versione definitiva 15-02-2010 9:06 Pagina 1 Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna n.02 febbraio 2010 Orchestra europea versione definitiva 15-02-2010 9:06 Pagina 2 Antica Profumeria Al SACRO CUORE Galleria “Falcone – Borsellino”, 2/E (entrata di via de’ Fusari) 40123 Bologna Tel. 051.23 52 11 – fax 051.35 27 80 www.sacrocuoreprofumi.it [email protected] Off. Profumo S. Maria Novella Frederic Malle Bond n°9 Creed Floris Maìtre Parfumeur et Gantier Keiko Mecheri Montale The Different Company Pro Fumum Roma “The Party” Czech & Speake Bruno Acampora Lorenzo Villoresi Royall Bermuda Limited Diptyque Comptoir Sud Pacifique L’Artisan Parfumeur Kiehl’s Art of Shaving Mathias Amouage Andy Tauer Clive Christian Puredistance I Parfumerie Generale Etat Libre D'orange Mona Di Orio Geo F. Trumper Robert Piguet Parfum D'empire The Knize Claudie Pierlot Gardenia Isabey Washington Tremlett Menard Parfum Les Néreidés Mark Birley versione definitiva 15-02-2010 9:06 Pagina 3 EDITORIALE Ogni epoca, per trovare identità e forza, ha inventato un’idea diversa di ‘classico’. Così il ‘classico’ riguarda sempre non solo il passato ma il presente e una visione del futuro. Per dar forma al mondo di domani è necessario ripensare le nostre molteplici radici. Così scrive Salvatore Settis in Futuro del ‘classico’ (Einaudi 2004). Apprezzato archeologo e direttore della Scuola Normale di Pisa, in questo piccolo ma denso volume Settis esamina il senso del ‘classico’ nelle arti figurative, nella scultura, nell’architettura. Le sue considerazioni mi danno lo spunto per una breve riflessione sul mondo della musica, in particolare la musica detta per l’appunto ‘classica’ o, con un’espressione che personalmente trovo molto fuorviante, ‘colta’. Ovvero: come ci poniamo, al di là delle lamentazioni per il progressivo erodersi della presenza della ‘nostra’ musica nei mezzi di comunicazione, nei programmi culturali dei governi che si succedono, in una parola nella società, noi che viviamo di essa e voi che con entusiasmo ne siete partecipi come ascoltatori? Torniamo ancora a Settis: via via che si sa sempre meno dell’antichità greca o romana, tanto più si consolida nel nostro paesaggio culturale l’immagine delle civiltà ‘classiche’ (specialmente la greca) come la radice ultima e unica di tutta la civiltà occidentale, come il deposito dei valori più garantiti e alti. Tale immagine, potentemente operativa proprio perché data per scontata, resiste, e anzi si consolida, proprio mentre più marcato si va facendo, e proprio in Occidente, il distacco dal mondo ‘classico’ della cultura più condivisa e dei più diffusi percorsi educativi. Meno sappiamo il greco e il latino, meno leggiamo quelle letterature, e più parliamo dei Greci e dei Romani, ma in modo sempre più sclerotizzato, convenzionale, morto. Mi pare che l’uso scontato, la citazione decontestualizzata, la banalità dei riferimenti di cui soffrono Mozart, Verdi, Rossini, Wagner e molti altri - a opera di pubblicitari (mi viene in mente il recente strazio di ‘Va’ pensiero’, in cui il dolente testo di Solera diventa un’ode a un vantaggioso conto corrente…) o da parte di politici che pretendono di rendere più sapido un discorso infilando riferimenti sconclusionati al mondo dell’opera o della musica classica rappresentino sì un problema, ma che una difesa arroccata e indignata da parte degli appassionati rischi di aggravare il danno. Credo infatti che, se ci sta a cuore il futuro del ‘classico’, sia necessario ripensare il concetto stesso. Innanzitutto, concepire il ‘classico’ come sinonimo di immutabile non rende un buon servizio a noi tutti, poiché pone su un piedistallo irraggiungibile, pro- ietta in una dimensione astorica, allontana dal presente, quel che invece sentiamo vivo e palpitante. In secondo luogo, rischia di creare un canone entro cui diventa sempre più impervio inserire la contemporaneità. Probabilmente uno degli ostacoli maggiori nell’identificazione di un criterio realmente attuale di classicità è quella perfetta corrispondenza, percepita dai più, tra ‘classico’ e tonale, così che il classico si ferma alle soglie del Novecento. C’è invece bisogno, credo, di individuare un paradigma appropriato al XXI secolo, così da rivitalizzare il concetto e creare una continuità che permetta di storicizzare l’esperienza degli ultimi cento anni. Si può raggiungere questo obiettivo integrando, tra quanto di nuovo c’è stato nel secolo scorso, quello che riteniamo rappresenti l’elemento caratterizzante di un’epoca culturale - appena conclusa ma ormai divenuta storia – rispetto all’importante lascito dei secoli precedenti. Per quanta parte della popolazione, anche colta, Pierre Boulez o György Ligeti, Bruno Maderna o John Adams fanno parte della musica ‘classica’? Come scriveva Italo Calvino a proposito dei classici in letteratura: è classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno. Guido Giannuzzi Direttore Responsabile “Filarmonica Magazine” [email protected] 3 versione definitiva 15-02-2010 9:06 Pagina 4 Editoriale | 03 Filarmonica Magazine n. 2 mese febbraio anno 2010 Aut. Tribunale di Bologna N. 7937 del 5 marzo 2009 Rubriche | 05 Editore Associazione Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna Via Bertoloni, 11 – Bologna N° iscrizione al ROC: Intervista a Sir Neville Marriner | 06 Filarmonica. Programma | 10 Sostieni la Filarmonica | 11 Pubblicità 051 19982171 Note a margine | 12 Direttore responsabile Guido Giannuzzi [email protected] Intervista a Philippe Entremont | 14 Pianisti e partiture | 16 Recensioni | 19 La tua Musica. Il tuo sostegno. Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna Orchestra europea 4 Redazione Via San Vitale, 22 – Bologna Tel. 051 19982171 – Fax. 051 19982609 email: [email protected] Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna c/o Teatro Comunale di Bologna - Largo Respighi, 1 e-mail: [email protected] www.filarmonicabologna.it Progetto grafico Punto e Virgola, Bologna Foto di Copertina © 2010 George Fletcher Redazione Daniela Marano, Michele Sciolla Hanno collaborato Tommaso Luison, Silvia Mandolini, Isella Marzocchi, Cecilia Matteucci, Andrea Rebaudengo, Alberto Spano Stampa ELIO '83 Via Marsala, 13/AB 40126 Bologna Media partner versione definitiva 15-02-2010 9:06 Pagina 5 LE MIE DOMANDE LE VIE DEI CANTI di Cecilia Matteucci a cura di Guido Giannuzzi A LUIGI FICACCI, SOPRINTENDENTE ALLE BELLE ARTI DI BOLOGNA Luigi Ficacci, romano, dal 2008 a Bologna, insegna alle Università di Viterbo (Storia della critica d’arte) e di Pisa (Scienze del turismo). Ha curato varie mostre sul Seicento e sull’arte contemporanea. La musica preferita? Intende quella che ho desiderio di sentire adesso, che mi risuona in testa mentre parlo con Lei? Brahms, Prima sinfonia e quando sarà finita attaccherà la Quarta. In assoluto, la musica preferita è quella necessaria. Indispensabile credo sia solo Bach: Clavicembalo ben temperato, Arte della Fuga, sperando, in caso di emergenza, di non perdere la memoria e non dimenticare mai l’Oratorio di Natale. L»Opera? Anche qui: ora? Mentre parlo con Lei? Carmen, direi. Ma poi preferita è sempre la passione del momento. E questo è il momento del Faust di Busoni. Appena riuscirò a emanciparmene sento gran bisogno della Salome di Mitropoulos. Opera e pittura: la prima cosa che Le viene in mente? E’ automatico:Verdi e tutto un pezzo di pittura italiana ‘di storia’, tra Hayez e Morelli. E mi dispiace, perché è un’associazione esteriore. E’ voglia di vedere una costruzione musicale illustrata in figure, come sentire mentalmente Monteverdi mentre si guarda Bernini. Mi piacerebbe mi venissero in mente invece le opere che contengono in sé la pittura: Pelleas et Melisande di Debussy, ad esempio. Il colore è un’altra cosa: ogni opera lascia nella memoria un colore o un complesso di colori come traccia di sé, e mai analogie con la pittura, né associazioni sceniche o registiche.Almeno per me. La canzone della Sua adolescenza? Non ricordo. Cos»è per Lei la vanità? Una condizione spirituale difficilissima da raggiungere: richiede un estro naturale da educare con rigore inesausto. Non guardi me però, mentre io guardo Lei.Appartengo alla norma: un livello di molto inferiore a quello della vanità. Naturalmente, come Lei, detesto gli equivoci: le parodie di vanità, condizione primitiva, universalmente diffusa, molto rudimentale. La vanità emerge solo quando la normalità è così ben posseduta da poterla trascendere. E non è indispensabile né obbligatorio farlo. Cosa colleziona? Di musica? Programmi d’opera e di concerti. Averne trovati in casa, da ragazzo, moltissimi, ordinati e anche di molto antichi, fu una delle scoperte più affascinanti della mia adolescenza. Irresistibile continuare a raccoglierne, ma solo delle rappresentazioni viste, se non altro per accorgersi di esserci. Alla Pinacoteca di Bologna: il Suo dipinto preferito? Sansone di Guido Reni. In giro per il mondo, il Museo più emozionante? Ancora oggi la National Gallery di Londra. Non è il più simpatico, ma, dopo l’esperienza del museo più sensuale del mondo, il Louvre della mia adolescenza e giovinezza, o quello più miracoloso, il Prado della stessa epoca, la National Gallery di Londra è straordinaria per la sua normalità, per il suo meraviglioso e inapparente inserirsi nella quotidianità domestica della vita urbana. Ineventuale, indispensabile, inevitabile: per me il cuore di un modo londinese di rendere il forestiero normalmente cittadino del luogo. E poi, il suo opposto, ovviamente: Roma, il museo aristocratico e oggi, in primis, Galleria Borghese: la condizione innata da cui partire per giungere al piacere della London National Gallery e cui tornare, alla fine del viaggio. Sua moglie, Anna Coliva, Direttrice della Galleria Borghese a Roma, è molto bella:da quale pittore del passato e/o del presente la farebbe ritrarre? Lei piuttosto, con quale abito la ritrarrebbe? Potessi giocare col passato sarei a Roma, ovviamente, e nel Seicento, almeno nei suoi primi settant’anni. Il ritratto di Anna, non ho dubbi: lo commissionerei a Bernini. In epoca moderna vorrei l’avesse fatto Lee Miller, con la sua macchina fotografica. In epoca post moderna, invece, lo hanno fatto i Vedovamazzei e infatti è venuta fuori una vicenda diabolicamente significativa. Anna invece, credo avrebbe voluto essere ritratta da Francis Bacon: avrebbe significato essere sua amica e trovarsi ritratta nella più sconvolgente, veritiera, personale, sacrale umanità. Si, credo che lei sceglierebbe Bacon. “ Bisognerà concedere ai pittori e ai musicisti, cioè a quegli artisti che non operano sulla parola, un certo grado di incapacità ad avere lo spirito sveglio. Ma si dovrà anche dire che in ciò gli artisti generalmente sorpassano l’arte e riescono a soddisfare ben al di là della misura consentita le esigenze che si pongono alla sciocchezza di una conversazione. Karl Kraus Detti e contraddetti ” Il ricordo di un evento indimenticabile legato all»arte e alla musica? L’arte figurativa è sempre lì. Gli eventi li crea la musica, che non esiste se non attraverso l’esecuzione o la sua memoria. Inevitabilmente indimenticabile, per me, la prima andata all’opera… otto anni? Nove? Non so, mi ci portarono: era un Ernani con Del Monaco al Costanzi a Roma. L’evento più caro al ricordo, la Tosca, sempre lì, Kabaivanska Pavarotti, molti anni dopo, ovviamente. Indimenticabile, per me, il primo ascolto del Prigioniero, al Comunale di Firenze, 1970 o giù di lì e vorrei fosse questa sera. Luigi Ficacci Cecilia Metteucci 5 versione definitiva 15-02-2010 9:06 Pagina 6 Sir NEVILLE MARRINER di Isella Marzocchi versione definitiva 15-02-2010 9:06 Pagina 7 Mozart, Haydn, Beethoven. Marriner, soprattutto. Sarà proprio Sir Neville a guidare la Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna nel quarto appuntamento di questa stagione particulier, deciso a far salpare musicisti e pubblico per un viaggio alla riscoperta di un paesaggio sonoro familiare, per molti riconoscibile sin dalle prime battute. “Ci sarà la semplicità di un Mozart sedicenne, lo sviluppo tecnico di Haydn vent’anni dopo e l’influenza che questi ebbe su Beethoven”, dice il direttore britannico della messa a fuoco del programma, in cui la Sinfonia “Pastorale” di Beethoven è l’approdo nell’esplorazione che prende il via dal mozartiano Divertimento in Re maggiore K 136 e prosegue con la Sinfonia n. 96 in Re maggiore “Il Miracolo” di Haydn. L’intento musicale è dichiarato, ma il suono? Cosa rende unica un’orchestra? “La disciplina”, risponde diretto Marriner. “E’ quanto serve a un ensemble per raggiungere la propria cifra tecnica e sonora”. Lui, del resto, di orchestre se ne intende. La sua vita, nella musica, inizia con lo studio del violino e dopo un’esperienza in formazioni da camera, entra a far parte della London Symphony Orchestra. “A Bologna porto Haydn, considerato allo stesso tempo il ‘padre’ sia del quartetto che della sinfonia” dice Marriner. “Nei giorni in cui suonavo in quartetto prediligevo la musica da camera, ora la sinfonica. Anzi, proprio le sinfonie di Haydn”. Risale a quell’epoca - è il 1959 – la nascita dell’Academy of St. Martin in the Fields, che mutua il nome dalla chiesa omonima su Trafalgar Square dove il 13 novembre di quell’anno la nuova orchestra tiene il concerto di debutto, con un organico ridotto e senza direttore. “Un caso, in un certo senso. C’era il desiderio che venisse eseguita musica all’interno di quella chiesa. La nostra novità è stata il repertorio, tedesco e italiano in particolare, ai tempi un territorio piuttosto inesplorato”. Oggi, dopo una rara e produttiva collaborazione durata oltre 50 anni (raccontati in un recente ritratto da Christian Tyler nel suo libro “Making Music”), ne è presidente a vita. ‘ Oggi, un repertorio immenso come bagaglio artistico, confessa che “se i cantanti non fossero così vulnerabili e tanti registi non così invadenti” gli piacerebbe dirigere più opere di quanto, di fatto, non faccia. In un’intervista di Margaret Throsby in diretta sull’australiana ABC Radio di Melbourne dello scorso novembre Sir Neville ricordava proprio l’esperienza grandiosa del primo contatto dell’Academy of St. Martin in the Fields con l’opera, la registrazione delle ouvertures rossininane (era il 1987). Un disco fatto in studio, dove “non Ci sarà la semplicità di un Mozart sedicenne, lo sviluppo tecnico di Haydn vent’anni dopo e l’influenza che questi ebbe su Beethoven La Los Angeles Chamber Orchestra, altro suo fiore all’occhiello, nasce dieci anni più tardi, nel 1969, in concomitanza con il debutto da direttore dopo gli studi con il suo mentore Pierre Monteux. “Il successo di queste due orchestre da camera è dovuto alla scelta di un repertorio alternativo a quello sinfonico, budget proporzionalmente ridotti e al successo con i solisti”. Alla Los Angeles Chamber Orchestra ricopre per dieci anni la carica di Direttore Principale per poi passare alla Rundfunk Sinfonie Orchester Stuttgart, l’Orchestra Sinfonica della Radio di Stoccarda. Il suo debutto operistico è al festival d’Aix-en-Provence con Le nozze di Figaro. ’ c’era nessuno stage director a intromettersi”. Dieci anni fa, nel 2000, chiude un contratto per tre anni di produzioni con l’Opéra de Lyon e dirige il Don Giovanni al Teatro de la Maestranza di Siviglia. E alla domanda sulla giusta proporzione che dovrebbero occupare i contenuti artistici e quelli di puro management nella mente del direttore musicale di un’orchestra, risponde con la consueta, disinvolta chiarezza, sottolineando come quest’ultimo debba curarsi delle performance, lasciando l’economia a 360° a chi è operativo sul fronte gestionale. Riflettendo in particolare sulla formazione, o per i più pessimisti, addirittura l’invenzione, del 7 versione definitiva 15-02-2010 9:06 Pagina 8 pubblico di domani, il Maestro sottolinea come la Spagna stia facendo un lavoro eccezionale, in questo senso, mentre a Germania e Giappone va il primato dell’operato più significativo con i giovani concertisti. Sir Neville consiglia proprio di tenerne d’occhio alcuni, di questi, e non si tira certo indietro quando è il momento di fare nomi: sono Till Fellner e Jonathan Biss, pianisti, le violiniste Julia Fischer e Veronika Eberle e il violoncellista Daniel Müller-Schott, ospite lo scorso gennaio di un tour con l’Academy of St. Martin. Da allora, e prima di consegnare a Bologna il trittico Mozart-Haydn- Beethoven, Sir Neville è stato in Germania, Spagna e Stati Uniti e in un mondo che è più musicale che geografico individua un’altra triade. Di necessità, in questo caso. “Migliori qualità musicali, una gestione illuminata e nuove idee per attirare il pubblico che va via via assottigliandosi è quel che ‘ direttore musicale e artistico per elaborazione e incisione, ottenendo tre Grammy. Di riconoscimenti, dall’evidente titolo di Baronetto al prestigioso Ordre des Art set Lettres del Ministero della Cultura Francese e molti, molti altri ancora, è costellata la carriera di Sir Neville. Non si può far altro che ringraziarlo, dunque, per aver scelto violino e bacchetta e non il bisturi. Per sua stessa ammissione avrebbe fatto il chirurgo. Maestro, grazie… no! Nei giorni in cui suonavo in quartetto prediligevo la musica da camera, ora la sinfonica. Anzi, proprio le sinfonie di Haydn serve nel mondo musicale classico oggi. Tutte e tre le cose in ugual misura”. Smisurata è invece la sua produzione discografica (180 titoli circa solo per Decca e Philips), inclusa la colonna sonora del film Amadeus, di cui fu Sir Neville Marriner 8 ’ versione definitiva 15-02-2010 9:06 Pagina 9 versione definitiva 15-02-2010 9:07 Pagina 10 FILARMONICA. I CONCERTI 2009-2010 prossimi appuntamenti lunedì 22 febbraio 2010 direttore e pianoforte Philippe Entremont programma L. v. Beethoven Concerto per Pianoforte e Orchestra n. 5 in Mib maggiore op. 73 “Imperatore” R. Schumann Sinfonia n. 2 in Do maggiore op. 61 martedì 16 marzo 2010 direttore Sir Neville Marriner © Rocco Casaluci programma W. A. Mozart divertimento in Re maggiore K 136 F. J. Haydn Sinfonia n. 96 in Re maggiore “il miracolo” L. v. Beethoven Sinfonia n. 6 in Fa maggiore op. 68 “pastorale” Filarmonica 10 versione definitiva 15-02-2010 9:07 Pagina 11 SOSTIENI LA FILARMONICA 2010 Gentile Amica, caro Amico, siamo lieti di comunicarti che dal 1 Febbraio 2010 è iniziata la nuova campagna di adesione della Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna. Con profonda soddisfazione e grazie al tuo prezioso contributo, nel 2009 siamo riusciti a realizzare nove concerti, tutti di elevata qualità artistica, premiati dalla critica e soprattutto, ciò che a noi sta più a cuore, dal vostro calore. Tra questi ricordiamo i due appuntamenti in favore della popolazione abruzzese attraverso il concerto del 25 Aprile a L’Aquila e quello di Maggio a Bologna, legato alla raccolta fondi realizzata in collaborazione con il Resto del Carlino. Motivo di gran vanto risiede nel premio assegnato dalla prestigiosa rivista tedesca ECHO Klassik a Elina Garança come “Miglior Cantante 2009” per il disco “Bel Canto”, da noi realizzato sotto la direzione di Roberto Abbado per la Deutsche Grammophon. Ricordiamo inoltre la presenza sul palco del Manzoni del pianista Ivo Pogorelich e del Maestro Gerd Albrecht. Tra le convenzioni stipulate, quelle di cui andiamo più orgogliosi sono relative all’attività di formazione in cui l’Associazione si è impegnata: gli studenti del Conservatorio G.B. Martini di Bologna, degli Istituti a Indirizzo Musicale della Provincia e dell’Istituto Musicale San Marinese potranno accedere ai nostri concerti a un prezzo speciale e approfondire la loro preparazione musicale attraverso lezioni-concerto. Per tutti sono attive le convenzioni con Feltrinelli, ATC, Centro Natura; in cantiere vi è anche una nuovo accordo con Unicredit Banca che riserverà ai sostenitori della Filarmonica vantaggi esclusivi. Tutto ciò è stato reso possibile grazie al contributo di oltre 2500 persone che hanno creduto nel nostro progetto ed è per questo che contiamo sulle vostre donazioni anche per l’anno 2010. Solo grazie al vostro impegno la grande quantità di progetti e iniziative volte alla diffusione della musica e dei suoi valori potranno essere realizzati anche per l’anno appena iniziato. Per una persona come te, che ama la musica e i grandi concerti, è un occasione per sostenere insieme a noi la cultura musicale a Bologna. Il Consiglio Direttivo I CIRCOLI Diventare sostenitore della Filarmonica, entrando a far parte dei Circoli di questa orchestra, vuol dire entrare in un gruppo di persone che condividono la stessa passione. Ma vuol anche dire usufruire di una serie di vantaggi legati al mondo della musica e non solo. Aderendo ai Circoli della Filarmonica riceverai l’esclusiva Card per usufruire di una serie di sconti e agevolazioni e partecipare attivamente alla vita della Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna. Student Amici Card √ Contributo € 10 • CD* • magazine • primo concerto successivo all'adesione omaggio • 20% di sconto sui concerti Filarmonica per un massimo di 2 biglietti Blue Amici Card √ Contributo fino a € 18 • CD* • magazine • 25% di sconto su acquisti spettacoli Auditorium Manzoni Silver Amici Card √ Contributo fino a € 39 • CD* • magazine • primo concerto successivo all'adesione omaggio • 25% di sconto su acquisti spettacoli Auditorium Manzoni • 20% di sconto sui concerti Filarmonica per un massimo di 2 biglietti Gold Amici Card √ Contributo fino a € 399 • CD* • magazine • primo concerto successivo all'adesione omaggio • 25% di sconto su acquisti spettacoli Auditorium Manzoni • 20% di sconto sui concerti Filarmonica per un massimo di 2 biglietti • possibilità di assistere alle prove dei concerti • incontro con il Direttore del concerto ALTRI MODI DI DONARE DONAZIONE LIBERA Per sostenere la Filarmonica nel modo più efficace, ti abbiamo proposto i più adeguati livelli di sostegno. Qualsiasi altra donazione svincolata dall’adesione a uno dei Circoli sarà tuttavia un utile contributo per la vita dell’Orchestra e per la promozione della tua musica. LASCITI E BENI Se possiedi un immobile o altri beni e decidi di lasciarli in eredità alla Filarmonica per sostenerla nell’attività in Italia e nel mondo, il tuo nome verrà inserito nell’Albo dei Benefattori della Filarmonica e sarai sempre, insieme alla tua famiglia, ospite gradito a tutti i nostri concerti e eventi. VOLONTARIATO Puoi mettere a disposizione il tuo tempo libero per promuovere i nostri concerti, aiutarci in prima persona nell’organizzazione degli eventi e avvicinare nuovi amici al magnifico mondo della Filarmonica. INIZIATIVE DI CO-MARKETING Se sei titolare di un’azienda, di un negozio o di un esercizio commerciale, puoi mettere a disposizione risorse e servizi per aiutarci ad allestire concerti ed eventi di livello sempre più alto. La tua azienda sarà riconosciuta in tutta la nostra comunicazione e percepita all’esterno con un’immagine ancora migliore Diamond Sostenitori Card √ Contributo da € 400 • CD* • magazine • primo concerto successivo all'adesione omaggio • 25% di sconto su acquisti spettacoli Auditorium Manzoni • 20% di sconto sui concerti Filarmonica per un massimo di 2 biglietti • possibilità di assistere alle prove dei concerti • incontro con il Direttore del concerto • visita nel backstage • tutti i concerti gratuiti * solo per i nuovi sostenitori Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna Orchestra europea 11 © Rocco Casaluci ADESIONE versione definitiva 15-02-2010 9:07 Pagina 12 NOTE A MARGINE di Tommaso Luison Concerto del 22 febbraio 2010 salute mentale e fisica del compositore. degli editori attribuire titoli più o meno fan- Nel maggio del 1809 Vienna è bombardata Scrive il compositore in una lettera: “la sin- tasiosi (e spesso arbitrari) a sinfonie e sona- e in seguito occupata per alcuni mesi dalle fonia mi rammenta tempi bui […] anche te per renderle più riconoscibili all’interno truppe napoleoniche. Beethoven è costret- simili suoni di dolore possono destare inte- del repertorio dei grandi compositori e per to a nascondersi nel sotterraneo del fratello resse”. Schumann concepisce l’opera come favorirne la diffusione e la vendita. Tale e pochissimi sono i suoi contatti con l’ester- una Grande Sinfonia che richiami elementi sorte subirono molte delle 107 sinfonie di no: passa le giornate a studiare, scrivere e del classicismo viennese prebeethoveniano: Franz Joseph Haydn e tra esse anche la n. preparare lezioni per il suo caro allievo e evidenti in questo senso i riferimenti alla 96 in Re maggiore, soprannominata ‘il mecenate l’Arciduca Rodolfo d’Asburgo, che ‘Jupiter’ di Mozart per quanto riguarda la miracolo’, con riferimento alla caduta di ha lasciato la città assieme a tutta la corte tonalità e l’ampiezza della concezione for- un lampadario dal soffitto al termine della imperiale. Proprio a Rodolfo è dedicato il male e alla Sinfonia n. 104 di Haydn per prima esecuzione della sinfonia stessa, per Quinto concerto per pianoforte in Mi l’utilizzo del motto iniziale, un salto di quin- fortuna senza conseguenze per pubblico e bemolle maggiore op. 73, scritto da ta affidato agli ottoni. L’elaborazione metri- musicisti. Composta nel 1791, la Sinfonia Beethoven nei primi mesi del 1809 e com- ca è di stampo beethoveniano e punta più n. 96 appartiene alle cosiddette ‘londinesi’: pletato in alcuni dettagli durante l’occupa- allo sviluppo di forti contrasti ritmici che dodici sinfonie composte da Haydn per il zione francese. L’appellativo ‘Imperatore’, all’elaborazione dell’elemento melodico e pubblico di Londra in un periodo compreso aggiunto dall’editore, è inappropriato a questo è evidente in particolare nel primo e tra il 1791 ed il 1795. Il compositore, ormai meno che, come suggerisce A. Hopkins, non nell’ultimo movimento. Nel secondo trio all’apice della carriera, ricerca un contatto s’intenda ‘un imperatore tra i concerti’. dello Scherzo è presente una citazione del immediato con il pubblico e lo ottiene inse- Nessun riferimento dunque a Napoleone ciclo liederistico ‘An die forme Geliebte’ rendo melodie semplici, a volte tratte dal Bonaparte, come invece era stato per la di Beethoven, mentre l’Adagio espressivo folklore, e cercando di stupire l’ascoltatore Terza Sinfonia ‘Eroica’. Il concerto si è caratterizzato da una forte impronta emo- con motti umoristici e brillanti. Questa leg- articola in tre movimenti e apre con una zionale, quei ‘suoni di dolore’ di cui l’autore gerezza delle idee melodiche non significa cadenza del pianoforte che precede il tutti parla nella sovracitata lettera. La presenza tuttavia semplificazione della scrittura: orchestrale. Come già nel concerto per violi- di temi corali all’inizio del primo tempo e Haydn conosce bene i raffinati musicisti no l’orchestra non è relegata ad un ruolo nel finale conferisce all’opera un carattere delle orchestre inglesi e può permettersi secondario, ma esprime un carattere sinfo- che J. Daverio ha definito ‘quasi-religioso’. arditezze tecniche nei tempi veloci e nico nell’esposizione dei temi. Nel magnifi- La sinfonia fu eseguita in prima assoluta al momenti solistici affidati spesso al primo co Adagio un poco mosso ritroviamo la Gewandhaus di Lipsia nel 1846, sotto la oboe o al primo violino. concezione fortemente lirica comune ad direzione di Mendelssohn e non ottenne il alcune opere scritte in quest’anno difficile, successo sperato: Schumann accusò in quel- All’insegna come il Quartetto n. 10 ‘Le arpe’ e la l’occasione Mendelssohn di aver stancato il Divertimento per archi in Re maggiore Sonata per pianoforte n. 26 detta ‘Les pubblico con l’esecuzione per ben due volte K 136 di Wolfgang Amadeus Mozart. adieux’, anch’essa dedicata all’Arciduca dell’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini, Composto nel 1772 a Salisburgo, alla vigilia Rodolfo. Il terzo movimento Rondò è colle- prima della sinfonia! Oggi l’opera è consi- del terzo viaggio in Italia, quest’opera è gato al secondo da una discesa cromatica derata uno dei capolavori nel repertorio senza dubbio una delle composizioni da del solista e presenta un carattere gioioso e strumentale di Schumann e rappresenta una camera più eseguite nei salotti dell’epoca e brillante. delle migliori realizzazioni dell’estetica della nelle sale da concerto di oggi. La finalità di Nuova Via elaborata dal compositore a questo particolare genere musicale è pro- metà degli anni Quaranta dell’Ottocento. prio il ‘divertimento’ di chi suona e di chi Densa di riferimenti e citazioni beethovenia- leggerezza è il ascolta e Mozart interpreta in maniera origi- ne è la Sinfonia n. 2 in Do maggiore 12 della op. 61 di Robert Schumann, composta tra il Concerto del 16 marzo 2010 nale tale proposito: i temi nei movimenti 1845 e il 1846, in un periodo di precaria Nell’Ottocento era abitudine consolidata veloci ad esempio sono semplici da ricorda- versione definitiva 15-02-2010 9:07 Pagina 13 re ma virtuosistici per gli esecutori. Quest’opera, insieme ai Divertimenti per archi K 137 e K 138 scritti nello stesso anno, costituisce una tappa importante per lo sviluppo della scrittura musicale per quartetto d’archi. A completare idealmente un percorso tra i grandi del Classicismo Musicale, la Sinfonia n. 6 in Fa maggiore op. 68 ‘Pastorale’ di Ludwig van Beethoven si pone come punto di riferimento nel repertorio sinfonico. Composta nel 1808, viene pubblicata a Lipsia un anno dopo con dedica al Principe Lobkovitz e al Conte Rasumovsky. Il sottotitolo ‘pastorale’, aggiunto dal compositore stesso, denota la concezione unitaria del progetto e la sua ispirazione agreste, già rivelata dalla tonalità di Fa maggiore. L’intenzione di Beethoven non è tuttavia descrittiva: egli stesso aggiunge infatti in partitura l’annotazione ‘più espressione del sentimento che descrizione’. La musica solo in pochi momenti diventa imitazione della natura: nel secondo tempo Andante molto mosso ‘scena al ruscello’, flauto, oboe e clarinetto riproducono canti di uccelli; invece nel quarto movimento ‘il temporale’, il tremolo iniziale dei violoncelli (che ricorda Vivaldi nel concerto ‘L’Estate’) richiama il brusio della tempesta in arrivo e successivamente l’alternanza di timpano e ottoni in fortissimo rende anche visivamente lo scatenarsi di tuoni e lampi. Nel suo insieme la sinfonia, in cinque movimenti, restituisce uno stato d’animo di serena comunione con la natura. Così Beethoven scrive alla baronessa Droszdick riguardo alle campagne nei dintorni di © Rocco Casaluci Vienna, ove sovente si trasferiva: “Io sono così allegro quando posso errare attraverso i boschi, le piante e le rocce. […] Nessuno può amare la campagna quanto me!”. Filarmonica 13 versione definitiva 15-02-2010 9:07 Pagina 14 PHILIPPE ENTREMONT di Andrea Rebaudengo Philippe Entremont ha un entusiasmo e una gioia per la musica da far impallidire qualunque suo giovane collega. Ha attraversato sessant'anni di carriera con energia e raffinatezza, con talento e dedizione. Ora ha la saggezza di chi ha vissuto abbracciato alla miglior musica per una vita, ma continua ad avere una grande curiosità per quest'arte che ama con tutto fare anche il Concerto in Sol di Ravel, il Secondo concerto di Shostakovich, Les Nuits dans les Jardins d' Espagne di de Falla, Les Variations symphoniques di César Franck... Quanto allo sforzo fisico, deve essere superato se si sa ciò che si fa. La potenza si acquisisce attraverso il completo possesso dei propri mezzi e delle proprie capacità. sé stesso, alla quale ha dato molto e dalla quale ha ricevuto altrettanto. Per uno strumentista affermato come lei intraprendere l»attività di direttore vuol dire innanzitutto affidare ai musicisti che si ha di fronte il proprio pensiero musicale. E» stata un»operazione difficoltosa o le è venuto naturale? Niente affatto! Non sono io ad avere deciso, è stato deciso al posto mio! Sono stati i musicisti a chiedermelo, come è successo per esempio a Philadelphia quando gli orchestrali hanno suggerito me per il ruolo di direttore e solista. Però non ho mai abbandonato il pianoforte, amo troppo lo strumento, amo suonare e associare il pianoforte e l'orchestra e, nel far questo, non ho trovato nessuna difficoltà d'adattamento. Come sappiamo non c'è a disposizione un'orchestra per studiare a casa, ma il rigore che ho messo nella direzione d'orchestra è lo stesso di quello per lo studio del pianoforte. Suonare un concerto di Beethoven, dove stanno le maggiori insidie? (ride) Suonare le note! Poi, nella ricerca dello stile e del carattere, visto che siamo quasi nel pre-romantico. Sono opere di grande originalità, ci vuole esperienza. Il Quinto concerto di Beethoven è forse cronologicamente l'ultimo che si può dirigere e suonare contemporaneamente, ma lo sforzo psicofisico deve essere enorme. Lei come riesce a gestirlo? No! Assolutamente! Senza direttore si può 14 In che modo la sua storia di pianista la aiuta nel dirigere una sinfonia di Schumann, uno dei massimi compositori di musica pianistica? Ottima domanda! Effettivamente ‘ un pianista suonerebbe quel determinato passaggio? L'orchestra deve riconoscere lo stile: quando suono Schumann al pianoforte non immagino l'orchestra. Invece quando suono Ravel sento anche il timbro orchestrale. Lei è stato precocissimo. Sappiamo che molti «enfant prodige» nella maturità si perdono, lei come è riuscito a trasformarsi in un pianista adulto dalla splendida carriera? (interrompe - No! Non un enfant prodige!) Senza pensarci! Le voglio rispondere onestamente. Si è trattato di un cammino ...amo troppo lo strumento, amo suonare e associare il pianoforte e l'orchestra... Schumann è un grande compositore per pianoforte, è attraverso le composizioni per questo strumento che meglio ha parlato, che meglio si è espresso; ispirato da sua moglie, è lo Chopin tedesco. Il Concerto di Schumann è il più bel concerto per pianoforte. Ritroviamo nelle sinfonie la sua tipica scrittura, questo lato ansimante, ripetitivo. Nell' ultimo movimento della Quarta sinfonia si avverte follia, il terzo invece è di una miracolosa tranquillità. Si è detto molto sulle Sinfonie di Schumann: geniali o irrisolte. Qual è il suo pensiero in proposito? Non irrisolte! Geniali! La Quarta sinfonia fra tutte è la mia preferita, si tratta di un'oasi di pace, un'opera di grande profondità. Bernstein ne fece una focosa versione! Si dice spesso che il pianista deve immaginarsi i timbri e gli impasti orchestrali. E l'orchestra deve ogni tanto "immaginarsi" come ’ molto lungo, e non senza interruzioni. Sono salito sul palco a quindici anni -avevo già ottenuto il Premier Prix al Conservatorio- a Barcellona, con il Secondo libro delle Variazioni su un tema di Paganini di Brahms, Ondine da Gaspard de la Nuit di Ravel, Alborhada del Gracioso, sempre di Ravel. Ho iniziato alto e forte, ma non ho mai cercato di farmi spazio, non sono mai stato carrierista, né geloso, anzi ammiro i miei colleghi; ho avuto la fortuna dalla mia parte, anche se bisogna essere capaci di tenersela. Ho attraversato tante epoche, vissuto tante esperienze, ne scriverò un libro! Lei ha attraversato più di cinquant'anni di storia della musica in modo del tutto personale. Cosa pensa del mondo musicale odierno e quali le differenze con quello dei suoi inizi di carriera? Sessant’anni! Come sempre c'è del buono e del cattivo, nulla è cambiato. Sono tempi difficili per i giovani artisti, ci sono proble- versione definitiva 15-02-2010 9:07 Pagina 15 mi con i media, che puntano alla ricerca del sensazionalismo; e questo non aiuta certo a individuare gli autentici talenti. Una volta c'erano gli agenti che si prendevano cura degli artisti. Tra le tante straordinarie collaborazioni che ha avuto vi è quella con Stravinskij. Quali sono i suoi ricordi del periodo di stretto contatto col grande compositore russo? L'ho conosciuto troppo tardi. Avrei voluto conoscere lo Stravinskij giovane ma non quello che ho conosciuto io. Era molto anziano, e molto difficile. E' spesso più gradevole conoscere i compositori attraverso la loro musica. Non avrei voluto conoscere Beethoven, né Toscanini (per il quale peraltro ho un'ammirazione sconfinata: un direttore davvero moderno, tutto ciò che ha fatto è bello; il suo modo di dirigere fu così diverso da quello dei suoi contemporanei ). Si è spesso lamentato del fatto che i direttori d'orchestra di oggi non fungano più da «talent scout» per i giovani solisti. Quindi un giovane può raggiungere le grandi ribalte solo attraverso i concorsi internazionali? E non pensa che questo possa creare schiere di solisti tutti simili tra loro, perché attenti a ciò che viene loro richiesto nei concorsi? Confermo! E mi stupisco di quanto non ci sia più il desiderio di scoprire talenti da parte dei direttori. Li abbiamo anche scoraggiati: una volta erano i padroni, si ascoltava il loro parere! Oggi l'unico modo per emergere è attraverso i media, un modo falso, effimero... Nei concorsi è raramente il vincitore del Primo premio che fa carriera... Come se dopo non ci fosse più nulla da dire.... E' già finito. A volte è discutibile anche il criterio della composizione dei membri di una giuria di concorso, oggi: ai miei tempi feci un concorso in cui in com- missione c’era il grande Rubinstein! Che rapporti ha con l'Italia? Si dice che sia il paese della musica, eppure la cultura musicale è arretrata rispetto a molti paesi europei, si è fatto un'idea di come ciò possa accadere? Ci sono ottimi musicisti in Italia! Amo i musicisti italiani! Purtroppo non si considerano abbastanza i musicisti in Italia. D’altronde, l'Italia attraversa un brutto periodo, e la musica non è sostenuta. Si potrebbe fare molto di più e meglio, quello italiano è un pubblico che ama la musica! L'opera è musica magnifica, ma costa cara e quindi, dal momento che attraversiamo un'epoca di turbolenze, si approfitta della crisi per non fare ciò che dobbiamo fare. con la collaborazione di Silvia Mandolini Lei è stato un alfiere della musica moderna. Cosa pensa della musica di oggi? Non si fa nulla di nuovo, non sappiamo in quale direzione andiamo, anzi, si ritorna ad un linguaggio tradizionale, persino Boulez, il quale scrive pochissimo. Avevo grande ammirazione per Maderna, un grande compositore. Comunque non c'è sufficiente diffusione della musica contemporanea e di questo sono colpevoli le case discografiche che non fanno molto bene il loro lavoro. Lei ha detto che la sua carriera è cominciata grazie a soli cinque minuti di audizione con Eugène Ormandy. Cosa ricorda di quel momento? Ero appena entrato nel novero di artisti della RCA Columbia (storica etichetta discografica, n.d.r.), la quale organizzò un incontro con Ormandy a New York, per il quale suonai, in quell'occasione, l'Isle Joyeuse di Debussy. Fu così, che quel giorno scattò una grande amicizia. Ho sempre avuto grande ammirazione per lui, per la cura della sonorità e dell'intonazione. Ormandy è senz’altro uno dei più grandi direttori di sempre. Philippe Entremont 15 versione definitiva 15-02-2010 9:07 Pagina 16 PIANISTI À LA CARTE di Alberto Spano MOLTI CONCERTISTI DI OGGI SUONANO CON LO SPARTITO: UNA NUOVA LIBERTÀ NELLA MUSICA CLASSICA? © Rocco Casaluci Nel mondo dell’arte e dello spettacolo le rivoluzioni sono lente e quasi invisibili. Per esempio da qualche tempo è avvenuto in modo discreto ma sostanziale un cambiamento nella prassi concertistica che fa ben sperare per il futuro della musica: i grandi pianisti oggi suonano sempre più spesso in pubblico con lo spartito. Pensiamo all’ultimo concerto di Ivo Pogorelich al Teatro Manzoni, il 4 ottobre scorso, con la Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna diretta da Alberto Veronesi: in programma il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 di Sergej Rachmaninov. Qualcuno si è accorto che Pogorelich ha suonato tutto il concerto leggendo lo spartito? E che aveva accanto una voltapagine? E che, per non dar troppo nell’occhio si è Ivo Pogorelich 16 difeso lasciando praticamente al buio il pianoforte? Non ci risulta che ci siano state lamentele. Due settimane dopo, al Teatro alla Scala, sempre Pogorelich nel Rach2, stavolta con la Filarmonica della Scala diretta da Myung-Whun Chung. Stessa scena. Qualche settimana più in là, in recital, con un programma di brani da lui eseguiti centinaia di volte, ancora lo spartito e un bravo voltapagine. Nessuno scandalo, anzi qualcuno apprezza la sincerità dell’artista. Sempre al Manzoni qualche mese prima, Hélène Grimaud, la bionda pianista francese che ama i lupi e sbanca i botteghini, aveva suonato con la carta il Concerto in re minore di Bach con l’Orchestra da Camera della Radio Bavarese. Non basta: maggio 2009, Teatro alla Scala, il lanciatissimo pianista cinese Lang Lang suonava metà del suo recital con lo spartito. Ancora: tutta la tournée italiana con il suo bravo spartito aveva suonato il francese Alexandre Tharaud, una fulgida carriera internazionale alle spalle. Suona da anni con la carta il finlandese Olli Mustonen, usa lo spartito Maurizio Pollini nella musica contemporanea – quando trent’anni prima sconvolgeva le platee suonando a memoria un’opera monstre come la Seconda Sonata di Boulez. E andando indietro con la memoria vengono in mente artisti grandi e grandissimi che abbiamo visto suonare in recital con lo spartito: Andrei Gavrilov, Adam Harasiewicz, Keith Jarrett (nel repertorio classico), Vitalij Margulis, Oleg Marshev, Tatiana Nicolajeva, John Ogdon, Charles Rosen, Roberto Szidon, Friedrich Gulda, Rosalyn Tureck… Insomma, si è ormai rotta la tradizione del suonare a memoria inventata a metà dell’Ottocento dal più grande pianista ottocentesco, Franz Liszt. Tradizione salutarmente infranta trent’anni fa dal più grande pianista del Novecento, Sviatoslav Richter. Chi non ricorda il suo ultimo periodo, dal 1980 circa in poi quando amava esibirsi nei piccoli centri portandosi dietro la sua lampada da leggìo, provocando un piccolo scompiglio emotivo al musicista locale designato a voltargli le pagine per quasi due ore di programmi densissimi? Uno di questi ‘eletti’, il polacco Piotr Anderszewski, oggi fra i pianisti più richiesti della sua generazione, ancora ricorda quella fortuita esperienza di voltapagine come una delle più forti della propria esistenza. Richter ci fu costretto probabilmente a causa di gravi di vuoti di memoria: uno in particolare, quasi leggendario, occorsogli negli ann ’70 durante un concerto con la Filarmonica di Berlino diretta da Herbert von Karajan. Pare che dopo l’umiliazione di far fermare l’orchestra davanti a Karajan, constringendo tutti a ricominciare da una certa battuta, Richter abbia preso la salomonica decisione di non lasciare mai più lo spartito, come fanno da sempre tutti gli altri musicisti classici: violinisti, violoncellisti e direttori compresi. Quasi una nuova vita per lui, come amava sottolineare nella nota che faceva pubblicare nei programmi di sala: «Mi sono deciso ahimé troppo tardi a tenere davanti lo spartito durante i concerti, nonostante avessi intuito da tempo che bisognava farlo. È paradossale ma in un’epoca in cui il repertorio era più ristretto e meno complesso, si suonava abitualmente con lo spartito e questa saggia usanza fu interrotta da Liszt. Oggi la testa – piuttosto che ben fornita di musica – è sovraccarica da un’abbondanza inutile e rischia di affaticarsi pericolosamente. Che infantilismo e che vanità, fonte di fatiche inutili, questa specie di gara di prodezza della memoria, quando bisognerebbe soprattutto fare della buona musica che tocchi l’ascoltatore! Mediocre routine – continua Richter – in cui si crogiola una gloria mendace e che il mio caro professore Heinrich Neuhaus tanto biasimava. L’incessante richiamo all’ordine dello spartito darebbe meno licenza a questa “libertà” e questa “individualità” dell’interprete con cui si tiranneggia il pubblico e si infesta la musica, e che non è nient’altro che mancanza di umiltà e di rispetto per la musica 15-02-2010 9:07 Pagina 17 stessa. Certo non è così facile essere assolutamente liberi quando si ha lo spartito davanti e ci vuole molto tempo, lavoro e abitudine; per questo è meglio cominciare il più presto possibile. Ecco un consiglio che darei volentieri ai giovani pianisti: adottare finalmente questo metodo sano e naturale che permetterà loro di non annoiarci vita natural durante con gli stessi programmi, e di crearsi loro stessi una vita musicale più ricca e variata». «Nulla in contrario ai pianisti con lo spartito – scrive oggi il musicologo Simone Monge – anche se il caso del vecchio Richter non mi sembra assimilabile alla voga odierna dei solisti più o meno giovani che leggono in concerto. È innegabile comunque che l'esito interpretativo sia sensibilmente diverso. Il lavoro di memorizzazione costringe l'interprete a un processo di interiorizzazione del brano che la lettura talvolta inibisce. Non dimentichiamo che in inglese “a memoria” si dice “by heart”. Questo vale anche per gli interpreti sommi. Se si ascolta il lascito discografico di Walter Gieseking si capisce perfettamente quando suona con la carta. Tuttavia in alcuni casi l'uso dello spartito mi pare inevitabile. L'anno scorso al festival luganese della Argerich ascoltai un illustre anziano maestro esibirsi a memoria. Il concerto fu un'autentica “groviera”. Forse quel maestro, leggendo (sempre che la vista non gli facesse difetto), avrebbe potuto trasmettere più nitidamente la sua lezione interpretativa». Non è un caso però che l’altro padre del pianoforte moderno, Ferruccio Busoni, all’inizio del secolo scorso, avesse scritto quasi il contrario di Richter, stimolato da un’inchiesta sull’argomento dal musicologo Wilhelm Altmann: «Vecchio concertista militante – gli scrive nel 1907 – sono arrivato alla persuasione che suonare a memoria permette una libertà d'esecuzione incomparabilmente maggiore. È importante, ai fini della precisione, che gli occhi possano posarsi senza impacci – quando sia necessario – sulla tastiera. La dipendenza da un voltapagine può anche legare, spesso impacciare. Oltre a ciò si deve conoscere a memoria il pezzo in ogni caso, se all'esecuzione si vuole assicurare la giusta condotta delle parti. Ancora – ogni pianista progredito potrà confermarlo – una compo- sizione di qualche importanza si imprime più presto nella memoria che non nelle dita o nello spirito. Le eccezioni sono molto rare; in questo momento potrei citare solo la fuga della Sonata op. 106 di Beethoven. In ogni modo il trac, cui ognuno più o meno soggiace, più o meno spesso agisce sulla sicurezza della memoria. Ma non la memoria sul trac. Se il trac interviene la testa si confonde, la memoria vacilla; ma se si prende in aiuto la carta, il trac si manifesta subito in altro modo: note false, mancanza di ritmo, acceleramento dei tempi. Ella lamenta l'esistenza di artisti che “vanno girovagando tutta la loro vita con una mezza dozzina di concerti” e riporta questo fenomeno al vezzo di suonare a memoria. Ma il signor Raoul Pugno, che Ella adduce come un buon esempio del suonare con la carta, non dispone nel suo repertorio di un numero di concerti maggiore. Se mi posso permettere una spiegazione, eccola: ci sono degli artisti che apprendono lo strumento e gli elementi musicali come un tutto; e artisti che s'impadroniscono di singoli passaggi e di singoli pezzi, isolatamente. Per questi ultimi ogni pezzo è un nuovo problema, che deve venir risolto faticosamente volta per volta; essi devono fabbricarsi per ogni serratura una nuova chiave. I primi invece sono fabbri che con un mazzo di grimaldelli e di chiavi false penetrano e vincono in breve il segreto di ogni serratura. Questo si riferisce tanto alla tecnica quanto al contenuto musicale e alla memoria. Se si possiede, per esempio, la chiave della tecnica dei passaggi di Liszt, del suo sistema di modulazione, del suo sistema armonico, della sua costruzione formale (dove sta il crescendo? dove il punto culminante?) e della sua maniera espressiva, suonare tre o trenta dei suoi pezzi è lo stesso. E che questa non sia una frase, credo di averlo dimostrato. Il nuovo compito per la memoria comincia – relativamente – quando ci si occupa di un compositore, di una nazione, di un'epoca, di una tendenza, delle quali non si possiede la chiave generale. È quanto avvenne a me la prima volta che affrontai César Franck. Così arrivo alla conclusione: per chi ha la vocazione di suonare in pubblico, la memoria non è d'intralcio come non lo è, per esempio, il pubblico stesso. Ma colui per il quale suonare a memoria costituisce una barriera sarà esitante anche in tutto il resto. Il primo presenta la letteratura musicale agli altri, il secondo sceglie alcuni pezzi per presentare se stesso. Così la questione deve venir impostata in modo del tutto diverso: dov'è il limite da cui comincia il diritto di suonare in pubblico?». Gran bella domanda quest’ultima. Ognuno, carta o non carta, cerchi di darsi la risposta. © Rocco Casaluci versione definitiva 17 versione definitiva 15-02-2010 9:07 Pagina 18 versione definitiva 15-02-2010 9:07 Pagina 19 RECENSIONI di Alberto Spano SCOPERTE DI GERMANIA MENDELSSHON DISCOVERIES: Sinfonia n. 3 “Scozzese”, Concerto per pianoforte n. 3, Ouverture “Le Ebridi”, Roberto Prosseda, Riccardo Chailly, Gewandhausorchester (CD Decca, euro 19.90) Riccardo Chailly, oltre che un grande direttore, è un instancabile ricercatore e studioso. Da alcuni anni a capo della favolosa Orchestra del Gewandhaus di Lipsia, non gli è parso vero di poter mettere sul leggìo le prime versioni o gli inediti di Felix Mendelssohn, di colui cioè che fu suo predecessore a capo dell’orchestra dal 1835 e che a Lipsia fondò il Conservatorio. Dopo un accurato lavoro in sala di concerto, eccone il primo frutto, registrato nell’acustica favolosa del Gewandhaus. C’è una prima versione (quella di Londra) della Sinfonia n. 3, risalente al 1841-2, contenente quasi un centinaio di battute di musica in più rispetto alla versione normalmente eseguita. Ci sono gli schizzi delle prime sedici battute della Sinfonia ritrovati su un documento del 1829/30 e orchestrati di Christian Voss, c’è l’Ouverture Le Ebridi nell’edizione romana revisionata da Christopher Hogwood e – cuore pulsante del disco – c’è il fantomatico Terzo Concerto in mi minore per pianoforte e orchestra, ricostruito da Marcello Bufalini da un manoscritto autografo del periodo 1842-44 custodito a Oxford. Nulla di più distante, però, da un disco per musicologi è questo, grazie alle calde meraviglie sonore che Chailly è capace di estrarre dall’orchestra lipsiense e alle virtù musicali e tecniche del pianista, Roberto Prosseda, da una decina d’anni diventato il più grande alfiere di Mendelssohn nel mondo, in virtù della sua tecnica sciolta e del suo elegante fraseggio. Questo Concerto non è certo un capolavoro come i due più noti (in sol minore e in re minore), ma si lacia ascoltare con piacere, contenendo tutti gli stilemi mendelssohniani, compresa la predilezione per la brillantezza. QUEL BACH FRANCESE SUONA ITALIANOI J. S. Bach: 6 Suites Francesi, Francesco Cera clavicembalo (2CD Arts, euro 24) UN PIANO IN VETTA ≈BALLAD FOR EDVARD GRIEG∆, Leif Ove Andsnes, pianoforte (DVD EMI, euro 20,90) Bologna è sempre stata patria di bravi clavicembalisti e organisti: già negli anni ’50 il grande Luigi Ferdinando Tagliavini ha aperto una strada, oggi ormai spalancata a varie scuole e varie filosofie interpretative, ma è indubbio che la sua influenza sui migliori elementi formatisi sotto le Due Torri sia ormai un dato di fatto. Si prenda ad esempio il bolognese Francesco Cera (romano d’adozione), eccellente tastierista in svariate formazioni barocche (in primis il Giardino Armonico) e in pregiate incisioni discografiche, che oggi è certamente uno dei cembalisti di punta della nuova generazione. L’ascolto della sua ultima fatica discografica, dopo apprezzate prove in autori italiani come Rossi, Cerula, Storace e Valente, l’incisione integrale cioè delle 6 Suite Francesi di Bach, del Concerto Italiano e della meditativa Fantasia e Fuga in la minore BWV 904 per l’etichetta tedesca Arts ne è riprova esemplare. Il grande scrupolo filologico e insieme la rigogliosa musicalità, fatta di rubati impercettibili e di elasticità nel fraseggio, sono caratteristiche proprie dell’arte di Tagliavini che hanno trovato in Cera un perfetto seguace. Anche l’influenza dell’olandese Gustav Leonhardt si avverte sensibilmente nel Bach austero e magistrale di Francesco Cera, che in questa spettacolare incisione (trattasi di un “SuperAudio CD” che potrà dare autentiche soddisfazioni ai non pochi bolognesi possessori di impianti “esoterici” ad alta fedeltà) suona un sonorissimo strumento a due manuali costruito dal pesarese Roberto Levi su modello di un cembalo Vincent Tibaut del 1691. Un clavicembalo non tedesco e non contemporaneo a Bach, dunque, che per alcuni potrebbe sembrare una scelta azzardata, ma giustificata – anche a detta dello stesso interprete nelle note del disco – dalla sua chiarezza nella polifonia, dal carattere dello stile francese e dal fatto che intorno al 1720, anno di composizione di queste opere, erano ancora molto diffusi gli ottimi strumenti del secolo precedente. Il pianista norvegese Leif Ove Andsnes, 40enne, attivo sulla scena internazionale da oltre 20 anni, è uno dei pianisti più prolifici in sala d’incisione. Non si contano ormai più i suoi dischi per la Virgin/Emi dopo quello splendido esordio nel 1987 su disco in vinile per la piccola etichetta Vest-Norsk Plateselskap in musiche di Chopin, Smetana, Beethoven. Andsnes, che suona tutto e di tutto, è ovviamente un grande interprete della musica di Edvard Grieg (non propriamente uno specialista, però) e la sua incisione dei Pezzi Lirici e, soprattutto del Concerto in la minore per pianoforte orchestra con la Filarmonica di Berlino diretta da Mariss Jansons, sono stati grandi successi di critica e di pubblico. Ma è il bellissimo film-documentario “Ballad for Edvard” che pone Leif Ove Andsnes su un inedito piano, facendocelo amare in modo del tutto particolare: innanzitutto per la scelta di eseguire la Ballata di Grieg, pezzo enigmatico e fascinoso quanto mai, sul cucuzzolo della montagna norvegese più amata da Grieg, con profusione di immagini spettacolari di un pianoforte a coda imbragato in una rete e lì portato con l’elicottero. Andsnes si rivela così un formidabile divulgatore della musica: nel video il regista Thomas Hellum lo segue nelle sue scorribande in auguste biblioteche in mezza Europa e nelle case appartenute al più grande musicista norvegese, alla ricerca dell’anima autentica di questo candido genio della musica. È divertente vedere Leif Ove Andsnes con la sua aria da ragazzone superdotato, alle prese con paciosi musicologi, bibliotecari e studiosi vari: egli è anche un presentatore e un attore perfetto, un Piero Angela di lusso che ad un certo punto si siede al pianoforte e poi suona divinamente lo Steinway scordato appartenuto a Grieg nella deliziosa casetta di Troldhaugen in mezzo a ninnoli e cimeli, oppure davanti a duemila persone alla Grieg Hall di Bergen o – meglio ancora – suona come uno spericolato James Bond della tastiera sulla vetta della montagna davanti ad un panorama mozzafiato. 19 versione definitiva 15-02-2010 9:07 Pagina 20