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“ Bioetica e comportamenti sociali a rischio: la malattia da HIV”
27 maggio 2006
Dr. Adriano Paladini
Diciamo intanto che noi non parliamo di AIDS, ma di malattia da HIV. Questa malattia è stata
individuata come primi casi nel 1981. Si vide che c’era un aumento di consumo di certi farmaci per
una malattia, particolare anch’essa, di cui esisteva un registro e quindi si potevano tenere i consumi
sotto controllo (pentamidina per la polmonite da Pneumocisti carinii). Si cominciò ad indagare
perché, tutto sommato, si vide che c’erano dei legami tra questi pazienti, dei legami epidemiologici:
cioè erano spesso omosessuali. Si vide anche che erano pazienti che avevano delle difese
immunitarie ridotte. Venne coniato in quegli anni l’acronimo AIDS in italiano e si potrebbe dire
SIDA, come dicono in Francia o in Spagna, per dire sindrome da immunodeficienza acquisita.
Allora si cominciò a parlare di una malattia che colpiva, negli Stati Uniti, i “4 H”, perché dicevano:
gli eroinomani, gli emofilici, gli omosessuali e poi … gli haitiani. Questi non c’entravano nulla; ma,
siccome Haiti era il paradiso del turismo sessuale dei gay americani, c’erano alcuni di questi che
avevano preso le conseguenze, che poi peraltro vennero ridimensionate. Questo fu l’esordio, questa
è la storia proprio delle date.
Nel 1983 è avvenuta la scoperta del virus. Voi sapete che anche qui c’è stato un grande dibattito su
chi avesse diritto alla primogenitura della scoperta fra gli americani e i francesi. Nel 1985 ci sono
stati i primi test diagnostici dell’AIDS, per fare la ricerca semplice del virus e degli anticorpi contro
il virus nel sangue e nei liquidi biologici. Questo è stato indubbiamente molto importante, specie se
pensiamo a tutto il problema delle trasfusioni del sangue o degli emoderivati, in particolare quelli
emofilici. Nel 1987 è stato approvato il primo farmaco, il famoso AZT, che ormai è un paradigma.
Nel 1995 è stato scoperto il primo farmaco antiproteasi, il Saquinavir, e poi Indinavir, subito di
seguito. Nel 1996 è stata approvata la prima terapia di combinazione contro la malattia da HIV,
l’ART, che vuol dire altamente attiva terapia antiretrovirale. La caratteristica fondamentale di
questo virus è la sua enorme variabilità genetica. Questo è quello che ci crea tutte le difficoltà a
livello terapeutico e ancor maggiori nell’approntamento di vaccini, perché esiste una variabilità
macro. Esistono dei sottotipi di virus di HIV. Innanzitutto, esiste l’HIV1 e l’HIV2. L’HIV è quello
più consueto, quello che abbiamo noi; l’HIV2 è localizzato prevalentemente in zone dell’Africa,
come il Senegal, ecc.. Però esistono, con l’immigrazione, anche da noi casi di HIV2, ma sono
piuttosto rari. Poi esistono una serie di sottotipi con le lettere dell’alfabeto (A, B, C), che vedremo,
ed esistono delle varianti minori. Tanto è vero che dobbiamo dire che ogni individuo non ha un
virus (come del resto un po’ per altri virus, ma in particolare per i virus RNA, che sono molto
mutevoli), ma ha una popolazione di virus assai diversi fra di loro. Quindi ha una serie di ceppi
virali all’interno del proprio corpo, che possono essere non solo diversi oggi, ma quelli di oggi
possono essere diversi da quelli di domani, perché naturalmente c’è un dinamismo continuo nel
tempo e nello spazio dello stesso virus. Questa variabilità del virus è dovuta alla notevoli mutazioni
a cui va incontro e alle contemporanee ricombinazioni genetiche che possono avvenire fra ceppi
diversi di virus nella stessa cellula infettata da più di un virus. In un giorno 10 alla nona, che
equivale a un miliardo di virus al giorno che muoiono ed altrettanti si formano, mentre altrettante
cellule, loro bersaglio, si distruggono e si rigenerano. Quindi c’e un dinamismo continuo.
Questo è semplicemente come avviene l’entrata del virus, come si spoglia il virus, il passaggio
dall’RNA al DNA, si duplica la catena e poi si integra nella cellula ospite. Questo è molto
importante perché è poi la difficoltà per la cura della malattia, oltre alla variabilità genetica.
Quali sono le cellule bersaglio? Sono sicuramente quelle che esprimono un recettore, a cui queste
proteine esterne (le glicoproteine, in particolare) si agganciano, non solo sulle molecole CD4, ma ci
sono anche dei corecettori, delle molecole che aiutano ad agganciare di lato il virus. Quali sono le
cellule che sono bersaglio del virus? Io ho sottolineato in particolare i linfociti CD4 positivi, perché
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questi sono veramente il loro bersaglio e poi c’è tutta un’altra serie di cellule. Io vorrei fare notare
anche i monociti, le cellule dendritiche del linfonodo, che sono molto importanti e anche la
microglia. I monociti in particolare perché veicolano un po’ il virus da tutte le parti, girano e se lo
portano un po’ da tutte le parti. Quali sono queste vie di trasmissione? La via parenterale, sangue ed
emoderivati; la tossicodipendenza è una delle modalità. Certamente tutto ciò che implica un utilizzo
di uno strumento che punge o taglia, si sporca, si macchia con minime quantità di sangue e passa da
un soggetto all’altro può rappresentare una modalità di trasmissione. Quindi anche un gastroscopio,
se non ovviamente sterilizzato adeguatamente o strumenti medici chirurgici e parachirurgici o anche
la puntura di un orecchio col rasoio per farsi la barba, ecc. Queste sarebbero le forme inapparenti. Il
sangue di per sé ormai, dopo quel benedetto 1985, è diventato una cosa eccezionale e lo stesso gli
emoderivati. Rapporti sessuali è il secondo punto. E’ un punto molto critico e molto importante,
perché sta diventando sempre quello prevalente. La malattia da HIV è sostanzialmente una malattia
sessualmente trasmessa. È un’accidentalità quella della tossicodipendenza o del sangue degli
emofilici. Poi c’è la trasmissione verticale durante la gravidanza, il parto e l’allattamento, che è
estremamente importante per le implicazioni di vario genere che comporta. Fortunatamente nei
Paesi occidentali, in Italia in particolare, si è ridotta enormemente e quindi è poco importante in
questo momento (io sto parlando in termini quantitativi, non in termini di rilevanza personale o
sociale). Invece è molto importante sapere come non si trasmette. Non si trasmette con la saliva, le
lacrime, il sudore, l’uso di oggetti di uso comune (stoviglie, vestiario, posate, telefono), l’uso di
servizi igienici, le zanzare, né con una vita di convivenza familiare o lavorativa. Secondo me, è
molto importante avere chiaro queste cose nel nostro comportamento.
Come si fa a vedere questo virus? Si fa con i test eziologici: la ricerca degli anticorpi con Elisa,
oppure il Western Blot, che è un test di conferma. Io voglio ricordare che c’è una particolare
attenzione a dare una diagnosi e una positività per l’HIV. Tutti gli esami vengono fatti bene e con
attenzione, ma questo viene fatto con doppia attenzione, perché viene ripetuto con metodi diversi,
poi viene richiamato il paziente e rifatto un secondo prelievo, perché teoricamente si potrebbe anche
sbagliare (per esempio, un’etichettatura sbagliata di un campione al posto di un altro). Quindi c’è
una particolare attenzione. Western Blot è una di queste metodiche per avere una conferma sicura,
cioè che non ci siano false positività, perché mette in evidenza non solo il complesso della risposta
anticorpale, ma singolarmente i vari anticorpi contro i vari antigeni che sono costituenti del virus
HIV. Poi c’è la ricerca del genoma virale, del DNA nella cellula in cui è integrato nel nucleo della
cellula ospite, oppure nel plasma, come l’RNA, che è il genoma del virus quando non è integrato.
Infine l’isolamento virale in coltura, che nessuno fa, perché è molto complesso, molto lungo.
In Italia e in pochi altri Paesi ormai nel mondo c’è la notifica di malattia infettiva solo per l’AIDS
conclamato, cioè per la malattia finale, mentre non c’è la notifica per la malattia da HIV. Ma
siccome l’AIDS conclamato è una malattia che ritarda rispetto al momento dell’infezione, del
contagio, di circa dieci anni, noi vediamo oggi quello che è successo come infezione dieci anni fa.
Cioè, abbiamo un disassiamento nel tempo rispetto al dato epidemiologico, per esempio,
dell’acquisizione della malattia. Noi vediamo i casi di AIDS notificati che hanno raggiunto il picco
verso il 1995-96. Questo è un punto chiave: è stato il momento in cui sono stati scoperti gli inibitori
delle proteasi, cioè questa nuova classe farmacologia e si è scoperto che per trattare questa malattia
era necessario fare questa associazione forte di più farmaci insieme. È veramente stato per noi lo
spartiacque epocale per questa malattia, perché, dal 1995 in poi, sono diminuiti i morti ed è
cambiato tutto nell’assistenza ai pazienti HIV positivi. I casi nell’Est Europeo stanno diventando
impressionanti e proprio con esso noi abbiamo una stretta connessione migratoria in questo
momento. Nel passato, i Paesi dell’Est tendevano a non divulgare certi dati “infamanti” sulla sanità,
Un altro dato importante è questo: col passare degli anni, l’età media di acquisizione dell’AIDS è
maggiore rispetto al passato e simile nell’uomo e nella donna. Questo è semplicemente per dire che
da noi spesso la diagnosi di AIDS avviene senza che il paziente in precedenza sia stato in
trattamento terapeutico e questo varia anche in funzione di quale sia stato il rischio con cui ha
acquisito l’infezione. Il tossicodipendente, per esempio, che è un paziente spesso seguito presso
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strutture, è più facile che abbia fatto dei controlli, che sia stato scoperto nella sua positività in quella
fase, quindi abbia cominciato una terapia. Mentre i soggetti che hanno preso l’infezione per via
eterosessuale, spesso non sanno assolutamente di essere a rischio, non fanno nessuna cura e tutto ad
un tratto si trovano con l’AIDS. La diagnosi di AIDS viene fatta in soggetti prevalentemente
ignoranti della loro situazione antecedente all’infezione HIV e, quindi, che non hanno fatto nessuna
terapia. I non determinati sono quelli che non si riesce a capire, interrogando i pazienti, come la
possano aver presa. In linea di massima, quello che viene detto dall’Istituto Superiore di Sanità è
che i non determinati sono eterosessuali, perché chi è omosessuale può non dirtelo o chi è
tossicodipendente può non dirtelo, però l’eterosessuale, anche se ti vuol dire tutto, è difficile che lo
possa sapere con certezza. Cioè, non sono una “categoria” gli eterosessuali. La maggioranza della
popolazione dice: io sono eterosessuale, non lo so se l’ho preso in quella maniera. Quindi
l’eterosessuale non dichiara i contatti eterosessuali. Sono gli eterosessuali promiscui quelli che
dichiarano: sì, io forse sono andato l’anno scorso con quattro prostitute. I tossicodipendenti, che qui
vedete prima del 1994 erano il 66,7 % di tutti i soggetti che prendevano l’AIDS, ora sono diventati
il 32%. Viceversa, i contatti eterosessuali, che erano l’11%, ora sono il 40%. Questo per dire che la
malattia è passata ad essere da malattia a trasmissione ematica a malattia a trasmissione sessuale,
prevalentemente di tipo eterosessuale. Un problema particolare è rappresentato dal partner
promiscuo.
Che cos’è avvenuto di cambiamenti epidemioligici in questi ultimi dieci, dodici, quindici anni? C’è
stato un aumento della trasmissione sessuale, specie eterosessuale; una riduzione della parenterale;
un aumento delle donne infette (gli emofilici erano tutti uomini perché è una malattia legata al
sesso, oppure i tossicodipendenti per via venosa erano e sono tradizionalmente e prevalentemente
uomini). Quindi lo shunt che è avvenuto verso la trasmissione sessuale ha portato a una parità di
genere; anzi, dobbiamo dire che è più a rischio la donna rispetto all’uomo nella trasmissione anche
eterosessuale, per una diversa conformazione anatomica e presenza di cellule target, come abbiamo
visto, nella mucosa vaginale rispetto all’uomo, per cui è più “ricettiva” rispetto all’uomo. Poi c’è un
aumento dell’età media (e l’abbiamo visto) e una riduzione della trasmissione verticale. Un
aumento della malattia negli stranieri: sono aumentati e sono aumentati anche gli stranieri. Malattia
nelle prostitute e questo è un dato estremamente importante nella trasmissione: un aumento delle
malattie sessualmente trasmesse. Questo, secondo me, è importante sottolinearlo, perché noi
abbiamo assistito non solo ad un aumento dell’HIV, ma ad un aumento delle MTS, cioè anche
dell’herpes e di altre malattie, specialmente negli ultimi anni. Il che significa che mentre 15-20
venti anni fa c’era stato un calo delle MTS, ora le MTS sono riaumentate. Questo sta a significare
che si fa meno attenzione, che è passato il momento di concentrarsi sul problema, la percezione del
rischio è ridotta.
Com’è questa malattia? Questa malattia è una malattia che compare così: a distanza di 3-6
settimane dal contagio, compare, circa nel 60%, 70% dei casi, una malattia acuta da HIV, quella che
si chiama solitamente una sindrome similmononucleosica, con linfadenopatia periferica
generalizzata spesso, febbre, febbricola, esantema, con varianti varie (faringite, qualche volta forme
pseudo-encefalitiche, ma sono piuttosto rare). Cioè, una forma che può essere anche estremamente
banale, anzi spesso è talmente banale che ci sfugge la diagnosi e quindi evidenzia quella parte che
neanche il paziente ricorda.
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