Ripensare il “gay-friendly”: turismo e mercificazione della differenza

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Ripensare il “gay-friendly”: turismo e mercificazione della differenza nel centro
storico di Buenos Aires.
Dr.ssa Victoria Ayelén Sosa
Università di Milano – Bicocca
[email protected]
DRAFT PAPER
In questo draft saranno presentati alcuni spunti teorici per la riflessione sull’argomento proposto e
alcuni risultati della ricerca. Per un approfondimento del caso di studio, così come della
metodologia e del lavoro sul campo, si prega di fare riferimento al paper.
Introduzione
Il presente lavoro porta avanti e approfondisce una riflessione sullo spazio urbano contemporaneo a
partire dallo studio della relazione tra la differenza, in termini culturali, di genere o di sessualità, ed
i processi di riqualificazione urbana propri della globalizzazione neo-liberista. In particolare,
saranno analizzati gli usi (egli abusi) della differenza e la (ri)produzione di un discorso di apertura,
tolleranza e cosmopolitismo da parte dei media locali, degli operatori turistici e delle
amministrazioni politiche come strumenti di rigenerazione urbana della città di Buenos Aires.
A partire dall’analisi dello spazio pubblico come spazio “sessuato”, costruito attraverso la
normativizzazione dell’egemonia eterosessuale e l’imposizione della matrice discorsiva che la
sostiene, si cercherà, in primo luogo, di mettere in rilievo il ruolo del “corpo” nella produzione di
territorialità. Come si vedrà, le divisioni e le disuguaglianze spaziali sono determinate e riflesse in
pratiche incorporate e relazioni sociali vissute: è il corpo (in quanto base della costruzione
dell’identità) il principale oggetto delle pratiche di esclusione e dei dispositivi di potere.
In secondo luogo sarà affrontato il rapporto tra spazio pubblico e differenza nel caso della
promozione di Buenos Aires come città “gay friendly”.
La capitale argentina è una delle principali città non appartenenti al “primo” mondo a portare avanti
una chiara politica di apertura e tolleranza nei confronti della propria comunità gay. Non solo per la
vaneggiata e promozionata apertura ed il cosmopolitismo dei suoi cittadini, ma anche per una serie
di leggi progressiste e pluraliste, come la recentemente approvata legge del “matrimonio
ugualitario”, che permette il matrimonio e l’adozione da parte di coppie omosessuali. Da qualche
anno, la città è presentata come la nuova “mecca” turistica della comunità gay internazionale, con
tanto di operatori e circuiti turistici mirati esclusivamente a tale settore, così come un’ampia offerta
di commerci e destinazioni ad hoc.
Sebbene l’apertura e la tolleranza nei confronti degli omosessuali sia necessaria e auspicabile e la
messa in discussione dell’ordine eteronormativo dello spazio faccia parte di rivendicazioni di
movimenti e gruppi sociali di lunga data, in questo articolo si proporrà una visione critica del gayfriendly come “marchio” e strategia di mercato all’interno dei più ampi processi di riqualificazione
urbana. In questo senso, è significativo come l’apertura verso certe forme di sessualità non egemoni
(cioè, non eterosessuali) (ri)produca il discorso del gay-friendly senza contemplare la pluralità di
soggettività e di scelte sessuali. “Gay”, infatti, fa riferimento ad una sola forma di rapporto, quella
1
tra due persone dello stesso sesso, prevalentemente tra uomini1, lasciando da parte la più ampia
gamma di soggettività e di rapporti affettivi e sessuali tra le persone2.
Questa forma di discriminazione è particolarmente visibile nell’immaginario turistico, che non solo
si configura come una fonte di riverbero degli stereotipi sull’omosessualità, ma che sembra riorientare un nuovo modello di “omonormatività”. A questo proposito, verranno prese in
considerazione le principali rappresentazioni del corpo maschile e della virilità nell’immaginario
turistico a partire dall’analisi del discorso di guide e degli operatori turistiche che pubblicizzano o
propongono Buenos Aires come destinazione “gay-friendly”.
Spazio e differenza
La definizione dello spazio sociale implica necessariamente una definizione politica: lo spazio non
è mai neutrale, ma è continuamente solcato da linee di forza che definiscono le pratiche adatte e le
soggettività ed i corpi che ne hanno accesso. Secondo le geografe britanniche Doreen Massey e Pat
Jess, lo spazio sociale “può essere interpretato in termini di geografia dei rapporti sociali”: in questo
modo è possibile mettere in luce “sia la sua costruzione sociale, sia la sua natura necessariamente
intessuta di potere”(Jess e Massey, 2001: 189). Lo spazio definisce quindi una geografia del potere
che impone un regime di verità fondato sull’egemonia maschile, bianca, eterosessuale che definisce
i termini della normalità mentre condanna o invisibilizza l’anormalità, la differenza, l’altro (donna,
anziano, nero, omosessuale, ecc).
Le pratiche sociali proprie dello spazio pubblico sono costituite da (e contribuiscono a perpetuare)
una matrice discorsiva, ossia una “narrazione” che assegna loro precisi significati e le colloca nel
più ampio contesto sociale. Tale “formazione discorsiva” fa riferimento ad un determinato tipo di
sapere sulla società, i corpi e la sessualità, ad un limitato complesso di conoscenze, simboli e
prescrizioni, che però, una volta prodotto e diffuso, viene elevato a sapere assoluto e reso, pertanto,
indiscutibile. La relatività e la parzialità sulle quali il discorso si fonda vengono negate e una linea
netta si erge a separare la presunta normalità dalla presunta devianza.
Il corpo, in quanto luogo o localizzazione dell’individualità e della costruzione dei soggetti, è
coinvolto nelle stesse dinamiche di potere che definiscono la normatività dello spazio, separando i
corpi che “contano” da quelli che non ne possiedono i requisiti (Butler, 1996). In questo senso, il
corpo, e non il sesso, è la fonte della differenza, un processo performativo di affermazione del
soggetto.
Sostiene Linda McDowell che “while bodies are undoubtedly material, possessing a range of
characteristics such as shape and size and so inevitably taking up space, the ways in which bodies
are presented to and seen by others vary according to the spaces and places in which they find
themselves”3 (McDowell, 1999: 34). E’ chiaro, prosegue l’autrice, che le divisioni e le
disuguaglianze spaziali sono determinate e riflesse in pratiche incorporate e relazioni sociali
vissute. Un esempio di tale divisione spaziale è quello del confinamento del corpo femminile dentro
la sfera domestica (divinizzando la donna come “angelo del focolare”), e l’apertura di quello
maschile (rappresentato come più “forte” ed “efficiente”) verso la sfera pubblica.
Il corpo è inoltre un luogo conteso per l’esercizio della sovranità statale (non solo si governa sulla
popolazione, ma anche sui singoli corpi, in quanto produttivi e riproduttivi), ma anche il “luogo” di
conferma delle grandi visioni geopolitiche (si pensi alle rappresentazioni dell’“altro”, arabo,
orientale, ecc.) e delle disuguaglianze di genere nell’organizzazione sociale (che stabiliscono un
1
Sebbene in inglese la parola “gay” si usi comunemente per indicare sia gli uomini che le donne, il termine si presta a
confusione in altri contesti, per esempio quello ispano parlante ed in Italia, dove gay si usa per fare riferimento
all’omosessulità maschile, distinguendolo da quella femminile.
2
Proprio per questo, è preferibile adottare termini più pluralisti come l’inglese “queer” o l’abbreviatura LGBT
(Lesbian, Gay, Bisex, Trans).
3
“mentre i corpi sono indubbiamente materiali, possedendo una serie di caratteristiche come la forma e la misura e
quindi inevitabilmente occupando uno spazio, i modi in cui i corpi sono presentati e visti dagli altri variano a seconda
degli spazi e dei luoghi nei quali si trovano” [T.d.A.]
2
significato implicito ed esclusivo alle differenze sessuali e corporali). In questo senso, non è
difficile capire l’attenzione posta da Foucault sul “sesso” e la sessualità come elementi di
riproduzione dello status quo e di scontro politico: “i meccanismi del potere si rivolgono al corpo,
alla vita, a ciò che la fa proliferare, a quel che rinforza la specie, il suo vigore, la sua capacità di
dominare o la sua disposizione ad essere utilizzata” (Foucault, 1998: 131).
Il corpo (quello “giusto”) e la sua sessualità (in termini eteronormativi) sono dunque dispositivi
fondamentali attraverso cui si produce un territorio. Tuttavia, ogni territorio implica l’esistenza di
una territorialità e di possibili trasgressioni (Raffestin). Allo stesso modo, Doreen Massey sostiene
che i luoghi, lungi dall’essere contenitori chiusi e statici, sono in costante processo di
trasformazione, contestazione e ridefinizione (2005). E’ negli spazi vissuti, concepiti e percepiti
(Lefebvre, 1991), che si “localizzano” i processi di adeguamento o resistenza ai processi di
normativizzazione. Di questo, in relazione allo spazio urbano, ci occuperemo nel prossimi paragrafi.
La costruzione di Buenos Aires come città cosmopolita e gay friendly
Questo processo dinamico di contestazione e messa in discussione dell’(etero)normatività dello
spazio pubblico è particolarmente visibile nelle città, luogo per eccellenza dell’incontro e della
gestione della cosa pubblica. Sebbene lo spazio urbano sia un importante dispositivo di
assoggettamento e normativizzazione, così come di riproduzione delle grandi disuguaglianze
sociali, le città sono anche i luoghi dell’incontro e della solidarietà organica, della libertà e delle
grandi rivendicazioni. E’ proprio nelle città che si ridiscutono e ridisegnano i parametri della
democrazia, dove emergono i conflitti sociali, esplodono le contraddizioni del sistema capitalista e
trovano spazio le rivendicazioni delle minoranze. Non a caso, è proprio nelle città che le
rivendicazioni dei collettivi LGBT trovano un corpo (collettivo) e uno spazio (pubblico), come nel
caso del movimento condotto da Harvey Milk a San Francisco.
Tuttavia, spesso le rivendicazioni legate a nuove forme di “territorialità queer” di molti di questi
movimenti col tempo sono finite nella creazione di quartieri isolati e ben delimitati di “buone
politiche”, che non “infettano” il resto del corpo sociale (Phelan, 2001) e si costituiscono come
eccezioni che confermano l’eteronoermatività del resto del tessuto urbano. Inoltre, come sostengono
a più riprese Bell e Binnie, molti di questi spazi sono luoghi di consumo dove operano altri processi
di esclusione, come quelli basati sul colore della pelle o il genere (Bell, Binnie, 2004).
Nel caso di Buenos Aires, non esiste un quartiere con queste caratteristiche, al contrario, esiste un
tentativo di proiettare l’immagine dell’intera città come gay friendly. Tuttavia, la maggior parte dei
circuiti e dei commerci mirati ai clienti omosessuali si concentra nei quartieri più ricchi delle città
(Recoleta e Palermo) e nel centro storico (San Telmo), quartiere boheme e tradizionalmente
degradato, dove il gay-friendly costituisce un importante strumento di riqualificazione urbana e un
dispositivo discorsivo per descriverlo come pluralista e tollerante nei confronti delle minoranze.
La gayficazione della città di Buenos Aires in questi termini fa parte della rinascita urbana neoliberista, che associa e stereotipizza l’omosessualità al cosmopolitismo e alla gentrificazione di aree
degradate. L’etichetta “cosmopolita” è infatti una risorsa molto utilizzata per sponsorizzare quartieri
o circuiti gay non solo a Buenos Aires. A questo proposito, Binnie e Skeggs sostengono che “the
branding of the space as cosmopolitan is part of a strategy to make the space less threatening, hence
a more appealing and desirable space of consumption for a wider, straight community”4 (Binnie,
Skeggs, 2004).
Più in generale, l’attivazione della risorsa “gay friendly” e la riqualificazione urbana in termini di
“cosmopolitismo” costituiscono una strategia di marketing territoriale, attraverso la quale le città
contemporanee competono nel mercato mondiale per attrarre risorse, turismo o eventi. Scrive
Amendola che “la città deve rappresentarsi se non come ideale quantomeno come la migliore
possibile per vivere, per produrre per competere” (2003: 196). La città deve dunque sedurre, sia
4
“la promozione dello spazio come cosmopolita fa parte di una strategia che mira a rendere gli spazi meno minacciosi,
quindi più stimolanti e desiderabili per la più ampia popolazione eterosessuale” [T.d.A.].
3
emotivamente che discorsivamente, e proporre un’immagine adeguata ai fini del mercato e della
popolazione che intende attrarre, in questo caso, il mercato rosa del “double income no kids” (le
coppie gay e lesbiche, con doppio reddito e senza figli). Così, attraverso questa “strategia
dell’apparenza” o “dell’illusione” si crea una città immaginata: “si tratta di creare o di mettere in
valore il capitale-immagine di una città” (ibidem).
Nel centro storico di Buenos Aires, il valore simbolico del “gay friendly” funziona come un
plusvalore di mercato e come garanzia di profitto. Questa immagine si configura come un’“illusione
urbana da vendere” che associa omosessualità e un’apparente apertura verso la diversità in termini
etnici e di classe, ma che non contempla un’effettiva apertura nei confronti della pluralità di
espressioni LGBT, né nei confronti dei soggetti tradizionalmente invisibilizzati del quartiere
(principalmente gli abitanti poveri delle pensioni e gli immigrati boliviani e paraguayani). La
riqualificazione del centro storico e l’inaugurazione di un nuovo discorso sulla città cosmopolita e
tollerante è infatti accompagnata, e sostenuta, dall’espulsione e l’esclusione (dallo spazio pubblico
come dal linguaggio) di altri settori, ridefinendo sotto altri parametri ed altre etichette il diritto alla
città ed i corpi che contano.
Il turismo “rosa”
Buenos Aires è diventata nell’ultimo decennio una delle principali destinazioni del turismo gay
internazionale. Le riviste e le guide del settore coincidono nel collocare Buenos Aires tra le migliori
città gay friendly del mondo (come Out Traveller, Condé Nast Traveler, ecc.) o addirittura come la
nuova “mecca” del turismo gay, strappando tale titolo alla tradizionale Rio de Janeiro.
Secondo i dati presentati nel 2008 da Pablo de Luca, presidente della Camera di Commercio GayLesbico Argentina, durante la Terza Conferenza Internazionale di Marketing e Turismo Gay, questo
tipo di turismo rappresenta circa il 20% del totale del turismo nella città di Buenos Aires.
L’esponenziale crescita di questa attività di nicchia in Argentina si deve a diversi fattori. In primo
luogo, fa riferimento allo specifico contesto politico del paese a partire dalla crisi politica e sociale
del 2001, che ha visto una generale crescita del turismo in seguito alla svalutazione della moneta
locale, e all’inaugurazione di politiche progressiste ed ugualitarie da parte dei successivi mandati
della coppia presidenziale di Néstor Kirchner e Cristina Fernández. Gli anni dopo la crisi, infatti,
sono stati caratterizzati da un accelerato ritmo di ripresa economica, favorito dal notevole aumento
delle esportazioni e dal turismo di massa (entrambi possibili grazie alla disgiunzione della moneta
locale dal dollaro e dunque la fine del cambio 1-1 imposto durante il Menemismo). In questo
contesto, il cosiddetto “pink dollar” (definito dall’aumento del potere di acquisto di persone
omosessuali) ha avuto un’enorme influenza sul mercato turistico nazionale e sulle conseguenti
strategie di marketing. Inoltre, una serie di politiche progressiste, come la legalizzazione
dell’unione civile nel 2003 e quella del matrimonio tra coppie dello stesso sesso nel 2010 hanno
aperto un interessante dibattito sociale e sostenuto un clima di tolleranza e di rispetto.
In secondo luogo, l’aumento di questo tipo di turismo è fortemente promozionato dagli operatori del
settore, che negli ultimi anni hanno consolidato l’immagine di Buenos Aires come destino turistico
gay friendly e hanno aperto un circuito molto ampio di agenzie e prodotti mirati a tale settore.
Le motivazioni nella scelta di un destino turistico da parte dei viaggiatori omosessuali, che
sicuramente hanno a che vedere con la possibilità di esprimersi liberamente e non essere (per lo
meno esplicitamente) discriminati (Pritchard, Morgan, Sedgley, Khan, Jenkins, 2000), eccedono
questo lavoro. In questa sede, invece, si cercherà di analizzare la forma in cui, attraverso il discorso
turistico, viene costruita e riprodotta una determinata immagine dell’omossessualità, ed in
particolare del corpo dell’uomo gay.
Dall’analisi delle principali guide turistiche gay di Buenos Aires e dei discorsi tanto della comunità
locale (degli abitanti del centro storico ed i media locali) come di quella internazionale (media e
pagine web straniere) presi in esame, è possibile trarre alcune considerazioni sul rapporto tra corpo
omosessuale e immaginario turistico gay-friendly.
4
In primo luogo, l’immaginario turistico generalmente offerto al pubblico omosessuale, nonostante
scardini l’egemonia eterosessuale, sembra ri-orientare, e ad imporre tramite ripetizione, un nuovo
modello di “virilità omosessuale” egemone. In questo contesto, la questione politica riguarda come
sia in-carnato il soggetto e quali siano le relazioni di potere che sottendono e plasmano tale incorporazione. I corpi depilati, curati, provocanti, sensuali ed “ospitali”, ma anche forti, prestanti,
sani e “produttivi” delle guide turistiche gay sembrano infatti proporre una nuova materialità, un
nuovo modo per far “contare” il corpo omosessuale che finisce col riproduce la stessa logica
fallogocentrica di cui la società e lo spazio capitalista si nutre.
In secondo luogo, nell’immaginario turistico tradizionale, così come in quello preso in esame, i
corpi rappresentati assumono un significato solo all’interno dei determinati luoghi o paesaggi
“offerti”: nelle rappresentazioni delle destinazioni turistiche il luogo si in-corpora i determinati
connotati fisici ed il corpo diventa uno stimolante territorio da esplorare. Anche in questo caso,
tuttavia, l’immaginario turistico destinato al pubblico gay sembra riprodurre gli stessi pregiudizi e le
stesse grandi narrazioni geografiche del tradizionale mercato turistico. Le rappresentazioni dei corpi
maschili omosessuali delle principali guide gay esprime spesso una sguardo “orientalista” (Said,
1979) e colonizzatore dai connotati “omoerotici”. Tale sguardo riproduce a sua volta i fondamenti
ideologici ed il determinismo storico attraverso cui l’Occidente determina le caratteristiche di
luoghi e culture “altre” in forma stereotipata ed a partire dalle differenze, spesso prive di
fondamenti, rispetto ad una supposta o desiderata identità “Occidentale”.
Conclusioni
Sebbene il movimento “gay-friendly” contenga di per sé la rivendicazione di un corpo e di una
sessualità “altri” che la società moderna discrimina ed esclude, in quanto fondata sull’egemonia
eterosessuale, la produzione di spazi e circuiti gay sembrerebbe ridefinire, senza criticare, le
caratteristiche dei “corpi che contano” in opposizione a quelli che sfuggono le categorie binarie
egemoniche sesso-genere e sono, pertanto, considerati “a-normali” e “abbietti”.
Nel nostro caso di studio, il “gay friendly”, lungi dal configurarsi come un’effettiva apertura dello
spazio urbano nei confronti di pratiche e corpi altri, rimane principalmente il paradigma di una
“tolleranza di mercato”. Sebbene si siano aperti spazi dove le coppie omosessuali possano circolare
ed esprimersi liberamente e cominci a mettersi in discussione la tradizionale omofobia maschilista
argentina, questi processi sono comunque circoscritti in determinate zone o quartieri (come il
turistico centro storico della città ed i quartieri più boheme) dove il marchio “gay-friendly” viene
utilizzato per promozionare il turismo internazionale ed un discorso sulla città globale e
cosmopolita, anche se dentro le sue mura operano i tradizionali processi di esclusione urbana, nei
quali il genere, la condizione economica, la sessualità ed capitale culturale continuano ad essere
fattori discriminanti nell’accesso alla città.
Questa accondiscendenza legata al potere d’acquisto del dollaro rosa implica anche un’apertura
selettiva verso l’omosessualità, in quanto viene operata una selezione dentro la stessa comunità
LGBT, configurando un nuovo regime discorsivo omonormativo: l’apertura si manifesta solamente
nei confronti di omosessuali, preferibilmente maschi, con certe caratteristiche sociali ed
economiche (colti, classe media e consumisti). Così, si producono e circolano nuovi immaginari e
stereotipi sull’omosessualità, come quello che definisce i gay come la “classe creativa”,
cosmopolita, consumista e fedele alle mode e le nuove tendenze. Questi stereotipi si riproducono
anche nell’immaginario turistico, nel quale l’omonormatività si in-corpora e si spazializza in un
nuovo modello di “virilità omosessuale” egemone.
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