Martin Luther King jr. (1929-1968). L’uomo di Atlanta l loro quartier generale. Le indagini portarono all’arresto, due mesi dopo, a Londra, d Martin Luther King, leader del movimento per i diritti civili, fu ucciso il 4 aprile del 1968. Era uno dei personaggi più noti, più amati e più criticati degli Stati Uniti (Paolo Tognina) Quando Martin Luther King morì, quarant’anni fa, la sua figura, i suoi discorsi, la sua lotta nonviolenta contro il razzismo e per l’emancipazione della comunità afroamericana erano già entrate nella storia dell’America. Martin Luther King era nato ad Atlanta il 15 gennaio 1929. Suo padre era uno dei più noti predicatori evangelici battisti della città. King si formò nell’ambito delle chiese nere, una rete di comunità di fede con una lunga tradizione di impegno sociale e politico. Conclusi gli studi teologici, nel gennaio del 1954 King divenne pastore di una comunità evangelica battista a Montgomery, Alabama, il cuore del Sud razzista in cui la segregazione razziale vigeva perfino sugli autobus. E fu proprio sugli autobus di Montgomery che King condusse la sua prima grande battaglia contro la segregazione razziale, quando Rosa Parks fu messa in carcere per essersi rifiutata di cedere il suo posto, in fondo all’autobus, a un bianco. I neri di Montgomery, guidati dal pastore King, decisero di boicottare la compagnia di trasporti pubblici. Meglio andare a piedi, che subire continue umiliazioni sugli autobus, fu lo slogan di quella agitazione, duramente repressa dalla polizia. Per quasi un anno i neri boicottarono, con metodi nonviolenti, i mezzi pubblici della città. Fu una battaglia durissima contro la regola che imponeva ai neri di sedersi nel retro degli autobus e a cedere il posto ai bianchi. Ma alla fine la corte suprema degli Stati Uniti dichiarò illegale la pratica della segregazione razziale sui mezzi di trasporto pubblico. Era la prima vittoria. Ma il cammino verso la libertà, come lo definì Martin Luther King, era ancora molto lungo. Un cammino di libertà Dopo dieci anni di attività frenetiche, di battaglie, di dure repressioni, dopo avere convocato a Washington, nell’agosto del 1963, una grande manifestazione nazionale per il diritto di voto, durante la quale pronunciò il celebre discorso “Ho fatto un sogno”, Martin Luther King ottenne il Premio Nobel per la pace, nel dicembre 1964. Ma il Nobel non costituì che una breve sosta. Il movimento antirazzista riprese a marciare, nei primi mesi del 1965, ancora in Alabama, per chiedere pacificamente il diritto di voto. E ancora ci furono scontri con la polizia. Malgrado il consenso morale suscitato dal movimento antirazzista, sul fronte interno la situazione era molto tesa: la tanto sospirata legge sui diritti civili, che avrebbe concesso ai neri il diritto di voto, tardava ad arrivare. Il moderato presidente Kennedy era stato assassinato. Da molte parti si metteva in dubbio l’efficacia della strategia nonviolenta adottata da Martin Luther King. E nelle grandi città del nord cresceva il movimento separatista nero, guidato da Malcom X. Critica del militarismo L’ultima fase della vita e della lotta di Martin Luther King registrò il suo progressivo isolamento e il moltiplicarsi delle voci critiche, soprattutto di tanti moderati bianchi, delusi per la radicalizzazione della sua analisi che lo portò a intrecciare i temi della lotta al razzismo con quelli della lotta alla povertà e al militarismo. A partire dall’estate del 1965, King collocò la sua iniziativa nel quadro di una critica sempre più incisiva delle strutture del potere politico, economico e culturale degli Stati Uniti. Giungendo a parlare di una vera e propria malattia morale dell’America. Le posizioni di King subirono dei mutamenti. Tuttavia egli non abbandonò mai i principi della lotta nonviolenta. “Vi sono, in questo paese, 40 milioni di poveri. E un giorno dovremo chiederci perché. E quando ti poni questa domanda cominci a porti degli interrogativi sul sistema economico. E quando ti poni questi interrogativi, cominci a mettere in questione l’economia capitalistica. Siamo chiamati ad aiutare gli scoraggiati sulla piazza del mercato dell’esistenza, ma un giorno dovremo pur giungere a capire che un edificio che produce mendicanti ha bisogno di essere ristrutturato. Chiamatelo come volete: chiamatela democrazia, chiamatelo socialismo, ma all’interno di questo paese ci deve essere una migliore distribuzione della ricchezza per tutti i figli di Dio”. Lotta alla povertà L’iniziativa di Martin Luther King per la lotta alla povertà, è strettamente collegata a un altro drammatico problema: quello della guerra in Vietnam. Su questo tema ci fu una rottura con molti ambienti che lo avevano sostenuto nel corso della battaglia per i diritti civili. Che cosa c’entra la guerra in Vietnam con l’emancipazione dei neri americani, si chiesero in molti? “Vi è un’immediata e ovvia relazione tra la guerra in Vietnam e la lotta che io e altri abbiamo condotto in America. Finché avventure come quella in Vietnam continueranno a distruggere uomini, competenze e denaro, l’America non potrà dedicarsi alla riabilitazione dei suoi poveri. Noi stiamo mandando dei giovani neri a garantire nel sudest asiatico le libertà che essi non hanno mai trovato in Georgia o a Harlem. Parlo per i poveri del Vietnam, il cui paese viene distrutto. Parlo per i poveri dell’America che pagano il prezzo doppio delle loro speranze frustrate e della morte in Vietnam”. La rivoluzione e la fine Negli ultimi anni King allargò progressivamente il campo della sua iniziativa: dalla desegregazione ai diritti civili, quindi all’antimilitarismo e alla lotta contro la povertà. Fino a parlare di “rivoluzione nera”. Una rivoluzione nonviolenta e spirituale, ma comunque tesa a cambiare in profondità la struttura della società americana. Una rivoluzione, disse, che costringe l’America a guardare in faccia tutte le sue crepe: razzismo, povertà, militarismo e materialismo. King fu ucciso da un killer appostato a poca distanza dal Lorraine Motel, a Memphis. In quel motel gli organizzatori della marcia di appoggio agli spazzini neri di Memphis avevano stabilito ii James Earl Ray. Ray dapprima confessò di essere l’assassino di King, poi ritrattò. Riconosciuto colpevole, fu condannato a 99 anni di carcere. La sua colpevolezza fu messa più volte in dubbio. Egli stesso dichiarò di essere stato incaricato dell’omicidio da un misterioso Raoul. La moglie e i figli di King finirono per credergli, e chiesero al presidente Clinton di rilasciarlo. La teoria secondo cui Martin Luther King sarebbe stato vittima di un complotto, non è mai stata dimostrata. E James Earl Ray è morto in carcere. Guarda il filmato dedicato a Martin Luther King jr., trasmesso dalla rubrica “Segni dei Tempi” della Televisione Svizzera Italiana Leggi il testo del celebre discorso “Ho un sogno”, tenuto da Martin Luther King jr. alla marcia di Washington del 28 agosto 1963 Bibliografia Lerone Bennett, Martin Luther King. L’uomo di Atlanta, Claudiana, Torino 1998 Paolo Naso, L’altro Martin Luther King, Claudiana, Torino 1993 Cristina Mattiello, Le chiese nere negli Stati Uniti. Dalla religione degli schiavi alla teologia nera della liberazione, Claudiana, Torino 1993