Comun inter_1,2,3

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Università degli Studi di Ferrara
Psicologia di Comunità (modulo)
a.a. 2011/2012
Comunicazione interculturale
Prof. Marcella Ravenna
Interrogativi di sfondo al Corso
In che modo possiamo avviare un dialogo con
persone di un’altra cultura che non provochi imbarazzi
e fraintendimenti?
Come possiamo stabilire relazioni che risultino
soddisfacenti per entrambe le parti?
Qual è stata la storia e come si caratterizzano
attualmente i rapporti fra europei e immigrati di
religione islamica?
Argomenti Cap.1
Il concetto di cultura
I tipi di culture
Le funzioni della cultura
Comunicazione interculturale e processi
soggiacenti
Cap. 1 - Il concetto di cultura
CULTURA
è un sistema di significati condiviso da un gruppo
sociale che si è accumulato nel corso di
generazioni come prodotto dell’attività umana
Sul versante soggettivo essa consiste nel bagaglio
di credenze, atteggiamenti, definizioni di sé,
norme, ruoli e valori che derivano
dall’appartenere ad una data cultura (Mucchi Faina,
2006)
Cap. 1 - Il concetto di cultura
Le espressioni di una cultura consistono in istituzioni
sociali quali:
- la scuola
- il sistema legale e politico
- la religione
- la famiglia
Tali istituzioni contribuiscono a mantenere una data cultura
tramite le influenze che esercitano sugli individui nel corso
dei processi di socializzazione
Cap. 1 - Il concetto di cultura
Ogni cultura svolge 2 importanti funzioni in quanto
fornisce al singolo:
• un’insieme di conoscenze (aspetto cognitivo)
• una guida per i comportamenti (aspetto prescrittivo)
Le differenze tra culture nascono proprio da quella
parte di conoscenze e di prescrizioni che non è
condivisa, che distingue un gruppo culturale dall’altro
Una CULTURA è un universo fluido, in continuo
cambiamento, ove conoscenze e comportamenti
condivisi possono decadere e altri possono prenderne
il posto
Cap. 1 - Il concetto di cultura
Gli elementi che compongono la
cultura soggettiva si organizzano attorno a temi centrali o
“sindromi culturali” (Triandis, 1996) caratterizzati dal grado di:
a)
b)
rigore-permissività
attività-passività
sollecitati e richiesti da una particolare cultura, in rapporto
a:
importanza accordata ad aspetti strumentali (eseguire
un compito) o espressivi (curare relazioni sociali)
sopprimere o esprimere le emozioni
Cap. 1 - Due sindromi culturali: individualismo e collettivismo
(Triandis, 2003)
CULTURA INDIVIDUALISTA
Le persone tendono a:
1)
2)
3)
4)
Riferirsi al sé individuale ed a pensare a se stessi come individui
autonomi e indipendenti dal proprio gruppo
Dare priorità ad obiettivi individuali
Utilizzare gli atteggiamenti come guida per i loro comportamenti sociali
Prestare attenzione ai propri bisogni personali e trascurano le relazioni
sociali poiché pensano di non ottenerne benefici
Chi è cresciuto in una cultura individualista:
a)
b)
c)
Tende ad essere più attento agli individui ed ai processi interni agli
individui (atteggiamenti, credenze)
Usa abbondantemente i pronomi “io”, “tu”
Considera l’unicità come un valore saliente
L’individualismo è presente nelle società complesse e permissive.
In quelle occidentali l’unicità è considerato un valore importante
Cap. 1 - Due sindromi culturali: individualismo e collettivismo
(Triandis, 2003)
CULTURA COLLETTIVISTA
Le persone tendono a:
1)
2)
3)
4)
5)
Riferirsi al sé collettivo (che deriva dall’appartenenza ad un gruppo)
Pensare al rapporto fra sé e il gruppo (famiglia, correligionari, nazione) in
termini di interdipendenza
Dare priorità agli obiettivi ed ai bisogni del gruppo rispetto ai propri
Adattare i propri comportamenti più sulle norme del proprio gruppo (vedi
slide 6) che sui propri atteggiamenti
Concepire i rapporti sociali come basati sulla comunanza di intenti e di
modi di sentire (piuttosto che sullo scambio)
Chi è cresciuto in una cultura collettivista
a)
b)
Tende a prestare attenzione ai gruppi, ai ruoli, alle norme, ai doveri ed alle
relazioni intergruppi
Usa raramente i pronomi “io”, “tu”
Il collettivismo è presente nelle società meno complesse e più rigorose.
Nelle culture orientali mentre il conformismo è visto come un fattore di armonia, la
devianza è vista negativamente
ARMONIA
SENSO DEL DOVERE
Cap. 1 - Le norme sociali
Le NORME sono credenze socialmente condivise
su come le persone dovrebbero comportarsi in
specifiche situazioni e guidano i pensieri e le
condotte delle persone
Norme prescrittive:
prescrittive ciò che la maggiore parte delle persone approva o
Disapprova (o ciò che dovrebbe essere):
norma dell’ obbedienza “si deve obbedire agli ordini di un’autorità legittima”
norma della responsabilità sociale “si devono aiutare coloro che sono in difficoltà”
Norme descrittive:
descrittive ciò che la maggiore parte delle persone fa (o ciò che è)
“Se tutti fanno, pensano o credono questa cosa, allora questa deve essere una
cosa sensata da fare, da pensare o in cui credere
Cialdini et al., 1991
Cap. 1 - Le norme sociali: percepire una violazione
Quando siamo convinti che certe azioni siano comuni ed accettate
nella nostra cultura, tenderemo a spiegare il comportamento che non è
comune in base alla nostra prospettiva.
Percepire una violazione delle norme
socialmente condivise:
è uno dei fattori più importanti che induce a prendere le distanze e a
rifiutare i gruppi minoritari
ed è anche uno dei criteri dominanti nelle rappresentazioni di questi gruppi
Ci convinciamo, cioè, che i membri di una minoranza
abbiano uno stile di vita ed una mentalità che devia dagli
standard condivisi.
Le differenze percepite sono definite e presentate come anormali
Cap. 1 - Individualismo e collettivismo come variabili di personalità
Se la cultura esercita notevoli influenze, esiste però un margine di
autonomia per l’individuo.
Individualismo e collettivismo non sono infatti solo due sindromi
culturali ma sono anche due variabili di personalità che corrispondono
a: idiocentrismo e allocentrismo
Ciò significa quindi che sia nelle società individualiste che in quelle
collettiviste le persone possono mostrare una tendenza del primo o del
secondo tipo.
Va inoltre considerato che se le persone tendono in genere a
rispondere agli stimoli ambientali in modo coerente con la loro cultura,
possono però essere influenzati dalla specifica situazione
Cap. 1 - Influenze situazionali su individualismo e collettivismo
Tendenza all’individualismo si intensifica quando:
a)
Le altre persone presenti si comportano in modo
individualista (rendendo saliente la norma
dell’individualismo)
b)
La situazione induce l’individuo a focalizzarsi su ciò
che lo differenzia dagli altri
c)
Il compito è competitivo
Cap. 1 - Influenze situazionali su individualismo e collettivismo
Tendenza al collettivismo si intensifica quando :
a)
Quando il proprio gruppo è minacciato
b)
L’individuo sa che la maggiore parte delle altre persone presenti
sono colletiviste (prevale la norma sociale del collettivismo)
c)
L’appartenenza al gruppo è saliente (è delegata a rappresentare
la propria università)
d)
La situazione enfatizza gli aspetti che i membri di un gruppo
hanno in comune (obiettivi)
e)
La situazione enfatizza la comune appartenenza (stessa divisa)
f)
Il gruppo è impegnato in un compito che richiede cooperazione
Cap. 1 - Cultura ed etnia
ETNIA o GRUPPO ETNICO
Si basa sul riferimento ad una comune
origine geografica (Cesareo, 2000)
Le specificità (o differenze) culturali possono quindi
derivare sia dall’etnia, che dalla religione, dall’ideologia o
da fattori quali l’età, il genere, lo status socioeconomico
Le differenze interculturali possono quindi essere sia
interetniche, sia intraetniche (si pensi a: cultura cattolica,
cultura liberale, cultura giovanile, ecc.)
Cap. 1 - Comunicazione e comunicazione interculturale
La COMUNICAZIONE è un processo in cui
vengono scambiate informazioni tra due o più
persone in modo da raggiungere una
comprensione condivisa degli oggetti del mondo
La COMUNICAZIONE INTERCULTURALE è uno
scambio di informazioni tra persone che
appartengono a gruppi o categorie sociali
portatori di culture almeno in parte differenti,
ovvero che non condividono lo stesso sistema di
significati
Cap. 1 - Comunicazione e comunicazione interculturale
a) L’analisi che proponiamo
considererà tre aspetti cruciali
che influenzano la
comunicazione interculturale:
PERCETTIVI
VALUTATIVI,
COMPORTAMENTALI
b1) Considererà in specifico i
processi fondamentali che
entrano in gioco in ciascuno
di questi aspetti:
1) Costruzione della realtà (a cui
concorrono sia le esperienze
individuali, sia l’esperienza e il
consenso sociale)
2) Influenza reciproca fra individuo
e contesto sociale (gruppo)
b2) I modi in cui si sviluppano tali processi dipendono dal tipo di
motivazioni (desiderio di comprendere in modo accurato il mondo intorno a noi,
di essere in relazione con gli altri, di mantenere un’immagine positiva di se
stessi); e dai processi cognitivi che prevalgono in una data situazione
(conservatorismo, accessibilità, profondità dell’elaborazione, vedi slide 16)
Cap. 1 - Comunicazione e comunicazione interculturale
Conservatorismo:
Conservatorismo resistenza a cambiare le proprie
rappresentazioni mentali ed i propri modelli di azione
sociale, una volta che l’individuo li ha costruiti e/o li ha già
impiegati
Accessibilità: le informazioni che ad un dato momento sono
disponibili in memoria, esercitano notevole influenza sulla
percezione e sui giudizi su noi stessi e sugli altri
Profondità dell’elaborazione:
elaborazione i nostri giudizi e comportamenti
possono basarsi su euristiche e schemi (pensiero
spontaneo)
spontaneo o su processi di elaborazione più impegnativi
(pensiero controllato)
controllato
Argomenti Cap. 2
Il primo impatto nell’incontro con altri (che cosa ci colpisce)
Come ci formiamo un’impressione di altri individui e di
gruppi
Un processo fondamentale nella percezione degli altri è
la categorizzazione sociale:
sociale che cos’è, a che cosa serve,
come è stata studiata?
• Una modalità specifica di conoscere gli altri: gli stereotipi: che cosa
sono, come si attivano e come si formano?
• Categorizzazione e individuazione, quale impieghiamo?
• Gli effetti della categorizzazione sociale: la percezione di
omogeneità dell’outgroup (quali ne sono le cause e le principali
conseguenze?)
Cap. 2 – Il primo impatto
Che cosa ci colpisce di più quando incontriamo una
persona, specie se di un’altra cultura?
Ne cogliamo subito l’appartenenza a categorie come il genere, l’etnia,
l’età e le caratteristiche che il contesto rende salienti o che sono
inaspettate.
All’inizio ci colpiscono soprattutto le diversità: modo di vestirsi, tratti
fisici, il modo di muoversi (ASPETTI NON VERBALI)
Il primo impatto è molto importante nel determinare l’evoluzione del
rapporto ed il successo dello scambio comunicativo
La comunicazione non verbale è un processo spontaneo basato su differenti
segnali che sono in genere elaborati e condivisi dalle persone di una data
cultura per questo è difficile, nell’incontro con una persona di altra cultura,
decodificarli correttamente
Cap. 2 – Il primo impatto
Aspetto esteriore
(poco studiato a livello
interculturale)
Donna africana nel suo coloratissimo abito
L’uomo d’affari con la ventiquattrore
Il ragazzo californiano abbronzato e muscoloso
Il turista giapponese con la sua macchina fotografica
Simpatia vs antipatia
Curiosità vs. diffidenza
Uso dello spazio e della I gruppi culturali si differenziano nel modo di usare e
distanza interpersonale delimitare lo spazio personale e circa il significato
attribuito alle condotte prossemiche
(prossemica)
-Popolazioni mediterranee dialogano in modo più
ravvicinato rispetto a quelle nord europee e asiatiche
Sentirsi invasi vs. sentirsi trattati in modo freddo e scostante
Significato ed uso del
tempo
-Cultura postindustriale “il tempo è denaro”, non va
perso o sprecato ed è scandito in modo sequenziale
- in altre culture non si ha una visione economica del
tempo ed è più importante adeguarsi ai ritmi della
natura
Ritardo vs. puntualità ad un appuntamento
Cap. 2 – Il primo impatto
Comportamento
cinesico
Comportamento tattile
Paralinguaggio
Segnali olfattivi
Ovvero, espressioni facciali, movimenti del corpo, gesti
che accompagnano la conversazione
Variano da cultura a cultura (lo stesso gesto può
comunicare calore e simpatia in una cultura o essere
ritenuto offensivo in un’altra)
Strette di mano e abbracci sono più frequenti nelle
popolazioni latine che in quelle anglosassoni
Poche ricerche hanno studiato: qualità della voce,
vocalizzazioni, modulazioni del discorso nelle diverse culture
Circa la velocità dell’eloquio:
- In ascoltatori statunitensi chi parla velocemente è percepito più
competente (pensano che dica il vero e che sia indice di
sicurezza)
- In ascoltatori coreani si è rilevato l’opposto
Nella nostra cultura si cerca di annullare l’odore naturale
(deodoranti, profumi), mentre in altre culture ciò non avviene
Cap. 2 – Come ci formiamo un’impressione degli individui?
INDIVIDUI (Hamilton e Sherman, 1996)
Il perceiver presuppone che la personalità di un’altra
persona sia un’insieme coerente e unitario
pertanto
le impressioni che si fa di un altro individuo tendono ad
essere unitarie e coerenti
1) Le informazioni acquisite per prime hanno il maggiore impatto
2) Il perceiver si aspetta coerenza nei tratti e nei comportamenti del target (se è
gentile sarà anche altruista)
3) Il perceiver cerca di farsi un’impressione organizzata del target in modo che
le informazioni su tratti e condotte si armonizzino
4) Il perceiver cerca di risolvere eventuali incoerenze tra le informazioni
acquisite riguardo al target
Cap. 2 – Come ci formiamo un’impressione dei gruppi
GRUPPI
La letteratura indica che le impressioni sui gruppi si
basano su procedure differenti:
1) Attivano meno giudizi immediati
2) Sono meno soggette all’effetto primacy e più soggette
all’effetto recency
Secondo Hamilton e Sherman (1996), tali differenze non dipendono
tanto dal tipo di target (individuo vs gruppo) quanto dal diverso
grado di unità connessa alla percezione dell’individuo e del gruppo
In presenza di gradi analoghi di unità (per l’individuo) e di
entitatività (per gruppo) il processo di formazione delle
impressioni è lo stesso
Cap. 2 – Come ci formiamo un’impressione dei gruppi?
L’entitatività (Campbell, 1958)
E’ il grado in cui un aggregato sociale è percepito da
osservatori esterni come entità dotata di esistenza reale.
Un aggregato di persone diventa un’unità, un’entità proprio
perché i suoi componenti sono percepiti come simili,
prossimi, legati a un destino comune.
Cap. 2 – Come ci formiamo un’impressione di individui e gruppi
Limiti del modello di Hamilton e Sherman
1)
La percezione dell’individuo come unitario è tipica
della cultura individualistica nordamericana
La tendenza a inferire i tratti e le abilità del target ed a
spiegarne le condotte in base a tali disposizioni
NON E’ GENERALIZZABILE
2) Il modello non tiene conto delle informazioni precedenti
di cui dispone il perceiver
La comunicazione fra persone di diversa cultura raramente è un incontro tra individui
“neutri”, senza retroterra
Cap. 2 – la categorizzazione sociale
Un processo fondamentale nella percezione degli altri è la
categorizzazione sociale
Gli studi di Henry Tajfel [1959] hanno dimostrato che la categorizzazione di
stimoli sociali funziona allo stesso modo di quella riferita a stimoli fisici.
fisici
Consiste nel classificare l’enorme numero di persone che incontriamo (e che
non ci è possibile conoscere a fondo) raggruppandole:
a) in base alle caratteristiche socialmente rilevanti che esse condividono
a) ed agli attributi distintivi che le differenziano;
Anziché persone esse diventano uomini, donne, meridionali,
albanesi, anziani, alcolizzati, operai, malati di mente
In questo modo percepiamo pertanto un altro individuo, non come unico e
particolare, ma come membro di una categoria sociale
Cap. 2 – la categorizzazione sociale
A CHE COSA SERVE?
Ci consente di:
organizzare e semplificare le informazioni che
ci provengono dal nostro mondo sociale e di renderlo
controllabile e dotato di significato.
Compiere inferenze sul
comportamento delle altre persone
per dedurre come si
comporteranno in futuro
(capire chi ci sta intorno)
Spiegare i comportamenti altrui
che risultano ambigui o difficili
da capire
Tajfel e Wilkes (1963) Accentuazione di somiglianze
e differenze
PROCEDURA
Furono presentate ripetutamente ai partecipanti una serie di 8 linee di
lunghezza crescente. Ogni linea era più lunga della successiva di 0,96
cm.
a)
per una parte dei partecipanti ognuna delle 4 linee più corte era
etichettata con la lettera A mentre le 4 linee più lunghe erano
etichettate con la lettera B
b)
per altri partecipanti le linee non presentavano alcuna
classificazione.
COMPITO:
Venne chiesto ai partecipanti di stimare la lunghezza delle linee
Tajfel e Wilkes (1963) Accentuazione di somiglianze e differenze
Tajfel e Wilkes (1963) Accentuazione di somiglianze e differenze
RISULTATI:
Le persone a cui erano state presentate le linee senza
categorizzazione fornivano delle stime abbastanza
accurate.
I partecipanti a cui erano state presentate le linee
categorizzate, dopo numerose presentazioni tendevano a
percepire le linee appartenenti alla stessa categoria (A o B)
come più simili tra loro di quanto non fossero in realtà.
Essi tendevano inoltre a percepire l’ultima delle linee “corte” e
la prima delle linee “lunghe” come molto più diverse,
raddoppiando la loro differenza oggettiva.
Gli individui tendono a sottostimare le differenze fra elementi
che appartengono alla stessa categoria ed a sovrastimare le
differenze fra elementi appartenenti a categorie diverse
Cap. 2 – la categorizzazione sociale
La categorizzazione sociale non è un processo solo
cognitivo, proprio perchè le categorie sociali che
impieghiamo non sono quasi mai neutre ma sono
cariche di credenze (stereotipi), valori e rappresentazioni
che influenzano
la nostra percezione e le nostre valutazioni
Cap.2 – Gli stereotipi
Una modalità specifica per conoscere gli altri è costituita
dagli stereotipi
Essi sono rappresentazioni mentali estremamente generali e
semplificate relative alle principali
caratteristiche che accumunano i membri di un determinato gruppo
Uno stereotipo che riguarda una categoria sociale (gli anziani),
etnica (i neri) o sessuale (le donne, gli omosessuali) è uno strumento
cognitivo potente, che l’individuo può utilizzare in ogni momento
impegnando poche risorse cognitive e senza esercitare una particolare
attività di controllo.
Cap.2 – Quando attiviamo gli stereotipi e quali effetti producono?
E’ specie quando dobbiamo farci un’impressione
su una persona mai vista prima, che le nostre
conoscenze stereotipiche entrano in gioco:
- Influenzano il tipo di informazioni che ricerchiamo e
quelle che meglio ricordiamo circa gli appartenenti ad un
gruppo
- Funzionano come standard per la valutazione dei
comportamenti che osserviamo
Perché sono durevoli?
Tendono a perpetuarsi, soprattutto perché le persone trascurano le
informazioni incongruenti mostrando invece di preferire quelle che confermano le
loro precedenti aspettative
Esempi di stereotipi diffusi nella vita sociale
Quando pensiamo o diciamo che:
•
Gli zingari sono sporchi
•
I neri hanno poca voglia di lavorare e spacciano droga
•
Gli italiani sono focosi, creativi, passionali
•
Gli ebrei sono avidi
•
I tedeschi sono precisi e metodici
•
I tossicodipendenti rubano
•
Le persone con sindrome di down sono affettuose
Cap.2 – Come si formano gli stereotipi?
Gli S sono radicati nella cultura in cui siamo nati e cresciuti,
vengono acquisiti, espressi e riprodotti attraverso gli usuali
canali socioculturali: socializzazione in famiglia e
a scuola, esposizione ripetuta a immagini e contenuti nei
libri, in televisione e sui giornali.
Come si formano gli stereotipi? Il Modello del contenuto degli stereotipi
(Fiske et
al. 2002 – 2007)
le rappresentazioni stereotipiche
associate ai gruppi sociali si caratterizzano lungo le
dimensioni di:
calore (e.g.,socievolezza, affabilità)
competenza (e.g.,abilità, capacità, sicurezza di sè)
L’attribuzione di tali caratteristiche dipende dalla qualità
della relazione fra ingroup ed outgroup lungo le dimensioni:
Status (basso e alto)
Competizione (bassa e alta)
La percezione di
obiettivi compatibili
fra ingroup e
outgroup (bassa
competizione)
definisce un gruppo
come caloroso
La percezione di
status elevato (inteso
come successo
socioeconomico),
definisce un gruppo
come competente
L’intersezione fra calore e competenza determina quattro
combinazioni di stereotipi.
Modello del contenuto degli stereotipi (Fiske et al. 2002 – 2007)
INTERDIPENDENZA
STATUS
COOPERATIVA
COMPETITIVA
ALTO
Ammirazione
Invidia
Stereotipi
Competente e caloroso
Competente e non caloroso
Emozioni
Ammirazione, affetto, rispetto
Invidia, ammirazione, risentimento
Comportamenti
Aiuto passivo (cooperazione)
ed attivo (aiutare, proteggere)
Aiuto passivo e danno attivo
(attaccare, combattere, segregare,
sterminare)
Gruppi cui è
espresso
Alleati dell’ingroup
Ebrei, femministe, donne in carriera
BASSO
Paternalistico
Disprezzo
Stereotipi
Caloroso e non competente
Non competente e non caloroso
Emozioni
Pietà e simpatia
Disprezzo, disgusto, rabbia, odio
Comportamenti
Aiuto attivo e danno passivo
(escludere, demandare,
evitare)
Danno passivo ed attivo
Gruppi cui è
espresso
Casalinghe, disabili, anziani
Senza tetto, beneficiari di assistenza
pubblica
Gli stereotipi si formano nello stesso modo nelle diverse culture?
Anche se un dato gruppo può essere percepito come:
più caldo da un certo gruppo culturale
e meno caldo da un altro
le dimensioni di calore e competenza risultano tuttavia stabili nelle
diverse culture, sia in quelle individualiste che collettiviste
Circa le differenze transculturali, è stato riscontrato che:
- un campione collettivista non valuta nessun gruppo in termini di alto
calore e competenza
- un campione individualista valuta alcuni gruppi in termini di alto calore e
competenza
Cap. 2 - Quando entriamo in contatto con qualcuno, in che modo ci
formiamo un’impressione?
Possiamo formarci un’impressione di un’altra persona
tramite due modalità che non sono mutualmente
esclusive:
INDIVIDUAZIONE: ci riferiamo a indicatori che derivano da
specifiche caratteristiche e dal comportamento
dell’interlocutore
CATEGORIZZAZIONE: in base all’appartenenza della
persona a un data categoria o a un gruppo sociale
Cap. 2 - Quando entriamo in contatto con qualcuno, quale di queste
modalità impieghiamo per formarci un’impressione?
Secondo il modello di Hamilton e Sherman (1996)
la scelta dipende dal grado di entitatività percepita del
gruppo a cui l’individuo-target appartiene Ricorrerò alla categorizzazione nel caso in cui percepisco un gruppo
come altamente entitativo (es. zingari)
Quando le impressioni si focalizzano sull’appartenenza, gli
stereotipi riguardanti il gruppo si trasferiscono all’individuo
Quando due gruppi o minoranze sono in competizione, sono in
genere percepiti come più entitativi e pertanto le informazioni sui membri
sono più di tipo categoriale (Brewer et al., 1995)
Cap. 2 - Quando entriamo in contatto con qualcuno, quale di queste
modalità impieghiamo per formarci un’impressione?
Gli studi di Fiske e Neuberg (1990), mostrano inoltre che di
fronte ad uno sconosciuto, la prima operazione che
l’individuo compie per formarsi un’impressione (per lo più in
modo automatico) è di partire dall’accessibilità
delle appartenenze categoriali più evidenti:
colore della pelle, genere, età
Se il target è scarsamente rilevante rispetto agli scopi del
soggetto, questa prima impressione su base categoriale
risulta soddisfacente e il soggetto non procede oltre.
Cap. 2 - Quando entriamo in contatto con qualcuno, quale di queste
modalità impieghiamo per formarci un’impressione?
Se invece il target diviene invece più rilevante (la
incontriamo e le parliamo tutte le mattine), l’impressione
viene formulata anche in base a un’elaborazione più
approfondita e con maggiore attenzione alle informazioni
a disposizione (ad es. i comportamenti)
- se le informazioni individuanti sono coerenti con la categoria
iniziale confermano la precedente categorizzazione
- se le informazioni individuanti sono incoerenti con la categoria
iniziale la persona deve essere ri-categorizzata ricorrendo a un
sottotipo o a un nuova categoria
Cap. 2 - Esempio di ri-categorizzazione
Se combiniamo le informazioni su una persona afroamericana
(categoria)
categoria in 2 (o più) categorie
Manager afroamericano o Babysitter afroamericana
La prima categoria = professione
Può combinarsi con la seconda = etnia
e modificare il giudizio su quella persona
Si crea, cioè, un sottotipo della categoria che contraddice le
credenze stereotipiche
Cap. 2 - Il continuum
La formazione delle impressioni può essere collocata su un continuum
Processi totalmente basati
su categorie
Processi individuanti
Il perceiver si sposta sul continuum in base al processo di elaborazione che
è motivato ad intraprendere, ma anche in base al bisogno di proteggere il
proprio sè
Cap. 2 – Gli effetti della categorizzazione sociale: percezione di
omogeneità
Un primo importante effetto della categorizzazione (vedi slides 27-32) è
che essa accentua
le differenze fra categorie diverse
e le somiglianze entro una stessa categoria.
Le persone percepiranno cioè i membri del gruppo esterno come
più simili fra loro rispetto a quelli del proprio gruppo: “Loro sono
tutti uguali, mentre noi non lo siamo”.
L’effetto dell’omogeneità dell’outgroup è stato riscontrato in modo
sistematico nei confronti di una grande varietà di gruppi
Come mai si verifica?
Perché conosciamo meno i membri degli outgroup, ci sono meno
familiari
Cap. 2 – Determinanti dell’omogeneità dell’outgroup
Vi sono però altri fattori in grado di determinare tale effetto
di omogeneità:
SITUAZIONALI: lo status sociale relativo dei gruppi (l’effetto di
omogeneità si verifica di più se si tratta di membri di gruppi con
status equivalente e di membri di gruppi di status alto)
MOTIVAZIONALI: quando si intravvedono possibili vantaggi per il
sé e l’identità
COGNITIVI: in rapporto ai modi in cui sono acquisite ed elaborate le
informazioni (ad es. le persone sono più attente agli aspetti che
individualizzano i membri dell’ingroup che non a quelli che individualizzano i
membri degli outgroup
Quali conseguenze ha percepire in modo omogeneo i membri dell’outgroup?
Le conseguenze sono rintracciabili nei modi con cui valutiamo i membri
degli outgroup e ci comportiamo nei loro confronti
Tendiamo a generalizzare:
generalizzare applicando cioè all’intero outgroup le
informazioni riguardanti un suo singolo membro e viceversa
Tendiamo a valutare i membri dell’outgroup in modo più estremo e
polarizzato (meno complessa è la rappresentazione che abbiamo
dell’outgroup, più estremo è il giudizio verso i suoi membri)
L’effetto della omogeneità dell’outgroup, è universale?
Nel caso dei gruppi etnici e culturali:
- tale effetto è stato riscontrato solo nelle culture individualiste
- nelle culture collettiviste si è rilevata una tendenza opposta
Cap. 2 - Ruolo della percezione di sé negli scambi comunicativi
Ogni scambio comunicativo si basa:
- sulla percezione reciproca degli interlocutori
- sulla percezione che ogni interlocutore ha di sé
- sulla percezione che ogni interlocutore ha della
relazione fra sé e gli altri
Il concetto di sé è considerato come uno schema di sé,
ovvero come una struttura durevole che serve a capire ed
a spiegare le proprie esperienze sociali
Cap. 2 - Ruolo della percezione di sé negli scambi comunicativi
Lo schema di sé comprende:
a) tratti di personalità, b) memorie di esperienze passate
Lo schema di sé
- facilita l’elaborazione di informazioni congruenti
- ostacola l’ingresso di informazioni incongruenti
- aiuta a mantenere stabile la percezione di sè
- aiuta a mantenere coerenti i comportamenti nelle varie
siìtuazioni
Cap. 2 – La teoria della categorizzazione di sè
Il sé al pari di ogni altro stimolo, può essere
categorizzato in rapporto a diversi gradi di astrazione,
ovvero come:
1. Individuo unico rispetto ad altri membri dell’ingroup
(Identità personale riferita alla categorizzazione io – non io, basata
cioè sul confronto interpersonale) livello subordinato del sè
2. Membro di un gruppo in confronto con altri membri
(Identità sociale riferita alla categorizzazione noi – loro, basata cioè sul
confronto intergruppi) livello intermedio del sè
3. Essere umano (Identità umana o appartenenza alla specie)
livello sovraordinato del sè
Cap. 3 – La formazione dei giudizi e dei pregiudizi
In che modo i processi fin qui considerati, influenzano i
nostri giudizi e le valutazioni sulle persone di un’altra
cultura con cui entriamo in contatto?
Cercheremo di rispondere a partire dalla concezione dei rapporti sociali
proposta da Tajfel (1981), secondo cui essi possono essere visti come
posti lungo un continuum
Tajfel, 1985
Rapporto ------------------------------- Rapporto
interpersonale
intergruppi
Rapporto interpersonale
l'interazione è determinata dall'incontro fra
persone e dalle loro caratteristiche e non dalle
loro appartenenze sociali
sono messe in risalto le differenze e le affinità
dei protagonisti
ognuno esprime atteggiamenti coerenti coi
propri sentimenti e motivazioni personali
Tajfel, 1985
Rapporto ------------------------------- Rapporto
interpersonale
intergruppi
Rapporto intergruppi
l'interazione degli individui è determinata dalle loro
rispettive appartenenze sociali
il comportamento è indipendente dalle diffe-renze
individuali (uniformità dell’ingroup)
il comportamento è indipendente dalle relazioni
personali tra i singoli membri dei gruppi e non è
influenzato da motivazioni personali
Tajfel, 1985
Rapporto --------------------------------- Rapporto
interpersonale
intergruppi
Può succedere che due amici, che appartengono a due
partiti politici diversi si pongano verso l'estremo
intergruppi durante un periodo elettorale;
Ma può anche succedere che due nemici di guerra abbiano
reciprocamente dei sentimenti di stima,
simpatia,
comprensione ponendosi in tal modo verso l'estremo
interpersonale.
In realtà i due estremi puri sono piuttosto rari e il nostro
comportamento sociale si situa in punti intermedi fra i
due estremi.
In ogni caso secondo Tajfel è più possibile un
comportamento estremo intergruppi che interpersonale.
Cap. 3 – I giudizi sull’altro e su se stessi
Quando ci troviamo a
spiegare le cause del
comportamento di altri
Quando ci troviamo a
spiegare le cause del
nostro comportamento
Tendiamo a enfatizzare il peso dei fattori disposizionali
(interni) ed a sottovalutare quelli contestuali (esterni).
Esso dipenderebbe dal fatto che le informazioni sulla
persona sono più salienti di quelle situazionali
Se tale effetto è stato inizialmente denominato “errore
fondamentale di attribuzione”
attribuzione perché si riteneva universale,
successivamente è stato denominato “errore di
corrispondenza”
corrispondenza perché si è visto che si tratta di un errore
culturalmente circoscritto, collegato all’importanza attribuita
all’individuo
Nei giudizi su noi stessi non c’è l’errore di
corrispondenza, perché le interpretazioni su noi stessi
sono più articolate
Successi: li attribuiamo alle nostre capacità
Insuccessi: enfatizziamo fattori situazionali
Ciò rientra nell’ambito dei giudizi tendenziosi a favore del sé,
ovvero quelle valutazioni che esprimiamo per sentirci bene e
salvaguardare un’immagine positiva di noi stessi
Cap. 3 – I giudizi intergruppi
Quando entriamo in contatto con persone di un’altra cultura, si
accresce la probabilità che compiamo dei giudizi più basati sulla
categorizzazione che non sull’individuazione.
individuazione
Secondo Sherif (1966), uno tra i primi a studiare una situazione
intergruppi - essa si crea quando gli individui che
appartengono ad un gruppo, interagiscono, collettivamente o
individualmente con un altro gruppo, o con membri di esso, in base
all’identificazione con il proprio gruppo –
Un contesto intergruppi favorisce una serie di processi psicosociali, fra
cui ha un ruolo cruciale il FAVORITISMO PER L’INGROUP,
INGROUP inteso
come la tendenza a favorire in modo tendenzioso il gruppo cui
apparteniamo.
Si tratta di un fenomeno pervasivo nella nostra cultura che può essere
espresso secondo le seguenti 3 modalità che in taluni casi possono
presentarsi insieme:
Cap. 3 – a) La mera sopravvalutazione dell’ingroup: “noi siamo
bravi”
bravi
o ingroup bias
Consiste nel sovrastimare gli aspetti positivi dell’ingroup, il suo valore,
la performance ed i risultati raggiunti e nel considerare invece
l’outgroup in modo più obiettivo o nel non considerarlo affatto
Quali fattori che moderano questo effetto?
a)
La dimensione del gruppo: l’effetto è più forte nei gruppi piccoli
a)
Lo status relativo del gruppo: almeno nei gruppi di laboratorio esso è
stato maggiormente rilevato nei gruppi ad alto status
A che cosa si collega questo effetto? all’identità sociale
L’identità, consiste nella percezione di sé come oggetto unico e distinto dagli altri
oggetti animati ed inanimati presenti nel mondo fisico e sociale.
Le modalità attraverso cui l’identità si definisce possono essere rappresentate in una
sorta di continuum (Tajfel, H., 1981).
IDENTITA’ SOCIALE
IDENTITA’ PERSONALE
Il sentimento d’identità è fortemente
influenzato dalla consapevolezza che
l’individuo ha di appartenere ad un
dato gruppo, per cui gli scopi e le linee
d’azione che egli sceglie dipendono
strettamente dall’identificazione con quel
gruppo.
I sentimenti di identità appaiono meno
influenzati dall’appartenenza a un gruppo e
più in rapporto ad un’esperienza di
riflessione su di sé,
sulla propria storia,
sulle proprie attese, speranze e progetti a cui
si associano linee d'azione fondate su
bisogni di autonomia e di coerenza
personale
L’individuo si percepisce:
• simile alle altre persone che come lui
appartengono a un certo gruppo
• ma allo stesso tempo diverso rispetto ai
membri di altri gruppi
Le persone ipervalorizzano il proprio gruppo per ottenere/mantenere
un’identità sociale positiva
Cap. 3 – a) La mera sopravvalutazione dell’ingroup: “noi siamo bravi”
bravi
Le previsioni e spiegazioni in termini di identità sociale (SIT)
sono appropriate per tutti i tipi di gruppo?
Risultano più appropriate nel caso dei gruppi etnici, religiosi e politici
focalizzati su attività e obiettivi collettivi
rispetto ai gruppi professionali e parentali – centrati su attività e
obiettivi individuali
Si tratta di un fenomeno generale o culturalmente specifico?
Le evidenze indicano che è più consistente nelle culture individualiste,
ove è più forte il bisogno di innalzare il proprio sè
Cap. 3 – b) La differenziazione intergruppi: : “noi siamo più bravi di
loro”
loro
o intergroup bias
Può verificarsi quando una persona si trova a:
giudicare la prestazione dell’ingroup e dell’outgroup
valutare le caratteristiche delle persone che ne fanno parte
dividere fra ingroup ed outgroup delle risorse
Consiste nel preferire o avvantaggiare l’ingroup e nel sottovalutare
l’outgroup
Esperimenti del "campo estivo" di Sherif (1966)
Scopo: rilevare le modificazioni sistematiche del comportamento che
si verificano in seguito al cambiamento delle relazioni intergruppi
Soggetti: ragazzi di circa 12 anni, bianchi, "normali“
tempi dell'esperimento: due settimane
prima fase: vita comunitaria al campo, con nascita di relazioni
e amicizie fra i ragazzi nel gruppo intero.
seconda fase: la formazione dei due gruppi. Dopo una
settimana in cui i ragazzi avevano agito tutti insieme come un
unico gruppo ed erano nate relazioni interpersonali e
amicizie spontanee, vengono formati 2 gruppi, i Rossi e i Blu
I ricercatori separano gli amici che vengono posti in gruppi
separati. Da quel momento la vita quotidiana si svolge sulla
base dei due gruppi.
Esperimenti del "campo estivo" di Sherif (1966)
terza fase: il conflitto fra i due gruppi fu suscitato da attività
competitive, per cui un solo gruppo era premiato (interdipendenza
negativa). Rapido deterioramento delle relazioni fra i gruppi, aumento
coesione ingroup e discriminazione verso l'outgroup, azioni ostili
reciproche, stereotipi negativi verso l'outgroup.
quarta fase: riduzione del conflitto e dell’ostilità tramite l'introduzione
di scopi sovraordinati. Lo scopo sovraordinato è uno scopo
attraente per i membri di entrambi i gruppi, ma che può essere
raggiunto solo con lo sforzo congiunto di entrambi (furgone che si
rompe, colletta per spettacolo comune, ecc.). Si crea
un’interdipendenza positiva, le ostilità diminuiscono, i vecchi amici
si ritrovano.
Esperimenti del "campo estivo" di Sherif (1966)
se due gruppi che sono in rapporto fra loro si pongono
degli scopi competitivi, giungeranno rapidamente ad un
conflitto intergruppi
se due gruppi si pongono scopi sovraordinati,
giungeranno ad una cooperazione reciproca.
L’appello a valori morali, i richiami in ambito religioso non
ebbero di fatto alcun effetto.
Solo modificando il tipo di interdipendenza esistente fra i
gruppi si produsse un cambiamento negli atteggiamenti
e nei comportamenti fra i gruppi.
Cap. 3 – b) La differenziazione intergruppi: “noi siamo più bravi di
loro”
loro
La differenziazione positiva dell’ingroup rispetto all’outgroup costituisce
Il modo migliore per ottenere/mantenere un’identità sociale positiva
Le persone non hanno però solo bisogno di differenziarsi dagli altri ma
hanno anche quello di sentirsi inclusi, parte di una collettività
Per soddisfare entrambi questi bisogni esse cercano di ottenere una
DISTINTIVITA’ OTTIMALE (Brewer, 1991)
(né troppa, né poca)
Cap. 3 – c) La svalutazione dell’outgroup: “loro non sono bravi”
bravi
Il pregiudizio è un atteggiamento sfavorevole nei confronti
di persone e gruppi che consiste in:
- credenze cognitive squalificanti o stereotipi
(l’associazione fra la denominazione di un gruppo - gli
“zingari” – e l’insieme degli attributi che riteniamo caratterizzino quel
gruppo - rubano, sono asociali),
- nell’espressione di emozioni negative (antipatia vs. odio)
- nella messa in atto di comportamenti ostili e discriminatori
verso i membri di un gruppo o di una categoria sociale per il solo fatto
di appartenere a quel gruppo.
Attualmente è attribuito un ruolo importante alla componente affettiva e vi è
un forte interesse per le forme nascoste o implicite
Cap. 3 – c) La svalutazione dell’outgroup: “loro non sono bravi”
bravi
La ricerca più recente in tema di pregiudizio evidenzia un
notevole interesse:
a)
per la componente affettiva (es. ruolo dell’ansia)
b)
per le forme nascoste (IAT, ambivalenza vedi slide, 37,
38, 39)
Cap. 3 – c) La svalutazione dell’outgroup: “loro non sono bravi”
bravi
Un’importante fattore che promuove il pregiudizio è l’ansia
che è a sua volta è determinata da 4 tipi di minacce:
minacce
1) Stereotipi negativi:
negativi inducono aspettative negative ed a
temere che l’interazione con l’outgroup produca
conseguenze negative (es. Il Rumeno violento)
2) Minacce realistiche:
realistiche quando si teme che l’outgroup
metta in pericolo, il benessere fisico o materiale
dell’ingroup, il suo potere politico ed economico, o
l’esistenza stessa dell’ingroup (es. l’entità dei flussi
migratori, l’idea di invasione)
Cap. 3 – c) La svalutazione dell’outgroup: “loro non sono bravi”
bravi
3) Minacce simboliche:
simboliche quando si teme che i membri dell’outgroup
mettano in pericolo valori, tradizioni e credenze dell’ingroup (es.
immigrati di religione islamica)
4) Ansia intergruppi:
intergruppi nell’interazione con membri dell’outgroup le
persone possono sentirsi minacciate perché temono di sentirsi
imbarazzate, di essere rifiutate o ridicolizzate e umiliate.
Questo tipo di ansia è molto forte se: i gruppi hanno una lunga storia di
conflitto, sono stati scarsamente in contatto e si conoscono poco,
percepiscono la controparte come differente e si trovano ad interagire
in situazioni poco strutturate
Cap. 3 – c) La svalutazione dell’outgroup: “loro non sono bravi”
bravi
Anche gli studi di Schlenker e Leary (1982) hanno dimostrato che l’ansia
sociale, intesa come l’apprensione riguardante valutazioni negative in
situazioni sociali, ha un ruolo rilevante nelle relazioni interetniche.
Quando si sviluppa?
Quando le persone desiderano fare un’impressione positiva in uno
scambio sociale ma dubitano di riuscirvi.
Così, quanto più desiderano produrre un’impressione positiva, tanto più diventano
ansiose.
Le persone si aspettano infatti risultati negativi, quanto più
pensano
a) di non avere le capacità di produrre una certa impressione
b) o che loro sforzi non siano recepiti dai propri interlocutori
Le difficoltà sorgono specie quando le persone non sanno bene quale sia
il modo migliore per presentare se stesse
Cap. 3 – c) La svalutazione dell’outgroup: “loro non sono bravi”
bravi
Proprio perché nelle interazioni interetniche un individuo può temere di
apparire una persona:
•
• con pregiudizi
socialmente incompetente
ciò lo motiva a dare un’impressione positiva
C’è però da considerare che spesso le persone non hanno linee di
condotta precise su come presentarsi nelle relazioni interetniche:
sono poco abituate ad interagire con persone di un gruppo etnico
diverso dal proprio
sono incerte su quale comportamento sarà recepito positivamente
Si aspettano risultati negativi
Ansia
Cap. 3 – c) La svalutazione dell’outgroup: “loro non sono bravi”
bravi
Sulla base di una serie di esperimenti riguardo al rapporto fra bianchi e
neri negli USA, Plant e Devine (2003, 2004) hanno predisposto un
modello teorico dell’interazione interetnica che integra gli approcci sull’
ansia intergruppi e ansia sociale
Chi ha avuto poche esperienze
positive con i membri
dell’outgroup
Non dispone di linee guida chiare per la
presentazione di sé aspettative
negative circa future interazioni ansia atteggiamento ostile verso l’outgroup bisogno di evitare le interazioni
Chi ha avuto delle esperienze
positive con i membri
dell’outgroup
Pensa di potere fornire l’impressione
desiderata (ha meno incertezze) migliora le aspettative di riuscita riduce
l’ansia risulta meno ostile ha meno
bisogno di evitare il contatto recepisce
positivamente le interazioni
Implicit Attitude Test (IAT)
Per evitare che gli individui controllino le loro risposte in
funzione:
della desiderabilità sociale
di condotte politicamente corrette
o delle norme sociali che inibiscono l’espressione di credenze
pregiudizievoli
Nel 1998 Greenwald, McGhee e Schwartz hanno ideato la misura dello
IAT (Implicit Attitude Test).
Scopo di tale misura è valutare l’associazione di tipo automatico che gli
individui realizzano tra:
una categoria target (nomi di bianchi e di neri)
e attributi (parole positive e negative).
Implicit Attitude Test (IAT)
Idea di fondo è che le coppie formate da una categoria e
da un attributo fortemente collegati sono classificabili più
facilmente e più velocemente rispetto a coppie i cui legami
associativi siano deboli o addirittura incompatibili.
Si tratta di un test che è eseguito di fronte allo schermo di un PC su cui
sono presentati gli stimoli.
Esso impiega il tempo di risposta ed il numero di errori commessi per
valutare la forza con cui uno stimolo è associato ad una specifica
valutazione.
Esso si svolge in 5 fasi, di cui solo la terza e la quinta consentono di
misurare gli stereotipi.
Cap. 3 – Il favoritismo per l’ingroup: “loro non sono bravi”
bravi
Il pregiudizio può essere espresso in modo:
manifesto o diretto
latente o indiretto
(caldo, controllabile e intenzionale)
(freddo,
automatico, ambiguo,
ambivalente, e
inconsapevole)
- atteggiamenti di rifiuto dei membri di
un gruppo percepiti come minacciosi
- opposizione ad instaurare contatti
intimi con essi
Combinano tra loro credenze ostili e
favorevoli
- atteggiamenti di difesa dei valori
tradizionali dell’ingroup
- enfasi sulle differenze culturali
- negazione di emozioni positive
È tipico delle culture democratiche che
non considerano legittima
l’espressione di atteggiamenti ostili
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