Introduzione
Contingenza e legittimazione
1. Filosofia pratica e verità normativa
I sistemi della filosofia pratica riuscirono nell’età moderna a pensare l’unità dell’agire. L’agire era
descritto da sistemi unitari, i quali avevano una proprietà: il dover essere che si esprimeva nella
norma, era costruito su principi relativi all’essere, su un’ontologia razionale.
Quest’ontologia era insieme:
Certezza per l’agire;
Riferimento unitario dei sistemi di norme e direttive;
Fondamento di validità per quei sistemi.
L’agire pensato dalla filosofia pratica, è un universo complesso ed articolato il quale non è ancora
pervenuto all’isolamento dei singoli settori (etico, politico e giuridico).
---- Quindi nella filosofia pratica, metro dell’agire giusto, è il diritto naturale ---L’agire valutato dal diritto naturale, non ha il carattere della “giuridicità”: oggi noi attribuiamo
questo carattere alla forma dell’agire isolata e regolata dalla norma, la cui validità è procedurale.
Nella filosofia pratica, non c’è spazio per la legittimazione procedurale, in quanto le forme
dell’agire non sono isolate e regolate.
Il diritto naturale, non è scienza giuridica, in quanto non è capace di riflettere l’autonomia del suo
oggetto e del suo fondamento (modello epistemologico), ma si riconosce come sistema filosofico
unitario e complesso.
Il diritto naturale è quindi problema filosofico: “problema dell’unità di etica e politica; un
problema di morale pubblica”.
L’epistemologia del diritto naturale è quindi un sottosistema della filosofia pratica, il quale
presenta delle particolarità:
La struttura normativa sulla quale l’epistemologia esercita le sue riflessioni, non è mutevole in
quanto non scaturisce da una decisione;
La struttura normativa, non è posta, ma scaturisce da un processo di deduzione, nel quale si
chiariscono le premesse del sistema (il fondamento).
L’epistemologia è quindi riflessione relativa alle operazioni di deduzione, è teoria della costruzione
del sistema: la derivazione della “normatività giuridica”, può avvenire solo in un sistema di
esplicazione delle premesse, sulla base di un metodo di ricerca della verità.
L’epistemologia, partendo dai principi dell’ontologia razionale, mira a stabilire il vero secondo la
misura del giusto. Quindi, la norma prodotta con questa ricerca, è vera, sia logicamente che
necessariamente.
2. Validità e non-contingenza della norma. Il principio di legittimazione interna
Il carattere necessario della norma, fa in modo che questa sia: sottratta all’arbitrio, resistente al
tempo, protetta dal diverso: la norma non è contingente (essendo necessaria, non poteva essere
diversamente da com’è).
Non contingente è la norma che scaturisce da premesse vere, non falsificabili. La norma si sottrae
ai processi di decisione e la sua validità scaturisce dall’identificazione tra processo conoscitivo e
processo produttivo.
L’epistemologia giusnaturalista (a differenza di quella del d. positivo) costituisce un sistema che
produce le norme secondo un suo modello, essa diviene istanza di legittimazione per il complesso
normativo:
Piano gnoseologico: le norme si legittimano per il metodo d’individuazione, cioè tramite le
operazioni di derivazione, entro un sistema logicamente chiuso;
Piano ideologico: le norme si legittimano 1- perché la ricerca si basa su un sapere filosofico
superiore relativo alla natura dell’uomo, 2- perché attraverso il sistema delle norme, si perviene
ad una conoscenza del dover essere.
Il sistema è luogo di produzione nonché di legittimazione del diritto come verità.
La più grande conquista epistemologica è la costruzione del sistema. La giurisprudenza si rinnova
dal momento in cui “con Hobbes e Pufendorf, la dimostrazione logica di un sistema chiuso, dà
plausibilità ai suoi assiomi metodici”:
Dimostrazione della proposizione giuridica;
Costruzione sistematica dei principi;
Passaggio da principi generali, a principi particolari;
Aspirazione al raggiungimento dell’evidenza logica.
Troje: La certitudo jurisprudentiae è presupposto e conseguenza, punto di partenza e scopo dell’attività sistematica.
La giurisprudenza diventa scienza nel sistema ed essa può divenire sistema solo se è possibile come scienza.
Bisogna considerare che l’epistemologia del diritto naturale non ha il fine di ordinare la normatività
posta, ma quello di produrre la normatività non contingente che è implicita nelle premesse. Nel
sistema della scienza la norma è ricerca della verità, sulla base di un metodo che fissa le regole per
le operazioni. Conoscenza e produzione si identificano in unità.
Per il d. naturale, la giurisprudenza può essere solo scienza, in quanto ricerca del vero. La scienza
è possibile solo attraverso il sistema (nel quale il processo di esplicazione della normatività
implicita nelle premesse si presenta come ricerca della verità). Dato che le premesse scaturiscono
dalla ragione, il diritto naturale sarà diritto della ragione. L’universalità della ragione e l’unità della
filosofia, che le espone garantiscono:
Certitudo jurisprudentiae;
Validità della costruzione sistematico-deduttiva che evidenzia il vero e l’universale nella forma
del giusto.
3. Disgregazione e complessità. La struttura di astrazioni e la coesione formale dei
sistemi attraverso la norma contingente
La società borghese, infrange quell’unità della ragione e scompone l’agire in diversi sistemi. Il
sistema sociale diviene altamente complesso e si pone il problema della coesione dei sottosistemi
prodottisi.
Ogni sistema ha una sua interna razionalità. Isolati i diversi sistemi, si differenzia la ragione,
s’infrange l’unità del senso. Abbiamo una nuova razionalità, la quale si identifica con la capacità
del sistema sociale di mantenere coesa la sua struttura disgregata. La società borghese è sottoposta a
disgregazione che, accresce la complessità del sistema sociale.
La coesistenza dei sistemi è possibile solo attraverso la coesione formale dei sistemi stessi,
differenziati in un sistema di astrazioni in cui si realizza la coesistenza di indifferenti uguaglianze, e
in cui la struttura della disuguaglianza, è occultata.
La società borghese, struttura un sistema che opera la coesione uguagliando nell’astrazione le
diversità. Occultata la razionalità oggettiva dei rapporti sociali di produzione da cui
scaturiscono(ovvero la struttura della disuguaglianza), quelle astrazioni si presentano come
selezioni normative operate nell’universo del possibile, scelte attraverso le quali si forma un sistema
autonomo che produce coesione. L’universo di queste astrazioni è il d. positivo.
Questo sistema è formato da isolate forme dell’agire, fissate come valide, grazie a processi regolati.
Le astrazioni sono valide perché prodotte sulla base di un processo di decisione, sono variabili. La
loro validità deriva dall’essere prodotto di una selezione.
La norma così prodotta, dipende dal tempo, ed è frutto di una decisione, la quale può anche
privarla della sua validità. La norma è valida perché prodotta con un procedimento preciso al quale
può a sua volta essere negata la validità: processo e norma non hanno alcun rapporto con la verità.
Conoscenza e produzione della norma si separano.
Questa norma è contingente, potrebbe essere diversamente o trasformarsi . Il d. positivo è
contingenza resa normativa.
4. L’ostacolo epistemologico della contingenza normativa. Scienza e teoria del diritto
XIX secolo = grande rottura col passato. Il discorso giuridico si autonomizza, si svincolato dalla
legge di natura, il diritto ora si pone il problema della natura della legge: della sua contingenza.
All’interesse per la ricerca del vero si sostituisce la ricerca di soluzioni ai problemi connessi alla
produzione del diritto che adesso è forma positivamente valida dell’agire. La verità non è
contingente => non è un problema scientifico, non ha spazio nell’epistemologia del d. positivo =>
l’epistemologia giuridica deve ristrutturarsi, ma il problema è la contingenza => si deve costruire un
modello secondo cui la contingenza derivi la sua validità dal fatto di essere stata posta, ma insieme
sia non contingente verità normativa della ragione giuridica (insieme di senso che guida alle
selezioni operate sulla realtà nell’universo del possibile, che occulta la oggettiva razionalità dei rapp.
sociali di produzione). Il diritto così si presenta come concrezione di quell’unità di senso, e sarà
valido perché è posto => la sua validità resta contingente; ma come concrezione di quell’unità di
senso il diritto viene sottratto alla contingenza e riferito a alla ragione giuridica => ciò deve essere
posto come non contingente.
COSI’ IL DIRITTO FA SCATURIRE DALLA CONTINGENZA NORMATIVA, NON
CONTINGENZA
E
PUO’
MANTENERE
LA
VALIDITA’
LEGATA
ALLA
POSITIVITA’(CONTINGENZA), E PUO’ AFFERMARE LA SUA AUTONOMIA.
E’ un circolo con cui si occulta la razionalità oggettiva dei rapp. sociali di produzione.
Per effettuare tale operazione l’epistemologia costruisce due sistemi separati:
1. teoria del diritto (2 funzioni: a) elaborare ipotesi sul diritto, considerando che la validità
del d. positivo è legata alla contingenza, b)legittimare la contingenza come non contingente)
2. scienza del diritto (costruire un sistema del d. positivo in cui la contingenza sia raccolta in
modo da articolarsi secondo una struttura unitaria, organica)
Il sistema della scienza del diritto si svilupperà con la conversione metodologica di Savigny, seguita
da Puchta e Jhering. Con loro il sistema si fonda sulla positività, anziché sulla verità; la scienza si
può trasformare in pura metodologia,e liberarsi del problema teorico della verità.
MA, se la conversione metodologica si costituisce sulla rottura dell’unità di conoscenza e
produzione della norma, e quindi scardina la teoria come sistema interno di legittimazione del d.
giusto, allora occulta soltanto il problema della teoria (della conoscenza del diritto).
A questo punto manca un apparato di legittimazione della positività sul piano della contingenza =>
vengono intaccati i presupposti epistemologici su cui la metodologia stessa è stata costruita =>
l’epistemologia giuridica ricorrerà a strumenti di legittimazione che si porranno in contraddizione
con la conversione metodologica stessa.
Mentre la scienza legittima la conversione metodologica, la scienza non dispone dei mezzi necessari
per elaborare ipotesi partendo dalla contingenza => ricorso alla tautologia giusnaturalistica:
concezione di una scienza che produce diritto e che legittima questo come necessario.
Solo con Kelsen si costruirà una teoria del diritto, un sistema autonomo, basato sul presupposto
della validità come esistenza della norma (identificazione fra esistenza e validità). Ma la sua teoria
riuscirà a legittimare il diritto come posto, ovvero la sua validità formale, ma non riuscirà a
legittimare il diritto come concrezione di senso della ragione giuridica.
Da Kelsen partirà tutta la riflessione successiva sul diritto; ma contro di lui si rivolgerà poiché in
reazione allo sviluppo “cattivo” della contingenza giuridica (fascismo/nazismo) si sentirà la
necessità di una legittimazione teorica del diritto.
Dopo questa parentesi negativa l’epistemologia giuridica in Germania si riorganizzerà, trascurandoi
il problema della scienza poiché si riterrà ormai acquisita la conversione metodologica; ed inizierà
la conversione teorica, che troverà sviluppo negli ultimi dieci anni.
I
Savigny e la conversione metodologica
1. Storia, sistema e filosofia
Savigny
opera una rottura epistemologica. Egli comprende che compito della scienza è
organizzare la materia giuridica in un sistema in cui i principi del d. positivo siano premessa delle
diverse astrazioni (norme).
LA SCIENZA DEVE SPIEGARE LA RAZIONALITA’ INTERNA DEL DIRITTO POSITIVO
Secondo Savigny, oggetto della scienza sono le selezioni normative di una data società operate
attraverso il riferimento formale allo Stato.
Il limite di S. consiste nell’aver compreso la sistematicità del diritto, ma nel non essere riuscito ad
elaborare una teoria della positività del diritto, nella quale legittimare la contingenza normativa.
È per questo che S. è costretto per legittimarla a ricorrere in qualcosa d esterno alla giuridicità stessa:
nella NECESSITA’.
La scienza del diritto per S. consiste nella interpretazione e nella costruzione scientifica del
diritto positivo da un punto di vista storico-sistematico.
Storia è vista da S. secondo una visione evoluzionistica, in cui le forze storiche (lo spirito del
popolo) producono il diritto, è un susseguirsi di epoche tra le quali c’è sviluppo. É un fluire
organico senza inizio né fine. Avere il senso della storia, vuol dire capire le diverse forme che il
diritto assume nella storia. Solo così il giurista avrà compreso la storia della nazione, la vita intera
del popolo, nella quale si sprigiona il diritto (il diritto cambia i suoi caratteri a seconda del momento
storico e della società); conoscere la storia vuol dire conoscere il presente, capire il diritto vuol dire
conoscere la storia del diritto.
La materia giuridica è data dal passato della nazione, ma non dall’arbitrio: essa proviene dall’essenza più
intima della nazione e procede attraverso la sua storia.
Riconoscere la storicità del diritto, vuol dire comprenderne la necessità, in quanto il mondo che si
produce non dipende da una libera scelta (ma si concatena al passato). Allo stesso tempo però,
questo mondo è libero perché non discende “dall’arbitrio di uno”, ma identifica la vera natura del
popolo, come qualcosa in eterno sviluppo.
Per conoscere il presente e comprenderne la necessità, bisogna conoscere la sua storia.
La scienza del diritto è quindi STORIA DEL DIRITTO: “Ogni sapere relativo a qualcosa di
obiettivamente dato, si dice sapere storico, per questo il diritto deve essere storico”.
Il COMPITO della scienza storica del diritto è:
Ricercare e stabilire all’interno di ciò che è dato un principio organico;
Mettere in evidenza con l’interpretazione i principi fondamentali.
Per capire il diritto, si ricorre all’attività filologica => la storia serve a ricostruire il presente
attraverso connessioni logiche ed organiche che si ottengono attraverso l’att. Filologica, ed è grazie
al carattere sistematico, che la scienza riesce a riordinare in un tutto organico i dati storici acquisiti
att l’attività filologica; è grazie al caratt. sistematico che la storia non si manifesta come mera
raccolta di esempi, ma come qualcosa di scientificamente riproducibile, che diviene necessario
riproducendosi come formazione giuridica del presente.Sistematicità è filosofia.
Il sistema elabora il “tutto”, l’intera materia, non il dato singolarmente, producendo così,
l’organicità delle connessioni interne attraverso la mediazione logica.
--- Il sistema è lo strumento che riconduce l’aggregato di dati discreti alla organica concrezione
che è la sostanza della storia --Il contenuto del sistema è il diritto, la legislazione, le proposizioni giuridiche.
Le proposizioni si possono conoscere (singolarmente o nelle loro connessioni), grazie alla forma
che è logica. La conoscenza scientifica è: conoscenza delle connessioni organiche, logiche delle
proposizioni.
Il sistema come riduzione ad unità logica dell’aggregato storicamente dato, rimanda ad un’unità, ad
un ideale su cui il “tutto” si fonda. La scoperta di questo ideale è data dalla filosofia: “Ogni
sistema porta alla filosofia”.
Individuazione della continuità e della presenza della storia nel diritto;
“
della necessità del passato nella materia giuridica;
“
della necessità di un ideale che guida l’operazione logica di raccolta del materiale discreto.
QUESTO È RISULTATO DI UN ATTIVITÀ FILOSOFICA
Quindi il sistema è un’attività filosofica svolta sulle fonti del diritto, attività che cerca di unificare
nel presente l’esistenza disorganica del passato.
2. La conversione metodologica
Storia e sistema sono gli strumenti usati dalla riflessione scientifica per elevare il diritto positivo a
dignità filosofica.
La positività è punto di partenza e di arrivo della riflessione scientifica: l’indagine storica serve a
dimostrare che il presente, in quanto continuazione del passato è necessario, obiettivo (non essendo
soggetto al caso, all’arbitrio).
L’operazione sistematica, raccoglie, ordina la materia prima disgregata.
Questo comporta due conseguenze:
1- Attraverso la costruzione del sistema, il diritto positivo acquisisce organicità,quindi le operazioni
di costruzione del sistema stesso, si presentano come attività creatrice del diritto positivo, il quale
appare come prodotto dell’attività scientifica;
2- L’epistemologia si riduce a metodologia della costruzione del sistema. La filosofia a cui ogni
sistema porta, legittima solo le operazioni di connessione organica del “tutto”.
La teoria della scienza, è metodologia, descrizione delle operazioni di unificazione. La filosofia,
legittima l’unità del sistema.
Il processo, nel quale si riassume la scienza storico-sistematica del diritto, parte dalla positività del diritto nella
sua forma discreta, lo ricompone organicamente nella sua forma concreta, attraverso la logica delle
proposizioni giuridiche, fino a produrre un sistema del diritto.
Per Savigny la legittimazione del diritto avviene sulla base di una fondazione filosofica della sua
dipendenza, e non sulla fondazione teorica dell’autonomia del diritto positivo.
La via di S. è contraddittoria, egli è consapevole che la validità del diritto, dipende dal riferimento
dei rapporti materiali allo Stato (unico modo per conferire forma giuridica a quei rapporti). Egli
comprende anche che l’intuizione, è intuizione di un’esistenza già posta come valida.
3. La costruzione logica del sistema
Punto di partenza per la costruzione sistematica del diritto positivo è l’istituto (dato dell’intuizione).
Istituto giuridico = complesso unitario, mutevole nel tempo, di relazioni umane considerate tipiche.
Dalla visione totale degli istituti, tramite astrazione, vengono ricavate le regole giuridiche.
La regola giuridica, non è altro che un limite posto al volere nella relazione del singolo con l’altro.
La regola determina il settore in cui il volere “può dominare indipendentemente da ogni volere
estraneo”. Vige quindi il principio del dominio, che è il presupposto del rapporto giuridico e ne
esprime il carattere fondamentale. In ogni rapporto giuridico vi sono: un elemento materiale (il
rapporto stesso) e un elemento formale (determinazione giuridica).
S. si chiede quali siano i possibili rapporti giuridici. Egli procede in questo modo:
Se: Nel rapporto si esprime il volere dei singoli;
Allora: I rapporti giuridici sono quelli determinati dalle direzioni verso cui il volere si muove (nei
confronti di cose o “natura non libera” e persone), non si possono considerare i rapporti con la
propria persona, in quanto non vi sono delimitazioni da parte del diritto.
Quindi il primo modo d’indirizzo del volere è dato dal diritto su una cosa: diritto di proprietà.
Il rapporto con l’altra persona può essere di due tipi:
- Può esservi una relazione di dominio su un’azione: obbligazione (questa insieme alla
proprietà costituirà il diritto patrimoniale);
- Il rapporto con l’altra persona può costituire completamento, tramite il matrimonio.
Proprietà: Secondo S. “ogni uomo tende al dominio sulla natura non libera”, questo deve essere
riconosciuto dagli altri individui ed attribuito a tutti. Un rapporto giuridico con la natura, non è
pensabile se non nell’ottica della proprietà privata.
Dopo aver identificato il diritto di proprietà ed il diritto di famiglia, S. si chiede se vi siano delle
relazioni tra questi due tipi di rapporti.
Riferendosi all’elemento materiale, per S. i rapporti differiscono tra quelli che rientrano
completamente, in parte, o per nulla nella regolazione giuridica.
Es.: La proprietà rientra nella prima classe, il matrimonio nella seconda (è una relazione eticonaturale oltre ché giuridica).
Comunque, i due istituti s’incontrano in diversi punti: i rapporti patrimoniali si hanno in relazione
alla famiglia, diritto di famiglia applicato. S. vuole dimostrare come la convergenza tra eticità,
natura e diritto, nella proprietà privata della famiglia, sia realizzata dalla scienza attraverso la
composizione logica dei dati dell’intuizione e del materiale giuridico discreto, è un diritto che nasce
dalla natura dell’uomo e solo in secondo luogo entra il diritto a regolare ciò. La proprietà privata
della famiglia è una necessità logico-storica e l’astrazione giuridica coincide con la necessità
naturale.
S. comprende che le bisogna sostituire alle situazioni concrete (fatti), le loro astrazioni giuridiche
(norme generali ed astratte), solo così si può parlare di diritto positivo. Ma le astrazioni sono già
poste, la scienza le può solo raccogliere organicamente. La scienza dice di partire da un dato
dell’intuizione, l’istituto, e di pervenire alla connessione organica dell’insieme: con un’operazione
filosofica.
L’istituto è una connessione organica che nasce con i rapporti umani e nel diritto diviene
rispecchiamento delle relazioni umane, la loro astrazione giuridica.
É la scienza che connette l’astrazione giuridica al rapporto materiale, come necessità.
S. è consapevole del fatto che è lo Stato a conferire giuridicità all’astrazione, questo è il prodotto
di una scelta, una decisione, una selezione: contingenza.
La libertà dei moderni si esprime nella proprietà privata, settore in cui domina la volontà.
Soggetto del diritto è il proprietario privato. La positività del diritto garantisce la libertà del soggetto
solo tramite l’esercizio libero del dominio.
4. Contingenza e necessità. L’elusione del problema teorico
S. perviene a due punti fermi:
1- Principio di autonomia del diritto positivo;
2- Superamento del metodo come ricerca della verità e acquisizione del metodo per la costruzione
del sistema.
Ciò che è però contraddittorio è il rapporto della metodologia all’oggetto, infatti, rispetto all’oggetto,
la metodologia è indifferente, non si pone il problema gnoseologico (della conoscenza). Ma questo
problema si è risolto non rifacendosi più al principio della verità, bensì a quello della positività del
diritto che si realizza tramite il riferimento allo Stato.
Savigny ricorrerà alla tautologia della metodologia come legittimazione. Savigny riconosce
l’attività scientifica come pura metodologia, gli attribuisce funzione pratica di sistema capace di
produrre diritto.
Da qui nascerà la confusione di teoria e metodologia, a tutto danno della metodologia; si delineerà il
circolo in cui l’epistemologia giuridica è ridotta a metodologia, in cui il diritto positivo appare come
prodotto della scienza e trova la sua legittimazione in un processo apparente che altro non è che una
tautologia, poiché la metodologia stessa richiede come suo fondamento di vali9dità il riferimento
alla contingenza del diritto, alla positività.
Ciò sarà l’epistemologia giuridica sino a Kelsen…
La specificazione della metodologia e Kelsen
1. Puchta
a) La concezione del diritto come uguaglianza alla quale è immanente la disuguaglianza
Il fondamento del diritto è la libertà. La ragione esclude la libertà, è il suo opposto. La ragione è
identificata con il bene e per naturale necessità, la ragione dovrà alienare da sé il male come
negazione, isolarlo; infatti la ragione è necessità che esclude ciò che la nega; la libertà è invece
negazione della necessità razionale è possibilità di scelta tra bene e male.
Libero, per P., è l’uomo che può volere e nel diritto, questa potenzialità è riconosciuta. Infatti,
soggetto del diritto è l’individuo, in quanto capace di volere, in quanto soggetto di una scelta.
Considerando la potenzialità del volere, si può distinguere:
Libertà giuridica:è indifferente alla qualità dell’azione oggetto della previsione giuridica anche
se viola il diritto, infatti, chiunque sarà sempre e comunque soggetto di diritto (sia che viola, sia
che rispetta);
Libertà morale: non è rilevante il fatto che il soggetto possa compiere una scelta, ma il fatto che
questo prenda una decisione, e che questa decisione sia conforme alla morale: sono la decisione
e la sua qualità che rendono il soggetto morale.
Secondo P. il diritto è inoltre indifferente alle diversità reali tra i soggetti, infatti, egli vede il
diritto come un sistema che mantiene unite le disuguaglianze.
Il diritto deve proteggere l’uguaglianza, riducendo le disuguaglianze individuali al fattore comune:
alla personalità, alla possibilità di un volere. Ma allo stesso tempo il diritto non nega le
disuguaglianze, che ne costituiscono la materia, intorno alla quale s’intrecciano i rapporti. Il diritto,
pur ricollegandi le diversità in unità organica, non può non riconoscere le disuguaglianze reali,
quindi organizza diverse gradazioni dell’uguaglianza; ovvero una struttura di indifferenti
uguaglianze.
Il diritto ha due compiti:
Attraverso l’uguaglianza tenere unite (dominare) le disuguaglianze materiali;
Riconoscere la differenza presente nella materia del diritto, la quale introduce differenziazione.
Il diritto si costruisce in base a differenziazioni, così nasce una piramide di istituti: dal più generale al più particolare,
più si sale più i concetti saranno astratti (in cui però è compresa tutta la materia), più scendiamo verso la base più
troviamo concetti intrisi sempre più di materia giuridica.
--- Il diritto è quell’uguaglianza cui è immanente la disuguaglianza ---
Nel diritto i soggetti figurano solo come astrazione della loro volontà, ovvero una proprietà
distribuita in maniera uguale. Queste astrazioni incontrano però la resistenza continua fatta dalla
diversità della materia. Il diritto supera questa resistenza sistemando la materia in diverse categorie
di uguaglianze, piegandole a diverse forme. La molteplicità delle differenze reali diviene
molteplicità interna delle strutture del diritto.
Il diritto deve superare le disuguaglianze e la resistenza della materia, e conseguentemente la
simultanea molteplicità delle astrazioni, questa necessità interna è il principio razionale del
sistema, del diritto.
“Il diritto è qualcosa di razionale”, ciò significa che le astrazioni sono connesse in una struttura
unitaria dall’insieme dei rapporti di subordinazione che le coordinano con “interna necessità”.
L’individuazione del principio di razionalità, vuol dire affermare il principio di autonomia del
diritto positivo, il quale è un sistema chiuso, le cui parti sono collegate secondo necessità (logica).
La connessione delle proposizioni porta all’identificazione di una “piramide concettuale”, formata
da astrazioni proprie del diritto. Vediamo, quindi, come oggetto della scienza sia, il diritto come
materia isolata e non come membro del “tutto”.
Tale principio (della razionalità) libera il sistema, oggetto della scienza, da qualsiasi influenza
esterna; ciò vuol dire che conoscenza scientifica sarà = a conoscenza dei rapporti interni al sistema.
Inoltre: non si può passare dal principio del sistema di autonomia e di riferimento interno
(fondamento della razionalità) al principio dell’uguaglianza (fondamento della libertà del diritto).
Ciò vuol dire che la libertà (postulato dell’uguaglianza e attributo dei soggetti astratti) non è oggetto
della scienza. Il diritto è conoscibile come sistema della razionalità, non dell’uguaglianza, esso è un
sistema di disuguaglianze.
Dato che la razionalità, struttura gradazioni diverse d’indifferenti uguaglianze, reintroduce nel
sistema le disuguaglianze reali e le collega secondo logica.
Il senso del diritto è duplice:
Il senso della libertà: rende uguali le disuguaglianze individuali ed è presupposto del diritto;
Il senso della razionalità: riproduce le disuguaglianze e costituisce la realtà conoscibile.
Per Puchta tra i due sensi non è possibile alcun rapporto di derivazione, in quanto in questo modo
è possibile costruire una metodologia della costruzione sistematica delle disuguaglianze interne al
diritto. In realtà i due sistemi si rapportano nel riferimento allo spirito del popolo, in cui
s’incontrano:
Il principio del diritto, come sistema in cui si realizza la libertà;
Il fondamento del diritto, come sistema in cui si realizza il senso della razionalità.
b) La razionalità del sistema giuridico, la positività della scienza e l’istanza materiale
Puchta svincola il diritto da qualsiasi istanza legittimante esterna e perviene all’affermazione della
sua autonomia e completezza. È il diritto positivo nel suo isolamento, l’oggetto della scienza. Per P.
la conoscenza scientifica è conoscenza sistematica del diritto, cioè conoscenza della connessione
delle proposizioni giuridiche. Solo questa è conoscenza completa per due motivi:
Motivo esterno: solo la conoscenza sistematica fa in modo che si possa conoscere tutte le parti
del diritto come parti di una connessione organica, così che la mancanza di una parte si presenti
come una lacuna;
Motivo interno: il diritto è un sistema e solo chi lo inquadra come tale, lo comprende
completamente.
Conoscenza che quindi vuol dire, seguire verso l’alto e verso il basso la derivazione dei vari
concetti e di tutti gli elementi relativi ad ogni concetto, che concorrono nella formazione degli stessi.
La razionalità del sistema si esprime nella necessità che sussiste delle varie connessioni tra le parti
del sistema. Il carattere deduttivo delle operazioni di costruzione del sistema, portano
all’individuazione di una “genealogia dei concetti”.
Si può dire che la scienza produce diritto, perché porta alla luce ciò che è implicito al d. positivo.
Il diritto prodotto dalla scienza è valido in quanto questa porta solo all’evidenza tramite l’analisi
sistematica, alcune proposizioni le quali non devono essere necessariamente già percepibili nei
comportamenti del popolo (consuetudini) o non devono necessariamente essere state espresse dal
legislatore (leggi).
Questo tipo di diritto, si fonda:
Sulla razionalità del diritto esistente;
Sulla verità dei principi da esso derivati;
Sulla correttezza delle conclusioni che vengono tratte da quei principi.
Questa fondazione di validità, segna il punto di distacco tra Savigny e Puchta. Qui il diritto si fonda
al suo interno, sulla molteplicità delle astrazioni, nella materia e nella resistenza che questa oppone.
I postulati desunti dal diritto esistente, vengono assunti quindi come veri. Il postulato della verità,
legittima:
La conoscenza sistematica come completa;
Sistema del diritto, come sistema completo, il quale si chiude dall’interno grazie al meccanismo
deduttivo.
La correttezza delle conclusioni tratte dai principi è così presupposta nella correttezza delle
operazioni di deduzione. Puchta aggiunge che il diritto della scienza è opera dell’attività dei giuristi,
ma non considerati come depositari della conoscenza giuridica, ma perché questi applicano le
proposizioni giuridiche che derivano da fondamenti di natura esclusivamente interna; perciò il
diritto dei giuristi è il diritto della scienza.
Il limite di P. sembra riferirsi ad una non chiara consapevolezza della fondazione contingente della
positività.
Vengono distinti come principi del diritto: libertà e razionalità. La scienza si libera del rischio di
effettuare il salto dalla razionalità alla libertà, solo se assume la positività non come valore
indipendente, ma fondato sulla contingenza. La scienza può affermare che “una opinione giuridica
è diritto, quando è scientificamente fondata, cioè quando essa è vera”, solo se la verità logica, si
fonda all’interno o al massimo si conforma allo “spirito del popolo”.
P. stesso ritiene questa legittimazione, anche se in minima parte, qualcosa di esterno, come
una debolezza.
In definitiva, la positività cui P. perviene, è relativa, infatti questa è insidiata dal problema
dell’istanza materiale nel diritto, che è condizione e presupposto della razionalità, ma anche
ostacolo immanente all’uguaglianza. Si parla di “ostacolo epistemologico”.
2. Jhering
a) L’emancipazione dell’astrazione giuridica e della scienza
Jhering comprende che la giurisprudenza può stabilizzarsi come metodologia, solo se il suo oggetto
perviene ad un livello di autonomia tale da non subire influenze (quelle che per Puchta provenivano
dall’istanza materiale). J. storicizza il rapporto tra materia ed astrazione (P. l’aveva colto nella sua
fissità). Egli ammette che l’astrazione giuridica riproduce la disuguaglianza dei rapporti sociali
materiali, ma considera questo come il primo stadio evolutivo della forma giuridica, al quale seguirà
la completa emancipazione di quella forma da ogni residuo e condizionamento materiale.
Questo processo evolutivo dell’astrazione è insieme processo evolutivo della scienza giuridica: da
una proposizione giuridica vincolata, si passa ad una proposizione emancipata da ogni residuo
materiale.
È il processo evolutivo dell’astrazione che legittima la conversione metodologica della
giurisprudenza come scienza che manovra forme giuridiche libere. J. concepisce l’istanza materiale
solo come luogo della disuguaglianza, della diversità e quindi di produzione delle astrazioni, ma
supera P. in quanto la forma giuridica ha subito un processo di emancipazione che l’ha portata a
liberarsi dall’istanza materiale. Quindi oggi al termine di questo processo la forma si presenta come
oggettiva uguaglianza.
J. intuisce che il sistema delle astrazioni è razionale come sistema della disuguaglianza, ma è
insieme luogo dell’uguaglianza. Egli non riesce a sviluppare coerentemente i presupposti impliciti
ed è costretto a presentare il processo come interno della scienza giuridica.
Per superare l’ostacolo (dell’istanza mat.) pone all’inizio del processo scienza e diritto alo stesso
livello di sviluppo e vede il processo di emancipazione come evoluzione del sistema del diritto e
della scienza. L’evoluzione del diritto, viene presentata come repressione del condizionamento
dell’istanza materiale effettuato dalla scienza.
Quindi:
L’astrazione giuridica trasforma evolutivamente la sua struttura;
Il presupposto per la struttura è l’emancipazione dell’astrazione da prodotto storicamente
condizionato dai rapporti materiali, a prodotto razionale di una costruzione puramente giuridica.
Il diritto si lascia determinare partendo dalle manifestazioni dei fenomeni, fino a pervenire alle
strutture interne dell’organismo. I primi tentativi di rappresentazione giuridica dei rapporti sociali
materiali, vengono chiamati: proposizioni giuridiche.
Questa rudimentale formulazione è:
Una legge del divenire storico: il generale viene alla luce innanzi tutto in maniera limitata;
Una legge della conoscenza: lo spirito umano si appropria prima del concetto poi dell’astratto.
L’istanza materiale è solo originaria, infatti, compito della storia del diritto è quello di liberarsi da
quella istanza di diversità, di reprimere il concreto pervenendo all’astrazione nella sua autonomia.
A questo punto J. converte il processo reale in processo causato dalla scienza, la quale trasferisce
l’evoluzione al suo interno. Il diritto passa dalle rudimentali proposizioni, alle migliori
rappresentazioni della sua natura, grazie ad un processo di emancipazione.
Compito della scienza è quello di isolare l’astratto dalle manifestazioni storiche. Gli strumenti
utilizzati sono diversi nonostante il fine sia unico: rappresentare la forma giuridica originaria come
puro momento logico del sistema (passaggio necessario), che deve a sua volta apparire come
momento finale dello sviluppo storico.
Gli strumenti possono anche non essere di natura giuridica, in quanto non permettono di produrre
nuovo diritto, ma solo di riordinare il materiale esistente. La scienza semplifica ed interpreta il
materiale giuridico, portandolo ad un livello superiore. Anche la scienza che interpreta evolve e
passa da giurisprudenza inferiore a giurisprudenza superiore.
Nel livello superiore, diritto e giurisprudenza si liberano dell’istanza materiale (ostacolo). La
originaria materia giuridica, prende la forma di corpi giuridici, di oggetti prodotti dalla scienza, dice
J.: “noi specifichiamo la materia, noi costruiamo corpi specificatamente giuridici”.
Attraverso diverse combinazioni, possono essere prodotti nuovi concetti (proposizioni) i quali sono a loro volta produttivi.
Questa superiore giurisprudenza, che è metodologia della costruzione del diritto, si distingue dalla
giurisprudenza inferiore (carattere puramente recettivo), per la sua capacità produttiva. Questa
giurisprudenza, ha la capacità di estrarre dalle essenze giuridiche, nuovo e più elevato diritto,
capacità di produzione di astrazioni logicamente necessarie (a differenza di quelle originarie).
J. riesce ad emancipare diritto e giurisprudenza dalla storia. Egli parte dal presupposto che il diritto
è astrazione dei rapporti i quali sono espressi in forma giuridica, sono quindi oggettivati nelle
astrazioni.
b) Storia del diritto e storia della repressione dell’istanza materiale
Jhering porta a compimento la conversione metodologica della scienza giuridica, costruita come
sistema chiuso e razionale, la cui razionalità non dipende dall’istanza materiale del molteplice, ma
solo dalla chiusura logica di un complesso di astrazioni rese autonome.
L’autonomia delle scienza è possibile, solo se questa riesce a pensare l’autonomia del suo oggetto.
Jhering avendo eliminato l’istanza materiale, compie un grande passo avanti, ora il diritto si
presenta come prodotto della scienza, complesso autonomo di astrazioni che si producono da sé. La
giurisprudenza diviene pura metodologia, tecnica che organizza il calcolo della produzione delle
forme.
J. propone l’oggettiva razionalità come ragione solo giuridica. La scienza svolge questa oggettività
e l’arricchisce delle esplicazioni delle forme implicite, divenendo “attività produttrice di nuove e
superiori astrazioni”.
La superiorità consiste nel fatto che:
La loro produzione è possibile solo quando il sistema raggiunge una propria oggettività;
Sono differenti dalle forme originarie, infatti, quelle moderne, fissano i rapporti sociali
attraverso l’immobilità delle forme originarie.
J. intende il superamento dell’ostacolo dell’istanza materiale, come repressione nella forma
giuridica della materialità dei rapporti: la storia del diritto è storia della repressione dell’istanza. La
storia è evoluzione della molteplicità presente all’astrazione, come istanza razionale, nella unità
sistematica prodotta dalla scienza. Qui il diritto appare come prodotto razionale della scienza e la
sua interna necessità è convertita in necessità logica.
“La produttività della storia del diritto ha per oggetto lo sviluppo dell’organismo giuridico”, inoltre, “il tempo deve essere
represso attraverso il sistema, questo deve, infatti, svilupparsi liberamente a partire da sé, senza limitazioni dal tempo”.
La repressione del tempo permette a J. di trasferire alla scienza la capacità produttiva di diritto di
compiere definitivamente l’annullamento dell’istanza materiale nella diversità delle sue espressioni
storiche. Il tempo presente è tempo dell’astrazione, il passato è tempo dell’istanza materiale.
J. coglie il presente come il tempo dell’astrazione e che si legittima perché è emancipazione dal
passato come tempo del concreto. Il diritto si legittima come forma del presente, il presente è il
tempo del diritto, il diritto è la forma universale che domina il presente.
Solo nel presente il diritto raggiunge il suo livello più alto; solo ora il diritto è la astratta coesione
dei sistemi disgregati dell’agire, perché esso è l’astrazione dell’agire posto come valido.
1^ Legge di costruzione giuridica: “Le proposizioni giuridiche positive sono i punti dati attraverso
i quali la costruzione giuridica deve far passare la sua linea di costruzione”. Alla materia deve
restare la stessa forza pratica che nella forma ha avuto fino ad ora. La giurisprudenza superiore è
legata alla legge.
J. acquisisce il principio della positività del diritto e del suo fondamento contingente, come
presupposto della scienza giuridica ridotta a pura metodologia. La contingenza viene però
legittimata da J. su una prospettiva meccanicistica evolutiva, infatti, la contingente astrazione del
diritto positivo p presentata come punto d’arrivo e conclusione della storia della forma giuridica.
> La contingenza è presentata e legittimata come espressione di una forma, fissata nell’astrazione
moderna del diritto: questa espressione non appare più contingente, perché è immediatamente
riferita alla forma che da essa la giurisprudenza ha estratto come l’essenza del diritto. Nel sistema
del diritto, la contingenza legata al tempo ed alla storia scompare, si annulla nel presente che non è
più contingente, perché realizza la forma. <
J. afferma il carattere produttivo della scienza moderna, rispetto precedente al carattere, puramente
recettivo. Ma produttiva è l’essenza del diritto, le astrazioni oggetto della giurisprudenza, gli istituti,
i concetti (privati dell’istanza materiale). Infatti la giurisprudenza superiore ha fissato in questi la
contingenza nella sua forma presente. La produttività della scienza, è la capacità di produrre
incremento continuo di norme repressive dell’istanza materiale, dal punto di vista della contingenza
attualmente prodotta e già esistente. Otteniamo 2 risultati:
Da una parte si ottiene il risultato d’incrementare la produzione di istanze legittimanti la
contingenza giuridica nella sua forma presente (il d. positivo esistente);
Dall’altra, il sistema di questa contingenza è un sistema chiuso, esso trova in sé stesso
l’impossibilità di una stabilizzazione evolutiva.
Lo sviluppo del diritto, si risolve in un tentativo di stabilizzazione del d. positivo esistente, di
incremento delle istanze interne legittimanti. Questo tentativo mira ad impedire ogni ulteriore
produzione di contingenza.
La giurisprudenza è invece, produttiva di forme di repressione dell’istanza materiale dipendenti dal
grado di repressione di quella istanza raggiunto dal diritto esistente.
Per J. la conversione metodologica è attività produttrice di forme di repressione dell’istanza
materiale. Questa attività è però è fornita di scarse risorse, in quanto è vincolata alla quantità di
repressione originaria prodotta dalla contingenza, ad un suo determinato grado di complessità. Non
potendo produrre nuova contingenza, il sistema è statico e può esplicare solo che è in esso
contenuto.
Merito di Jhering: aver individuato nella conversione metodologica della scienza giuridica la
funzione di legittimazione della repressività dell’astrazione giuridica;
Limite di Jhering: Non disponendo di una teoria della produzione della contingenza, di una teoria
dinamica dell’ordinamento, è stato costretto a limitare l’universo del discorso
scientifico alla quantità di contingenza prodotta. Il limite di J. è la metodologia.
3. Kelsen
a)La questione: “come è possibile il diritto positivo quale oggetto di conoscenza
della scienza giuridica?”
Il sistema dell’epistemologia giuridica (scienza giuridica) deve:
Elaborare soluzioni al problema della contingenza (superare il sistema statico);
Costruire la categoria giuridica come istanza puramente formale, ovvero risolvere il problema
dell’istanza materiale.
Questi sono i due problemi irrisolti dalla scienza giuridica; sarà Kelsen a risolverli, individuando
nuovi problemi verso i quali si indirizzerà tutta la riflessione successiva sul diritto positivo.
Kelsen ripensa i fondamenti dell’epistemologia giuridica, la quale deve autonomizzare il diritto
dagli altri ambiti della società; ed è perciò che mira alla costituzione della “dottrina pura del
diritto”; cioè del diritto liberato da tutto ciò che non ha nulla a che fare con esso.
Kelsen parte dal postulato della separazione fra essere e dover essere; ciò gli permette di isolare il
diritto come universo del dover essere (come “tecnica specifica di organizzazione sociale”, del
comportamento umano); mentre la natura appartiene alla categoria dell’essere.
Per K. il fondamento di validità dell’intero sistema è costituito da una norma:
La cui validità non può derivare da altra norma;
La quale non può essere messa in dubbio;
Presupposta e il cui contenuto sarà soltanto “l’istituzione di una fattispecie produttiva di norme”.
Da questa norma fondamentale l’intero sistema determina il suo fondamento di validità, il quale poi
determina solo le condizioni formali della produzione di norme (qualificazioni normative) e
costituisce il presupposto dell’interpretazione in senso soggettivo di queste, rese in senso oggettivo
in quanto oggettivamente valide.
Sistema giuridico = universo di qualificazioni normative, la cui coerenza è stabilita dalle relazioni formali della
loro produzione, ciò rende tali qualificazioni indifferenti come dover essere rispetto all’essere (istanze materiali),
perciò sarà universo autonomo, e la sua autonomia deriverà dal suo interno.
Ciò permette a Kelsen di risolvere il problema dell’epistemologia giuridica: “Come è possibile il
diritto positivo come oggetto di conoscenza, della scienza giuridica?” e “Com’è possibile una
scienza giuridica?”.
Secondo la costruzione di Kelsen, quindi, il diritto positivo come norma, valutandosi come
soggettività oggettivata per il suo processo di formazione e quindi ininfluente rispetto alle altre
soggettività (non oggettivate), esso è dal suo punto di vista immanente un dover essere e quindi si
pone di fronte alla realtà dell’effettiva condotta umana, che esso giudica come conforme o non
conforme al diritto, ma tale considerazione è “relativa” in quanto si determina un dover essere
(quindi buono e giusto) che però si basa su un assunto (norma superiore) la cui bontà e giustizia non
sono state verificate.
IL DIRITTO PUO’ AVERE QUALSIASI CONTENUTO.
Il problema non è norma giusta o ingiusta, ma valida o non valida:
La categoria della giuridicità quindi si presenta come separata rispetto a natura (essere) e valore, ma
essa con natura e valore è legata da un rapporto ambivalente; in quanto il dover essere si
contrappone all’essere: ovvero la norma sovrasta la realtà e si pone di fronte ad essa come
indifferente. Quindi la norma non dipende dalla realtà, la realtà (la natura) resta impotente di fronte
alla norma (non c’è influenza dall’essere al dover essere), la natura ha per la norma un significato
soggettivo, ed è quindi irrilevante. E’ LA NORMA CHE QUALIFICA LA NATURA
CONFERENDOLE SIGNIFICATO OGGETTIVO.
Così valide saranno le norme che appartengono ad un determinato sistema giuridico in quanto
statuite tramite un particolare procedimento di creazione: sono norme positive; il diritto è quindi un
significato oggettivo che ha validità perché è stato posto, perché esiste.
La norma fondamentale, che è fondamento di validità di tutto il sistema, avrà quindi due funzioni:
1. Riconoscere come diritto un materiale storicamente dato;
2. Comprendere il diritto come un tutto coerente.
Ma la norma fondamentale non è positiva, non è posta, essa non è valida perché creata secondo un
certo modo, ma è valida per il suo contenuto; quindi prescindendo dalla sua validità, che è
comunque puramente ipotetica, è parificabile ad una norma di diritto naturale.
Questo è il problema della positività del diritto: la sua duplice esistenza come dover essere ed essere
al tempo stesso, categorie che si escludono, fra l’altro, vicendevolmente:
ALLORA: la categoria giuridica è separata perché al contrario della norma di diritto naturale, che è
pura soggettività, è oggettiva come il materiale (storicamente dato) che si contrappone alla sua
soggettività e si impone come dover essere. Il sistema isola, seleziona nella qualificazione
normativa, e porta all’isolamento di una soggettività che viene ad assumere esistenza positiva,
quindi diventa realtà di fronte a cui le altre soggettività non hanno esistenza oggettiva, quindi
esclude ogni altra realtà in quanto essa viene posta come unico valore, oggettivo e conoscibile.
Inoltre: Il diritto positivo è ordinamento dinamico, non statico come il diritto naturale; esso è si
costituito su materiale storicamente dato, ma al tempo stesso è esistenza che non ha storia, poiché
indifferente all’evoluzione, è indifferente verso ciò che è diverso, esso è soggettività del valore, ma
insieme oggettività, unicità del dover essere; è frammento della natura (quindi soggettivo), ma è il
valore della sua unicità (quindi oggettivo, in quanto giuridico). Tutto ciò non è percepibile, anche se
la sua esistenza è materialmente verificabile: è sensibilmente sovra sensibile.
Kelsen così è il primo che di fronte a questa doppiezza del diritto non cerca di contrastarla ma la
riconosce così come essa appare, e la assume senza ulteriori presupposti; ed è ciò che gli permette
di superare l’ostacolo epistemologico dell’istanza materiale: il diritto positivo è possibile come
oggetto di conoscenza [risoluzione del problema epistemologico inizialmente posto] solo come
forma di valore che ha cancellato da se ogni carattere naturale, come uguale oggettività di valore
che è connessa ad un’esistenza soggettiva del valore, come astratta uguaglianza delle istanze
materiali represse, o come forma di dominio dei rapporti sociali materiali.
Kelsen sviluppa così solo il punto di vista immanente della normatività, la scienza non si occupa del
lato materiale, non immanente alla normatività, perché originariamente represso, essa è possibile
solo come teoria della normatività; la scienza giuridica quindi non può penetrare il segreto della
forma giuridica e spiegarne il carattere feticistico, non può assumere un punto di vista non
immanente, vorrebbe dire distruggere se stessa. Così Kelsen sviluppando il punto di vista
immanente della normatività, può legittimare la contingenza come normatività ipotetico-relativa, e
ciò legittima il carattere contingente della normatività, ed il principio di validità dà fondamento alla
soggettività resa oggettiva (carattere normativo della contingenza); ed il principio di validità a sua
volta deriva dal fatto che una contingenza resa normativa viene posta a fondamento di tutto il
sistema che costituisce il diritto positivo.
b) La questione: “come è possibile la scienza giuridica”
La scienza giuridica è possibile solo come teoria della normatività della contingenza prodotta
dall’ordinamento giuridico:
Il problema della dottrina PURA del diritto, non è la qualificazione normativa, il significato ogg.
che viene attribuito, non si occupa della produzione delle norme, ma è la autonomia di quel
complesso di significati. Compito specifico è l’analisi della struttura dell’ordinamento del diritto
positivo: ovvero legittimare la contingenza normativa, considerandone solo la normatività.
Ovvero: da una parte Kelsen annulla la contingenza come oggetto della teoria, nel suo attributo
della normatività, dall’altra impone alla sua teoria come oggetto tutta la contingenza prodotta
dall’ordinamento giuridico, poiché quella contingenza nel suo riflesso normativo è sempre valida.
Ed è questo il problema che incontra Kelsen, egli si trova a dover far entrare nel sistema quantità
incontrollabili di contingenza, vi è un eccesso di complessità, la contingenza è senza freni ed il
diritto non riesce ad elaborare questa complessità. Ciò è per il sistema fonte di minaccia per la sua
stabilità: è il problema della COMPLESSITA’.
La scienza deve trovare un metodo, una strategia per ridurre la complessità, per contenerla e
controllarla, in quanto presupposto della stabilità del sistema stesso, che permette al sistema di
sopravvivere, e allo stesso tempo dà protezione alla contingenza da esso prodotta e alla possibilità
di produzione della contingenza stessa:
si conclude la conversione metodologica e si apre il capitolo della conversione teorica.