmato che sintetizza la storia del luogo e le fasi di vita e di morte del vicino tempio, si contrappongono i piani espositivi, per lo più bianche pedane: su di una le anfore riusate in antico come sepolcri, sono semplicemente poggiate a scandire tipologicamente e cronologicamente un percorso che senza soluzione di continuità, collega un ambiente all’altro. Su altre prendono forma i calchi degli scheletri degli sposi o di uomini uccisi in battaglia e la sepoltura di un cavallo. Ma dopo la tristezza della morte, con le sue sfaccettature e gli enchytrismoi dei bambini imeresi sepolti con il loro corredo di biberon e vasetti per bevande che dovevano accompagnarli nel loro viaggio verso gli Inferi, ecco un nuovo capitolo aprirsi alla conoscenza: la Storia del luogo, fin qui misconosciuta. Dagli Studi di primo Ottocento (tra cui quelli fondamentali di L. Mauceri) si giunge alla documentazione dello scavo del Tempio da parte di Pirro Marconi, cui il Museo è dedicato e, dopo di lui, agli scavi degli anni Sessanta ed Ottanta del secolo scorso che hanno permesso di chiarire meglio le fasi d’uso del sito: dalla soppressione del tessuto abitativo arcaico per la costruzione del Tempio nel 480 a.C. alla sua distruzione; dalle fornaci aperte accanto al Tempio nel periodo medievale per la produzione dello zucchero di 33 canna ai resti degli stipiti delle finestre cinquecentesche della Torre, realizzate quasi certamente con i materiali di spoglio di pezzi del Tempio, presentati in una nuova luce, quale documentazione di una fase importante ma dimenticata, fin qui cancellata. Dulcis in fundo, nell’ambiente finale, il più alto, ecco il Tempio magistralmente presentato in forma efficace, sia con l’ausilio di mezzi moderni – fotografie ricostruttive e touch screen – che di mezzi classici, quali il bellissimo plastico in scala 1:40 [ ] e, infine, la riproduzione in scala 1:1 con i colori originali, impressionanti e ai più sconosciuti, di una testa leonina. Ma sono soprattutto le gronde originali, una riproposta nello stato in cui a suo tempo l’aveva esposta Franco Minissi e un’altra prestata dal Museo Antonino Salinas di Palermo, a porsi all’interno del percorso con tutta la potenza dirompente della scultura classica, mentre tre 34 frammentarie sono poste a simulare il crollo emerso nello scavo di primo Novecento, insieme ad alcune tegole tanto pesanti da essere rimaste in sito. Apparati didascalici essenziali, finalmente ridotti al minimo per scongiurare le logorroiche esposizioni auto-referenziate che ci hanno da tempo mostrato come non si debba concepire un museo, ritmano il percorso con spiegazioni che chiariscono le ragioni dell’esposizione. Alcuni bianchi sedili completano e scandiscono il percorso della “Conoscenza”. Infine, ecco il magnifico Tempio “della Vittoria”, costruito con la bella pietra portata qui da lontano e la cui presenza nel sito non può più passare inosservata. La dea Athena, cui era probabilmente dedicato, sarà grata agli sforzi fatti oggi dagli uomini per dare Giustizia alla Storia del luogo. Questa storia, adesso, è diventata finalmente protagonista di un Museo. Itinerario di visita del museo e del Tempio della Vittoria Valentina Consoli Archeologa Il Museo Pirro Marconi, realizzato all’interno del caseggiato moderno di Buonfornello che insiste sull’area del Tempio della Vittoria, intende offrire una panoramica generale del sito della città bassa di Himera, a completamento dell'’itinerario di visita già fruibile nel Museo presso la città alta. Lo spazio espositivo si articola in cinque sale collegate da rampe e termina con la sala 6, raggiungibile da un percorso esterno lungo l’edificio. Esso illustra le principali realtà archeologiche della città bassa note attraverso una lunga tradizione di studi e ricerche, inaugurata da Pirro Marconi nel 1929 e proseguita fino ad oggi grazie alle indagini dell’Università e della Soprintendenza di Palermo. 1 3 4 2 6 Mulino 5 Sala 1 Il percorso di visita si apre con un’introduzione al sito della colonia, che mostra la distribuzione delle aree d’insediamento dei coloni con particolare attenzione agli spazi della città bassa e alle necropoli. Oltre l’ingresso, su una pedana è esposta una tipologia di anfore provenienti da vari centri di produzione del Mediterraneo sia orientale che occidentale, utilizzate come contenitori per sepolture infantili nella necropoli est. La sala è dedicata all’esposizione dei corredi che accompagnavano i defunti nelle tombe delle necropoli est ed ovest; spiccano i due crateri figurati con scene di miti attici [ Cratere attico con il mito di Trittolemo] e alcuni oggetti di produzione greco-orientale, come i balsamari configurati. I reperti mostrano la varietà delle produzioni locali e delle importazioni che circolavano a Himera tra il VI e il V a.C., e forniscono indicazioni sulle attività artigianali della colonia e sulla rete di scambi commerciali con le altre aree della Sicilia e del Mediterraneo. 35 Sala 2 L’area è dedicata alla proiezione di filmati e ad attività didattiche e divulgative. Sala 3 Vengono illustrate le differenti tipologie funerarie documentate nella necropoli ovest, oggetto di recenti indagini. È attestato sia il rito dell’inumazione che quello dell’incinerazione primaria e secondaria, con netta prevalenza del primo. Sopra una pedana, sono esposti vasi ed elementi fittili utilizzati come contenitori per sepolture di vario tipo, quali enchytrismoi [ ] e tombe a fossa. Tra questi si distinguono i due coppi, uno con protome femminile [ ] e l’altra con protome leonina, utilizzati in tombe alla cappuccina, e la vaschetta fittile dove era stato inumato un bambino accompagnato da corredo. La visita prosegue nell’ala destra della sala destinata alla straordinaria scoperta delle fosse comuni e delle sepolture di cavalli, rinvenute nelle recenti indagini condotte nella necropoli ovest. Probabilmente connesse alle due battaglie avvenute alle porte di Himera nel 480 e nel 409 a.C. e narrate da Diodoro Siculo, le fosse comuni contenevano numerosi corpi allineati uno accanto all’altro e recanti segni di traumi violenti e armi ancora infisse. Il calco dello scheletro di un corpo inumato in una fossa si accompagna a quello di una coppia di sposi e al cranio di un cavallo, 36 dotato di morso in bronzo [ ]. In questa sezione sono esposti i reperti relativi alla fossa comune 9, databile alla fine del V a.C., e le armi rinvenute nelle sepolture riferibili alle battaglie, tra cui due pregevoli schinieri di produzione iberica [ ]. Sala 4 Si prosegue lungo l’itinerario di visita dedicato al Tempio della Vittoria. Parte della sala illustra le campagne di scavo effettuate nell’area in tre momenti successivi: 1929 (scavo del Tempio a opera di Pirro Marconi), 1966 (saggi dell’Università di Palermo a Nord e a Sud del Tempio) e 1984-85 (saggio dell’Università di Palermo lungo la fronte ovest). Le indagini hanno documentato non solo l'occupazione dell’area dalla fine del VII a.C. fino alla distruzione della città nel 409 a.C., con un cambiamento di destinazione d'uso (da quartiere abitativo a santuario dopo la battaglia del 480 a.C.), ma anche la frequentazione in epoche successive, fino all'età moderna. Di notevole interesse è, inoltre, la presenza di un'officina di ceramista attiva nel V a.C., probabilmente all'esterno del santuario. La rimanente parte della sala è dedicata alla fase medievale e moderna. Vengono presentati gli stipiti di una finestra realizzata sulla facciata del torrione cinquecentesco, sorto sui ruderi del Tempio e poi demolito dal Marconi. Oltre a frammenti ceramici di età medievale, sono altresì esposti reperti riferibili all’attività di una fornace del XVI secolo per la produzione di ceramica invetriata “tipo Polizzi” e di forme da zucchero utilizzate nel vicino trappeto della cannamela. 37 Sala 5 L’intero spazio espositivo è dedicato alla storia e all’architettura del Tempio della Vittoria, unico edificio periptero della colonia. Al centro della sala è situato il plastico ricostruttivo del Tempio, realizzato in scala 1:40 sulla base del rilievo topografico e di quello tridimensionale. Il tempio imerese è contraddistinto, sui lati lunghi, dalla serie di gronde a protome leonina in calcare, rinvenute dal Marconi durante lo scavo del 1929-30. Sono qui esposti due esemplari pertinenti al lato nord [ ], e tre grandi frammenti dal lato sud. A questi si accompagna un modello plastico che riproduce l’effetto cromatico dell’originale, sulla base dell’acquerello realizzato al momento del rinvenimento da Rosario Carta e delle tracce di colore tutt’ora riscontrabili. L’accostamento dei due tipi (nord e sud) permetterà di cogliere le differenze tra le due serie di sculture. Lungo le pareti sono esposti altri materiali architettonici in calcare pertinenti all’elevato del Tempio (elementi di trabeazione con modanatura a becco di civetta, tegole di sima), alcuni dei quali preservano ancora tracce di policromia. Sul lato opposto si trovano reperti lapidei rinvenuti durante i saggi del 1966 e riferibili a edifici sacri di modulo minore presenti nel temenos, dei quali non è pervenuta purtroppo altra testimonianza. 38 Al termine della visita, un touch screen consente di approfondire le tematiche proposte dal percorso espositivo, tramite una ricca documentazione grafica e fotografica corredata da didascalie. Uscendo dal Museo si possono osservare resti di muri relativi all’abitato di VI-V secolo a.C. Si passa a visitare poi una struttura a pianta quadrangolare adibita a mulino ad acqua per la molitura del grano nel corso dell’età moderna. Proseguendo verso destra, lungo il muro perimetrale del Museo, si accede all’ultima sala espositiva (sala 6) ospitata all’interno di una vecchia abitazione rurale fornita di mangiatoia per animali, forno per il pane e soppalco per il giaciglio notturno: essa illustra la realtà contadina e la vita quotidiana delle famiglie nell’area madonita fino al secolo scorso. Il percorso di visita termina con una sosta davanti alle strutture del Tempio della Vittoria, realizzato in calcare conchiglifero piuttosto poroso sulla sponda sinistra del Fiume Imera. La scarsa compattezza del materiale da costruzione, le continue esondazioni del fiume e l’opera di spoliazione avvenuta a più riprese già a partire dall’età antica hanno determinato le attuali condizioni di conservazione. L’edificio dorico, eretto su un krepidoma a quattro gradini, presenta pianta periptera [ ] con 6 colonne sulle fronti e 14 sui lati lunghi, pronao e opistodomo distili in antis e torri scalari fra il pronao e la cella. Dello stilobate e del pavimento lapideo del naos rimane ben poco, così come dei blocchi dell’elevato del tempio, reimpiegati nella costruzione del borgo cinquecentesco e del caseggiato Buonfornello. Alcuni elementi della trabeazione del Tempio, tra cui blocchi del geison e della sima, sono ancora visibili lungo i lati lunghi dell’edificio in posizione di crollo, così come furono trovati durante lo scavo del Marconi nel 1929. L’edificio mostra elementi dell’avvenuta chiusura dell’intercolumnio dei lati lunghi mediante blocchi parallelepipedi di calcare, effettuata verosimilmente in età non successiva alla distruzione della città, per ragioni forse di tipo cultuale. Lungo la fronte ovest del Tempio sono visibili tracce della fornace del XVI secolo con relativo cumulo di scarico, mentre sul lato meridionale sono ancora preservati resti delle strutture costruite con materiali architettonici di reimpiego pertinenti al Tempio. 39 Bibliografia R. ALAIMO, S. ANZALONE, S. CALDERONE, P. 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