Università degli Studi di Palermo Facoltà di

Università degli Studi di Palermo
Facoltà di Economia
Corso di laurea in Economia e Finanza
LE MISURE CIVILISTICHE ANTIMAFIA
Elaborato finale di:
SCANDARIATO GIANLUCA
Relatore: Ch.mo Prof. Fabrizio Piraino
Correlatore: Ch.mo Prof. Pietro Busetta
0
Anno accademico 2012/2013
INDICE
Introduzione ................................................................................................. pag. 4
Capitolo 1
Un quadro generale dell’analisi delle evoluzioni normative sulla
criminalità organizzata ......................................................................... pag. 7
1.1 Normativa italiana di contrasto alla criminalità organizzata: evoluzione storico
legislativa e legge
Rognoni-La torre ...................................................................................... pag. 7
1.1.1 Il ruolo delle forze di Polizia ............................................................ pag. 12
1.2 La nuova disciplina della documentazione antimafia ............................. pag. 13
1.2.1 Tipi di documentazione .................................................................... pag. 15
1.2.2 Soggetti attivi e passivi ..................................................................... pag. 16
1.2.3 Informazioni prefettizie e certificati antimafia ................................. pag. 16
1.2.4 Il CODICE ANTIMAFIA (d.lgs 2011 159): innovazioni e problematiche
..................................................................................................................... pag. 18
1.3 La normativa comunitaria ...................................................................... pag. 20
1.4 Le analisi economiche sulla mafia: la criminalità organizzata come
svantaggio competitivo nazionale ................................................................. pag. 24
1.4.1 XIII Rapporto annuale di Sos Impresa .............................................. pag.30
1
Capitolo 2
Le misure di carattere patrimoniale ............................................... pag. 32
2.1 La strategia di contrasto alla ricchezza della criminalità organizzata ..... pag. 32
2.2 I presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali: la
novella del 2008 e successive modifiche recepite nel codice delle leggi antimafia
........................................................................................................................ pag. 34
2.3 Le indagini patrimoniali: natura giuridica, tipo e modalità.1.2.1 i tipi di
documentazione.............................................................................................. pag. 37
2.4 Il sequestro ............................................................................................. pag. 40
2.5 La confisca: tipi, regime, oggetto, problematiche .................................. pag. 42
2.5.1 La confisca ex art. 2 ter ed ex art 3 quinquies l.575/65 ..................... pag. 44
2.6 La sospensione temporanea dall’amministrazione dei beni .................... pag. 46
2.7 La sproporzione tra redditi dichiarati ed attività economica e valore dei
beni sequestrati ............................................................................................... pag. 49
2.7.1 L’onere della prova dell’origine illecita ............................................ pag. 50
Capitolo 3
La tutela dei diritti dei terzi nella legislazione antimafia ........................ pag. 51
3.1 La disciplina vigente prima del codice antimafia ................................... pag. 51
3.2. I diritti dei terzi e categorie di terzi ........................................................ pag. 53
3.2.1 Il criterio selettivo della buona fede ................................................. pag. 54
3.2.2 I titolari di diritti reali di garanzia .................................................... pag. 56
2
3.3 I terzi proprietari e altre categorie di terzi: nuove norme introdotte dal d.lg
6.9.2011 n.159 ........................................................................................ pag. 57
3.4 La confisca e la tutela dei terzi ................................................................. pag. 58
3.5 La destinazione dei beni confiscati e la tutela dei terzi ........................... pag. 59
3.5.1 Alcuni casi concreti ........................................................................... pag. 62
3.6 Ultimi interventi e prospettive di riforma: conclusioni ........................... pag. 65
Bibliografia ................................................................................................... pag. 68
Sitografia ....................................................................................................... pag. 70
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INTRODUZIONE
Il presente lavoro di Tesi ha lo scopo di analizzare gli interventi normativi che
si sono succeduti nel tempo volti a contrastare il fenomeno della criminalità
organizzata.
In particolare, obiettivo di questa trattazione sarà la descrizione dei modelli
d’azione adottati dai vari livelli istituzionali per far fronte al potere economico della
Mafia. Infatti, da problema regionale, la Mafia negli ultimi anni è diventato un
problema che ha travalicato i confini nazionali e si è posto all’attenzione delle
istituzioni comunitarie, che con la direttiva 60/2005/CE hanno imposto agli Stati
membri il contrasto del fenomeno del riciclaggio dei c.d. capitali illeciti.
Frattanto, la parte che si è deciso di approfondire riguarda ,ovviamente, i
provvedimenti adottati dallo Stato Italiano in materia, che fin dalla prima età
repubblicana ha dovuto affrontare tale presenza criminale.
Per quanto concerne la struttura della trattazione, il primo capitolo tenderà
ad elaborare un quadro generale della problematica, concentrandosi su un approccio
volto a descrivere l’evoluzione normativa in materia di Criminalità organizzata.
Elemento centrale di questo capitolo non può che essere la legge 646/1982 (c.d.
legge Rognoni-La Torre).
La suddetta legge rappresentò una vera e propria svolta per l’ordinamento
italiano, con conseguenze importanti in materia di inquadramento e contrasto alla
fattispecie mafiosa. Il mio lavoro, quindi, evidenzierà in primis la situazione
dell’ordinamento italiano nel periodo antecedente alla sua approvazione, per poi
analizzare le conseguenze sopra accennate. La seconda parte del capitolo tratterà la
materia delle documentazioni antimafia, soffermandosi sui profili oggettivi e
soggettivi degli stessi. In ultimo, si evidenzieranno le recenti riforme, a partire dal
D.lgs 159/2011 (c.d. Codice Antimafia) rilevando quelle che sono le problematiche
attuali della materia.
Per fornire un’analisi sistematica e completa, parte del capitolo tratterà anche
della normativa comunitaria in materia.
Inoltre, in questa parte del capitolo, affronteremo le analisi economiche della
mafia. In particolare parleremo della "Mafia come svantaggio competitivo
nazionale", ossia di come la mafia rappresenti un freno agli investimenti nel nostro
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paese. A tal proposito, si utilizzerà un approccio statistico volto a dimostrare la
scarsa propensione all’investimento in quelle regione caratterizzate da una massiccia
presenza criminale mafiosa.
Per far ciò partiremo dalle relazioni del Censis, la prima del 1985, che
stabiliscono percentuali precise sulla ricchezza del mezzogiorno drenata dalla mafia,
nonché quanto del sommerso è dovuto alla mafia e quanto no.
Parleremo anche delle analisi economiche fatte al fenomeno mafioso negli
anni '90, le quali arrivano con 25 anni di ritardo rispetto al dibattito degli economisti
americani. Il corpo del paragrafo vede le conclusioni di questi economisti e da come
loro vedono la mafia, i quali, alcuni di loro sostengono che Mafia=sottosviluppo e
sommerso non è un'equazione valida.
Il secondo capitolo tratterà nello specifico le misure di prevenzione
patrimoniale anti-mafia.
In particolare, si è effettuata una descrizione analitica che non trascurasse
nessun aspetto di tali misure. Infatti, si sono descritti i presupposti di applicazione
degli stessi (avendo cura di rilevare gli aspetti problematici), e ci si è soffermati sui
vari tipi di confisca e sul regime della stessa, con particolare riferimento al regime
probatorio in materia, che si caratterizza per l’inversione dell’onere della prova,
inteso come necessità del soggetto sottoposto a misure di prevenzione di dimostrare
la non riconducibilità dei propri beni patrimoniali alle attività illecite. Si sono
illustrate, quindi, l’oggetto e il regime di invalidità di quest’ultima.
L’analisi ha comunque evidenziato le modifiche apportate dalla novella del
2008 che sono state recepite nel codice delle leggi antimafia.
Il terzo capitolo si caratterizza per essere la parte più complessa e articolata,
in quanto tratta della tutela dei diritti dei terzi nella legislazione antimafia.
Storicamente la necessità di assicurare un soddisfacente livello di tutela ai soggetti
“terzi” è stata la problematica principale che ha scatenato un acceso dibattito negli
ambienti giuridici, portando ad un’abbondante produzione dottrinale e giudiziaria.
La presente tesi analizzerà i caratteri di tale dibattito, partendo da un elemento
imprescindibile: l’individuazione del terzo nelle sue varie sfaccettature.
Infine, la seconda parte del capitolo sarà dedicata al procedimento di
assegnazione dei beni confiscati, avendo cura di illustrare casi concreti di riuso di
5
beni un tempo appartenenti alla mafia e oggi utilizzate da giovani e associazioni che
si ripropongono finalità sociali o di pubblico interesse.
In conclusione si sono analizzati i vari progetti di riforma che si sono
succeduti negli ultimi anni, evidenziandone punti di forza e debolezza. Partendo da
ciò, si è cercato di tratteggiare un verosimile scenario futuro, avendo cura di far
risaltare le linee guida e gli obiettivi che dovranno guidare le mosse future di chi si
prefigge l’obiettivo di arginare lo strapotere economico mafioso.
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CAPITOLO PRIMO : Un quadro generale dell’analisi delle evoluzioni
normative sulla criminalità organizzata
Sommario: 1.1 Normativa italiana di contrasto alla criminalità organizzata:
evoluzione storico legislativa e legge Rognoni-La torre. – 1.1.1 Il ruolo delle forze di
Polizia. – 1.2 La nuova disciplina della documentazione antimafia. – 1.2.1 Tipi di
documentazione. – 1.2.2 Soggetti attivi e passivi. – 1.2.3 Informazioni prefettizie e
certificati antimafia. – 1.2.4 Il CODICE ANTIMAFIA (d.lgs 2011 159): innovazioni
e problematiche. – 1.3 la normativa comunitaria. – 1.4 Le analisi economiche sulla
mafia: la criminalità organizzata come svantaggio competitivo nazionale. – 1.4.1
XIII Rapporto annuale di Sos Impresa.
Questo primo capitolo si caratterizzerà primariamente per un’esposizione
sistematica degli interventi normativi che si sono succeduti in materia di contrasto
alla criminalità organizzata, fino ad arrivare al c.d. “codice antimafia” del 2011,
con particolare occhio anche alle statuizioni comunitarie in materia. Verrà pure
evidenziato il ruolo svolto dalle forze dell’ordine nell’attività di contrasto alla mafia.
Infine, alla luce della complessità del fenomeno mafioso moderno, si svilupperà una
basilare analisi di stampo economico sull’influenza della criminalità organizzata in
materia di investimenti
1.1
Normativa italiana di contrasto alla criminalità organizzata: evoluzione
storico-legislativa
A partire dal secondo dopoguerra, il nostro ordinamento giuridico ha visto il
susseguirsi di una serie di provvedimenti legislativi volti a contrastare il fenomeno
della criminalità organizzata, rappresentandosi questa come una persistente minaccia
sociale ed economica per lo sviluppo e la stessa integrità dello Stato.
Primariamente, gli interventi dello stato si sono caratterizzati per un
adeguamento della legislazione vigente al peculiare fenomeno mafioso. In questo
senso, si spiega la legge 31 maggio 1965, n. 575, recante Disposizioni contro la
mafia, la quale, in ragione della pericolosità sociale dei soggetti indiziati di
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appartenere ad associazioni mafiose, estende l'applicabilità delle misure di
prevenzione personali1 previste nella legge 1423/1956.
In particolare, con tale intervento legislativo si è voluto ampliare l’ambito di
applicazione delle misure di sorveglianza speciale e del soggiorno obbligato, nel
senso di consentirne l’applicazione anche ai soggetti indiziati di appartenere ad
associazioni mafiose.
Un ampliamento della legislazione antimafia, concernente sempre i soggetti
c.d. “mafiosi”, si è avuta dieci anni più tardi con la legge 22 maggio 1975, n. 152,
recante Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico, meglio nota come "legge Reale".
Gli articoli 182 e 193 di tale legge, infatti, stabiliscono che le norme della legge
575/1965 vengano applicate sia ai soggetti responsabili di atti preparatori diretti alla
commissione di reati di sovversione e terrorismo, sia alle varie classi di soggetti
socialmente pericolosi già indicati nella citata legge del 1956.
Tali interventi legislativi, spesso dettati dall’emergenza e, comunque,
insufficienti ad arginare il fenomeno mafioso e le sue ramificazioni in ambito sociale
ed economico, evidenziarono una molteplicità di limiti della legislazione antimafia,
con evidenti ricadute nel concretizzarsi dell’attività di contrasto alle organizzazioni
mafiose.
1
G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte Generale, Zanichelli, 2004, pp. 839 ss.
Così recita il comma 1: "Le disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575, si applicano anche a
coloro che: 1) operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente
rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal
capo I, titolo VI, del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630
dello stesso codice nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale;
2) abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645, e
nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una
attività analoga a quella precedente; 3) compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla
ricostituzione del partito fascista ai sensi dell'articolo della citata legge n. 645 del 1952, in particolare
con l'esaltazione o la pratica della violenza; 4) fuori dei casi indicati nei numeri precedenti, siano stati
condannati per uno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n. 895, e negli articoli 8 e seguenti
della legge 14 ottobre 1974, n. 497, e successive modificazioni, quando debba ritenersi, per il loro
comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine
indicato nel precedente n. 1)".
3
Così recita il comma 1: "Le disposizioni di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, si applicano anche
alle persone indicate nell'articolo 1, numeri 1) e 2) della legge 27 dicembre 1956, n. 1423. Nei casi
previsti dal presente comma, le funzioni e le competenze spettanti, ai sensi della legge 31 maggio
1965, n. 575, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto sono
attribuite al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona.
Nelle udienze relative ai procedimenti per l'applicazione delle misure di prevenzione di cui al presente
comma, le funzioni di pubblico ministero possono essere esercitate anche dal procuratore della
Repubblica presso il tribunale competente".
2
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In relazioni ai limiti suddetti, si osservava come, in primis, non fosse stato
predisposto uno strumento legislativo per perseguire il fenomeno mafioso come
associazione: ciò aveva avuto delle importanti ricadute processuali, in quanto i
processi di mafia avutisi in quegli anni terminarono con assoluzioni generali per
insufficienza di prove o al massimo con qualche provvedimento di soggiorno
obbligatorio.
Inoltre, l’emergere di una concezione della Mafia come “potenza economica”,
capace di gestire una moltitudine di attività illecite e lecite, palesò, per gli interpreti,
anche la necessità di aggredire le organizzazioni criminali nella loro componente
economico-finanziaria, con particolare riferimento all'esercizio di attività criminali,
al riciclaggio di denaro sporco e al reimpiego dei proventi illeciti, attraverso
provvedimenti tendenti al sequestro ed alla confisca del patrimonio illecitamente
ottenuto4.
Legge Rognoni – La Torre:
La svolta legislativa nella lotta alla mafia è rappresentata dalla legge 13
settembre 1982, n. 646, recante Disposizioni in materia di misure di prevenzione di
carattere patrimoniale, nota anche come "legge Rognoni - La Torre”.
Con tale legge veniva effettuata un importante aggiunta all’impianto della parte
speciale del Codice Penale: infatti, veniva introdotta la previsione del reato di
“associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure
patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali.
Scopo di quest’aggiunzione era l’aggressione dello Stato ai patrimoni illeciti,
nuova priorità dell’azione di contrasto dello Stato alla criminalità organizzata; azione
di contrasto che, quindi, metteva in primo piano gli aspetti collettivi ed economici
piuttosto che la repressione delle condotte in senso individuale.
Il testo normativo di questa legge traeva origine da una proposta di legge
presentata alla Camera dei deputati il 31 marzo 1980 (Atto Camera n. 1581), che
aveva come primo firmatario l'on. Pio La Torre ed alla cui formulazione tecnica
collaborarono anche due giovani magistrati della Procura di Palermo, Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino.
4
www.altrodiritto.unifi.it.
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In questo senso, il contenuto di tale proposta di legge era influenzato dalle
indagini che gli stessi avevano condotto, in materia di criminalità organizzata, negli
anni precedenti. Soprattutto il Giudice Falcone era noto per le intuizioni concernenti
in primo luogo l’importanza di indagini coordinate sui reati di mafia, considerati per
la prima volta come fenomeno unitario, in secondo luogo, anche sulla rilevanza della
dimensione economica del fenomeno associativo, come esigenza primaria
dell’impresa mafiosa in quanto garanzia della sua stessa sussistenza.
Il principale punto di forza di questa legge, giova ribadirlo, è rappresentato
dal mettere, al centro dell’attenzione, l’organizzazione criminale e non il soggetto
mafioso.
Inoltre, essa è anche importante per il tema dei beni confiscati alle
organizzazioni criminali perché inserisce tra gli strumenti dei reati i patrimoni e i
capitali ad essi collegati.
È dal 1982, quindi, che si cominciano a colpire i patrimoni mafiosi in maniera
estesa e continuativa: si fanno sempre più numerosi i beni sequestrati e poi
confiscati, poiché le indagini patrimoniali e bancarie diventano modus operandi di
più procure, a partire da quelle in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia.
L'imprenditoria mafiosa, infatti, attraverso il controllo economico del territorio,
impedisce lo sviluppo di energie economiche legali, fino ad influenzare
negativamente l'intero sistema produttivo nazionale.
D’altronde, i primi anni di applicazione della legge fanno emergere l’esigenza
di regolamentare la destinazione dei beni confiscati, in modo da garantire l’efficacia
delle misure adottate ed impedire alla criminalità organizzata di aggirare il dettato
legislativo riassorbendo i beni e i patrimoni confiscati.
Conseguentemente, viene emanato il D.L. 14 giugno 1989, n. 230 recante
Disposizioni urgenti per l'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati ai
sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, che costituisce un primo tentativo per
garantire la proficua gestione e destinazione dei beni confiscati. Tale decreto
presenta però alcuni limiti: non opera alcuna distinzione tra la tipologia di beni
(mobili, immobili o aziendali), prevede un procedimento di destinazione piuttosto
articolato, in alcuni casi è persino contemplata l'ipotesi della vendita dei beni stessi,
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con il rischio che vengano acquistati dai precedenti proprietari mediante prestanome,
e tornino quindi a far parte del circuito mafioso di provenienza.
Nel biennio 1992-1993 "Cosa Nostra" reagisce alle pesanti condanne inflitte
ai suoi vertici dal maxiprocesso attraverso una serie di attentati. Il 23 maggio 1992
vengono uccisi a Capaci il giudice del pool antimafia di Palermo Giovanni Falcone,
assieme alla moglie e tre agenti della scorta. Stessa sorte tocca ad un altro giudice del
pool il giorno 19 luglio 1992: Paolo Borsellino viene infatti ucciso in via D'Amelio, a
Palermo, assieme ai suoi cinque agenti di scorta. Nel 1993 si registrano attentati
dinamitardi che colpiscono le città di Roma, Firenze e Milano. La situazione di
emergenza venutasi a creare rende necessario l’emanazione di ulteriori normative di
contrasto, che, prendendo spunto dalla proposte della società civile, preveda l'utilizzo
a fini sociali dei beni confiscati alla mafia. Dovrà, però, passare più di un decennio
prima che si registrino ulteriori interventi in materia.
Ultime due tappe di questo iter legislativo, infatti, sono l'approvazione dei
cosiddetti "pacchetti sicurezza" del 2008 e del 2009.
Il D.L. 92/2008 (convertito con la legge n. 125/2008), recante Misure urgenti
in materia di sicurezza pubblica, prevede l'applicabilità delle misure di prevenzione
patrimoniali anche ai soggetti ex art. 51 comma 3 bis c.p.p., ed abroga l'art. 14 della
legge 55/90. Inoltre, è prevista la competenza del direttore della Direzione
investigativa antimafia a richiedere l'applicazione delle misure di prevenzione; è
introdotto l'importante principio per cui le misure di prevenzione personali e
patrimoniali possono essere richieste ed applicate in modo disgiunto; è prevista la
possibilità, là dove ne ricorrono i presupposti, di disporre il sequestro e la confisca
per equivalente ed infine la possibilità di disporre le misure patrimoniali anche in
caso di morte del preposto.
L'ultimo intervento si è avuto con la legge 15 luglio 2009 n. 94,
recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, con la quale il legislatore ha
tentato di migliorare il funzionamento delle misure preventive patrimoniali, ed ha
provato a risolvere alcune asimmetrie derivanti dalla legge 125/2008. In particolare,
si è cercato di superare alcuni dubbi interpretativi che gli operatori avevano
lamentato circa la possibilità di applicare le misure patrimoniali disgiuntamente da
quelle personali. Inoltre, si è cercato di risolvere il groviglio di inefficienze, ritardi e
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lentezze burocratiche che affliggono la gestione e l'assegnazione dei patrimoni
confiscati alle organizzazioni mafiose, provando ad innescare una procedura più
celere e snella.
1.1.1. Il ruolo delle forze di Polizia.
La massima funzionalità del sistema nella lotta alla criminalità organizzata, se
da un lato impone il coinvolgimento di tutte le forze di Polizia, dall’altro richiede che
ognuna di esse ottimizzi il proprio ruolo e partecipi con il meglio delle proprie
risorse e delle sue professionalità.
La legge 1° aprile 1981, n.1215 definisce le forze di Polizia6:
-
POLIZIA DI STATO
-
ARMA DEI CARABINIERI
-
GUARDIA DI FINANZA
-
POLIZIA PENITENZIARIA
-
CORPO FORESTALE DELLO STATO
Quanto al ruolo e all’impegno della Guardia di Finanza nell’azione di contrasto
alla criminalità organizzata, esso è strettamente correlato alle previsioni della propria
legge di ordinamento 23 aprile 1959, n. 1897, in base alle quali il Corpo si
caratterizza, essenzialmente, come organismo di polizia a cui, come noto, è attribuita
la tutela degli interessi erariali dello Stato attraverso un’attività di prevenzione,
ricerca e denuncia degli illeciti di natura finanziari, nonché mediante la vigilanza
sull’applicazione delle disposizioni di interesse politico-economico.
Per il raggiungimento di questi obiettivi l’Istituzione ha sviluppato moduli
operativi standard (verifiche fiscali, investigazioni patrimoniali ecc.), collaudati nel
tempo, i quali, oltre a costituire ormai patrimonio culturale e professionale dei suoi
appartenenti, rappresentano anche il mezzo più efficace e remunerativo per
5
Legge di riforma della polizia, la quale ha portato: alla smilitarizzazione della Polizia, allo
scioglimento dei corpi delle guardie di p.s. e del corpo di polizia femminile, all’unificazione di ruoli e
alla sindacalizzazione della Polizia di Stato.
Mentre la Polizia Municipale non è una forza di Polizia ma espleta funzioni di polizia.
6
L’art.16 della citata legge elenca le Forze di Polizia.
7
Ordinamento del Corpo della guardia di finanza, www.antiriciclaggioitalia.it
12
un’aggressione al crimine organizzato sul versante economico, in aggiunta alle
ordinarie e tradizionali tecniche di polizia.
In particolare, nel settore del crimine organizzato, la Guardia di Finanza – in
ragione delle sue capacità di investigazione concernenti il profilo economico e per le
peculiari metodologie operative – è chiamata a svolgere un ruolo di polizia
giudiziaria “specializzata”, in quanto impegnata sul versante della ricostruzione
finanziaria delle attività criminose.
Tale ruolo ha poi trovato anche un autorevole riconoscimento in occasione
dell’emanazione del decreto in data 22 gennaio 1992 del Ministro dell’Interno, il
quale, nel disciplinare il coordinamento investigativo-operativo delle Forze di
polizia, ha attribuito una prevalente competenza al Corpo nel contrasto alle frodi
comunitarie – compreso il contrabbando – e al riciclaggio, con particolare riguardo
alla formazione dei patrimoni illeciti, anche sul piano delle necessarie ed
indispensabili iniziative in campo internazionale.
1.2 La nuova disciplina della documentazione antimafia
Con l'espressione "documentazione antimafia" si fa riferimento a tutti quei
documenti idonei ad attestare la sussistenza o meno di legami con la mafia da parte
di soggetti, persone fisiche o giuridiche, che vogliono venir in contatto con
l'amministrazione, la quale, nella maggior parte dei casi, acquisisce la
documentazione oggetto d'esame. In questo senso, ai sensi dell'art. 1 del regolamento
n. 2521/1998 e già del d.lgs. n. 4901/1994, sono tenute ad acquisire la
documentazione suddetta "le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, gli enti e
le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese
comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico, nonché i concessionari di
opere pubbliche".
La materia in esame ha subito forti cambiamenti in conseguenza delle
previsioni legislative contenute nel d.lgs. 159/2011, c.d. “Codice delle leggi
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antimafia”, in attuazione della delega prevista negli articoli 1 e 2 della legge 136/
2010.
In particolare, il citato codice dedica un libro, il II, alla disciplina in materia
di documentazione, nel quale spiccano le previsione contenute agli art. 83 e 84.
L’art. 83, infatti, ha stabilito che le pubbliche amministrazioni devono
acquistare la documentazione antimafia prima di stipulare, approvare o autorizzare i
contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici.
Tali previsioni sono integrate da quanto statuito dall’articolo successivo che
fornisce una definizione legislativa di documentazione antimafia.
In tal senso, la documentazione deve essere suddivisa in:
-
Comunicazione antimafia;
-
Informazione antimafia.
La comunicazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza o
meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo
67 del decreto 159/2011.
L’informazione antimafia, dal canto suo, consiste nell’attenzione della
sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui
all’articolo 67, nonché nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali
tentativi di infiltrazioni mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle
società o imprese interessate indicati nell’art. 84, comma 4 del decreto 159/2011.
Tali previsioni legislative non hanno, però, risolto tutti le problematiche della
materia,
rendendo
al
contempo
necessario
degli
interventi
integrativi.
Conseguentemente, il legislatore è dovuto intervenire con il D.lgs 15 novembre
2012, n. 218, che ha apportato alcune modifiche al “Codice Antimafia”, avendo
riguardo soprattutto alla validità della documentazione antimafia (art. 3). In questo
senso, alcune modifiche sono state apportate all’articolo 86 del decreto legislativo 6
settembre 2011, n. 159, con un nuovo testo concernente i primi due commi. In
particolare, i due commi sostituiti recano la seguente disciplina:
1) La comunicazione antimafia, acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1
e 2, con le modalità di cui all’articolo 88, ha una validità di sei mesi dalla data
dell’acquisizione.
14
2) L’informazione antimafia, acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e
2, con le modalità di cui all’articolo 92, ha una validità di dodici mesi dalla data
dell’acquisizione, salvo che non ricorrano le modificazioni di cui al comma 3.8
1.2.1 I tipi di documentazione
Il quadro delle tipologie degli atti idonei ad attestare la sussistenza o meno
delle situazioni generatrici di effetti interdittori previsti dalla normativa antimafia
risulta abbastanza composito, frutto degli interventi degli ultimi anni.
La documentazione antimafia può essere, dunque, così suddivisa9:
1)
Le autocertificazioni, con le quali l'interessato attesta che nei propri confronti
non sussistono cause di divieto, di decadenza o di sospensione. Esse sono utilizzabili
solo nei casi previsti dall'articolo 5, ovvero nei casi d'urgenza di cui all'articolo 11,
comma 2, del regolamento, quando non viene esibito il certificato camerale o questo
sia privo dell'apposita dicitura antimafia.
2)
I certificati rilasciati dalla Camera di Commercio, recanti la dicitura
“antimafia", utilizzando il collegamento telematico con il sistema informativo della
Prefettura di Roma.
3)
Le comunicazioni scritte del Prefetto, finalizzate all'attestazione della
sussistenza o meno delle cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui
all'articolo 10 della Legge n. 575/1965.
4)
Le informazioni scritte del Prefetto, finalizzate all'attestazione della
sussistenza o meno di "tentativi di infiltrazione mafiosa", rilasciate sulla base dei
presupposti e con le modalità di cui agli articoli 10, 11 e 12 del regolamento
approvato con il DPR n. 252/1998.
8
www.retefidisicilia.it, D.lgs 15 novembre 2012, n. 218.
S. Muttoni, Informazioni prefettizie anti-mafia e appalti Testi, contesti e Costituzione, - Anno XVI
n°2 Aprile/Giugno 2008.
9
15
1.2.2 I soggetti attivi e passivi
Dal punto di vista soggettivo, in tema di documentazione possono
distinguersi soggetti c.d. “attivi” e soggetti c.d. “passivi”.
I soggetti attivi sono quell’insieme di soggetti che, pur non tenuti a richiedere
la documentazione antimafia, a ciò sono legittimati.
Tale categoria comprende tutti quei soggetti che per espressa disposizione
normativa o sulla base di un provvedimento fondato sulle suddette disposizioni, sono
chiamati a svolgere attività istruttoria invece dell'amministrazione10 e, in casi rari e
con precise modalità, i soggetti cui la documentazione stessa si riferisce.
Il terzo comma dell'art. 2 del regolamento del 1998, invece, individua i c.d.
"soggetti passivi" della documentazione antimafia e stabilisce che quest'ultima,
quando si tratta di associazioni, imprese, società o consorzi, debba riferirsi, oltre che
all'interessato, anche alla società, al legale rappresentante, ai soci e ai componenti
degli organi di amministrazione, ove presenti, ossia come più genericamente recita
l'ottavo comma dell'art. 10 del d.P.R. n. 25211998 ai "soggetti, residenti nel territorio
dello Stato, che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte e gli indirizzi
dell'impresa" 11 .
1.2.3 Le informazioni prefettizie e certificati antimafia
Il 13 febbraio 2013 è entrata in vigore la parte del Codice delle leggi
antimafia relativa alla documentazione prefettizia. L’informativa prefettizia è
finalizzata ad impedire la contrattazione con la pubblica amministrazione alle
imprese sospettate di subire tentativi di infiltrazione mafiosa.
Si tratta, pertanto, di una misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva,
che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale, avente
funzione di contrasto della criminalità organizzata12.
10
Così nella circolare del Ministero dell'interno del 14 dicembre 1994.
S. Muttoni, Informazioni prefettizie anti-mafia e appalti Testi, contesti e Costituzione, - Anno XVI
n°2 Aprile/Giugno 2008
12
R. Chieppa, R. Giovagnoli, Manuale breve diritto amministrativo, Giuffrè Editore, 2011
11
16
Le informazioni prefettizie antimafia possono essere ricondotte a tre diverse
tipologie a seconda delle circostanze che siano maturate a carico dell’impresa13:
1)
quando la nota prefettizia comunichi la sussistenza, a carico dei soggetti
responsabili dell’impresa, delle cause di divieto o sospensione dei procedimenti
indicati nell’art. 1 d.lgs n.490 del 1994;
2)
quando la nota prefettizia contenga informazioni relative ad eventuali
tentativi di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle
società o delle imprese interessate;
3)
quando l’informativa, pur non raggiungendo la soglia di gravità delle prime
due, è caratterizzata da elementi che denotano il pericolo di collegamenti fra
l’impresa e la criminalità organizzata.
Tali elementi sono comunque valutabili discrezionalmente dalla P.A. in
riferimento alle generali esigenze di buon andamento e di imparzialità dell’azione
amministrativa(art. 97 Cost.).
Inoltre, giova rilevare che, ai sensi dell’art 2 del d.P.R. 3 giugno 1988, n. 252,
l’efficacia delle informazioni prefettizie antimafia è limitata nel tempo, e
precisamente per un periodo di sei mesi dal suo rilascio. Le stesse possono riguardare
anche le società di capitali: in questo caso, le informative riguardano, oltre
all’interessato, il legale rappresentante e gli altri eventuali componenti dell’organo di
amministrazione.
Il “Certificato Antimafia”, invece, oltre a contenere i dati di un normale
certificato d'iscrizione, riporta la dicitura “antimafia”, di cui all'art.9 del d.p.r.
03/06/1992 n. 252. Il controllo antimafia è eseguito sul titolare d’impresa individuale
e sui membri dell'organo amministrativo delle società.
Nel certificato, può essere richiesto di eseguire il controllo antimafia anche su
altri nominativi (ad es. titolari di cariche R.E.A.: direttori tecnici, direttori generali,
amministrativi, dei lavori, procuratori, ecc. ) che altrimenti non risulterebbero come
persone controllate.
Il certificato antimafia può essere richiesto unicamente dal titolare d’impresa
individuale o dal legale rappresentante di società o da loro delegati.
13
R. Garofoli, V. De Gioia, Appalti e contratti. Percorsi giurisprudenziali, Giuffrè Editore, 2007
17
1.2.4 Il codice antimafia (d.lgs 2011 n.159): innovazioni e problematiche
Nato con obiettivi «ambiziosi»14, il codice antimafia doveva reggere tutta la
materia del contrasto alla criminalità organizzata, attraverso una completa
ricognizione delle norme antimafia di natura penale, processuale e amministrativa.
Molteplici rilievi in sede parlamentare lo hanno privato invece del «perimetro
normativo 'essenziale'»15 volto a delineare il suo stesso ambito operativo, con il
rischio di non perseguire il risultato voluto e di produrre ulteriori distorsioni ed
inopportune frammentazioni.
Le prime modifiche riguardanti la pubblicazione del d.lg. 6 settembre 2011 n.
159 furono apportate dal legislatore nel libro I, composto da cinque titoli, dedicati
rispettivamente alle misure di prevenzione personali, a quelle patrimoniali,
all'amministrazione, gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, alla
tutela dei terzi ed ai rapporti con le procedure concorsuali; agli effetti, sanzioni e
disposizioni finali.
Il legislatore delegato ha lasciato invariate, rispetto a quelle previste dalla
precedente disciplina, le categorie dei destinatari delle misure di prevenzione. Cosi
facendo però, sono state trasfuse nel testo finale due imperfezioni già presenti nel
testo originario: il primo, «verosimilmente frutto di un errore di compilazione»16,
attiene all'estensione ai soggetti indicati dall'art. l, n. 3, L 1423/5617; il secondo
consiste nell'avere elencato in modo indifferenziato tutti i destinatari, unificando le
diverse tipologie di misure (ordinarie, antimafia e contro il terrorismo), che, al
contrario, sarebbe stato opportuno distinguere18.
Per quanto riguarda il contenuto del provvedimento, si osserva come il
legislatore abbia rafforzato tutta una serie di disposizioni: dall'autonomia del
14
M.V. De Simone, La delega al governo per la ricognizione, l'armonizzazione ed il coordinamento
della normativa in materia di misure di prevenzione, in AA.VV., Commento al codice antimafia, cit.,
34; F. Menditto, Lo schema di decreto legislativo del codice delle leggi antimafia e delle misure di
prevenzione (libri I, II, IV e V): esame, osservazioni e proposte, in <www.penalecontemporaneo.it>,3.
15
Cfr. parere della commissione giustizia della camera dei deputati del 2 agosto 2011.
16
Così M.V. De Simone, La fase applicativa, cit., 59, che ritiene l'ampliamento inopportuno.
17
L'estensione, cioè, è a coloro che «per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi
di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica
o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica».
18
M.V. De Simone, La fase applicativa, cit., 60.
18
procedimento di prevenzione rispetto al procedimento penale all'adozione disgiunta
delle misure patrimoniali rispetto a quelle personali, dall'applicazione della misura
patrimoniale indipendentemente dalla pericolosità sociale «attuale» del proposto e
anche in caso di morte del medesimo nel corso del procedimento alla possibilità di
iniziare quest'ultimo entro cinque anni dalla morte del soggetto, dalla figura della
confisca per equivalente alle presunzioni di fittizia intestazione e/o trasferimento di
beni, fino alle indagini patrimoniali, ha disciplinato il sequestro e le sue modalità
esecutive attraverso il richiamo all'art. 104 disp. att. c.p.p. indicando poi una precisa
scansione temporale del procedimento tale da assicurarne la speditezza.
Nel libro II, il legislatore delegato si è prefissato lo scopo di razionalizzare il
procedimento per il rilascio della documentazione antimafia. In questo senso, sono
state adottate varie misure dagli effetti altalenanti.
In primo luogo, sono state estese le cautele antimafia, che oggi concernono
anche il direttore tecnico (ove previsto), i rappresentanti legali delle associazioni, le
imprese costituenti il «raggruppamento temporaneo», nonché i «familiari conviventi»
dei soggetti sottoposti a verifica.
In secondo luogo, è stato aggiornato ed ampliato l'elenco delle situazioni dalle
quali si desume il tentativo di infiltrazione mafiosa.
Infine, è stata istituita una banca dati della documentazione antimafia, che,
consentendo alla pubblica amministrazione, alle camere di commercio, agli ordini
professionali e, nei casi previsti dall'art. 371 bis c.p.p., alla direzione nazionale
antimafia una forma costante dì monitoraggio delle imprese, ha di fatto realizzato un
sistema integrato di dati.
Oltre a tali interventi di carattere “preventivo”, si è cercato anche di adottare
misure volte a favorire le imprese esercenti attività nel circuito dell’economia legale.
Conseguentemente, è stata estesa da sei mesi ad un anno la validità della
comunicazione antimafia liberatoria per il caso in cui non siano intervenuti
mutamenti nell'assetto societario e gestionale.
Su pressante sollecitazione dei numerosi rilievi mossi allo schema di decreto
legislativo19, l'esecutivo ha raccolto nel libro IV «tutte le norme transitorie di
coordinamento e di modifica della legislazione vigente resesi necessarie a seguito
19
Cfr., ex plurimis, l'osservazione n. 64 del parere della commissione giustizia e, in dottrina, F.
Menditto, Lo schema del decreto, cit., 105.
19
dell'intera operazione di riordino derivante dall'entrata in vigore del codice
antimafia»20.
1.3 Normativa comunitaria
I meccanismi di “congelamento” e “blocco” dei beni proventi di reato,
costituiscono una delle priorità dell’Unione Europea.
Il sistema di contrasto alla ricchezza illecita viene considerato uno dei
principali meccanismi per garantire la sicurezza dei cittadini, al contempo favorendo
lo sviluppo di un sistema economico libero da storture criminali e attività a carattere
parassitario.
La nostra analisi a livello comunitario non può che partire da quanto
contenuto dalla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea il 3 maggio 2000: in
quella sede, infatti, venne pubblicato un importante documento concernente la
“strategia dell’Unione Europea per l’inizio del nuovo millennio per la prevenzione e
il controllo della criminalità organizzata”.
In esso si affermava che “il movente principale di gran parte della criminalità
organizzata è rappresentato dal beneficio finanziario. Una prevenzione e un controllo
efficaci
della
criminalità
organizzata
devono,
pertanto,
imperniarsi
sul
rintracciamento, il congelamento, il sequestro e la confisca dei proventi di reato”.
Oggi, dunque, le norme del diritto penale tendono a garantire solo i patrimoni
acquisiti in maniera lecita, al contempo perseguendo i patrimoni comunque
illecitamente acquisiti attraverso vari istituti.
Il legislatore ha preso atto che l’unico modo per contrastare efficacemente il
crimine organizzato è costituito dal contrasto patrimoniale.
Quindi, anche le istituzioni comunitarie, nella lotta contro l’accumulo di
capitali illeciti e della conseguente dannosa incidenza delle mafie nel tessuto
economico legale dei paesi membri, ha adottato importanti decisioni quadro ai fini di
sensibilizzare tutti gli stati ad adottare normative sempre più stringenti contro la
20
In questi termini la relazione al d.leg. 159/11.
20
criminalità organizzata, nonché a perseguire forme di cooperazione internazionale
per arginare il fenomeno economico mafioso.
In particolare non può non segnalarsi, la decisione quadro del 200521 del
Consiglio dell’Unione Europea. I presupposti della stessa sono molteplici: in primis,
l’esistenza stessa della criminalità organizzata è il profitto economico; in secundis, è
necessaria un’armonizzazione delle varie legislazione degli Stati membri, al fine di
affrontare il crescente contesto globale e mantenere l’efficacia delle misure
patrimoniali, con particolare riguardo al congelamento, al sequestro e alla confisca
dei proventi di reato.
Muovendo da queste linee-guida, la decisione quadro ha stabilito22:
-
che gli Stati membri devono introdurre la possibilità di mitigare, nell’ambito
del diritto penale, civile o fiscale, l’onere della prova per quanto concerne l’origine
dei beni detenuti da una persona condannata per un reato connesso con la criminalità
organizzata;
-
che debbono essere adottate misure volte a contemperare l’esigenza di
richiedere, a chi abbia commesso un reato, di documentare l’origine legittima dei
presunti effetti o proventi confiscabili, con i principi del diritto nazionale (con
particolare riguardo al diritto di difesa) la natura dell’azione giudiziaria;
-
che gli Stati membri non possano formulare o mantenere alcuna riserva
riguardo alle disposizioni relative alla confisca, se il reato è punito con una pena
privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata
superiore ad un anno;
-
che deve essere assicurato, da parte di tutti gli Stati membri, l’adozione di
norme efficaci che disciplinino la confisca dei proventi di reato, con la previsione del
reciproco riconoscimento, nell’ambito dell’Unione Europea, delle decisioni di
confisca dei proventi di reato e di ripartizione dei beni confiscati.
Continuando l’analisi della legislazione comunitaria in materia, non si può
non rilevare l’importanza fondamentale della direttiva 60/2005/CE relativa alla
prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di
attività criminose e di finanziamento del terrorismo.
21
decisione quadro 2005/212/gai 24/2/2005 Europa
R. Di Legami, Le misure di prevenzione patrimoniali. Normativa italiana e codice antimafia, Exeo,
ottobre 2011.
22
21
Le premesse da cui muove tale direttiva sono le seguenti: i paesi dell’Unione
Europea devono vietare il riciclaggio di proventi illeciti e il finanziamento del
terrorismo; questo perché il potere delle mafie si consolida sempre più non solo
tramite estorsioni, usura, traffico di droga e sfruttamento della prostituzione, ma
anche tramite attività imprenditoriali per mezzo delle quali vengono riciclate grandi
quantità di denaro a disposizione della criminalità mafiosa: In altri termini, “Il
riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali è uno dei più insidiosi canali di
contaminazione tra il lecito e l’illecito. Per i criminali è un passaggio essenziale,
senza il quale il potere d’acquisto ottenuto con il crimine resterebbe solo potenziale,
utilizzabile all’interno del circuito illegale, ma incapace di tradursi in potere
economico”23.
La direttiva definisce come "riciclaggio di capitali" gli atti commessi
intenzionalmente e miranti a:
-
convertire o trasferire beni provenienti da un'attività criminale al fine di
occultare o dissimulare la loro origine illecita;
-
occultare o dissimulare la natura, l'origine, l'ubicazione, la disposizione, il
movimento o la proprietà reali di beni essendo a conoscenza che tali beni
provengono da un’attività criminosa;
-
acquisire, detenere o utilizzare dei beni essendo a conoscenza che provengono
da un'attività criminale;
-
partecipare ad una delle attività di cui sopra o aiutare qualcuno ad eseguirle.
Per "finanziamento del terrorismo", la direttiva intende la fornitura o la raccolta
di fondi per commettere una delle infrazioni definite nella decisione quadro
2002/475/GAI del Consiglio sulla lotta contro il terrorismo, come per esempio la
cattura di ostaggi, la falsificazione di documenti amministrativi e la direzione di un
gruppo terroristico.
Il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato un ulteriore decisione quadro24 nel
2006, la quale disciplina l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento
delle decisioni di confisca, specificando anche il procedimento di cooperazione.
23
Busà – La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese, XIII rapporto di Sos Impresa,
Aliberti, 2011, op. cit., 135.
24
Decisione quadro 2006/783/gai 6/10/2006
22
Si tende quindi a facilitare la cooperazione tra gli stati membri in materia di
reciproco riconoscimento ed esecuzione delle decisioni di confisca dei proventi
illeciti, in modo che uno stato membro esegua nel proprio territorio le decisioni di
confisca adottate da un tribunale competente in materia penale di un altro stato
membro, precisando che le decisioni da eseguire siano da un lato sempre prese in
conformità dei principi di legalità, sussidiarietà e proporzionalità e dall’altro che
siano comunque garantiti i diritti fondamentali accordati alle parti o ai terzi
interessati in buona fede.
Quando oggi si richiama la “normativa antiriciclaggio”, si fa riferimento
unicamente alla terza direttiva e, nello specifico, al d.lgs 21 novembre 2007, n.231
che ne costituisce l’applicazione.
Mediante tale atto normativo, si è realizzata la perfetta simmetria tra i dati
contenuti nell’archivio dei rapporti e i dati ottenibili mediante i poteri ispettivi
concessi dalla normativa in materia d’imposta sui redditi e Iva. Si accenna, inoltre,
che l’art. 2, quarto comma, del D.L 138/2011 (la c.d. “manovra di ferragosto”), a
decorrere dal 13 agosto 2011, ha ridotto da un importo pari o superiore a € 5.000 a un
importo pari o superiore a € 2.500 il limite indicato nei commi 1, 5, 8, 12 e 13
dell’art. 49 del d.lgs 21 novembre 2007, n. 23125.
Al fine di evitare il riciclaggio, di tutelare l’integrità del sistema e di assicurare la
correttezza dei comportamenti da parte dei soggetti interessati, la normativa si
preoccupa di far emergere un’idea fondamentale: quella di far collaborare
attivamente tutti i soggetti destinatari che rappresentano, in sostanza, gli “agenti” al
servizio della legalità26.
25
F. CARRIOLO, “Come cambiare l’accertamento. Le novità 2012 dopo le manovre anti crisi”,
Gruppo 24 ore, 2011.
26
R. DANOVI, “La nuova normativa antiriciclaggio e le professioni”, Giuffrè Editore, 2008.
23
1.4 Le analisi economiche sulla mafia: la criminalità organizzata come
svantaggio competitivo.
Gli studi del Censis datati 1985 e 2003.
Il fenomeno mafioso, oltre che materia di studio per gli esperti del campo
giuridico, è stato al centro di analisi effettuate anche da altre scienze sociali,
all’interno delle quali si contraddistinguono le analisi di stampo sociologico ed
economico.
Tali studi hanno infatti mostrato come la mafia e, in generale, il fenomeno della
criminalità organizzata debbano essere letti come un fenomeno polimorfico, un
prisma a molte facce, presentando aspetti sia criminali che sociali, economici, politici
e culturali27.
Di conseguenza, isolare uno di questi aspetti e ritenerlo rappresentativo dell’intero
fenomeno o attribuirgli una prevalenza sugli altri, come spesso avviene, è
un’operazione gratuita e fuorviante.
Infatti considerati singolarmente, ognuno di questi aspetti non riesce a spiegare
questioni fondamentali quali la causa e lo sviluppo28 del fenomeno.
Ciò ha portato a considerare una necessità la maggior interdisciplinarietà come
caratteristica fondante le analisi future, per meglio far fronte ai continui mutamenti di
contesto che una realtà viva e attiva, come il fenomeno mafioso, comporta29.
Se ciò è vero per l’avvenire, è comunque indubbio che i lavori passati si siano
inseriti in un contesto di generale sottovalutazione del fenomeno mafioso, riuscendo
ad alimentare il dibattito degli studiosi ed evidenziando problematiche reali.
In campo economico, la prima analisi di rilievo è costituita dall’analisi del Censis,
pubblicata nel 198530, che prende in considerazione l’arco temporale dal 1980 al
1984.
L’allora presidente del Censis, Gino Martinoli, ha condotto uno studio con
l’intento di valutare le dimensioni economiche dell’illecito in Italia, pur premettendo
27
U.Santino, Dalla Mafia alle Mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, Rubettino ,2006, p. 246 ss.
U.Santino, La mafia come soggetto politico. Ovvero: la produzione mafiosa della politica e la
produzione politica della mafia, in G. FIANDACA – S. COSTANTINO (a cura di), La mafia, le
mafie, Laterza, 1994, p.121.
29
U.Santino, Dalla Mafia alle Mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, cit., p. 185 ss.
30
CENSIS, Dossier “illecito”, “Quindicinale di note e commenti”, n.4, 1985.
28
24
che lo stesso è stato condotto con metodo “puramente indiziario, basato su
valutazioni in parte arbitrarie, soggettive, affidandosi in qualche caso ad accertamenti
indiretti ed impiegando parametri opinabili, di dubbia utilità, diversa da caso a
caso”31.
Martinoli ipotizza una distinzione tra varie fattispecie di reato: da una parte il
furto, le estorsioni e le frodi, che comportano un trasferimento di ricchezza da un
individuo o gruppi di individui ad altri; dall’altro attività criminali che costituiscono
un servizio inteso a soddisfare esigenze più o meno latenti e avvertite da gruppi non
rilevanti (traffico di droga, gioco d’azzardo clandestino, prostituzione).
Le varie attività, secondo la stima proposta dall’autore, avrebbero fruttato un
valore compressivo tra 100.000 e 150.000 miliardi di lire all’anno, stando ai valori
medi della lira negli anni 1982-1984.
Il numero degli addetti all’industria del crimine si sospettava oscillasse tra il
mezzo milione e il milione di persone, pari al 2,50% e al 5% della popolazione attiva
italiana.
Questi dati appaiono ancora più impressionanti se si osserva che nei decenni
successivi a questo primo Rapporto Censis, il fenomeno non si ridimensiona affatto,
al contrario secondo un ulteriore studio, effettuato sempre dal Censis, datato 2003
riguardante gli anni immediatamente precedenti, si rileva che la presenza delle mafie
nel mezzogiorno sottrarrebbe addirittura il 2,5% del Prodotto Interno Lordo
nazionale annuo.
Dal Rapporto del 1985, bisogna aspettare fino al 1992 affinché si abbiano altri
studi economici sulla materia; in particolare, nell’ottobre del 1992 la Società Italiana
degli economisti ha dedicato una sessione della riunione scientifica annuale proprio
all’economia parallela del crimine organizzato32.
Tali studi giungono con ben 25 anni di ritardo rispetto ad analisi dello stesso
genere sviluppatisi negli Stati Uniti d’America, dove l’interesse degli economisti per
31
CENSIS, Dossier “illecito”, cit, p.9
Gli atti del Convegno sono stati pubblicati nel volume Mercati illegali e mafie. L’economia del
Crimine organizzato (a cura di ZAMAGNI S.), il Mulino, Bologna, 1993.
32
25
il crimine organizzato comincia già alla fine degli anni ’60 e si lega alle attività delle
agenzie istituzionali, come le Commissioni Presidenziali33.
Tra i lavori d’oltreoceano è da menzionare in primis il lavoro di T.C.Schelling,
economista e professore dei più prestigiosi college statunitensi , che partendo
dall’assenza di studi economici sui fenomeni quali il proibizionismo degli alcolici, il
racket e il gambling, illustrò l’utilità di un’analisi economica del crimine, poiché
aiutava nella valutazione dei costi e delle perdite dovute alle imprese criminali e, di
conseguenza, aiutava a capire in che modo le leggi dovessero essere modificate al
fine di minimizzare gli effetti negativi per l’economia sana causati dal crimine.
I lavori della sessione della riunione scientifica annuale della Società Italiana
degli Economisti, supra menzionata, sono raccolti in varie relazioni, tra le quali, in
queste sede, preme menzionare è la relazione di G.M. Rey, docente di Politica
economica e finanziaria all’Università Torvergata di Roma. Lo studio verte sui
risvolti sul mercato del lavoro dei rapporti tra attività legali e attività illegali.
Il mercato del lavoro, secondo l’autorevole studioso, è tripartito in tutta Italia: vi
sono il mercato legale, quello meramente irregolare e, infine, quello specificamente
illegale. Tale tripartizione soprattutto nel Mezzogiorno è particolarmente rilevante
per via dell’eccesso di offerta di lavoro: “La situazione del Mezzogiorno
dimostrerebbe che, di fronte ad un processo che amplifica il reddito ricavabile
dall’economia illegale, si crea una saldatura tra economia illegale e irregolare (per
cui la prima si confonde nella seconda), e questa convergenza è favorita dalla
presenza di istituzioni sovente proiezioni del sistema clientelare e che, in quanto tali,
incorporano i valori del modello di redistribuzione invece dei valori del modello di
mercato34.
Tuttavia, il fulcro dell’incontro degli economisti è il rapporto mafia-sviluppo. In
questo senso, M. Centorrino, docente d’economia presso l’Università di Messina,
sostenne la tesi secondo cui la presenza di economie mafiose è causa di ritardi e
condizionamenti sullo sviluppo delle economie locali35.
33
Per una rassegna della letteratura e dell’attività delle agenzie istituzionali degli Stati Uniti cfr.
SANTINO U. – LA FIURA G., l’impresa mafiosa,F. Angeli, Milano, 1990.
34
REY G.M., Analisi economica ed evidenza empirica dell’attività illegale in Italia, in ZAMAGNI S. (a
cura di), op. cit., p.19.
35
CENTORRINO M. – SIGNORINO G., Criminalità e modelli di economia locali, in ZAMAGNI S. (a cura
di), op. cit., p.75 ss.
26
L’economia mafiosa, a detta dell’autore, si regge su tre pilastri: il sistema delle
estorsioni, utile a garantire il controllo del territorio e quindi il controllo del consenso
elettorale; lo scambio tra voti ed l’inserimento nei flussi della spesa pubblica; il
traffico di droga finanziato dai proventi delle estorsioni e dalla “quota” di spesa
pubblica “catturata”.
Nei suoi lavori successivi, Centorrino afferma come “la criminalità organizzata
finisce con il costituire una vera e propria istituzione, con una capacità più o meno
estesa e pervasiva di stabilire norme interne ed esterne e di assicurarne l’osservanza
sul territorio.
L’istituzionalizzazione del fenomeno criminale produce inoltre effetti sul
funzionamento dei sistemi economici che “ospitano” l’impresa criminale. Essa ha un
effetto depressivo sugli investimenti, in quanto modifica il comportamento degli
attori economici36” frenando lo sviluppo.
Questa tesi si è rivelata fondata, nonostante sia stata da alcuni non condivisa37, e
fotografa realisticamente la realtà nel momento in cui si passa ad analizzare gli
investimenti compiuti in Italia negli anni 2000-2005. Premettendo che in quegli anni
l’Italia è stata destinataria solo del 4% degli investimenti esteri in entrata dell’Unione
Europea, cifra che già di per sé la pone in fondo alla griglia, notevolmente superata
da Germania, Gran Bretagna e Francia.
36
CENTORRINO M.- SIGNORINO G.- LA SPINA A., il nodo gordiano, Criminalità mafiosa e sviluppo del
Mezzogiorno, Laterza, Roma, 1999.
37
SANTINO U. , Dalla mafia alle mafie, cit., p. 200. La tesi del Centorrino è stata parzialmente critica
e rivalutata dal Santino e da altri economisti, che partendo da un’analisi congiuntamente micro e
37
macroeconomica, cercano di rivedere l’equazione mafia = sottosviluppo . L’analisi macroeconomica
da questi effettuata porta a conclusioni ben differenti: infatti confermerebbe sì la tendenza negativa
di sviluppo di territori ad alta presenza mafiosa, ma evidenzierebbe come anche in questi territori
operano imprese di successo, capaci di adattarsi positivamente al contesto, nascendo e rimanendo
imprese sane nonostante la presenza del la criminalità organizzata. Dal punto di vista
microeconomico, il crimine organizzato influenza le scelte localizzative e il comportamento delle
imprese, benché studi statistici evidenzino come la criminalità organizzata sia posta al sesto posto tra
gli ostacoli all’attività d’impresa secondo gli stessi imprenditori, superata dall’inefficienza delle
amministrazioni, dalla carenza di infrastrutture, il costo del lavoro, le difficoltà di accesso al credito, il
peso della fiscalità.
27
Tale cifra, per di più, si è concentrata maggiormente nelle regioni del Centronord, come evidenziano le percentuali della tabella38:
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino Alto Adige
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Liguria
Emilia Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Centro-Nord
Sud
11,36
0,00
68,21
0,49
4,15
0,12
0,70
3,75
1,90
0,78
0,04
7,84
0,06
0,01
0,16
0,16
0,16
0,02
0,02
0,06
99,34
0,66
Una forte presenza mafiosa, quindi, costituisce effettivamente una barriera
all’ingresso in un dato mercato territoriale, finendo per neutralizzare spinte
concorrenziale già “a monte”, e dirottando gli investimenti in altri mercati
potenzialmente meno economici, ma nel quale vi è una presenza mafiosa nulla o
assente.
Ma l’effetto distorsivo della presenza mafiosa continua ad avvertirsi anche nel
funzionamento del mercato. In tal senso, è utile mostrare i dati raccolti dal Censis nel
2007 tra gli imprenditori delle regioni meridionali:
Fattori di “distorsione”
2003
2006
Aumento improvviso delle imprese concorrenti
36,30%
48,90%
Aumento dell’imposizione di manodopera
5,80%
15,10%
Aumento dell’imposizione di forniture
4,10%
13,20%
Appalti sempre più irregolari
20,00%
45,30%
Racket molto o abbastanza diffuso
25,60%
33,10%
Usura molto o abbastanza diffusa
14,50%
39,20%
38
Fonte: Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno, 2007
28
In conclusione, si hanno i dati per affermare che nelle realtà del Mezzogiorno il
crimine organizzato comporta un “costo sociale” che si ripercuote sull’intera
collettività, minando i meccanismi del mercato, creando monopoli, incrementando i
costi di produzione, alterando la struttura dei prezzi, incidendo sul gettito fiscale, con
l’aggravamento dell’evasione e della depressione economica e l’istituzione di un
fisco parallelo, appesantendo i conti pubblici.
Il lavoro degli economisti si è concentrato anche tra il peso del fattore criminalità
organizzata sull’economia sommersa, ossia quell’economia legale che sfugge al
controllo e alle rilevazioni della pubblica amministrazione a causa dell’evasione
fiscale (c.d. “sommerso d’impresa”) nonché della mancata osservanza della
normativa previdenziale e giuslavorista (c.d. sommerso di lavoro).
In un recente articolo de “Il Sole 24 Ore”39 il sommerso complessivo in Italia
equivale a 420 miliardi di fatturato, di cui 170 riguardano l’economia mafiosa e al
suo interno, al primo posto, il ricavo del traffico di stupefacenti.
Nessuna attività imprenditoriale ha guadagni di questo tipo. Il volume dei traffici
di droga è in costante espansione a causa dell’aumento contestuale dell’offerta
dovuta all’aumento della produzione e della domanda dei cittadini-consumatori che
in Italia superano il milione.
Da questi studi un dato può considerarsi acquisito: economia legale e economia
criminale non sono realtà separate ma sono piuttosto degli insiemi che si intersecano,
con confini indefiniti e le conseguenze negative sono tanto dovute all’introduzione
nei mercati del metodo mafioso, quanto piuttosto nel favorire lo sviluppo delle
attività di tipo parassitario rispetto a quelle di tipo produttivo, con effetti
destabilizzanti nei diversi settori dell’economia e nelle diverse aree di mercato40.
L’intreccio tra crimine ed economia però non è inevitabile né incurabile. La
legalità come valore di mercato e la sicurezza come investimento pubblico sono le
strade per uscire dall’impasse: la crescita economica da sola non basta perché se essa
non è inserita in una struttura trasparente e competitiva e in un sistema pubblico
efficiente rischia di essere vulnerabile. Da qui l’esigenza di strumenti sempre più
efficaci nell’aggredire il patrimonio e la potenza economica della mafia.
39
Il Sole 24 ore, Quattrocento miliardi illegali, 6 luglio 2009, 1 e 2- 3.
D. Masciandro. – A. Pansa, La farina del diavolo. Criminalità, imprese e banche in Italia, Baldini
& Castoldi, Milano, 2000.
40
29
1.4.1 XIII Rapporto annuale di Sos Impresa
Il Rapporto annuale Sos Impresa Le mani della criminalità sulle imprese è giunto
alla sua tredicesima edizione. Nato come documento di denuncia delle condizioni di
lavoro e di impresa nel Sud Italia, nel corso del tempo è diventato uno strumento di
studio e lavoro anche per importanti organismi istituzionali e per altri centri di studio
e ricerca. Il raggio di osservazione sul peso dell'economia criminale è stato esteso
all'intero territorio nazionale e ai diversi comparti produttivi. I numeri e le analisi
contenute nel rapporto si basano sulle testimonianze dirette degli associati di Sos
Impresa operanti sul territorio, cui si aggiungono le dichiarazioni delle vittime di
estorsione e usura ai nostri sportelli e in sede giudiziaria. Ciò rende il Rapporto un
documento unico nel suo genere41. Faremo, anche, un quadro delle attività illegali di
stampo economico-mafioso, allo scopo di dimostrarne la potenza finanziaria e la
grande liquidità di denaro disponibile. Da qui la definizione di "Mafia Spa"42,
adottata per la prima volta nel Rapporto del luglio 2006 ed entrata ormai nel gergo
comune.
I Risultati:
Secondo i dati ufficiali forniti dal ministero dell’Interno, dal maggio 2008 al 31
dicembre 2010, sono stati 7.519 gli affiliati a cosche mafiose arrestati. Ben 30.561 i
beni sequestrati per un valore complessivo di 15,10 miliardi di euro e 6.029 quelli
confiscati per un valore di 3.096 miliardi di euro. Tale situazione dimostra come
arresti e sequestri dei beni, seppure importanti, non possono essere considerati
indicativi di una sconfitta delle mafie. Boss e capi continuano a dare ordini anche dal
carcere. Come disse Giovanni Falcone “non bastano l’arresto, la condanna, la
41
Lino Busà – Bianca La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese: XIII rapporto di sos
impresa, Introduzione di Marco Venturi, Aliberti, 2011.
42
Busà – La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese, op. cit., 19.
Si parla di impresa mafiosa o mafia spa, quale fattispecie particolare di impresa illecita, in cui si
manifesta la tendenza delle associazioni mafiose a svolgere attività produttive e commerciali, per lo
più ad oggetto lecito, e finanziarie, mediante l’utilizzo di ingenti capitali di provenienza illecita. Sul
concetto di impresa mafiosa vd. l’approccio problematico di G. FIANDACA, Le misure di
prevenzione (profili sostanziali), in Dig. disc. pen., VIII, Torino, 1994.
30
conclusione di inchieste giudiziarie, nonché la collaborazione di alcuni boss per
potere parlare di fine del fenomeno mafioso”43.
Non abbiamo un bilancio d’esercizio della Mafia Spa, ma se, come ogni grande
impresa, ne venisse redatto uno ci troveremo di fronte a un fatturato da capogiro e ad
utili per decine di miliardi di euro. Il bilancio si compone delle voci delle maggiori
attività illecite poste in essere dalle organizzazioni mafiose, come il traffico di
stupefacenti, uno dei mercati illeciti più redditizio per qualsiasi associazione
criminale. Altro fonte è quello che riguarda l’immigrazione irregolare, il quale,
secondo le cifre fornite dal Ministero dell’Interno negli anni 2004-2007 sono stati
circa 216.000 gli irregolari entrati in Italia (circa 78.000 via mare, circa138.000via
terra)44. Un trend che, oggi anche a causa delle crisi politiche che hanno colpito il
Nord Africa e il Medio Oriente, è in crescita, incrementando così i lavoratori in nero.
Per quanto riguarda il calcolo dei compensi per i fiancheggiatori, le cifre sono
state ricavate dalla Direzione investigativa Antimafia, grazie al ritrovamento di
pizzini in cui era annotato il libro mastro di stipendi e oneri di vario genere (tra i
quali spese legali per i detenuti). I compensi oscillano di molte migliaia di euro, circa
60.000 euro per i api e reggenti cosca, 25.000 euro l’anno per gli affiliati e circa
10.000 euro annui per i fiancheggiatori45. Per quest’ultimi si intende tutti coloro che
vanno dal libero professionista al prestanome, chiunque attraverso la propria attività
favorisce quella di un clan, fino al giovane, anche minorenne, o alla casalinga, che
svolgono attività di vedetta. Il loro numero varia in base ai periodi di espansione di
un clan in un determinato territorio. Mentre, in media, sono circa 230/240.000 le
persone coinvolte, a vario titolo, in attività di supporto. Il giro d’affari è di oltre 137
miliardi di euro e l’utile di oltre 104 miliardi di euro, di cui oltre 65 miliardi di euro
in denaro contante. Per capire l’ordine di grandezza delle cifre facciamo il confronto,
a titolo d’esempio, con gli utili relativi all’anno 2010 dell’Enel (4,4 miliardi di euro),
della Telecom (3,21 miliardi di euro) e della FIAT Spa (442 milioni i euro)46.
Tutto ciò è sleale e le reazioni a questa concorrenza possono essere, denunciare gli
abusi o pagare in silenzio. A pagare sono spesso imprenditori onesti che, però, non
43
Busà – La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese, op. cit., 27.
Busà – La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese, op. cit., 44.
45
Busà – La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese, op. cit., 45.
46
Busà – La Rocca, Le mani della criminalità sulle imprese, op. cit., 49.
44
31
sempre trovano la forza per sottrarsi al crimine. Invece, l’imprenditore colluso, paga
le tasse della mafia e dal clan riceve protezione e favori, primo fra tutti
l’eliminazione della concorrenza. Purtroppo, questo tipo di imprenditoria, fortemente
presente nelle zone meridionali, sta prendendo piede anche nel Nord Italia.
CAPITOLO SECONDO: Le misure di carattere patrimoniale
Sommario: 2.1 La strategia di contrasto alla ricchezza della criminalità organizzata.
- 2.2 I presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali:
modifiche della novella 2008 recepite nel codice delle leggi antimafia. – 2.3 Le
indagini patrimoniali: natura giuridica, tipo e modalità. – 2.4 Il sequestro. – 2.5 La
confisca: tipi, regime, oggetto e problematiche. – 2.5.1 La confisca ex art. 2 ter ed ex
art 3 quinquies l. 575/65. – 2.6 La sospensione temporanea dall’amministrazione dei
beni. – 2.7 La sproporzione tra redditi dichiarati e ed attività economica e valore dei
beni sequestrati. – 2.7.1 L’onere della prova dell’origine illecita.
Le argomentazioni che andremo a trattare in questo capitolo riguardano le misure di
prevenzione di carattere patrimoniale, dirette ad evitare la commissione di reati da
parte di determinate categorie di soggetti considerati socialmente pericolosi.
Esamineremo, in dettaglio, sequestro e confisca, quali strumenti di contrasto alla
criminalità organizzata di tipo mafioso.
2.1 La strategia di contrasto alla ricchezza della criminalità organizzata
La storia della criminalità organizzata dimostra come la stessa abbia
sviluppato, con il tempo, una spiccata capacità imprenditoriale unita ad un’estrema
flessibilità nell’adeguarsi alle evoluzioni del mercato economico. In quest’ottica, la
criminalità organizzata ha avviato da tempo forme di collaborazione, o partenariati,
all’interno e all’esterno del territorio dell’Unione, sia con singoli che con altre reti di
32
crimine organizzato, per foraggiare la sua struttura illecita, sfruttando la libera
circolazione di capitali, merci, persone e servizi.
Il legislatore italiano, quindi, ha preso atto da tempo che l’unico modo per
contrastare efficacemente il crimine organizzato è costituito dal contrasto
patrimoniale.
Le misure adottate nel corso del tempo hanno avuto un duplice scopo: in
primis, di contrasto all’accumulo della ricchezza mafiosa; in secundis, di garantire la
stessa sopravvivenza dell’ordinamento democratico costituito.
Infatti, in un contesto dove la criminalità organizzata sposta immense
ricchezze, gli effetti distorsivi non riguardano più solo la tutela dell’ordine pubblico,
per i reati che vengono posti in essere, e dell’ordine economico, con riferimento
all’alterazione della regole del mercato, alla tutela della concorrenza fra imprenditori
o della trasparenza. Piuttosto ad essere pesantemente influenzati sono le prerogative
dell’individuo, come ad esempio il diritto di voto e la libera manifestazione del
pensiero.
In altri termini, con il denaro le organizzazioni di tipo mafioso acquistano
mass-media, entrano nella gestione di enti finanziari, condizionano i meccanismi del
consenso elettorale del voto. Insomma, la ricchezza mafiosa mette a rischio la
sopravvivenza della democrazia, mette in pericolo i diritti e le libertà di ciascuno di
noi.
Nel 2000, la Gazzetta ufficiale della Comunità europea ha pubblicato un
importante documento che riguarda la “Prevenzione e controllo della criminalità
organizzata – Strategia dell’Unione Europea per l’inizio del nuovo millennio”.
L’impostazione criminologica del contenuto di tale documento è radicalmente
diversa rispetto all’intero impianto del nostro codice penale improntato alla tutela
della ricchezza nelle sue fasi della produzione (reati contro l’industria, il
commercio), della circolazione (reati per la tutela del contratto, della moneta), fino
alla fase finale del godimento della ricchezza (reati contro il patrimonio)47.
Dalla lettura di tale documento si rileva che durante il Consiglio europeo di
Tampere (Finlandia) del 15 e 16 ottobre 1999 si è arrivati ad affermare il diritto dei
47
A. Laudati, La tutela penale nei confronti della ricchezza mafiosa, in Le misure di prevenzione
patrimoniali dopo il “pacchetto sicurezza”, a cura di F. Cassano, Roma, 2009, p. 221.
33
cittadini comunitari a veder affrontata, da parte dell’Unione, quella minaccia alla loro
libertà e ai loro diritti giuridici costituita dalle forme più gravi di criminalità.
Il livello della criminalità organizzata, infatti, è in aumento in tutta l’Europa,
come emerso dalle relazioni annuali sulla situazione della criminalità organizzata
redatte dagli Stati membri che attestano i molteplici modi in cui la criminalità
organizzata si sta infiltrando in molti aspetti della società.
In questo senso, si è sottolineata la pressante esigenza di uno sforzo comune,
da parte di tutti gli Stati membri, allo scopo di prevenire e combattere il crimine e la
criminalità organizzata nell’intera Unione. Tale attività congiunta e di contrasto deve
in primo luogo effettuarsi attraverso una mobilitazione congiunta di forze di polizia e
strutture giudiziarie che garantiscano una funzione repressiva che impedisca i
fenomeni di occultamento dei reati all’interno del territorio dell’Unione.
Sempre nella stessa sede si è sottolineato come si debba effettuare un
contemperamento tra l’esigenza di un approccio efficace e globale nella lotta contro
qualsiasi forma di criminalità e la necessaria ed imprescindibile tutela della libertà e
dei diritti giuridici delle persone e degli operatori economici.
2.2 I presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali:
modifiche della novella 2008 recepite nel codice delle leggi antimafia
Le misure patrimoniali, prima del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92,
convertito nella legge 24 luglio 2008, n. 125, presupponevano l’applicazione della
misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale che l’art. 3 della legge n.
1423/1956 subordina ad una prognosi di pericolosità sociale del soggetto proposto.
La Corte Costituzionale ha precisato che si deve effettuare la valutazione
della concreta manifestazione dell’attività mafiosa e che i presupposti di fatto sui
quali fondare la prognosi di pericolosità, devono essere previsti dalla legge e, perciò,
passibili di accertamento giudiziale.
Quindi devono essere legislativamente descritti i comportamenti che
costituiscono il presupposto del giudizio di pericolosità, nonché i reati di riferimento
di tale giudizio.
34
L’art. 2 ter della legge n.575/1965, invece, nell’imporre l’applicazione di una
misura di prevenzione ai soggetti indiziati di commettere determinati reati, non
descrive in alcun modo i comportamenti che dovrebbero costituire i presupposti di
fatto del fondamento del giudizio di pericolosità, ma si limita ad indicare l’oggetto
della prognosi, cioè il reato che, in base ad un giudizio di probabilità, potrebbe essere
commesso dal soggetto in questione.
In altri termini la disposizione in esame specifica i reati in relazione ai quali
valutare la pericolosità, ma non indica, però, i fatti concreti, i comportamenti dai
quali dedurre la possibilità che il soggetto indiziato possa commettere tali reati, sui
quali, insomma, fondare la prognosi richiesta.
Ciò è conseguenza di una concezione che ritiene sufficiente la specificazione
dei reati, dei quali si teme la consumazione, per delimitare in qualche modo il tipo di
condotte che possono venire in questione in quanto rivelatrici del pericolo di
commissione di quei reati.
Si tratta, in ogni modo, di una tecnica alquanto indiretta e vaga di descrizione
dei presupposti di fatto del giudizio di pericolosità, che rimette alla discrezionalità
del giudice la scelta e la valutazione dei comportamenti in conseguenza dei quali
applicare la misura preventiva: in sintesi, siamo in presenza di una tecnica di
normazione, sulla quale si fonda l’intervento penale, scarsamente conforme al
principio di legalità.
In realtà le misure di prevenzione patrimoniali non sono fondate sulla
‘pericolosità’, intesa come pericolo della commissione di futuri reati, ma piuttosto
sulla sussistenza di indizi circa l’attuale commissione di determinati reati48, in
particolare per quanto concerne l’associazione a delinquere di stampo mafioso; un
orientamento giurisprudenziale consolidato afferma che “la pericolosità, se non
presunta iuris et de iure, è “necessariamente implicita” nel soggetto in
un’associazione
mafiosa,
perciò
è
sufficiente
fornire
gli
indizi
relativi
all’appartenenza per desumerne la pericolosità”49.
Le modifiche al sistema delle misure di prevenzione introdotte nel nuovo
millennio hanno acuito i contrasti con i canoni garantistici sanciti dalla Costituzione
in tema di libertà personale.
48
49
Cass., 11 febbraio 1997, Giuliano, in Cass. pen. , 1997, 2579.
Cass., 11 febbraio 1997, Giuliano, in Cass. pen. , 1997, 2579
35
La legge n. 125 del 2008 non si è sottratta al consueto intervento sul
martoriato e disarmonico corpo delle leggi che prevedono misure di prevenzione nei
confronti di persone pericolose per la sicurezza pubblica50.
Il sistema preventivo dovrebbe mirare a finalità di dissuasione dal crimine
con operazioni di carattere formativo ed educativo.
Invece appare che esso appronti sempre più mezzi di intervento di natura latu
sensu correttivo per cui la fisiologica funzione di deterrente lascia intravedere quella
patologica di succedaneo strumento di repressione snaturando la stessa funzione di
prevenzione.
Nel testo novellato dall’art. 10 della legge n.125/2008 viene consentita
l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 1 della legge 565/65, modificato dalla
legge 646/82, anche ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’art. 51, comma
3 bis, del c.p.p.587.
Si assiste, quindi, all’equiparazione del trattamento previsto per la mafia a
reati che, in senso stretto, non sono mafiosi col rischio di declassare il valore
simbolico di interventi specificamente calibrati sul più grave fenomeno piuttosto che
elevare la soglia di attenzione verso delitti, certamente gravissimi, ma che non
partecipano del dato di allarme costituito dal fine antistatuale, proprio delle
organizzazioni para-mafiose.
L’art. 11 ter della novella in esame ha abrogato l’art. 14 della legge n. 55 del
1990 che estendeva le disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575, concernenti
le indagini e l’applicazione delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale,
nonché quelle contenute negli articoli da 10 a 10-sexies della medesima legge, anche
ai soggetti indicati nei numeri 1) e 2) del primo comma dell’articolo 1 della legge 27
dicembre 1956, n. 1423, quando l’attività delittuosa da cui si ritenesse derivare
proventi era una di quelle previste dagli articoli 600, 601, 602, 629, 630, 644, 648-bis
o 648-ter del codice penale.
Con la novella del 2008 si rinuncia all’indagine sull’abitualità o meno delle
persone proposte a vivere di proventi illeciti derivanti da specifici reati; infatti, si
pone il richiamo al concetto di indiziato di reato quale fondamento ed esauriente
50
G. Mattencini, Modifiche in tema di prevenzione…cit., p. 127.
36
presupposto per l’irrogazione delle misure previste dalla legge anche ai soggetti, per
così dire, equiparati ai mafiosi.
Per la Cassazione, “ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione, il
giudizio di pericolosità, basato sull’avvenuta emissione di provvedimento restrittivo
della libertà personale per associazione a delinquere di stampo mafioso dell’imputato
e del successivo rinvio a giudizio, è insito nell’indizio di appartenenza ad
un’associazione mafiosa che si prefigge di realizzare e mantenere il controllo di
attività economiche attraverso la intimidazione sistematica e tale da creare una
situazione di assoggettamento e di omertà che rende difficile se non impossibile
l’intervento punitivo della Stato”51, si è fin da subito avvertito che la nozione di
indiziato rilevava solo ai fini processuali e non sostanziali sicché il soggetto non
poteva, a tale stregua, essere definito né colpevole né pericoloso52.
La novella legislativa, abrogando l’art. 14 della legge n. 55/1990, “ bypassa”
il richiamo all’abituale consumazione del crimine o al vivere abitualmente con i
proventi di un tal tipo di reati ed estende l’applicabilità di tutte le disposizioni della
legge n. 575/1965 agli indiziati dei reati di cui all’art.51,3-bis c.p.p.
La qualità di indiziato viene posta in relazione non già ad un comportamento
astrattamente e sia pure genericamente indicato come pericoloso ma all’essere, il
proposto, sospetto responsabile di uno degli indicati reati53.
2.3 Le indagini patrimoniali: natura giuridica, tipo e modalità
Nel procedimento di prevenzione patrimoniale sono previsti accertamenti ed
indagini da compiere in due fasi. Nella prima, quella più importante, su richiesta dei
titolari della proposta, le indagini e gli accertamenti, a norma dell’art. 2 bis della
legge n. 575/1965, sono dirette ad individuare la reale consistenza patrimoniale del
proposto e la provenienza dei beni al fine di valutare l’opportunità di una richiesta di
sequestro da sottoporre al tribunale competente.
51
Cass., sez. I, 29 aprile 1986, Gargano, in Cass. pen. 1987, 1815.
Secondo l’efficace ammonimento di P. Nuvolone, Misure di prevenzione, cit., p. 645, il quale così
spiega: “ritenere sufficiente tale posizione (quella di indagato) per applicare misure di prevenzione è
un controsenso: cosa si vuol prevenire se non si sa con sicurezza se ci si trova davanti a persona
appartenente a un’associazione mafiosa”?
53
G. Mattencini, Modifiche in tema di prevenzione, cit., p.132
52
37
Le ‘speciali indagini’, quindi, hanno carattere propedeutico rispetto alla
proposta di applicazione di una misura di indole patrimoniale. Esse riguardano
principalmente il tenore di vita del soggetto, le disponibilità finanziarie dello stesso,
l’accertamento in ordine al suo patrimonio, e devono avere anche per finalità
l’attività economica a lui facente capo nonché l’individuazione delle fonti di reddito.
Viene accertato, inoltre, se il proposto sia titolare di licenze, di autorizzazioni, di
concessioni o di abilitazioni all'esercizio di attività imprenditoriali e commerciali,
comprese le iscrizioni ad albi professionali e pubblici registri, se beneficia di
contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo,
comunque denominate, concesse o erogate da parte dello Stato, degli enti pubblici o
delle Comunità europee.
Le indagini si estendono anche nei confronti del coniuge, dei figli e di coloro
che nell'ultimo quinquennio hanno con lui convissuto nonché nei confronti delle
persone fisiche o giuridiche, società, consorzi od associazioni, del cui patrimonio il
medesimo soggetto risulta poter disporre in tutto o in parte, direttamente o
indirettamente. Il ventaglio delle indagini viene previsto in maniera così ampia da
coprire tutte le possibili forme di mascheramento.
Nella seconda fase, invece, poteri analoghi sono conferiti al tribunale, che,
come espressamente previsto dall’art. 2 ter della legge n. 575/1965 “ove necessario,
può procedere ad ulteriori indagini oltre quelle già compiute a norma” dell’art. 2 bis
della stessa legge54.
Le indagini sono compiute prevalentemente a mezzo di rilevamenti da
effettuarsi presso enti pubblici, archivi notarili, conservatorie dei registri immobiliari,
camere di commercio, cancellerie dei tribunali ed altri uffici giudiziari, società
finanziarie, banche, ecc.
In proposito è stato osservato55 che nei primi anni dopo l’introduzione della
Legge Rognoni-La Torre, e cioè dal settembre 1982 fino all’inizio degli anni ’90, i
patrimoni mafiosi erano costituiti principalmente da beni immobili (case e terreni),
ovvero da attività imprenditoriali (per lo più nel settore agricolo o in quello edilizio),
54
P.V. Molinari – U. Papadia, Le misure di prevenzione nella legge fondamentale, cit. pp. 474 ss.
G. Pignatone, Le infiltrazioni mafiose nell’economia - Le misure di prevenzione – La legge
125/2008
e
i
problemi
applicativi,
Palermo,
29-11-2008,
su
www.unipa.it/.../Pignatone%20%20misure%20di%20prevenzione.pdf -, p.20.
55
38
intestate direttamente agli appartenenti a Cosa Nostra o ai loro più stretti familiari,
cosicché fu relativamente facile innanzitutto individuarli e poi adottare
provvedimenti di sequestro e di confisca approfittando del fatto che i titolari di questi
beni avevano di solito dichiarato al Fisco redditi scarsamente significativi o
addirittura non avevano presentato dichiarazione dei redditi.
Da allora, però, i componenti delle organizzazioni mafiose sono corsi ai ripari
adottando nuovi accorgimenti tra cui:
- diversificazione delle modalità di investimento delle ricchezze illecitamente
accumulate riducendo in misura notevolissima l’acquisizione dei beni immobili e
privilegiando altre forme di ricchezza più difficilmente individuabili;
- continuo ricorso a prestanome estranei alla cerchia familiare, per i quali dunque
non valgono le presunzioni dell’art. 2 bis e seguenti della legge n. 575/1965;
- ricorso a complesse tecniche di occultazione dei movimenti denaro attraverso gli
accorgimenti suggeriti da una fitta rete di esperti delle tecniche commerciali,
tributarie, finanziarie e così via;
- intensificazione degli investimenti all’estero56.
Di fronte a questa nuova situazione le classiche indagini bancarie e
patrimoniali si sono rivelate scarsamente utili, rendendo opportuno procedere con
accertamenti ‘mirati’ rivedendo le stesse tecniche di indagini.
In questo senso, le indagini economico-patrimoniali, per essere davvero utili,
presuppongono una complessa attività investigativa, incentrata sull'individuazione di
imprese a rischio per la presenza di azionisti o finanziatori inseriti in organizzazioni
criminali ovvero di soggetti a questi legati da rapporti familiari, di clientela o di
affari, e sulla ricerca di indici di pericolosità come, ad esempio, la costituzione di
società di capitale a ristretta base azionaria e con capitale minimo, la partecipazione
societaria di soggetti, molto giovani o molto anziani, privi dei mezzi finanziari che la
giustifichino.
Così, in base all’esperienza concreta acquisita negli uffici giudiziari operanti
in territori ove è più rilevante la presenza di criminalità mafiosa è maturata, accanto
alla consapevolezza del valore strategico dell’aggressione ai patrimoni mafiosi,
56
G. Pignatone, Le infiltrazioni mafiose nell’economia, cit., p. 21; R. Scarpinato, Le indagini
patrimoniali, in Le misure di prevenzione patrimoniali dopo il “pacchetto sicurezza”, cit. pp.236-238.
39
anche la consapevolezza della necessità di utilizzare ai fini di questa aggressione
tutte le risultanze delle indagini eseguite nell’ambito del procedimento penale.
Invero, di fronte al livello di segretezza raggiunto dalle organizzazioni
mafiose, e alle cautele da esse adottate a protezione dei patrimoni illecitamente
acquisiti, la prova non può più essere raggiunta con semplici informative di polizia,
come avveniva una volta, ma solo con i più sofisticati strumenti offerti dal processo
penale: dichiarazioni di testimoni e di collaboratori di giustizia, intercettazioni
telefoniche e ambientali, indagini bancarie, patrimoniali, presso gli uffici della
Pubblica Amministrazione, ecc.57
Proprio con riferimento all’importanza delle intercettazioni telefoniche e
ambientali si sono raggiunti risultati estremamente positivi sia sull’individuazione di
molti prestanome degli esponenti mafiosi al di fuori della cerchia familiare, che
quindi non avrebbero mai potuto essere individuati, sia all’accertamento di attività
economiche apparentemente lecite facenti capo direttamente o indirettamente a
persone appartenenti all’organizzazione mafiosa, soggette dunque a sequestro e
confisca perché gestite con ‘metodi mafiosi’, cioè in modo tale da costituire ‘frutto di
attività illecita’ o ‘reimpiego’ delle stesse (art.2 ter comma 2, legge n. 575/1965).
2.4 Il sequestro
L’attuale legge n. 575/1965 prevede diverse tipologie di sequestro58:in primo
luogo l’art. 2 bis commi 4 e 5 disciplina il ‘sequestro anticipato o precauzionale’,
intendendo come tale quella misura reale adottata dal presidente del tribunale, prima
della fissazione dell’udienza di prevenzione, su richiesta del procuratore della
Repubblica, del questore o del direttore della D.I.A., qualora vi sia concreto pericolo
che i beni siano dispersi, sottratti o alienati.
Il presidente provvede, con decreto motivato, entro i cinque giorni successivi.
Il sequestro perde efficacia se il tribunale non lo convalida entro trenta giorni dalla
proposta. In ogni caso, esso viene revocato nell’ipotesi in cui non venga adottata la
57
G. Pignatone, Le infiltrazioni mafiose nell’economia... cit., p. 22.
F. Gambini, Le misure di prevenzione patrimoniali, in Le misure di prevenzione, cit,. a cura di F.
Fiorentin, Torino, 2006, pp. 298-300.
58
40
misura di prevenzione o risulti che il bene sia di legittima provenienza ovvero che
l’indiziato non possa disporne né indirettamente né direttamente.
Il successivo art. 2 ter, comma 2, prevede, invece, il c.d. ‘sequestro ordinario’
dei beni di cui il proposto “risulta disporre direttamente o indirettamente, quando il
loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta
ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi
siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”.
Possono costituire oggetto del sequestro e, poi, dell’eventuale confisca i beni
immobili e mobili, i mobili registrati, i crediti, le quote di società, l’azienda,
l’universalità di beni, i diritti reali e le azioni.
Il sequestro viene meno se non risultino sussistenti i presupposti posti a base
della sua adozione (art. 2 ter, comma 4); esso ha una durata limitata ad un anno
dall’inizio della sua esecuzione ed è prorogabile per un periodo uguale.
Il secondo periodo del comma 2 dell’art. 2 ter prevede il c.d. ‘sequestro
urgente’ dei beni i cui presupposti applicativi sono i medesimi rispetto a quelli
richiesti per il sequestro ordinario, a cui, però, si aggiunge l’ulteriore requisito della
particolare urgenza59. Inoltre, in base alle disposizioni previste dal codice di
procedura penale, il sequestro può essere:
- Probatorio ( ex art. 253 o 354 c.p.p.);
- Preventivo ( ex art. 321 c.p.p.);
- Conservativo ( ex art. 316 c.p.p.);
Si parla di sequestro probatorio quando si tende ad assicurare le fonti di
prova, in particolare ha ad oggetto il corpo del reato e le cose pertinenti al reato
necessarie per l’accertamento dei fatti. Quindi, per la legittimità dello stesso, non
necessita l’accertamento dei fatti, ma che sia ragionevolmente presumibile o
probabile attraverso elementi logici.
Il sequestro preventivo è quella misura con la quale si tende ad interrompere
l’iter criminoso o ad impedire la commissione di nuovi reati. Suoi presupposti sono il
fumus commissi delicti (l’astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata
ipotesi di reato) ed il periculum in mora ossia la probabilità di un danno futuro in
conseguenza dell’effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa che può
59
F. Gambini, Le misure di prevenzione patrimoniali, cit., p. 301.
41
derivare non solo dalla potenzialità della res, ma anche dalla semplice possibilità di
contribuire al perfezionamento del reato.
Il sequestro conservativo, infine, è preordinato ad evitare che vengano a
mancare o si disperdano le garanzie reali per il pagamento della pena pecuniaria,
delle spese di giustizia, delle obbligazioni civili nascenti dal reato. I beni, inoltre, non
possono essere confiscati quando trasferiti legittimamente, prima dell'esecuzione del
sequestro, a terzi in buona fede. “La norma non fa espresso divieto di compiere atti di
disposizione ma, nel connotare quelle attività con espressioni lessicali a contenuto
negativo e con il metterle in relazione ad un fine fraudolento, mostra di considerarle
azioni vietate, ancorché al loro compimento da parte del soggetto interessato non
consegua una sanzione ma un provvedimento afflittivo sostitutivo”60.
2.5 La confisca: tipi, regime, oggetto e problematiche
Nel nostro paese, la tradizionale confisca del profitto illecito, regolata come
misura di sicurezza dall’art. 240 c.p.61, si è trasfigurata nella ben più incisiva
confisca-misura di prevenzione62 : “un vero tipo emergenziale”63.
In una recente sentenza, le Sezioni Unite64 affermano, dapprima, che la
confisca antimafia (art. 2 ter legge n. 575/1965) costituisce una forma di
“espropriazione per pubblico interesse, identificato, quest’ultimo, nella generale
finalità di prevenzione penale”, poiché “non si tratta di un provvedimento di
prevenzione in senso stretto, ma piuttosto di sanzione amministrativa di carattere
ablatorio, equiparabile alla misura di sicurezza prescritta dal secondo comma
dell’art. 240 c.p.”65; infine, in un successivo passaggio si sottolinea “la natura di
60
G. Mattencini, Modifiche in tema di prevenzione…cit., p. 147.
Articolo 240: Confisca. Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che
servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.
62
Si fa riferimento non solo, agli artt. 2 bis e 2 ter della l. n. 575 del 1965 e ss. modd. e, quindi, all’art.
3 quater e 3 quinquies della medesima legge - istituti, dunque, del sottosistema patrimoniale della
prevenzione in senso stretto - ma, anche, al nuovo strumento penalistico disciplinato dall’art. 12 sexies
della legge n. 356 del 1992.
63
A. Mangione, in Politica del diritto e retorica dell’antimafia: riflessioni su recenti progetti di
riforma delle misure di prevenzione patrimoniali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, p. 1199, parla di
“… una solipsistica unilateralità della confisca antimafia e cioè a dire della sua preponderante
voracità, frutto, a ben vedere, di una logica politico-criminale tesa a massimizzare il risultato anche a
costo di entrare in conflitto con le altre branche dell’ordinamento giuridico”.
64
Cass., Sez. Un., 8 gennaio 2007 ( 19 dicembre 2006), n. 57, Auddino.
65
Posizione sostenuta dalla Suprema Corte nella sentenza Scuderi.
61
42
sanzione patrimoniale, riconosciuta alla nostra confisca, risposta ad una
acquisizione illecita di beni, situazione per sua natura in suscettiva di evoluzione”66.
Nel corso di questi anni, comunque, l’istituto della confisca ha subito profonde
trasformazioni.
In primis, sono state introdotte ipotesi di ‘confisca obbligatoria’ che
conseguono automaticamente alla commissione dei delitti di criminalità organizzata,
per cui nessuna facoltà discrezionale è concessa al giudice a dimostrazione che detta
misura è oggi sganciata dal presupposto della pericolosità sociale del soggetto
condannato.
Inoltre, è stata ampliata la gamma dei beni che può essere sottoposta a
confisca: originariamente poteva essere confiscato l’oggetto del reato e gli strumenti
con cui esso era stato utilizzato; successivamente è stata prevista la possibilità di
confiscare tutti i beni che costituiscono il prezzo, il prodotto, il profitto ed il
reimpiego del denaro provento di delitto. In tutti questi casi i beni ed il denaro
sequestrato sono comunque legati da nesso causale con il c.d. ‘reato fonte’.
Successivamente lo strumento della confisca è stato esteso alla c.d. ‘confisca
per equivalente’ in cui il giudice può confiscare nel patrimonio del condannato una
somma di denaro equivalente al danno cagionato attribuendo all’istituto una funzione
risarcitoria sia nei confronti della Stato sia nei confronti delle parti lese (esempio
tipico è costituito dalla legislazione in materia di usura).
Nella applicazione della confisca sono state introdotte delle esemplificazioni
probatorie in modo tale da attribuire all’accusa l’onere di dimostrare la commissione
di un reato, l’appartenenza di un bene al condannato e la sproporzione del bene
rispetto alle attività lecite. In tal caso spetterà alla difesa l’onere di dimostrare la
legittima provenienza del bene ed in mancanza di tale dimostrazione scatterà il
meccanismo della confisca obbligatoria
Da ultimo la confisca è stata resa obbligatoria nei confronti di tutti i beni
presenti nel patrimonio del soggetto, o comunque a lui direttamente o indirettamente
riconducibili, che risultano sproporzionati al reddito dichiarato o lecitamente
acquisito. In questi casi non è più necessario un nesso causale tra il reato ed il bene,
ma la confisca assume una funzione di ‘pena accessoria’ nei confronti di soggetti
66
Cass., Sez. II, 28 marzo 1996, n. 1438, Olivieri, richiamata nella sent. n. 57/2007, Auddino, cit.
43
condannati che si presume svolgano professionalmente un’attività delinquenziale di
criminalità organizzata e che, conseguentemente, si sono arricchiti con le attività
delittuose commesse67.
La maggior parte dei commentatori ritiene la confisca antimafia una misura di
prevenzione a carattere patrimoniale e sottolinea che essa, applicata insieme alla
misura personale, “ ha la sola funzione di spezzare il legame tra il soggetto ed il suo
patrimonio che, essendo stato acquisito in modo illecito, costituisce una
manifestazione ulteriore di pericolosità” 68.
2.5.1 La confisca ex art. 2 ter ed ex art 3 quinquies l. 575/65
La legge n. 575/1965, come novellata nel 2008, prevede diversi tipi di confisca,
disciplinati dall’art. 2-ter (contestuale, successiva, differita e per equivalente) e
dall’art. 3-quinquies (ipotesi relativa all’applicazione della misura della sospensione
temporanea dei beni).
Si
ha
confisca
c.d.
‘contestuale’
quando
questa
viene
applicata
contestualmente all’applicazione della misura di prevenzione personale prevista dal
comma 3 dell’art. 2-ter della legge citata ed ha ad oggetto i beni sequestrati “dei
quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza”.
Di norma, quindi, la confisca è contestuale all’applicazione della misura di
prevenzione personale, anche se non segue automaticamente alla stessa, in quanto è
necessaria anche la mancata dimostrazione da parte dell’interessato della legittima
provenienza dei beni sequestrati.
La confisca ‘successiva’ all’applicazione della misura di prevenzione
personale è prevista sempre dal comma 3 dell’art. 2-ter: nel caso di indagini
complesse, infatti, il provvedimento può essere emanato anche successivamente
all’applicazione della misura di prevenzione personale, entro un anno dalla data
dell’avvenuto sequestro; tale termine può essere prorogato di un anno con
provvedimento motivato del tribunale.
67
A. Laudati, La tutela penale nei confronti della ricchezza mafiosa, in Le misure di prevenzione
patrimoniali dopo il “pacchetto di sicurezza”, cit. pp. 227-228.
68
C. e V. Macrì, La legge antimafia, Napoli, 1983, p.115.
44
Il problema principale relativo ai limiti temporali entro cui il provvedimento
di confisca va adottato è stato risolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
(sentenza Madonia) che hanno statuito che la procedura finalizzata al sequestro ed
alla confisca antimafia “può essere legittimamente iniziata anche successivamente
all’applicazione di una misura di prevenzione personale, purché in costanza della
sua esecuzione, restando in tali ipotesi indifferente il momento in cui la procedura si
conclude, ben potendo il provvedimento ablatorio intervenire dopo la cessazione
della misura personale, purché nel rispetto del termine perentorio di cui all’art. 2ter”69.
Le conclusioni delle Sezioni Unite nella suddetta sentenza, però, non sono
state accolte dalla dottrina che, anzi ne hanno criticato la portata in quanto,
accogliendola, si rischierebbe di consentire la confisca dei beni nei confronti di un
soggetto che deve presumersi non più socialmente pericoloso, essendo cessata la
misura personale di prevenzione disposta nei suoi confronti con conseguente
possibile violazione dell’art. 42 della Costituzione, posto che nessun motivo di
interesse generale giustificherebbe tale ‘espropriazione’70.
Il legislatore ha previsto esplicitamente al successivo comma 6 dell’art. 2-ter
la c.d. confisca ‘differita’ stabilendo che i provvedimenti possono essere adottati,
quando ne ricorrano le condizioni, anche dopo l’applicazione della misura di
prevenzione, ma prima della sua cessazione.
In proposito, la Corte costituzionale, ha escluso ancora una volta una nuova
deroga al necessario collegamento tra misure personali e misure patrimoniali nel
senso che le prime sono il presupposto per l’applicazione delle seconde: ha
dichiarato manifestamente inammissibile, per la necessità di rispettare la
discrezionalità di cui gode in materia il legislatore, la questione di legittimità
costituzionale dei commi 3, 4 e 6 dell’art. 2-ter sollevata in riferimento agli artt. 3,
41, comma 2 , e 42, comma 2 Cost., nella parte in cui non consentono di disporre la
confisca dei beni, dei quali si accerti l’illecita provenienza, in caso di rigetto della
proposta di applicazione della misura di prevenzione personale per cessazione della
69
Cass. Sez. Un., 7 febbraio 2001, Madonia, in Cass. Pen., 2001, p. 2047, confermata da ultimo da
Cass. Sez. VI, 16 maggio 2005, n. 22477, in Ced.
70
L. Filippi, Il procedimento di prevenzione patrimoniale, Padova, 2002, p. 459.
45
pericolosità sociale del proposto successiva all’acquisizione illecita dei beni ed
antecedente alla decisione.
Infine la novella del 2008 ha introdotto nel sistema delle misure di
prevenzione patrimoniali la possibilità di procedere alla confisca per equivalente: si
richiede una sorta di dolo specifico e cioè che i comportamenti del proposto volti a
distruggere, occultare o svalutare i beni siano realizzati allo specifico fine di sottrarre
i beni al sequestro e alla confisca; se il bene ha perso valore per mancanza di lavori
di manutenzione a causa di mera incuria, colpevole o incolpevole, ma non finalizzata
a frustrare la confisca, non dovrebbe essere possibile applicare questa forma di
confisca71. La confisca del valore equivalente, quale strumento che consente di
superare le manovre fraudolente del proprietario volte a sottrarre specifici beni alla
confisca, può assumere significato solo laddove si accoglie l’orientamento più
garantista in base al quale la confisca ex art. 2 ter può colpire solo singoli beni
rispetto ai quali sia stato accertato dall’accusa il carattere sproporzionato o l’origine
illecita.
2.6 Sospensione temporanea dall’amministrazione dei beni
La sottrazione di beni di provenienza illecita risponde ad una plurima
esigenza di tipo sanzionatorio, repressivo e preventivo, in quanto tutta l’operazione è
finalizzata ad evitare l’ulteriore utilizzazione, ad opera della persona socialmente
pericolosa, di ricchezze illecite volte ad accrescere la capacità delinquenziale.
Gli artt. 3-quater e 3-quinquies della legge n. 575/1965 consentono, il primo,
la temporanea sospensione dall’amministrazione dei beni utilizzabili per lo
svolgimento di attività economiche quando si abbia motivo di ritenere che tale
svolgimento possa anche solo agevolare l’attività delle persone nei cui confronti è
stata applicata o soltanto proposta una misura di prevenzione personale ovvero delle
persone semplicemente proposte a procedimento penale per taluno dei delitti previsti
dagli artt. 416-bis, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter del codice penale, e non
ricorrano i presupposti di applicabilità delle misure di prevenzione di carattere
71
A. M. MAUGERI, La riforma delle sanzioni patrimoniali: verso un’ actio in rem?, cit., pp.33-36.
46
personale; il successivo, art. 3-quinquies prevede, che quegli stessi beni possano
essere confiscati sempre che si abbia motivo di ritenere che siano il frutto di attività
illecite o ne costituiscano il reimpiego72.
La misura della sospensione temporanea dall’amministrazione dei beni è stata
introdotta dal legislatore nel corpo della legge n. 575 del 1965 ad opera dell’art. 24
del D.l. n. 306 del 1992, dopo che ben scarsa applicazione aveva avuto la misura
della sospensione provvisoria dall’amministrazione dei beni disciplinata dagli artt.
22, 23 e 24, della legge. n. 152/1975, peraltro tuttora in vigore.
Quest’ultima misura, applicabile soggettivamente sempre a persone
pericolose per la sicurezza pubblica, ha come ambito oggettivo di applicazione
quello dei soli beni personali, essendo esclusi quelli destinati all’attività
professionale o produttiva.
Proprio al fine di superare la limitatezza della sospensione provvisoria, il
legislatore ha ritenuto di introdurre la misura della sospensione temporanea
dall’amministrazione dei beni, modificando altresì l’ambito oggettivo e soggettivo
dell’istituto, allo scopo evidente di rendere più efficace uno strumento ritenuto
indispensabile ai fini della lotta alla criminalità mafiosa.
I destinatari della misura della sospensione non sono solo coloro che risultano
essere indiziati di appartenere all’associazione mafiosa, ma anche soggetti sospettati
di svolgere un’attività economica, comprese quelle imprenditoriali, il cui esercizio
sia sottoposto a condizioni di intimidazione o di assoggettamento da parte
dell’associazione mafiosa stessa, o che possa, comunque agevolare l’attività delle
persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una misura di
prevenzione personale.
D’altra parte, poiché l’attenzione del legislatore si è rivolta a colpire i
patrimoni e le attività economiche di cui i soggetti mafiosi possono in qualche modo
avvalersi o comunque utilizzare per porre in essere la loro criminale attività, e
mancando un preciso riferimento in ordine alla titolarità di detti beni, la misura della
sospensione temporanea può essere applicata “ non solo a coloro che comunque
siano in qualche modo legati alla criminalità, ma anche alle vittime dei reati mafiosi
72
A. Gialanella, I patrimoni di mafia, cit., pp. 174-175.
47
(in particolare, per esempio, ai soggetti passivi delle ipotesi di estorsione) sia pure al
fine di impedire la commissione o la reiterazione di tali delitti”73.
Con l’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione della misura, il
legislatore pare aver attuato un arretramento della soglia minima per dare avvio alle
indagini ed aver, altresì, abbassato la soglia di punibilità prevedendo l’applicazione
della sospensione a soggetti che non sono neppure indiziati di appartenere
all’organizzazione mafiosa.
Coglie, quindi, nel segno quella dottrina che ha visto in tale misura il “punto
di equilibrio più avanzato e assai vicino ad un momento di rottura”74 del sistema
della prevenzione in riferimento ai meccanismi di aggressione dell’economia illecita,
fondato sulla necessità di colpire beni e patrimoni che risultino comunque legati ad
attività di tipo criminale, indipendentemente dalla posizione del titolare degli stessi.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 487/199575 rintracciava il
fondamento giustificativo di tale misura di prevenzione patrimoniale nella
sostanziale
colpevolezza
del
titolare
dell’attività
economica,
desumibile
dall’obiettiva commistione di interessi tra attività impresa ed attività mafiosa.
Infatti sanciva che “deve escludersi che tali persone si trovino in una
situazione di sostanziale incolpevolezza, essendo invece consapevoli - data
l’obiettiva commistione di interessi tra attività di impresa ed attività mafiosa
denunciata dagli elementi che fanno ritenere che quei beni siano frutto di attività
illecita o ne costituiscano il reimpiego - delle conseguenze che possono derivare
dalla scelta di svolgere un’attività che presenta connotazioni agevolative degli
interessi mafiosi, sicché gli effetti del provvedimento ablatorio si riflettono sui beni
di un soggetto certamente non estraneo nel quadro della complessiva gestione del
patrimonio mafioso”.
73
F. Gambini, Le misure di prevenzione patrimoniali, cit., p. 276; in tal senso anche P.V. Molinari –
U Papadia, Le misure di prevenzione nella legge fondamentale,...cit. p. 658
74
A. Gialanella, I patrimoni di mafia, cit., p.177
75
Corte cost. 20 novembre 1995, n. 487, in Cass. pen., 1996, p. 1063
48
2.7 La sproporzione tra redditi dichiarati ed attività economica e valore dei beni
sequestrati
Il momento fondamentale della strategia di contrasto alla criminalità organizzata
è rappresentato dall’aggressione ai patrimoni di origine illecita.
Il legislatore, a tal proposito, ha delineato due strumenti essenziali, operanti uno
nell’ambito del procedimento penale e l’altro in quello di prevenzione, quali la
confisca dei beni nei confronti76:
- dei condannati per determinati reati tra cui quello di associazione di tipo mafioso
ex art. 12 sexies della legge 356/92;
- degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso ex art. 2 bis della
legge 575/65.
Il problema della prova della provenienza illecita dei beni è stato risolto dal
nostro legislatore con l’art. 2 ter della legge base 575/65 in base al quale il Tribunale
ordina il sequestro dei beni “quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito
dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti
indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano frutto di attività illecite o ne
costituiscano il reimpiego”.
La differenza del valore tra i beni sequestrati e quelli confiscati è essenzialmente
riconducibile al meccanismo introdotto dalla legge 575/65 su cui si fonda la pretesa
ablatoria.
In sintesi, la norma prevede che sia proposto il sequestro e che tale
provvedimento sia disposto dall’autorità giudiziaria in presenza di una sproporzione
tra i beni posseduti dall’indiziato di mafia ed i redditi dichiarati o di indizi di illecita
provenienza; la confisca, invece, è disposta solo per quei beni di cui l’indiziato non
ha potuto dimostrare la legittima provenienza.
76
P. Lanzillotti, Chiudere il cerchio. Il fenomeno mafioso, la sua vocazione economica ed il contrasto
normativo con particolare riferimento all’aspetto finanziario, Rubbettino Editore, 2004.
49
2.7.1 L’onere della prova dell’origine illecita
Sul dibattito circa la sufficienza o meno del solo requisito della sproporzione
di valore o sulla necessità della concorrente dell’illecita provenienza dei beni77, la
legge del 2008 ha definitivamente chiarito la piena efficacia dei due requisiti78.
In realtà una lettura più attenta della legge comporta che l’autonomia del
requisito della sproporzione del valore patrimoniale rispetto a quello della
provenienza illecita dei beni, attenga al diverso itinerario probatorio imposto
all’accusa. Mentre nel primo caso opera una presunzione relativa di illecita
provenienza dell’incremento patrimoniale, in maniera analoga al significato del
requisito nell’ambito della confisca “allargata”, nel secondo la ricerca di sufficienti
indizi al fine del sequestro svolge una funzione distinta e, a volte, vicaria in caso di
mancata sproporzione di valore patrimoniale.
Per la ricostruzione della provenienza illecita dei beni è necessario che
sussistano “sufficienti indizi”, che si distinguono da quelli necessari79, tant’è che il
riscontro della provenienza illecita dei beni non è in grado di fondare il giudizio di
pericolosità personale80.
77
S.Gialanella, Un problematico punto di vista sui presupposti applicativi del sequestro e della
confisca di prevenzione dopo le ultime riforme legislative e alla luce della recente giurisprudenza di
legittimità, in FIANDACA-VISCONTI (a cura di), Scenari di mafia, Torino, 2012
78
Il primo inciso del 3° comma dell’art. 2 ter, nei termini modificati dai recenti interventi normativi
(ad opera dell’art. 10, 1°co., lettera d, n.2 del d.l.23.5.2008, n. 92, come coordinato con la legge di
conversione del 24.7.2008, n. 125), esplicitamente prevede che con l’applicazione della misura di
prevenzione, il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati, dei quali il soggetto non possa
giustificare la legittima provenienza e di cui abbia la titolarità o la disponibilità “in valore
sproporzionato al proprio reddito , dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla propria attività
economica, nonché dei beni che risultino essere il frutto di attività illecite o ne costituiscano il
reimpiego”.
79
Secondo l’orientamento costante della giurisprudenza (Cass., sez. II, 23.6.2004, Palumbo ed altri, in
Mass. uff. n. 229724; cass., sez V, 28.3.2002, Ferrara ed altri, in Mass. uff. 221681)
80
Peraltro gli indizi e le presunzioni relativi alla provenienza illecita, come indicato dalla
giurisprudenza (in particolare, da Cass., sez I, 18.5.1992, Vincenti d altro, CP, 1993, 2377) devono
essere concreti, validi ed ancorati a concrete circostanze che non siano contrastate da elementi contrari
ed inerenti a ciascun bene.
50
CAPITOLO TERZO: La tutela dei diritti dei terzi nella legislazione antimafia
Sommario: 3.1 La disciplina vigente prima del codice antimafia. – 3.2. I diritti dei
terzi e categorie di terzi. - 3.2.1 Il criterio selettivo della buona fede. - 3.2.2 I titolari
di diritti reali di garanzia. – 3.3 I terzi proprietari e altre categorie di terzi: nuove
norme introdotte dal d.lg 6.9.2011 n.159. – 3.4 La confisca e la tutela dei terzi. - 3.5
La destinazione dei beni confiscati e la tutela dei terzi. – 3.5.1 Alcuni casi concreti. –
3.6 Ultimi interventi e prospettive di riforma: conclusioni.
Nel corso del terzo capitolo di questa tesi, prenderemo in esame la tutela dei
terzi soffermandoci anche sulla destinazione e il riuso dei beni confiscati,
procedimento piuttosto complesso con il quale si cerca di restituire ai cittadini quei
beni che illegittimamente sono stati sottratti o con il quale, i beni confiscati, vengono
trasformati in attività gestite da giovani e da associazioni che si ripropongono per
finalità sociali o di pubblico interesse.
3.1 La disciplina vigente prima del codice antimafia
La tutela dei terzi è senz’altro una fra le questioni più delicate nella materia
della prevenzione, quindi il rapporto che l’Amministrazione deve mantenere con i
terzi che vantino diritti nei confronti del proposto, in relazione ai beni sottoposti a
sequestro81. Essa trae origine dal presupposto che i beni oggetto delle misure
patrimoniali possono essere di proprietà anche di soggetti diversi dai destinatari delle
stesse.
Risale al 1998 l’istituzione della “Commissione per la ricognizione e il
riordino della normativa di contrasto della criminalità organizzata”, presieduta da
Giovanni Fiandaca, il cui progetto di riforma conclusivo prevedeva anche una
dettagliata regolamentazione degli effetti del sequestro e della confisca nei riguardi
dei terzi. Quest’ultimo, nel 2007 è stato richiamato nello schema di disegno di legge
delega al Governo «per l’emanazione di un testo unico delle disposizioni in materia
81
P. Molinari-U. Papadia, Le misure di prevenzione nella legge fondamentale e nelle leggi antimafia,
Milano, 1994, 433 ss.
51
di misure di prevenzione», laddove si sollecitava l’introduzione di un iter
procedimentale che consentisse di dare spazio a tutte le istanze provenienti dai
soggetti a qualunque titolo interessati dalle singole misure di prevenzione,
contemperando tale esigenza con quella, altrettanto evidente, di rendere agile e celere
la procedura medesima.
Segnali davvero concreti del risveglio legislativo per la posizione dei terzi
sono stati il d.l. 23/05/2008, n. 92 (c.d. pacchetto sicurezza per contrastare fenomeni
di illegalità diffusa collegati alla criminalità organizzata), che ha aggiunto al citato
art. 2 ter, fra gli altri, il 10°, 13° e 14° co., e il d.l. 4/02/2010, n. 4, che ha modificato
l’originario 5° co. del medesimo articolo82.
Esso ha stabilito una nuova disciplina della materia dell’amministrazione e
della destinazione dei beni sequestrati, con l’intento di soddisfare la prioritaria
esigenza di rendere rapido ed effettivo l’utilizzo dei patrimoni illeciti, in vista della
realizzazione di finalità istituzionali e sociali.
Peraltro, si è inteso anche perfezionare la tutela dei terzi titolari di diritti reali
nell’ambito del procedimento di prevenzione, con l’aggiunta, alla fine dell’art. 2 ter,
5° co., dei seguenti periodi: «Per i beni immobili sequestrati in quota indivisa, o
gravati da diritti reali di godimento o di garanzia, i titolari dei diritti stessi possono
intervenire nel procedimento con le medesime modalità al fine dell’accertamento di
tali diritti, nonché della loro buona fede e dell’inconsapevole affidamento nella loro
acquisizione. Con la decisione di confisca il tribunale può, con il consenso
dell’amministrazione interessata, determinare la somma spettante per la liberazione
degli immobili dai gravami ai soggetti per i quali siano state accertate le predette
condizioni. Si applicano le disposizioni per gli indennizzi relative alle espropriazioni
per pubblica utilità. Le disposizioni di cui al terzo e quarto periodo trovano
applicazione nei limiti delle risorse disponibili per tale finalità a legislazione
vigente».
Il riconoscimento della tutela a favore dei soggetti indicati veniva subordinato
all’accertamento, da compiersi davanti al giudice della prevenzione, dell’esistenza
82
Balsamo-Contraffatto-Nicastro, Le misure patrimoniali contro la criminalità organizzata, Milano,
2010.
52
dei diritti da essi affermati, della loro buona fede e dell’inconsapevole affidamento
da essi riposto nella loro acquisizione.
3.2 I diritti dei terzi e categorie di terzi.
In materia di prevenzione, si è propensi a fornire tutela a quanti in buona fede
abbiano contratto rapporti giuridici con il mafioso confidando, per il soddisfacimento
dei diritti maturati, nel suo patrimonio, e quindi anche nei beni sottoposti a sequestro.
Ovviamente per terzi debbono intendersi coloro che non sono parti del
rapporto giuridico generato dalla pretesa dell’Erario, e dal conseguente sequestro di
prevenzione. Si fa riferimento alla c.d. opponibilità, intesa come la possibile
incidenza degli effetti di quella pretesa nella sfera giuridica dei terzi83, con la
precisazione che spesse volte un atto ed il rapporto che ne scaturisce, normalmente
inopponibili ai terzi, per l’ordinamento divengono opponibili ai terzi c.d. in mala
fede (si pensi a coloro che contrattano con l’illegittimo possessore conoscendo
l’illegittimità del possesso).
Tra le varie categorie di terzi la dottrina distingue i terzi in senso assoluto,
cioè i titolari di diritti autonomi ed incompatibili con la pretesa dello Stato alla
confisca dei beni (i terzi proprietari del bene che si ritengano sostanzialmente nella
disponibilità del proposto, nonché con i titolari di un diritto reale di godimento sul
bene), dai terzi in senso relativo, cioè da coloro che siano titolari di diritti comunque
connessi con la posizione giuridica e con i diritti del soggetto proposto per la misura,
distinti costoro poi tra i creditori dell’indiziato di mafia ed i suoi aventi causa, cioè i
titolari di diritti dipendenti da quello dell’indiziato di mafia84 (gli aventi causa e i
creditori del proposto per un titolo anteriore al provvedimento di prevenzione).
Riguardo ai primi (terzi in senso assoluto), ai sensi dell’art 2-ter l. n.
575/1965, coloro ai quali risultino appartenere i beni in sequestro debbono essere
83
F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, 1978, p. 260 ss.
Facendo riferimento al negozio giuridico, la dottrina civilistica, G. Mirabelli, Dei contratti in
generale, in Commentario del codice civile, Torino, 1980, distingue i terzi estranei al negozio, ma
partecipi dell’interesse, la cui posizione è subordinata a quella della parte, dai terzi interessati la cui
posizione giuridica è indipendente e incompatibile con gli effetti del negozio, dai terzi normalmente
indifferenti, ma che possono essere legittimati a reagire, quando risentano un particolare pregiudizio
dagli effetti del negozio.
84
53
citati , in modo tale che il giudizio, sulla effettiva disponibilità dei beni in capo al
proposto si svolga nel loro contraddittorio.
3.2.1 Il criterio selettivo della buona fede
Esigenze di effettività della prevenzione patrimoniale hanno indotto dottrina e
giurisprudenza a rimarcare il rischio che il mafioso, accendendo in epoca non
sospetta pegni o ipoteche sui beni frutto o reimpiego di attività illecite, possa
sfuggire alla confisca e possa procurarsi, anzi, attraverso i prestiti bancari, danaro
fresco di provenienza lecita, da occultare o reimpiegare in modi ineccepibili. Per far
fronte alle ragioni di effettività della sicurezza sociale, si sottolinea, quindi, come il
criterio ispiratore della tutela dei terzi debba essere quello della buona fede, nel senso
che, mentre i terzi di buona fede possono avvantaggiarsi dei diritti scaturiti dai
rapporti giuridici intrattenuti con il mafioso, quelli compartecipi, o semplicemente
consapevoli dell’illiceità dell’altrui condotta, possono persino condividere con il
mafioso la responsabilità, penale o civile, che scaturisce dall’attività illecita.
Lo stato soggettivo di buona fede individua quindi la ragione di tutela del
diritto del terzo (c.d. principio dell’affidamento) e, insieme, costituisce il limite entro
cui può essere assicurata tutela al terzo.
La buona fede va intesa con riferimento al principio che nelle obbligazioni
opera talvolta come obbligo etico di comportamento onesto, e che costituisce fonte
d’integrazione negoziale e criterio di valutazione dell’agire sotto il profilo di un
obbligo da osservare. Allora si fa riferimento al rapporto di funzionalizzazione tra il
credito e l’attività criminosa (buona fede oggettiva); ovvero con riferimento alla
situazione psicologica di ignoranza della lesione dell’altrui diritto, importante per
valutare una situazione preesistente alla quale, nel sistema del codice civile, sono
connessi importanti effetti in tema di possesso, di acquisto a non domino, di
usucapione abbreviata, e così via. Allora si fa riferimento alla mancata conoscenza
della qualità di soggetto indiziato mafioso dell’interlocutore contrattuale (buona fede
soggettiva).
54
A ben vedere, il riferimento ad un’accezione tutta soggettiva del criterio della
buona fede riduce significativamente l’ambito dei soggetti tutelabili, escludendo in
particolare coloro che, pure estranei all’attività illecita, sono a conoscenza della
stessa (si pensi, ad es., ai lavoratori dipendenti dell’imprenditore mafioso). Si coglie
così appieno il senso del recente importante intervento delle Sezioni Unite penali
della Cassazione, che, dopo aver osservato che “il concetto di estraneità è stato
variamente inteso nella giurisprudenza di legittimità, essendo stato interpretato,
talora, nel senso della mancanza di qualsiasi collegamento, diretto o indiretto, con la
consumazione del fatto-reato, ossia nell’assenza di ogni contributo di partecipazione
o di concorso, ancorché non punibile e, altre volte, nel senso che non può
considerarsi estraneo al reato il soggetto che da esso abbia ricavato vantaggi e
utilità”, ha condiviso quest’ultima posizione ed ha assunto che non può tutelarsi il
diritto del terzo allorquando costui abbia tratto vantaggio dall’altrui attività
criminosa; ed anzi ha ritenuto che, in una simile evenienza, deve riconoscersi la
sussistenza di un collegamento tra la posizione del terzo e la commissione del fattoreato. In tal modo, la Corte ha opinato “a favore della tesi secondo cui non può
reputarsi estranea al reato la persona che abbia ricavato un utile dalla condotta illecita
del reo, come si verifica, appunto, qualora sulle cose che rappresentano il provento
del reato sia stato costituito il diritto di pegno a garanzia di un proprio credito”. Il che
vale a dire che i terzi hanno “l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta
valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che essi sono tenuti a fornire la
dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di
‘appartenenza’ e di ‘estraneità al reato’, dalle quali dipende l’operatività della
situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato”; come
pure hanno l’onere di provare la mancanza di collegamento del proprio diritto con
l’altrui condotta delittuosa, ovvero l’affidamento incolpevole, nel caso in cui tale
collegamento sussista.
55
3.2.2 I titolari di diritti reali di garanzia
Tra i terzi che debbono essere citati in giudizio ci sono i titolari di diritti reali
di garanzia sui beni sottoposti a sequestro. Il sequestro di beni gravati da pegno o da
ipoteca è del tutto legittimo, poiché il vincolo, diretto a rendere indisponibile la res, è
imposto per esigenze di giustizia, quali sono quelle relative alla tutela della
collettività che, sebbene pregiudizievoli per il soggetto titolare del diritto, vanno
necessariamente soddisfatte. Allora la maggior parte degli immobili confiscati in via
definitiva risulta gravata da ipoteche costituite prima del sequestro di prevenzione ex
art 2 ter l. 575/1965. I terzi che vantano diritti reali hanno l’onere di provare sia la
titolarità della cosa, il cui titolo deve essere costituito da un atto di data anteriore alla
confisca, sia la mancanza di collegamento del proprio diritto con l’altrui condotta
delittuosa.
In base ad un orientamento giurisprudenziale la tutela dei terzi di buona fede
deve avvenire innanzi al tribunale della prevenzione con le forme dell’incidente di
esecuzione ai sensi dell’art. 665 e ss. c.p.p.85
Il terzo, titolare dei beni sequestrati, che non sia stato chiamato a partecipare a
procedimento può proporre incidente di esecuzione. Nei confronti dei terzi di cui non
risultava l’appartenenza dei beni la confisca è irrevocabile e prevale su eventuali
acquisti in buona fede o sulla titolarità di diritti reali di garanzia.
85
S. Mazzarese – A. Aiello, op. cit. , 471.
56
3.3 I terzi proprietari e altre categorie di terzi: nuove norme introdotte dal d.lg
6.9.2011 n.159
La disciplina stabilita dal codice antimafia si ispira ai principi della legge
delega e agli orientamenti giurisprudenziali prima affermati e poi consolidatisi negli
ultimi anni.
Ai soggetti terzi che risultino proprietari o comproprietari dei beni oggetto
delle misure patrimoniali, sono specificamente dedicate le norme di cui agli artt. 2326.
In vista di una maggiore efficacia dell’azione di contrasto alla criminalità
organizzata, il legislatore italiano ha da sempre previsto l’applicazione delle misure
del sequestro e della confisca indipendentemente dalla titolarità formale piena od
esclusiva della res, e quindi anche nei riguardi dei beni che si trovano nella
disponibilità solo indiretta dell’indiziato mafioso – «di cui questi risulti avere la
disponibilità a qualsiasi titolo», secondo la più recente formulazione del codice
antimafia.
È proprio tale ampiezza di operatività della prevenzione patrimoniale che
implica di regolare il coinvolgimento dei diritti di terzi soggetti, titolari dei beni
colpiti dalle misure o di posizioni giuridiche attive in stretta relazione con gli stessi.
L’art. 23 del decreto in esame, prevede, per i terzi proprietari e comproprietari
dei beni sequestrati, nonché per i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento
sui beni medesimi, un sollecito intervento nella procedura di applicazione della
misura, mediante partecipazione ad apposita udienza camerale. In quella sede essi
potranno spiegare le proprie ragioni e, con l’eventuale assistenza di un difensore essi
potranno esercitare il diritto di difesa.
I terzi proprietari conseguiranno la restituzione del bene già oggetto di
sequestro qualora il Tribunale non abbia accertato i presupposti per disporne la
confisca, come disciplinata dall’art. 24. Invece, ai titolari di diritti reali o personali di
godimento, al di fuori delle ipotesi di intestazione fittizia contemplate dall’art. 26,
spetterà la liquidazione dei diritti medesimi secondo le norme dettate dagli artt. 60 e
61.
57
Diversa problematica afferisce agli altri terzi, distinti dai formali intestatari
dei beni sequestrati, che affermino la titolarità di pretese di natura obbligatoria nei
riguardi dell’indiziato mafioso, oppure di posizioni giuridiche connesse con i beni
oggetto delle misure patrimoniali. È il caso, ad esempio, del diritto reale di garanzia
costituito sulla res oggetto di sequestro prima e di confisca poi.
Secondo la giurisprudenza recente, la tutela di questa categoria di terzi, a
fronte dell’azione esfoliativa intrapresa dallo Stato si è articolata intorno ad alcuni
elementi, quali: la natura derivativa dell’acquisto conseguente al provvedimento di
confisca; la opponibilità dei diritti vantati in virtù del principio della priorità della
trascrizione dei relativi titoli; la condizione di buona fede, da intendersi come non
conoscenza, o non conoscibilità alla stregua della diligenza imposta dal caso
concreto, del collegamento fra il proprio diritto e l’altrui condotta delittuosa.
3.4 La confisca e la tutela dei terzi
La tutela dei terzi deve realizzarsi in pendenza di sequestro: il giudice
delegato, insieme all’amministratore, deve valutare nel corso della gestione di un
giudizio la posizione dei terzi che vantano crediti o comunque assumono posizioni in
contrasto con la pretesa ablatoria dello Stato. Successivamente deve realizzarsi sul
piano sostanziale quando deve pronunciarsi la confisca.
Con riferimento alla posizione dei terzi intestatari di beni sequestrati (i c.dd.
“intestatari fittizi” o “prestanome”), si tratta pur sempre di terzi, i quali hanno una
posizione da far valere di fronte al tribunale: la legge prevede la loro citazione86.
Il terzo viene considerato un soggetto che si cita se si è in condizioni di farlo,
soprattutto se l’ufficio rileva che il bene è intestato al terzo. La legge consente
l’aggressione del bene ufficialmente intestato al terzo solo ove “risulti”87 che il
prevenuto possa disporne.
Esistono delle categorie nei confronti delle quali la legge prevede alcune
presunzioni. Prima del “pacchetto sicurezza” la Cassazione ha individuato tra i
86
S. Mazzarese – A. Aiello, Le misure patrimoniali antimafia, Milano, Giuffrè, 2010.
Il termine “risulta” fa riferimento ad un livello probatorio abbastanza elevato, che la Cassazione ha
assimilato a quello della “prova”.
87
58
soggetti destinatari delle indagini patrimoniali i soggetti nei cui confronti operi una
presunzione di fatto circa la fittizia intestazione dei beni. Il coniuge, i conviventi
dell’ultimo quinquennio e discendenti sono attinti da questa presunzione, per cui i
beni intestati a costoro vengono sequestrati e si realizza una sorta di inversione di
onere della prova, ovvero saranno queste persone a dovere dimostrare la non fittizietà
dell’intestazione. Il “pacchetto sicurezza” introduce un’ulteriore presunzione, che
prevede che nei confronti dei parenti sino al sesto grado si presume la fittizietà
dell’intestazione. A fronte di questa presunzione il terzo deve provare che non c’è la
fittizia intestazione per evitare la confisca.
Riguardo agli eredi, vi è la possibilità di aggressione dell’erede nel caso di
morte del prevenuto. L’erede è anche un terzo, il quale per definizione non ha nulla a
che vedere con le vicende criminali del de cuius, e tuttavia subisce il procedimento se
questo è iniziato. Oggi l’erede può subire un sequestro di beni entro cinque anni dalla
morte del de cuius.
3.5 La destinazione dei beni confiscati e la tutela dei terzi
La competenza di seguire l’intero procedimento è del Commissario, in modo
da ottimizzare l’utilizzo dei beni confiscati. Commissario straordinario del Governo
per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali è
Antonio Maruccia. Le procedure amministrative che si concludono con la
destinazione a fini sociali dei beni immobili confiscati sono complesse ed implicano
problematiche di diversa natura: dalla carenza di fondi per le opere di ristrutturazione
necessarie a renderli agibili, alla tutela di posizioni giuridiche soggettive quali quelle
dei creditori in buona fede, alle occupazioni abusive o ad altri ostacoli di natura
giuridica o economica.
Gli attori del complesso procedimento sono tanti: i tribunali che dispongono
il sequestro dei beni, le Prefetture che, oggi, a seguito delle recenti modifiche
legislative, sono divenute responsabili del provvedimento finale di destinazione dei
beni, l’Agenzia del Demanio che continua a svolgere il delicatissimo compito della
gestione dei cespiti, della valutazione degli stessi e dell’espressione del parere sulla
59
destinazione ed infine gli Enti locali chiamati alla gestione diretta, o tramite
associazioni, del bene una volta assegnato.
L’esperienza insegna, inoltre, che, soprattutto quando si tratta di beni
aziendali, questi sono soggetti a perdere valore economico già nella fase del
sequestro giudiziario, quando non vengono amministrati con criteri manageriali e con
la dovuta competenza e professionalità. Spesso, poi, accade che passino molti anni
tra il sequestro e il provvedimento di confisca con il quale il bene entra nel
patrimonio dello Stato. Allora compito di tutti noi, istituzioni e società civile, è
quello di evitare il depauperamento delle ricchezze confiscate alle mafie.
Sul profilo sostanziale la destinazione e l’utilizzazione di questi beni è
definita dall’art.2 undecies della l. 575/1965 per il quale i beni immobili sono:
-
mantenuti al patrimonio dello stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e
di protezione civile e, ove idonei, anche per altri usi governativi o pubblici,
connessi allo svolgimento di attività istituzionali di amministrazioni statali,
agenzie fiscali, università statali, ecc.
-
trasferiti per finalità istituzionali o sociali al patrimonio del comune ove
l’immobile si trova, ovvero al patrimonio della provincia o della regione. Gli
enti territoriali possono amministrare direttamente il bene o assegnarlo in
concessione gratuito a comunità,
ad enti, ad associazioni maggiormente
rappresentative degli enti locali, nonché ad organizzazioni di volontariato, centri
di recupero, ecc.
-
trasferiti al patrimonio del comune ove l’immobile si trovi, se confiscati per il
reato di cui all’art. 74 del T.U. delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti o sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi
stati di tossicodipendenza88, approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n.30989. Il
comune può amministrare direttamente il bene oppure assegnarlo in concessione
ad associazioni, comunità o enti che operano nel territorio in cui l’immobile si
trova.
88
S. Mazzarese – A. Aiello, op. cit. , 450.
In questo particolare contesto normativo si inserisce l’articolo 74 del D.P.R. n. 309/90 che prevede e
punisce il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Inoltre, si osserva che il delitto di cui all’art. 74(1) D.P.R. n. 309/90 può essere definito come un reato
comune, di pericolo, di mera condotta ed a forma libera; inoltre si tratta di un reato permanente sicché
la consumazione si protrae finché l’associazione criminale resta in vita.
89
60
Nel caso in cui, invece, il bene confiscato costituisca un bene aziendale esso è
mantenuto al patrimonio dello stato e può essere destinato:
-
all’affitto, quando vi siano prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività
produttiva , a titolo oneroso ad imprese pubbliche o private, ovvero a titolo
gratuito, senza oneri a carico dello stato, a cooperative di lavoratori dipendenti.
-
alla vendita, per un corrispettivo non inferiore a quello determinato dalla stima
del competente Ufficio del territorio del Ministero delle Finanze, a soggetti che
ne abbiamo fatto richiesta, qualora vi sia una maggiore utilità per l’interesse
pubblico.
-
alla liquidazione, qualora vi sia una maggiore utilità per l’interesse pubblico o
qualora la liquidazione sia finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di
tipo mafioso.
Le somme di denaro che derivano dalla vendita dei beni mobili e dei titoli
devono servire ad alimentare il Fondo per le vittime dell’usura e delle richieste
estorsive e il Fondo per le vittime della mafia. In particolare, le somme di denaro e i
relativi proventi, i conti di deposito titoli, i depositi a risparmio ed ogni altra attività
finanziaria a contenuto monetario o patrimoniale oggetto di provvedimenti di
sequestro, nell’ambito di procedimenti penali o per l’applicazione di misure di
prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965 n. 575, e successive modifiche,
affluiscono al Fondo unico giustizia.
Inoltre, le modalità procedimentali sono definite dagli artt. 2 nonies 2 decies
della l. 575/1965. L’art. 2 nonies dispone, che “ I beni confiscati sono devoluti allo
Stato. Il provvedimento definitivo di confisca è comunicato, dalla cancelleria
dell’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento, all’ufficio del territorio del
Ministero delle Finanze che ha sede nella provincia ove si trovano i beni o a sede
l’azienda confiscata, nonché al prefetto o al Dipartimento della pubblica sicurezza
del Ministero dell’interno”90. L’art 2 decies prevede, che: La destinazione dei beni
confiscati è effettuata con provvedimento del direttore centrale del demanio del
Ministero delle Finanze.
90
S. Mazzarese – A. Aiello, op. cit. , 452.
61
3.5.1 Alcuni casi concreti
Ci sono progetti, in Sicilia come altrove, che sono rivolti alle zone del Paese
che sono penalizzate da fenomeni di degrado ambientale e sociale, con l’obiettivo di
realizzare, attraverso attività di coinvolgimento, informazione e sensibilizzazione di
soggetti economici e istituzionali presenti sul territorio, progetti di recupero e
riutilizzo di aree compromesse o in stato di abbandono. Iniziative pensate per
restituire aree di particolare interesse naturalistico a una fruizione collettiva,
tutelando così flora, fauna e paesaggio dalla minaccia delle ecomafie91.
Centro ricreativo ambientale di Siculiana
La Riserva naturale orientata di Torre Salsa92, un’area protetta di 761,62 ettari
gestita, dal 2000, dal WWF in convenzione con la Regione Sicilia93. Si tratta di una
villa abusiva circondata da 5 ettari di terreno, confiscata il 10 marzo 1993.
Giardino della Memoria di Favara
Dal marzo del 2008 anche il Comune di Favara (AG) ha un suo Giardino
della Memoria, uno spazio di verde pubblico di 300 mq realizzato su un terreno
confiscato ad una famiglia del luogo, nel quale ha trovato dimora una targa per
ricordare tutte le vittime innocenti di mafia cadute nella provincia di Agrigento. Un
luogo collettivo dove esercitare il dovere della memoria, come premessa per la
costruzione di percorsi di promozione sociale e diffusione della legalità.
Casa di accoglienza “Don Pino Puglisi”94
Il Centro Astalli è un’associazione di volontariato senza fini di lucro costituita
da 80 soci, la cui opera si inserisce nel complesso delle attività dei Gesuiti per i
rifugiati nel mondo, attivo dal 1981. Nato a Catania nel 1999 per volontà ed
91
Marco Letizi, Comportamento criminale, ecomafie e smaltimento dei rifiuti, Rubbettino Editore,
2003.
92
Area naturale protetta della Sicilia, in provincia di Agrigento, nel comune di Siculiana.
93
Per una più completa illustrazione si rinvia a http://www.wwftorresalsa.com.
94
Don Giuseppe Puglisi meglio conosciuto come Padre Pino Puglisi, nasce a Brancaccio, quartiere
periferico di Palermo il 15 settembre 1937 , è stato un presbitero italiano, ucciso dalla mafia il giorno
del suo 56º compleanno, il 15 settembre 1993, a motivo del suo costante impegno evangelico e
sociale.
62
iniziativa della Compagnia di Gesù, il Centro è diventato in questi anni punto di
riferimento sicuro e prezioso per i tanti immigrati (circa 6.000) che vi hanno trovato
non soltanto una risposta immediata alle urgenze di assistenza primaria, ma anche e
soprattutto persone
pronte ad
accompagnarli
lungo il
difficile
percorso
dell’integrazione.
I servizi offerti quotidianamente presso la Casa di accoglienza intitolata a
Padre Pino Puglisi, che ospita ogni notte circa 60 persone in gravi difficoltà, sono il
servizio docce, lavanderia e distribuzione abiti, il bazar degli alimenti, l’ambulatorio
medico, il centro di ascolto, lo sportello lavoro, il servizio legale, la scuola di
italiano, il doposcuola, l’assistenza in carcere e l’assistenza notturna.
Società cooperativa sociale Nuovi percorsi
La Società Cooperativa Sociale Nuovi Percorsi Onlus nasce grazie al lavoro
dei responsabili della Caritas, della Pastorale Sociale e del Lavoro, della Pastorale
Giovanile, ecc. Nell’aprile 2006 la Fondazione regionale antiusura “Don Pino
Puglisi” di Messina ha concesso in uso alla cooperativa un terreno di 12 ettari. Il
bene è stato confiscato il 5 dicembre 2002 in contrada Cuticchi, nel territorio di
Assoro (EN), e destinato il 14 maggio 2004. Su questo fondo sono state sperimentate
nuove modalità di produzione biologica di varietà di frumento antiche, quali il
kamut, il russello e il bidì, ed è stata avviata la produzione di leguminose di granella
(ceci). Il progetto prevede inoltre la continuità della filiera agro-alimentare con la
produzione di farine, legumi confezionati, biscotti e oli essenziali. Il piano di lavoro
rientra nell’ambito del recupero e della gestione di beni confiscati, attraverso i quali
non solo la cooperativa è in grado di offrire occupazione lavorativa a soggetti
socialmente svantaggiati, ma può anche mettere in pratica attività agricole a carattere
sperimentale nel rispetto delle colture biologiche.
Bottega dei saperi e dei sapori della legalità
Un negozio confiscato a un boss di Brancaccio, situato a pochi passi dalla
centralissima piazza Politeama, salotto della città di Palermo, ospita una nuova
“Bottega dei saperi e dei sapori della legalità”95, che ha aperto il 12 marzo 2009.
95
www.lavoro.gov.it
63
Gli ampi locali di piazza Castelnuovo (150 mq fra pianterreno e seminterrato) non
saranno semplicemente uno spazio privilegiato in cui far conoscere e vendere pasta,
farine, conserve, vini e gli altri prodotti che vengono dalle cooperative attive sulle
terre riscattate dalla criminalità organizzata. a. La Bottega si propone come punto di
aggregazione per tutti quei cittadini che non intendono rassegnarsi al giogo del
potere mafioso, ma intendono scambiare idee e condividere il medesimo percorso di
impegno civile per una Sicilia e una società libere, nel segno dei diritti e della
legalità. Sapori dunque, ma anche saperi, dato che all’interno del negozio è stato
allestito uno spazio didattico tematico su mafia e antimafia sociale, aperto a tutti gli
studenti e a quanti vogliano toccare con mano la realtà di un bene confiscato e
riutilizzato a finalità sociali.
Cooperativa Pio La Torre - Libera Terra
“Pio La Torre - Libera Terra Soc. Coop. Sociale” è una cooperativa
costituitasi il 22 giugno 2007 che amministra i terreni confiscati alla mafia nell’Alto
Belice Corleonese. I 12 soci lavoratori e i due volontari che la compongono sono
stati selezionati tramite un bando pubblico. La compagine sociale è costituita da
operai agricoli semplici e specializzati, che si occupano della coltivazione dei campi
assegnati, due apicoltori e un socio lavoratore addetto alla ristorazione. Ad essi si
aggiungono due agronomi, responsabili della gestione e dell’organizzazione delle
attività produttive.
Presso i circa 140 ettari di terreni confiscati alla mafia (nel territorio dei
comuni di
degli Albanesi, Corleone, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Monreale,
Altofonte, Roccamena), la cooperativa provvede all’inserimento lavorativo di
soggetti svantaggiati, ispirandosi ai principi della legalità e della solidarietà, e
portando avanti un tipo di agricoltura rispettoso dell’ecosistema e della biodiversità.
Liceo Scientifico “Ernesto Basile”
Il liceo Ernesto Basile opera da più di 15 anni a Brancaccio. L’istituto, dal
momento del suo insediamento, ha contribuito a sostenere l’evoluzione lenta e
sofferta nel quartiere. e. Il liceo, assieme alle altre agenzie educative del quartiere,
come il “Centro Padre Nostro” fondato da don Pino Puglisi, ha dato impulso alla
64
crescita di Brancaccio in termini di solidarietà, sostegno ai bisognosi e di promozione
della cultura come strumento di riscatto.
Consorzio Trapanese per la Legalità e lo Sviluppo
Il Consorzio Trapanese per la Legalità e lo Sviluppo è stato costituito su
spinta della Prefettura di Trapani con lo scopo di gestire in modo proficuo e con
finalità sociali i beni confiscati alla mafia e assegnati ai sensi della legge 109/1996 ai
Comuni
consorziati
(Alcamo,
Calatafimi-Segesta,
Campobello
di
Mazara,
Castellammare del Golfo, Castelvetrano, Erice, Marsala, Mazara del Vallo, Paceco,
Salemi, Trapani e Vita). Una volta costituito il Consorzio ha presentato al Ministero
dell’Interno il progetto denominato “Le Saline”96, nell’obiettivo di trasformare i beni
sottratti alla criminalità organizzata in risorse per la crescita economica e sociale dei
territori interessati.
3.6. Ultimi interventi e prospettive di riforma: conclusioni
La componente economico finanziaria rappresenta per la criminalità
organizzata una delle priorità fondamentali ed anzi, per molti versi, direi quasi
l’obiettivo finale delle numerose e diversificate attività illecite poste in essere, oltre
che ovviamente la condizione necessaria per dare efficacia e credibilità alla stessa
organizzazione criminale.
Di questo aspetto occorre tener conto nel delineare le strategie dell’azione di
contrasto ed anche se è vero che, molti successi sono stati ottenuti dalla Magistratura
e dalle Forze di polizia, tuttavia, ritengo che molto possa e debba essere ancora fatto.
Di qui la necessità di delineare strategie di contrasto sempre più efficaci, ritenendo
che il tentativo di arginare l’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia
legale debba avere i seguenti obiettivi:
a) la predisposizione di un sistema che assicuri la trasparenza nella titolarità delle
imprese;
96
www.lavoro.gov.it
65
b) la prevenzione e la repressione delle violazioni fiscali, previdenziali e ambientali
che agevolano l’inserimento nell’economia legale del crimine organizzato;
c) l’emersione dell’economia c.d. “a nero” per isolare la componente delinquenziale.
L’importanza dei controlli fiscali nella lotta alla delinquenza mafiosa è stata
riconosciuta dallo stesso legislatore attraverso l’introduzione della verifica della
posizione fiscale97. Nei confronti delle persone fisiche, la verifica della posizione
fiscale mira non solo ad accertare la redditività delle attività legali eventualmente
svolte e il patrimonio, ma soprattutto a rilevare i rapporti intrattenuti con gli istituti di
credito attraverso i quali possono emergere proventi derivanti dalle attività illecite.
Mentre nei confronti delle imprese, l’attività commerciale viene sottoposta ai
controlli tipici della verifica fiscale, tesi ad accertare, in definitiva, se i costi e i ricavi
sono stati correttamente contabilizzati ed esposti nelle dichiarazioni, se sono stati
contabilizzati costi fittizi, coperti da fatture per operazioni inesistenti e se è stata
omessa la contabilizzazione di parte dei ricavi.
Tra le finalità della legislazione antimafia ci cono: la sottrazione di beni e
risorse al circuito criminale-mafioso e la destinazione del patrimonio recuperato
all’uso sociale. Però accade che si riesce a sequestrare e confiscare i beni dei mafiosi
ma non si riesce a riutilizzarli o comunque ci si riesce molto male. Ci sono norme
malamente applicate, quali la norma sulla vendita dei beni confiscati da destinare ai
Fondi di solidarietà. Allora sarebbe sufficiente una procedura elementare per far si
che il ricavato della vendita confluisca nella direzione evoluta.
Uno dei pericoli dalla vendita dei beni immobili è che i mafiosi possano
ricomprarseli tramite prestanome e ciò vuol dire riavviare le indagini.
Molti beni invece vengono bensì consegnati ai Comuni o ad altre istituzioni,
ma vengono consegnati anche a soggetti che non sono in grado né di gestirli, né di
tenerli in valore e quindi sono formalmente in carico al Comune, che nella maggior
parte dei casi li lascia deperire.
Un’opinione condivisa, per dare maggiore incisività ed efficienza al processo
di confisca, assegnazione e riutilizzo dei beni si dovrebbe creare un’unica Agenzia
nazionale che se occupi. Un organo che riunisca in sé tutte le competenze necessarie
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ex art. 25 legge 646/1982.
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e consenta di superare quelle lentezze burocratiche, quei passaggi infiniti da un
soggetto all’altro che oggi appesantiscono il sistema.
Inoltre bisognerebbe trovare un modo per salvare le aziende confiscate alla
criminalità.
Sono troppo poche quelle che si riescono a rilanciare, la maggior parte
fallisce o chiude.
Allora si potrebbe sperimentare lo strumento delle cooperative, come è stato
fatto per la Calcestruzzi Ericina nel trapanese, strumento che ha dimostrato di dare
ottimi frutti.
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