Università degli Studi di Palermo Facoltà di Economia Corso di laurea in Economia e Finanza LE MISURE CIVILISTICHE ANTIMAFIA Elaborato finale di: SCANDARIATO GIANLUCA Relatore: Ch.mo Prof. Fabrizio Piraino Correlatore: Ch.mo Prof. Pietro Busetta 0 Anno accademico 2012/2013 INDICE Introduzione ................................................................................................. pag. 4 Capitolo 1 Un quadro generale dell’analisi delle evoluzioni normative sulla criminalità organizzata ......................................................................... pag. 7 1.1 Normativa italiana di contrasto alla criminalità organizzata: evoluzione storico legislativa e legge Rognoni-La torre ...................................................................................... pag. 7 1.1.1 Il ruolo delle forze di Polizia ............................................................ pag. 12 1.2 La nuova disciplina della documentazione antimafia ............................. pag. 13 1.2.1 Tipi di documentazione .................................................................... pag. 15 1.2.2 Soggetti attivi e passivi ..................................................................... pag. 16 1.2.3 Informazioni prefettizie e certificati antimafia ................................. pag. 16 1.2.4 Il CODICE ANTIMAFIA (d.lgs 2011 159): innovazioni e problematiche ..................................................................................................................... pag. 18 1.3 La normativa comunitaria ...................................................................... pag. 20 1.4 Le analisi economiche sulla mafia: la criminalità organizzata come svantaggio competitivo nazionale ................................................................. pag. 24 1.4.1 XIII Rapporto annuale di Sos Impresa .............................................. pag.30 1 Capitolo 2 Le misure di carattere patrimoniale ............................................... pag. 32 2.1 La strategia di contrasto alla ricchezza della criminalità organizzata ..... pag. 32 2.2 I presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali: la novella del 2008 e successive modifiche recepite nel codice delle leggi antimafia ........................................................................................................................ pag. 34 2.3 Le indagini patrimoniali: natura giuridica, tipo e modalità.1.2.1 i tipi di documentazione.............................................................................................. pag. 37 2.4 Il sequestro ............................................................................................. pag. 40 2.5 La confisca: tipi, regime, oggetto, problematiche .................................. pag. 42 2.5.1 La confisca ex art. 2 ter ed ex art 3 quinquies l.575/65 ..................... pag. 44 2.6 La sospensione temporanea dall’amministrazione dei beni .................... pag. 46 2.7 La sproporzione tra redditi dichiarati ed attività economica e valore dei beni sequestrati ............................................................................................... pag. 49 2.7.1 L’onere della prova dell’origine illecita ............................................ pag. 50 Capitolo 3 La tutela dei diritti dei terzi nella legislazione antimafia ........................ pag. 51 3.1 La disciplina vigente prima del codice antimafia ................................... pag. 51 3.2. I diritti dei terzi e categorie di terzi ........................................................ pag. 53 3.2.1 Il criterio selettivo della buona fede ................................................. pag. 54 3.2.2 I titolari di diritti reali di garanzia .................................................... pag. 56 2 3.3 I terzi proprietari e altre categorie di terzi: nuove norme introdotte dal d.lg 6.9.2011 n.159 ........................................................................................ pag. 57 3.4 La confisca e la tutela dei terzi ................................................................. pag. 58 3.5 La destinazione dei beni confiscati e la tutela dei terzi ........................... pag. 59 3.5.1 Alcuni casi concreti ........................................................................... pag. 62 3.6 Ultimi interventi e prospettive di riforma: conclusioni ........................... pag. 65 Bibliografia ................................................................................................... pag. 68 Sitografia ....................................................................................................... pag. 70 3 INTRODUZIONE Il presente lavoro di Tesi ha lo scopo di analizzare gli interventi normativi che si sono succeduti nel tempo volti a contrastare il fenomeno della criminalità organizzata. In particolare, obiettivo di questa trattazione sarà la descrizione dei modelli d’azione adottati dai vari livelli istituzionali per far fronte al potere economico della Mafia. Infatti, da problema regionale, la Mafia negli ultimi anni è diventato un problema che ha travalicato i confini nazionali e si è posto all’attenzione delle istituzioni comunitarie, che con la direttiva 60/2005/CE hanno imposto agli Stati membri il contrasto del fenomeno del riciclaggio dei c.d. capitali illeciti. Frattanto, la parte che si è deciso di approfondire riguarda ,ovviamente, i provvedimenti adottati dallo Stato Italiano in materia, che fin dalla prima età repubblicana ha dovuto affrontare tale presenza criminale. Per quanto concerne la struttura della trattazione, il primo capitolo tenderà ad elaborare un quadro generale della problematica, concentrandosi su un approccio volto a descrivere l’evoluzione normativa in materia di Criminalità organizzata. Elemento centrale di questo capitolo non può che essere la legge 646/1982 (c.d. legge Rognoni-La Torre). La suddetta legge rappresentò una vera e propria svolta per l’ordinamento italiano, con conseguenze importanti in materia di inquadramento e contrasto alla fattispecie mafiosa. Il mio lavoro, quindi, evidenzierà in primis la situazione dell’ordinamento italiano nel periodo antecedente alla sua approvazione, per poi analizzare le conseguenze sopra accennate. La seconda parte del capitolo tratterà la materia delle documentazioni antimafia, soffermandosi sui profili oggettivi e soggettivi degli stessi. In ultimo, si evidenzieranno le recenti riforme, a partire dal D.lgs 159/2011 (c.d. Codice Antimafia) rilevando quelle che sono le problematiche attuali della materia. Per fornire un’analisi sistematica e completa, parte del capitolo tratterà anche della normativa comunitaria in materia. Inoltre, in questa parte del capitolo, affronteremo le analisi economiche della mafia. In particolare parleremo della "Mafia come svantaggio competitivo nazionale", ossia di come la mafia rappresenti un freno agli investimenti nel nostro 4 paese. A tal proposito, si utilizzerà un approccio statistico volto a dimostrare la scarsa propensione all’investimento in quelle regione caratterizzate da una massiccia presenza criminale mafiosa. Per far ciò partiremo dalle relazioni del Censis, la prima del 1985, che stabiliscono percentuali precise sulla ricchezza del mezzogiorno drenata dalla mafia, nonché quanto del sommerso è dovuto alla mafia e quanto no. Parleremo anche delle analisi economiche fatte al fenomeno mafioso negli anni '90, le quali arrivano con 25 anni di ritardo rispetto al dibattito degli economisti americani. Il corpo del paragrafo vede le conclusioni di questi economisti e da come loro vedono la mafia, i quali, alcuni di loro sostengono che Mafia=sottosviluppo e sommerso non è un'equazione valida. Il secondo capitolo tratterà nello specifico le misure di prevenzione patrimoniale anti-mafia. In particolare, si è effettuata una descrizione analitica che non trascurasse nessun aspetto di tali misure. Infatti, si sono descritti i presupposti di applicazione degli stessi (avendo cura di rilevare gli aspetti problematici), e ci si è soffermati sui vari tipi di confisca e sul regime della stessa, con particolare riferimento al regime probatorio in materia, che si caratterizza per l’inversione dell’onere della prova, inteso come necessità del soggetto sottoposto a misure di prevenzione di dimostrare la non riconducibilità dei propri beni patrimoniali alle attività illecite. Si sono illustrate, quindi, l’oggetto e il regime di invalidità di quest’ultima. L’analisi ha comunque evidenziato le modifiche apportate dalla novella del 2008 che sono state recepite nel codice delle leggi antimafia. Il terzo capitolo si caratterizza per essere la parte più complessa e articolata, in quanto tratta della tutela dei diritti dei terzi nella legislazione antimafia. Storicamente la necessità di assicurare un soddisfacente livello di tutela ai soggetti “terzi” è stata la problematica principale che ha scatenato un acceso dibattito negli ambienti giuridici, portando ad un’abbondante produzione dottrinale e giudiziaria. La presente tesi analizzerà i caratteri di tale dibattito, partendo da un elemento imprescindibile: l’individuazione del terzo nelle sue varie sfaccettature. Infine, la seconda parte del capitolo sarà dedicata al procedimento di assegnazione dei beni confiscati, avendo cura di illustrare casi concreti di riuso di 5 beni un tempo appartenenti alla mafia e oggi utilizzate da giovani e associazioni che si ripropongono finalità sociali o di pubblico interesse. In conclusione si sono analizzati i vari progetti di riforma che si sono succeduti negli ultimi anni, evidenziandone punti di forza e debolezza. Partendo da ciò, si è cercato di tratteggiare un verosimile scenario futuro, avendo cura di far risaltare le linee guida e gli obiettivi che dovranno guidare le mosse future di chi si prefigge l’obiettivo di arginare lo strapotere economico mafioso. 6 CAPITOLO PRIMO : Un quadro generale dell’analisi delle evoluzioni normative sulla criminalità organizzata Sommario: 1.1 Normativa italiana di contrasto alla criminalità organizzata: evoluzione storico legislativa e legge Rognoni-La torre. – 1.1.1 Il ruolo delle forze di Polizia. – 1.2 La nuova disciplina della documentazione antimafia. – 1.2.1 Tipi di documentazione. – 1.2.2 Soggetti attivi e passivi. – 1.2.3 Informazioni prefettizie e certificati antimafia. – 1.2.4 Il CODICE ANTIMAFIA (d.lgs 2011 159): innovazioni e problematiche. – 1.3 la normativa comunitaria. – 1.4 Le analisi economiche sulla mafia: la criminalità organizzata come svantaggio competitivo nazionale. – 1.4.1 XIII Rapporto annuale di Sos Impresa. Questo primo capitolo si caratterizzerà primariamente per un’esposizione sistematica degli interventi normativi che si sono succeduti in materia di contrasto alla criminalità organizzata, fino ad arrivare al c.d. “codice antimafia” del 2011, con particolare occhio anche alle statuizioni comunitarie in materia. Verrà pure evidenziato il ruolo svolto dalle forze dell’ordine nell’attività di contrasto alla mafia. Infine, alla luce della complessità del fenomeno mafioso moderno, si svilupperà una basilare analisi di stampo economico sull’influenza della criminalità organizzata in materia di investimenti 1.1 Normativa italiana di contrasto alla criminalità organizzata: evoluzione storico-legislativa A partire dal secondo dopoguerra, il nostro ordinamento giuridico ha visto il susseguirsi di una serie di provvedimenti legislativi volti a contrastare il fenomeno della criminalità organizzata, rappresentandosi questa come una persistente minaccia sociale ed economica per lo sviluppo e la stessa integrità dello Stato. Primariamente, gli interventi dello stato si sono caratterizzati per un adeguamento della legislazione vigente al peculiare fenomeno mafioso. In questo senso, si spiega la legge 31 maggio 1965, n. 575, recante Disposizioni contro la mafia, la quale, in ragione della pericolosità sociale dei soggetti indiziati di 7 appartenere ad associazioni mafiose, estende l'applicabilità delle misure di prevenzione personali1 previste nella legge 1423/1956. In particolare, con tale intervento legislativo si è voluto ampliare l’ambito di applicazione delle misure di sorveglianza speciale e del soggiorno obbligato, nel senso di consentirne l’applicazione anche ai soggetti indiziati di appartenere ad associazioni mafiose. Un ampliamento della legislazione antimafia, concernente sempre i soggetti c.d. “mafiosi”, si è avuta dieci anni più tardi con la legge 22 maggio 1975, n. 152, recante Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico, meglio nota come "legge Reale". Gli articoli 182 e 193 di tale legge, infatti, stabiliscono che le norme della legge 575/1965 vengano applicate sia ai soggetti responsabili di atti preparatori diretti alla commissione di reati di sovversione e terrorismo, sia alle varie classi di soggetti socialmente pericolosi già indicati nella citata legge del 1956. Tali interventi legislativi, spesso dettati dall’emergenza e, comunque, insufficienti ad arginare il fenomeno mafioso e le sue ramificazioni in ambito sociale ed economico, evidenziarono una molteplicità di limiti della legislazione antimafia, con evidenti ricadute nel concretizzarsi dell’attività di contrasto alle organizzazioni mafiose. 1 G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte Generale, Zanichelli, 2004, pp. 839 ss. Così recita il comma 1: "Le disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575, si applicano anche a coloro che: 1) operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale; 2) abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645, e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente; 3) compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla ricostituzione del partito fascista ai sensi dell'articolo della citata legge n. 645 del 1952, in particolare con l'esaltazione o la pratica della violenza; 4) fuori dei casi indicati nei numeri precedenti, siano stati condannati per uno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n. 895, e negli articoli 8 e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n. 497, e successive modificazioni, quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato nel precedente n. 1)". 3 Così recita il comma 1: "Le disposizioni di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, si applicano anche alle persone indicate nell'articolo 1, numeri 1) e 2) della legge 27 dicembre 1956, n. 1423. Nei casi previsti dal presente comma, le funzioni e le competenze spettanti, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto sono attribuite al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona. Nelle udienze relative ai procedimenti per l'applicazione delle misure di prevenzione di cui al presente comma, le funzioni di pubblico ministero possono essere esercitate anche dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente". 2 8 In relazioni ai limiti suddetti, si osservava come, in primis, non fosse stato predisposto uno strumento legislativo per perseguire il fenomeno mafioso come associazione: ciò aveva avuto delle importanti ricadute processuali, in quanto i processi di mafia avutisi in quegli anni terminarono con assoluzioni generali per insufficienza di prove o al massimo con qualche provvedimento di soggiorno obbligatorio. Inoltre, l’emergere di una concezione della Mafia come “potenza economica”, capace di gestire una moltitudine di attività illecite e lecite, palesò, per gli interpreti, anche la necessità di aggredire le organizzazioni criminali nella loro componente economico-finanziaria, con particolare riferimento all'esercizio di attività criminali, al riciclaggio di denaro sporco e al reimpiego dei proventi illeciti, attraverso provvedimenti tendenti al sequestro ed alla confisca del patrimonio illecitamente ottenuto4. Legge Rognoni – La Torre: La svolta legislativa nella lotta alla mafia è rappresentata dalla legge 13 settembre 1982, n. 646, recante Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale, nota anche come "legge Rognoni - La Torre”. Con tale legge veniva effettuata un importante aggiunta all’impianto della parte speciale del Codice Penale: infatti, veniva introdotta la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali. Scopo di quest’aggiunzione era l’aggressione dello Stato ai patrimoni illeciti, nuova priorità dell’azione di contrasto dello Stato alla criminalità organizzata; azione di contrasto che, quindi, metteva in primo piano gli aspetti collettivi ed economici piuttosto che la repressione delle condotte in senso individuale. Il testo normativo di questa legge traeva origine da una proposta di legge presentata alla Camera dei deputati il 31 marzo 1980 (Atto Camera n. 1581), che aveva come primo firmatario l'on. Pio La Torre ed alla cui formulazione tecnica collaborarono anche due giovani magistrati della Procura di Palermo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. 4 www.altrodiritto.unifi.it. 9 In questo senso, il contenuto di tale proposta di legge era influenzato dalle indagini che gli stessi avevano condotto, in materia di criminalità organizzata, negli anni precedenti. Soprattutto il Giudice Falcone era noto per le intuizioni concernenti in primo luogo l’importanza di indagini coordinate sui reati di mafia, considerati per la prima volta come fenomeno unitario, in secondo luogo, anche sulla rilevanza della dimensione economica del fenomeno associativo, come esigenza primaria dell’impresa mafiosa in quanto garanzia della sua stessa sussistenza. Il principale punto di forza di questa legge, giova ribadirlo, è rappresentato dal mettere, al centro dell’attenzione, l’organizzazione criminale e non il soggetto mafioso. Inoltre, essa è anche importante per il tema dei beni confiscati alle organizzazioni criminali perché inserisce tra gli strumenti dei reati i patrimoni e i capitali ad essi collegati. È dal 1982, quindi, che si cominciano a colpire i patrimoni mafiosi in maniera estesa e continuativa: si fanno sempre più numerosi i beni sequestrati e poi confiscati, poiché le indagini patrimoniali e bancarie diventano modus operandi di più procure, a partire da quelle in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia. L'imprenditoria mafiosa, infatti, attraverso il controllo economico del territorio, impedisce lo sviluppo di energie economiche legali, fino ad influenzare negativamente l'intero sistema produttivo nazionale. D’altronde, i primi anni di applicazione della legge fanno emergere l’esigenza di regolamentare la destinazione dei beni confiscati, in modo da garantire l’efficacia delle misure adottate ed impedire alla criminalità organizzata di aggirare il dettato legislativo riassorbendo i beni e i patrimoni confiscati. Conseguentemente, viene emanato il D.L. 14 giugno 1989, n. 230 recante Disposizioni urgenti per l'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, che costituisce un primo tentativo per garantire la proficua gestione e destinazione dei beni confiscati. Tale decreto presenta però alcuni limiti: non opera alcuna distinzione tra la tipologia di beni (mobili, immobili o aziendali), prevede un procedimento di destinazione piuttosto articolato, in alcuni casi è persino contemplata l'ipotesi della vendita dei beni stessi, 10 con il rischio che vengano acquistati dai precedenti proprietari mediante prestanome, e tornino quindi a far parte del circuito mafioso di provenienza. Nel biennio 1992-1993 "Cosa Nostra" reagisce alle pesanti condanne inflitte ai suoi vertici dal maxiprocesso attraverso una serie di attentati. Il 23 maggio 1992 vengono uccisi a Capaci il giudice del pool antimafia di Palermo Giovanni Falcone, assieme alla moglie e tre agenti della scorta. Stessa sorte tocca ad un altro giudice del pool il giorno 19 luglio 1992: Paolo Borsellino viene infatti ucciso in via D'Amelio, a Palermo, assieme ai suoi cinque agenti di scorta. Nel 1993 si registrano attentati dinamitardi che colpiscono le città di Roma, Firenze e Milano. La situazione di emergenza venutasi a creare rende necessario l’emanazione di ulteriori normative di contrasto, che, prendendo spunto dalla proposte della società civile, preveda l'utilizzo a fini sociali dei beni confiscati alla mafia. Dovrà, però, passare più di un decennio prima che si registrino ulteriori interventi in materia. Ultime due tappe di questo iter legislativo, infatti, sono l'approvazione dei cosiddetti "pacchetti sicurezza" del 2008 e del 2009. Il D.L. 92/2008 (convertito con la legge n. 125/2008), recante Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, prevede l'applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniali anche ai soggetti ex art. 51 comma 3 bis c.p.p., ed abroga l'art. 14 della legge 55/90. Inoltre, è prevista la competenza del direttore della Direzione investigativa antimafia a richiedere l'applicazione delle misure di prevenzione; è introdotto l'importante principio per cui le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste ed applicate in modo disgiunto; è prevista la possibilità, là dove ne ricorrono i presupposti, di disporre il sequestro e la confisca per equivalente ed infine la possibilità di disporre le misure patrimoniali anche in caso di morte del preposto. L'ultimo intervento si è avuto con la legge 15 luglio 2009 n. 94, recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, con la quale il legislatore ha tentato di migliorare il funzionamento delle misure preventive patrimoniali, ed ha provato a risolvere alcune asimmetrie derivanti dalla legge 125/2008. In particolare, si è cercato di superare alcuni dubbi interpretativi che gli operatori avevano lamentato circa la possibilità di applicare le misure patrimoniali disgiuntamente da quelle personali. Inoltre, si è cercato di risolvere il groviglio di inefficienze, ritardi e 11 lentezze burocratiche che affliggono la gestione e l'assegnazione dei patrimoni confiscati alle organizzazioni mafiose, provando ad innescare una procedura più celere e snella. 1.1.1. Il ruolo delle forze di Polizia. La massima funzionalità del sistema nella lotta alla criminalità organizzata, se da un lato impone il coinvolgimento di tutte le forze di Polizia, dall’altro richiede che ognuna di esse ottimizzi il proprio ruolo e partecipi con il meglio delle proprie risorse e delle sue professionalità. La legge 1° aprile 1981, n.1215 definisce le forze di Polizia6: - POLIZIA DI STATO - ARMA DEI CARABINIERI - GUARDIA DI FINANZA - POLIZIA PENITENZIARIA - CORPO FORESTALE DELLO STATO Quanto al ruolo e all’impegno della Guardia di Finanza nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, esso è strettamente correlato alle previsioni della propria legge di ordinamento 23 aprile 1959, n. 1897, in base alle quali il Corpo si caratterizza, essenzialmente, come organismo di polizia a cui, come noto, è attribuita la tutela degli interessi erariali dello Stato attraverso un’attività di prevenzione, ricerca e denuncia degli illeciti di natura finanziari, nonché mediante la vigilanza sull’applicazione delle disposizioni di interesse politico-economico. Per il raggiungimento di questi obiettivi l’Istituzione ha sviluppato moduli operativi standard (verifiche fiscali, investigazioni patrimoniali ecc.), collaudati nel tempo, i quali, oltre a costituire ormai patrimonio culturale e professionale dei suoi appartenenti, rappresentano anche il mezzo più efficace e remunerativo per 5 Legge di riforma della polizia, la quale ha portato: alla smilitarizzazione della Polizia, allo scioglimento dei corpi delle guardie di p.s. e del corpo di polizia femminile, all’unificazione di ruoli e alla sindacalizzazione della Polizia di Stato. Mentre la Polizia Municipale non è una forza di Polizia ma espleta funzioni di polizia. 6 L’art.16 della citata legge elenca le Forze di Polizia. 7 Ordinamento del Corpo della guardia di finanza, www.antiriciclaggioitalia.it 12 un’aggressione al crimine organizzato sul versante economico, in aggiunta alle ordinarie e tradizionali tecniche di polizia. In particolare, nel settore del crimine organizzato, la Guardia di Finanza – in ragione delle sue capacità di investigazione concernenti il profilo economico e per le peculiari metodologie operative – è chiamata a svolgere un ruolo di polizia giudiziaria “specializzata”, in quanto impegnata sul versante della ricostruzione finanziaria delle attività criminose. Tale ruolo ha poi trovato anche un autorevole riconoscimento in occasione dell’emanazione del decreto in data 22 gennaio 1992 del Ministro dell’Interno, il quale, nel disciplinare il coordinamento investigativo-operativo delle Forze di polizia, ha attribuito una prevalente competenza al Corpo nel contrasto alle frodi comunitarie – compreso il contrabbando – e al riciclaggio, con particolare riguardo alla formazione dei patrimoni illeciti, anche sul piano delle necessarie ed indispensabili iniziative in campo internazionale. 1.2 La nuova disciplina della documentazione antimafia Con l'espressione "documentazione antimafia" si fa riferimento a tutti quei documenti idonei ad attestare la sussistenza o meno di legami con la mafia da parte di soggetti, persone fisiche o giuridiche, che vogliono venir in contatto con l'amministrazione, la quale, nella maggior parte dei casi, acquisisce la documentazione oggetto d'esame. In questo senso, ai sensi dell'art. 1 del regolamento n. 2521/1998 e già del d.lgs. n. 4901/1994, sono tenute ad acquisire la documentazione suddetta "le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico, nonché i concessionari di opere pubbliche". La materia in esame ha subito forti cambiamenti in conseguenza delle previsioni legislative contenute nel d.lgs. 159/2011, c.d. “Codice delle leggi 13 antimafia”, in attuazione della delega prevista negli articoli 1 e 2 della legge 136/ 2010. In particolare, il citato codice dedica un libro, il II, alla disciplina in materia di documentazione, nel quale spiccano le previsione contenute agli art. 83 e 84. L’art. 83, infatti, ha stabilito che le pubbliche amministrazioni devono acquistare la documentazione antimafia prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici. Tali previsioni sono integrate da quanto statuito dall’articolo successivo che fornisce una definizione legislativa di documentazione antimafia. In tal senso, la documentazione deve essere suddivisa in: - Comunicazione antimafia; - Informazione antimafia. La comunicazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 del decreto 159/2011. L’informazione antimafia, dal canto suo, consiste nell’attenzione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67, nonché nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazioni mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nell’art. 84, comma 4 del decreto 159/2011. Tali previsioni legislative non hanno, però, risolto tutti le problematiche della materia, rendendo al contempo necessario degli interventi integrativi. Conseguentemente, il legislatore è dovuto intervenire con il D.lgs 15 novembre 2012, n. 218, che ha apportato alcune modifiche al “Codice Antimafia”, avendo riguardo soprattutto alla validità della documentazione antimafia (art. 3). In questo senso, alcune modifiche sono state apportate all’articolo 86 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, con un nuovo testo concernente i primi due commi. In particolare, i due commi sostituiti recano la seguente disciplina: 1) La comunicazione antimafia, acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, con le modalità di cui all’articolo 88, ha una validità di sei mesi dalla data dell’acquisizione. 14 2) L’informazione antimafia, acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, con le modalità di cui all’articolo 92, ha una validità di dodici mesi dalla data dell’acquisizione, salvo che non ricorrano le modificazioni di cui al comma 3.8 1.2.1 I tipi di documentazione Il quadro delle tipologie degli atti idonei ad attestare la sussistenza o meno delle situazioni generatrici di effetti interdittori previsti dalla normativa antimafia risulta abbastanza composito, frutto degli interventi degli ultimi anni. La documentazione antimafia può essere, dunque, così suddivisa9: 1) Le autocertificazioni, con le quali l'interessato attesta che nei propri confronti non sussistono cause di divieto, di decadenza o di sospensione. Esse sono utilizzabili solo nei casi previsti dall'articolo 5, ovvero nei casi d'urgenza di cui all'articolo 11, comma 2, del regolamento, quando non viene esibito il certificato camerale o questo sia privo dell'apposita dicitura antimafia. 2) I certificati rilasciati dalla Camera di Commercio, recanti la dicitura “antimafia", utilizzando il collegamento telematico con il sistema informativo della Prefettura di Roma. 3) Le comunicazioni scritte del Prefetto, finalizzate all'attestazione della sussistenza o meno delle cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui all'articolo 10 della Legge n. 575/1965. 4) Le informazioni scritte del Prefetto, finalizzate all'attestazione della sussistenza o meno di "tentativi di infiltrazione mafiosa", rilasciate sulla base dei presupposti e con le modalità di cui agli articoli 10, 11 e 12 del regolamento approvato con il DPR n. 252/1998. 8 www.retefidisicilia.it, D.lgs 15 novembre 2012, n. 218. S. Muttoni, Informazioni prefettizie anti-mafia e appalti Testi, contesti e Costituzione, - Anno XVI n°2 Aprile/Giugno 2008. 9 15 1.2.2 I soggetti attivi e passivi Dal punto di vista soggettivo, in tema di documentazione possono distinguersi soggetti c.d. “attivi” e soggetti c.d. “passivi”. I soggetti attivi sono quell’insieme di soggetti che, pur non tenuti a richiedere la documentazione antimafia, a ciò sono legittimati. Tale categoria comprende tutti quei soggetti che per espressa disposizione normativa o sulla base di un provvedimento fondato sulle suddette disposizioni, sono chiamati a svolgere attività istruttoria invece dell'amministrazione10 e, in casi rari e con precise modalità, i soggetti cui la documentazione stessa si riferisce. Il terzo comma dell'art. 2 del regolamento del 1998, invece, individua i c.d. "soggetti passivi" della documentazione antimafia e stabilisce che quest'ultima, quando si tratta di associazioni, imprese, società o consorzi, debba riferirsi, oltre che all'interessato, anche alla società, al legale rappresentante, ai soci e ai componenti degli organi di amministrazione, ove presenti, ossia come più genericamente recita l'ottavo comma dell'art. 10 del d.P.R. n. 25211998 ai "soggetti, residenti nel territorio dello Stato, che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte e gli indirizzi dell'impresa" 11 . 1.2.3 Le informazioni prefettizie e certificati antimafia Il 13 febbraio 2013 è entrata in vigore la parte del Codice delle leggi antimafia relativa alla documentazione prefettizia. L’informativa prefettizia è finalizzata ad impedire la contrattazione con la pubblica amministrazione alle imprese sospettate di subire tentativi di infiltrazione mafiosa. Si tratta, pertanto, di una misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale, avente funzione di contrasto della criminalità organizzata12. 10 Così nella circolare del Ministero dell'interno del 14 dicembre 1994. S. Muttoni, Informazioni prefettizie anti-mafia e appalti Testi, contesti e Costituzione, - Anno XVI n°2 Aprile/Giugno 2008 12 R. Chieppa, R. Giovagnoli, Manuale breve diritto amministrativo, Giuffrè Editore, 2011 11 16 Le informazioni prefettizie antimafia possono essere ricondotte a tre diverse tipologie a seconda delle circostanze che siano maturate a carico dell’impresa13: 1) quando la nota prefettizia comunichi la sussistenza, a carico dei soggetti responsabili dell’impresa, delle cause di divieto o sospensione dei procedimenti indicati nell’art. 1 d.lgs n.490 del 1994; 2) quando la nota prefettizia contenga informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società o delle imprese interessate; 3) quando l’informativa, pur non raggiungendo la soglia di gravità delle prime due, è caratterizzata da elementi che denotano il pericolo di collegamenti fra l’impresa e la criminalità organizzata. Tali elementi sono comunque valutabili discrezionalmente dalla P.A. in riferimento alle generali esigenze di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa(art. 97 Cost.). Inoltre, giova rilevare che, ai sensi dell’art 2 del d.P.R. 3 giugno 1988, n. 252, l’efficacia delle informazioni prefettizie antimafia è limitata nel tempo, e precisamente per un periodo di sei mesi dal suo rilascio. Le stesse possono riguardare anche le società di capitali: in questo caso, le informative riguardano, oltre all’interessato, il legale rappresentante e gli altri eventuali componenti dell’organo di amministrazione. Il “Certificato Antimafia”, invece, oltre a contenere i dati di un normale certificato d'iscrizione, riporta la dicitura “antimafia”, di cui all'art.9 del d.p.r. 03/06/1992 n. 252. Il controllo antimafia è eseguito sul titolare d’impresa individuale e sui membri dell'organo amministrativo delle società. Nel certificato, può essere richiesto di eseguire il controllo antimafia anche su altri nominativi (ad es. titolari di cariche R.E.A.: direttori tecnici, direttori generali, amministrativi, dei lavori, procuratori, ecc. ) che altrimenti non risulterebbero come persone controllate. Il certificato antimafia può essere richiesto unicamente dal titolare d’impresa individuale o dal legale rappresentante di società o da loro delegati. 13 R. Garofoli, V. De Gioia, Appalti e contratti. Percorsi giurisprudenziali, Giuffrè Editore, 2007 17 1.2.4 Il codice antimafia (d.lgs 2011 n.159): innovazioni e problematiche Nato con obiettivi «ambiziosi»14, il codice antimafia doveva reggere tutta la materia del contrasto alla criminalità organizzata, attraverso una completa ricognizione delle norme antimafia di natura penale, processuale e amministrativa. Molteplici rilievi in sede parlamentare lo hanno privato invece del «perimetro normativo 'essenziale'»15 volto a delineare il suo stesso ambito operativo, con il rischio di non perseguire il risultato voluto e di produrre ulteriori distorsioni ed inopportune frammentazioni. Le prime modifiche riguardanti la pubblicazione del d.lg. 6 settembre 2011 n. 159 furono apportate dal legislatore nel libro I, composto da cinque titoli, dedicati rispettivamente alle misure di prevenzione personali, a quelle patrimoniali, all'amministrazione, gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, alla tutela dei terzi ed ai rapporti con le procedure concorsuali; agli effetti, sanzioni e disposizioni finali. Il legislatore delegato ha lasciato invariate, rispetto a quelle previste dalla precedente disciplina, le categorie dei destinatari delle misure di prevenzione. Cosi facendo però, sono state trasfuse nel testo finale due imperfezioni già presenti nel testo originario: il primo, «verosimilmente frutto di un errore di compilazione»16, attiene all'estensione ai soggetti indicati dall'art. l, n. 3, L 1423/5617; il secondo consiste nell'avere elencato in modo indifferenziato tutti i destinatari, unificando le diverse tipologie di misure (ordinarie, antimafia e contro il terrorismo), che, al contrario, sarebbe stato opportuno distinguere18. Per quanto riguarda il contenuto del provvedimento, si osserva come il legislatore abbia rafforzato tutta una serie di disposizioni: dall'autonomia del 14 M.V. De Simone, La delega al governo per la ricognizione, l'armonizzazione ed il coordinamento della normativa in materia di misure di prevenzione, in AA.VV., Commento al codice antimafia, cit., 34; F. Menditto, Lo schema di decreto legislativo del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (libri I, II, IV e V): esame, osservazioni e proposte, in <www.penalecontemporaneo.it>,3. 15 Cfr. parere della commissione giustizia della camera dei deputati del 2 agosto 2011. 16 Così M.V. De Simone, La fase applicativa, cit., 59, che ritiene l'ampliamento inopportuno. 17 L'estensione, cioè, è a coloro che «per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica». 18 M.V. De Simone, La fase applicativa, cit., 60. 18 procedimento di prevenzione rispetto al procedimento penale all'adozione disgiunta delle misure patrimoniali rispetto a quelle personali, dall'applicazione della misura patrimoniale indipendentemente dalla pericolosità sociale «attuale» del proposto e anche in caso di morte del medesimo nel corso del procedimento alla possibilità di iniziare quest'ultimo entro cinque anni dalla morte del soggetto, dalla figura della confisca per equivalente alle presunzioni di fittizia intestazione e/o trasferimento di beni, fino alle indagini patrimoniali, ha disciplinato il sequestro e le sue modalità esecutive attraverso il richiamo all'art. 104 disp. att. c.p.p. indicando poi una precisa scansione temporale del procedimento tale da assicurarne la speditezza. Nel libro II, il legislatore delegato si è prefissato lo scopo di razionalizzare il procedimento per il rilascio della documentazione antimafia. In questo senso, sono state adottate varie misure dagli effetti altalenanti. In primo luogo, sono state estese le cautele antimafia, che oggi concernono anche il direttore tecnico (ove previsto), i rappresentanti legali delle associazioni, le imprese costituenti il «raggruppamento temporaneo», nonché i «familiari conviventi» dei soggetti sottoposti a verifica. In secondo luogo, è stato aggiornato ed ampliato l'elenco delle situazioni dalle quali si desume il tentativo di infiltrazione mafiosa. Infine, è stata istituita una banca dati della documentazione antimafia, che, consentendo alla pubblica amministrazione, alle camere di commercio, agli ordini professionali e, nei casi previsti dall'art. 371 bis c.p.p., alla direzione nazionale antimafia una forma costante dì monitoraggio delle imprese, ha di fatto realizzato un sistema integrato di dati. Oltre a tali interventi di carattere “preventivo”, si è cercato anche di adottare misure volte a favorire le imprese esercenti attività nel circuito dell’economia legale. Conseguentemente, è stata estesa da sei mesi ad un anno la validità della comunicazione antimafia liberatoria per il caso in cui non siano intervenuti mutamenti nell'assetto societario e gestionale. Su pressante sollecitazione dei numerosi rilievi mossi allo schema di decreto legislativo19, l'esecutivo ha raccolto nel libro IV «tutte le norme transitorie di coordinamento e di modifica della legislazione vigente resesi necessarie a seguito 19 Cfr., ex plurimis, l'osservazione n. 64 del parere della commissione giustizia e, in dottrina, F. Menditto, Lo schema del decreto, cit., 105. 19 dell'intera operazione di riordino derivante dall'entrata in vigore del codice antimafia»20. 1.3 Normativa comunitaria I meccanismi di “congelamento” e “blocco” dei beni proventi di reato, costituiscono una delle priorità dell’Unione Europea. Il sistema di contrasto alla ricchezza illecita viene considerato uno dei principali meccanismi per garantire la sicurezza dei cittadini, al contempo favorendo lo sviluppo di un sistema economico libero da storture criminali e attività a carattere parassitario. La nostra analisi a livello comunitario non può che partire da quanto contenuto dalla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea il 3 maggio 2000: in quella sede, infatti, venne pubblicato un importante documento concernente la “strategia dell’Unione Europea per l’inizio del nuovo millennio per la prevenzione e il controllo della criminalità organizzata”. In esso si affermava che “il movente principale di gran parte della criminalità organizzata è rappresentato dal beneficio finanziario. Una prevenzione e un controllo efficaci della criminalità organizzata devono, pertanto, imperniarsi sul rintracciamento, il congelamento, il sequestro e la confisca dei proventi di reato”. Oggi, dunque, le norme del diritto penale tendono a garantire solo i patrimoni acquisiti in maniera lecita, al contempo perseguendo i patrimoni comunque illecitamente acquisiti attraverso vari istituti. Il legislatore ha preso atto che l’unico modo per contrastare efficacemente il crimine organizzato è costituito dal contrasto patrimoniale. Quindi, anche le istituzioni comunitarie, nella lotta contro l’accumulo di capitali illeciti e della conseguente dannosa incidenza delle mafie nel tessuto economico legale dei paesi membri, ha adottato importanti decisioni quadro ai fini di sensibilizzare tutti gli stati ad adottare normative sempre più stringenti contro la 20 In questi termini la relazione al d.leg. 159/11. 20 criminalità organizzata, nonché a perseguire forme di cooperazione internazionale per arginare il fenomeno economico mafioso. In particolare non può non segnalarsi, la decisione quadro del 200521 del Consiglio dell’Unione Europea. I presupposti della stessa sono molteplici: in primis, l’esistenza stessa della criminalità organizzata è il profitto economico; in secundis, è necessaria un’armonizzazione delle varie legislazione degli Stati membri, al fine di affrontare il crescente contesto globale e mantenere l’efficacia delle misure patrimoniali, con particolare riguardo al congelamento, al sequestro e alla confisca dei proventi di reato. Muovendo da queste linee-guida, la decisione quadro ha stabilito22: - che gli Stati membri devono introdurre la possibilità di mitigare, nell’ambito del diritto penale, civile o fiscale, l’onere della prova per quanto concerne l’origine dei beni detenuti da una persona condannata per un reato connesso con la criminalità organizzata; - che debbono essere adottate misure volte a contemperare l’esigenza di richiedere, a chi abbia commesso un reato, di documentare l’origine legittima dei presunti effetti o proventi confiscabili, con i principi del diritto nazionale (con particolare riguardo al diritto di difesa) la natura dell’azione giudiziaria; - che gli Stati membri non possano formulare o mantenere alcuna riserva riguardo alle disposizioni relative alla confisca, se il reato è punito con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata superiore ad un anno; - che deve essere assicurato, da parte di tutti gli Stati membri, l’adozione di norme efficaci che disciplinino la confisca dei proventi di reato, con la previsione del reciproco riconoscimento, nell’ambito dell’Unione Europea, delle decisioni di confisca dei proventi di reato e di ripartizione dei beni confiscati. Continuando l’analisi della legislazione comunitaria in materia, non si può non rilevare l’importanza fondamentale della direttiva 60/2005/CE relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo. 21 decisione quadro 2005/212/gai 24/2/2005 Europa R. Di Legami, Le misure di prevenzione patrimoniali. Normativa italiana e codice antimafia, Exeo, ottobre 2011. 22 21 Le premesse da cui muove tale direttiva sono le seguenti: i paesi dell’Unione Europea devono vietare il riciclaggio di proventi illeciti e il finanziamento del terrorismo; questo perché il potere delle mafie si consolida sempre più non solo tramite estorsioni, usura, traffico di droga e sfruttamento della prostituzione, ma anche tramite attività imprenditoriali per mezzo delle quali vengono riciclate grandi quantità di denaro a disposizione della criminalità mafiosa: In altri termini, “Il riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali è uno dei più insidiosi canali di contaminazione tra il lecito e l’illecito. Per i criminali è un passaggio essenziale, senza il quale il potere d’acquisto ottenuto con il crimine resterebbe solo potenziale, utilizzabile all’interno del circuito illegale, ma incapace di tradursi in potere economico”23. La direttiva definisce come "riciclaggio di capitali" gli atti commessi intenzionalmente e miranti a: - convertire o trasferire beni provenienti da un'attività criminale al fine di occultare o dissimulare la loro origine illecita; - occultare o dissimulare la natura, l'origine, l'ubicazione, la disposizione, il movimento o la proprietà reali di beni essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attività criminosa; - acquisire, detenere o utilizzare dei beni essendo a conoscenza che provengono da un'attività criminale; - partecipare ad una delle attività di cui sopra o aiutare qualcuno ad eseguirle. Per "finanziamento del terrorismo", la direttiva intende la fornitura o la raccolta di fondi per commettere una delle infrazioni definite nella decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio sulla lotta contro il terrorismo, come per esempio la cattura di ostaggi, la falsificazione di documenti amministrativi e la direzione di un gruppo terroristico. Il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato un ulteriore decisione quadro24 nel 2006, la quale disciplina l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, specificando anche il procedimento di cooperazione. 23 Busà – La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese, XIII rapporto di Sos Impresa, Aliberti, 2011, op. cit., 135. 24 Decisione quadro 2006/783/gai 6/10/2006 22 Si tende quindi a facilitare la cooperazione tra gli stati membri in materia di reciproco riconoscimento ed esecuzione delle decisioni di confisca dei proventi illeciti, in modo che uno stato membro esegua nel proprio territorio le decisioni di confisca adottate da un tribunale competente in materia penale di un altro stato membro, precisando che le decisioni da eseguire siano da un lato sempre prese in conformità dei principi di legalità, sussidiarietà e proporzionalità e dall’altro che siano comunque garantiti i diritti fondamentali accordati alle parti o ai terzi interessati in buona fede. Quando oggi si richiama la “normativa antiriciclaggio”, si fa riferimento unicamente alla terza direttiva e, nello specifico, al d.lgs 21 novembre 2007, n.231 che ne costituisce l’applicazione. Mediante tale atto normativo, si è realizzata la perfetta simmetria tra i dati contenuti nell’archivio dei rapporti e i dati ottenibili mediante i poteri ispettivi concessi dalla normativa in materia d’imposta sui redditi e Iva. Si accenna, inoltre, che l’art. 2, quarto comma, del D.L 138/2011 (la c.d. “manovra di ferragosto”), a decorrere dal 13 agosto 2011, ha ridotto da un importo pari o superiore a € 5.000 a un importo pari o superiore a € 2.500 il limite indicato nei commi 1, 5, 8, 12 e 13 dell’art. 49 del d.lgs 21 novembre 2007, n. 23125. Al fine di evitare il riciclaggio, di tutelare l’integrità del sistema e di assicurare la correttezza dei comportamenti da parte dei soggetti interessati, la normativa si preoccupa di far emergere un’idea fondamentale: quella di far collaborare attivamente tutti i soggetti destinatari che rappresentano, in sostanza, gli “agenti” al servizio della legalità26. 25 F. CARRIOLO, “Come cambiare l’accertamento. Le novità 2012 dopo le manovre anti crisi”, Gruppo 24 ore, 2011. 26 R. DANOVI, “La nuova normativa antiriciclaggio e le professioni”, Giuffrè Editore, 2008. 23 1.4 Le analisi economiche sulla mafia: la criminalità organizzata come svantaggio competitivo. Gli studi del Censis datati 1985 e 2003. Il fenomeno mafioso, oltre che materia di studio per gli esperti del campo giuridico, è stato al centro di analisi effettuate anche da altre scienze sociali, all’interno delle quali si contraddistinguono le analisi di stampo sociologico ed economico. Tali studi hanno infatti mostrato come la mafia e, in generale, il fenomeno della criminalità organizzata debbano essere letti come un fenomeno polimorfico, un prisma a molte facce, presentando aspetti sia criminali che sociali, economici, politici e culturali27. Di conseguenza, isolare uno di questi aspetti e ritenerlo rappresentativo dell’intero fenomeno o attribuirgli una prevalenza sugli altri, come spesso avviene, è un’operazione gratuita e fuorviante. Infatti considerati singolarmente, ognuno di questi aspetti non riesce a spiegare questioni fondamentali quali la causa e lo sviluppo28 del fenomeno. Ciò ha portato a considerare una necessità la maggior interdisciplinarietà come caratteristica fondante le analisi future, per meglio far fronte ai continui mutamenti di contesto che una realtà viva e attiva, come il fenomeno mafioso, comporta29. Se ciò è vero per l’avvenire, è comunque indubbio che i lavori passati si siano inseriti in un contesto di generale sottovalutazione del fenomeno mafioso, riuscendo ad alimentare il dibattito degli studiosi ed evidenziando problematiche reali. In campo economico, la prima analisi di rilievo è costituita dall’analisi del Censis, pubblicata nel 198530, che prende in considerazione l’arco temporale dal 1980 al 1984. L’allora presidente del Censis, Gino Martinoli, ha condotto uno studio con l’intento di valutare le dimensioni economiche dell’illecito in Italia, pur premettendo 27 U.Santino, Dalla Mafia alle Mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, Rubettino ,2006, p. 246 ss. U.Santino, La mafia come soggetto politico. Ovvero: la produzione mafiosa della politica e la produzione politica della mafia, in G. FIANDACA – S. COSTANTINO (a cura di), La mafia, le mafie, Laterza, 1994, p.121. 29 U.Santino, Dalla Mafia alle Mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, cit., p. 185 ss. 30 CENSIS, Dossier “illecito”, “Quindicinale di note e commenti”, n.4, 1985. 28 24 che lo stesso è stato condotto con metodo “puramente indiziario, basato su valutazioni in parte arbitrarie, soggettive, affidandosi in qualche caso ad accertamenti indiretti ed impiegando parametri opinabili, di dubbia utilità, diversa da caso a caso”31. Martinoli ipotizza una distinzione tra varie fattispecie di reato: da una parte il furto, le estorsioni e le frodi, che comportano un trasferimento di ricchezza da un individuo o gruppi di individui ad altri; dall’altro attività criminali che costituiscono un servizio inteso a soddisfare esigenze più o meno latenti e avvertite da gruppi non rilevanti (traffico di droga, gioco d’azzardo clandestino, prostituzione). Le varie attività, secondo la stima proposta dall’autore, avrebbero fruttato un valore compressivo tra 100.000 e 150.000 miliardi di lire all’anno, stando ai valori medi della lira negli anni 1982-1984. Il numero degli addetti all’industria del crimine si sospettava oscillasse tra il mezzo milione e il milione di persone, pari al 2,50% e al 5% della popolazione attiva italiana. Questi dati appaiono ancora più impressionanti se si osserva che nei decenni successivi a questo primo Rapporto Censis, il fenomeno non si ridimensiona affatto, al contrario secondo un ulteriore studio, effettuato sempre dal Censis, datato 2003 riguardante gli anni immediatamente precedenti, si rileva che la presenza delle mafie nel mezzogiorno sottrarrebbe addirittura il 2,5% del Prodotto Interno Lordo nazionale annuo. Dal Rapporto del 1985, bisogna aspettare fino al 1992 affinché si abbiano altri studi economici sulla materia; in particolare, nell’ottobre del 1992 la Società Italiana degli economisti ha dedicato una sessione della riunione scientifica annuale proprio all’economia parallela del crimine organizzato32. Tali studi giungono con ben 25 anni di ritardo rispetto ad analisi dello stesso genere sviluppatisi negli Stati Uniti d’America, dove l’interesse degli economisti per 31 CENSIS, Dossier “illecito”, cit, p.9 Gli atti del Convegno sono stati pubblicati nel volume Mercati illegali e mafie. L’economia del Crimine organizzato (a cura di ZAMAGNI S.), il Mulino, Bologna, 1993. 32 25 il crimine organizzato comincia già alla fine degli anni ’60 e si lega alle attività delle agenzie istituzionali, come le Commissioni Presidenziali33. Tra i lavori d’oltreoceano è da menzionare in primis il lavoro di T.C.Schelling, economista e professore dei più prestigiosi college statunitensi , che partendo dall’assenza di studi economici sui fenomeni quali il proibizionismo degli alcolici, il racket e il gambling, illustrò l’utilità di un’analisi economica del crimine, poiché aiutava nella valutazione dei costi e delle perdite dovute alle imprese criminali e, di conseguenza, aiutava a capire in che modo le leggi dovessero essere modificate al fine di minimizzare gli effetti negativi per l’economia sana causati dal crimine. I lavori della sessione della riunione scientifica annuale della Società Italiana degli Economisti, supra menzionata, sono raccolti in varie relazioni, tra le quali, in queste sede, preme menzionare è la relazione di G.M. Rey, docente di Politica economica e finanziaria all’Università Torvergata di Roma. Lo studio verte sui risvolti sul mercato del lavoro dei rapporti tra attività legali e attività illegali. Il mercato del lavoro, secondo l’autorevole studioso, è tripartito in tutta Italia: vi sono il mercato legale, quello meramente irregolare e, infine, quello specificamente illegale. Tale tripartizione soprattutto nel Mezzogiorno è particolarmente rilevante per via dell’eccesso di offerta di lavoro: “La situazione del Mezzogiorno dimostrerebbe che, di fronte ad un processo che amplifica il reddito ricavabile dall’economia illegale, si crea una saldatura tra economia illegale e irregolare (per cui la prima si confonde nella seconda), e questa convergenza è favorita dalla presenza di istituzioni sovente proiezioni del sistema clientelare e che, in quanto tali, incorporano i valori del modello di redistribuzione invece dei valori del modello di mercato34. Tuttavia, il fulcro dell’incontro degli economisti è il rapporto mafia-sviluppo. In questo senso, M. Centorrino, docente d’economia presso l’Università di Messina, sostenne la tesi secondo cui la presenza di economie mafiose è causa di ritardi e condizionamenti sullo sviluppo delle economie locali35. 33 Per una rassegna della letteratura e dell’attività delle agenzie istituzionali degli Stati Uniti cfr. SANTINO U. – LA FIURA G., l’impresa mafiosa,F. Angeli, Milano, 1990. 34 REY G.M., Analisi economica ed evidenza empirica dell’attività illegale in Italia, in ZAMAGNI S. (a cura di), op. cit., p.19. 35 CENTORRINO M. – SIGNORINO G., Criminalità e modelli di economia locali, in ZAMAGNI S. (a cura di), op. cit., p.75 ss. 26 L’economia mafiosa, a detta dell’autore, si regge su tre pilastri: il sistema delle estorsioni, utile a garantire il controllo del territorio e quindi il controllo del consenso elettorale; lo scambio tra voti ed l’inserimento nei flussi della spesa pubblica; il traffico di droga finanziato dai proventi delle estorsioni e dalla “quota” di spesa pubblica “catturata”. Nei suoi lavori successivi, Centorrino afferma come “la criminalità organizzata finisce con il costituire una vera e propria istituzione, con una capacità più o meno estesa e pervasiva di stabilire norme interne ed esterne e di assicurarne l’osservanza sul territorio. L’istituzionalizzazione del fenomeno criminale produce inoltre effetti sul funzionamento dei sistemi economici che “ospitano” l’impresa criminale. Essa ha un effetto depressivo sugli investimenti, in quanto modifica il comportamento degli attori economici36” frenando lo sviluppo. Questa tesi si è rivelata fondata, nonostante sia stata da alcuni non condivisa37, e fotografa realisticamente la realtà nel momento in cui si passa ad analizzare gli investimenti compiuti in Italia negli anni 2000-2005. Premettendo che in quegli anni l’Italia è stata destinataria solo del 4% degli investimenti esteri in entrata dell’Unione Europea, cifra che già di per sé la pone in fondo alla griglia, notevolmente superata da Germania, Gran Bretagna e Francia. 36 CENTORRINO M.- SIGNORINO G.- LA SPINA A., il nodo gordiano, Criminalità mafiosa e sviluppo del Mezzogiorno, Laterza, Roma, 1999. 37 SANTINO U. , Dalla mafia alle mafie, cit., p. 200. La tesi del Centorrino è stata parzialmente critica e rivalutata dal Santino e da altri economisti, che partendo da un’analisi congiuntamente micro e 37 macroeconomica, cercano di rivedere l’equazione mafia = sottosviluppo . L’analisi macroeconomica da questi effettuata porta a conclusioni ben differenti: infatti confermerebbe sì la tendenza negativa di sviluppo di territori ad alta presenza mafiosa, ma evidenzierebbe come anche in questi territori operano imprese di successo, capaci di adattarsi positivamente al contesto, nascendo e rimanendo imprese sane nonostante la presenza del la criminalità organizzata. Dal punto di vista microeconomico, il crimine organizzato influenza le scelte localizzative e il comportamento delle imprese, benché studi statistici evidenzino come la criminalità organizzata sia posta al sesto posto tra gli ostacoli all’attività d’impresa secondo gli stessi imprenditori, superata dall’inefficienza delle amministrazioni, dalla carenza di infrastrutture, il costo del lavoro, le difficoltà di accesso al credito, il peso della fiscalità. 27 Tale cifra, per di più, si è concentrata maggiormente nelle regioni del Centronord, come evidenziano le percentuali della tabella38: Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino Alto Adige Veneto Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Centro-Nord Sud 11,36 0,00 68,21 0,49 4,15 0,12 0,70 3,75 1,90 0,78 0,04 7,84 0,06 0,01 0,16 0,16 0,16 0,02 0,02 0,06 99,34 0,66 Una forte presenza mafiosa, quindi, costituisce effettivamente una barriera all’ingresso in un dato mercato territoriale, finendo per neutralizzare spinte concorrenziale già “a monte”, e dirottando gli investimenti in altri mercati potenzialmente meno economici, ma nel quale vi è una presenza mafiosa nulla o assente. Ma l’effetto distorsivo della presenza mafiosa continua ad avvertirsi anche nel funzionamento del mercato. In tal senso, è utile mostrare i dati raccolti dal Censis nel 2007 tra gli imprenditori delle regioni meridionali: Fattori di “distorsione” 2003 2006 Aumento improvviso delle imprese concorrenti 36,30% 48,90% Aumento dell’imposizione di manodopera 5,80% 15,10% Aumento dell’imposizione di forniture 4,10% 13,20% Appalti sempre più irregolari 20,00% 45,30% Racket molto o abbastanza diffuso 25,60% 33,10% Usura molto o abbastanza diffusa 14,50% 39,20% 38 Fonte: Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno, 2007 28 In conclusione, si hanno i dati per affermare che nelle realtà del Mezzogiorno il crimine organizzato comporta un “costo sociale” che si ripercuote sull’intera collettività, minando i meccanismi del mercato, creando monopoli, incrementando i costi di produzione, alterando la struttura dei prezzi, incidendo sul gettito fiscale, con l’aggravamento dell’evasione e della depressione economica e l’istituzione di un fisco parallelo, appesantendo i conti pubblici. Il lavoro degli economisti si è concentrato anche tra il peso del fattore criminalità organizzata sull’economia sommersa, ossia quell’economia legale che sfugge al controllo e alle rilevazioni della pubblica amministrazione a causa dell’evasione fiscale (c.d. “sommerso d’impresa”) nonché della mancata osservanza della normativa previdenziale e giuslavorista (c.d. sommerso di lavoro). In un recente articolo de “Il Sole 24 Ore”39 il sommerso complessivo in Italia equivale a 420 miliardi di fatturato, di cui 170 riguardano l’economia mafiosa e al suo interno, al primo posto, il ricavo del traffico di stupefacenti. Nessuna attività imprenditoriale ha guadagni di questo tipo. Il volume dei traffici di droga è in costante espansione a causa dell’aumento contestuale dell’offerta dovuta all’aumento della produzione e della domanda dei cittadini-consumatori che in Italia superano il milione. Da questi studi un dato può considerarsi acquisito: economia legale e economia criminale non sono realtà separate ma sono piuttosto degli insiemi che si intersecano, con confini indefiniti e le conseguenze negative sono tanto dovute all’introduzione nei mercati del metodo mafioso, quanto piuttosto nel favorire lo sviluppo delle attività di tipo parassitario rispetto a quelle di tipo produttivo, con effetti destabilizzanti nei diversi settori dell’economia e nelle diverse aree di mercato40. L’intreccio tra crimine ed economia però non è inevitabile né incurabile. La legalità come valore di mercato e la sicurezza come investimento pubblico sono le strade per uscire dall’impasse: la crescita economica da sola non basta perché se essa non è inserita in una struttura trasparente e competitiva e in un sistema pubblico efficiente rischia di essere vulnerabile. Da qui l’esigenza di strumenti sempre più efficaci nell’aggredire il patrimonio e la potenza economica della mafia. 39 Il Sole 24 ore, Quattrocento miliardi illegali, 6 luglio 2009, 1 e 2- 3. D. Masciandro. – A. Pansa, La farina del diavolo. Criminalità, imprese e banche in Italia, Baldini & Castoldi, Milano, 2000. 40 29 1.4.1 XIII Rapporto annuale di Sos Impresa Il Rapporto annuale Sos Impresa Le mani della criminalità sulle imprese è giunto alla sua tredicesima edizione. Nato come documento di denuncia delle condizioni di lavoro e di impresa nel Sud Italia, nel corso del tempo è diventato uno strumento di studio e lavoro anche per importanti organismi istituzionali e per altri centri di studio e ricerca. Il raggio di osservazione sul peso dell'economia criminale è stato esteso all'intero territorio nazionale e ai diversi comparti produttivi. I numeri e le analisi contenute nel rapporto si basano sulle testimonianze dirette degli associati di Sos Impresa operanti sul territorio, cui si aggiungono le dichiarazioni delle vittime di estorsione e usura ai nostri sportelli e in sede giudiziaria. Ciò rende il Rapporto un documento unico nel suo genere41. Faremo, anche, un quadro delle attività illegali di stampo economico-mafioso, allo scopo di dimostrarne la potenza finanziaria e la grande liquidità di denaro disponibile. Da qui la definizione di "Mafia Spa"42, adottata per la prima volta nel Rapporto del luglio 2006 ed entrata ormai nel gergo comune. I Risultati: Secondo i dati ufficiali forniti dal ministero dell’Interno, dal maggio 2008 al 31 dicembre 2010, sono stati 7.519 gli affiliati a cosche mafiose arrestati. Ben 30.561 i beni sequestrati per un valore complessivo di 15,10 miliardi di euro e 6.029 quelli confiscati per un valore di 3.096 miliardi di euro. Tale situazione dimostra come arresti e sequestri dei beni, seppure importanti, non possono essere considerati indicativi di una sconfitta delle mafie. Boss e capi continuano a dare ordini anche dal carcere. Come disse Giovanni Falcone “non bastano l’arresto, la condanna, la 41 Lino Busà – Bianca La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese: XIII rapporto di sos impresa, Introduzione di Marco Venturi, Aliberti, 2011. 42 Busà – La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese, op. cit., 19. Si parla di impresa mafiosa o mafia spa, quale fattispecie particolare di impresa illecita, in cui si manifesta la tendenza delle associazioni mafiose a svolgere attività produttive e commerciali, per lo più ad oggetto lecito, e finanziarie, mediante l’utilizzo di ingenti capitali di provenienza illecita. Sul concetto di impresa mafiosa vd. l’approccio problematico di G. FIANDACA, Le misure di prevenzione (profili sostanziali), in Dig. disc. pen., VIII, Torino, 1994. 30 conclusione di inchieste giudiziarie, nonché la collaborazione di alcuni boss per potere parlare di fine del fenomeno mafioso”43. Non abbiamo un bilancio d’esercizio della Mafia Spa, ma se, come ogni grande impresa, ne venisse redatto uno ci troveremo di fronte a un fatturato da capogiro e ad utili per decine di miliardi di euro. Il bilancio si compone delle voci delle maggiori attività illecite poste in essere dalle organizzazioni mafiose, come il traffico di stupefacenti, uno dei mercati illeciti più redditizio per qualsiasi associazione criminale. Altro fonte è quello che riguarda l’immigrazione irregolare, il quale, secondo le cifre fornite dal Ministero dell’Interno negli anni 2004-2007 sono stati circa 216.000 gli irregolari entrati in Italia (circa 78.000 via mare, circa138.000via terra)44. Un trend che, oggi anche a causa delle crisi politiche che hanno colpito il Nord Africa e il Medio Oriente, è in crescita, incrementando così i lavoratori in nero. Per quanto riguarda il calcolo dei compensi per i fiancheggiatori, le cifre sono state ricavate dalla Direzione investigativa Antimafia, grazie al ritrovamento di pizzini in cui era annotato il libro mastro di stipendi e oneri di vario genere (tra i quali spese legali per i detenuti). I compensi oscillano di molte migliaia di euro, circa 60.000 euro per i api e reggenti cosca, 25.000 euro l’anno per gli affiliati e circa 10.000 euro annui per i fiancheggiatori45. Per quest’ultimi si intende tutti coloro che vanno dal libero professionista al prestanome, chiunque attraverso la propria attività favorisce quella di un clan, fino al giovane, anche minorenne, o alla casalinga, che svolgono attività di vedetta. Il loro numero varia in base ai periodi di espansione di un clan in un determinato territorio. Mentre, in media, sono circa 230/240.000 le persone coinvolte, a vario titolo, in attività di supporto. Il giro d’affari è di oltre 137 miliardi di euro e l’utile di oltre 104 miliardi di euro, di cui oltre 65 miliardi di euro in denaro contante. Per capire l’ordine di grandezza delle cifre facciamo il confronto, a titolo d’esempio, con gli utili relativi all’anno 2010 dell’Enel (4,4 miliardi di euro), della Telecom (3,21 miliardi di euro) e della FIAT Spa (442 milioni i euro)46. Tutto ciò è sleale e le reazioni a questa concorrenza possono essere, denunciare gli abusi o pagare in silenzio. A pagare sono spesso imprenditori onesti che, però, non 43 Busà – La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese, op. cit., 27. Busà – La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese, op. cit., 44. 45 Busà – La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese, op. cit., 45. 46 Busà – La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese, op. cit., 49. 44 31 sempre trovano la forza per sottrarsi al crimine. Invece, l’imprenditore colluso, paga le tasse della mafia e dal clan riceve protezione e favori, primo fra tutti l’eliminazione della concorrenza. Purtroppo, questo tipo di imprenditoria, fortemente presente nelle zone meridionali, sta prendendo piede anche nel Nord Italia. CAPITOLO SECONDO: Le misure di carattere patrimoniale Sommario: 2.1 La strategia di contrasto alla ricchezza della criminalità organizzata. - 2.2 I presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali: modifiche della novella 2008 recepite nel codice delle leggi antimafia. – 2.3 Le indagini patrimoniali: natura giuridica, tipo e modalità. – 2.4 Il sequestro. – 2.5 La confisca: tipi, regime, oggetto e problematiche. – 2.5.1 La confisca ex art. 2 ter ed ex art 3 quinquies l. 575/65. – 2.6 La sospensione temporanea dall’amministrazione dei beni. – 2.7 La sproporzione tra redditi dichiarati e ed attività economica e valore dei beni sequestrati. – 2.7.1 L’onere della prova dell’origine illecita. Le argomentazioni che andremo a trattare in questo capitolo riguardano le misure di prevenzione di carattere patrimoniale, dirette ad evitare la commissione di reati da parte di determinate categorie di soggetti considerati socialmente pericolosi. Esamineremo, in dettaglio, sequestro e confisca, quali strumenti di contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso. 2.1 La strategia di contrasto alla ricchezza della criminalità organizzata La storia della criminalità organizzata dimostra come la stessa abbia sviluppato, con il tempo, una spiccata capacità imprenditoriale unita ad un’estrema flessibilità nell’adeguarsi alle evoluzioni del mercato economico. In quest’ottica, la criminalità organizzata ha avviato da tempo forme di collaborazione, o partenariati, all’interno e all’esterno del territorio dell’Unione, sia con singoli che con altre reti di 32 crimine organizzato, per foraggiare la sua struttura illecita, sfruttando la libera circolazione di capitali, merci, persone e servizi. Il legislatore italiano, quindi, ha preso atto da tempo che l’unico modo per contrastare efficacemente il crimine organizzato è costituito dal contrasto patrimoniale. Le misure adottate nel corso del tempo hanno avuto un duplice scopo: in primis, di contrasto all’accumulo della ricchezza mafiosa; in secundis, di garantire la stessa sopravvivenza dell’ordinamento democratico costituito. Infatti, in un contesto dove la criminalità organizzata sposta immense ricchezze, gli effetti distorsivi non riguardano più solo la tutela dell’ordine pubblico, per i reati che vengono posti in essere, e dell’ordine economico, con riferimento all’alterazione della regole del mercato, alla tutela della concorrenza fra imprenditori o della trasparenza. Piuttosto ad essere pesantemente influenzati sono le prerogative dell’individuo, come ad esempio il diritto di voto e la libera manifestazione del pensiero. In altri termini, con il denaro le organizzazioni di tipo mafioso acquistano mass-media, entrano nella gestione di enti finanziari, condizionano i meccanismi del consenso elettorale del voto. Insomma, la ricchezza mafiosa mette a rischio la sopravvivenza della democrazia, mette in pericolo i diritti e le libertà di ciascuno di noi. Nel 2000, la Gazzetta ufficiale della Comunità europea ha pubblicato un importante documento che riguarda la “Prevenzione e controllo della criminalità organizzata – Strategia dell’Unione Europea per l’inizio del nuovo millennio”. L’impostazione criminologica del contenuto di tale documento è radicalmente diversa rispetto all’intero impianto del nostro codice penale improntato alla tutela della ricchezza nelle sue fasi della produzione (reati contro l’industria, il commercio), della circolazione (reati per la tutela del contratto, della moneta), fino alla fase finale del godimento della ricchezza (reati contro il patrimonio)47. Dalla lettura di tale documento si rileva che durante il Consiglio europeo di Tampere (Finlandia) del 15 e 16 ottobre 1999 si è arrivati ad affermare il diritto dei 47 A. Laudati, La tutela penale nei confronti della ricchezza mafiosa, in Le misure di prevenzione patrimoniali dopo il “pacchetto sicurezza”, a cura di F. Cassano, Roma, 2009, p. 221. 33 cittadini comunitari a veder affrontata, da parte dell’Unione, quella minaccia alla loro libertà e ai loro diritti giuridici costituita dalle forme più gravi di criminalità. Il livello della criminalità organizzata, infatti, è in aumento in tutta l’Europa, come emerso dalle relazioni annuali sulla situazione della criminalità organizzata redatte dagli Stati membri che attestano i molteplici modi in cui la criminalità organizzata si sta infiltrando in molti aspetti della società. In questo senso, si è sottolineata la pressante esigenza di uno sforzo comune, da parte di tutti gli Stati membri, allo scopo di prevenire e combattere il crimine e la criminalità organizzata nell’intera Unione. Tale attività congiunta e di contrasto deve in primo luogo effettuarsi attraverso una mobilitazione congiunta di forze di polizia e strutture giudiziarie che garantiscano una funzione repressiva che impedisca i fenomeni di occultamento dei reati all’interno del territorio dell’Unione. Sempre nella stessa sede si è sottolineato come si debba effettuare un contemperamento tra l’esigenza di un approccio efficace e globale nella lotta contro qualsiasi forma di criminalità e la necessaria ed imprescindibile tutela della libertà e dei diritti giuridici delle persone e degli operatori economici. 2.2 I presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali: modifiche della novella 2008 recepite nel codice delle leggi antimafia Le misure patrimoniali, prima del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito nella legge 24 luglio 2008, n. 125, presupponevano l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale che l’art. 3 della legge n. 1423/1956 subordina ad una prognosi di pericolosità sociale del soggetto proposto. La Corte Costituzionale ha precisato che si deve effettuare la valutazione della concreta manifestazione dell’attività mafiosa e che i presupposti di fatto sui quali fondare la prognosi di pericolosità, devono essere previsti dalla legge e, perciò, passibili di accertamento giudiziale. Quindi devono essere legislativamente descritti i comportamenti che costituiscono il presupposto del giudizio di pericolosità, nonché i reati di riferimento di tale giudizio. 34 L’art. 2 ter della legge n.575/1965, invece, nell’imporre l’applicazione di una misura di prevenzione ai soggetti indiziati di commettere determinati reati, non descrive in alcun modo i comportamenti che dovrebbero costituire i presupposti di fatto del fondamento del giudizio di pericolosità, ma si limita ad indicare l’oggetto della prognosi, cioè il reato che, in base ad un giudizio di probabilità, potrebbe essere commesso dal soggetto in questione. In altri termini la disposizione in esame specifica i reati in relazione ai quali valutare la pericolosità, ma non indica, però, i fatti concreti, i comportamenti dai quali dedurre la possibilità che il soggetto indiziato possa commettere tali reati, sui quali, insomma, fondare la prognosi richiesta. Ciò è conseguenza di una concezione che ritiene sufficiente la specificazione dei reati, dei quali si teme la consumazione, per delimitare in qualche modo il tipo di condotte che possono venire in questione in quanto rivelatrici del pericolo di commissione di quei reati. Si tratta, in ogni modo, di una tecnica alquanto indiretta e vaga di descrizione dei presupposti di fatto del giudizio di pericolosità, che rimette alla discrezionalità del giudice la scelta e la valutazione dei comportamenti in conseguenza dei quali applicare la misura preventiva: in sintesi, siamo in presenza di una tecnica di normazione, sulla quale si fonda l’intervento penale, scarsamente conforme al principio di legalità. In realtà le misure di prevenzione patrimoniali non sono fondate sulla ‘pericolosità’, intesa come pericolo della commissione di futuri reati, ma piuttosto sulla sussistenza di indizi circa l’attuale commissione di determinati reati48, in particolare per quanto concerne l’associazione a delinquere di stampo mafioso; un orientamento giurisprudenziale consolidato afferma che “la pericolosità, se non presunta iuris et de iure, è “necessariamente implicita” nel soggetto in un’associazione mafiosa, perciò è sufficiente fornire gli indizi relativi all’appartenenza per desumerne la pericolosità”49. Le modifiche al sistema delle misure di prevenzione introdotte nel nuovo millennio hanno acuito i contrasti con i canoni garantistici sanciti dalla Costituzione in tema di libertà personale. 48 49 Cass., 11 febbraio 1997, Giuliano, in Cass. pen. , 1997, 2579. Cass., 11 febbraio 1997, Giuliano, in Cass. pen. , 1997, 2579 35 La legge n. 125 del 2008 non si è sottratta al consueto intervento sul martoriato e disarmonico corpo delle leggi che prevedono misure di prevenzione nei confronti di persone pericolose per la sicurezza pubblica50. Il sistema preventivo dovrebbe mirare a finalità di dissuasione dal crimine con operazioni di carattere formativo ed educativo. Invece appare che esso appronti sempre più mezzi di intervento di natura latu sensu correttivo per cui la fisiologica funzione di deterrente lascia intravedere quella patologica di succedaneo strumento di repressione snaturando la stessa funzione di prevenzione. Nel testo novellato dall’art. 10 della legge n.125/2008 viene consentita l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 1 della legge 565/65, modificato dalla legge 646/82, anche ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’art. 51, comma 3 bis, del c.p.p.587. Si assiste, quindi, all’equiparazione del trattamento previsto per la mafia a reati che, in senso stretto, non sono mafiosi col rischio di declassare il valore simbolico di interventi specificamente calibrati sul più grave fenomeno piuttosto che elevare la soglia di attenzione verso delitti, certamente gravissimi, ma che non partecipano del dato di allarme costituito dal fine antistatuale, proprio delle organizzazioni para-mafiose. L’art. 11 ter della novella in esame ha abrogato l’art. 14 della legge n. 55 del 1990 che estendeva le disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575, concernenti le indagini e l’applicazione delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale, nonché quelle contenute negli articoli da 10 a 10-sexies della medesima legge, anche ai soggetti indicati nei numeri 1) e 2) del primo comma dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, quando l’attività delittuosa da cui si ritenesse derivare proventi era una di quelle previste dagli articoli 600, 601, 602, 629, 630, 644, 648-bis o 648-ter del codice penale. Con la novella del 2008 si rinuncia all’indagine sull’abitualità o meno delle persone proposte a vivere di proventi illeciti derivanti da specifici reati; infatti, si pone il richiamo al concetto di indiziato di reato quale fondamento ed esauriente 50 G. Mattencini, Modifiche in tema di prevenzione…cit., p. 127. 36 presupposto per l’irrogazione delle misure previste dalla legge anche ai soggetti, per così dire, equiparati ai mafiosi. Per la Cassazione, “ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione, il giudizio di pericolosità, basato sull’avvenuta emissione di provvedimento restrittivo della libertà personale per associazione a delinquere di stampo mafioso dell’imputato e del successivo rinvio a giudizio, è insito nell’indizio di appartenenza ad un’associazione mafiosa che si prefigge di realizzare e mantenere il controllo di attività economiche attraverso la intimidazione sistematica e tale da creare una situazione di assoggettamento e di omertà che rende difficile se non impossibile l’intervento punitivo della Stato”51, si è fin da subito avvertito che la nozione di indiziato rilevava solo ai fini processuali e non sostanziali sicché il soggetto non poteva, a tale stregua, essere definito né colpevole né pericoloso52. La novella legislativa, abrogando l’art. 14 della legge n. 55/1990, “ bypassa” il richiamo all’abituale consumazione del crimine o al vivere abitualmente con i proventi di un tal tipo di reati ed estende l’applicabilità di tutte le disposizioni della legge n. 575/1965 agli indiziati dei reati di cui all’art.51,3-bis c.p.p. La qualità di indiziato viene posta in relazione non già ad un comportamento astrattamente e sia pure genericamente indicato come pericoloso ma all’essere, il proposto, sospetto responsabile di uno degli indicati reati53. 2.3 Le indagini patrimoniali: natura giuridica, tipo e modalità Nel procedimento di prevenzione patrimoniale sono previsti accertamenti ed indagini da compiere in due fasi. Nella prima, quella più importante, su richiesta dei titolari della proposta, le indagini e gli accertamenti, a norma dell’art. 2 bis della legge n. 575/1965, sono dirette ad individuare la reale consistenza patrimoniale del proposto e la provenienza dei beni al fine di valutare l’opportunità di una richiesta di sequestro da sottoporre al tribunale competente. 51 Cass., sez. I, 29 aprile 1986, Gargano, in Cass. pen. 1987, 1815. Secondo l’efficace ammonimento di P. Nuvolone, Misure di prevenzione, cit., p. 645, il quale così spiega: “ritenere sufficiente tale posizione (quella di indagato) per applicare misure di prevenzione è un controsenso: cosa si vuol prevenire se non si sa con sicurezza se ci si trova davanti a persona appartenente a un’associazione mafiosa”? 53 G. Mattencini, Modifiche in tema di prevenzione, cit., p.132 52 37 Le ‘speciali indagini’, quindi, hanno carattere propedeutico rispetto alla proposta di applicazione di una misura di indole patrimoniale. Esse riguardano principalmente il tenore di vita del soggetto, le disponibilità finanziarie dello stesso, l’accertamento in ordine al suo patrimonio, e devono avere anche per finalità l’attività economica a lui facente capo nonché l’individuazione delle fonti di reddito. Viene accertato, inoltre, se il proposto sia titolare di licenze, di autorizzazioni, di concessioni o di abilitazioni all'esercizio di attività imprenditoriali e commerciali, comprese le iscrizioni ad albi professionali e pubblici registri, se beneficia di contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concesse o erogate da parte dello Stato, degli enti pubblici o delle Comunità europee. Le indagini si estendono anche nei confronti del coniuge, dei figli e di coloro che nell'ultimo quinquennio hanno con lui convissuto nonché nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, società, consorzi od associazioni, del cui patrimonio il medesimo soggetto risulta poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente. Il ventaglio delle indagini viene previsto in maniera così ampia da coprire tutte le possibili forme di mascheramento. Nella seconda fase, invece, poteri analoghi sono conferiti al tribunale, che, come espressamente previsto dall’art. 2 ter della legge n. 575/1965 “ove necessario, può procedere ad ulteriori indagini oltre quelle già compiute a norma” dell’art. 2 bis della stessa legge54. Le indagini sono compiute prevalentemente a mezzo di rilevamenti da effettuarsi presso enti pubblici, archivi notarili, conservatorie dei registri immobiliari, camere di commercio, cancellerie dei tribunali ed altri uffici giudiziari, società finanziarie, banche, ecc. In proposito è stato osservato55 che nei primi anni dopo l’introduzione della Legge Rognoni-La Torre, e cioè dal settembre 1982 fino all’inizio degli anni ’90, i patrimoni mafiosi erano costituiti principalmente da beni immobili (case e terreni), ovvero da attività imprenditoriali (per lo più nel settore agricolo o in quello edilizio), 54 P.V. Molinari – U. Papadia, Le misure di prevenzione nella legge fondamentale, cit. pp. 474 ss. G. Pignatone, Le infiltrazioni mafiose nell’economia - Le misure di prevenzione – La legge 125/2008 e i problemi applicativi, Palermo, 29-11-2008, su www.unipa.it/.../Pignatone%20%20misure%20di%20prevenzione.pdf -, p.20. 55 38 intestate direttamente agli appartenenti a Cosa Nostra o ai loro più stretti familiari, cosicché fu relativamente facile innanzitutto individuarli e poi adottare provvedimenti di sequestro e di confisca approfittando del fatto che i titolari di questi beni avevano di solito dichiarato al Fisco redditi scarsamente significativi o addirittura non avevano presentato dichiarazione dei redditi. Da allora, però, i componenti delle organizzazioni mafiose sono corsi ai ripari adottando nuovi accorgimenti tra cui: - diversificazione delle modalità di investimento delle ricchezze illecitamente accumulate riducendo in misura notevolissima l’acquisizione dei beni immobili e privilegiando altre forme di ricchezza più difficilmente individuabili; - continuo ricorso a prestanome estranei alla cerchia familiare, per i quali dunque non valgono le presunzioni dell’art. 2 bis e seguenti della legge n. 575/1965; - ricorso a complesse tecniche di occultazione dei movimenti denaro attraverso gli accorgimenti suggeriti da una fitta rete di esperti delle tecniche commerciali, tributarie, finanziarie e così via; - intensificazione degli investimenti all’estero56. Di fronte a questa nuova situazione le classiche indagini bancarie e patrimoniali si sono rivelate scarsamente utili, rendendo opportuno procedere con accertamenti ‘mirati’ rivedendo le stesse tecniche di indagini. In questo senso, le indagini economico-patrimoniali, per essere davvero utili, presuppongono una complessa attività investigativa, incentrata sull'individuazione di imprese a rischio per la presenza di azionisti o finanziatori inseriti in organizzazioni criminali ovvero di soggetti a questi legati da rapporti familiari, di clientela o di affari, e sulla ricerca di indici di pericolosità come, ad esempio, la costituzione di società di capitale a ristretta base azionaria e con capitale minimo, la partecipazione societaria di soggetti, molto giovani o molto anziani, privi dei mezzi finanziari che la giustifichino. Così, in base all’esperienza concreta acquisita negli uffici giudiziari operanti in territori ove è più rilevante la presenza di criminalità mafiosa è maturata, accanto alla consapevolezza del valore strategico dell’aggressione ai patrimoni mafiosi, 56 G. Pignatone, Le infiltrazioni mafiose nell’economia, cit., p. 21; R. Scarpinato, Le indagini patrimoniali, in Le misure di prevenzione patrimoniali dopo il “pacchetto sicurezza”, cit. pp.236-238. 39 anche la consapevolezza della necessità di utilizzare ai fini di questa aggressione tutte le risultanze delle indagini eseguite nell’ambito del procedimento penale. Invero, di fronte al livello di segretezza raggiunto dalle organizzazioni mafiose, e alle cautele da esse adottate a protezione dei patrimoni illecitamente acquisiti, la prova non può più essere raggiunta con semplici informative di polizia, come avveniva una volta, ma solo con i più sofisticati strumenti offerti dal processo penale: dichiarazioni di testimoni e di collaboratori di giustizia, intercettazioni telefoniche e ambientali, indagini bancarie, patrimoniali, presso gli uffici della Pubblica Amministrazione, ecc.57 Proprio con riferimento all’importanza delle intercettazioni telefoniche e ambientali si sono raggiunti risultati estremamente positivi sia sull’individuazione di molti prestanome degli esponenti mafiosi al di fuori della cerchia familiare, che quindi non avrebbero mai potuto essere individuati, sia all’accertamento di attività economiche apparentemente lecite facenti capo direttamente o indirettamente a persone appartenenti all’organizzazione mafiosa, soggette dunque a sequestro e confisca perché gestite con ‘metodi mafiosi’, cioè in modo tale da costituire ‘frutto di attività illecita’ o ‘reimpiego’ delle stesse (art.2 ter comma 2, legge n. 575/1965). 2.4 Il sequestro L’attuale legge n. 575/1965 prevede diverse tipologie di sequestro58:in primo luogo l’art. 2 bis commi 4 e 5 disciplina il ‘sequestro anticipato o precauzionale’, intendendo come tale quella misura reale adottata dal presidente del tribunale, prima della fissazione dell’udienza di prevenzione, su richiesta del procuratore della Repubblica, del questore o del direttore della D.I.A., qualora vi sia concreto pericolo che i beni siano dispersi, sottratti o alienati. Il presidente provvede, con decreto motivato, entro i cinque giorni successivi. Il sequestro perde efficacia se il tribunale non lo convalida entro trenta giorni dalla proposta. In ogni caso, esso viene revocato nell’ipotesi in cui non venga adottata la 57 G. Pignatone, Le infiltrazioni mafiose nell’economia... cit., p. 22. F. Gambini, Le misure di prevenzione patrimoniali, in Le misure di prevenzione, cit,. a cura di F. Fiorentin, Torino, 2006, pp. 298-300. 58 40 misura di prevenzione o risulti che il bene sia di legittima provenienza ovvero che l’indiziato non possa disporne né indirettamente né direttamente. Il successivo art. 2 ter, comma 2, prevede, invece, il c.d. ‘sequestro ordinario’ dei beni di cui il proposto “risulta disporre direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”. Possono costituire oggetto del sequestro e, poi, dell’eventuale confisca i beni immobili e mobili, i mobili registrati, i crediti, le quote di società, l’azienda, l’universalità di beni, i diritti reali e le azioni. Il sequestro viene meno se non risultino sussistenti i presupposti posti a base della sua adozione (art. 2 ter, comma 4); esso ha una durata limitata ad un anno dall’inizio della sua esecuzione ed è prorogabile per un periodo uguale. Il secondo periodo del comma 2 dell’art. 2 ter prevede il c.d. ‘sequestro urgente’ dei beni i cui presupposti applicativi sono i medesimi rispetto a quelli richiesti per il sequestro ordinario, a cui, però, si aggiunge l’ulteriore requisito della particolare urgenza59. Inoltre, in base alle disposizioni previste dal codice di procedura penale, il sequestro può essere: - Probatorio ( ex art. 253 o 354 c.p.p.); - Preventivo ( ex art. 321 c.p.p.); - Conservativo ( ex art. 316 c.p.p.); Si parla di sequestro probatorio quando si tende ad assicurare le fonti di prova, in particolare ha ad oggetto il corpo del reato e le cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti. Quindi, per la legittimità dello stesso, non necessita l’accertamento dei fatti, ma che sia ragionevolmente presumibile o probabile attraverso elementi logici. Il sequestro preventivo è quella misura con la quale si tende ad interrompere l’iter criminoso o ad impedire la commissione di nuovi reati. Suoi presupposti sono il fumus commissi delicti (l’astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato) ed il periculum in mora ossia la probabilità di un danno futuro in conseguenza dell’effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa che può 59 F. Gambini, Le misure di prevenzione patrimoniali, cit., p. 301. 41 derivare non solo dalla potenzialità della res, ma anche dalla semplice possibilità di contribuire al perfezionamento del reato. Il sequestro conservativo, infine, è preordinato ad evitare che vengano a mancare o si disperdano le garanzie reali per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di giustizia, delle obbligazioni civili nascenti dal reato. I beni, inoltre, non possono essere confiscati quando trasferiti legittimamente, prima dell'esecuzione del sequestro, a terzi in buona fede. “La norma non fa espresso divieto di compiere atti di disposizione ma, nel connotare quelle attività con espressioni lessicali a contenuto negativo e con il metterle in relazione ad un fine fraudolento, mostra di considerarle azioni vietate, ancorché al loro compimento da parte del soggetto interessato non consegua una sanzione ma un provvedimento afflittivo sostitutivo”60. 2.5 La confisca: tipi, regime, oggetto e problematiche Nel nostro paese, la tradizionale confisca del profitto illecito, regolata come misura di sicurezza dall’art. 240 c.p.61, si è trasfigurata nella ben più incisiva confisca-misura di prevenzione62 : “un vero tipo emergenziale”63. In una recente sentenza, le Sezioni Unite64 affermano, dapprima, che la confisca antimafia (art. 2 ter legge n. 575/1965) costituisce una forma di “espropriazione per pubblico interesse, identificato, quest’ultimo, nella generale finalità di prevenzione penale”, poiché “non si tratta di un provvedimento di prevenzione in senso stretto, ma piuttosto di sanzione amministrativa di carattere ablatorio, equiparabile alla misura di sicurezza prescritta dal secondo comma dell’art. 240 c.p.”65; infine, in un successivo passaggio si sottolinea “la natura di 60 G. Mattencini, Modifiche in tema di prevenzione…cit., p. 147. Articolo 240: Confisca. Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto. 62 Si fa riferimento non solo, agli artt. 2 bis e 2 ter della l. n. 575 del 1965 e ss. modd. e, quindi, all’art. 3 quater e 3 quinquies della medesima legge - istituti, dunque, del sottosistema patrimoniale della prevenzione in senso stretto - ma, anche, al nuovo strumento penalistico disciplinato dall’art. 12 sexies della legge n. 356 del 1992. 63 A. Mangione, in Politica del diritto e retorica dell’antimafia: riflessioni su recenti progetti di riforma delle misure di prevenzione patrimoniali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, p. 1199, parla di “… una solipsistica unilateralità della confisca antimafia e cioè a dire della sua preponderante voracità, frutto, a ben vedere, di una logica politico-criminale tesa a massimizzare il risultato anche a costo di entrare in conflitto con le altre branche dell’ordinamento giuridico”. 64 Cass., Sez. Un., 8 gennaio 2007 ( 19 dicembre 2006), n. 57, Auddino. 65 Posizione sostenuta dalla Suprema Corte nella sentenza Scuderi. 61 42 sanzione patrimoniale, riconosciuta alla nostra confisca, risposta ad una acquisizione illecita di beni, situazione per sua natura in suscettiva di evoluzione”66. Nel corso di questi anni, comunque, l’istituto della confisca ha subito profonde trasformazioni. In primis, sono state introdotte ipotesi di ‘confisca obbligatoria’ che conseguono automaticamente alla commissione dei delitti di criminalità organizzata, per cui nessuna facoltà discrezionale è concessa al giudice a dimostrazione che detta misura è oggi sganciata dal presupposto della pericolosità sociale del soggetto condannato. Inoltre, è stata ampliata la gamma dei beni che può essere sottoposta a confisca: originariamente poteva essere confiscato l’oggetto del reato e gli strumenti con cui esso era stato utilizzato; successivamente è stata prevista la possibilità di confiscare tutti i beni che costituiscono il prezzo, il prodotto, il profitto ed il reimpiego del denaro provento di delitto. In tutti questi casi i beni ed il denaro sequestrato sono comunque legati da nesso causale con il c.d. ‘reato fonte’. Successivamente lo strumento della confisca è stato esteso alla c.d. ‘confisca per equivalente’ in cui il giudice può confiscare nel patrimonio del condannato una somma di denaro equivalente al danno cagionato attribuendo all’istituto una funzione risarcitoria sia nei confronti della Stato sia nei confronti delle parti lese (esempio tipico è costituito dalla legislazione in materia di usura). Nella applicazione della confisca sono state introdotte delle esemplificazioni probatorie in modo tale da attribuire all’accusa l’onere di dimostrare la commissione di un reato, l’appartenenza di un bene al condannato e la sproporzione del bene rispetto alle attività lecite. In tal caso spetterà alla difesa l’onere di dimostrare la legittima provenienza del bene ed in mancanza di tale dimostrazione scatterà il meccanismo della confisca obbligatoria Da ultimo la confisca è stata resa obbligatoria nei confronti di tutti i beni presenti nel patrimonio del soggetto, o comunque a lui direttamente o indirettamente riconducibili, che risultano sproporzionati al reddito dichiarato o lecitamente acquisito. In questi casi non è più necessario un nesso causale tra il reato ed il bene, ma la confisca assume una funzione di ‘pena accessoria’ nei confronti di soggetti 66 Cass., Sez. II, 28 marzo 1996, n. 1438, Olivieri, richiamata nella sent. n. 57/2007, Auddino, cit. 43 condannati che si presume svolgano professionalmente un’attività delinquenziale di criminalità organizzata e che, conseguentemente, si sono arricchiti con le attività delittuose commesse67. La maggior parte dei commentatori ritiene la confisca antimafia una misura di prevenzione a carattere patrimoniale e sottolinea che essa, applicata insieme alla misura personale, “ ha la sola funzione di spezzare il legame tra il soggetto ed il suo patrimonio che, essendo stato acquisito in modo illecito, costituisce una manifestazione ulteriore di pericolosità” 68. 2.5.1 La confisca ex art. 2 ter ed ex art 3 quinquies l. 575/65 La legge n. 575/1965, come novellata nel 2008, prevede diversi tipi di confisca, disciplinati dall’art. 2-ter (contestuale, successiva, differita e per equivalente) e dall’art. 3-quinquies (ipotesi relativa all’applicazione della misura della sospensione temporanea dei beni). Si ha confisca c.d. ‘contestuale’ quando questa viene applicata contestualmente all’applicazione della misura di prevenzione personale prevista dal comma 3 dell’art. 2-ter della legge citata ed ha ad oggetto i beni sequestrati “dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza”. Di norma, quindi, la confisca è contestuale all’applicazione della misura di prevenzione personale, anche se non segue automaticamente alla stessa, in quanto è necessaria anche la mancata dimostrazione da parte dell’interessato della legittima provenienza dei beni sequestrati. La confisca ‘successiva’ all’applicazione della misura di prevenzione personale è prevista sempre dal comma 3 dell’art. 2-ter: nel caso di indagini complesse, infatti, il provvedimento può essere emanato anche successivamente all’applicazione della misura di prevenzione personale, entro un anno dalla data dell’avvenuto sequestro; tale termine può essere prorogato di un anno con provvedimento motivato del tribunale. 67 A. Laudati, La tutela penale nei confronti della ricchezza mafiosa, in Le misure di prevenzione patrimoniali dopo il “pacchetto di sicurezza”, cit. pp. 227-228. 68 C. e V. Macrì, La legge antimafia, Napoli, 1983, p.115. 44 Il problema principale relativo ai limiti temporali entro cui il provvedimento di confisca va adottato è stato risolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza Madonia) che hanno statuito che la procedura finalizzata al sequestro ed alla confisca antimafia “può essere legittimamente iniziata anche successivamente all’applicazione di una misura di prevenzione personale, purché in costanza della sua esecuzione, restando in tali ipotesi indifferente il momento in cui la procedura si conclude, ben potendo il provvedimento ablatorio intervenire dopo la cessazione della misura personale, purché nel rispetto del termine perentorio di cui all’art. 2ter”69. Le conclusioni delle Sezioni Unite nella suddetta sentenza, però, non sono state accolte dalla dottrina che, anzi ne hanno criticato la portata in quanto, accogliendola, si rischierebbe di consentire la confisca dei beni nei confronti di un soggetto che deve presumersi non più socialmente pericoloso, essendo cessata la misura personale di prevenzione disposta nei suoi confronti con conseguente possibile violazione dell’art. 42 della Costituzione, posto che nessun motivo di interesse generale giustificherebbe tale ‘espropriazione’70. Il legislatore ha previsto esplicitamente al successivo comma 6 dell’art. 2-ter la c.d. confisca ‘differita’ stabilendo che i provvedimenti possono essere adottati, quando ne ricorrano le condizioni, anche dopo l’applicazione della misura di prevenzione, ma prima della sua cessazione. In proposito, la Corte costituzionale, ha escluso ancora una volta una nuova deroga al necessario collegamento tra misure personali e misure patrimoniali nel senso che le prime sono il presupposto per l’applicazione delle seconde: ha dichiarato manifestamente inammissibile, per la necessità di rispettare la discrezionalità di cui gode in materia il legislatore, la questione di legittimità costituzionale dei commi 3, 4 e 6 dell’art. 2-ter sollevata in riferimento agli artt. 3, 41, comma 2 , e 42, comma 2 Cost., nella parte in cui non consentono di disporre la confisca dei beni, dei quali si accerti l’illecita provenienza, in caso di rigetto della proposta di applicazione della misura di prevenzione personale per cessazione della 69 Cass. Sez. Un., 7 febbraio 2001, Madonia, in Cass. Pen., 2001, p. 2047, confermata da ultimo da Cass. Sez. VI, 16 maggio 2005, n. 22477, in Ced. 70 L. Filippi, Il procedimento di prevenzione patrimoniale, Padova, 2002, p. 459. 45 pericolosità sociale del proposto successiva all’acquisizione illecita dei beni ed antecedente alla decisione. Infine la novella del 2008 ha introdotto nel sistema delle misure di prevenzione patrimoniali la possibilità di procedere alla confisca per equivalente: si richiede una sorta di dolo specifico e cioè che i comportamenti del proposto volti a distruggere, occultare o svalutare i beni siano realizzati allo specifico fine di sottrarre i beni al sequestro e alla confisca; se il bene ha perso valore per mancanza di lavori di manutenzione a causa di mera incuria, colpevole o incolpevole, ma non finalizzata a frustrare la confisca, non dovrebbe essere possibile applicare questa forma di confisca71. La confisca del valore equivalente, quale strumento che consente di superare le manovre fraudolente del proprietario volte a sottrarre specifici beni alla confisca, può assumere significato solo laddove si accoglie l’orientamento più garantista in base al quale la confisca ex art. 2 ter può colpire solo singoli beni rispetto ai quali sia stato accertato dall’accusa il carattere sproporzionato o l’origine illecita. 2.6 Sospensione temporanea dall’amministrazione dei beni La sottrazione di beni di provenienza illecita risponde ad una plurima esigenza di tipo sanzionatorio, repressivo e preventivo, in quanto tutta l’operazione è finalizzata ad evitare l’ulteriore utilizzazione, ad opera della persona socialmente pericolosa, di ricchezze illecite volte ad accrescere la capacità delinquenziale. Gli artt. 3-quater e 3-quinquies della legge n. 575/1965 consentono, il primo, la temporanea sospensione dall’amministrazione dei beni utilizzabili per lo svolgimento di attività economiche quando si abbia motivo di ritenere che tale svolgimento possa anche solo agevolare l’attività delle persone nei cui confronti è stata applicata o soltanto proposta una misura di prevenzione personale ovvero delle persone semplicemente proposte a procedimento penale per taluno dei delitti previsti dagli artt. 416-bis, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter del codice penale, e non ricorrano i presupposti di applicabilità delle misure di prevenzione di carattere 71 A. M. MAUGERI, La riforma delle sanzioni patrimoniali: verso un’ actio in rem?, cit., pp.33-36. 46 personale; il successivo, art. 3-quinquies prevede, che quegli stessi beni possano essere confiscati sempre che si abbia motivo di ritenere che siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego72. La misura della sospensione temporanea dall’amministrazione dei beni è stata introdotta dal legislatore nel corpo della legge n. 575 del 1965 ad opera dell’art. 24 del D.l. n. 306 del 1992, dopo che ben scarsa applicazione aveva avuto la misura della sospensione provvisoria dall’amministrazione dei beni disciplinata dagli artt. 22, 23 e 24, della legge. n. 152/1975, peraltro tuttora in vigore. Quest’ultima misura, applicabile soggettivamente sempre a persone pericolose per la sicurezza pubblica, ha come ambito oggettivo di applicazione quello dei soli beni personali, essendo esclusi quelli destinati all’attività professionale o produttiva. Proprio al fine di superare la limitatezza della sospensione provvisoria, il legislatore ha ritenuto di introdurre la misura della sospensione temporanea dall’amministrazione dei beni, modificando altresì l’ambito oggettivo e soggettivo dell’istituto, allo scopo evidente di rendere più efficace uno strumento ritenuto indispensabile ai fini della lotta alla criminalità mafiosa. I destinatari della misura della sospensione non sono solo coloro che risultano essere indiziati di appartenere all’associazione mafiosa, ma anche soggetti sospettati di svolgere un’attività economica, comprese quelle imprenditoriali, il cui esercizio sia sottoposto a condizioni di intimidazione o di assoggettamento da parte dell’associazione mafiosa stessa, o che possa, comunque agevolare l’attività delle persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una misura di prevenzione personale. D’altra parte, poiché l’attenzione del legislatore si è rivolta a colpire i patrimoni e le attività economiche di cui i soggetti mafiosi possono in qualche modo avvalersi o comunque utilizzare per porre in essere la loro criminale attività, e mancando un preciso riferimento in ordine alla titolarità di detti beni, la misura della sospensione temporanea può essere applicata “ non solo a coloro che comunque siano in qualche modo legati alla criminalità, ma anche alle vittime dei reati mafiosi 72 A. Gialanella, I patrimoni di mafia, cit., pp. 174-175. 47 (in particolare, per esempio, ai soggetti passivi delle ipotesi di estorsione) sia pure al fine di impedire la commissione o la reiterazione di tali delitti”73. Con l’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione della misura, il legislatore pare aver attuato un arretramento della soglia minima per dare avvio alle indagini ed aver, altresì, abbassato la soglia di punibilità prevedendo l’applicazione della sospensione a soggetti che non sono neppure indiziati di appartenere all’organizzazione mafiosa. Coglie, quindi, nel segno quella dottrina che ha visto in tale misura il “punto di equilibrio più avanzato e assai vicino ad un momento di rottura”74 del sistema della prevenzione in riferimento ai meccanismi di aggressione dell’economia illecita, fondato sulla necessità di colpire beni e patrimoni che risultino comunque legati ad attività di tipo criminale, indipendentemente dalla posizione del titolare degli stessi. La Corte costituzionale con la sentenza n. 487/199575 rintracciava il fondamento giustificativo di tale misura di prevenzione patrimoniale nella sostanziale colpevolezza del titolare dell’attività economica, desumibile dall’obiettiva commistione di interessi tra attività impresa ed attività mafiosa. Infatti sanciva che “deve escludersi che tali persone si trovino in una situazione di sostanziale incolpevolezza, essendo invece consapevoli - data l’obiettiva commistione di interessi tra attività di impresa ed attività mafiosa denunciata dagli elementi che fanno ritenere che quei beni siano frutto di attività illecita o ne costituiscano il reimpiego - delle conseguenze che possono derivare dalla scelta di svolgere un’attività che presenta connotazioni agevolative degli interessi mafiosi, sicché gli effetti del provvedimento ablatorio si riflettono sui beni di un soggetto certamente non estraneo nel quadro della complessiva gestione del patrimonio mafioso”. 73 F. Gambini, Le misure di prevenzione patrimoniali, cit., p. 276; in tal senso anche P.V. Molinari – U Papadia, Le misure di prevenzione nella legge fondamentale,...cit. p. 658 74 A. Gialanella, I patrimoni di mafia, cit., p.177 75 Corte cost. 20 novembre 1995, n. 487, in Cass. pen., 1996, p. 1063 48 2.7 La sproporzione tra redditi dichiarati ed attività economica e valore dei beni sequestrati Il momento fondamentale della strategia di contrasto alla criminalità organizzata è rappresentato dall’aggressione ai patrimoni di origine illecita. Il legislatore, a tal proposito, ha delineato due strumenti essenziali, operanti uno nell’ambito del procedimento penale e l’altro in quello di prevenzione, quali la confisca dei beni nei confronti76: - dei condannati per determinati reati tra cui quello di associazione di tipo mafioso ex art. 12 sexies della legge 356/92; - degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso ex art. 2 bis della legge 575/65. Il problema della prova della provenienza illecita dei beni è stato risolto dal nostro legislatore con l’art. 2 ter della legge base 575/65 in base al quale il Tribunale ordina il sequestro dei beni “quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”. La differenza del valore tra i beni sequestrati e quelli confiscati è essenzialmente riconducibile al meccanismo introdotto dalla legge 575/65 su cui si fonda la pretesa ablatoria. In sintesi, la norma prevede che sia proposto il sequestro e che tale provvedimento sia disposto dall’autorità giudiziaria in presenza di una sproporzione tra i beni posseduti dall’indiziato di mafia ed i redditi dichiarati o di indizi di illecita provenienza; la confisca, invece, è disposta solo per quei beni di cui l’indiziato non ha potuto dimostrare la legittima provenienza. 76 P. Lanzillotti, Chiudere il cerchio. Il fenomeno mafioso, la sua vocazione economica ed il contrasto normativo con particolare riferimento all’aspetto finanziario, Rubbettino Editore, 2004. 49 2.7.1 L’onere della prova dell’origine illecita Sul dibattito circa la sufficienza o meno del solo requisito della sproporzione di valore o sulla necessità della concorrente dell’illecita provenienza dei beni77, la legge del 2008 ha definitivamente chiarito la piena efficacia dei due requisiti78. In realtà una lettura più attenta della legge comporta che l’autonomia del requisito della sproporzione del valore patrimoniale rispetto a quello della provenienza illecita dei beni, attenga al diverso itinerario probatorio imposto all’accusa. Mentre nel primo caso opera una presunzione relativa di illecita provenienza dell’incremento patrimoniale, in maniera analoga al significato del requisito nell’ambito della confisca “allargata”, nel secondo la ricerca di sufficienti indizi al fine del sequestro svolge una funzione distinta e, a volte, vicaria in caso di mancata sproporzione di valore patrimoniale. Per la ricostruzione della provenienza illecita dei beni è necessario che sussistano “sufficienti indizi”, che si distinguono da quelli necessari79, tant’è che il riscontro della provenienza illecita dei beni non è in grado di fondare il giudizio di pericolosità personale80. 77 S.Gialanella, Un problematico punto di vista sui presupposti applicativi del sequestro e della confisca di prevenzione dopo le ultime riforme legislative e alla luce della recente giurisprudenza di legittimità, in FIANDACA-VISCONTI (a cura di), Scenari di mafia, Torino, 2012 78 Il primo inciso del 3° comma dell’art. 2 ter, nei termini modificati dai recenti interventi normativi (ad opera dell’art. 10, 1°co., lettera d, n.2 del d.l.23.5.2008, n. 92, come coordinato con la legge di conversione del 24.7.2008, n. 125), esplicitamente prevede che con l’applicazione della misura di prevenzione, il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati, dei quali il soggetto non possa giustificare la legittima provenienza e di cui abbia la titolarità o la disponibilità “in valore sproporzionato al proprio reddito , dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”. 79 Secondo l’orientamento costante della giurisprudenza (Cass., sez. II, 23.6.2004, Palumbo ed altri, in Mass. uff. n. 229724; cass., sez V, 28.3.2002, Ferrara ed altri, in Mass. uff. 221681) 80 Peraltro gli indizi e le presunzioni relativi alla provenienza illecita, come indicato dalla giurisprudenza (in particolare, da Cass., sez I, 18.5.1992, Vincenti d altro, CP, 1993, 2377) devono essere concreti, validi ed ancorati a concrete circostanze che non siano contrastate da elementi contrari ed inerenti a ciascun bene. 50 CAPITOLO TERZO: La tutela dei diritti dei terzi nella legislazione antimafia Sommario: 3.1 La disciplina vigente prima del codice antimafia. – 3.2. I diritti dei terzi e categorie di terzi. - 3.2.1 Il criterio selettivo della buona fede. - 3.2.2 I titolari di diritti reali di garanzia. – 3.3 I terzi proprietari e altre categorie di terzi: nuove norme introdotte dal d.lg 6.9.2011 n.159. – 3.4 La confisca e la tutela dei terzi. - 3.5 La destinazione dei beni confiscati e la tutela dei terzi. – 3.5.1 Alcuni casi concreti. – 3.6 Ultimi interventi e prospettive di riforma: conclusioni. Nel corso del terzo capitolo di questa tesi, prenderemo in esame la tutela dei terzi soffermandoci anche sulla destinazione e il riuso dei beni confiscati, procedimento piuttosto complesso con il quale si cerca di restituire ai cittadini quei beni che illegittimamente sono stati sottratti o con il quale, i beni confiscati, vengono trasformati in attività gestite da giovani e da associazioni che si ripropongono per finalità sociali o di pubblico interesse. 3.1 La disciplina vigente prima del codice antimafia La tutela dei terzi è senz’altro una fra le questioni più delicate nella materia della prevenzione, quindi il rapporto che l’Amministrazione deve mantenere con i terzi che vantino diritti nei confronti del proposto, in relazione ai beni sottoposti a sequestro81. Essa trae origine dal presupposto che i beni oggetto delle misure patrimoniali possono essere di proprietà anche di soggetti diversi dai destinatari delle stesse. Risale al 1998 l’istituzione della “Commissione per la ricognizione e il riordino della normativa di contrasto della criminalità organizzata”, presieduta da Giovanni Fiandaca, il cui progetto di riforma conclusivo prevedeva anche una dettagliata regolamentazione degli effetti del sequestro e della confisca nei riguardi dei terzi. Quest’ultimo, nel 2007 è stato richiamato nello schema di disegno di legge delega al Governo «per l’emanazione di un testo unico delle disposizioni in materia 81 P. Molinari-U. Papadia, Le misure di prevenzione nella legge fondamentale e nelle leggi antimafia, Milano, 1994, 433 ss. 51 di misure di prevenzione», laddove si sollecitava l’introduzione di un iter procedimentale che consentisse di dare spazio a tutte le istanze provenienti dai soggetti a qualunque titolo interessati dalle singole misure di prevenzione, contemperando tale esigenza con quella, altrettanto evidente, di rendere agile e celere la procedura medesima. Segnali davvero concreti del risveglio legislativo per la posizione dei terzi sono stati il d.l. 23/05/2008, n. 92 (c.d. pacchetto sicurezza per contrastare fenomeni di illegalità diffusa collegati alla criminalità organizzata), che ha aggiunto al citato art. 2 ter, fra gli altri, il 10°, 13° e 14° co., e il d.l. 4/02/2010, n. 4, che ha modificato l’originario 5° co. del medesimo articolo82. Esso ha stabilito una nuova disciplina della materia dell’amministrazione e della destinazione dei beni sequestrati, con l’intento di soddisfare la prioritaria esigenza di rendere rapido ed effettivo l’utilizzo dei patrimoni illeciti, in vista della realizzazione di finalità istituzionali e sociali. Peraltro, si è inteso anche perfezionare la tutela dei terzi titolari di diritti reali nell’ambito del procedimento di prevenzione, con l’aggiunta, alla fine dell’art. 2 ter, 5° co., dei seguenti periodi: «Per i beni immobili sequestrati in quota indivisa, o gravati da diritti reali di godimento o di garanzia, i titolari dei diritti stessi possono intervenire nel procedimento con le medesime modalità al fine dell’accertamento di tali diritti, nonché della loro buona fede e dell’inconsapevole affidamento nella loro acquisizione. Con la decisione di confisca il tribunale può, con il consenso dell’amministrazione interessata, determinare la somma spettante per la liberazione degli immobili dai gravami ai soggetti per i quali siano state accertate le predette condizioni. Si applicano le disposizioni per gli indennizzi relative alle espropriazioni per pubblica utilità. Le disposizioni di cui al terzo e quarto periodo trovano applicazione nei limiti delle risorse disponibili per tale finalità a legislazione vigente». Il riconoscimento della tutela a favore dei soggetti indicati veniva subordinato all’accertamento, da compiersi davanti al giudice della prevenzione, dell’esistenza 82 Balsamo-Contraffatto-Nicastro, Le misure patrimoniali contro la criminalità organizzata, Milano, 2010. 52 dei diritti da essi affermati, della loro buona fede e dell’inconsapevole affidamento da essi riposto nella loro acquisizione. 3.2 I diritti dei terzi e categorie di terzi. In materia di prevenzione, si è propensi a fornire tutela a quanti in buona fede abbiano contratto rapporti giuridici con il mafioso confidando, per il soddisfacimento dei diritti maturati, nel suo patrimonio, e quindi anche nei beni sottoposti a sequestro. Ovviamente per terzi debbono intendersi coloro che non sono parti del rapporto giuridico generato dalla pretesa dell’Erario, e dal conseguente sequestro di prevenzione. Si fa riferimento alla c.d. opponibilità, intesa come la possibile incidenza degli effetti di quella pretesa nella sfera giuridica dei terzi83, con la precisazione che spesse volte un atto ed il rapporto che ne scaturisce, normalmente inopponibili ai terzi, per l’ordinamento divengono opponibili ai terzi c.d. in mala fede (si pensi a coloro che contrattano con l’illegittimo possessore conoscendo l’illegittimità del possesso). Tra le varie categorie di terzi la dottrina distingue i terzi in senso assoluto, cioè i titolari di diritti autonomi ed incompatibili con la pretesa dello Stato alla confisca dei beni (i terzi proprietari del bene che si ritengano sostanzialmente nella disponibilità del proposto, nonché con i titolari di un diritto reale di godimento sul bene), dai terzi in senso relativo, cioè da coloro che siano titolari di diritti comunque connessi con la posizione giuridica e con i diritti del soggetto proposto per la misura, distinti costoro poi tra i creditori dell’indiziato di mafia ed i suoi aventi causa, cioè i titolari di diritti dipendenti da quello dell’indiziato di mafia84 (gli aventi causa e i creditori del proposto per un titolo anteriore al provvedimento di prevenzione). Riguardo ai primi (terzi in senso assoluto), ai sensi dell’art 2-ter l. n. 575/1965, coloro ai quali risultino appartenere i beni in sequestro debbono essere 83 F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, 1978, p. 260 ss. Facendo riferimento al negozio giuridico, la dottrina civilistica, G. Mirabelli, Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile, Torino, 1980, distingue i terzi estranei al negozio, ma partecipi dell’interesse, la cui posizione è subordinata a quella della parte, dai terzi interessati la cui posizione giuridica è indipendente e incompatibile con gli effetti del negozio, dai terzi normalmente indifferenti, ma che possono essere legittimati a reagire, quando risentano un particolare pregiudizio dagli effetti del negozio. 84 53 citati , in modo tale che il giudizio, sulla effettiva disponibilità dei beni in capo al proposto si svolga nel loro contraddittorio. 3.2.1 Il criterio selettivo della buona fede Esigenze di effettività della prevenzione patrimoniale hanno indotto dottrina e giurisprudenza a rimarcare il rischio che il mafioso, accendendo in epoca non sospetta pegni o ipoteche sui beni frutto o reimpiego di attività illecite, possa sfuggire alla confisca e possa procurarsi, anzi, attraverso i prestiti bancari, danaro fresco di provenienza lecita, da occultare o reimpiegare in modi ineccepibili. Per far fronte alle ragioni di effettività della sicurezza sociale, si sottolinea, quindi, come il criterio ispiratore della tutela dei terzi debba essere quello della buona fede, nel senso che, mentre i terzi di buona fede possono avvantaggiarsi dei diritti scaturiti dai rapporti giuridici intrattenuti con il mafioso, quelli compartecipi, o semplicemente consapevoli dell’illiceità dell’altrui condotta, possono persino condividere con il mafioso la responsabilità, penale o civile, che scaturisce dall’attività illecita. Lo stato soggettivo di buona fede individua quindi la ragione di tutela del diritto del terzo (c.d. principio dell’affidamento) e, insieme, costituisce il limite entro cui può essere assicurata tutela al terzo. La buona fede va intesa con riferimento al principio che nelle obbligazioni opera talvolta come obbligo etico di comportamento onesto, e che costituisce fonte d’integrazione negoziale e criterio di valutazione dell’agire sotto il profilo di un obbligo da osservare. Allora si fa riferimento al rapporto di funzionalizzazione tra il credito e l’attività criminosa (buona fede oggettiva); ovvero con riferimento alla situazione psicologica di ignoranza della lesione dell’altrui diritto, importante per valutare una situazione preesistente alla quale, nel sistema del codice civile, sono connessi importanti effetti in tema di possesso, di acquisto a non domino, di usucapione abbreviata, e così via. Allora si fa riferimento alla mancata conoscenza della qualità di soggetto indiziato mafioso dell’interlocutore contrattuale (buona fede soggettiva). 54 A ben vedere, il riferimento ad un’accezione tutta soggettiva del criterio della buona fede riduce significativamente l’ambito dei soggetti tutelabili, escludendo in particolare coloro che, pure estranei all’attività illecita, sono a conoscenza della stessa (si pensi, ad es., ai lavoratori dipendenti dell’imprenditore mafioso). Si coglie così appieno il senso del recente importante intervento delle Sezioni Unite penali della Cassazione, che, dopo aver osservato che “il concetto di estraneità è stato variamente inteso nella giurisprudenza di legittimità, essendo stato interpretato, talora, nel senso della mancanza di qualsiasi collegamento, diretto o indiretto, con la consumazione del fatto-reato, ossia nell’assenza di ogni contributo di partecipazione o di concorso, ancorché non punibile e, altre volte, nel senso che non può considerarsi estraneo al reato il soggetto che da esso abbia ricavato vantaggi e utilità”, ha condiviso quest’ultima posizione ed ha assunto che non può tutelarsi il diritto del terzo allorquando costui abbia tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa; ed anzi ha ritenuto che, in una simile evenienza, deve riconoscersi la sussistenza di un collegamento tra la posizione del terzo e la commissione del fattoreato. In tal modo, la Corte ha opinato “a favore della tesi secondo cui non può reputarsi estranea al reato la persona che abbia ricavato un utile dalla condotta illecita del reo, come si verifica, appunto, qualora sulle cose che rappresentano il provento del reato sia stato costituito il diritto di pegno a garanzia di un proprio credito”. Il che vale a dire che i terzi hanno “l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che essi sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di ‘appartenenza’ e di ‘estraneità al reato’, dalle quali dipende l’operatività della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato”; come pure hanno l’onere di provare la mancanza di collegamento del proprio diritto con l’altrui condotta delittuosa, ovvero l’affidamento incolpevole, nel caso in cui tale collegamento sussista. 55 3.2.2 I titolari di diritti reali di garanzia Tra i terzi che debbono essere citati in giudizio ci sono i titolari di diritti reali di garanzia sui beni sottoposti a sequestro. Il sequestro di beni gravati da pegno o da ipoteca è del tutto legittimo, poiché il vincolo, diretto a rendere indisponibile la res, è imposto per esigenze di giustizia, quali sono quelle relative alla tutela della collettività che, sebbene pregiudizievoli per il soggetto titolare del diritto, vanno necessariamente soddisfatte. Allora la maggior parte degli immobili confiscati in via definitiva risulta gravata da ipoteche costituite prima del sequestro di prevenzione ex art 2 ter l. 575/1965. I terzi che vantano diritti reali hanno l’onere di provare sia la titolarità della cosa, il cui titolo deve essere costituito da un atto di data anteriore alla confisca, sia la mancanza di collegamento del proprio diritto con l’altrui condotta delittuosa. In base ad un orientamento giurisprudenziale la tutela dei terzi di buona fede deve avvenire innanzi al tribunale della prevenzione con le forme dell’incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 665 e ss. c.p.p.85 Il terzo, titolare dei beni sequestrati, che non sia stato chiamato a partecipare a procedimento può proporre incidente di esecuzione. Nei confronti dei terzi di cui non risultava l’appartenenza dei beni la confisca è irrevocabile e prevale su eventuali acquisti in buona fede o sulla titolarità di diritti reali di garanzia. 85 S. Mazzarese – A. Aiello, op. cit. , 471. 56 3.3 I terzi proprietari e altre categorie di terzi: nuove norme introdotte dal d.lg 6.9.2011 n.159 La disciplina stabilita dal codice antimafia si ispira ai principi della legge delega e agli orientamenti giurisprudenziali prima affermati e poi consolidatisi negli ultimi anni. Ai soggetti terzi che risultino proprietari o comproprietari dei beni oggetto delle misure patrimoniali, sono specificamente dedicate le norme di cui agli artt. 2326. In vista di una maggiore efficacia dell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, il legislatore italiano ha da sempre previsto l’applicazione delle misure del sequestro e della confisca indipendentemente dalla titolarità formale piena od esclusiva della res, e quindi anche nei riguardi dei beni che si trovano nella disponibilità solo indiretta dell’indiziato mafioso – «di cui questi risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo», secondo la più recente formulazione del codice antimafia. È proprio tale ampiezza di operatività della prevenzione patrimoniale che implica di regolare il coinvolgimento dei diritti di terzi soggetti, titolari dei beni colpiti dalle misure o di posizioni giuridiche attive in stretta relazione con gli stessi. L’art. 23 del decreto in esame, prevede, per i terzi proprietari e comproprietari dei beni sequestrati, nonché per i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni medesimi, un sollecito intervento nella procedura di applicazione della misura, mediante partecipazione ad apposita udienza camerale. In quella sede essi potranno spiegare le proprie ragioni e, con l’eventuale assistenza di un difensore essi potranno esercitare il diritto di difesa. I terzi proprietari conseguiranno la restituzione del bene già oggetto di sequestro qualora il Tribunale non abbia accertato i presupposti per disporne la confisca, come disciplinata dall’art. 24. Invece, ai titolari di diritti reali o personali di godimento, al di fuori delle ipotesi di intestazione fittizia contemplate dall’art. 26, spetterà la liquidazione dei diritti medesimi secondo le norme dettate dagli artt. 60 e 61. 57 Diversa problematica afferisce agli altri terzi, distinti dai formali intestatari dei beni sequestrati, che affermino la titolarità di pretese di natura obbligatoria nei riguardi dell’indiziato mafioso, oppure di posizioni giuridiche connesse con i beni oggetto delle misure patrimoniali. È il caso, ad esempio, del diritto reale di garanzia costituito sulla res oggetto di sequestro prima e di confisca poi. Secondo la giurisprudenza recente, la tutela di questa categoria di terzi, a fronte dell’azione esfoliativa intrapresa dallo Stato si è articolata intorno ad alcuni elementi, quali: la natura derivativa dell’acquisto conseguente al provvedimento di confisca; la opponibilità dei diritti vantati in virtù del principio della priorità della trascrizione dei relativi titoli; la condizione di buona fede, da intendersi come non conoscenza, o non conoscibilità alla stregua della diligenza imposta dal caso concreto, del collegamento fra il proprio diritto e l’altrui condotta delittuosa. 3.4 La confisca e la tutela dei terzi La tutela dei terzi deve realizzarsi in pendenza di sequestro: il giudice delegato, insieme all’amministratore, deve valutare nel corso della gestione di un giudizio la posizione dei terzi che vantano crediti o comunque assumono posizioni in contrasto con la pretesa ablatoria dello Stato. Successivamente deve realizzarsi sul piano sostanziale quando deve pronunciarsi la confisca. Con riferimento alla posizione dei terzi intestatari di beni sequestrati (i c.dd. “intestatari fittizi” o “prestanome”), si tratta pur sempre di terzi, i quali hanno una posizione da far valere di fronte al tribunale: la legge prevede la loro citazione86. Il terzo viene considerato un soggetto che si cita se si è in condizioni di farlo, soprattutto se l’ufficio rileva che il bene è intestato al terzo. La legge consente l’aggressione del bene ufficialmente intestato al terzo solo ove “risulti”87 che il prevenuto possa disporne. Esistono delle categorie nei confronti delle quali la legge prevede alcune presunzioni. Prima del “pacchetto sicurezza” la Cassazione ha individuato tra i 86 S. Mazzarese – A. Aiello, Le misure patrimoniali antimafia, Milano, Giuffrè, 2010. Il termine “risulta” fa riferimento ad un livello probatorio abbastanza elevato, che la Cassazione ha assimilato a quello della “prova”. 87 58 soggetti destinatari delle indagini patrimoniali i soggetti nei cui confronti operi una presunzione di fatto circa la fittizia intestazione dei beni. Il coniuge, i conviventi dell’ultimo quinquennio e discendenti sono attinti da questa presunzione, per cui i beni intestati a costoro vengono sequestrati e si realizza una sorta di inversione di onere della prova, ovvero saranno queste persone a dovere dimostrare la non fittizietà dell’intestazione. Il “pacchetto sicurezza” introduce un’ulteriore presunzione, che prevede che nei confronti dei parenti sino al sesto grado si presume la fittizietà dell’intestazione. A fronte di questa presunzione il terzo deve provare che non c’è la fittizia intestazione per evitare la confisca. Riguardo agli eredi, vi è la possibilità di aggressione dell’erede nel caso di morte del prevenuto. L’erede è anche un terzo, il quale per definizione non ha nulla a che vedere con le vicende criminali del de cuius, e tuttavia subisce il procedimento se questo è iniziato. Oggi l’erede può subire un sequestro di beni entro cinque anni dalla morte del de cuius. 3.5 La destinazione dei beni confiscati e la tutela dei terzi La competenza di seguire l’intero procedimento è del Commissario, in modo da ottimizzare l’utilizzo dei beni confiscati. Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali è Antonio Maruccia. Le procedure amministrative che si concludono con la destinazione a fini sociali dei beni immobili confiscati sono complesse ed implicano problematiche di diversa natura: dalla carenza di fondi per le opere di ristrutturazione necessarie a renderli agibili, alla tutela di posizioni giuridiche soggettive quali quelle dei creditori in buona fede, alle occupazioni abusive o ad altri ostacoli di natura giuridica o economica. Gli attori del complesso procedimento sono tanti: i tribunali che dispongono il sequestro dei beni, le Prefetture che, oggi, a seguito delle recenti modifiche legislative, sono divenute responsabili del provvedimento finale di destinazione dei beni, l’Agenzia del Demanio che continua a svolgere il delicatissimo compito della gestione dei cespiti, della valutazione degli stessi e dell’espressione del parere sulla 59 destinazione ed infine gli Enti locali chiamati alla gestione diretta, o tramite associazioni, del bene una volta assegnato. L’esperienza insegna, inoltre, che, soprattutto quando si tratta di beni aziendali, questi sono soggetti a perdere valore economico già nella fase del sequestro giudiziario, quando non vengono amministrati con criteri manageriali e con la dovuta competenza e professionalità. Spesso, poi, accade che passino molti anni tra il sequestro e il provvedimento di confisca con il quale il bene entra nel patrimonio dello Stato. Allora compito di tutti noi, istituzioni e società civile, è quello di evitare il depauperamento delle ricchezze confiscate alle mafie. Sul profilo sostanziale la destinazione e l’utilizzazione di questi beni è definita dall’art.2 undecies della l. 575/1965 per il quale i beni immobili sono: - mantenuti al patrimonio dello stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile e, ove idonei, anche per altri usi governativi o pubblici, connessi allo svolgimento di attività istituzionali di amministrazioni statali, agenzie fiscali, università statali, ecc. - trasferiti per finalità istituzionali o sociali al patrimonio del comune ove l’immobile si trova, ovvero al patrimonio della provincia o della regione. Gli enti territoriali possono amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione gratuito a comunità, ad enti, ad associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali, nonché ad organizzazioni di volontariato, centri di recupero, ecc. - trasferiti al patrimonio del comune ove l’immobile si trovi, se confiscati per il reato di cui all’art. 74 del T.U. delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti o sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza88, approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n.30989. Il comune può amministrare direttamente il bene oppure assegnarlo in concessione ad associazioni, comunità o enti che operano nel territorio in cui l’immobile si trova. 88 S. Mazzarese – A. Aiello, op. cit. , 450. In questo particolare contesto normativo si inserisce l’articolo 74 del D.P.R. n. 309/90 che prevede e punisce il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope. Inoltre, si osserva che il delitto di cui all’art. 74(1) D.P.R. n. 309/90 può essere definito come un reato comune, di pericolo, di mera condotta ed a forma libera; inoltre si tratta di un reato permanente sicché la consumazione si protrae finché l’associazione criminale resta in vita. 89 60 Nel caso in cui, invece, il bene confiscato costituisca un bene aziendale esso è mantenuto al patrimonio dello stato e può essere destinato: - all’affitto, quando vi siano prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività produttiva , a titolo oneroso ad imprese pubbliche o private, ovvero a titolo gratuito, senza oneri a carico dello stato, a cooperative di lavoratori dipendenti. - alla vendita, per un corrispettivo non inferiore a quello determinato dalla stima del competente Ufficio del territorio del Ministero delle Finanze, a soggetti che ne abbiamo fatto richiesta, qualora vi sia una maggiore utilità per l’interesse pubblico. - alla liquidazione, qualora vi sia una maggiore utilità per l’interesse pubblico o qualora la liquidazione sia finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso. Le somme di denaro che derivano dalla vendita dei beni mobili e dei titoli devono servire ad alimentare il Fondo per le vittime dell’usura e delle richieste estorsive e il Fondo per le vittime della mafia. In particolare, le somme di denaro e i relativi proventi, i conti di deposito titoli, i depositi a risparmio ed ogni altra attività finanziaria a contenuto monetario o patrimoniale oggetto di provvedimenti di sequestro, nell’ambito di procedimenti penali o per l’applicazione di misure di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965 n. 575, e successive modifiche, affluiscono al Fondo unico giustizia. Inoltre, le modalità procedimentali sono definite dagli artt. 2 nonies 2 decies della l. 575/1965. L’art. 2 nonies dispone, che “ I beni confiscati sono devoluti allo Stato. Il provvedimento definitivo di confisca è comunicato, dalla cancelleria dell’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento, all’ufficio del territorio del Ministero delle Finanze che ha sede nella provincia ove si trovano i beni o a sede l’azienda confiscata, nonché al prefetto o al Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno”90. L’art 2 decies prevede, che: La destinazione dei beni confiscati è effettuata con provvedimento del direttore centrale del demanio del Ministero delle Finanze. 90 S. Mazzarese – A. Aiello, op. cit. , 452. 61 3.5.1 Alcuni casi concreti Ci sono progetti, in Sicilia come altrove, che sono rivolti alle zone del Paese che sono penalizzate da fenomeni di degrado ambientale e sociale, con l’obiettivo di realizzare, attraverso attività di coinvolgimento, informazione e sensibilizzazione di soggetti economici e istituzionali presenti sul territorio, progetti di recupero e riutilizzo di aree compromesse o in stato di abbandono. Iniziative pensate per restituire aree di particolare interesse naturalistico a una fruizione collettiva, tutelando così flora, fauna e paesaggio dalla minaccia delle ecomafie91. Centro ricreativo ambientale di Siculiana La Riserva naturale orientata di Torre Salsa92, un’area protetta di 761,62 ettari gestita, dal 2000, dal WWF in convenzione con la Regione Sicilia93. Si tratta di una villa abusiva circondata da 5 ettari di terreno, confiscata il 10 marzo 1993. Giardino della Memoria di Favara Dal marzo del 2008 anche il Comune di Favara (AG) ha un suo Giardino della Memoria, uno spazio di verde pubblico di 300 mq realizzato su un terreno confiscato ad una famiglia del luogo, nel quale ha trovato dimora una targa per ricordare tutte le vittime innocenti di mafia cadute nella provincia di Agrigento. Un luogo collettivo dove esercitare il dovere della memoria, come premessa per la costruzione di percorsi di promozione sociale e diffusione della legalità. Casa di accoglienza “Don Pino Puglisi”94 Il Centro Astalli è un’associazione di volontariato senza fini di lucro costituita da 80 soci, la cui opera si inserisce nel complesso delle attività dei Gesuiti per i rifugiati nel mondo, attivo dal 1981. Nato a Catania nel 1999 per volontà ed 91 Marco Letizi, Comportamento criminale, ecomafie e smaltimento dei rifiuti, Rubbettino Editore, 2003. 92 Area naturale protetta della Sicilia, in provincia di Agrigento, nel comune di Siculiana. 93 Per una più completa illustrazione si rinvia a http://www.wwftorresalsa.com. 94 Don Giuseppe Puglisi meglio conosciuto come Padre Pino Puglisi, nasce a Brancaccio, quartiere periferico di Palermo il 15 settembre 1937 , è stato un presbitero italiano, ucciso dalla mafia il giorno del suo 56º compleanno, il 15 settembre 1993, a motivo del suo costante impegno evangelico e sociale. 62 iniziativa della Compagnia di Gesù, il Centro è diventato in questi anni punto di riferimento sicuro e prezioso per i tanti immigrati (circa 6.000) che vi hanno trovato non soltanto una risposta immediata alle urgenze di assistenza primaria, ma anche e soprattutto persone pronte ad accompagnarli lungo il difficile percorso dell’integrazione. I servizi offerti quotidianamente presso la Casa di accoglienza intitolata a Padre Pino Puglisi, che ospita ogni notte circa 60 persone in gravi difficoltà, sono il servizio docce, lavanderia e distribuzione abiti, il bazar degli alimenti, l’ambulatorio medico, il centro di ascolto, lo sportello lavoro, il servizio legale, la scuola di italiano, il doposcuola, l’assistenza in carcere e l’assistenza notturna. Società cooperativa sociale Nuovi percorsi La Società Cooperativa Sociale Nuovi Percorsi Onlus nasce grazie al lavoro dei responsabili della Caritas, della Pastorale Sociale e del Lavoro, della Pastorale Giovanile, ecc. Nell’aprile 2006 la Fondazione regionale antiusura “Don Pino Puglisi” di Messina ha concesso in uso alla cooperativa un terreno di 12 ettari. Il bene è stato confiscato il 5 dicembre 2002 in contrada Cuticchi, nel territorio di Assoro (EN), e destinato il 14 maggio 2004. Su questo fondo sono state sperimentate nuove modalità di produzione biologica di varietà di frumento antiche, quali il kamut, il russello e il bidì, ed è stata avviata la produzione di leguminose di granella (ceci). Il progetto prevede inoltre la continuità della filiera agro-alimentare con la produzione di farine, legumi confezionati, biscotti e oli essenziali. Il piano di lavoro rientra nell’ambito del recupero e della gestione di beni confiscati, attraverso i quali non solo la cooperativa è in grado di offrire occupazione lavorativa a soggetti socialmente svantaggiati, ma può anche mettere in pratica attività agricole a carattere sperimentale nel rispetto delle colture biologiche. Bottega dei saperi e dei sapori della legalità Un negozio confiscato a un boss di Brancaccio, situato a pochi passi dalla centralissima piazza Politeama, salotto della città di Palermo, ospita una nuova “Bottega dei saperi e dei sapori della legalità”95, che ha aperto il 12 marzo 2009. 95 www.lavoro.gov.it 63 Gli ampi locali di piazza Castelnuovo (150 mq fra pianterreno e seminterrato) non saranno semplicemente uno spazio privilegiato in cui far conoscere e vendere pasta, farine, conserve, vini e gli altri prodotti che vengono dalle cooperative attive sulle terre riscattate dalla criminalità organizzata. a. La Bottega si propone come punto di aggregazione per tutti quei cittadini che non intendono rassegnarsi al giogo del potere mafioso, ma intendono scambiare idee e condividere il medesimo percorso di impegno civile per una Sicilia e una società libere, nel segno dei diritti e della legalità. Sapori dunque, ma anche saperi, dato che all’interno del negozio è stato allestito uno spazio didattico tematico su mafia e antimafia sociale, aperto a tutti gli studenti e a quanti vogliano toccare con mano la realtà di un bene confiscato e riutilizzato a finalità sociali. Cooperativa Pio La Torre - Libera Terra “Pio La Torre - Libera Terra Soc. Coop. Sociale” è una cooperativa costituitasi il 22 giugno 2007 che amministra i terreni confiscati alla mafia nell’Alto Belice Corleonese. I 12 soci lavoratori e i due volontari che la compongono sono stati selezionati tramite un bando pubblico. La compagine sociale è costituita da operai agricoli semplici e specializzati, che si occupano della coltivazione dei campi assegnati, due apicoltori e un socio lavoratore addetto alla ristorazione. Ad essi si aggiungono due agronomi, responsabili della gestione e dell’organizzazione delle attività produttive. Presso i circa 140 ettari di terreni confiscati alla mafia (nel territorio dei comuni di degli Albanesi, Corleone, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Monreale, Altofonte, Roccamena), la cooperativa provvede all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, ispirandosi ai principi della legalità e della solidarietà, e portando avanti un tipo di agricoltura rispettoso dell’ecosistema e della biodiversità. Liceo Scientifico “Ernesto Basile” Il liceo Ernesto Basile opera da più di 15 anni a Brancaccio. L’istituto, dal momento del suo insediamento, ha contribuito a sostenere l’evoluzione lenta e sofferta nel quartiere. e. Il liceo, assieme alle altre agenzie educative del quartiere, come il “Centro Padre Nostro” fondato da don Pino Puglisi, ha dato impulso alla 64 crescita di Brancaccio in termini di solidarietà, sostegno ai bisognosi e di promozione della cultura come strumento di riscatto. Consorzio Trapanese per la Legalità e lo Sviluppo Il Consorzio Trapanese per la Legalità e lo Sviluppo è stato costituito su spinta della Prefettura di Trapani con lo scopo di gestire in modo proficuo e con finalità sociali i beni confiscati alla mafia e assegnati ai sensi della legge 109/1996 ai Comuni consorziati (Alcamo, Calatafimi-Segesta, Campobello di Mazara, Castellammare del Golfo, Castelvetrano, Erice, Marsala, Mazara del Vallo, Paceco, Salemi, Trapani e Vita). Una volta costituito il Consorzio ha presentato al Ministero dell’Interno il progetto denominato “Le Saline”96, nell’obiettivo di trasformare i beni sottratti alla criminalità organizzata in risorse per la crescita economica e sociale dei territori interessati. 3.6. Ultimi interventi e prospettive di riforma: conclusioni La componente economico finanziaria rappresenta per la criminalità organizzata una delle priorità fondamentali ed anzi, per molti versi, direi quasi l’obiettivo finale delle numerose e diversificate attività illecite poste in essere, oltre che ovviamente la condizione necessaria per dare efficacia e credibilità alla stessa organizzazione criminale. Di questo aspetto occorre tener conto nel delineare le strategie dell’azione di contrasto ed anche se è vero che, molti successi sono stati ottenuti dalla Magistratura e dalle Forze di polizia, tuttavia, ritengo che molto possa e debba essere ancora fatto. Di qui la necessità di delineare strategie di contrasto sempre più efficaci, ritenendo che il tentativo di arginare l’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia legale debba avere i seguenti obiettivi: a) la predisposizione di un sistema che assicuri la trasparenza nella titolarità delle imprese; 96 www.lavoro.gov.it 65 b) la prevenzione e la repressione delle violazioni fiscali, previdenziali e ambientali che agevolano l’inserimento nell’economia legale del crimine organizzato; c) l’emersione dell’economia c.d. “a nero” per isolare la componente delinquenziale. L’importanza dei controlli fiscali nella lotta alla delinquenza mafiosa è stata riconosciuta dallo stesso legislatore attraverso l’introduzione della verifica della posizione fiscale97. Nei confronti delle persone fisiche, la verifica della posizione fiscale mira non solo ad accertare la redditività delle attività legali eventualmente svolte e il patrimonio, ma soprattutto a rilevare i rapporti intrattenuti con gli istituti di credito attraverso i quali possono emergere proventi derivanti dalle attività illecite. Mentre nei confronti delle imprese, l’attività commerciale viene sottoposta ai controlli tipici della verifica fiscale, tesi ad accertare, in definitiva, se i costi e i ricavi sono stati correttamente contabilizzati ed esposti nelle dichiarazioni, se sono stati contabilizzati costi fittizi, coperti da fatture per operazioni inesistenti e se è stata omessa la contabilizzazione di parte dei ricavi. Tra le finalità della legislazione antimafia ci cono: la sottrazione di beni e risorse al circuito criminale-mafioso e la destinazione del patrimonio recuperato all’uso sociale. Però accade che si riesce a sequestrare e confiscare i beni dei mafiosi ma non si riesce a riutilizzarli o comunque ci si riesce molto male. Ci sono norme malamente applicate, quali la norma sulla vendita dei beni confiscati da destinare ai Fondi di solidarietà. Allora sarebbe sufficiente una procedura elementare per far si che il ricavato della vendita confluisca nella direzione evoluta. Uno dei pericoli dalla vendita dei beni immobili è che i mafiosi possano ricomprarseli tramite prestanome e ciò vuol dire riavviare le indagini. Molti beni invece vengono bensì consegnati ai Comuni o ad altre istituzioni, ma vengono consegnati anche a soggetti che non sono in grado né di gestirli, né di tenerli in valore e quindi sono formalmente in carico al Comune, che nella maggior parte dei casi li lascia deperire. Un’opinione condivisa, per dare maggiore incisività ed efficienza al processo di confisca, assegnazione e riutilizzo dei beni si dovrebbe creare un’unica Agenzia nazionale che se occupi. Un organo che riunisca in sé tutte le competenze necessarie 97 ex art. 25 legge 646/1982. 66 e consenta di superare quelle lentezze burocratiche, quei passaggi infiniti da un soggetto all’altro che oggi appesantiscono il sistema. Inoltre bisognerebbe trovare un modo per salvare le aziende confiscate alla criminalità. Sono troppo poche quelle che si riescono a rilanciare, la maggior parte fallisce o chiude. Allora si potrebbe sperimentare lo strumento delle cooperative, come è stato fatto per la Calcestruzzi Ericina nel trapanese, strumento che ha dimostrato di dare ottimi frutti. 67 BIBLIOGRAFIA A. Laudati, “La tutela penale nei confronti della ricchezza mafiosa, in Le misure di prevenzione patrimoniali dopo il “pacchetto sicurezza”, a cura di F. Cassano, Roma, 2009, p. 221 A. 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