17 LUGLIO Corso interattivo di Dermatologia Psicosomatica

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Dermatologia Psicosomatica. Quando la collaborazione tra specialisti aiuta il paziente
Si è svolta presso l'ASL TO1 di Torino una giornata di formazione organizzata congiuntamente dalle branche
di dermatologia e psicologia. L’evento ha chiuso un percorso durato due anni è che è servito per definire la
possibilità di una collaborazione diretta tra dermatologi e psicologi per quei pazienti che presentano una
forte componente psicosomatica nel loro disturbo.
Prima di presentare una sintesi dei temi emersi, ci sembra importante segnalare le novità metodologiche
del corso. Con questo si conclude infatti un percorso di due anni per definire la possibilità di una
collaborazione diretta tra dermatologi e psicologi per quei pazienti che presentano una forte componente
psicosomatica nel loro disturbo.
Gli obiettivi erano di favorire l'invio diretto tra branche specialistiche, individuare competenze
specialistiche di II livello per la presa in carico di bisogni specifici tra i pazienti. Ad esempio training
autogeno per situazioni di ansia, gruppi di skill training per la gestione di situazioni con ricadute sul sociale,
sostegno individuale per le situazioni psicologiche più delicate.
Al momento, la mancata assegnazione di ore del fondo aggiuntivo e la difficoltà differenti sistemi di presa in
carico (sistema di prenotazioni regionale dei medici vs. competenze territoriali degli psicologi) hanno
impedito al progetto di decollare, ma l'elevata partecipazione al corso di personale di tutta la provincia,
appartenente a svariate categorie professionali e a diverse aree cliniche, dimostrano come questi temi
siano di forte attualità e interesse.
L’abstract del corso. A cura di Alberto Taverna (psicologo) e Mariella Fassino (dermatologa) specialisti della
Asl To1 di Torino.
Lo studio delle malattie della pelle, forma professionisti che con i pochi segni costituiti dalle “lesioni
elementari”,e il supporto di acquisizioni provenienti da specialità di confine come: l’allergologia,
l’immunologia, l’endocrinologia, l’istopatologia, riescono a classificare, riconoscere e curare gran parte
delle patologie cutanee.
Dagli inizi del ‘900, la dermatologia, come la medicina più in generale, ha fatto grandi passi verso il
cammino della conoscenza e dell’etipatogenesi, così come la ricerca ha messo a disposizione dei
professionisti mezzi sempre più efficaci nella cura e nella diagnosi delle malattie cutanee.
I fattori esterni, infettivi, ambientali, allergici, i fattori interni legati alla genetica e al funzionamento di altri
organi o apparati, costituiscono materiale di studio e approfondimento scientifico. Tutto ciò che il
ricercatore può osservare attraverso il paradigma scientifico di origine deterministica e meccanicistica, che
intende il rapporto di causa-effetto in senso lineare è oggetto di indagine e dibattito in seno alla comunità
scientifica dei dermatologi.
Questo approccio al problema delle patologie cutanee ha portato progresso nella diagnosi e nella cura e ha
migliorato sotto molti profili la qualità della vita dei pazienti.
Tuttavia le malattie dermatologiche restano ancora difficili da curare, perché sono molto spesso croniche,
recidivanti, non sempre responsive alle terapie, fastidiose da gestire nella quotidianità, difficilmente
occultabili, evocanti talora immagini di stigmatizzazione e colpa. Inoltre la cura della pelle, che si tratti di
una patologia o di problemi legati all’immagine corporea, come il bisogno di avere un aspetto giovane, sano
e attraente, crea nelle persone bisogni e aspettative che si traducono in altrettante richieste rivolte al
dermatologo e alla sua professionalità.
Per questi motivi i pazienti che giungono negli ambulatori dermatologici sono molto spesso persone
esigenti, sofferenti, diffidenti o difficili da accontentare con le quali è faticoso stringere un rapporto di cura.
Anche quando il professionista tenta di ignorare gli aspetti emotivi e relazionali dell’incontro e di
minimizzarne l’ansia, la sofferenza, l’impotenza, la rabbia,percepiti nel corso dell’incontro clinico, questi si
ripropongono causando nel medico sentimenti uguali o contrari, e nel paziente sfiducia e talora rancore
verso il professionista e l’istituzione sanitaria.
Il paradigma scientifico di tipo lineare, in effetti ignora o confina in uno spazio angusto l’influenza che le
EMOZIONI, gli AFFETTI e quindi la PSICHE esercitano sullo stato di salute, attribuendo a queste inafferrabili
componenti dell’uomo un ruolo del tutto marginale e non sufficientemente tangibile e concreto, non tale
comunque da assumere rilevanza e valore scientifico, se non in aspetti marginali legati talora allo studio e
alla valorizzazione della qualità della vita dei pazienti.
Nella cura delle malattie dermatologiche si rende dunque necessario l’utilizzo di un approccio alla persona
di tipo bio-psico-sociale. Tale modalità di cura è stata teorizzata dagli inizi degli anni ’80 da Gorge Libman
Engel, e valorizza le differenti componenti dell’essere umano: quella biologica con gli organi, gli apparati e i
sistemi che si radicano nel corpo, la psiche con le componenti cognitive ed emotive che formano la
soggettività dell’uomo e infine le componenti sociali che lo inseriscono in un contesto.
Il medico è molto spesso sollecitato non solo a proporre strategie efficaci di cura, ma anche a dare un
senso, a scoprire le cause delle malattie, a indagare con i mezzi offerti dalle metodiche di laboratorio, le
“possibili cause organiche” della malattia da cui è affetto il paziente. Tuttavia per molte patologie
dermatologiche, soprattutto quelle a carattere cronico e recidivante le indagini di laboratorio convenzionali
non aiutano il clinico a individuarne e riconoscerne le cause.
Il paziente tuttavia vuole conoscere, pare cercare nel medico delle risposte e delle certezze che non
sempre riescono ad essere esaustive. Il ricorso ad invocare lo”stress” come pas-partout per giustificare gran
parte delle malattie dermatologiche ad etiologia incerta sia da parte del medico che del paziente, seppur
molto in voga, testimonia le difficoltà a capire e a dare un senso a un’esperienza della vita che coinvolge
visibilmente ma apparentemente la sola superficie del corpo.
La dermatologia ,come specialità della medicina che si occupa della superficie dell’uomo,non fa eccezione
all’approccio basato esclusivamente sulle evidenze morfologiche e patogenetiche delle malattie, e a una
ricerca clinica che tendendo a separare la psiche dal corpo,ne mantiene la scissione.
Dunque il dermatologo si trova per lo più impreparato a gestire gli aspetti affettivi della visita. Le emozioni
e i sentimenti che il paziente porta insieme ai sintomi cutanei, sono percepiti come una seccatura alla
quale è difficile sottrarsi. Il suo apprendistato da autodidatta lo sollecita all’ acquisizione di uno stile
relazionale che può funzionare e reggere alle difficoltà e agli imprevisti del mestiere,ma che si costruisce
attraverso errori e incertezze e che di fronte alle situazioni di sofferenza, aggressività, al debordamento,
alla cronicità, alle difficoltà di comunicazione del paziente lo costringe talora a sviluppare energiche
strategie di difesa,o a utilizzare comportamenti collusivi non sempre salutari sia per il paziente che per il
medico.
L’approccio bio-psico-sociale presuppone la capacità da parte del professionista di tenere insieme le
differenti variabili della persona, questo può avvenire a livello clinico nell’incontro tra medico e paziente o a
livello istituzionale dove l’ambulatorio o l’ospedale mettono a disposizione del paziente un’equipe di
curanti: il dermatologo, lo psicologo, lo psichiatra , il neuropsichiatria infantile, l’infermiere formato alla
relazione, l’assistente sociale. Il passaggio da una competenza all’altra non è sempre fluido ed agevole per
motivi legati al dislocamento delle risorse umane in strutture talora lontane e per le differenze di
linguaggio tra professionisti afferenti a ambiti culturali disomogenei.
Nel corso della visita dermatologia il medico dovrà sondare alcune peculiarità del paziente che
costituiscono un fattore predittivo verso l’esito del suo intervento diagnostico-terapeutico come ad
esempio la capacità di affidarsi, di trarre dall’incontro clinico benefici e spunti di cura e guarigione. La
capacità di affidarsi richiama le relazioni precoci e il concetto di buoni oggetti interni, intesi come il residuo
di trascorse relazioni affettive che hanno lasciato una traccia di affidabilità, comprensione, amore e che
rimandano alla possibilità da parte del paziente di stabilire un’alleanza terapeutica con il curante. La pelle è
come sappiamo, un organo precocemente coinvolto negli scambi relazionali ed affettivi, che conserva
molto spesso le tracce e le qualità di questi scambi. La comparsa, la riacutizzazione e cronicizzazione di
molte malattie dermatologiche ripropone il tema delle cure parentali precoci e dell’affidabilità, intesa come
possibilità di reperire nel curante lo stesso atteggiamento di rispetto e comprensione richiesto a un
genitore capace di esercitare queste funzioni.
La pertinenza di un INVIO ai colleghi dell’area psichiatrica è un problema che nel corso della visita medica
può presentarsi alla mente del clinico come possibilità ipotetica o più realistica e percorribile . Molto spesso
il medico è sollecitato a soddisfare un bisogno di maternage e contenimento, altre volte si impone un
atteggiamento normativo e paterno. Quasi sempre il clinico si deve far carico degli aspetti più regrediti del
paziente, che si ripresentano insieme alla patologia e che si attivano e ipertrofizzano nelle situazioni
emotivamente difficili. Se consideriamo il sintomo come una risorsa della personalità per far fonte alle
difficoltà della vita, sarà opportuno non forzare l’invio, giocare di rimessa e aspettare,che si presenti il
momento propizio per prospettarne l’eventualità. In questi casi comunque si presenta la difficoltà di creare
una rete di professionisti che parlino un linguaggio condiviso e in cui le impressioni suscitate nel
dermatologo possano essere descritte in modo differente da una semplice diagnosi di stampo strettamente
classificatorio. Sarebbe auspicabile l’acquisizione di una modalità descrittiva che tenga conto dell’approccio
psicodinamico alla realtà del paziente,con la quale poter comunicare con i colleghi psichiatri e psicologi.
Il materiale osservato nel corso della visita può, attraverso l’atto della “RESTITUZIONE”essere condiviso con
il paziente. La restituzione è l’elaborazione, la formulazione, la condivisione con il paziente di pensieri e
strategie sollecitati dall’incontro clinico e originatesi dai bisogni,dalle domande,dalle aspettative percepite.
Il medico dovrà porgere con tatto gli elementi emersi dall’incontro ed elaborati dalla sue competenze
cliniche ed emotive cercando di trasformare l’atto medico in atto terapeutico.
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