INTRODUZIONE - Le ali dello sviluppo

Spiritualità e solidarietà nel post moderno
di Luciano Nicastro - filosofo e sociologo
“La soluzione dei problemi dell’umanità
non è l’amore debole e retorico,
ma quello che l’Eucaristia ci insegna:
amore che si dà, si diffonde, si sacrifica.
(Joachim Meisner)
INTRODUZIONE - Le ali dello sviluppo
Spiritualità e solidarietà nel post moderno sembrano le coordinate di un discorso solo
religioso ma in realtà interessano strutturalmente anche la nuova laicità e il nuovo
welfare nel contesto culturale attuale. Sono forse le caratteristiche proprie del post
moderno. L’una è la radice della solidarietà. L’altra è l’approdo coerente di un cammino
virtuoso sia di ogni credente, specialmente di chi ha riscoperto che Dio è Amore e ha
trovato la via della santità nella quotidianità della società civile, che dello stesso “laico”
che è passato dall’etsi Deus non daretur alla “scommessa pascaliana” della “ipotesi
Dio” per vivere meglio in questo mondo. Costituiscono quindi le pre-condizioni
strutturali della “nuova politica” come arte della carità umana e opera di giustizia
sociale.
Il post moderno ci consegna in generale un volto “dolce” di Dio, più narrato e
testimoniato in Cristo e nella Chiesa per la salvezza del mondo, ma anche nella
religione “fai – da – te” della New Age rispetto al volto “ideologico”, duro e terribile, di
Dio tramandato dalla vecchia cristianità “forte” e omogenea. E’ una dialettica più vicina
all’uomo di un Dio Misericordioso, che smette i panni del giudice “Inquisitore e
Padrone” e accorre come Padre a cercare ed interrogare nella libertà il cuore dell’uomo
per soccorrerlo e salvarlo dalla sua disperazione e dalla propria angoscia.
Alla base del nuovo umanesimo non c’è solo quindi l’euforia prometeica
dell’individualismo rinascimentale con l’utopismo del nuovo sogno biotecnologico
della perfetta salute ma anche il bisogno “nuovo” di un Dio che si rivela nella fraternità
come “categoria” strutturale e dimensione utopica dell’intersoggettività e della religione
come principio e fattore di legami relazionali “virtuosi” nella nuova società
multiculturale e multietnica. 1 Jean Francois Lyotard nella “Condizione post moderna”,
dopo avere dichiarato la fine della modernità come età della “metafisica romantica del
desiderio” e della emancipazione “economica”, con l’esaurimento “ermeneutico” dei
“grandi racconti” (illuminismo, idealismo, marxismo) annuncia che è nata una nuova
via all’esercizio critico del pensare umano che mostra speciale interesse e sensibile
1
Luciano Nicastro, Dentro la nuova società multiculturale, Ed. SION, Ragusa 2007, pp. 180
commozione per la passione civile e per la religione dell’uomo “sociale e concreto”
come in Gianni Vattimo. Questo filosofo rifiuta il cristianesimo moderno ritenuto da lui
“nichilista” e “naturalista” in nome di un “pensiero debole” che caratterizza in generale
l’approccio “laico” alla storia, alla cultura e alla politica. Sullo sfondo c’è l’etica dei
comportamenti deontologici e teleologici, come opzione individuale privilegiata a
fondamento di una nuova spiritualità della solidarietà fondata sulla rivisitazione del
modello kantiano del giudizio riflettente dove il criterio di giustizia è il primato
dell’altro. Da questa nuova “ casa del progettare umano” parte la nuova risposta etica,
fatta di impegno politico e creatività civile. Finora essa è stata però concepita e
coniugata fra le angustie del relativismo rampante come risposta ad una paura di
secolarizzazione.
In questa ricerca ho inteso mettere in comunicazione il post moderno con la nuova
religiosità che avanza verso un Dio più vicino al cuore e non solo alla mente degli
uomini con l’etica della compassione organicamente finalizzata all’etica della
responsabilità nelle “situazioni-limite” della criticità antropologica nelle quali è
richiesta la spiritualità e l’opera del volontariato.
I - Il futuro della religione
1.1- Quale Dio nel post moderno?
Il problema di Dio è ritornato di attualità per diversi motivi storico-culturali,
sociologici e spirituali ma anche psicologici e morali legati alla diffusione con la
globalizzazione di un forte bisogno di felicità e di fiducia in relazione alla crescente
solitudine del cittadino globale e della diffusione della paura nelle città. Come ha ben
sottolineato Zygmunt Bauman, sociologo polacco e studioso della “Modernità liquida”,
la vittoria della modernità ha portato con sé il trionfo di un nuovo stile di vita tipico
della “società del superfluo” che “produce gente superflua” la quale si omologa nel
nuovo mondo del libero scambio, della libera economia, del libero consumo: Mc
Donald’s ovunque” (Zygmunt Bauman, 2005, p. 71). Noi siamo i figli del superfluo che
vivono da neo-pagani in un dilagante politeismo “sociologico” caratterizzato dalla
“scelta individuale di Dio”.
Diceva la saggezza antica: “In ogni uomo abita un dio”. Ognuno adora il suo Dio e
gli rende culto nel denaro, nelle passioni, nelle paure e nel timore, nelle angosce e nei
sogni, nelle avventure e nelle sperimentazioni dell’esistenza. Ai figli manca un Padre.
Agli uomini di oggi manca un’àncora “razionale”, centro e fondamento. La
demitizzazione con la correlativa privatizzazione del problema di Dio ha interessato, in
seguito alla secolarizzazione, anche le religioni rivelate e lo stesso cristianesimo. Ad
esempio il fenomeno della New Age esprime “bene” la notte dei tempi e la ricerca di
una luce “mistica” che emoziona e attira in una dimensione “totale” di tipo orizzontale
l’esistenza. E’ l’esito della crisi della ragione che nella “condizione post moderna”
(Francois Lyotard) ha chiuso la parabola delle ideologie e della stessa metafisica
tradizionale, con la sua dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio ed ha inaugurato il
tempo del pensiero “debole” e delle due correnti principali del pensiero del Novecento:
la filosofia analitica e l’ermeneutica che in certi contributi neo empiristici hanno
approfondito la crisi mentre in certi altri neo-kantiani hanno riproposto con il tema della
2
metafisica della finitudine (cfr. Gadamer e Ricoeur) il riconoscimento della
problematicità della esperienza e del fatto che “l’uomo non è l’assoluto” e ha bisogno
“radicale” e teleologico dell’Assoluto (Robert Spaemann).
L’età odierna della scienza, della ricerca, della tecnologia e della comunicazione dei
significati “simbolici” ha riproposto la centralità “assoluta” dell’individuo e della sua
libertà creativa come filtro di senso e di valore del sapere e del lavoro, della vita e della
morte. E’ nata così una filosofia pratica, dei sentimenti e delle buone azioni, un’etica e
una politica “relative” ispirate al rispetto dell’uomo assunto come valore non
negoziabile. La nostra non è l’età di Giobbe né dell’eroico furore di Sisifo, ma della
Shoah... Per capire questo esito bisogna ripercorrere la parabola iniziata con “la morte di
Dio” di F. Nietzsche, proseguita con la “morte dell’uomo” di Michel Foucault e
pervenuta alla provocatoria tesi di J. P. Sartre che “se l’uomo è libero, Dio non esiste” o
all’epilogo di Albert Camus dell’Homme revolté il quale descriveva il dramma
dell’uomo e la tragica dimensione della sua libertà quando notava: “Per chi è solo,
senza Dio né padrone, il peso dei giorni è terribile… Visto che Dio non è più di moda,
bisogna scegliersi un padrone”. 2
In verità la vita dell’essere umano, a tutte le età, è fatta di scelte quotidiane e, come
amava ripetere una eccezionale donna filosofo, Sofia Vanni Rovighi “le nostre scelte
sono dirette da un fine globale che ci proponiamo di fatto: sarà il piacere, la potenza, il
quieto vivere, la giustizia o altro, ma un orientamento di massima c’è sempre. Ora la
filosofia non è altro che un chiedersi la ragione di queste scelte”. 3
Il problema di Dio prima di essere una questione di fede è innanzitutto un
problema di ragione risolvibile attraverso la ragione, come pensa il senso comune e
come invece si ostinano a negare i sostenitori del “pensiero debole”. Il problema di Dio
è ineliminabile. La questione di Dio si può “rimuovere” ma non eliminare. La filosofia
“ragionevole” supporta la stessa antropologia contemporanea e la fenomenologia del
sacro sia per i credenti che per i non credenti. Vale a riguardo la saggezza del Qohelet:
“Dio ha posto ogni cosa nel suo tempo. Nel cuore umano ha posto anche il senso
dell’eterno senza però che l’uomo possa comprendere dal principio alla fine l’opera di
Dio” (Qohelet, cap. III, v. 11).
La ricerca della verità è compito di tutti: credenti, non credenti e atei e non
privilegio dei soli cristiani. Dovere ed impegno primario dei cristiani è quello di
abitare il tempo della Redenzione, rifuggendo dalla tentazione di evadere
nostalgicamente nel passato, spezzando la ripetitività sicurizzante della tradizione o la
ingenua sirena del novismo senza discernimento kerigmatico. Il vizio antico di un certo
fideismo cattolico è stato speculare a quello dello scientismo, moderno e post moderno,
ed è dato da una propria autosufficienza, presuntuosa e perciò “ideologica”. La ragione
ci porta verso “il dio dei filosofi”, antichi e nuovi.
Se oggi il pensiero debole apre alla carità “compassione” lo fa a partire da una
propria “forte” presunzione di critica “definitiva” della fede cristiana come
fondamento della carità di relazione e della trascendenza. E’ questo l’approdo della post
modernità di Gianni Vattimo, nella previsione del suo allievo Santiago Zabàla: un
cristianesimo come religione civile nel senso crociano del “perché non possiamo non
2
3
Albert Camus, Hòmme révolté, trad. it. L’uomo in rivolta, Bompiani, Milano 1968, p. 461
Cfr. “La filosofia verso la religione”, Vita e Pensiero, Milano 1977, p. 8
3
dirci cristiani” (1942) come ricerca di un Dio “minore” dopo il Dio “fondamento”
ultimo del reale, proprio della metafisica scolastica, razionalistica e assolutistica della
modernità di tipo hegeliano. La filosofia “umile” porta verso la religione, verso la fede.
Alla scoperta di un Dio Persona che può parlare al cuore dell’Uomo.
La Fede laica in un Dio depotenziato e “compassionevole” nasce come epigono della
secolarizzazione e dell’avvento, nell’età della Interpretazione, della egemonia
dell’uomo post moderno che “ha imparato a vivere senza ansie nel mondo relativo delle
mezze verità”. Questa tesi è stata proposta nel recente saggio di Gianni Vattimo e
dell’americano Richard Rorty su “il futuro della religione”. 4 In esso si celebra la
rivoluzione culturale post moderna in quanto il potere è stato sconfitto dalla cultura
“laica” degli ultimi tre secoli dal costituzionalismo che ha indebolito l’istituzione
politica, dalla psicanalisi che ne ha indebolito la interiorità antropologica e
dall’epistemologia che ha indebolito le pretese della scienza come sapere organizzativo
autosufficiente del reale a favore di una tecnica che cresce, provando e riprovando, e
riassumento il senso precario e relativo di ogni dominio. Con la presunta fine delle
metafisiche laiche e teologiche e delle loro imitazioni “secolari” è nata quindi l’utopia
della fede “debole” di stampo ermeneutico.
Orgogliosamente Gianni Vattimo sostiene che “il futuro della religione” sarà affidato
alla carità, che per lui si traduce, però, in solidarietà pragmatica e militante, a partire
dall’ascolto compassionevole degli altri uomini, ed alla ironia permanente e metodica su
di sé e sulle proprie pretese, ridotte a più modeste dimensioni perché non oseranno
pretendere di essere l’Assoluto. La tentazione attuale del neo temporalismo nasce da
una ubriacatura, autoreferenziale e presuntuosa, non sostenuta da solidi, anche se
discutibili, sistemi di pensiero di riferimento come nel passato. Il futuro della religione è
ormai nell’etica dei buoni sentimenti e dei valori “flessibili” e pragmatici. La previsione
di Gianni Vattimo è tutta qui. Dopo la lunga stagione delle norme etiche definitive,
“proclamate” di diritto naturale, e dei divieti moralistici e mortificatori della coscienza,
è nata l’alba dell’autonomia e della libertà di coscienza del credente. In questo senso
anche Cristo vien fatto diventare un predicatore ante litteram di una nuova morale
kantiana post moderna, cioè di un’etica della compassione e della speranza.
Vattimo rende omaggio al Gesù di Paolo (cfr. Lettera ai Corinzi) ma dimentica il
Dio di Gesù che è fondamento della salvezza e della follia della Croce. L’oblio della
fede in Gesù Cristo rende debole la religione e svuota il Cristianesimo del suo
fondamento “personale” e assoluto. Non si ripropone tanto l’opposizione significativa
“religione-fede” come in Dietrich Bonhoeffer ma religione “sistema” - etica della
compassione e si invita a scegliere questa ultima in nome della libertà dell’uomo. Si
riduce così Gesù Cristo, il Signore, e si secolarizza il buon samaritano della parabola a
moderno “filantropo” per amore dell’uomo e ad individuo compassionevole in nome di
un Dio “implicito”. L’Amore diventa così, non la rivelazione della natura divina, ma la
rivisitazione storica di un patrimonio religioso e culturale, una commovente legge di
civiltà senza però un fondamento storico oggettivo né una direzione di senso ontologico.
Questa operazione culturale è però un travisamento del Cristianesimo come religione
dell’incarnazione di un Dio Amore trinitario trascendente. Come diceva Papa Paolo VI:
4
Cfr. La filosofia verso la religione”, Vita e Pensiero, Milano 1977, p.8
4
“Tutto il cristianesimo è qui. Il cristianesimo è comunione della vita divina, in Cristo,
con la nostra. Il cristianesimo è appropriazione di Dio: e Dio è carità, è amore”. 5
1.2 - “Parlare l’amore”
Il “Parlare l’Amore” di Piero Balestro ha rispetto a Gianni Vattimo ben altro
spessore e ben altro fondamento, anche se parte dalla stessa crisi della cultura
tradizionale e moderna, e dal bisogno tutto “post moderno” di servire l’uomo concreto,
rispettando la verità nella carità ed il primato “sacro” della sua libertà di coscienza
rispetto ad ogni norma oggettiva ed alla stessa religione istituzione.
La crisi delle scienze europee e l’incertezza del quadro ideologico di riferimento del
quadro ideologico di riferimento nuovo cammino non apre in Piero Balestro un sentiero
forte, arrogante e presuntuoso di riedizione dell’epoca costantiniana nella vita e nella
religione, nella cultura, nella politica e nella morale ma l’età della ricerca di una nuova
via di testimonianza e di impegno comune per i credenti e i laici. (cfr. “Introduzione
all’antropoanalisi” Bompiani). E’ la via del dialogo come accettazione delle dure
lezioni della storia sia del cristianesimo che della modernità che hanno avuto luci e
ombre e sono stati costellati e riempiti di meriti e pregiudizi.
Diversamente da G. Vattimo il paradigma epistemologico di Piero Balestro non è
pregiudizialmente dualistico tra fede e ragione, soprattutto nella definizione di una
trincea morale: la personalizzazione di un codice di orientamento nella scelta sessuale e
nella pratica terapeutica. La Fede, disarmata dalle vecchie bardature e sovrastrutture
intellettualistiche, ritrova in Gesù di Nazareth, mite ed umile, la forza morale della
passione e della compassione per la salvezza integrale dell’uomo perché egli dice di
essere “via, verità e vita” e testimonia con la sua resurrezione di essere l’alfa e l’omega,
cioè il Signore della storia di tutti i tempi. La condizione della salvezza è la fede in
Cristo (“va’ la tua fede ti ha salvato!”).
Il futuro della religione da Balestro non è affidato quindi ad una fede “debole” né
irrazionale, ma ad una fede “autentica, specifica e personale”, ad una nuova
metanoia, ad un fede che è “anima” della ragione e della religione, dell’etica e della
speranza comune. Per lui solo la fede in Cristo può essere l’approdo misterioso,
coerente e disvelativo di un percorso razionale e metafisico, di relazioni profonde ed
etiche, oltre l’individualismo metodologico e l’etica della compassione. Il mistero
dell’uomo può essere in parte disvelato dalla “ragione che cerca” con la propria
costitutiva debolezza strutturale la forza del fondamento assoluto, nel volto “relativo” di
ogni conquista di territorio scientifico e tecnologico, sociale, culturale e politico
nell’orizzonte di una filosofia che si pone “oltre” l’ermeneutica della transizione e della
demitizzazione e di ogni religione “antropomorfica” o deistica” come nella “Fides et
ratio” di Giovanni Paolo II.
Balestro diceva che “il parlare l’amore” era un contemplare, ma anche un soddisfare con
la pratica delle litanie, delle benedizioni e delle “coccole” la fame di giustizia e di
resurrezione, cioè “tutta la nostra voglia di amore”. La via di Balestro richiede una
collaborazione tra la fede e la ragione teoretica, una grande fiducia nella ricerca e
nell’etica “intellettuale”, una capacità di sondare un nuovo paradigma, aperto e
dialogico, fra le due culture (umanistica e scientifica), fra i due massimi sistemi (fede e
5
Leonardo Sapienza, Paolo VI e l’Eucaristia, Libreria Editrice Vaticana 2004, p. 49
5
ragione) fra i nuovi confini della coscienza e della psiche per liberare l’uomo, nelle sue
stagioni, dall’angoscia, dalla tristezza inutile, dalla depressione, dalle fobie e dalla paura
ed anche della ubriacatura del sesso, dal moralismo prevaricatore dei benpensanti e dei
falsi direttori spirituali. E la via “di una fede amica della ricerca… per parlare l’Amore”
non è un indulgere al relativismo etico ma un camminare deciso per vie nuove in
direzioni esaltanti, in nomine Christi, verso nuove frontiere di personalizzazione e verso
nuove scoperte bioetiche al servizio dell’uomo.
Questa è la lezione di Piero Balestro, dolcissimo amico e indimenticabile
psicoterapeuta.
Si tratta secondo Jeanne Hersch di “fare intravedere l’irriducibile attraverso pensieri
chiari”.6 Irriducibile è tutto ciò che nella condizione umana non può essere ridotto ai
dati e alle leggi empiriche della natura, della psiche, della società, della religione,
dell’economia, della politica e della storia. Irriducibile è lo spirito di libertà e la
grandezza del pensiero, che sono le dimensioni costitutive della persona umana.
Irriducibile è l’Amore di Cristo e la sua trascendenza immanente. L’irriducibile o
ineffabile non può diventare il dato e l’oggetto di una evidenza scientifica, una creatura
o una proposizione del nostro pensiero né una emozione del nostro cuore, ma il
disvelamento paziente del nostro lavoro intellettuale. La malattia mortale del pensiero
debole è la pretesa “superba” della autoreferenzialità in ordine alla verità. Se fede e
ricerca si chiudono in se stesse, nell’autoreferenzialità, finiscono per spezzare ogni
fecondo e dialettico rapporto e/o per sconfessarsi a vicenda dimenticando l’esortazione
di S. Paolo nella lettera agli Efesini, quella di “vivere secondo la verità nella carità”
cercando di crescere in ogni cosa verso Cristo. Come diceva S. Francesco di Sales:
“tutto per amore, nulla per forza”. L’asse portante, il cuore di Piero Balestro, del suo
insegnamento e della sua testimonianza è dato dalla sequenza esistenziale fede-ragioneamore in circolarità dialettica diveniente. Egli scriveva: “La coscienza morale per tutti
non è un fatto statico (sia per gli omosessuali che per gli eterosessuali) ma una
liberazione dinamica. Un codice veramente comune lo si può ritrovare a livello del
<modo> con cui ogni uomo affronta la <sua vita>, è la legge morale della coscienza che
vive non nella schiavitù oppressiva del moralismo ma nel progetto di una esistenza
libera e gioiosa che include l’orientamento sessuale ed esprime al massimo, attraverso
una tensione emotiva e razionale, “le proprie doti creative nella fedeltà al dato oggettivo
che lo costituisce”. 7
Con Piero Balestro l’identità personale non è un enigma ma un “mistero sacro”, non è
un paradosso ma un progetto. L’intellettuale non è un “piffero” ma una “parola” che
aiuta a scoprire la Parola, una intelligenza “destinante” e “amante”. L’ideale
dell’intellettuale cristiano non è infatti l’accademia ma la carità intellettuale: “Fare
dell’impegno culturale una via di santità” (Giovanni Paolo II). Nel linguaggio di Piero
Balestro è il “Parlare l’amore”. Il cristiano diventa così voce e parola “storica” di Cristo
<via, verità, vita> (Giov. 14,8). 8 Noi cristiani infatti “siamo quelli dell’Amore più
grande” (Don Mazzolari).
“Deus maior est” rispetto a tutti i nostri dei , agli idoli del nostro quotidiano
commercio. Oltre l’orizzonte sociologico, dentro l’odierno “revival” della religione,
cfr. “L’ illusione della filosofia” di Jeanne Hersch (1910-2000), Bruno Mondadori, Milano 2004
Piero Balestro, Legge e libertà sessuale, Rusconi, Milano 1982, p. 119
8
cfr. L. Nicastro, Le leve dello sviluppo, Erripa, Palermo 2006
6
7
6
bisogna incontrare “in interiore homine” quel Dio che secondo S. Agostino è “intimius
intimo meo”, il più vicino tra i vicini ed il più lontano tra i lontani”.
Per questo la Prof.ssa Sofia Vanni Rovighi invitava noi suoi allievi a “cercare il vero,
non il nuovo”.
II - La lezione di Mons. Cataldo Naro
Come diceva Fabrizio De André, cantautore di Marinella e dei Miché, anche Mons.
Cataldo Naro, Sacerdote integrale, Vescovo santo e fine studioso “visse solo un giorno
come le rose”: il giorno di Emmaus a Monreale come suo Arcivescovo. “La Chiesa di
Monreale è il mio posto – aveva detto - io l’amo e per essa voglio dare la mia vita senza
riserve”. 9 E così fu.
La sua ricerca culturale era nata e si era sviluppata sulla via di un sapere storico
concreto, profondo e fecondo, di testimonianza coerente e di ripresa spirituale e
pastorale caratterizzata da una esigenza di maggiore autenticità e da un circuito di vera
amicizia per un’azione caritativa di tipo “culturale” in favore di uno sviluppo “pieno”
delle comunità degli uomini.
Così Egli concludeva la sua esistenza terrena dopo un intenso periodo di fervore di studi
e ricerche sui santi della povera gente, di quelle personalità “spirituali” emergenti nella
Chiesa italiana e siciliana tra Ottocento e Novecento quasi a voler dimostrare un
paradigma strutturale “tra santità attiva e cattolicesimo sociale e politico” anche se esse
“non sono la stessa cosa ma non si spiegano senza una loro tensione feconda” (p. 8).
Secondo lui la stessa “moderna pastoralità” non può più fare a meno di un nesso
inscindibile di spiritualità e solidarietà se si vuole essere fedeli alla Carità del Risorto.
Non a caso egli sottolineava “un cristocentrismo fatto di umile volontà di imitazione,
suggerito dall’amore al Signore Gesù, motivato da un vivo desiderio di farsi santi alla
scuola del Vangelo”. 10 “Il modello di santità dei preti della carità” era “nuovo rispetto
a quello tradizionale dell’autoflagellazione, erano “uomini di Dio” ma “il modello del
prete sociale” non era una rinuncia alla santità. Questi doveva farsi santo non attraverso
i compiti politici e sociali ma nonostante quei compiti “straordinari” che il Papa aveva
loro affidato (p. 124). Egli riferisce ad esempio che Di Francia, Dusmet e Cusumano
non erano santi secondo il modello tradizionale, erano umanamente considerati figure
sante “anche se stentavano a trovare il tempo per recitare l’ufficio” (p. 122). Le
pubblicazioni non agiografiche e non sempre irriverenti sui santi “popolari” come quelli
di Guido Cernetti su Don Bosco, Ida Magli su Teresa di Lisieux, di Bruno Guerri su
Maria Goretti o di Sergio Quinzio, che, con fine sensibilità “credente”, ha scritto sui
santi torinesi dell’Ottocento Cafasso, Cottolengo e don Bosco, hanno suscitato un certo
interesse anche nella cultura “laica” per il tema della santità anche se essa è riguardata
con attenzione più per la dimensione “sociologica” delle condizioni e delle conseguenze
sia per la Chiesa e la società che per la trascendenza di Dio e la spiritualità di
comunione. E’ il cattolicesimo “sociale” ad attirare e a conquistare ma si stenta a
cogliere in questa logica unidimensionale ed orizzontale il rapporto fondante e
costitutivo tra Cristo e la santità, tra la chiesa e la santità, tra il cristianesimo spirituale e
9
10
Cfr. “Giornootto” n. 4-5/2007, speciale n. 1
Cataldo Naro, Spiritualità dell’azione e cattolicesimo sociale, Solidarietà ediz. Caltanissetta 1989, p. 83
7
la maieutica sociale. Si accetta la Chiesa come formidabile “agenzia sociale” ma non se
ne coglie l’anima e il centro, la differenza specifica e motivante. Si ammirano i Santi
perché hanno “servito” il popolo ma ci si ferma ad essi.
Come sottolineava Mons. Cataldo Naro “questo nesso deriva dalla specificità del
cristianesimo che è data dalla stessa persona di Gesù Cristo. In Gesù Cristo il Verbo di
Dio è apparso in una figura umana… e la santità cristiana è propriamente questa
“sequela – imitazione” nella sua forma riuscita. Nel vero cristiano abita lo spirito di
Cristo”. 11 Il santo non può essere passivo e indifferente nei confronti della ingiustizia
sociale del territorio né può incarnare nelle sue opere di carità solo il seme della sua
cultura e della sua intuizione spirituale. Questo fu evidente ed esplicito nel Convegno su
“Evangelizzazione e promozione umana”, che si tenne anche a Caltanissetta con il
Vescovo Mons. Alfredo Maria Garsia nel 1976. Nel “decennale” la rivista “Argomenti”
– serie I (1986) n. 4, propone una rilettura dell’evento ecclesiale con articoli di Cataldo
Naro, Vincenzo Sorce, Sergio Mangiavillano, dalla quale emergeva una lontananza
della Chiesa dalla cultura e dalla politica nissena da colmare. 12
Cataldo Naro avvertiva la necessità di domandarsi ad esempio come Chiesa nissena se
la tematica della evangelizzazione fosse stata percepita localmente in termini di
“servizio” anziché di “egemonia” da parte di una Chiesa che, rispettando la propria
specificità, fosse capace di promuovere “dimensioni e compiti sociali e politici” al
servizio dell’uomo e dei suoi bisogni in un rapporto nuovo tra la Chiesa e la società. Il
Professore Don Cataldo Naro aveva portato avanti un intenso lavoro di ricerca sulla
storia della spiritualità sacerdotale e “laicale” e sui modelli di santità popolare nei
territori della Sicilia e dell’intero Paese. Come Vescovo arrivò a proporre nel Comitato
Nazionale per la preparazione del Convegno Ecclesiale di Verona del 2006, di cui fu
vice presidente, una collana di testimoni cristiani, i cui profili, oggetto di attento e
scrupoloso studio, venivano proposti per l’occasione come modelli di santità. Per la
Sicilia è emblematico che avesse proposto la vita semplice e la testimonianza esemplare
del giovane giudice Livatino, assassinato dalla Mafia. E’ lo stesso Vescovo di
Caltanissetta, S. E. Mons. Mario Russotto, a sottolineare nella solenne “Omelia delle
esequie”, nel Duomo di San Cataldo, questo indelebile merito culturale, spirituale e
pastorale di Mons. Cataldo Naro quando in tono dialogico ebbe a sottolineare: “Nella
Diocesi di Monreale hai animato Convegni, hai creato il Centro Studi
<<Intrecciatagli>> ma per animare la diocesi tra cultura e vita cristiana, hai proposto i
modelli di santità locale, invocati con una litania da te composta. Eri convinto che i
santi sono parola di Dio viva, ai quali bisogna accostarsi per un serio cammino di
Chiesa”. 13 E’ ancora l’ideale proposto dal grande Pontefice Giovanni Paolo II, quello
di “fare della ricerca culturale una eminente via di santità”. L’Arcivescovo Cataldo
Naro “aveva vissuto la ricerca culturale e lo studio come servizio alla Chiesa, come
servizio della Chiesa alla società” (Vescovo Mario Russotto). 14
Come ha ben scritto Luigi Rosadoni l’azione nell’ordine del temporale non è per il
cristiano una alternativa alla contemplazione ma il frutto stesso dell’amore che fa
incontrare nell’uomo il volto del Dio vivente, che fa “insaporare la terra col miele della
Cataldo Naro, Spiritualità dell’azione… , op. cit. p. 172
Ibidem, p. 203
13
S. E. Mons. Mario Russotto, Un “gigante”col cuore di bambino, Omelia per le esequie in “Il Monitore
Diocesano”, numero speciale in memoria 2006, pp. 41-49
14
Ibidem , p. 46
11
12
8
contemplazione” perché “la storia della salvezza, in qualunque sua fase, non è mai la
costruzione di un grattacielo per gli abitanti del domani: è l’avvenimento cristiano
riattualizzato da ogni credente… la contemplazione non è mai “una” vocazione, è la
vocazione stessa del battesimo”. 15 E’ l’intuizione profetica di Padre Ernesto Balducci
nel famoso dialogo con fratel Carlo Carretto a ricordare che “è la contemplazione che
porta i valori cristiani nel mondo. Non serve tanto la competenza specifica (che eppur ci
vuole)… quanto la carica contemplativa che egli porta nelle varie attività”. 16
E’ la pedagogia della comunicazione “bipolare” di cui ha parlato Padre Vincenzo Sorce
quando ha richiamato la via eucaristica della santità per tutti. “L’Eucaristia è educazione
al dialogo. E’ la celebrazione di un dialogo che parte da Dio: è lui che parla prima,
interpella, comunica e si comunica, si dona, si rivela, si manifesta. L’uomo risponde
come singolo e nel suo essere assemblea. Un popolo convocato che risponde all’appello
di Dio, dialogando con Lui. Con tutto il proprio vissuto. Con tutta la propria storia. Ed è
in questo dialogo discensionale e ascensionale che si fonda il dialogo orizzontale”. 17
Non è un caso che alla medesima scuola di spiritualità abbiano attinto Mons. Cataldo
Naro e Don Vincenzo Sorce, fraterni amici, sacerdoti nisseni della carità, testimoni di
frontiera della ricerca e della cultura come via di santità, attraverso la carità intellettuale
del pensiero e delle opere.
La Chiesa ha generato così anche in Sicilia il volontariato, lo ha benedetto e tutelato, lo
ha promosso e favorito. Lo deve proteggere e custodire “formando” i volontari alla
spiritualità della solidarietà ed alla scuola della speranza e della progettualità del bene
comune.
Come ha insegnato Paul Ricoeur “l’attitudine-persona trascende il campo economico,
sociale e culturale…” di fronte alla crisi bisogna essere pronti ad impegnarsi (sé come
un altro!) e ad affrontare “il difficile perdono”. Bisogna chiedersi “che cosa permane di
identico nel corso di una vita umana” (la dialettica medesimezza – ipseità!).
Ancora una volta ritorna la lezione di Mounier reinterpretata da Ricoeur come risveglio
della persona nei tre termini di “stima di sé, sollecitudine, istituzioni giuste” che
diventano in Sicilia e nel Mondo mete personali comunitarie. 18
Ernesto Balducci – Carlo Carretto, La santità della povera gente, ed. San Paolo 2003, pp.15-16 (già
edito dalla editrice “La Locusta” di Vicenza nel 1962 e 1963).
16
Ivi, p. 68
17
Vincenzo Sorce, Una catechesi a misura d’uomo, Solidarietà, Caltanissetta 2000, p. 81
18
Paul Ricoeur, La persona, Morcelliana, Brescia 1998, p. 46 e p. 65
15
9
“La comunità origina l’economia,
fa nascere la politica e la democrazia”
Riccardo Moro
III - Il bisogno sociale “emergente”
3.1 - Il volontariato come “stato nascente”
Se poniamo la nostra attenzione alle trasformazioni della società moderna senza
privilegiare l’economia secondo l’antico paradigma marxista del rapporto strutturasovrastruttura, senza ripetere lo schema della dipendenza dialettica della cultura, dei
valori e dei fenomeni sociali dal sistema di produzione, scopriremo in tutto il suo
spessore di novità e di criticità il volontariato nelle città.
Ha ragione Costanzo Ranci quando afferma che “il volontariato costituisce una
manifestazione moderna del senso di solidarietà” e in quanto tale è la più visibile ed
emergente contraddizione della società del denaro e della ideologia del mercatismo
perché esprime la libertà e la creatività culturale e sociale degli individui e dei gruppi. 19
Dopo la crisi delle ideologie (F. Lyotard) è forse la via maestra per costruire un mondo
nuovo dove sia possibile concretamente e veramente “Diventare persone” (Marta
Nussbaun, 2000), per i giovani “Diventare adulti in tempi di cinismo” (Carocci 2005) e
per tutti “Sperimentare la solidarietà” (Pierpaolo Donati 1997). La pervasività del
sistema neo-capitalistico di produzione e consumo di beni materiali e simbolici è un
dato oggettivo. Il condizionamento culturale e finanziario esiste ma influenza più la
costruzione sociale della devianza e del malessere che la qualità morale e autonoma del
volontariato che ad essi si oppone.
Il “fatto” della magmatica eruzione del volontariato dentro la società degli indifferenti e
della crisi dei legami aspetta di essere assunto come problema per essere descritto,
spiegato e finalizzato nel suo “universalismo particolare (Paul Ricoeur) come nuova
“utopia solidale” capace di superare sia l’individualismo neo-illuministico che la pseudo
integrazione delle differenze “separate” con la logica dei ghetti identitari come spazi di
difesa e nicchie di conservazione etnica e culturale.
Nel passato la città rendeva liberi gli uomini dalle servitù. Oggi li trasforma in uno
“sciame” di consumatori (Z. Bauman 2006) che vivono solo per lavorare. La città
“nascente” di oggi è la città dei volontari. Per certi aspetti lo scenario futuro delle città
si giocherà sulla qualità delle sue reti di relazione e di solidarietà fra gli individui e le
famiglie, fra le agenzie educative e le formazioni sociali soprattutto con l’emergere di
nuovi bisogni e l’affermarsi di nuovi diritti dopo la lunga stagione della periodica
19
Costanzo Ranci, Il volontariato, Il Mulino, Bologna 2006, p. 38
10
riproduzione sociale della devianza e della esclusione. Secondo Max Weber la genesi
economica della città, pur nella sua evoluzione di classe, l’ha qualificata nell’ottica della
produzione, del mercato e del consumo come “luogo degli affari” più che della
civilizzazione come era la città antica della polis, come centro di relazioni di prossimità
e di democrazia e non solo di economia e come bisogno di una nuova condizione
“borghigiana” dove siano possibili rapporti più umani di buon vicinato. La leva di
questo processo è stata la magmatica emersione del volontariato che è diventato più un
bisogno soggettivo di espressione che una matura necessità oggettiva di nuovi legami e
di nuove istituzioni di tutela.
E’ cambiata la città e con essa l’utopia della integrazione non solo degli stranieri ma di
tutti i cittadini, dei giovani in particolare. Ormai la convivenza “sostenibile” che apre le
porte alla inclusione riguarda tutti i ceti sociali e tutti i raggruppamenti. Non riguarda
solo gli immigrati ma anche tutti gli autoctoni, soprattutto i più giovani che rischiano di
crescere da stranieri in casa e di essere confinati in spazi sociali privatistici come il
gruppo dei pari. Il volontariato ha messo a nudo i problemi sottesi e rimossi, il ventre
della città, i meccanismi di esclusione dal diritto pieno alla cittadinanza attiva e solidale.
Lo snodo della città postmoderna non è dato quindi dall’economia ma dalla sociologia
urbana del volontariato. Una volta il senso comune era considerato una risorsa della
sociologia, ora è diventato l’oggetto di ricerca della stessa (H. Garfinkel, 1967) o come
diceva Max Weber se “ciò che è vero è la verità” il volontariato è una incontestabile e
feconda verità sociale. Esso è il network del suo sviluppo e della sua qualità e durata
etica.
“Tutto ciò che è stato fatto dall’uomo
potrebbe anche essere rifatto”.
Zigmunt Bauman
3.2 - L’incontro dei bisogni e delle reti
L’Italia è un Paese “meraviglioso” sul piano sociale con oltre 3 milioni di persone
impegnate nel volontariato (stime ISTAT!), di cui 1 milione e 100 mila sono donatori
di sangue (AVIS), con 3 milioni e mezzo di immigrati (senza considerare 1 milione e
mezzo di clandestini da inserire!). Ha un singolare welfare “sociale” dal basso,creativo e
sinergico. E’ una scuola di vita sia laica che religiosa. In ogni caso “civile” e segno di
una più piena e consapevole unità nazionale.
La prospettiva dalla quale ci poniamo assume il volontariato come la nuova
progettualità della società civile, un catalizzatore di etica pubblica e di nuova politica,
da tempo profetizzata per costruire il bene comune a partire dai mondi vitali. Il
volontariato è quindi il nuovo capitale umano in azione per allargare i confini della
solidarietà civile in tutte le sue forme.
Il volontariato essendo un’attività gratuita che nasce dentro le persone è il frutto
esplicito di una scelta di impegno che implica convinzioni antropologiche ed etiche e
sensibilità politiche che in senso lato possono essere chiamate religiose. Anche quando
nasce da spinte “laiche” sottintende come motivazione “implicita” una tensione
religiosa all’esercizio del Cristianesimo come amore del prossimo. Implica la libertà, si
sviluppa nella libertà e può essere dimesso in qualunque momento.
11
“Il volontariato moderno nasce dunque all’esterno delle comunità di tipo tradizionale.
Ne riprende lo spirito, ma lo traspone <<dentro una società individualizzata>>”,
dominata dal principio utilitaristico e dal mercato. Il volontariato diventa così
“un’azione organizzata” e sviluppata su base associativa e viene modificato da
specifiche culture civile o da credenze etico-religiose. L’organizzazione procura al
volontariato moderno <<una identità sociale>> (motivazioni, rispettabilità,
accreditamento…). Nelle “società frammentate” di oggi il volontariato costituisce
anche una fonte preziosa di identificazione attraverso cui vengono quindi condivisi ed
espressi sia valori civili che credenze etico-religiose.
Esistono nel nostro Paese 77 “Centri di servizio per il volontariato” (Csv) con 71 mila
utenti. Il bilancio del Csv 2005 tocca ormai i 237 milioni di euro. Con questo bilancio si
finanzia il funzionamento delle strutture di supporto, i progetti più innovativi e i servizi
diretti alle organizzazioni (come formazione e promozione della cultura del volontariato
tra i giovani e nelle scuole con la consulenza tecnica ed il sostegno logistico alle realtà
locali. I Csv formano “una rete” di circa 400 punti organizzati nel Paese. Il volontariato
italiano è composto di piccole e grandi organizzazioni, diverse tra loro per struttura e
approccio che hanno un sistema di circolazione delle informazioni a rete ed uno spazio
di incontro nella FIVOL (Federazione Italiana del Volontariato) a cui aderiscono tutte le
organizzazioni di volontariato. Bisogna tenere presente che “forme di lavoro precario
vengono chiamate <<volontariato>>, ha sottolineato il Ministro per la Solidarietà
sociale, Paolo Ferrero. Per questo egli ha detto che occorre ripristinare la “distinzione”
tra prestazioni gratuite e lavoro “vero e proprio” e che il “terzo settore” non può ancora
essere pensato come la via attraverso cui lo Stato “scarica i servizi facendoli fare a
basso costo”. 20
Il paradosso del volontariato consiste nel fatto che per sua natura è “reversibile”. Non
può diventare un rapporto di lavoro perché è legato alla gratuità anche se in certi casi è
assimilato ad un lavoro.
Il pianeta giovani non è solo droga, bullismo e violenza. C’è anche, e soprattutto, l’altra
faccia più autentica dei ragazzi: quella pulita, quella che non fa notizia. Sul fronte della
solidarietà è il volontariato del servizio civile. Inaugurato nel 2001 quasi in sordina con
181 ragazzi, è arrivato ora a circa 50 mila “avviati” nel 2006 e quest’anno 2007 saranno
circa 47 mila che collaboreranno a dei progetti presentati dagli Enti come la Croce
Rossa, la Caritas, la Protezione Civile, le Acli, l’Arci… Sono 30 ore di impegno
settimanale per un anno retribuite con 433 euro al mese. La fascia di età va dai 18 ai 28
anni. Quella “prevalente” va dai 24 ai 26 anni (56%) dei volontari). Probabilmente si
sceglie il servizio civile al termine della laurea triennale. Il 70% sono donne. I ragazzi
del Nord sono il 20% dei volontari, il 22% del Centro e il 57 per cento del Meridione.
500 i ragazzi che 2007 presteranno servizio all’estero. I settori di intervento sono
nell’ordine: assistenza (oltre la metà dei progetti), l’educazione e l’ambiente. 21
20
21
cfr. Avvenire, 14 gennaio 2007, p. 13
cfr. Il Messaggero, 17 febbraio 2007, p. 14
12
“Non esiste un unico pensiero di riferimento.
Ne esistono tanti quanti sono gli attori
liberi di agire”
Edgar Morin
3.3 - L’identità plurale del volontariato
Nelle società post-industriali è sorta una nuova forma di stratificazione sociale che è
stata definita “underclass” che non è più la classe operaia e non è più formata solo dalle
forme di lavoro “subordinato” ma da una condizione di esclusione da coloro che hanno
un sentimento comune di appartenenza alla precarietà e alla marginalità ed è formata dai
cittadini di periferia e dagli stranieri emarginati sia in termini non solo economici e
sociali ma anche etnici, culturali e religiosi (la riserva indiana!) che non hanno diritto
all’accesso né all’esercizio dei diritti di cittadinanza, in particolare dei diritti sociali. Per
costoro il volontariato è una boccata di ossigeno ed una speranza perché apre la società
ai diversi. Ha ragione Claudio De Luca quando precisa che “Il volontariato è azione
gratuita per l’altro”. E’ chiaro che smarrire questa peculiarità significa privare il terzo
settore della sua ontologica dimensione culturale di anticipazione dei bisogni, di
preminenza del bene comune e di attenzione alla persona in quanto tale, cioè alla sua
dimensione valoriale che ne qualifica lo scopo dell’azione e ne contrasta la deriva
utilitaristica”. 22 Se il volontariato è nato sul patologico, la sua vita moderna vive
invece della dialettica sociale della inclusione “fisiologica”. L’azione si è spostata
nell’area più vicina della prevenzione, della tutela, della promozione del bene comune e
della partecipazione democratica. Secondo il sociologo Italo De Sandre la solidarietà
come agire sociale e non solo come “sentimento compassionevole” presuppone
l’assunzione diretta della responsabilità “morale”, l’impegno in prima persona e non la
delega. Rinvia ad una concezione antropologica di tipo personalista-comunitaria (nella
quale si libera la libertà dall’individualismo egocentrico e si manifesta l’anima
relazionale dell’individuo come cittadino, come persona umana, come frater). La
solidarietà nasce da “una scelta” (cfr. Mounier, Educare alla scelta), non è una
imposizione né obbligazione istituzionale. Sono le persone che, attraverso l’educazione
ai valori, avvertono per convinzione e maturità un senso di solidarietà e scoprendo il
dovere civico della responsabilità, si impegnano concretamente non per convenienza e
calcolo, ma per un imperativo morale nella donazione di azioni altruistiche. Il
volontariato comincia dove finiscono le solidarietà obbligatorie istituzionali e
burocratiche, dove sboccia l’espressione personale e socialmente matura dei valori di
promozione sociale, cura, tutela e liberazione dal bisogno; i volontari sono donatori di
servizi disinteressati e gratuiti, rivolti non solo al bisogno degli uomini e al valore della
loro dignità trascendente ma finalizzati anche a fare “oasi di fraternità”.
La donazione è sempre un fatto “relazionale”. Essa implica in ogni caso un’assunzione
di responsabilità nei confronti dell’altro e il “riconoscimento” esplicito o implicito di
una originaria, costitutiva e virtuale fratellanza umana. Donare quindi crea una
relazione biunivoca “di attenzione, aiuto e servizio”. Mentre lega chi lo fa crea una
interdipendenza in chi lo riceve ed obbliga alla riconoscenza, veicolando la realtà di una
comunicazione di mente, cuore e azioni. Attraverso la loro attività i volontari
Claudio De Luca, Il volontariato per la formazione dell’uomo solidale, Rubbettino Edit., Soveria
Mannelli 2004, p. 7
22
13
sviluppano anche una “forma di partecipazione attiva alla società”, esprimono un
orientamento motivato e maturo alla realizzazione del bene comune.
L’azione sociale dei volontari alimenta la fiducia reciproca dei cittadini sull’esistenza
del disinteresse e dei comportamenti anche cooperativi nella Società contribuendo alla
crescita a alla diffusione di una cultura e di una prassi della solidarietà sul piano civile e
politico. Secondo Costanzo Ranci “il volontariato si colloca in una sfera intermedia tra
quella privata e quella pubblica” in una zona dove si coniugano insieme “l’intimità”
tipica delle relazioni di aiuto con la solidarietà “pubblica” dei servizi collettivi. Il
volontariato esprime una tensione a costruire “relazioni di alterità e di collaborazione
con altri cittadini”. Esiste anche la competizione tra gli Enti di volontariato, spesso
prigionieri di una visione privatistica, che mal si concilia con la logica solidaristica e
finiscono per porre la propria identità e la propria missione al di sopra di quella degli
altri e di tutto, ivi compresa la collaborazione con l’amministrazione pubblica e con le
imprese private. Per un più efficace ruolo sociale e politico le organizzazioni di
volontariato dovrebbero mettersi in rete sul piano culturale, formativo e strategico nella
interlocuzione istituzionale con enti pubblici, aziende private e mondo della
cooperazione.
3.4 - L’arcipelago del volontariato
Il volontariato in Italia rappresenta una realtà complessa sul piano dei riferimenti
culturali e dei modelli comportamentali. Ci sono valori “religiosi” come base
motivazionale dell’impegno nel volontariato di tipo religioso ed il contesto culturale è il
personalismo comunitario sul fronte delle vecchie povertà e sul fronte delle nuove
emergenze sociali (diffusione della tossicodipendenza, prevenzione del disagio
giovanile, tutela dei portatori di handicap, aiuto all’infanzia, assistenza agli anziani).
L’orizzonte culturale è lontano dalla cultura della filantropia tradizionale. Forte
centralismo degli Enti caritativi. Il volontariato di tipo “laico” nasce dai valori
dell’uguaglianza e dai diritti di cittadinanza e si esprime nell’impegno civile e nella
partecipazione sociale attiva. Il riferimento culturale è al liberalismo dei diritti come
religione civile dell’uomo ad una dimensione o al socialismo comunitario di espansione
marxista per il valore della solidarietà dei poveri.
Nella lotta alla emarginazione il volontariato è in prima fila come rappresentanza delle
categorie sociali escluse. L’impegno nasce dal riconoscimento morale del diritto sociale
degli emarginati a cambiare la qualità della loro condizione e dei rapporti sociali. I
servizi sociali sono una chance in più di reintegrazione offerta agli emarginati. La
condivisione non è solo strategia terapeutica, è un nuovo modello di welfare per una
convivenza sociale alternativa e antagonista rispetto ai codici burocratici dell’intervento
statale e a quelli assistenziali delle tradizionali istituzioni caritative.
L’impegno nel volontariato richiede non solo una scelta etica valoriale ma anche una
preparazione, una competenza, un savoir faire, un’etica professionale che viene messa al
servizio della collettività. Ormai si è passati dalla fase “pionieristica” dell’avvio di una
sperimentazione sociale ad una fase di specializzazione e di parziale
professionalizzazione dell’intervento di volontariato. Si è passati dallo spontaneismo
“iniziale” alla programmazione e strutturazione di interventi sistematici e continuativi
per dare una risposta qualificata e non contingente e parziale ai problemi sociali
emergenti e urgenti.
14
3.5 - Le ricerche sulle identità del volontariato italiano
Nelle società post-industriali è sorta una nuova forma di stratificazione sociale che è
stata definita “underclass” che non è più la classe operaia e che non è più formata solo
dalle dorme di lavoro subordinato ma dal numero dei senza diritti che hanno un
sentimento comune di appartenenza ed è formata da quei cittadini di periferia e da
quegli stranieri emarginati in termini non solo economici e di consumo privato ma
anche etnici e culturali (la riserva indiana!) e quindi esclusi di fatto dall’esercizio dei
diritti di cittadinanza in particolare dei diritti sociali. Precisa bene questo concetto
Claudio De Luca: “Il volontariato è azione gratuita per l’altro. Smarrire questa
peculiarità significa privare il terzo settore della sua ontologica dimensione culturale di
anticipazione dei bisogni, di preminenza del bene comune e di attenzione alla persona in
quanto tale, cioè alla sua dimensione valoriale che qualifica l’azione e contrasta la
deriva economicistica”. 23 Il volontariato è nato sul patologico, la sua vita moderna
vive invece della dialettica sociale della inclusione fisiologica. L’azione si sposta
nell’area più vicina della prevenzione, della tutela, della promozione del bene comune e
della partecipazione democratica. Secondo il sociologo Italo De Sandre la solidarietà
come agire sociale e non solo sentimento compassionevole presuppone l’assunzione
diretta della responsabilità “morale” e non la delega e rinvia ad una concezione
antropologica di tipo personalista-comunitaria (nella quale si libera la libertà e si
manifesta l’anima relazionale dell’individuo come cittadino, come persona umana,
come frater. La solidarietà nasce da “una scelta” (cfr. Mounier, Educare alla scelta),
non è una imposizione né obbligazione istituzionale. Sono le persone che attraverso
l’educazione avvertono per convinzione consapevole un senso di solidarietà, scoprono
un senso doveroso e maturo di responsabilità e si impegnano concretamente non per
convenienza, per savoir fair, ma per imperativo morale in un dono per un’azione
altruistica. Il volontariato comincia dove finiscono le solidarietà obbligatorie, dove
sboccia l’espressione matura di valori di promozione, cura, tutela e liberazione; i
volontari sono donatori di servizi disinteressati e gratuiti, la forma del regalo.
La prassi della solidarietà ha creato a sua volta sul campo una cultura sociologica di
riferimento al pluralismo sinergico delle varie identità del volontariato soprattutto nel
terzo settore in Italia. Fra questi studi emerge per la originalità e la novità paradigmatica
dell’approccio la bella “survey” condotta nel 2001 da una équipe del dipartimento di
Sociologia dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano diretta da Giovanna Rossi e
coordinata da Lucia Boccacin. Non mancavano nella letteratura sociologica sia
internazionale che nazionale riflessioni e ricerche sulla presenza peculiare delle
organizzazioni di volontariato a livello descrittivo o motivazionale dei volontari ma non
esisteva un’analisi contestualizzata delle loro culture e delle loro pratiche con la
identificazione puntuale del terzo settore come delle “associazioni pro-sociali, familiari,
cooperative sociali, fondazioni pro-sociali”. 24
Il rapporto tra gli orientamenti valoriali e le identità personali e/o sociali viene correlato
in modo diretto con la “mission” societaria, presente nell’arcipelago del volontariato del
nostro Paese a livello nazionale e generale ma viene anche verificato nella sua concreta
forza etica e fabrilità sociale soprattutto a livello delle comunità locali che ne
Claudio De Luca, Il volontariato per la formazione dell’uomo solidale, Rubbettino Edit., Soveria
Mannelli 2004, p. 7
24
Giovanna Rossi – Lucia Boccacin, Le identità del volontariato italiano, Vita e Pensiero Ed., Milano
2006, pp. 234
23
15
costituiscono l’utopica destinazione d’uso o il bacino sociale di utenza. Lo spazio
sociale e civile è sempre il riscontro visibile dell’ethos della solidarietà specie nella
società degli indifferenti, che è diventata multiculturale, nella quale siamo pronti ad
essere solidali solo con chi ha un capitale culturale e ci è utile. La solidarietà è diventata
organica non al bisogno ma all’utilità ed alla omogeneità etnica, culturale e religiosa.
Il tema del dono e della solidarietà era già classico nell’antropologia culturale (cfr.
“Saggio sul dono” <1924> di M. Mauss nella sua “Teoria generale della magia e altri
saggi”, Einaudi, Torino 1965). Nell’ambito della più recente ricerca sociologica il
riferimento fondamentale è relativo agli studi sul pensiero di K. Polanyi da parte di G.
P. Cella, di P. Donati (“Sociologia del terzo settore”, Carocci, Roma 1996), di M.
Ambrosiani (“Scelte solidali – L’impegno per gli altri in tempi di soggettivismo”, Il
Mulino, Bologna 2005). Resta un contributo notevole sulla complessità e problematicità
dell’azione volontaria la ricerca pluridisciplinare: “Identità e servizio. Il volontariato
nella crisi del Welfare”, Il Mulino, Bologna 1991, a cura di C. Ranci, U. De Ambrogio e
S. Pasquinelli. Per una essenziale bibliografia si trovano opportune indicazioni in
Costanzo Ranci, Il volontariato, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 117-120. Conviene
sempre consultare i Rapporti annuali della FIVOL (Fondazione italiana per il
volontariato) per un’analisi delle organizzazioni più attive e per una selezione delle
tematiche più attuali e prioritarie (www.fivol.it).
Nella ricerca di Giovanna Rossi e Lucia Boccacin viene confermata la teorizzazione di
M. S. Archer (2004) che ritiene necessaria la relazione “dialettica” tra identità personale
(personalità: IP) e identità sociale (attore: IS) ed individua nel patrimonio “interiore”
della persona e nelle “virtuose” organizzazioni di volontariato le leve del prendersi cura,
le buone pratiche “virtuali” di una società aperta e democratica, inclusiva e
coinvolgente. Secondo la prospettiva morfogenetica del volontariato delineata da Archer
(1997) il fenomeno relazionale ha una realtà propria non riducibile né alle qualità degli
individui né alle azioni pro-sociali delle organizzazioni di volontariato, ma “struttura”
un patrimonio culturale generale che dà vita all’eccedenza culturale e societaria del
fenomeno “volontariato” con la sua grande mission al cuore dello sviluppo civile. 25
“Non basta predicare i valori,
bisogna praticarne la vita”.
Roberto Volpi
3.6 - La ri-costruzione “sociale” della solidarietà
La lezione di Lévinas resta la domanda nodale perché è relativa al “volto dell’altro” che
mi interpella, cioè al rapporto tra l’esperienza associativa e il cambiamento della
identità personale. Nella ricerca sulla cultura di base dei volontari si evidenzia che essi
assegnano un ruolo fondamentale alla famiglia (44,9% degli intervistati) e alla fede
(13,5%) come principali agenti formativi di socializzazione e interiorizzazione
normativa e pongono al terzo posto per ordine di importanza le esperienze professionali
25
Giovanna Rossi – Lucia Boccacin, le identità del volontariato italiano, op. cit.
16
lavorative (13,0%) mentre le esperienze del privato sociale hanno un valore
significativo ma non prevalente (15,3% degli immigrati).
L’indice di cambiamento dell’identità personale attraverso l’esperienza associativa
elaborato da Ivo Colozzi è riportato nella fig. 9 di pag. 85 (Rossi-Boccacin, 2006). Il
risultato della ricerca è il seguente. Si può affermare che “gli orientamenti culturali dei
volontari sono caratterizzati da una spiccata sensibilità religiosa, da una maggiore
fiducia nei confronti del “mondo vitale” rispetto ai livelli formali, sia istituzionali sia
mercantili e da una decisa propensione alla solidarietà… a livello motivazionale
“personale” e “l’incidenza esercitata dall’esperienza associativa sull’identità personale
riguarda prevalentemente le reti primarie e amicali”. 26 Per quanto riguarda il profilo
socio-strutturale delle Organizzazioni di volontariato emergono “all’interno” ampia
consonanza di opinioni (68,3%), diffusa partecipazione (62,2%) e vivace dibattito su
tematiche di interesse generale mentre “all’esterno” l’84,9% è iscritto ai registri
pubblici, il 40,9% appartiene ad una realtà organizzativa di terzo settore di grande
dimensione (federazione nazionale). Poco significativi sono risultati i contatti tra le
organizzazioni di volontariato e le cooperative sociali, partiti politici locali, imprese
private, associazioni familiari. Il capitale umano è la risorsa più preziosa ed impagabile
dell’economia relazionale.
Serve inquadrare il tema del volontariato nel quadro utopico di una economia alternativa
della reciprocità e del dono nel paradigma di quella cultura della gratuità e della
globalizzazione della solidarietà che si è diffusa soprattutto con il lungo e significativo
pontificato di Papa Giovanni Paolo II°. Il volontariato a livello internazionale sta
costruendo dal locale al globale reti “nuove”, meno fragili e filantropiche e più
strutturali sia personaliste che comunitarie, attraverso il lavoro autonomo e associato di
tipo “solidale” ed esperienze di “microeconomia e microcredito” sia in Africa, America
che in Europa ed Asia che anticipano la nuova frontiera della civiltà dell’Amore e della
Pace “preventiva” e annunciano un nuovo umanesimo integrale planetario per una
nuova vita “glocale” più fraterna e universale, a quarant’anni dalla “Populorum
Progressio” di Papa Paolo VI.
“L’affermazione che il fine dell’economia sia il profitto è falsa. Fine dell’economia è
l’uomo, la promozione (e la tutela) della sua vita; il profitto è il mezzo con cui
l’economia di mercato si sviluppa”. 27 La vera democrazia sceglie il mercato ma non si
limita a lasciar fare al libero mercato;
introduce regole ordinatorie al suo
funzionamento per produrre, riprodurre e distribuire “beni e servizi” per tutti in modo
sano, efficiente e solidaristico, per includere gli esclusi attraverso la sussidiarietà dei
beni e servizi collettivi. I beni “relazionali” fanno ormai parte della nuova strategia di
difesa della persona umana, della sua libertà e della stessa democrazia, fanno parte dello
zoccolo duro “antropologico” del futuro che avanza, della vera ricchezza solida che non
può essere sostituita dalla monetizzazione “speculativa” e finanziaria. Sono il capitale
reale e pieno, in parte anche invisibile. In esso non ci sono posizioni dominanti né limiti
alla conoscenza ed alle buone pratiche di volontariato. Le Organizzazioni di
volontariato hanno acquisito il merito della testimonianza di una nuova faccia della
solidarietà.
26
27
Giovanna Rossi – Lucia Boccacin, Le identità del volontariato italiano, op. cit., p. 86
AA. VV. Per una economia alternativa, Volontariato… , EMI, Bologna 2005, pp. 240-244
17
3.7 - La ricerca della solidarietà
Altra è la solidarietà fondata sulla tolleranza e sul vecchio civismo (lasciare il posto a
sedere sull’autobus all’anziano invalido, ma non scambiare una parola con lui). Altra è
la solidarietà fondata sull’altruismo, sulla generosità, sulla capacità di anteporre la
soddisfazione dei bisogni dell’altro a quella dei propri interessi personali. Questa
seconda solidarietà nasce dal riconoscimento che “l’altro” non è solo un individuo
eguale ed anonimo ma soprattutto una persona di valore. Nel riconoscerlo come
“persona”, lo si include dentro la sfera dei propri affetti, ci si dispone ad una relazione
di sostegno, di aiuto e di promozione, di riscatto sociale. Il credente si veste dei panni
del buon samaritano. Il laico di cultura moderna indossa la divisa dell’infermiere. La
solidarietà è un prendersi cura, un caricarsi una responsabilità, un vivere per, un
camminare con l’altro nella mente e nel cuore. Un impegno di vita.
Altra è la solidarietà “volontaria” della libertà e della fratellanza, altra è quella
istituzionalizzata (il Welfare Statale!). La vera solidarietà si oppone alla delega, implica
un impegno diretto e personale. Questa economia della solidarietà supera la semplice
beneficenza il cui scopo è quello di operare una redistribuzione del superfluo mentre ora
si tratta di conquistare gli arnesi dello sviluppo (J. Bruner).
Se la solidarietà “breve” o paternalistica, tipica del volontariato della prima modernità
aveva come scopo quello di aiutare il bisognoso, la solidarietà “lunga” o pubblica tipica
del volontariato della seconda modernità ha come scopo quello di garantire l’accesso ad
alcuni beni “comuni” che costituiscono la bisaccia del cittadino, un pacchetto di talenti,
un “conto” nella banca sociale e morale da fruttificare. Questa solidarietà “interiore”,
della mente e del cuore, profetizzata dal volontariato, è tipica della vera Scuola
formativa e delle agenzie educative primarie (famiglia, Chiesa,…).
La solidarietà “militante” è per sua natura capillare e permanente e riguarda
direttamente le due dimensioni della solidarietà: quella individuale e quella “sociale”.
L’educazione deve mirare alle due dimensioni. Il valore educativo, personale e sociale,
del condividere la condizione umana nelle sue necessità quotidiane nei territori della
miseria “dove non arriva il sole del buon Dio” (Fabrizio De André). Il serbatoio
culturale ed educativo della solidarietà è la Scuola della promozione “sociale”. Come in
“Lettera ad una professoressa” di Don Lorenzo Milani bisogna riposizionare la Scuola
sulla frontiera della solidarietà strategica e non solo “a Barbiana”, ma anche nel
profondo Sud. Ci vuole una seconda “contestazione studentesca” che dal diritto allo
studio e al lavoro arrivi all’uguaglianza concreta del diritto alla vita sociale e alla
solidarietà. Serve a riguardo la formazione di una mente multiculturale e di una identità
individuale di tipo solidale. “Amore e giustizia” di Paul Ricoeur ha posto il tema della
inclusione di civiltà delle nuove generazioni. E’ emblematico che in Italia i giovani
scelgono “per far politica” il volontariato puro.
Ha ragione Lorella Cedroni quando, soffermandosi sulla questione giovanile, mette in
rilievo il passaggio nella letteratura sociologica dall’uso della categoria “gioventù” più o
meno oggettivata (gioventù bruciata, meglio gioventù…) a quella di “giovani” come
“soggetti” di trasformazione sociale e artefici di conflitto intergenerazionale, come vero
e proprio “movimento sociale”, sino alla utilizzazione della categoria di “generazione”
con cui si intendono “quei gruppi che vivono le medesime esperienze storiche e
partecipano a destini comuni” (Bettin 1999). Si è parlato di “generazione invisibile”
(Ilvo Diamanti 1999) o di “generazione inesistente” (Scalfari 1999) per sottolineare la
18
matrice intergenerazionale di certi tratti e di certe propensioni. La ricerca del 2000 e le
indagini di questi ultimi anni (P. Corbetta 1999 e D. Fruncillo 2004) hanno dimostrato
che l’astensionismo giovanile in crescita non significa semplicemente “non partecipare
al voto” ma valutare più “differente”, “autentico” e “virtuoso” il fenomeno del
volontariato che a differenza dell’impegno nei partiti e/o nel sistema più propriamente
politico rappresenta al meglio il quadro nuovo di sensibilità e di valori di cui i giovani si
ritengono portatori. La stessa indagine Censis del 2002 ha infatti dimostrato che “la
domanda dei giovani” si è indirizzata “sempre più verso un migliore assetto delle
relazioni sociali” sia a livello familiare che pubblico ed è attirata soprattutto da “criteri
di inclusione sociale e di diversificazione dell’impegno civile e politico. Le stesse
organizzazioni giovanili dei partiti della cosiddetta “seconda repubblica” hanno dietro le
spalle sia Tangentopoli che il mito dell’antipolitica e dell’antipartitismo ed hanno
incominciato a ritrovare la via del sociale e del pubblico come sbocco della condizione
“giovanile”. In questa ottica si colloca la ricerca “dal volontariato alla politica” di
Lorella Cedroni, Stefania Cosi, Roberto De Rosa, Paola Natalicchio, Studium Roma
2005, quaderni della LUMSA (Libera Università “Maria SS. Assunta” Roma), pp. 98,
che conferma le ricerche precedenti del percorso delle organizzazioni giovanili
partitiche, in andata e ritorno, sui temi della solidarietà e della giustizia sociale (cfr.
anche Boccacin 2003, Ambrosiani 2005). Nella ricerca del “Gruppo Minotauro” di
Milano (2007) i nuovi adolescenti delle mille tribù non hanno altre aspirazioni che star
bene fra di loro (64%). 28
Il volontariato annuncia la rivoluzione “silenziosa” dell’uomo solidale come ha messo
in luce Claudio De Luca (Rubbettino 2004, p. 38). E’ un esercito “invisibile” in
cammino che ha già presentato il conto alla politica perché ritrovi la concretezza dei
problemi e l’impegno non demagogico né verbale a risolverli sul fronte strategico. La
crisi delle agenzie educative nel frattempo è di ostacolo perché è fatta di mutamento
valoriale e di identità sociale che richiede un ruolo nuovo da definire a livello della
comunità locale dove confliggono conflitti di interessi e buone sinergie di bene comune.
Questo riguarda la fine di un mondo modellato sul mito dell’individuo di successo e
della competizione selvaggia e mercatistica anche a livello della socializzazione politica
e della induzione conformistica al consumo e all’individualismo esasperato dei bisogni
egocentrici.
Il volontariato può salvare dalla crisi morale e spirituale il Paese facendo crescere dal
basso integrazione e responsabilità, inclusione e solidarietà fra le persone e
collaborazione fra le istituzioni per tutelare e promuovere le famiglie popolari e le fasce
più deboli della società civile che sono i genitori, gli educatori, i giovani e gli anziani,
cioè i responsabili della staffetta valoriale fra le generazioni. Il volontariato è una forma
libera – e tale deve rimanere – di “welfare di accompagnamento” non solo per l’accesso
ai diritti da parte di chi affonda nel bisogno e cerca solidarietà di appoggio etico e
politico, ma anche una carta valoriale di orientamento e di navigazione nella società del
rischio e delle incertezze. Non si rigenera così la vecchia lotta di classe per arginare il
crollo sistemico (cfr. Roberto Volpi, La fine della famiglia, Mondadori, Milano 2007)
ma si affina la battaglia per “la riduzione” delle disuguaglianze sociali nella società
democratica della responsabilità e partecipazione. “La lotta per l’uguaglianza comincia
adesso” (Tony Blair).
28
Maria Novella De Luca, Niente politica, meglio il gruppo…, in Repubblica, 1 maggio 2007, pp. 20-21
19
“C’è più gioia nel dare
che nel ricevere”.
(Atti 20,35)
3.8 - Il volontariato come utopia della rinascita
Il volontariato come fenomeno sociale che caratterizza il “nuovo mondo occidentale” è
quello spirituale e globale. E’ sempre “un punto di arrivo per una nuova partenza”,
come diceva il convegno del 2001 della Fondazione Italiana per il Volontariato nel
quale il sociologo Achille Ardigò e il filosofo Massimo Cacciari avevano concorso a
delineare le linee guida della Carta dei valori del volontariato.
Luciano Gavazza (1997) ha attribuito al volontariato la duplice missione “di promotore
della cultura e della prassi della solidarietà e di agente del mutamento sociale” e ha
precisato le due dimensioni dell’agire diretto ad intra e ad extra quale soggetto sociale
dei singoli o dei gruppi che assicura “la gratuita presenza nel quotidiano” e la
formazione alla responsabilità e alla solidarietà dei volontari e alla mutua
collaborazione e quale soggetto politico che rimuove gli ostacoli “che generano
svantaggio, esclusione, degrado e perdita di coesione civile” (Claudio De Luca 2004).
Come è noto nella nostra Costituzione il comma 1 dell’art. 3 sancisce il principio di
uguaglianza formale tra i cittadini (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”). Mentre il comma 2 dello stesso
art. 3 sancisce il principio di solidarietà “strutturale” per realizzare “l’uguaglianza
sostanziale” (E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”).
La cultura dell’uguaglianza e della solidarietà è l’ethos condiviso (art. 2 e 3) che
riuscirono in modo mirabile i Padri Costituenti a definire in modo solenne e lapidario
come sintesi paradigmatica della nostra democrazia repubblicana e come approdo di un
lungo e tormentato dialogo tra le tradizioni culturali liberal-borghese, socialista,
cattolica e comunista.
La fine delle ideologie nel post moderno con l’avvento del “pensiero debole” e della
egemonia del relativismo ha reso più forte e attuale il bisogno teorico di quel quadro
valoriale e sul piano pratico il ruolo centrale e strategico del volontariato impegnando
soprattutto le nuove generazioni a ricostruire il nostro Paese.
Profeticamente Giorgio La Pira nel II dopoguerra diceva: “I giovani sono come le
rondini, vanno verso la primavera”. E il beato Papa Giovanni XXIII preciserà che “la
gioventù cerca un cuore che comprenda prima ancora di una luce che illumina…”.
Il volontariato rappresenta la bella stagione del paese, la nuova via della mobilitazione e
della protesta costruttiva, la voce del futuro preferibile che ci trascina e ci interroga.
“Internet” è lo strumento chiave che consente un impegno politico alternativo di
testimonianza globale del volontariato. La barriera digitale è così molto netta: mentre le
persone adulte si affidano principalmente ai giornali e alla televisione, i giovani
ricorrono ad Internet per partecipare a organizzazioni ambientaliste o a movimenti no-
20
global. Usano il web per associarsi, per elaborare nuove fonti di informazione e
organizzare dimostrazioni. E’ questo il nuovo canale dell’attivismo giovanile. 29
Il volontariato è una realtà che promette un salto di qualità della società a livello di
benessere complessivo economico ed etico perché “le politiche dell’istruzione,
dell’occupazione, del lavoro, della casa ecc. non possono prescindere dalle condizioni di
svantaggio in cui vive <<più di un terzo della popolazione italiana>>”. 30 Partire dalla
società “diseguale” per assicurare a tutti “una soglia minimale di benessere” non vuol
dire “far le parti eguali tra diseguali” come denunciava Don Lorenzo Milani “della
Scuola di Barbiana”, né garantire il minimo vitale della sopravvivenza democratica, ma
riconoscere il giusto denominatore comune di una buona qualità della vita che può
essere fruita da tutti in modo più adeguato. La deriva “neo liberista” privilegia la linea
strategica delle pensioni al minimo, della distruzione del welfare “universale con
selettività”, la fine del privato sociale, dell’anima del volontariato civile, l’inizio della
privatizzazione selvaggia dei servizi sociali del Paese.
I valori “costituenti” sono l’ethos condiviso di partenza e riguardano, sia a livello laico
che religioso, i valori primari e fondamentali, i valori di sistema, valori contingenti di
progetto e di contesto. Le polarità attorno al primato della persona, del prendersi cura,
della vita in piena salute, della democrazia come sistema della cooperazione e della
buona dialettica e competizione per una maggiore qualità del bene comune delle
generazioni.
E ciò per un debito nei confronti dei padri di ora e dei figli di domani.
Dicevano gli indiani d’America: “Sotto la terra che calpestiamo ci sono gli occhi di
sette generazioni che ci guardano, pronte a venire al mondo. Per questo i nostri passi
devono essere leggeri”.
Non c’è migliore fiaccola da consegnare né migliore aneddoto da raccontare alle future
generazioni dell’anima del volontariato moderno e della sua spiritualità e solidarietà che
nascono dalla genuina ispirazione cristiana.
“Soltanto la santità
rende perfetto il dono…”
Madre Teresa di Calcutta
CONCLUSIONE
“Casa Famiglia Rosetta” – un “Policlinico dei servizi”.
A Caltanissetta nel profondo Sud, al centro della Sicilia, nel cuore della povertà e della
Mafia nasce agli inizi degli anni ’80 l’Associazione “Casa Famiglia Rosetta”, una
struttura di volontariato promossa ed ideata da Don Vincenzo Sorce e da un gruppo di
29
30
Norris 2003 – citato da Stefania Cosi in “Dal volontariato alla politica”, Studium, Roma 2005, p. 37
Cfr. Ermanno Gorrieri, Parti eguali tra disuguali, Il Mulino, Bologna 2002, p. 67
21
suoi collaboratori. Lo scopo è sociale, culturale e politico. L’ambito è quello dei servizi
socio-sanitari, psico-sociali ed educativi. L’anima e l’ispirazione discendono dalla scelta
di servizio ai più deboli del territorio da parte della comunità cristiana. L’emarginazione
in tutte le sue antiche e moderne espressioni è il problema fondamentale, il pianeta da
conoscere, amare e servire (persone con handicap, problemi di droga, di alcool e gioco
d’azzardo, di AIDS, anziani solo, malati di mente, minori a rischio, donne in
difficoltà…). La scelta qualificante di metodo, di stile e di azione riguarda “l’approccio
globale al disagio con risposte multidiscilinari e strutture polivalenti, con professionalità
e attenzione alla centralità della persona e ai mutamenti sociali e culturali”. 31
Dall’Associazione “Casa Famiglia Rosetta” sono sbocciati da un lato le istituzioni di
alta cultura e formazione come la Fondazione “Istituto Euromediterraneo per la
formazione, ricerca, terapia e lo sviluppo delle politiche sociali” per la riqualificazione
del personale in ambito socio-sanitario e la didattica decentrata dell’ Università
LUMSA di Roma (Libera Università Maria SS. Assunta) a Caltanissetta che svolge
corsi di laurea di I e II livello per Assistenti sociali, Educatori professionali ed Esperti
del terzo settore e che è in nuce il polo universitario cattolico dell’intera Sicilia con il
suo Campus attrezzato. Dall’altro una rete ampia di servizi strutturati a convenzione
sia a livello nazionale che internazionale, nei diversi continenti, mediante i quali si
fecondano i territori di spiritualità, solidarietà e volontariato qualificato, con molteplici
centri operativi e comunità di accoglienza, di recupero, di terapia e di
accompagnamento, con più di 300 operatori, in 40 centri di servizio, per circa 1000
utenti.
Un ulteriore sviluppo a livello nazionale e internazionale con strutture, progetti e centri
di ricerca, formazione, terapia e nuova politica sociale è data dalla trasformazione
dell’Istituto Mediterraneo in “Fondazione Alessia” e dalla nascita della Scuola di
Specializzazione in somatopsicoterapia (riconosciuta nel 2004 dal MURST) e dal
Centro Studi e Documentazione “Don Giacomo Alberione” in Roma, dalla Casa
Famiglia Rosetta del Brasile (Porto Velho – Rondonia), dalla casa delle Speranze
“Mons. Cataldo Naro” in Tanzania (TANGA) per bambini e orfani, dal progetto
“LIBIA” per la formazione di operatori qualificati per prevenire e curare la dipendenza
dalle droghe.
Un albero della ricerca, della cultura dei servizi sociali e della santità “in azione” si
distende da Caltanissetta nel Mondo globale là dove c’è il bisogno dell’uomo e la sua
sofferenza, nei territori della nuova frontiera della miseria umana e dell’etica della
compassione.
E’ un movimento ideale e morale, pastorale e pratico che è nato dal cuore del
cristianesimo della Chiesa nissena e che tocca già la “perfetta letizia” dei testimoni della
speranza nel mondo globale.
La via maestra resta ancora “la ricerca al servizio della persona… attraverso i poli
fondamentali dell’etica che sono il vero bene dell’uomo e la sua libertà”, come ha
scritto il Card. Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano. 32
Associazione “Casa Famiglia Rosetta”, Guida alle attività 2005, Caltanissetta, pp. 7-12
Dionigi Tettamanzi, Uscire per le strade – la sfida di costruire il bene comune, Mondadori edit. Milano
2006, pp. 39-49
31
32
22
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Maria Novella De Luca, Niente politica, meglio il gruppo…, in Repubblica 1 maggio
2007
23
SOMMARIO
Spiritualità e solidarietà nel post moderno ....................................................................... 1
di Luciano Nicastro - filosofo e sociologo ................................................................... 1
INTRODUZIONE - Le ali dello sviluppo ...................................................................... 1
I - Il futuro della religione .............................................................................................. 2
1.1 - Quale Dio nel post moderno? ............................................................................... 2
1.2 - “Parlare l’amore”.................................................................................................. 5
II - La lezione di Mons. Cataldo Naro ............................................................................ 7
III - Il bisogno sociale “emergente” ............................................................................. 10
3.1 - Il volontariato come “stato nascente”................................................................. 10
3.2 - L’incontro dei bisogni e delle reti ...................................................................... 11
3.3 - L’identità plurale del volontariato ...................................................................... 13
3.4 - L’arcipelago del volontariato ............................................................................. 14
3.5 - Le ricerche sulle identità del volontariato italiano ............................................. 15
3.6 - La ri-costruzione “sociale” della solidarietà ...................................................... 16
3.7 - La ricerca della solidarietà ................................................................................. 18
3.8 - Il volontariato come utopia della rinascita ......................................................... 20
CONCLUSIONE ............................................................................................................ 21
“Casa Famiglia Rosetta” – un “Policlinico dei servizi”. ................................................ 21
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ................................................................................ 23
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Luciano Nicastro è nato a Ragusa nel 1942, laureato in Filosofia alla Cattolica di Milano e in Sociologia
all’Università degli Studi di Urbino, è stato per molti anni professore di filosofia e storia al Liceo Scientifico “E.
Fermi” di Ragusa.
Filosofo e sociologo di orientamento “mounieriano”, si è formato alla scuola metafisica di Gustavo Bontadini,
Sofia Vanni Rovighi e Virgilio Melchiorre.
Ha approfondito la sociologia della Scuola e dell’educazione con Marcello Dei e Luciano Benadusi come via per un
nuovo personalismo comunitario e per un moderno riformismo “metodologico”.
Docente di antropologia filosofica presso l’Istituto Teologico Ibleo di Ragusa e docente di Sociologia delle
Migrazioni alla LUMSA di Caltanissetta.
Già Consigliere Nazionale delle Acli.
Fa parte dell’Associazione “Antichi Studenti dell’Augustinianum” (Collegio Universitario della <Cattolica> di
Milano).
Ha pubblicato un libro di filosofia contemporanea su “La rivoluzione di Mounier” (Thomson, Ragusa 1974), un libro
di sociologia dell’educazione politica “La politica, una passione inutile?” (Itaca, Ragusa 2001), un libro di psicopedagogia contemporanea su “L’antropoanalisi di Piero Balestro” (Rubbettino 2004), un saggio di antropologia
filosofica e cristiana “Quo vadis? - una moderna lettera a Diogneto” (CESi – CMBP, Palermo 2003, pp. 74-159),
una ricerca su “Fede e laicità: tra fondamentalismo e insignificanza” (MEIC, Ragusa 2004), un libro di sociologia
del lavoro “La vera nuova frontiera: Scuola, Lavoro, Welfare” (Erripa – Centro Studi “Achille Grandi”, Palermo
2004), un saggio di sociologia dell’educazione “Nascita della tecnogioventù” (Mimì Arezzo editore, Ragusa 2004),
un saggio di sociologia politica “Il sentiero di Mounier” (Mimì Arezzo editore, Ragusa 2005), un saggio di filosofia
politica “Il sentiero di G. La Pira”, MEIC Caltanissetta 2005, un libro di filosofia e di sociologia politica “Il
socialismo <bianco> - la via di Mounier”, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, un libro di sociologia delle
migrazioni “Fratello immigrato – verso una sociologia della integrazione” edi-Argo 2006, un libro di sociologia
dell’educazione politica “Nuova laicità e cittadinanza spirituale, Ed. SION, Ragusa 2006, un libro di sociologia
politica “Oltre il liberalismo – il sentiero di Mounier”, EdiArgo 2006, un libro di sociologia dei processi culturali
“Le leve dello sviluppo”, Erripa, Palermo 2006, un libro di sociologia dell’educazione “Dentro la nuova società
multiculturale”, Ed. SION, Ragusa 2007, oltre a numerosi articoli.
25