Oftalmologia Sociale n.1/2004 Rivista di sanità pubblica dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità IAPB Italia onlus Direttore avv. Giuseppe Castronovo Caporedattore: dott. Filippo Cruciani e-mail: [email protected] Editoriale Titolo: Una Hiroshima culturale di R. Frezzotti Sommario: Zichichi disquisisce sulla Hiroshima culturale, cioè la confusione che si è venuta creando tra scienza (comprensione) e tecnologia (applicazioni) Sommario: Il tumultuoso progresso della oftalmologia negli ultimi decenni è stato un progresso provvidenziale ma in prevalenza diverso, squisitamente tecnologico Antonino Zichichi in "Panorama" (1.1.2004) ci ha ricordato una battuta di Enrico Fermi dopo lo sgancio della atomica: "attenzione che all'Hiroshima militare non segua l'Hiroshima culturale". L'articolo si titola con un "usiamo il cellulare ma crediamo che il Sole giri intorno alla Terra". Lo Zichichi si riferisce in effetti ad un sondaggio al proposito tenutosi in Francia che ha dato ineffabilmente il 65 per cento di risposte a "il sole gira intorno alla terra"! Egli disquisisce sulla Hiroshima culturale, cioè la confusione che si è venuta creando tra scienza (comprensione) e tecnologia (applicazioni), in realtà - anche se preziose - distanti e differenti comunque: "la gente crede che il telefonino sia scienza". Il lettore di questo periodico si chiederà forse quale sia l'interesse per la nostra disciplina di quelle riflessioni seppure firmate. Io le ritengo valutazioni e verità cruciali per il progresso a medio-lungo termine della disciplina. La oftalmologia moderna nasce con lo spiegel di von Helmholtz e con il genio e la formidabile mente analitica e sintetica di von Graefe: con armi di questo genere una coorte di oftalmologi costruisce gradualmente le nosografie delle patologie oculari, dapprima rudimentali, poi avanzate, talune compiute, descrivendo le relative morfologie oftalmoscopiche e biomicroscopiche, scendendo a scrutarne e interpretarne le morfologie microscopiche istologiche, spingendosi allora a immaginare, ipotizzare, talvolta descrivere e provare le responsabilità etiologiche e i meccanismi fisiopatologici. Si sono venuti in tal modo predisponendo i razionali per l'impianto terapeutico che ha dovuto fare i conti con le asincronie del progresso dell'asepsi, della anestesiologia, della farmacologia. E' così che è andata realizzandosi la progressiva costruzione della clinica delle malattie oculari, che è stata facile e rapida per le forme infettive (ricordate ad es. la congiuntivite angolare, b. di MoraxAxenfeld?) e per le carenziali, meno per le malattie infiammatorie, specie se mediate da meccanismi immunitari, ancor meno e tuttora in stallo o in difficoltà per le neoformazioni e soprattutto per le malattie degenerative (ad es. la cataratta, e poi il glaucoma, la RD, la ARMD: le cause di cecità dei paesi industrializzati). Il conseguimento della loro comprensione sarebbe sul filo di una coerente continuità. Il tumultuoso progresso della oftalmologia negli ultimi decenni è stato un progresso provvidenziale ma in prevalenza diverso, squisitamente tecnologico. Molti sono stati gli strumenti anche diagnostici, le procedure e apparecchiature chirurgiche e parachirurgiche, i farmaci, in parte invero sintomatici, con molecole talune innovative e importanti ma anche con multipli replicativi delle precedenti. Una formidabile dovizia di "utilities" negli approcci semeiologici diagnostici e in quelli terapeutici, il bilancio è però significativamente più povero circa la esplorazione del non noto e le acquisizioni della grande conoscenza (fatta salva la miliare valenza della FAG). Non vi è misoneismo in queste riflessioni. Saremmo degli sciocchi se non avessimo presente che tutto ciò che è venuto dopo la pilocarpina cloridrato ha ridotto di molto il numero delle chirurgie antiglaucomatose. Personalmente inoltre sarei dolosamente incongruente se, operato di cataratta da un lato poi dall'altro, con visus naturale di dieci decimi qui e là, non apprezzassi il valore della moderna chirurgia (avendola per di più estesamente praticata). Congiunturalmente, ancora a maggior ragione, in ambito sociale ove per gli input del contenimento della spesa la perfezione tecnica deve controbilanciare il rischio della carenza di controllo del postoperatorio ("meno ospedali e più Hi-Tech" dice il ministro Sirchia). Molte sono le cause di questa opzione per la tecnologia e il parallelo abbandono di più impegnative ricerche: di certo in primis la generale e prorompente esplosione di tutto ciò che è tecnologia, ma secondariamente la facilità alla autoreferenzialità nei risultati e la fattibilità del tradurre in profitto questi risultati, idonei a calarsi come sono nel mercato; di conseguenza l'essere una attività, per gli attori, più direttamente appagante e premiante, in tutti i sensi. Infine la istituzionale promozione, negli assetti assistenziali, di modelli operativi che privilegiano protagonisti solisti, rendendo del pari difficile la sopravvivenza o la creazione di teams di competenze interdisciplinari composite, idonee ad affrontare progetti di ricerca "difficili"; complementarmente la intenzionale privilegiante attenzione dei centri al reclutamento di patologie di massimo rendimento economico sia per i numeri che per la modularità del trattamento. Anche per il valore economico delle speculazioni scientifiche come dell'offerta assistenziale potrebbe valere il "pochi - meglio se non pochi - maledetti e subito". Portano a queste considerazioni incongruenze che tutti abbiamo sotto gli occhi. E' oggi vivace ad es. l'attenzione ai problemi della neo coniata farmacoeconomia e si disquisisce ad es. sui costi per la società di un trattamento esteso con un farmaco versus quelli con un altro farmaco, ma circa i numeri delle prevalenze e delle incidenze della inerente patologia si devono adottare grandezze a stima perché ahimè mancano indagini epidemiologiche (salvo che non esistano "top secret" in qualche dove). Le ricerche epidemiologiche sono molto costose e faticose e sono un prodotto negoziabile con difficoltà. Chi segue ciò che avviene in ambito oncologico osserva che chirurghi di razza hanno dovuto aprirsi a parlare il linguaggio della biologia molecolare, degli anticorpi monoclonali, della PET, ecc. e che si volgono a guardare al futuro della postgenomica e della farmacogenomica. Altro settore disciplinare che è ammirevole ed entusiasmante cantiere di ricerca è quello delle malattie neurodegenerative (Parkinson, Alhzeimer, Hungtinton, Charcot, ecc.), patologie i cui meccanismi etiopatogenetici tra l'altro potrebbero essere modelli "comparati" e comparabili con quelli di talune nostrane otticopatie, anche la glaucomatosa. Non credo si sia troppo in errore supporre che alla ricerca volta ad una comprensione esauriente e definitiva dei meccanismi etiopatogenetici di malattie come il glaucoma primario ad angolo aperto, la degenerazione maculare legata all'età, la retinopatia diabetica, negli ultimi venti trenta anni, siano state dedicate risorse umane ed economiche nell'ordine di meno della centesima parte di quelle impiegate nello sviluppo e la produzione di farmaci innovativi (per il glaucoma "solo" ipotonizzanti), di laser svariati, di agenti fotosensibilizzanti, ecc., nonché degli analoghi plurimi nella gare concorrenziali tra le multinazionali. Viene voglia di spingersi - tuffo nell'assurdo - a chiedersi come i più dei non molti super giganti planetari dell'industria e la legge del marketing vedrebbero la ipotesi di una organizzata e strenua ricerca per una cura medica o una profilassi della cataratta senile, ove queste fossero immaginabili. Edgar Lee Masters Antologia di Spoon River Dippold the Optician What do you see now? Globes of red, yellow, purple. Just a moment! And now? My father and mother and sisters. Yes! And now? Knights at arms, beautiful women, kind faces. Trys this. A field of grain – a city. Very good! And now? A young woman with angels bending over her. A heavier lens! And now? Many women with bright eyes and open lips. Trys this. Just a goblet on a table. Oh I see! Try this lens! Just an open space – I see nothing in particular. Well, now! Pine trees, a lake, a summer sky. That’s better. And now? A book. Read a page for me. I can’t. My eyes are carried beyond the page. Try this lens. Depths of air. Excellent!And now! Light, just light making everything below it a toy wordl. Very well,we’ll make the glasses accordingly. Questa poesia è dedicata a chi quotidianamente è impegnato nella monotona e spesso sfiancante misurazione della vista, quando non è raro schermarsi da violente interferenze soggettive. Perché non poter immaginare di fornire alla mente degli occhiali per una realtà sognata e non "drogata"? Dippold, l’ottico Che cosa vedi adesso? Globi di rosso, giallo, porpora. Un momento. E adesso? Mio padre, mia madre e le mie sorelle. Sì. E adesso? Cavalieri in armi, belle donne, visi gentili. Prova questa. Un campo di grano – una città. Benissimo! E adesso? Una donna giovane ed angeli chini su di lei. Una lente più forte. E adesso? Molte donne dagli occhi vivi e dalle labbra schiuse. Prova queste. Soltanto un bicchiere su un tavolo. Oh, capisco! Prova questa lente! Soltanto uno spazio vuoto – non vedo nulla in particolare. Bene, adesso! Pini, un lago, un cielo d’estate. Questa va meglio. E adesso? Un libro. Leggetemi una pagina. Non posso. Gli occhi mi sfuggono di là dalla pagina. Prova questa lente. Abissi d’aria. Ottima! E adesso? Luce, soltanto luce che trasforma tutto il mondo in giocattolo. Benissimo, faremo gli occhiali così. A proposito di… Titolo: Talkshow e attualità di Seneca di R. Frezzotti Seneca il Giovane nel "De Beneficiis" scriveva: "E allora, perché al medico e al precettore sono debitore di qualcosa di più e anche pagandoli resto ancora in debito ? Perché essi si trasformano in amici e noi non restiamo obbligati per le prestazioni professionali - che paghiamo - ma per la benevolenza e affettuosa disposizione nei nostri riguardi... Se il medico non fa altro che... io non gli sono debitore di nulla, poiché in me non vede un amico, ma solo un cliente". Le parole di Seneca sedimentate nella nostra memoria hanno innescato in noi un curioso corto circuito di idee. Occasionalmente. E' appunto da premettere che ci stiamo assuefacendo a vedere dibattere i problemi più scottanti del paese nei talkshow, ove benevolmente inossidabili talkmen pare si prendano carico della risoluzione. Nelle rituali ambientazioni salottiere (che in realtà sono talvolta delle gogne preilluministiche, pre-Beccaria) cominciamo a vedervi dibattere, come è successo di recente, anche problemi medici oculistici gestiti da conduttori, dal taglio un pò circense, un poco annoiati, quasi per una dappochezza delle tigri. Tutto ciò ci ha dato lo spunto a responsabili riflessioni. Non tanto sul trionfo di quella medicina miracolistica che in nome delle tecnologie avanzate tutto potrebbe e mai fallirebbe, e che non è solo una ingenua esaltazione di entusiastici stati d'animo alla "Ballo Excelsior", ma è il prodotto promozionale di parti interessate ed è per contro il fallimento di una corretta informazione scientifica e sanitaria, che spieghi cosa è una medicina sostenibile e abbia compreso che la clinica è una area scientifica, forse meglio una pratica basata su scienze, necessariamente diversa e priva delle assolutezze della meccanica celeste o della geometria euclidea. Una corretta ed equanime informazione che oltre tutto e soprattutto sappia distinguere e sappia mantenere la distinzione tra professionalità corretta e "malpractice", nella nozione inoltre delle rispettive significative quote percentuali. La riflessione più importante ed equilibrata che a nostro parere viene destata è quella sulla evoluzione della attuale considerazione della attività medica in ambito etico e sociale. Potrebbe darsi che a tutti noi, completamente assorti e catturati dalle reti di Circe del quotidiano, chi da affascinanti problemi di ricerca, che distaccano i piedi da terra, chi dall'indulgere alle lusinghe del tecnologismo, virtù che degenera in un perfezionismo edonistico ma miope, a tutti noi ripeto, potrebbe darsi sia sfuggita la evoluzione attuale del concetto di malattia e del suo contrario. Non ce ne erano invero mancati indizi chiari: a parte la teoresi della "tutela e danno alla salute" delle scuole medico-legali italiane, non basterebbe forse da sola la vistosa variazione di denominazione del nostro competente Ministero? L'uomo moderno non si contenta più di solo evitare e curare la malattia, vuole la salute, anzi, di più vuole un benessere psicofisico che consideri oltre se stesso gli ambiti circostanti, olisticamente comprendenti aspetti e condizioni svariate, eterogenee, complesse, forse ancora vaghe, ma certo culturali, sociali, psicologiche, comunicazionali. A farla breve, non ci siamo forse accorti che i nostri pazienti accettano al limite anche l'insuccesso, consapevoli per una saggezza atavica della relatività delle certezze, tollerano anche una ragionevole misura di mercantilismo nella secolare transazione "onorario-contro-prestazione", avvezzi ai cachet di personaggi, palleggiatori, nani e ballerine, non tollerano invece la mancanza di colloquio con il medico con il quale vorrebbero parlare prima e di più dopo l'atto medico, come se questi fosse un amico al quale chiedere empatia e con il quale aprirsi dei timori, delle incertezze, dei rischi, degli inconvenienti, degli insuccessi. Un vecchio medico umanista avrebbe considerato con acume psicologico, affettuoso e attento, la consistenza delle istintive aspettative della gente con le quali questa guarda atti medici che intuisce essere assai differenti, dalla PRK per una miopia lieve al trattamento tentativamente conservativo di un retinoblastoma. Ne avrebbe tenuto gran conto, nell'impegno sostanziale e nei compimenti formali. Ma il medico umanista dei tempi andati era interessato all'uomo, il che, come anche il recupero della clinica sulla tecnica, non è una nostalgia della medicina del passato: sono precise esigenze postmoderne delle quali non tutti ancora hanno percepito la attualità. L'essenziale lo aveva nitidamente compreso Seneca duemila anni fa. Malauguratamente sembra non vi siano nello scenario oggi nè anchormen nè altri attori ritagliati sulla sua grande maturità etica e culturale. Caro Dott. Cruciani, tenuto al corrente da Caporossi ho visto la mattanza del Costanzo show, poi ho incontrato tre giorni fa Balestrazzi, infine ieri ho letto il comunicato SOI-Piovella: non mi è stato possibile trattenermi. Ho esondato, con l'allegato mio elzeviruzzo. La ringrazio della Sua recente cortese e-mail: è vero che è donchisciottesco non lasciarsi travolgere dalle globalizzate devianze, tanto generalizzate da ottundere la sensibilità e il senso del giusto in tanti. Ma è inaccettabile assistere a una guerra a colpi di avidità, supponenza, auditel e iattanza, a devastare il nostro bellissimo mestiere di tanto spessore professionale e umano. Mi sopporti, cordialità, Renato Frezzotti Titolo: Teophrast von Hohenheim detto Paracelso Einsiedeln 1493 - Salisburgo 1541 Medico, naturalista e filosofo. Insegnò medicina all'università di Basilea, ma fu costretto a causa dei contrasti con i colleghi e con i farmacisti ad abbandonare la città. Fu designato dai suoi contemporanei come il "Lutero dei medici". La sua opera è stata determinante nell'evoluzione del pensiero medico, specie in Germania. ALCUNE RIFLESSIONI TRATTE DAGLI SCRITTI DI PARACELSO "Devo riconoscere che non sono capace di soddisfare ed esaudire i desideri di chicchessia in quel modo certo e preciso che ciascuno vorrebbe da me, che non lo posso fare e non è nelle mie facoltà. Dio non ha creato la medicina in modo tale che essa agisca e proceda esattamente come ciascuno vuole. Che ci posso fare se Dio non vuole concedere né dare alcunché a tali uomini?…" "Ditemi una cosa: la medicina si trova solo nelle erbe, nel legno e nelle pietre oppure anche nelle parole? Vi voglio dire cosa sono le parole. Che cos'è che la parola non può fare?…" Quindi dobbiamo sapere che vi sono due specie di operatori sanitari, quelli che agiscono in modo caritatevole, e quelli che agiscono per il loro tornaconto. Gli uni e gli altri si riconoscono dalle opere: i probi si riconoscono dallo spirito di carità e dal fatto che non rinnegano l'amore verso il prossimo; i reprobi, invece -…- non avendo seminato nulla, rasano via tutto e sono come lupi rapaci… Nessuno si sorprenda che in medicina io non apprezzi il tornaconto personale. Io so, infatti, che esso è a tal punto rovinoso che le arti ne sono adulterate e volte unicamente a ben apparire per essere vendute, ciò che senza falsificazione non può accadere, la quale falsificazione comporta il traviamento di ogni cosa. "Ma perché nella medicina si è immischiata tanta gente inutile, la quale prende in considerazione ricerca solo il privato tornaconto?...” Paracelso A proposito di… Titolo: Il programma Vision 2020 di F. Cruciani, A. Labate, V. Cappello Università degli Studi “La Sapienza” -Roma- Dipartimento di Scienze Ofalmologiche Dir. Prof. C. Balacco Gabrieli Tra i compiti istituzionali della Sezione Italiana per la Prevenzione della Cecità figura l'impegno di combattere la cecità nei Paesi in via di sviluppo L'art 4 al punto H recita testualmente : "promuove ed attua iniziative volte alla prevenzione della cecità nei Paesi particolarmente disagiati, nell'ambito dei programmi della IAPB e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, dandone comunicazione ai ministeri della Salute e degli Affari Esteri". Nell'ultima riunione del Direttivo si è discusso su questo punto. Esistono proposte concrete. Una è quella di farsi carico, finanziandolo, di un "Programma di assistenza ai bambini ipovedenti e di prevenzione della cecità infantile" dell'Associazione CBM (Missioni Cristiane per i Ciechi nel Mondo- Christian Blind Mission International), da attuarsi a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo. La durata prevista è di 12 mesi, nel periodo Gennaio-Dicembre 2004. Per la realizzazione del programma sono necessari circa 260.000 euro. Lo scopo del programma è quello di migliorare le condizioni di salute e di vita dei bambini di Kinshasa e delle zone limitrofe, dando accesso a tutti a cure mediche oftalmiche di qualità. Un 'altra è quella di realizzare una stretta collaborazione con il Ministero della Salute dello Yemen e con gli oculisti che vi lavorano, nell'ambito dei rapporti già esistenti e molto stretti tra associazioni mediche italiane e yemenite. Nel corso della Fourth Yemeni Italian Medical Conference, svoltasi a Sana'a dal 18 al 20 gennaio 2004 si è discusso con il Minister of Public Health And Population, prof. Mohammed Yahia Al Noami su eventuali collaborazioni nell'ambito del programma 2020. In Italia il problema della cecità nei paesi più poveri è molto sentito. Molti oculisti italiani, da tempo, passano le loro ferie lavorando in queste realtà. E' bene che queste iniziative non vadano disperse, ma abbiano sempre un maggior impulso proprio dalla IAPB Italia. Che cos'è? Vision 2020 - The Right to Sight - è un progetto globale a cura di "The International Agency for Prevention of Blindness" (IAPB) per combattere la cecità. E' un'iniziativa che mira a eradicare la cecità eliminabile in collaborazione con l'Organizzazione Mondiale per la Sanità (WHO) e con più di 20 organizzazioni non governative coinvolte nella cura, prevenzione e management della cecità. In termini pratici, Vision 2020 si prefigge di scongiurare la cecità in 100 milioni di persone nei prossimi 20 anni. E' un'iniziativa che l'Organizzazione Mondiale della Sanità considera tra gli interventi più impellenti e più importanti da perseguire nell'ambito della Sanità Pubblica. E' un programma ambizioso, al limite dell'utopia. Ma senza una forte dose di ottimismo non è possibile intraprendere tali progetti complessi. Perché una tale iniziativa? Ogni 5 secondi nel mondo una persona diventa cieca; e - dato ancora più inquietante - ogni minuto un bambino perde la vista. Nel mondo si stima che i ciechi siano 45 milioni. Ogni anno questo numero aumenta di 1 o 2 milioni circa. Più di 2 casi su 3 sono suscettibili di trattamento medico o chirurgico, o, comunque, di prevenzione. La maggior parte dei ciechi vive nelle regioni più povere dei paesi in via di sviluppo. Senza interventi mirati il loro numero aumenterà fino a raggiungere i 75 milioni nel 2020. L'assistenza ai ciechi ed agli ipovedenti è uno degli interventi più costosi nelle spese per la salute. Quali sono gli obiettivi di Vision 2020? Possono essere così sintetizzati: - facilitare la cura degli occhi in particolar modo nelle aree non privilegiate; - formare personale specializzato nella cura degli occhi; - implementare programmi specifici per controllare le maggiori cause di cecità. E le attività specifiche? - Intensificare gli interventi chirurgici per la cataratta che attualmente risulta essere una delle maggiori cause di cecità; - programmare interventi di correzione dei vizi refrattivi, in particolar modo nei bambini in età scolare; - facilitare la prevenzione e il trattamento di deficit nutrizionali, causa di cecità nell'infanzia. Qual è l'approccio di Vision 2020? - Identificare le comunità con alta frequenza di cecità; - iniziare ad istituire servizi oftalmici ad alta qualità con le risorse disponibili. I cardini del programma: - Personale specializzato: oftalmologi, assistenti oftalmici, infermieri, ottici. - Organizzazioni non Governative Nazionali e Internazionali - Ministeri Nazionali della Salute e Dipartimenti di Servizi Sanitari. Tutti questi organismi sono rappresentati nella IAPB, che ha formato una Task Force esecutiva per collaborare con la WHO ed implementare Vision 2020. Nei prossimi 5 anni Vision 2020 mira a raggiungere 1 milione di persone tra le più povere nel mondo. Per fare ciò c'è bisogno ogni anno di più di 1 milione di dollari in aggiunta ai contributi governativi. Quali sono le principali cause di cecità? La cataratta è una delle maggiori cause di cecità nel mondo, in particolar modo in molti paesi dell'Africa e dell'Asia, dove è causa di cecità nella metà della popolazione. I tipi principali di cataratta sono: congenita, traumatica, ma soprattutto senile. Il numero di casi di cataratta è in forte aumento in relazione alla maggiore speranza di vita. Il trattamento della cataratta è chirurgico ed è molto efficace nel ripristinare un'ottima visione. Vision 2020 si propone quindi di selezionare tra la popolazione i casi di cataratta che necessitano di intervento chirurgico - in particolare i pazienti con cataratta bilaterale -, e formare in loco sempre nuovo personale chirurgico in modo da abbattere i costi e le distanze. E' necessario inoltre coordinare organizzazioni governative e non governative per proporre nuove tecnologie in grado di contrastare la cataratta. Global cataract prevalence targets 1990-2020 Year Population (millions) Projected no. cataract blind at 1995 service level (millions) Target No. cataract Prevalence cataract blind (millions) blindness (%) 1990 1995 2000 2010 2020 5400 5700 6100 6800 7800 16.0 20.0 25.0 35.0 50.0 16.0 20.0 15.0 7.0 0 0.3 0.35 0.25 0.10 0 Global cataract surgical rate targets 1995-2020 Year 1995 2000 2010 2020 Global cataract surgical rate (cataract operations/million population/year) 1100 2000 3000 4000 Global no. of cataract operations (millions) 7.0 12.0 20.0 32.0 Il tracoma è una delle malattie più antiche, responsabile attualmente del 15% dei casi di cecità nel mondo, in particolare in Africa. I ciechi per tale affezione sono circa 6 milioni e si stima che ci siano 146 milioni di casi che necessitano di trattamento medico. Dopo anni di infezioni ripetute, la congiuntiva palpebrale può essere interessata in maniera così severa da provocare gravii danni corneali. Queste alterazioni portano col passare degli anni, se non trattate, a cecità. Vision 2020, in collaborazione con la WHO, mira alla prevenzione e cura del tracoma attraverso la strategia SAFE, che utilizza antibiotici, nuovi trattamenti, pulizia del viso e igiene ambientale e personale. Global trachoma targets for cases of trichiasis and active infection, 1995-2020 Year 1995 2000 2010 2020 Total population (millions) No. with trichiasis (TT) (millions) 5700 6100 6800 7800 10.0 10.0 5.0 0 No. with active disease (TF) (millions) 146.0 120.0 60.0 8.0* * This equivalent to prevalence of TF of 5% in the at-risk population of 800 million, of whom 160 million would be children aged 0-10 years. Cumulative numbers of countries for implementation of the SAFE strategy in 49 countries* with blinding trachoma, 1995-2020 Year WHO Region Eastern African South-East Asia Americas Mediterranean and Western Pacific 1995 2000 2010 2020 0 5 7 10 0 10 20 30 0 3 5 7 0 1 2 2 See WHO report on "Planning for the Global Elimination of Trachoma (GET)" - document WHO/PBL/97.60. L'oncocerchiasi è una delle maggiori cause di cecità in Africa Centrale e Occidentale. È anche detta "cecità dei fiumi" in quanto la mosca nera, che trasmette la malattia, vive in aree fertili lungo i fiumi, aree che spesso restano disabitate proprio a causa della paura del contagio. Questo fattore ha largamente ridotto la produttività di queste aree fertili. L'oncocerchiasi può essere trattata con una dose annuale di Mectizan, e Vision 2020, con la WHO, l'UN Agency, e la World Bank sta cercando il modo di combattere questo problema attraverso la bonifica delle aree malsane e implementando il programma di controllo per l'Oncocerchiasi. Target National onchocerciasis control programme with satisfactory coverage in onchocerciasis-blinding areas Incidence of blindness from onchocerciasis countries 2000 2010 2020 25 countries 37 countries 37 countries Surveillance systems being established Surveillance systems in place No new cases in all La cecità è un problema che colpisce 1,5 milioni di bambini del mondo, soprattutto in Africa e Asia. Questo tipo di cecità è causata soprattutto da condizioni che portano a patologie corneali, come congiuntiviti del neonato, infezioni ricorrenti e carenza di vitamina A. Quest'ultima, che dà xeroftalmia, è la maggiore causa di cecità nell'infanzia. Si stima che: - 250 milioni di bambini in età pre scolare soffrano di carenza di Vitamina A, - ogni anno 350.000 bambini diventino ciechi, - e sempre annualmente ne muoiano 2 milioni per questo motivo. Al costo di soli 5 centesimi di dollaro a dose di Vitamina A, si potrebbe ridurre la mortalità dei bambini del 34% nelle aree con deficienza di Vitamina A. Vision 2020 punta ad identificare le aree a maggior rischio, e ad incoraggiare misure preventive attraverso immunizzazioni, educazione nutrizionale, supplemento di Vitamina A, monitoraggio dell'uso dell'ossigeno nel prematuro e attraverso un'educazione visiva soprattutto nelle scuole. Target 1995 2000 2010 Surveillance system Being established In place in all countries Maintenance as needed in selected countries Incidence of blindness ? Nil in all countries Nil in all countries except disaster situations Le patologie evitabili chirurgicamente per controllare la cecità nei bambini sono la cataratta, il glaucoma e la retinopatia del prematuro (ROP). Soprattutto nei paesi in via di sviluppo c'è quindi necessità di centri per la diagnosi, la cura e la prevenzione di queste patologie a livello locale e regionale. Year 1995 Population aged 0-15 years (millions) 1800 Number of blind children Projected (millions) Target (millions/prevalence) 1.45 1.45 (0.8/1000) 2000 2010 2020 2000 2200 2500 1.60 1.80 2.00 1.40 (0.7/1000) 1.20 (0.5/1000) 1.0 (0.4/1000) Ci sono poi gli errori refrattivi che portano a cecità nel 12% dei pazienti e a ipovisione nel 35% della popolazione mondiale. La metà dei bambini negli Istituti per ciechi in Africa devono la loro cecità ai mancati controlli dell'acuità visiva. Questa situazione è dovuta ad una carenza di personale adeguato che individui eventuali vizi refrattivi e provveda alla loro correzione. Vision 2020 si propone di affrontare queste problematiche a bassi costi, permettendo ai bambini con vizi refrattivi di essere integrati in scuole regolari piuttosto che in scuole per ciechi. Le risorse umane di Vision 2020: La Primary health care (PHC) è un concetto fondamentale del WHO per incrementare il fattore salute. Le maggiori attività del PHC che mirano alla prevenzione e al controllo delle maggiori patologie che portano a cecità sono: - immunizzazione, - miglior nutrizione, - programmi per l'acqua e per la sanità, - controllo delle comuni patologie endemiche e epidemiche, - educazione alla salute, - supplemento dei farmaci essenziali, - trattamenti semplici, - controllo della salute nei bambini piccoli e nelle donne in gravidanza. Per attuare il programma Vision 2020 sarebbe opportuno istituire un ambulatorio oftalmologico, centri attrezzati per la chirurgia, aumentare la qualità e la prorduttività dei centri già esistenti e istruire, formare e motivare personale qualificato. Target 2000 2010 2020 Ophthalmologists per population: Sub-Saharan Africa Asia 1:500 000 1:200 000 1:400 000 1:100 000 1:250 000 1:50 000 Target 2000 2010 2020 OMAs or eye nurses per population Sub-Saharan Africa Asia 1 : 400 000 1 : 200 000 1 : 200 000 1 : 100 000 1 : 100 000 1 :50 000 2000 2010 2020 50% 90% 100% Target Proportion of medical schools Teaching basic eye care Il target sarebbe di garantire un oftalmologo e un'infermiera ogni 200.000 persone, aggiungendone uno per ogni aumento di 100.000 persone. Si dovrebbero anche includere elementi più approfonditi di oftalmologia nel corso degli studi generali di Medicina e Chirurgia. A proposito di… Titolo: Legislazione italiana ed ipovisione di F. Cruciani, F. M. Amore, A. Labate, V. Recupero Università degli Studi “La Sapienza” -Roma- Dipartimento di Scienze Ofalmologiche Dir. Prof. C. Balacco Gabrieli Sommario: In Italia esiste un tale groviglio legislativo in materia di invalidità civile, da creare non poche difficoltà interpretative ed applicative Sommario: La legge 3.4.01 n.138 non modifica la vigente normativa in materia di prestazioni economiche Nel nostro Paese, nel corso delle ultime legislature, si è assistito ad una tale produzione di leggi, in materia d’Invalidità Civile, che ha provocato non poche difficoltà nella loro interpretazione ed applicazione sino ad arrivare a vere e proprie contraddizioni. Eppure la loro esatta conoscenza è fondamentale per l'operatore sanitario nell'esercizio della propria professione. Egli non può esimersi dalla loro conoscenza potendo arrecare danni al paziente stesso oppure al Sistema sociale. L'oftalmologo in particolare, nella sua attività sia in ambito privato che pubblico, - è chiamato frequentemente, a fornire una certificazione sullo stato anatomo-funzionale dell'apparato oculare di un soggetto, - si sente rivolgere domande su possibili vantaggi economico-sociali per l'handicap visivo, - deve inviare un minorato visivo verso strutture di riabilitazione. Definizione e quantizzazione del deficit visivo La legislazione italiana in materia di criteri di valutazione della cecità civile ha, sino ad oggi, fatto riferimento - ed in pratica continua a farlo - alla legge 27 maggio 1970 n. 382. Essa regola le provvidenze per la menomazione visiva, congenita o acquisita, non dovuta a causa di guerra o di infortunio sul lavoro o a causa di servizio. Prevede tre specifiche categorie di ciechi civili: 1 CECITA’ ASSOLUTA: a) non percezione luce in entrambi gli occhi b) mera percezione della luce nell'occhio migliore c) motu mano (percezione del movimento) nell'occhio migliore, non migliorabile con lenti. (in base alla circolare del Ministero del Tesoro n° 14 del 28.9.94 il motu mano è da considerarsi sovrapponibile alla percezione luce). 2 CECITA’ PARZIALE: a) visus nell'occhio migliore non superiore ad 1/20 con correzione; b) visus nell'occhio migliore superiore ad 1/20 e inferiore ad 1/10 con correzione. Tale legislazione valuta la funzione visiva sulla base della sola acuità visiva, unico parametro da considerare al fine di definire un soggetto cieco o ipovedente. In particolare non prende in considerazione un'altra variabile molto importante - se non più importante -, le riduzioni campimetriche. In effetti, la legislazione italiana, sia pure in modo non appropriato, già considera e considerava il parametro campo visivo. Il D.M. Sanità del 5.2.1992 valuta così il restringimento concentrico del campo visivo residuo: 1. fra 10°- 30° in entrambi gli occhi = 31% - 41% di invalidità 2. inferiore a 10° in entrambi gli occhi = 80% di invalidità. E' chiaro che nella stesura di una certificazione l'oculista si trova nella necessità di dare una valutazione utilizzando una misurazione molto approssimativa che risente di un numero enorme di variabili. Il limite classico di 1/20 tra cecità ed ipovisione, che stabilisce provvidenze differenti, può variare non solo da oculista a oculista, ma anche da esame a esame. Per contro la quantizzazione minima di un visus (esempio, lo scrivere conta delle dita oppure - come capita spesso di osservare 1/100 o 1/60) fa sì che ad un soggetto non venga riconosciuta l'indennità di accompagno. Inoltre c'è la necessità di utilizzare test eminentemente soggettivi con la reale possibilità di scarsa collaborazione del paziente. Infatti, condizioni individuali particolari e la consapevolezza di un vantaggio economico-sociale fanno sì che l'accentuazione di un difetto visivo sia un comportamento che si verifica non raramente. L'avvento della Legge n. 138/2001 ridefinisce le varie forme di minorazioni visive utilizzando non solo l’acuità visiva come elemento semiologico valutativo, ma anche, conferendole la dovuta importanza, le alterazioni campimetriche. L'approvazione di tale legge è stata una vittoria dell'Unione Italiana dei Ciechi (UIC) e delle associazioni degli oftalmologi. Un ricordo particolare va al compianto prof. Mario Zingirian, che tanto si è prodigato. Va però subito segnalato un limite della legge: la riclassificazione dei deficit visivi non modifica la vigente normativa in materia di prestazioni economiche ma riguarda il riconoscimento dei requisiti sanitari cui sono legate prestazioni assistenziali. Essa distingue le seguenti categorie per il danno funzionale visivo: 1. CIECHI TOTALI (art 2): a) coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi; b) coloro che hanno la mera percezione dell’ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore; c) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3% 2. CIECHI PARZIALI (art.3): a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10%. 3. IPOVEDENTI GRAVI (art.4): a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 30%. 4. IPOVEDENTI MEDIO-GRAVI (art.5): a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 50%. 5. IPOVEDENTI LIEVI (art.6): a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 60%. LEGGE 138/2001 CIECHI TOTALI CIECHI PARZIALI IPOVEDENTI GRAVI IPOVEDENTI MEDIO-GRAVI IPOVEDENTI LIEVI Non P.L.-M.M. VOO<1/20 VOO<1/10 VOO<2/10 VOO<3/10 CV<3% CV<10% CV<30% CV<50% CV<60% In conclusione, la Legge 138/01 supera il “dogma” dell’acuità visiva come unico parametro clinico per definire un soggetto cieco o non cieco, e fornisce uno strumento più congruo per la valutazione funzionale della condizione di handicap visivo in cui il cittadino viene a trovarsi: impossibilità a svolgere “quelle azioni elementari che espleta quotidianamente un soggetto normale”. Si può così riassumere la classificazione della percentuale dell’invalidità senza entrare strettamente nel merito degli intricati passaggi del suo calcolo: 1) CIECO TOTALE 2) CIECO PARZIALE 3) IPOVEDENTE GRAVE 4) IPOVEDENTE MEDIO –GRAVE 5) IPOVEDENTE LIEVE 100% + indennità di accompagnamento 100% 60% 40% 15% Alla categoria di ipovedenti lievi, medi e medio gravi non corrisponde nessuna indennità o vantaggio. Pertanto dette categorie andranno valutate utilizzando le Tabelle di cui al D.M. 5 febbraio 1992 n. 43. Per ciascuna categoria, quando la minorazione è costituita dalla sola alterazione campimetrica, questa va valutata, per analogia, alla riduzione dell’acuità visiva della stessa categoria. Quando sono presenti contemporaneamente la riduzione campimetrica e l’acuità visiva le due minorazioni vanno valutate come concorrenti. Vantaggi economico-sociali per l'ipovedente Vediamo adesso nel dettaglio leggi e normative a proposito di provvidenze economiche, benefici pensionistici, lavoro e agevolazioni che interessano le varie categorie. Esiste una indennità speciale a favore dei cosiddetti “ciechi ventesimisti”, cioè coloro che presentino un residuo visivo in entrambi gli occhi, anche con eventuale correzione, non superiore ad 1/20: - dal 1 gennaio 2003 l’ammontare dell’indennità speciale è pari ad euro 113,91 mensili. - ai ciechi ventesimisti spetta anche una pensione che, dal 1 gennaio 2003, ammonta ad euro 223,90, ma solo se il reddito personale annuo non è superiore ad euro13103,20. Il secondo comma dell’art.9 della Legge 113/85 e l’art. 2 della Legge 120/92 consentono ai lavoratori ciechi, ovverosia a coloro che hanno un residuo visivo non superiore ad un decimo in entrambi gli occhi anche con eventuale correzione (decimisti VOO<1/10), di ottenere un beneficio, ai fini del diritto e della misura della pensione, di : - 4 mesi per ogni anno di servizio effettivamente svolto purchè nella domanda di pensione questo diritto sia chiaramente esplicitato. In materia di diritto al lavoro esistono delle leggi speciali per i ciechi, in particolare la Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili); con questa legge è stata regolamentata: - l’assunzione obbligatoria delle persone con invalidità superiore al 45%. Per i ciechi le norme si riferiscono ai decimisti, con recente allargamento di alcune disposizioni anche ai soggetti di cui agli art. riportati 2, 3 e 4 della legge 138/01. Ricordiamo inoltre tutta una serie di agevolazioni per i trasporti e altro cui i minorati della vista di cui agli art. 2, 3 e 4 della legge 138/2001 hanno diritto: 1) Sconto del 20% sul biglietto delle tratte ferroviarie nazionali se viaggiano da soli. Se accompagnati, il costo del biglietto per sé e l’accompagnatore, è ridotto del 50%. 2) Sconto del 40% sul biglietto ordinario dell’Alitalia (solo per i voli nazionali) per sé e l’accompagnatore. 3) In alcune regioni italiane, ai non vedenti residenti, viene concessa la possibilità di viaggiare gratuitamente, anche con l’eventuale accompagnatore, sui mezzi pubblici, sia urbani che extraurbani. Localmente si ha anche la possibilità, a condizioni differenti da zona a zona, di viaggiare gratuitamente sui treni locali, sulle funicolari, sui battelli lacustri etc., nonché ottenere dei buoni per l’utilizzo dei taxi. 4) Acquisto di un’autovettura con IVA ridotta al 4%. 5) Esenzione tassa di proprietà (Bollo). 6) Contrassegno H 7) Sconti o ingressi gratuiti in musei, sale cinematografiche e teatri. 8) La strumentazione non compresa nel nomenclatore tariffario delle protesi, e comunque utilizzabile dai minorati della vista in genere, è soggetta ad una riduzione dell’IVA al 4%. 9) Soggetti lavoratori impegnati nel campo sociale o che abbiano necessità di natura sanitaria, possono richiedere un obiettore di coscienza o un volontario del servizio civile, unicamente per le proprie necessità. Costo di euro 93 mensili trattenute sulla indennità di accompagnamento o sulla indennità speciale percepita dall’interessato. 10) a) Riduzione dall’Irpef del 19% delle spese sostenute per l’acquisto del cane guida. b) detrazione forfettaria di 516,46 euro delle spese sostenute per il mantenimento del cane guida. c) Aliquota IVA agevolata al 4% per l’acquisto di particolari prodotti editoriali destinati ad essere utilizzati dai non vedenti o ipovedenti. d) detrazione dalle tasse pari a 774,69 euro per ogni figlio portatore di handicap. e) Riduzione dell’IVA al 4% per le spese sostenute per l’abbattimento delle barriere architettoniche, sia condominiali che domestiche. 11) esenzione ticket. La riabilitazione dell’ipovedente Importante a questo punto parlare anche di quelle disposizioni per la prevenzione della cecità e per la riabilitazione visiva e l’integrazione sociale e riabilitativa dei ciechi pluriminorati che sono regolamentate dalla Legge 28 agosto 1997, n. 284. Essa delega le regioni a varare piani di intervento non solo con la creazione di nuovi centri ed il potenziamento di quelli già esistenti ma anche con la convenzione con centri specializzati. Suo grosso limite purtroppo lo scarso finanziamento: 5 miliardi (vecchie lire) da dividere fra tutte le regioni. Un Decreto Ministeriale relativo alla suddetta legge prevede inoltre una serie di figure professionali, strutture e strumenti che concorrano alla prevenzione e alla riabilitazione. Tutti i minorati della vista, di cui alla legge 138/01 possono infatti accedere ai Centri di consulenza, educazione e riabilitazione visiva ipovedenti (CERVI) regolamentati dalla circolare applicativa della legge 284/97, ove opera personale specializzato nel settore, in particolare: - oftalmologo; psicologo; operatore di riabilitazione visiva; ortottista, assistente in oftalmologia; infermiere professionale o assistente sanitaria visitatrice; assistente sociale. Tra le strutture sono previsti: - uffici ricevimento; sala oculistica; sala riabilitazione; sala ottico-tiflologica; studio psicologico; servizi. In tali centri sono a disposizione: - cassetta di prova sistemi telescopici; sistemi ipercorrettivi premontati bi-oculari; tavolo ergonomico; leggio regolabile; sedia ergonomica con ruote e fermo; set di lampade a luci differenziate; set ingrandimenti e autoilluminanti; sistemi televisivi a circuito chiuso (bianco e nero, a colori, portatile). È indubbio che tale legge ed il successivo decreto ministeriale presentino grossi meriti quali: - il richiamare l’attenzione su uno dei problemi della sanità moderna, l’ipovisione; - lo stabilire delle linee guida sull’organizzazione dei Centri di Ipovisione, facendo tesoro dell’esperienza di altri Paesi più avanzati in questo settore; - inoltre l'affrontare il problema nell’ambito territoriale, delegando alle Regioni; - in più il recuperare, laddove esistono, realtà già funzionanti di riabilitazione visiva, non solo in ambito pubblico, ma anche privato, con la possibilità di fare convenzioni con questi ultimi Centri. Purtroppo presenta il grosso limite, già ricordato in precedenza, della scarsità del finanziamento. Bibliografia 1. F. Cruciani: La nuova legge sulla quantificazione delle minorazioni visive. Oftal Soc 2001; 2:4-5. 2. R. Grenga; F. Cruciani; PL Grenga: Il deficit visivo (quantità e qualità della funzione visiva). Oftal Soc 2003; 1: 15-19 Legge 3 aprile 2001, n. 138 "Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 93 del 21 aprile 2001 Art. 1. (Campo di applicazione). 1. La presente legge definisce le varie forme di minorazioni visive meritevoli di riconoscimento giuridico, allo scopo di disciplinare adeguatamente la quantificazione dell'ipovisione e della cecità secondo i parametri accettati dalla medicina oculistica internazionale. Tale classificazione, di natura tecnico-scientifica, non modifica la vigente normativa in materia di prestazioni economiche e sociali in campo assistenziale. Art. 2. (Definizione di ciechi totali). 1. Ai fini della presente legge, si definiscono ciechi totali: a) coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi; b) coloro che hanno la mera percezione dell'ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore; c) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3 per cento. Art. 3. (Definizione di ciechi parziali). 1. Si definiscono ciechi parziali: a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10 per cento. Art. 4. (Definizione di ipovedenti gravi). 1. Si definiscono ipovedenti gravi: a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 30 per cento. Art. 5. (Definizione di ipovedenti medio-gravi). 1. Ai fini della presente legge, si definiscono ipovedenti medio-gravi: a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 50 per cento. Art. 6. (Definizione di ipovedenti lievi). 1. Si definiscono ipovedenti lievi: a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 60 per cento. Art. 7. (Accertamenti oculistici per la patente di guida). 1. Gli accertamenti oculistici avanti agli organi sanitari periferici delle Ferrovie dello Stato, previsti dall'articolo 119 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, sono impugnabili, ai sensi dell'articolo 442 del codice di procedura civile, avanti al magistrato ordinario. Legge 28 agosto 1997, n. 284 "Disposizioni per la prevenzione della cecità e per la riabilitazione visiva e l'integrazione sociale e lavorativa dei ciechi pluriminorati" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 204 del 2 settembre 1997 Art. 1. 1. Alle iniziative per la prevenzione della cecità e per la realizzazione e la gestione di centri per l'educazione e la riabilitazione visiva è destinato, a decorrere dall'esercizio 1997, uno stanziamento annuo di lire 6.000 milioni. Art. 2. 1. Lo stanziamento di cui all'articolo 1 è destinato, quanto a lire 5.000 milioni, alle regioni per la realizzazione delle iniziative di cui al medesimo articolo, da attuare mediante convenzione con centri specializzati, per la creazione di nuovi centri dove questi non esistano ed il potenziamento di quelli già esistenti. 2. Con decreto del Ministro della sanità, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono determinati i criteri di ripartizione dei fondi di cui al comma 1, nonchè i requisiti organizzativi, strutturali e funzionali dei centri di cui al medesimo comma 1. 3. La restante disponibilità di lire 1.000 milioni è assegnata alla Sezione italiana dell'Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità, per le attività istituzionali. 4. L'attività della Sezione italiana dell'Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità è sottoposta alla vigilanza del Ministero della sanità. 5. La Sezione italiana dell'Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità, entro il 31 marzo di ciascun anno, trasmette al Ministero della sanità una relazione sull'attività svolta nell'esercizio precedente nonchè sull'utilizzazione dei contributi di cui al comma 3. 6. Le regioni, entro il 30 giugno di ciascun anno, forniscono al Ministero della sanità gli elementi informativi necessari per la puntuale valutazione dei risultati ottenuti nella prevenzione della cecità, nell'educazione e nella riabilitazione visiva, tenendo conto del numero dei soggetti coinvolti e dell'efficacia. 7. Il Ministro della sanità, entro il 30 settembre di ciascun anno, trasmette al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione delle politiche inerenti la prevenzione della cecità, l'educazione e la riabilitazione visiva nonchè sull'utilizzazione dei contributi erogati dallo Stato per tali finalità. Art. 3. 1. Le regioni, anche d'intesa, possono istituire appositi centri o servizi di educazione permanente e di sperimentazione per le attività lavorative ed occupazionali allo scopo di promuovere l'inserimento sociale, scolastico e lavorativo delle persone prive della vista che presentino ulteriori minorazioni di natura sensoriale, motoria, intellettiva e simbolico-relazionale. 2. Per le finalità di cui al comma 1, è autorizzato un contributo annuo di lire 12.000 milioni a decorrere dall'anno 1998. Le regioni possono proporre al Ministro per la solidarietà sociale programmi pluriennali di intervento, secondo le modalità ed i criteri definiti con decreto del Ministro per la solidarietà sociale, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. 3. In relazione alle finalità di cui al comma 1, a decorrere dall'anno 1998 è concesso alla Federazione nazionale delle istituzioni pro-ciechi di cui al regio decreto 23 gennaio 1930, n. 119, un contributo annuo di lire 2.000 milioni per le attività di ricerca e di coordinamento stabilite dallo statuto della medesima Federazione. Art. 4. 1. Agli oneri derivanti dall'attuazione degli articoli 1 e 2, pari a lire 6.000 milioni per ciascuno degli anni 1997, 1998 e 1999, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1997-1999, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1997, utilizzando parzialmente l'accantonamento relativo alla Presidenza del Consiglio dei ministri. 2. Agli oneri derivanti dall'attuazione dell'articolo 3, pari a lire 14.000 milioni a decorrere dall'anno 1998, si provvede mediante utilizzo delle proiezioni per gli anni 1998 e 1999 dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1997-1999, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1997, utilizzando parzialmente l'accantonamento relativo alla Presidenza del Consiglio dei ministri. 3. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. A proposito di… Titolo: Modificazioni ipertensive del fondo oculare di A. Mastromatteo, A. Labate, V. Cappello Università degli Studi “La Sapienza” -Roma- Dipartimento di Scienze Ofalmologiche Dir. Prof. C. Balacco Gabrieli Sommario: Nel 1859 Liebreich descrisse per primo le modificazioni del fondo oculare nell’ipertensione arteriosa, denominandole ‘retinite albuminurica’ Sommario: Gli effetti dell’ipertensione arteriosa sulle strutture oculari sono in funzione della durata e dei livelli dell’aumento pressorio Le alterazioni retiniche secondarie all’ipertensione arteriosa costituiscono spesso il primo segno della malattia ipertensiva. Nel 1859 Liebreich descrisse per primo le modificazioni del fondo oculare nell’ipertensione arteriosa, denominandole “retinite albuminurica”. Da allora sono stati utilizzati numerosi termini, il più universale dei quali è “retinopatia ipertensiva”. Gli effetti dell’ipertensione arteriosa sulle strutture oculari sono in funzione della durata e dei livelli dell’aumento pressorio, tanto che le tendenze attuali sono nel distinguere tre manifestazioni patologiche, non correlate tra loro, nell’ipertensione arteriosa maligna: retinopatia ipertensiva, coroidopatia ipertensiva e neuropatia ottica ipertensiva, giustificate anche da un punto di vista anatomo-fisiologico dalla diversità dei letti vascolari. Numerosi studi hanno evidenziato la presenza di autoregolazione nei vasi retinici e della testa del nervo ottico, ma non nel letto vascolare coroideo, anche se l’esatto meccanismo non è ancora noto. Di contro, la presenza di una barriera emato-oculare è ben nota, ma la coroide e la testa del nervo ottico ne sono sprovviste. A. RETINOPATIA IPERTENSIVA Le lesioni retiniche possono essere suddivise ai fini descrittivi in: 1. Lesioni vascolari retiniche - modificazioni arteriolari retiniche - trasudati periarteriolari focali intraretinici - essudati cotonosi - alterazioni dei capillari retinici - modificazioni delle vene retiniche - aumento della permeabilità del letto vascolare 2. Lesioni retiniche extravascolari - emorragie retiniche - edema retinico e/o maculare - depositi lipidici (essudati duri) - perdita delle fibre nervose retiniche. Le cosiddette arterie retiniche sono di fatto, da un punto di vista anatomico, delle arteriole, con scarsa quantità di cellule muscolari, per cui uno spasmo sembra improbabile (Cogan). Di più facile riscontro, le modificazioni di tipo cronico dell’ipertensione a questo livello, caratterizzate da: - aumentato spessore della parete arteriolare per progressivo aumento delle componenti elastiche; lo strato muscolare può essere sostituito da fibre collagene e l’intima può essere sostituita da un ispessimento ialino, con conseguente modificazione dell’aspetto del riflesso. Normalmente la parete delle arteriole è invisibile; è visibile soltanto la colonna di eritrociti nel lume. Con l’aumentare dello spessore della parete e con la riduzione del lume, questo riflesso perde la sua luminosità e diventa più opaco e più diffuso, assumendo il colore marrone rossastro del riflesso “a filo di rame”. - Aumento della tortuosità delle arteriole sclerotiche. - Occlusione di alcune arteriole più piccole con aspetto oftalmoscopico “a filo d’argento”. Infatti l’esame fluorangiografico rivela che spesso non sono perfusi. I trasudati periarteriolari intraretinici focali rappresentano una lesione retinica molto specifica, osservata unicamente nella forma maligna. Sono lesioni di forma circolare o ovalare, di grandezza variabile, che talvolta possono fondersi tra loro a formare lesioni più grandi. Hanno colore bianco opaco e sono tipicamente localizzati vicino alle principali arteriole retiniche e alle loro branche posteriori e negli strati retinici profondi. Gli essudati cotonosi sono lesioni secondarie ad ischemia focale acuta delle fibre nervose. All’esame oftalmoscopico appaiono come aree biancastre di forma polimorfa a margini sfumati, irregolari. Sono localizzati prevalentemente al polo posteriore (entro alcuni dischi di diametro dal disco ottico), essenzialmente lungo la distribuzione dei capillari retinici peripapillari radiali. Alla FAG si presentano come un’area di non perfusione retinica. La patogenesi non è completamente chiara ma, probabilmente derivano dall’occlusione delle arteriole retiniche terminali. Tali formazioni cotonose (impropriamente chiamate essudati molli in quanto il materiale non essuda dai vasi) corrispondono esattamente ed aree di non perfusione fluorangiografica. L’obliterazione dei capillari, oltre agli essudati cotonosi, può produrre anomalie microvascolari intraretiniche secondarie, tra le quali microaneurismi, shunt, loop. Se il fenomeno di ipoperfusione è parecchio diffuso, si può sviluppare una neovascolarizzazione della retina periferica e/o del disco ottico. Le alterazioni delle vene retiniche sono: - schiacciamento venoso agli incroci arterovenosi dei vasi principali determinato dalla sclerosi vascolare e dalla proliferazione gliale perivascolare in una situazione di avventizia comune tra arteriole e venule, con aspetto a “incisura” (segno di Gunn). - Deviazione della venula laddove incrocia l’arteriola in un angolo retto anziché acuto (segno di Salus) - Dilatazione e tortuosità - Microaneurismi e macroaneurismi. L’aumento della permeabilità del letto vascolare retinico è secondario all’interruzione della barriera emato-retinica. Le emorragie sono una caratteristica molto frequente del fondo oculare dei soggetti ipertesi, ma non assumono un significato patognomonico. Sono di solito “a fiamma” e localizzate nello strato delle fibre nervose, in prossimità del disco ottico negli stadi iniziali, mentre successivamente possono essere osservate anche in periferia e negli strati profondi della retina. L’edema retinico è tipico della forma di ipertensione maligna. Può essere diffuso o localizzato in sede maculare e indurre comparsa di alterazioni secondarie a tale livello quali alterazioni microcistiche, cisti foveali, separazione delle fibre nervose. Il meccanismo alla base della sua formazione forse è riconducibile ad interruzione della barriera ematorertinica a livello dell’EPR. I depositi lipidici (essudati duri), situati profondamente nello strato plessiforme esterno, di colorito bianco giallastro, con contorni netti, sono probabilmente il risultato di fenomeni degenerativi. Tendono a confluire configurando varie e caratteristiche morfologie quali la stella maculare, a cercine. La perdita delle fibre nervose si rende evidente con la risoluzione degli essudati cotonosi. Sono generalmente situati nell’area dei capillari peripapillari radiali, risultando più marcata a livello dell’arcata temporale superiore ed inferiore. B. COROIDOPATIA IPERTENSIVA La coriocapillare presenta numerose fenestrazioni nelle cellule endoteliali con assenza di barriera emato-oculare, aspetto che rende questo tessuto facilmente permeabile alle proteine plasmatiche e ad altre macromolecole. Nell’ipertensione arteriosa maligna, sostanze vasocostrittrici endogene, come l’angiotensina II, l’adrenalina e la vasopressina, fuoriescono liberamente dalla coriocapillare, agendo sulle pareti dei vasi coroidei. Le lesioni secondarie all’ischemia coroideale sono: - insufficienza circolatoria coroideale, che si evidenzia fluorangiograficamente con un riempimento ritardato a “chiazze” soprattutto a livello della regione foveale; - necrosi ischemica dell’EPR sovrastante, che appaiono giallastre (noduli di Elshing); - distacchi bollosi di retina. C. NEUROPATIA OTTICA IPERTENSIVA L’ipertensione arteriosa maligna può provocare anche papilledema, con edema della testa del nervo ottico e dilatazione dei capillari del nervo ottico, rappresentando un importante segno prognostico. Le cause sono controverse. CLASSIFICAZIONE DELLE ALTERAZIONI IPERTENSIVE DEL FONDO OCULARE Sin dal 1939 sono state elaborate numerose classificazioni cliniche e metodiche per graduare le alterazioni ipertensive del fondo oculare, basate sull’interpretazione oftalmoscopica delle sue alterazioni. La prima classificazione ampiamente utilizzata è stata quella di Keith, Wagener e Barker elaborata nel 1939. La classificazione di Keith-Wagener-Barker prevede quattro stadi: I stadio: presenza di una minima riduzione di calibro delle arteriole retiniche associata ad una certa tortuosità delle stesse. È indicativa di uno stadio di retinopatia ipertensiva lieve. II stadio: comprende le alterazioni del I gruppo, con un restringimento focale delle arteriole più definito e con apparente interruzione della venula a livello degli incroci AV. III stadio: oltre alle alterazioni precedenti, si riscontrano anche alterazioni perivasali con edema, emorragie ed essudati retinici. Le emorragie sono per lo più a fiamma e gli essudati duri prediligono l’area maculare, assumendo una disposizione radiale (stella maculare). Le alterazioni vasali progrediscono nel tempo con dilatazione ed anastomosi capillari. IV stadio: le lesioni precedentemente descritte sono più gravi ed è presente papilledema. In alcuni casi sono presenti anche i noduli di Elshing. La classificazione di Scheie del 1953 evidenzia 5 stadi: stadio 0: non ci sono alterazioni vascolari retiniche anche in presenza di di un quadro sistemico; stadio I: è visibile un restringimento arteriolare diffuso; stadio II: sono presenti anche restringimenti focali arteriolari; stadio III: sono più evidenti e diffusi i restringimenti arteriolari e si associano emorragie retiniche; stadio IV: sono presenti tutte le alterazioni descritte, insieme ad edema retinico, essudati duri e papilledema. News dall’Agenzia Titolo: B. S. EVERITT, Chance Rules. An Informal Guide to Probability, Risk, and Statistics, New York, Copernicus Spinger-Verlag, 1999. Pp. 202, $ 26,00 Recensione "La statistica oggi sempre più presente nel campo medico. Un libro, interessante, semplice, piacevole, che conduce il lettore nei meandri intricati della statistica". Dalla semplice constatazione che il caso governa le nostre vite, nasce questo lavoro di diffusione presso un vasto pubblico (anglofono) di molte idee di base utili nella probabilità e nella statistica. Ho sottolineato che il libro è dedicato ai lettori di lingua inglese non tanto per la banale considerazione che in tale lingua è scritto e che l’autore è uno statistico inglese e lavora a Londra, quanto perché è in tale cultura che nasce e trova diffusione. Nel nostro paese, per esempio e ancor oggi anche se con minor petulanza, non è infrequente imbattersi in sottili disquisizioni sui ‘numeri ritardatari’ al Lotto; ma è molto frequente leggere oroscopi o sentire e vedere ‘maghi’ d’ogni genere accreditati da varie trasmissioni televisive, discettare sul futuro delle persone e astrologare su altre imperscrutabili magarie. Ad alcuni maghi sono anche da ascriversi truffe milionarie (in euro) che hanno messo in moto la macchina della giustizia. Il libro di Everitt introduce piano piano il lettore a compiere i primi passi verso la comprensione delle regole della probabilità per la somma logica e per il prodotto logico degli eventi. Non senza descrivere brevemente e per grandi linee la storia dei giochi di sorte a partire dall’antico Egitto sino agli sviluppi del secolo Diciassettesimo e Diciottesimo, e allo stesso tempo gli sviluppi degli studi sulla probabilità nell’Europa del tempo. Una caratteristica dell’esposizione fa sì che tutti i concetti siano esposti ed espressi col ricorso a semplici esempi numerici, lasciando a dei riquadri la trattazione algebrica, anche questa tenuta al livello di un lettore colto ma non specializzato in matematica (per capirci, come potrebbe essere in Italia una persona con una maturità di scuola secondaria superiore). Gli esempi, raccolti in diversi capitoli, non si limitano ai giochi di sorte, pur essendo questi presenti e trattati diffusamente per la loro importanza storica e pregnanza esemplificativa (giochi di dadi e di carte), spaziano dalla nascita dei bambini a seconda del sesso, alle lotterie, ai risultati delle partite di calcio e alle corse ippiche. Dopo questa lunga serie di esempi si fa conoscenza col reverendo Thomas Bayes e la sua regola di composizione delle probabilità,oltre che ovviamente con il concetto di probabilità subordinata. Le esemplificazioni con cui l’autore illustra questi strumenti sono sempre avvincenti sul piano della ricerca intellettuale e mirano anche a far riflettere su problemi importanti nella vita reale, come quello dei test clinici: cioè, ricevuta una risposta positiva ad un esame clinico cui ci siamo sottoposti, qual è la probabilità che si abbia effettivamente una data malattia per la quale l’analisi è stata effettuata? Viene anche presentato un gioco divenuto famoso fra gli statistici e non solo. Lo descrivo brevemente: in un programma televisivo, vi viene offerta la scelta di una porta fra tre e dietro ad una d’esse v’è celato un ‘premio favoloso’, cioè di qualche interesse per il concorrente. Scegliete una porta e la graziosa assistente del ‘bravo presentatore’ vi apre una delle altre due porte che mostra un libro da pubblicizzare, cioè nulla di rilevante ed informativo per il concorrente. A questo punto vi viene chiesto: “Vuole cambiare la porta scelta mantenerla?” Il problema sta nello stabilire quale strategia adottare per aumentare la probabilità di vincita. Gli ultimi quattro capitoli trattano del rischio cui siamo esposti in diversi momenti e in varie azioni della nostra esistenza, con esemplificazioni tratte prevalentemente dal campo medico. Può essere interessante ricordare qui uno fra i molti esempi proposti per illustrare gli effetti miracolosi che da parte di alcuni si vorrebbero ascrivere ad particolari terapie, senza, anzi rifiutando, un controllo sperimentale su basi statistiche, perché riguarda il nostro paese. “Nel 1998 un giudice di Maglie, piccola cittadina nel Sud dell’Italia, decretò che il servizio sanitario nazionale dovesse pagare affinché i malati di cancro potessero ricevere un rimedio costoso e non vagliato sperimentalmente, promosso da un fisiologo in pensione, Luigi Di Bella. L’unanime opposizione al trattamento da parte degli scienziati, sostenne il giudice, non era una ragione abbastanza valida per privarne gli ammalati.” Sono anche interessanti le sue informazioni sulle medicine alternative (agopuntura, omeopatia, e altre) per le quali non si avrebbero che scarse sperimentazioni cliniche a fronte di un impiego molto diffuso nella popolazione inglese (ma anche italiana). Si può forse osservare che, almeno da noi, la medicina tradizionale tende spesso ad asseverare la bontà dei propri trattamenti senza troppo preoccuparsi di prove empiriche: per esempio quando si propongono interventi oculari per il recupero del visus senza troppo curarsi – in generale, ma vi sono medici attenti e scrupolosi – dei risultati conseguenti nel medio e lungo periodo. Comunque le osservazioni di Everitt hanno il merito, se non altro,di porre dei problemi molto seri e suscitare non pochi interrogativi nel lettore, oltre che fornirgli informazioni di base sul modo di ragionare probabilistico. Enzo Lombardo Professore Ordinario di Statistica Università "La Sapienza" – Roma News dall’Oftalmologia mondiale Titolo: Incidenza e progressione delle membrane epiretiniche in 5 anni di studio Dal Blue Mountains Eye Study di A. Labate, V. Cappello La proliferazione di membrane epiretiniche maculari sulla superficie della membrana limitante interna (definita anche come sindrome dell’interfaccia vitreo-retinica o fibrosi maculare preretinica) è un evento relativamente frequente nelle persone anziane, osservabile soprattutto in seguito a chirurgia vitreo-retinica, a chirurgia della cataratta, a flogosi intraoculari persistenti, a vasculopatie retiniche e a traumi. Molti casi tuttavia risultano idiopatici. Le membrane epiretiniche evolvono lentamente e solo in una piccola percentuale di pazienti determinano effetti significativi sulla visione, come una riduzione dell’acuità visiva, la comparsa di metamorfopsie, diplopia monoculare. Raramente la trazione esercitata sulla retina causa disturbi visivi tali da rendere necessaria la rimozione chirurgica delle membrane. Da un punto di vista istopatologico le membrane sono costituite da cellule gliali retiniche e da cellule dell’epitelio pigmentato retinico, le quali proliferano sulla superficie retinica interna, in particolar modo dopo distacco posteriore di vitreo. Le stime sulla prevalenza delle membrane epiretiniche si basano su due studi effettuati su popolazione adulta: il Beaver Dam Eye Study 1 e il Blue Mountains Eyes Study (BMES),2 i quali riportano una prevalenza rispettivamente dell’11.8% e del 7%. In entrambi gli studi le membrane sono associate a diabete, chirurgia della cataratta oppure ad occlusioni venose retiniche. Tuttavia questi studi non ci forniscono informazioni sull’incidenza e sul decorso di questa patologia. Recentemente è stato proposto da Fraser-Bell et al. un altro studio per documentare l’incidenza in 5 anni delle membrane epiretiniche in una popolazione di anziani australiani, seguendone il decorso in questo periodo. 3 Il BMES è un indagine epidemiologica sulle principali patologie oculari, condotta in un’area a ovest di Sidney in Australia. Ai partecipanti sono stati sottoposti dei questionari per indagarne la storia medica ed oftalmologica (diabete, ipertensione, malattie vascolari). Sono state scattate poi delle foto stereoscopiche della macula (30°) e di altri campi retinici in entrambi gli occhi e identificati due tipi di membrane epiretiniche: una forma severa definita fibrosi maculare preretinica (PMF: preretinal macular fibrosis), nella quale si osservano pieghe retiniche, ed una forma meno severa chiamata riflesso maculare a cellophane (CMR), senza pieghe retiniche visibili. Dopo il periodo di follow-up di 5 anni sono state osservate membrane epiretiniche in 108 occhi tra i 2030 partecipanti che non avevano lesioni al principio (5.3%; CI, 4.4-6.5). Tutti i casi incidenti erano unilaterali eccetto un partecipante che aveva sviluppato CMR in un occhio e PMF nell’altro. L’incidenza è stata del 3.7% sotto i 60 anni, 6.6% tra 60 e 69, 6.1% tra 70 e 79 e 1.1% sopra gli 80 anni. Non si è osservata un’associazione statisticamente significativa tra età ed incidenza di membrane epiretiniche. L’incidenza è stata di 5.7% nelle donne e 4.8% negli uomini, ma questa differenza non è statisticamente significativa, dopo aver aggiustato per l’età (OR 1.3; CI 0.8-2.0). I casi incidenti di PMF (1.5%; CI, 1.0-2.1) sono stati meno della metà di quelli di CMR (3.8%; CI, 3.0-4.7). I casi di PMF erano tutti unilaterali mentre 15 casi (19.5%) di CMR erano bilaterali. L’incidenza massima di membrane epiretiniche è stata tra 60 e 79 anni. Entrambi i tipi di membrane si verificano più frequentemente nelle donne: per PMF 1.6% contro 1.5 e per CMR 4.1% contro 3.4%. L’incidenza di membrane epiretiniche tra i 179 soggetti che avevano potenziali cause secondarie era solo poco più alta (5.6%; CI, 2.7-10.1) dell’incidenza tra i soggetti rimanenti (1851), i quali avevano membrane idiopatiche (5.2%; CI, 4.2-6.3). Tra i casi con membrane secondarie, 2 soggetti avevano retinopatia, 2 occlusione venosa retinica e 4 erano stati sottoposti a chirurgia della cataratta. Tra i 165 soggetti che avevano effettuato chirurgia della cataratta al BMES I, 15 hanno sviluppato membrane epiretiniche (9.1%; CI, 5.2-14.6), di cui 3 erano PMF (1.8%) e 12 CMR (7.3%). Questo tasso di incidenza era significativamente più alto rispetto al gruppo non operato , P= 0.02, in quanto 92 soggetti dei 1865 non operati (4.9%; CI, 4.0-6.0) aveva sviluppato membrane: 28 casi di PMF (1.5%) e 64 casi di CMR (3.4%). Ancora, il 13.5% dei partecipanti con membrane epiretiniche in un occhio hanno sviluppato dopo 5 anno membrane nell’altro occhio. L’incidenza di membrane nel secondo occhio è stata 2.5 volte più alta (P< 0.001) dell’incidenza nel primo occhio. Dopo aver escluso i casi con retinopatia diabetica o altre cause secondarie conosciute, è stata fatta un’analisi statistica per vedere se altri fattori di rischio erano associati alle membrane epiretiniche idiopatiche. Non è stata dimostrata nessuna associazione con diabete, glicemia o ipertensione arteriosa. In questo studio l’acuità visiva è stata modificata pochissimo dall’insorgenza o dall’evoluzione delle membrane epiretiniche. Per quanto riguarda il decorso delle membrane epiretiniche, su 56 partecipanti (62 occhi) con PMF al principio si è registrata una progressione nel 16.1% dei casi ed una regressione nel 25.8% dei casi. Su 142 soggetti (182 occhi) con CMR all’inizio si è osservata una progressione nel 32.8% dei casi ed una regressione nel 25.7% dei casi, includendo 17 occhi che da CMR si erano evoluti in PMF (9.3%). Tra i casi con CMR regrediti, l’area di involuzione si è ridotta più del 25 % in 23 casi (12.6%) ed è scomparsa completamente in 24 casi (13%). La presenza di fattori di rischio oculari non è stata in grado di predire la progressione delle membrane. In conclusione l’incidenza di membrane epiretiniche in 5 anni nella popolazione esaminata è stata del 5.3%; l’incidenza totale di PMF è stata meno della metà di CMR (1.5% vs 3.8%), che corrisponde strettamente a quanto riportato dal BMES I e dal Beaver Dam, ovvero una prevalenza di 2.2% e 4.8% per PMF e CMR nel primo, 2.8% e 9.0% nel secondo. L’incremento dell’incidenza delle membrane con l’età osservato per persone con meno di 70 anni corrisponde all’aumento di prevalenza fino a questa età trovato in BMES I e Beaver Dam. La più bassa prevalenza registrata per gruppi più anziani rappresenta una potenziale sottostima a causa di un aumento dell’opacità lenticolare. La riduzione dell’incidenza riportata in questo studio avvalora questa ipotesi. Non sono state osservate inoltre differenze di sesso statisticamente significative. L’incidenza di membrane nel secondo occhio è più che doppia rispetto al primo ed il secondo occhio sviluppa più facilmente PMF del primo: l’incidenza di PMF nel secondo occhio è 4 volte più grande, e l’incidenza di CMR nel secondo occhio è 2 volte più grande rispetto al primo. Questi dati suggeriscono un andamento simmetrico delle lesioni nei due occhi, così come si verifica in altre patologie oculari come la degenerazione maculare senile. Anche il distacco posteriore di vitreo, fattore di rischio per le membrane epiretiniche, è spesso bilaterale. Lo studio identifica un’associazione statisticamente significativa tra chirurgia della cataratta e incidenza di membrane epiretiniche, in particolar modo la forma meno severa. I partecipanti sottoposti a chirurgia della cataratta hanno mostrato un’incidenza doppia rispetto al resto del gruppo. È possibile tuttavia che le membrane fossero presenti prima dell’intervento ma che fossero passate inosservate a causa dell’opacità del cristallino. Gli studi precedenti registrano un’associazione tra diabete e membrane epiretiniche, questo studio più recente invece non conferma i dati: l’incidenza delle membrane non è sostanzialmente differente tra occhi con e senza altre patologie associate (5.6% vs 5.2%). Lo studio evidenzia che in molti casi le membrane non progrediscono dopo 5 anni; infatti in 1 caso su 4 è dimostrata la regressione o scomparsa delle membrane, mentre solo 1 caso su 10 di CMR progredisce verso PMF. È necessaria comunque una statistica su numeri più ampi. Inoltre lo studio mostra una lieve compromissione dell’acuità visiva dopo il periodo di follow-up negli occhi con PMF confrontati con occhi che non hanno sviluppato membrane, ma questo non è stato visto in occhi con CMR. Inoltre non è stato notato un peggioramento significativo della visione negli occhi che hanno mostrato una progressione delle PMF. Questo studio, pertanto, fornisce utili informazioni circa l’incidenza delle membrane in 5 anni e sul loro decorso naturale in una popolazione anziana. Il tipo più severo sembra essere relativamente stabile in questo periodo, e solo pochi casi hanno determinato una compromissione visiva. Questa relativa stabilità delle membrane epiretiniche ed i loro limitati effetti sull’acuità visiva devono essere tenuti presenti quando si prende in considerazione la soluzione chirurgica con tutte le sue potenziali complicanze. Bibliografia 1. Klein R, Klein BEK, Wang Q. Moss SE. The epidemiology of epiretinal membranes. Trans Am Ophthalmol Soc 1994;92: 403-25; discussion 425-30. 2. Mitchell P, Smith W, Chey T, et al. Prevalence and associations of epiretinal membranes. The Blue Mountains Eyes Study, Australia. Ophthalmology, 1997; 104:1033-40. 3. Fraser-Bell et al. Five Year Cumulative Incidence and Progression of Epiretinal Membranes. Ophthalmology, 2003; 110:34-40. News dall’Oftalmologia mondiale Titolo: Cecità e malattie oculari nel Tibet Dal British Journal of Ophthalmology Dunzhu S., Wang F.S., Courtright P., Liu L., et al .: Blindess and eye diseases in Tibet : findings from a randomised , population based survey. Br.J. Ophthalmol., 2003; 87:1443-1448 di M. Ranieri, L. Di Genova Con la collaborazione delle autorità di Sanità Pubblica, è stata condotta un’indagine sulla cecità , sulle patologie legate alla vista e sullo sviluppo dei servizi di assistenza oculistica nella Regione Autonoma del Tibet (RAT) al fine di mettere a punto un piano decennale di prevenzione e cura degli handicap visivi. Tale ricerca altro non è stato che uno studio incrociato voluto da tre delle sette province della RAT. L’indagine procedeva utilizzando un metodo random multistage. Due diverse équipe hanno condotto l’inchiesta nelle diverse province: a Loka nel maggio ’99, a Naku a giugno ’99, a Lingzhr nel maggio 2000. Su un campione di 15.900 persone, sono state esaminate 12.644 (79,6%). La prevalenza della cecità (quindi gente che presenteva acutezza visiva nel suo occhio migliore con meno di 6/60) era del 2-3%. Lo studio di ipovisione (l’occhio migliore presentava un’acutezza visiva contenuta tra 6/24 e 6/60) fu riscontrato nel 10,9% della popolazione. La cataratta costituiva la causa primaria di cecità 50,7%, seguita dalla degenerazione maculare (12,7%) e dall’opacità della cornea (9,7%). La cecità in Tibet è un serio problema di sanità pubblica ed in proporzione si ritiene di proporzioni più gravi rispetto alla Cina Orientale. Come avviene anche nel resto del mondo , le donne riportano un maggiore eccesso di cecità rispetto agli uomini. Circa il 75% dei non vedenti in Ttibet potrebbe sfruttare programmi di prevenzione e comunque essere operato. La Regione Autonoma del Tibet RAT, facente parte della Repubblica Popolare Cinese, con i suoi 1.200000 di kmq di superficie costituisce uno dei paesi più popolati e più vasti del mondo. Circa l’80% dei 24 milioni di persone vive in contesti rurali o in piccole comunità contadine a circa 400 m sul livello del mare o in uno stato seminomade ma ad altezze più consistenti. Per secoli isolati, i tibetani sono stati sottomessi politicamente ed economicamente ai paesi stranieri. Nello stesso tempo , una percentuale sempre crescente di tibetani si è spostata nelle aree urbane. La popolazione di queste aree ha cominciato a chiedere sempre più l’efficienza dei servizi sanitari, particolarmente forte era la richiesta di servizi a favore delle malattie dell’età: diabete, tumore e cataratta. L’alta percentuale di cecità dovuta a cataratta tra i tibetani è senz’altro da imputarsi alla continua esposizione ai raggi ultravioletti. Riguardo a questo emerge un dato importante. Nell’87 uno studio sull’incidenza della cataratta registrò che 12-18 persone su mille furono colpite da tale patologia (11,8% di persone con 40 anni di età). L’incidenza della cataratta tra i tibetani di lhosa (altitudine 400 metri) era del 60% più alta a parità di età e sesso della popolazione intervistata, rispetto ad una contea vicino Beijng (ad un’altitudine di 50 m). Hu et al. sollevarono importanti quesiti riguardo l’incidenza della cataratta tra i tibetani giovani. A questo proposito, le autorità di pubblica sanità della RAT, che si rendevano conto del bisogno di servizi eccellenti nei vari settori della sanità pubblica, richiesero che si realizzasse uno studio approfondito sulla cecità, sulle malattie oculistiche in genere e sullo sviluppo dei servizi oculistici. Lo scopo era quello di utilizzare le conclusioni dell’inchiesta per mettere a punto un piano sanitario decennale che potesse affrontare i problemi primari legati alla cecità e l’impegno di annullare entro il 2020 le patologie evitabili. Il protocollo firmato si proponeva di monitorare la cecità , il disturbo della vista, la deficienza da vitamina A, il tracoma, chirurgia della cataratta. Il TECA era uno studio incrociato promosso da tre delle sette province della RAT, selezionate per rappresentare le tre principali regioni. Lokha con una popolazione di 231.738 abitanti al censimento del 1990, è situata ad un’altitudine di 3000 metri, e si tratta per lo più di una comunità contadina. Lingzhr con una popolazione di circa 110 mila 616 abitanti è posta a quasi la stessa altitudine di Lokha, ma con un numero maggiore di foreste. Nakehu con una popolazione di 296 mila 23 abitanti è posta ad un’altitudine notevolissima, precedentemente abitata da gente nomade. Ogni provincia è divisa in contee, con popolazione media di 20 mila persone. Le contee sono divise in xiangs e le xiangs in villaggi. Bibliografia Abou-Gareeb I., Lewellen S., Basset K.L. et al.: Gender and blindness : a metanalysis of populaionbased prevalence survey. Ophthalmic. Epidemiol., 2001; 8:39-56 Hu T.S., Zhen Q. U., Sperduto R.D. et al.: Age-related cataract in the Tibet Eye Study. Arch. Ophthalmol., 1989; 107:666-669 Armitage P., Berry G., Matters J.N.S.: Statistical methods in medical research. Oxford : Blackwell Publishing, 2002 News dall’Oftalmologia mondiale Titolo: Lente intraoculare a fissazione sclerale: impianto primario o secondario? Dal British Journal of Ophthalmology Lee V Y W, Yuen H K L, Kwok A K H. Comparison of outcomes of primary and secondary implantation of scleral fixated posterior chamber intraocular lens. Br J Ophthalmol 2003; 87:1459-1462 di E. Moreno, R. Battendieri Non esiste un protocollo sul miglior metodo di impianto di lente intraoculare (IOL) senza supporto capsulare: alcuni chirurghi preferiscono impiantarla fissandola alla sclera; altri, invece, preferiscono la lente in camera anteriore. Pare che la prima tecnica abbia un minor numero di complicanze. La IOL in CA, infatti, può recare un danno maggiore all’endotelio corneale. Per questo motivo la maggior parte degli oftalmologi preferisce l'impianto della IOL a supporto sclerale, quando la capsula posteriore per le sue caratteristiche non consente l’impianto nel sacco o nel solco. Nello studio di Lee et al. - che vogliamo presentare - si sono valutati i dati ottenuti paragonando casi di pazienti che hanno subito un impianto primario o secondario di IOL a fissazione sclerale, in seguito all'insorgenza di complicanze durante un intervento di cataratta senile. Sono stati presi in considerazione 55 occhi di 55 pazienti con IOL fissata alla sclera impiantata durante (gruppo 1) o dopo (gruppo 2) chirurgia di cataratta complicata: 30 occhi nel primo gruppo e 25 nel secondo. La scelta di procedere ad un impianto primario o secondario era avvenuta in base alla preferenza del chirurgo o dei pazienti, alla trasparenza della cornea, alla durata dell’intervento. I dati relativi ai pazienti studiati sono stati riassunti nella TAB 1. Gruppo 1 (n=30) Gruppo 2 (n=25) Statistiche Età media (SD) Maschi Donne 76,2 (7,3) 62-92 14 (46,7%) 16 (53,3%) 75,5 (7,1) (61-87) 8 (32%) 17 (68%) P=0,730 P=0,269 Media follow-up Mesi 17,5 (8,3) (6-36) 20,9 (8,7)( 9-36) P=0,145 Media preintervento BCVA 1,21 (0,43) (0,30-1,80) (n=54) logMAR 1,28 (0,42) (0,55-1,1,80) P=569 Media postintervento BCVA 0,50 (0,36) (0,10-1,30) (n=54)(logMAR) 0,36 (0,21) (0,10-1,00) P=0,109 Tab 1. Gruppo 1: impianto primario di IOL fissata alla sclera. Gruppo 2: impianto secondario di IOL fissata alla sclera; BCVA=acuità visiva con la migliore correzione. Nel primo gruppo la IOL fissata alla sclera era stata impiantata primariamente, durante l'intervento di cataratta, a causa delle complicanze insorte (12 occhi sottoposti ad ECCE, 18 sottoposti a facoemulsificazione). Le complicanze capsulari includevano: 23 (76,7%) rotture della capsula posteriore con perdita vitreale, 5 (16,7%) dialisi zonulari, 2 (6,7%) perdite dell’intera capsula come risultato di una estrazione di cataratta intracapsulare non impiantata (ICCE). Nel secondo gruppo, in tutti i 25 occhi afachici, si erano presentate complicanze durante l’estrazione di cataratta. Era stata praticata una ECCE in 17 (68%) occhi e una facoemulsificazione in 8 (32%). Le complicanze capsulari in questo secondo gruppo includevano: 20 (80%) rotture della capsula posteriore con perdita vitreale, 4 (16%) dialisi zonulari ed 1 (4%) lente opacizzata, causa di ECCE non impiantata. Complicanze precoci -Aumento IOP >30mmhg -Edema corneale -Ipoema -Emorragia vitreale Complicanze tardive -Glaucoma p=0,625 -Deformazione pupillare -Uveite persistente -Edema maculare cistoide -Lussazione vitreale in camera ant. -IOL decentrata LENTE INTRAOCULARE LENTE INTRAOCULARE FISSATA ALLA SCLERA primariamente FISSATA ALLA SCLERA secondariamente Gruppo 1 n=30 (%) Gruppo 2 n=25(%) 2 test 11 (36,6) 7 (28) p=0,495 22 (73) 8 (26,6) 8 (26,6) 11 (44) 4 (16) 3 (12) p=0,027 p=0,821 0,176 5 (16,7) 3 (12) 17 (56,7) 12 (48) p=0,521 1 (3,3) 2 (6,7) 0 0 p=0,357 p=0,188 5 (16,7) 2 (8) p=0,0337 1 (3,3) 0 p=0,356 TAB 2: complicanze postoperatorie dopo intervento con impianto lente intraoculare fissata alla sclera. La Tab 2 mostra le complicanze postoperatorie precoci e tardive che incorrono dopo chirurgia con impianto di lente intraoculare fissata alla sclera. Complicanze precoci nel primo mese si sono verificate in 25 (83,3%) occhi nel primo gruppo, ed in 16 occhi nel secondo. La differenza tra i due gruppi è stata considerata statisticamente significativa (p=0,028). In particolare l'edema corneale si è registrato in 22 (73%) occhi nel primo gruppo ed 11 (44%) nel secondo gruppo (p=0,027). Complicanze tardive ad un mese, si sono verificate in 21 (70%) occhi nel primo gruppo, in 13 (52%) occhi nel secondo. La differenza tra i gruppi non è statisticamente significativa (p=0,077). In questo studio non si sono riscontrati casi di IOL rimosse, rotture retiniche o distacchi di retina. Un paziente nel primo gruppo ha avuto una diminuzione visiva a causa di una neuropatia ottica ischemica anteriore che non risultava collegata, però, all’intervento. Nel primo gruppo, 27 (93,1%) occhi hanno migliorato o mantenuto l’acuità visiva invariata; nel secondo gruppo nessuno è peggiorato: la differenza non è statisticamente significativa (p=0,181). In assenza di un adeguato supporto capsulare della lente, durante estrazione della cataratta, un chirurgo ha la possibilità di più scelte: • impianto primario di lente in camera anteriore, • impianto primario di lente intraoculare fissata alla sclera, • impianto secondario di lente in camera anteriore dopo un periodo di tempo, • impianto secondario di lente intraoculare fissata alla sclera dopo un periodo di tempo. Gli occhi sottoposti ad impianto primario di lente intraoculare fissata alla sclera possono avere un rischio più alto di infiammazione postoperatoria con complicanze quali edema maculare cistoide. Inoltre, la tecnica chirurgica di impianto di lente intraoculare a fissazione sclerale richiede manovre chirurgiche fini e meticolose, che, in situazioni complicate, associate alla rottura della capsula posteriore con fuoriuscita di vitreo, non sempre si possono garantire. Ciò può spiegare il largo numero di complicanze nel gruppo dell’impianto primario. Nel primo gruppo si sono verificate molte complicanze: edema corneale, edema maculare cistoide e glaucoma. Ciò può essere attribuito al prolungamento dei tempi chirurgici nell’impianto primario. Comunque, quest’ultimo, benché abbia un più alto numero di complicanze precoci, presenta dei vantaggi dati da un unico tempo operatorio e da una diminuzione del tempo di degenza ospedaliera post-operatoria. Ancora più importante risulta essere l’eliminazione del periodo di afachia. In conclusione, sia gli impianti primari che i secondari di lenti intraoculari a fissazione sclerale sono adatti per trattare l’afachia ed entrambi i metodi sono associati a risultati visivi favorevoli. Sulla base di alcuni studi l’impianto secondario sembra avere più basse complicanze precoci rispetto a quello primario. Sono comunque necessari ulteriori ricerche su questo argomento in modo da avere un campione più significativo e un follow-up più lungo. Lavori scientifici Titolo: Una nuova tecnica per la registrazione dell’ERG Focale di R.H.F. Mendoça, M. Centola, C. Cofone, M.L. Livani, S. Abbruzzese, E. Rispoli Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Dipartimento di Scienze Oftalmologiche - Servizio di Elettrofisiologia - Direttore C. Balacco Gabrieli Introduzione L’ERG focale (FERG), detto anche ERG foveale, è un esame accurato qualora si voglia valutare la funzionalità maculare,1,2,3,4,5,6 mentre l’ERG standard dei coni risulta alterato solo quando é danneggiata la funzione di una grande area retinica. La ragione risiede nel fatto che la concentrazione dei coni nella macula centrale è circa il 9% e nella fovea è circa solo il 2% della popolazione totale dei coni. È quindi comprensibile come una lesione localizzata a livello foveolare, possa non influenzare la risposta dell’ERG standard dei coni7. L'Erg focale (FERG) è risultato essere un esame valido sia nel valutare la funzione maculare che nel monitorare l’evoluzione di un’eventuale alterazione maculare8. Varie tecniche elettrofisiologiche sono state proposte per ottenere il FERG e valutare cosi l’attività dei coni foveali9,10,5. Queste metodiche hanno dovuto risolvere i problemi legati alla ridotta ampiezza dei segnali retinici focali ed al fenomeno della modulazione della stray-light. Il basso voltaggio del FERG (in genere inferiore ai 5 V) rende infatti indispensabile l’uso di adeguate tecniche di estrazione del segnale dal rumore di fondo, come l’averaging, l’analisi di Fourier e la cross-correlazione, associate alla reiezione automatica degli artefatti legati ai blinks palpebrali ed ai movimenti oculari. Per quanto riguarda la stray-light retinica, questa consiste nella riflessione e diffusione dello stimolo luminoso che è in grado di eccitare aree retiniche al di fuori di quella stimolata. Il contributo di queste regioni può significativamente contaminare la risposta. Per ottenere uno stimolo perfettamente localizzato, questo deve essere il più possibile focalizzato e privo di stray-light. Infatti una delle difficoltà nella registrazione dell’ERG focale consiste nella possibilità che lo stimolo luminoso colpisca oltre alla fovea anche i fotorecettori adiacenti, dando luogo quindi ad una risposta che origina anche dalla zona circostante. Per ottenere uno stimolo localizzato e privo di stray-light è stata utilizzata una stimolazione con barre alternanti ed a luminanza media costante11. Un’altra stimolazione, più indaginosa, si basa sull’uso dell’oftalmoscopio Maxwelliano. Lo strumento emette uno stimolo flicker a 42 Hz, bianco che sottende un angolo di 3° retinici; questo è centrato su di una luce bianca diffusa che sottende ad un angolo di più grandi dimensioni (10°di retina). Tale stimolo può essere focalizzato anche sulla fovea. L'illuminazione di fondo minimizza l'effetto di diffusione della luce (stray light) dal sito di stimolo e fornisce un’illuminazione adeguata affinché venga visualizzato direttamente e continuamente il sito di stimolo (in questo caso la fovea). Tale esame dovrà avere una certa durata affinchè il computer possa mediare un numero consistente di risposte, essendo queste di piccolaampiezza (0,18-0,55 V)9,5. Lo stimolo può essere visualizzato sul fondo oculare e quindi essere mantenuto sulla fovea durante l’esame, anche se i pazienti muovono gli occhi. L’uso di un’illuminazione di fondo della retina costante, maggiore di quella diffusa dallo stimolo, aiutano ad assicurare che i coni extrafoveali non contribuiscano alla risposta foveale7. Alcuni studi mostrano che usando lo stimolatore-oftalmoscopico in soggetti normali ed aumentando la durata dell’esposizione luminosa, si registrano risposte di ampiezza marcatamente aumentata e di latenza lievemente aumentata. Gli autori suggeriscono di effettuare diverse registrazioni consecutive, in pazienti che mostrano un'ampiezza ridotta al fine di accertare se la funzione della fovea sia realmente compromessa12. In letteratura sono riportate numerose altre tecniche di registrazione dell’Erg focale. Per esempio, una di queste tecniche, usata per rilevare il FERG dei 9° centrali della retina, impiega 96 LEDs rossi montati dietro una cupola Ganzfeld. Su soggetti normali sono state registrate risposte FERG di ampiezza massima agli stimoli tra 30-40 Hz4. Come si vede, molte tecniche sono state sviluppate per la registrazione di questo esame, ma esistono ancora molti problemi; il fatto stesso di utilizzare un oftalmoscopio a stretto contatto con il paziente rende poco agevole l’esecuzione dell’esame. Scopo di questo lavoro è quello di proporre una tecnica per la registrazione dell’ERG focale più pratica e di più facile esecuzione. Di fondamentale importanza, inoltre, è stabilire valori “normali” relativi all’età, in quanto le ampiezze dei tracciati del FERG, così come anche quelle dell’ERG standard, decrescono con l’età5,13. Materiali e Metodi Sono stati esaminati 20 occhi di 10 pazienti. I pazienti sono stati sottoposti al FERG seguendo la tecnica descritta. Al fine di verificare l’affidabilità della metodologia sono stati esaminati pazienti con diverse patologie. Tecnica utilizzata Per l’acquisizione del FERG è stato impiegato come generatore dello stimolo luminoso un flash stereoscopico ed una apparecchiatura della Biomedica Mangoni, composta, oltre che dallo stimolatore flash, anche da una fibra ottica che trasmette l’impulso luminoso attraverso un’apertura del diametro di 3 cm posta al centro di uno schermo bianco. Il sistema è in grado di proiettare uno stimolo piccolo e focale ad una porzione localizzata della retina. Questo stimolo deve essere sufficientemente intenso in modo da poter ottenere la risposta più ampia possibile poiché la zona retinica stimolata è molto piccola ed il segnale ha comunque un’ampiezza molto bassa se confrontata ad un ERG standard. Pertanto particolari accorgimenti vanno rivolti alla riduzione del rumore di fondo e alla rimozione degli artefatti. Lo stimolo luminoso convogliato, dalla fibra ottica, arriva posteriormente ad uno schermo bianco di 100x70cm. Al centro dello schermo è applicato un sistema ottico costituito da un tubo nero con diametro interno di 30mm e lungo 30mm, dietro al quale viene applicata una lente positiva di 10 diottrie e quindi la fibra ottica. Lo stimolo ha una intensità luminosa di 110 Lux/sec, misurata al centro del foro di uscita. La fibra ottica garantisce l’eliminazione dei rumori che potrebbero derivare dall’eccessiva vicinanza dello stimolatore flash al campo di registrazione. Lo schermo bianco, illuminato da due lampade al quarzo, mantiene, la retina adattata ad un livello predeterminato di illuminazione (300 Cd/m2, 600 Cd/m2, 1200 Cd/m2, 2000 Cd/m2), misurato in corrispondenza dell’occhio in esame. Le misure sono state effettuate con un fotometro Gossen Mastersix. Per ottenere una stimolazione mirata dell’area maculare, i pazienti dovevano fissare un punto al centro della lente positiva, che permette un ingrandimento dell’immagine della fibra ottica. E’ stata utilizzata una frequenza di stimolazione di 5 Hz, con tempo di analisi di 300 millisecondi. L’acquisizione del segnale è stata effettuata con modalità monoculare, mediante applicazione di elettrodi esploranti congiuntivali. La distanza paziente-schermo è stata di 25cm in modo da garantire la stimolazione di circa 7° centrali della retina. I parametri valutati nell’analisi dei risultati del FERG transient sono stati le ampiezze della onde ‘b’ e la latenze delle onde ‘a’ e ’b’. Tutti i pazienti sono stati dilatati con Tropicamide 1% ed esaminati con l’eventuale correzione per vicino. Questi accorgimenti sono sempre stati seguiti al fine di permettere al paziente una fissazione ottimale e centralizzata della fibra ottica. Risultati • Caso 1: Paziente maschio di 31 anni con acuità visiva di 20/40, fundus tipico di Retinite pigmentosa, campo visivo tubulare ed ERG standard con risposte marcatamente ridotte (approssimativamente 95% di riduzione della ampiezza) in entrambi gli occhi. Il FERG è risultato presente, ma con risposte di ampiezza ridotta in entrambi gli occhi. • Caso 2: Paziente maschio di 29 anni con acuità visiva di 20/15 nell’occhio destro e 20/300 nell’occhio sinistro, fundus normale in OD ed alterazione della macula in OS. ERG standard, PEV pattern e PEV da flash risultavano essere nella norma. Il FERG nell’occhio destro era nella norma e nell’occhio sinistro aveva una riduzione approssimativamente del 70% in confronto con l’occhio destro. Questi risultati concordano con una diminuizione dell’acuità visiva conseguente alla maculopatia, ossia alla scarsa funzione dei coni maculari. • Caso 3: Paziente femmina di 69 anni con acuità visiva nell’occhio destro di 20/200 in OD e OS di 20/100, fundus con papilla pallida e alterazione del PEV da pattern e da flash in entrambi gli occhi. FERG nella norma in entrambi gli occhi. • Caso 4: Paziente femmina di 69 anni con acuità visiva di 20/30 in OD e 20/20 OS. Campo visivo alterato. Portatrice di Glaucoma, con PEV alterato e ERG standard nella norma. Il FERG era nella norma, dimostrando la perfetta funzione dei coni maculari. La bassa acuità visiva probabilmente è conseguente a un’alterazione delle cellule ganglionari. • Caso 5: Paziente femmina di 45 anni con acuità visiva di 20/25 nell’occhio destro e 20/20 nell’occhio sinistro. L’ERG standard e il FERG sono risultati nella norma in entrambi gli occhi. • Caso 6: Paziente femmina di 54 anni con acuità visiva di 20/15 ed ERG standard nella norma in entrambi gli occhi. La macula dell’occhio destro era nella norma mentre nell’occhio sinistro mostrava una discreta alterazione del riflesso foveale. Il FERG è risultato essere nella norma nell’occhio destro e con una riduzione approssimativa del 25% nell’occhio sinistro rispetto all’altro occhio. In questa paziente il FERG è stato eseguito con due modalità. Una nel modo standard prima descritto e un altro utilizzando elettrodi palpebrali per verificare la differenza di ampiezza fra le due risposte. È stato verificato immediatamente la migliore precisione della prima tecnica descritta. L’utilizzazione degli elettrodi palpebrali determina risposte di ampiezza ridotta e non stabili, suscettibili a qualsiasi contrazione della muscolatura palpebrale. • Caso 7: Paziente femmina di 69 anni con acuità visiva di 20/20 in entrambi gli occhi e pseudoforo maculare nell’occhio sinistro confermato con OCT. Il FERG è risultato essere di ampiezza ridotta nell’occhio sinistro del 27,57% in confronto all’occhio destro quando la retina era adattata ad un livello predeterminato di illuminazione di 300 Cd/m2 e di ampiezza ridotta nell’occhio sinistro del 15% in confronto all’occhio destro con 600 Cd/m2. Questa differenza fra i 2 occhi era minore con un’illuminazione di fondo con 1200 e 2000 Cd/m2. • Caso 8: Paziente femmina di 55 anni con Lupus Eritematoso Sistemico con acuità visiva di 20/15 in entrambi gli occhi. Gli esami elettrodiagnostici sono stati indicati prima dell’utilizzazione di Idrossiclorochina. L’ERG standard era nella norma. Il FERG ha rivelato in OS una riduzione dell’ampiezza della risposta approssimativamente del 50% rispetto all’altro occhio. Nella macula dell’OS è stata constatata una maculopatia a cellophane. • Caso 9: Paziente femmina di 44 anni, con acuità visiva di 20/50 nell’occhio destro e 20/20 nell’occhio sinistro. ERG standard nella norma. PEV da pattern e da flash nella norma nell’occhio sinistro e alterato nell’occhio destro. FERG nella norma in entrambi gli occhi. • Caso 10: Paziente femmina di 21 anni, con acuità visiva di 20/100, fundus con degenerazione retinica per 360° ed atrofia ottica. L’ERG standard presentava risposte non valutabili oltre la soglia del rumore di fondo in entrambi gli occhi. La risposta del FERG era non valutabile. Questi risultati dimostrano un stato avanzato della malattia con il coinvolgimento anche dei coni centrali. Discussione e Conclusioni L’importanza di standardizzare una tecnica per la registrazione dell’Erg Focale, è facilmente intuibile. Attualmente, l’uso del FERG nella pratica clinica è frequente, non solo come ausilio diagnostico ma anche nel follow-up di pazienti con alterazione della funzione dei coni foveali. Vari studi sull’alterazione del FERG nelle diverse patologia sono già stati effettuati. Nella corioretinopatia sierosa centrale idiopatica il FERG è significativamente ridotto e la latenza è significativamente aumentata6. Pazienti con diversi tipi di retinopatie pigmentosa che presentavano acuità visive superiori ai 20/30, presentavano un FERG normale ed in tutti i pazienti con acuità visiva inferiore ai 20/40 si riscontrava una riduzione dell’ampiezza del FERG7. Nel caso 1 (Retinite pigmentosa) del presente lavoro, il FERG era presente ma con risposta di ampiezza ridotta. Questo risultato concorda con la presenza di coni maculari ancora funzionanti, infatti in questa malattia, i coni sono solitamente preservati in confronto ai bastoncelli. Ciò evidenzia l’importanza dell’esame nel follow-up della malattia, infatti il FERG è ritenuto un metodo potenzialmente utile nel valutare la funzione dei coni maculari in diversi stadi della Retinite Pigmentosa14. Tutti i pazienti con Degenerazione Maculare Giovanile Ereditaria e acuità visiva inferiore a 20/50 presentavano un FERG alterato: le ampiezze tendono ad essere ridotte e le latenze aumentate, fra pazienti con acutezza visiva inferiore a 20/2007. Nei pazienti con Maculopatia, le risposte sono state di ampiezza significativamente ridotta in tutti gli occhi con acuità visiva inferiore ai 20/405. Il FERG è risultato essere alterato nel paziente con Degenerazione Maculare quando l’acuità visiva è compresa tra 20/40 e 20/802. Il caso 2 (calo visus e maculopatia), presenta un FERG alterato. Il FERG in occhi con Maculopatia ed acuità visiva inferiore a 20/40 è risultato essere alterato nel 91% dei casi dimostrandosi così essere un test ad alta sensibilità. Quindi un FERG normale esclude con relativa affidabilità che la possibilità della riduzione della acuità visiva sia dovuta ad un problema maculare3. Nel caso 3 (papilla pallida) e caso 4 (glaucoma) il FERG era nella norma, indicando pertanto una buona funzionalità dei coni maculari. La riduzione dell’acuità visiva dovrebbe quindi, in questo caso, essere dovuta ad una patologia a carico del nervo ottico. Nel caso 5 il FERG risultava essere nella norma in entrambi gli occhi indicando quindi una buona funzionalità dei coni. La riduzione dell’acuità visiva nell’occhio destro non è imputabile quindi, in questo caso ad un’alterazione dei coni. Nel caso 6 il FERG è risultato essere nella norma nell’occhio destro e ridotto in ampiezza approssimativamente del 25% nell’occhio sinistro rispetto all’occhio destro. Questo risultato conferma la sensibilità del FERG. Comunque occorre ricordare che una riduzione del FERG non indica necessariamente un abbassamento dell’acuità visiva centrale come dimostrato nel caso 73. In questo caso quando la retina è adattata ad un livello predeterminato di illuminazione di 1200-2000 Cd/m2 la sensibilità dell’ esame è risultata ridotta. Questa riduzione potrebbe essere spiegata con una desensibilizzazione dei coni dovuta all’illuminazione troppo alta ed al conseguente fenomeno di abbagliamento. Questo risultato può essere importante per scegliere l’adattamento della retina ad un livello ideale intorno a 600 Cd/m2. La risposta può essere alterata anche con l’ acuità visiva di 20/20. Nel caso 8, infatti, avendo riscontrato una riduzione della ampiezza del FERG nell’occhio sinistro di circa il 50% rispetto all’occhio controlaterale, è stato condotto un esame più approfondito del fundus. Tale esame ha mostrato in OS una iniziale ‘maculopatia a cellophane’. Riteniamo questo caso interessante in quanto ha mostrato la sensibilità del FREG anche in soggetti con visus perfettamente nella norma. L’importanza dell’esame nel controllo dell’intossicazione da Idrossiclorochina (Plaquenil) non ancora dimostrata, ma dovrebbe essere considerata. E’ stata trovata una correlazione scarsamente significativa tra i valori logaritmici della scala di Snellen e i valori (logaritmici) dell’ampiezza del FERG negli occhi di pazienti con fori maculari. Questo può essere dovuto alle relativamente grandi dimensioni dello stimolo focale del FERG se confrontato con le dimensioni di alcuni fori maculari più piccoli15. Risultati ottenuti in pazienti con foro maculare idiopatico (precedentemente diagnosticato) presentano una significativa inversione della correlazione tra diametro del foro maculare ed ampiezza del FERG. In un follow-up medio di 35 mesi, l’ampiezza del FERG negli occhi controlaterali di questi pazienti può essere importante nel predire quali di questi occhi svilupperanno successivamente un foro maculare. Se il FERG è normale, l’occhio controlaterale non è a rischio di sviluppare un foro maculare, mentre una alta percentuale dei pazienti con riduzione dell’ampiezza del FERG, svilupperà successivamente un foro maculare nonostante la buona acuità visiva ed una fovea apparentemente nella norma durante la visita oftalmologia iniziale16. Comunque, siccome FERG con ampiezza nella norma sono stati trovati nello strabismo, nell’ambliopia e nell’atrofia ottica,17 questo esame è potenzialmente utile per studiare pazienti con ridotta acuità visiva, particolarmente a livelli inferiore a 20/40, dovuti a degenerazione dei coni foveolari. Nel caso 9 il FERG era nella norma in entrambi gli occhi. Questi risultati dimostrano la perfetta funzione del coni centrali e la possibilità che il calo visivo sia dovuto ad una alterazione presente ad un livello compreso tra le cellule ganglionari e la corteccia occipitale. In alcuni occhi, il FERG può essere ridotto in pazienti con maculopatia che mantengono un'acuità visiva vicina alla norma come nei casi 5 e 6. Questi risultati possono avere implicazioni prognostiche importanti per la futura perdita dell'acuita visiva centrale. Nel caso 10 (degenerazione retinica e atrofia ottica), la risposta del FERG non era valutabile in entrambi gli occhi. Questi risultati dimostrano uno stato avanzato della malattia con coinvolgimento dei coni maculari. Nell’edema maculare cistoide, le ampiezze dei FERG erano diminuite solo nel 35% dei casi, dimostrando che la maggior parte di questi pazienti avevano una retina esterna nella norma18. L’ERG focale è utile per stabilire l’eziologia di quei rari casi con calo visivo ad eziologia ignota. In un lavoro sono stati studiati 5 pazienti senza alterazioni del fondo oculare, con fluorangiografia negativa e con ERG standard nella norma. In questi pazienti il FERG è risultato alterato19. Questi dati si contrappongono alle osservazioni, precedentemente riportate in altri lavori, di FERG normali in pazienti con riduzione della visione centrale secondaria a neuropatia, atrofia ottica17,20,21, strabismo e ambliopia17,10. L’Erg focale necessita pertanto di ulteriori studi qualora si voglia assicurare una maggior precisione nella diagnosi delle maculopatie o di alterazioni oftalmologiche mal definiti. Bibliografia 1. Arden G. B., Bankes J. L. K. Foveal electroretinogram as a clinical test. Brit J Ophthal 50:740, 1966. 2. Biersdorf W. R., Diller D. A. Local electrorretinogram in macular degeneration. Am J Ophthalmol 68:296-303, 1969 3. Fish G. E., Birch D. G., Fuller D. G., Straach R. A comparison of visual function tests in eyes with maculopathy. Ophthalmology 93:1172, 1986. 4. 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Scarsella**** * Dipartimento di Scienze dell’Invecchiamento, ** Biologa, ***Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, **** Dipartimento di Biologia Cellulare e dello Sviluppo Università degli Studi “La Sapienza” – Roma Le malattie della retina sono dette retinopatie; esse si manifestano con sintomi diversi in relazione alla parte della retina che viene colpita (Thumann e Hinton, 2001). Le malattie che interessano la retina centrale, dette maculopatie, causano una riduzione della vista con distorsione dell 'immagine e la comparsa di macchie scure nella parte centrale del campo visivo. Molte di queste malattie sono di natura congenita, cioè sono presenti fin dalla nascita. Alcune di esse sono ereditarie, come ad esempio la malattia di Best, altre sono causate da infezioni contratte dalla madre durante la gravidanza, come nel caso della toxoplasmosi. Altre forme di maculopatie sono, invece, acquisite, cioè insorgono dopo la nascita per cause molteplici, quali traumi, infezioni, effetto delle radiazioni ultraviolette per eccessiva esposizione al sole. Le malattie che interessano la retina periferica causano alterazioni del campo visivo, che può risultare ristretto o presentare degli scotomi, cioè difficoltà nella visione notturna e visione di lampi luminosi. Una tra le più gravi forme di patologia retinica periferica è la retinite pigmentosa: si tratta di una malattia ereditaria caratterizzata dalla progressiva ed irreversibile degenerazione della retina che si manifesta con grave riduzione del campo visivo. Un'altra patologia che interessa più spesso la retina periferica è il distacco di retina. Il distacco di retina: patofisiologia, prevenzione e risoluzione II distacco di retina è una patologia caratterizzata da una separazione della neuroretina dell’epitelio pigmentato che può essere causato da vari fattori, tra cui traumi, malformazioni, processi infiammatori, tumori. Esistono tre tipi di distacco di retina: il distacco regmatogeno, il distacco trazionale ed il distacco essudativo (Straub, 1989). 1. - Il distacco regmatogeno. È il più frequente ed è dovuto ad una rottura della retina che permette all'umor vitreo di passare attraverso l'apertura portandosi al di dietro della neuroretina permettendo lo scollamento dalla sua porzione aderente (epitelio pigmentato). Il processo che porta al distacco regmatogeno ha inizio con una modificazione dello stato dell'umor vitreo. Per diverse cause, quali caldo, sudorazione, traumi, il vitreo, per sua natura gelatinoso, può denaturarsi liquefacendosi. Questo fenomeno, noto come distacco posteriore del vitreo, non avviene in maniera simultanea per tutto il vitreo, ma parzialmente a compartimenti. Ne risulta che la porzione liquefatta perde l'aderenza con la parete interna retinica creando uno spostamento della massa vitreale a carico della porzione ancora gelificata. Questa, rimanendo saldamente aderente e non avendo più un supporto, può lacerare la retina a causa della trazione esercitata (Fig 1). La maggior parte dei distacchi posteriori di vitreo non causano una rottura della retina e quindi non hanno esito in un distacco di retina. Quest'ultimo si verifica quando il processo non si arresta e causa una rottura retinica. In tal caso il vitreo passa attraverso la rottura e scolla la retina, che si stacca prima parzialmente e poi totalmente (Fig.1). (didascalia Fig.1 Fig.1 - Quando il vitreo perde la sua componente acquosa tende a collassare portandosi la retina con se (Hinton, 2002). Se il processo non si arresta, si produce una rottura retinica. Attraverso questa rottura, parte del vitreo liquefatto passa al di sotto della retina provocandone il progressivo distacco) 2. - Il distacco trazionale. È generato da briglie di tessuto fibrovascolare che si formano all'interno della cavità vitreale e che esercitano una trazione centrifuga sulla retina scollandola. I casi più frequenti sono in corso di due patologie proliferative della retina, la vitreoretinopatìa proliferatìva (Proliferative Vitreoretinopathy, PVR) e la retinopatia diabetica (Diabetic retinopathy, DR). La PVR e la DR determinano la formazione di tessuto fibroso, la prima, e di tessuto fibro-vascolare, la seconda, che dalla superficie della retina prendono contatto con il vitreo generando forze frazionali che culminano con il distacco di retina. 3. - Il distacco essudativo. È solitamente dovuto ad essudazione di liquido che si posiziona sotto la retina scollandola. Questo distacco è associato a tumori o infiammazioni oculari. In questo tipo di distacco, non esistendo una rottura, il fluido crea una sorta di raccolta di liquido che si sposta in relazione alle posizioni corporee assunte; la retina distaccata può sollevarsi cosi' tanto da raggiungere il cristallino. I sintomi premonitori del distacco di retina sono: visione di flash luminosi, di corpi mobili (le cosiddette "mosche volanti"), a cui si aggiunge una visione di “tenda oscura calata", presente quando il distacco di retina è conclamato.La prevenzione del distacco di retina è essenziale: essa si basa su visite periodiche soprattutto in presenza dei suddetti sintomi e nei soggetti miopi che presentano un ulteriore fattore di rischio. L'esame del fondo dell'occhio può rilevare la presenza di rotture o di aree di debolezza del tessuto retinico, che talora impongono un trattamento laser; questo è mirato a circondare la zona a rischio con numerose e piccole bruciature atte a creare uno sbarramento della lesione, cioè a rinforzare la retina attorno alla rottura, prima che il vitreo passi dietro la retina scollandola. Una volta che il distacco di retina si è verificato, la terapia è solamente chirurgica. L'intervento chirurgico deve essere eseguito tempestivamente per diverse ragioni: il distacco di retina non curato tende ad estendersi; la retina distaccata non si nutre, perde progressivamente vitalità e tende ad irrigidirsi e ad accorciarsi. Un ritardo nell'intervento chirurgico può, quindi, ridurne le probabilità di successo. Vi sono sostanzialmente due strade per il trattamento chirurgico del distacco di retina: il cerchiaggio e la vitrectomia. 1. Il cerchiaggio. È la terapia chirurgica più utilizzata nel caso di distacco regmatogeno. L'intervento si effettua praticando delle punture evacuative sulla sclera, per favorire la fuoriuscita del liquido vitreale accumulatesi, e trattando la sede di rottura con una sonda congelante (crioterapia) o con laser (foto-coagulazione laser). In questo modo si determina una cicatrice adesiva che chiude la rottura. L'adesione viene rinforzata applicando un cerchiaggio circonferenziale mediante una banderella di silicone (Fig.2). (didascalia delle Figg. 2 Fig.2 – Cerchiaggio. Allo scopo di stabilizzare la retina, dopo interventi chirurgici per la risoluzione del distacco regamatogeno, vengono applicate bande e blocchi di silicone che vengono suturati alla parete oculare in modo da provocarvi un’impronta permanente) 2. La vitrectomia. Viene effettuata nei casi di distacco trazionale. Questo intervento si effettua ab interno, entrando cioè nell'umor vitreo; con appositi strumenti si asportano le membrane di tessuto fibroso neoformatesi eliminando, in questo modo, la trazione che esse esercitano sulla retina (Fig.3). Al termine dell'intervento si introducono dei gas o dell'olio di silicone con lo scopo di mantenere la retina ben distesa e attaccata. Nel caso di retinopatia proliferativa diabetica si deve poi eseguire un trattamento laser diffuso delle aree ischemiche per prevenire recidive della malattia. Il recupero visivo dopo tali interventi è di difficile quantificazione e dipende soprattutto dallo stato retinico precedente l'intervento. Inoltre, è possibile che a seguito di un primo intervento insorgano complicazioni, quali l'insorgenza di vitreoretinopatia proliferativa, che possono rendere inefficace il trattamento determinando i presupposti per un nuovo distacco retinico (Charteris et al., 2002). (didascalia della Fig. 3 Fig.3 – Rappresentazione schematica di un intervento chirurgico di vitrectomia. A: microforbice che solleva ed incide le membrane vitreali. B: sonda aspirante. E: fibra ottica illuminante. F: vitreo) 1) La vitreoretinopatia proliferativa (PVR) ed il coinvolgimento del TGF- nella sua patogenesi • Patogenesi della vitreoretinopatia proliferativa La vitreoretinopatia proliferativa (Proliferatìve Vitreoretinopathy, PVR) è una patologia che si manifesta con la formazione, sulle superfìci esterna ed interna della retina e nell 'umor vitreo, di membrane fibrose che esercitano forze trazionali sulla retina causandone il distacco (distacco di retina trazionale). Questa retinopatia si presenta come conseguenza di un distacco regmatogeno primario protrattosi nel tempo, con una incidenza del 5-10% nei distacchi regmatogeni (Charteris et al., 2002). La PVR è, inoltre, la causa principale di insuccesso della chirurgia del distacco retinico: circa un paziente su dieci sottoposto a vitrectomia a seguito di distacco di retina sviluppa la PVR (Hinton et al., 2002). La PVR è un complesso processo di eventi simili a quelli che si verifìcano nella reazione infiammatoria a seguito di un danno tissutale: essa comprende una fase infiammatoria, una fase proliferativa ed una fase di rimodellamento (Wiedemann, 1999). Questa patologia viene innescata dalla rottura della barriera retina-vasi sanguigni che separa la retina dall 'umor vitreo e che può verifìcarsi non solo direttamente a causa di distacco regmatogeno ma anche come conseguenza di interventi chirurgici di correzione del distacco di retina. La PVR si manifesta con la migrazione di cellule originate dall 'epitelio retinico pigmentato (RPE) nella cavità occupata dall'umor vitreo, dove esse vanno incontro ad un processo di proliferazione ed acquisiscono una morfologia fìbroblastosimile. Le cellule dell'RPE trasformate acquistano la capacità di sintetizzare una matrice extracellulare fibrosa che esercita forze contrattili sulla retina determinandone il progressivo distacco trazionale (Straub, 2002). Il termine vitreoretinopatia proliferativa fu introdotto nel 1983 dalla "Retina Society Terminology Committee" come risultato della comprensione che la proliferazione cellulare era il processo essenziale alla base di questa patologia vitreo-retinica; il termine vitreoretinopatia designa la localizzazione delle membrane fibrose sulle due superfìci distaccate della retina e sulla faccia posteriore del vitreo (Straub, 2002). La stessa "Retina Society Terminology Committee" propose una classificazione della PVR in quattro stadi (A-D) a severità crescente della patologia, definiti sulla base di caratteristiche cliniche quali: intorbidimento del vitreo, ispessimento e ripiegamento della retina, deformazione della superficie retinica adiacente alla rottura, tortuosità vascolare. Questa classifìcazione,successivamente rivista, distingue le forme di PVR anche in base alla localizzazione (anteriore/posteriore) del processo proliferativo ed al suo tipo (focale/diffuso/subretinico) (Charteris et al., 2002). danno a carico della retina induzione della risposta infiammatoria e di riparazione tissutale migrazione delle cellule rpe nel vitreo attraverso una matrice extracellulare provvisoria proliferazione e sdifferenziamento delle rpe differenziamento delle rpe in senso mio-fibroblastico Produzione di membrane fibrose che avvolgono vitreo e retina contrazione delle membrane fibrose distacco trazionale della retina (didascalia della Fig.4 Fig.4 – Fasi del processo di sviluppo della vitreoretinopatia proliferativa) Lo sviluppo e l'evoluzione di questa patologia può essere distinto in una serie ben definita di fasi che partono dal danno a carico della retina (dovuto direttamente a distacco o ad intervento chirurgico a seguito di distacco) e terminano con la contrazione del vitreo ed il conseguente distacco frazionale di retina. Il principale tipo di cellule coinvolte nella PVR, come detto, sono le cellule dell'epitelio pigmentato (RPE); queste, nell'occhio di soggetti sani, formano un monostrato di cellule immobili, polarizzate e non proliferanti, unite apicalmente da giunzioni strette e giunzioni aderenti, a contatto diretto con la retina (Thumann e Hinton, 2001). Modificazioni che interessano lo stato del ciclo cellulare e del differenziamento delle RPE sono alla base della PVR. Il processo a cui vanno incontro queste cellule e che si conclude con lo stabilirsi del la patologia può essere distinto nelle seguenti tappe (Fig.4) (Hinton, 2002): 1. Migrazione delle RPE nel vitreo. 2. Sdifferenziamento e proliferazione delle RPE nel vitreo. 3.Differenziamento delle RPE in senso miofìbroblastico e formazione di multistrati nel vitreo. 4. Produzione di una matrice extracellulare fìbrotica che mette in contatto il vitreo con la superficie della retina. 5. Contrazione della matrice fibrosa e distacco trazionale della retina. La prima fase del processo è innescata dal distacco primario della retina: le cellule dell'RPE, nelle aree che interessano il distacco, vanno incontro ad una progressiva perdita delle giunzioni intercellulari, si separano dal monostrato e migrano nell'umor vitreo invadendone l'intera circonferenza. Le RPE in questa fase di migrazione si muovono all'interno di una matrice extracellulare provvisoria contenente fibrina e fìbronectina plasmatiche e trombospondina. Il movimento delle RPE dal loro sito di origine verso il vitreo avviene sotto l'influenza di sostanze con azione chemiotattica presenti nel vitreo (Straub, 2002). Nella fase seguente, le RPE vanno incontro ad un processo di sdifferenziamento in cui perdono le caratteristiche proprie delle cellule epiteliali e successivamente iniziano a proliferare generando gruppi di cellule disorganizzati con caratteristiche mesenchimali. Il successivo re-differenziamento in senso mesenchimale culmina nella trasformazione "pseudometaplastica" delle RPE in cellule di tipo mio-fìbroblastico. Queste cellule trasformate, pur mantenendo alcune delle caratteristiche epiteliali, quali la presenza della membrana basale, acquisiscono la capacità di sintetizzare la componente proteica della matrice extracellulare (come i veri fibroblasti) e la capacità di contrarsi grazie alla presenza nel citoplasma di miofìbrille (Hinton et al., 2002). Il passaggio alla quarta fase della patologia (produzione della matrice extracellulare fibrotica) avviene proprio grazie alle nuove capacità acquisite durante il re-differenziamento dalle RPE. Queste cellule fibroblasto-simili, che proliferando hanno invaso il vitreo, iniziano a sintetizzare grandi quantità di collagene e di fìbronectina, proteine che vanno a costituire la matrice extracellulare definitiva, utilizzando il vitreo come superficie di adesione. Questa matrice è costituita da membrane fibrose che si protendono dalla superficie del vitreo per prendere contatto con la retina. Questo stadio prelude alla fase finale in cui le forze di contrazione generate dalle cellule si propagano attraverso le membrane fibrose fino alla superficie posteriore di contatto con la retina; quest'ultima subisce prima una deformazione per poi distaccarsi (Straub, 2002). Sono stati proposti due meccanismi alternativi alla base della contrazione delle membrane fibrose (Charteris et al., 2002). Il primo si basa sulla scoperta che le cellule fìbroblasto-simili derivate dalle RPE contengono miofilamenti citoplasmatici (Hiscott et al., 1999) i quali, contraendosi, sarebbero in grado di produrre le forze trazionali che si generano nella PVR. Sistemi in vitro hanno dimostrato che le RPE sono in grado di mediare la contrazione di una matrice di collagene di tipo I prendendo contatto con le fibre di collagene (Mazure e Grierson, 2002). Risultati sperimentali hanno suggerito un meccanismo alternativo per la contrazione delle membrane fibrose, che coinvolgerebbe l'interazione tra cellule RPE e collagene. Secondo questo modello, le fibre di collagene sarebbero compresse dai movimenti alternativi di estensione e contrazione delle RPE (attraverso ponti di fìbronectina che collegano le RPE al collagene); la compressione delle fibre di collagene determinerebbe la contrazione del tessuto fibroso (Glaser et al., 2002a). Per comprendere i meccanismi che sono alla base della patogenesi della PVR è necessario considerare che questa patologia rappresenta una forma di risposta infiammatoria ad un danno tissutale (Hinton et al., 2002). Quando in un qualsiasì tessuto dell'organismo si determina un danno (ad esempio una lesione traumatica o causata da infezioni), nel tessuto stesso si innesca una reazione locale di difesa e di riparazione del danno, che prende il nome di processo infiammatorio. Questo processo comprende modificazioni circolatorie e tissutali, intese inizialmente a creare una barriera che impedisca l'estendersi della lesione o dell'infezione, ed, infine, a consentire la ricostituzione dei tessuti nella loro integrità. Nella reazione infiammatoria si possono distinguere tre fasi (Casella e Taglietti, 1996). 1a fase. In questa fase si ha la comparsa, attorno al sito della lesione, di sostanze fortemente attive sui vasi sanguigni, l’istamina e le chinine. Queste sostanze svolgono una duplice funzione: hanno un effetto vasodilatatore sui vasi sanguigni locali e ne aumentano la permeabilità. Quest'effetto permette il passaggio di proteine plasmatiche, tra cui il fibrinogeno, essenziali per le fasi successive dell'infiammazione. Inoltre le sostanze liberate nel sito di infiammazione svolgono una potente azione chemiotattica verso neutrofìli e macrofagi che intervengono nella seconda fase. Durante la prima fase si verifica anche la formazione del coagulo ad opera delle piastrine. 2a fase. Questa fase è caratterizzata dall'invasione dell'area danneggiata da parte dei neutrofìli circolanti, che vengono richiamati dall'azione chemiotattica delle sostanze che sono state prodotte nella prima fase. Intervengono poi i macrofagi che si concentrano nel sito d'infezione sia per migrazione di quelli già presenti nel tessuto che per trasformazione dei monociti che escono dal circolo sanguigno per diapedesi. Neutrofìli e soprattutto, macrofagi, oltre a svolgere un’intensa azione fagocitaria, producono sostanze con azione chemiotattica per le cellule che intervengono nell'ultima fase. 3a fase. Consiste nella riparazione del danno tissutale mediante l'intervento dei fìbroblasti. Questi ultimi vengono richiamati nel sito d'infezione dall'azione chemiotattica esercitata dalle sostanze liberate nelle fasi precedenti. I fìbroblasti iniziano a proliferare ed a deporre collagene che si organizza in fibre ordinate e permette la ricreazione della matrice extracellulare definitiva e riparazione del tessuto danneggiato. Le diverse fasi del processo infiammatorio trovano riscontro nelle tappe del processo patologico della PVR (Tab. 1): - La 1a fase dell'infiammazione si ritrova anche nella PVR, dove il distacco della retina, corrispondente al danno tissutale, determina vasodilatazione, richiamo di proteine plasmatiche e formazione del coagulo. - Anche la 2a fase dell'infiammazione si realizza nella PVR, dove le sostanze chemiotattiche concentratesi al confine retina-vitreo richiamano neutrofìli e macrofagi. - L'equivalente della 3a fase del processo infiammatorio è rappresentata nella PVR dalla migrazione e proliferazione delle RPE che si differenziano in senso fìbroblastico. In questa fase, le RPE svolgerebbero quindi un ruolo analogo ai fìbroblasti, sintetizzando la componente proteica della matrice extracellulare che determina poi la contrazione del vitreo ed il distacco di retina. Il perfetto parallelismo tra la risposta infiammatoria al danno tissutale e l'instaurarsi della PVR (Tab.1) suggerisce che questa patologia possa essere interpretata come una risposta infiammatoria "anomala" o "eccessiva" caratterizzata dall'accumulo di un numero eccessivo di cellule fibroblastosimili (originate dalle RPE) seguito dalla deposizione incontrollata di matrice extracellulare e dalla formazione di tessuto fibroso (Wiedemann, 1999). • Ruolo del TGF- e di altri fattori di crescita nella PVR Studi recenti sulla patogenesi della PVR hanno dimostrato che i fattori di crescita svolgono un ruolo centrale in tutte le fasi di questa patologia, agendo come mediatori degli eventi cellulari descritti in precedenza. I fattori di crescita hanno la capacità di regolare la chemiotassi, la proliferazione e la trasformazione delle RPE e di controllare l'elaborazione della matrice extracellulare fibrosa da parte delle RPE stesse (Charteris et al., 2002). Risultati di esperimenti eseguiti su colture cellulari in vitro hanno mostrato che l'umor vitreo, estratto da pazienti affetti da PVR, è in grado di trasmettere alle RPE segnali chemiotattici e proliferativi (Campochiaro et al., 2003). Questi risultati hanno suggerito che nel vitreo, durante il processo infiammatorio innescato dal distacco di retina, si concentrano fattori in grado di influenzare fortemente le RPE, governandone il comportamento e lo stato del ciclo cellulare. Analisi immunoistochimiche eseguite sul vitreo di pazienti affetti da PVR hanno, infatti, mostrato la presenza di molteplici fattori di crescita che sono notoriamente implicati nei processi infiammatori in risposta al danno tissutale, dimostrando l'esistenza di una buona correlazione tra la presenza di fattori stimolanti la chemiotassi e la proliferazione ed il grado di severità della PVR (Limb et al., 2001). Risposta infiammatoria Danno tissutale PVR Distacco di retina Vasodilatazione e coagulazione Richiamo di neutrofili e macrofagi Migrazione e proliferazione dei fibroblasti Migrazione e proliferazione delle RPE, differenziamento in senso fibroblastico Sintesi della matrice extracellulare extracellulare e riparo tissutale Sintesi di eccessiva matrice e formazione di tessuto fibroso Tab.1 – Parallelismo tra risposta Infiammatoria e PVR Nella tabella 2 è riportato un elenco dei fattori di crescita identificati e della loro nomenclatura (Wiedemann, 1999). Il primo fattore di crescita che interviene nella cascata di eventi cellulari che conduce alla PVR è il fattore di crescita piastrinico (PDGF), prodotto dalle piastrine durante la formazione del coagulo. IL PDGF esercita una potente azione chemiotattica sulle cellule RPE e rappresenta il primo stimolo che le induce alla migrazione verso il vitreo. L'azione chemiotattica del PDGF è diretta anche verso i macrofagi che vengono richiamati dal circolo sanguigno e che contribuiscono, essi stessi, a secernere questo fattore mantenendone i livelli elevati nel vitreo nel corso della PVR. Il PDGF interviene anche nelle fasi successive della PVR, stimolando la proliferazione delle RPE, la deposizione di collagene e la contrazione delle membrane fibrose. La famiglia dei fattori di crescita dei fìbroblasti (a/b FGF) è coinvolta principalmente nella stimolazione della proliferazione delle RPE nel vitreo. Un ruolo importante nella patogenesi della PVR è svolto anche dal TNF- noto per il suo coinvolgimento nelle risposte infiammatorie; questo fattore, sintetizzato principalmente dai macrofagi e riversato nel vitreo, ha una potente azione mitogena sulle RPE e stimola la produzione di collagene. Anche il fattore di crescita insulino-simile (IGF) interviene nel movimento chemiotattico delle RPE e nella stimolazione della loro proliferazione (Wiedemann, 1999). Il fattore di crescita protagonista della PVR è, però, il TGF-. Ne è testimonianza il fatto che i suoi livelli nel vitreo di pazienti affetti da PVR sono drammaticamente più alti rispetto ai livelli nel vitreo di occhi sani (Kon et al., 1999). Durante le fasi iniziali della PVR, le piastrine sono la fonte principale di TGF-, il quale viene riversato nel vitreo in corrispondenza delle aree interessate al distacco della retina. L'isoforma TGF--2 è inoltre normalmente presente nel vitreo nella sua forma inattiva; l'incremento dei livelli di questa citochina nel vitreo in presenza di PVR è anche dovuto alla conversione della forma inattiva in forma attiva ad opera della trombospondina, proteina presente nella matrice extracellulare provvisoria durante il processo infiammatorio (Hinton et al., 2002). L'accumulo locale di TGF- innesca una cascata di eventi finalizzati alla riparazione tissutale: 1. a livello trascrizionale, TGF- stimola l'espressione del suo stesso gene e di altri geni codificanti per altri fattori di crescita coinvolti nelle riparazioni tissutali, quali TNF-, bFGF e PDGF stesso, 2. svolge un'azione chemiotattica sui macrofagi e sulle RPE, 3. interviene nel processo di trasformazione delle RPE in cellule fìbroblasto simili, 4. stimola la produzione di collagene e fìbronectina da parte delle RPE trasformate, svolgendo un ruolo fondamentale nella produzione della matrice extracellulare fibrotica caratteristica della PVR, Fattore Abbreviazione Fattore di crescita piastrinico (Plateled derived growth factor) PDGF Fattore di crescita trasformante beta (Trasforming growth factor beta) TGF- Fattori di crescita dei fibroblasti acidi e basici (Acidic and Basic fibroblast growth factors) a/b FGF Fattore di crescita insulino-simile IGF (Insuline-like growth factor) Fattore necrotico tumorale alfa (Tumor necrosis factor alfa) TNF- Fattore di crescita dell’epitelio (Epidermal growth factor) EGF Fattore di crescita degli epatociti (Hepatocyte growth factor) HGF Fattore di crescita del tessuto connettivo (Connective tissue growth factor) CTGF Tab.2 – Fattori di crescita identificati nel vitreo di pazienti affetti da PVR 5. induce la contrazione delle membrane fibrose. Il ruolo preminente del TGF- nella patogenesi della PVR si esplica proprio attraverso la sua azione promuovente la sintesi di collagene e fìbronectina, che sono i costituenti proteici responsabili della formazione delle membrane fibrose. Come già visto in precedenza, il TGF- esplica questa azione in due modi: inducendo l'espressione dei geni codificanti il collagene e la fìbronectina ed inibendo la degradazione proteolitica della matrice extracellulare (Wiedemann, 1999). Recenti risultati sperimentali hanno mostrato l'intervento di altri due fattori di crescita nello sviluppo della PVR: membrane fibrose escisse chirurgicamente da pazienti affetti da PVR e sottoposte ad analisi immunoistochimiche hanno rivelato l'accumulo di alte concentrazioni del fattore di crescita degli epatociti (HGF) e del fattore di crescita del tessuto connettivo (CTGF) (Hinton et al., 2002). E' stato ipotizzato che l'HGF sia il principale mediatore, insieme al PDGF ed al TNF, delle fasi iniziali della PVR, inducendo la separazione delle RPE dallo strato monocellulare e la formazione di una membrana invasiva contenente cellule RPE sdifferenziate. L'HGF è un fattore di crescita pleiotropico nei processi infìammatori, originariamente isolato dalle piastrine, che agisce prevalentemente sulle cellule epiteliali su cui ha un'azione stimolante la proliferazione, la morfogenesi e la chemiotassi ed ha un effetto anti-apoptotico (Tab.3) (Grierson et al., 2000). Anche le cellule RPE sono in grado di secernere l 'HGF, determinandone, insieme alle piastrine, un incremento dei livelli nel vitreo. L'HGF è in grado di modulare la localizzazione delle proteine di giunzione intercellulari e di interagire con le molecole della matrice extracellulare, mostrando un'alta affinità per la trombospondina (Briggs et al., 2000). Mediante colture cellulari in vitro, è stato dimostrato che l'HGF induce i maggiori cambiamenti morfologici che si verificano nelle RPE durante la PVR: perdita delle giunzioni intracellulari, migrazione nel vitreo e proliferazione. Infine, il fattore HGF è in grado di indurre l'espressione del TGF-b (Hinton et al., 2002). Fattore di crescita TGF- PDGF a/bFGF EGF IGF TNF- HGF CTGF Chemiotassi RPE + + + Proliferazione RPE - + Transdifferenziamento RPE in mio-fibroblasti + Sintesi matrice extracellulare fibrosa + + Contrazione matrice fibrosa + + + + + + + + + + + Tab.3 – Coinvolgimento dei fattori di crescita nella PVR Il secondo fattore di crescita isolato, il CTGF, funziona, invece, come mediatore della formazione del tessuto fibrotico. La sua espressione è indotta dal TGF- ed il suo bersaglio sono le cellule RPE trasformate in cellule fibroblasto -simili; il CTGF ne stimola la proliferazione, la deposizione della matrice extracellulare ed ha un effetto pro-apoptotico (Tab.3). L'espressione coordinata del CTGF e del TGF- è stata dimostrata in numerose patologie caratterizzate dallo sviluppo di tessuti fìbrotici, quali la fibrosi del rene, la fibrosi del miocardio e l'aterosclerosi. E' stato recentemente proposto un modello per spiegare la patogenesi della PVR sulla base dei potenziali ruoli svolti dall'HGF, dal CTGF e dal TGF-. In questo modello, il distacco di retina induce una risposta infiammatoria che determina l'attivazione delle RPE e l'espressione dell'HGF (mediata dalle piastrine). L'HGF, insieme al PDGF, induce la separazione delle RPE dal monostrato, promuove la formazione di gruppi invasivi di cellule RPE sdifferenziate e proliferanti (anche grazie al suo effetto anti-apoptotico) e ne stimola la migrazione verso il vitreo (azioni svolte in maniera coordinata con i fattori PDGF, a/bFGF, TNF- ed IGF). Queste RPE sono immerse in una matrice provvisoria che include la trombospondina. Le RPE entrano in contatto con il vitreo che contiene un'elevata concentrazione di TGF- nella sua forma inattiva. Il TGF- è attivato da meccanismi che includono l'intervento della trombospondina e la sua secrezione da parte delle RPE è stimolata dall'HGF e dal PDGF. L'incremento dei livelli di TGF- attivo, oltre a potenziare l'azione chemioattrattrice del vitreo sulle RPE, ha come effetto l'attivazione trascrizionale del CTGF nelle RPE stesse. Sotto l'influsso del TGF- e del CTGF le RPE si trasformano acquisendo la morfologia mio-fìbroblastica ed ha inizio la formazione delle membrane fibrose. I mio-fibroblasti iniziano a sintetizzare grandi quantità di collagene e fìbronectina; successivamente l'azione proapoptotica del CTGF induce la morte delle cellule incluse nella matrice che diviene quasi completamente costituita da fibre. A questo punto le restanti cellule RPE si contraggono determinando l'accorciamento delle membrane fibrose ed il conseguente distacco frazionale di retina. Il distacco della retina innesca nuovamente la risposta infiammatoria e potenzia il processo di sviluppo di PVR a ciclo continuo. Studi su colture di RPE estratte dal vitreo in vari stadi di PVR ed esposte all'azione del TGF- mostrano come l'effetto di questa citochina sia fortemente influenzato dallo stato delle cellule bersaglio. L'effetto del TGF- è di tipo: 1. anti-proliferativo sulle RPE isolate da stadi precoci di PVR, che presentano ancora caratteri di cellule epiteliali 2. stimolante la proliferazione sulle RPE sdifferenzate (con caratteristiche mesenchimali), in stadi intermedi di PVR 3. di induzione del transdifferenziamento in senso mio-fìbroblastico, in stadi tardivi di PVR. • Risoluzione della PVR: intervento chirurgico e trattamenti aggiuntivi A dispetto dei progressi ottenuti nella chirurgia vitreoretinica, la PVR rappresenta attualmente una patologia di diffìcile risoluzione, considerata la sua elevata incidenza pre - e post-operatoria nei casi di distacco regmatogeno di retina primario. Attualmente la ricerca si sta orientando verso più soluzioni (Charteris et al., 2002): 1. perfezionamento delle tecniche di chirurgia per il distacco di retina, al fine di risolvere i casi di distacco di retina primario complicato da PVR e prevenire l'insorgenza postoperatoria di PVR, 2. predizione del rischio di insorgenza di PVR in pazienti da sottoporre a chirurgia per distacco di retina 3. sviluppo di trattamenti farmacologici aggiuntivi per incrementare il successo del trattamento chirurgico. Il principio di base del trattamento chirurgico di distacco di retina complicato da PVR è lo stesso della chirurgia del distacco retinico in generale e cioè la chiusura dei punti di rottura sulla retina e la completa eliminazione delle forze di trazione dovute alle membrane fibrose. In generale, le tecniche di vitrectomia sono quelle più largamente impiegate per l'intervento su forme da moderate a gravi di PVR. La manipolazione microchirurgica permette la dissezione e la rimozione delle membrane fibrose periretiniche rimovendo, in questo modo, le forze di trazione che agiscono sulla retina e consentendone la guarigione. Poiché è ormai noto che la crioterapia promuove la dispersione delle cellule RPE vive e, quindi, la ricorrenza post-operatoria di PVR (Glaser, 2002b), viene preferita, quando possibile, la fotocoagulazione laser, che favorisce l'adesione corioretinica nei punti di rottura della retina. Nei casi di PVR allo stadio avanzato, è necessario ricorrere a retinotomia per rilassare le forze trazionali, anche se la rimozione di aree troppo estese di retina causa un incremento dell'incidenza di riproliferazione post-operatoria delle RPE. In linea teorica, poiché nella PVR le RPE sono una fonte di matrice extracellulare e di fattori di crescita, la rimozione delle membrane fibrose che includono le RPE, o mediante vitrectomia o retinotomia, dovrebbe ridurre la produzione intraoculare di questi componenti, mettendo fine al ciclo di proliferazione -contrazione. Una fase molto importante dell'intervento chirurgico è la scelta della sostanza da iniettare nel vitreo allo scopo di mantenere la retina adesa e di ripristinare la tonicità dell'occhio. Ad esempio, studi sperimentali sull'impiego di olio di silicone, dopo vitrectomia in occhi con PVR, hanno mostrato un alto tasso di ripresa della proliferazione retro-olio delle membrane fibrose, probabilmente per un effetto di compartimentalizzazione dei fattori di crescita e delle cellule in uno spazio ristretto a contatto diretto con la retina. L'attuale tasso di successo di chirurgia retinica nella risoluzione di distacco complicato da PVR è del 90%, per interventi primari, e dell'86% per interventi ripetuti (Charteris et al., 2002). La prevenzione dell'insorgenza della PVR resta, comunque, la strada migliore da seguire per limitare l'incidenza di questa patologia. Il perfezionamento delle tecniche chirurgiche per il trattamento del distacco di retina primario è alla base della prevenzione dello sviluppo postoperatorio di PVR. Nei casi in cui, però, si verifica l’insorgenza pre-operatoria di PVR o nei casi considerati ad alto rischio di PVR post-operatoria, è possibile ricorrere all'impiego di trattamenti farmacologici aggiuntivi che aumentano la probabilità di successo dell'intervento chirurgico. I progressi nella comprensione della patofìsiologia della PVR hanno portato all'identificazione di diversi componenti del processo proliferativo che potrebbero essere bersaglio dei trattamenti farmacologici. Questi trattamenti potrebbero essere diretti verso: 1. il processo di proliferazione delle cellule RPE, 2. la deposizione iniziale di fibrina che funziona da impalcatura per la successiva deposizione della matrice definitiva, 3. la produzione e la successiva contrazione della matrice extracellulare, 4. i diversi fattori di crescita noti per il loro coinvolgimento nella PVR. 1) Sono attualmente disponibili diversi agenti farmacologici in grado di inibire la proliferazione sia attraverso un effetto anti-proliferativo generale che mediante inibizione di specifici tipi cellulari. Ad esempio, studi in fase cllnica hanno mostrato che la somministrazione dell'agente antiproliferativo 5-fluorouracile somministrato a pazienti (ad alto rischio di sviluppare PVR) che dovevano sottoporsi ad intervento chirurgico per distacco primario ne riduceva significativamente il tasso d'insorgenza di PVR post-operatoria. Anche l'impiego di Daunorubicina, somministrata prima di eseguire la vitrectomia, ha mostrato una riduzione nella percentuale di incidenza di PVR post-operatoria (Charteris et al., 2002). La proliferazione ed i cambiamenti morfologici a cui vanno incontro le RPE nella PVR potrebbero essere dovuti al blocco dell'apporto di acido retinoico a queste cellule; risultati in vitro hanno mostrato che l'acido retinoico induce l'arresto del ciclo cellulare in colture di RPE e ne previene lo sdifferenziamento, suggerendo un possibile impiego di questa sostanza nel trattamento preventivo della PVR. Attualmente sono disponibili risultati preliminari promettenti sulla somministrazione orale di acido retinoico pre-operatori. Infine, su modelli animali, è stato osservato che l'iniezione di olio di silicone con aggiunta di acido retinoico nel vitreo riduce la probabilità di distacco trazionale di retina (Charteris et al., 2002). 2) Un altro possibile bersaglio per il trattamento farmacologico aggiuntivo è la prevenzione della formazione della matrice di fibrina che si verifica dopo intervento chirurgico vitreo-retinico. Studi clinici hanno dimostrato che l'infusione di eparina nel vitreo riduce la formazione postoperatoria di fibrina. Inoltre, l'eparina è in grado di interferire con l'adesione cellula-substrato legando la fìbronectina, di legare i fattori di crescita coinvolti nella PVR (quali PDGF, TGF- e FGF), e di inibire la proliferazione delle RPE. La combinazione di queste attività rende l'eparina un potenziale farmaco multifunzionale per la prevenzione dello sviluppo della PVR (Charteris et al., 2002). 3) La contrazione delle membrane fibrose rappresenta un altro evento bersaglio della terapia farmacologica: come già detto, l'eparina è in grado di bloccare (via fìbronectina) l'adesione cellulasubstrato e quindi può essere impiegata per prevenire la contrazione delle membrane.Un altro agente noto per la sua capacità di inibire la contrattilità delle RPE è la colchicina che, sperimentalmente, riduce il distacco di retina e l'insorgenza della PVR (Charteris et al., 2002). 4) Una terapia alternativa si basa sull'impiego di farmaci ad azione anti-infiammatoria. I corticosteroidi sono in grado di modificare sia la proliferazione cellulare che la cascata degli eventi di risposta infiammatoria innescati dal distacco di retina. Studi su modelli animali hanno mostrato come l'iniezione intravitreo di desametasone riduca la proliferazione cellulare ed il distacco di retina trazionale; questa azione potrebbe essere dovuta all'inibizione del processo infiammatorio (Charteris et al., 2002). 5) Infine, un ultimo bersaglio della terapia farmacologia aggiuntiva sono i fattori di crescita, considerato il ruolo centrale che essi svolgono nello sviluppo della PVR. L'inibizione o il blocco dell'azione dei fattori di crescita sulle cellule target rappresenta un trattamento selettivo diretto contro le cellule che vanno incontro a proliferazione aberrante. Attualmente è disponibile un numero limitato di farmaci bloccanti i fattori di crescita; esperimenti in vitro hanno dimostrato che la protamina, l'istone IIB, la polilisina e l'eparina sono in grado di inibire la chemiotassi e la proliferazione delle RPE, eventi mediati dai fattori di crescita. Considerati i molteplici effetti del TGF- nelle diverse fasi della PVR, una strategia da intraprendere potrebbe essere quella di andare ad agire sui livelli di questo fattore, sia a livello trascrizionale che traduzionale. Ad esempio, si potrebbe sfruttare l'azione antiproliferativa esercitata dal TGF- sulle cellule RPE nei primi stadi della PVR. In ogni caso, il progressivo aumento delle conoscenze sui meccanismi che controllano l'espressione e la maturazione di questo fattore rappresenta una promettente possibilità per l'impiego di nuove strategie preventive (Wakefild, 2003). La maggiore limitazione al successo di tutti i trattamenti farmacologici aggiuntivi è la difficoltà di mantenere livelli terapeutici del farmaco nel microambiente dell'interfaccia vitreo-retina per tempi sufficienti a garantire un'adeguata inibizione della formazione delle membrane. Singole iniezioni intravitreo degli agenti farmacologici hanno un'emivita troppo breve per essere efficaci. Recenti sistemi di drug-delivery hanno dato, però, risultati promettenti: ad esempio, l'impiego di polimeri lipofìlici biodegradabili è in grado di garantire concentrazioni adeguate di farmaco e non ha effetti tossici (Charteris et al., 2002). Nelle strategie di prevenzione dell'insorgenza post-operatoria di PVR rientra anche l'individuazione di una serie di parametri (fattori di rischio) che danno indicazioni sul rischio di sviluppo di PVR post-operatoria per i pazienti da sottoporre a chirurgia per distacco retinico. L'individuazione di situazioni ad alto rischio permette di intervenire, prima dell'intervento chirurgico, con i già descritti trattamenti farmacologici aggiuntivi, al fine di ridurre la probabilità di insorgenza post -operatoria di PVR. Questa strategia preventiva ha avuto di recente un notevole sviluppo, soprattutto grazie alle nuove conoscenze sui fattori di crescita coinvolti nella PVR. E' interessante riportare uno studio clinico eseguito su pazienti con distacco retinico regmatogeno primario sottoposti a vitrectomia, in cui sono stati analizzati i livelli delle principali citochine coinvolte nella PVR, prima tra tutte il TGF- (Kon et al., 1999). Mediante analisi immunoistochimica, sono stati determinati i livelli di TGF- nel vitreo di pazienti sottoposti a vitrectomia per distacco di retina. Il gruppo di studio comprendeva sia pazienti con PVR pre-operatoria concomitante al distacco, che pazienti con distacco non complicato da PVR. I risultati hanno mostrato una forte correlazione tra i livelli di TGF- e l'insorgenza pre-operatoria di PVR. Inoltre, l'aumento dei livelli di TGF- è risultato anche strettamente correlato alla probabilità di sviluppare PVR post-operatoria (Kon et al., 1999). Questi dati hanno permesso di sviluppare un modello matematico per predire il rischio probabilistico di sviluppo di PVR post -operatoria sulla base dei livelli pre-operatori di TGF-. Questo modello potrebbe essere applicato per identificare quei pazienti a più alto rischio e per definire, prima dell'intervento, trattamenti farmacologici che ne umentino la probabilità di successo (Kon et al., 1999). 2) Coinvolgimento del TGF- e di altri fattori di crescita nella retinopatia diabetica (DR) II ruolo svolto dal TGF- e da altre citochine nei processi infiammatori rende questi fattori protagonisti di altre patologie che interessano la retina, la cui insorgenza è correlata a deregolazione della risposta infiammatoria e a fenomeni proliferativi anormali. Tra queste patologie vitreo-retiniche, recenti studi hanno chiarito il ruolo dei fattori di crescita nella retinopatia diabetica (DR). • Patogenesi della retinopatia diabetica La retinopatia diabetica (DR) è una patologia dovuta alla compromissione della circolazione locale retinica, che si manifesta come conseguenza del diabete, e che determina una progressiva chiusura dei capillari cui fa seguito una ridotta ossigenazione dei tessuti ed una perdita della vista. La DR, in stadi precoci di insorgenza è di tipo non proliferativo e si manifesta con piccole emorragie, depositi e altre anomalie della circolazione retinica. Nelle fasi più avanzate, la DR diviene proliferativa. Questo termine indica che si verifica un processo di neovascolarizzazione (angiogenesi) che interessa la retina e che, successivamente, invade il vitreo (in condizioni fisiologiche la vascolarizzazione non si sviluppa mai nel vitreo), determinando la progressiva perdita dell'integrità vitreo-retinica che conduce a distacco trazionale e a cecità permanente. Il cambiamento più precoce che si manifesta nella DR è una vasodilatazione che determina la successiva neovascolarizzazione probabilmente richiamando dal circolo sanguigno fattori promuoventi l'angiogenesi. Anche l'ipossia sembra giocare un ruolo importante nella regolazione dell'angiogenesi, considerato che è ormai noto che la retina, in risposta alla riduzione locale dei livelli di ossigeno, invia un messaggero chimico promuovente la neovascolarizzazione. Esperimenti in vitro hanno mostrato che la produzione del PDGF, fattore con una potente attività angiogenetica, da parte dei macrofagi, è incrementata dall'ipossia. Il flusso libero e deregolato dei fattori di crescita sembra essere coinvolto anche in altri processi di neovascolarizzazione patologica, come quella che interessa l'iride. Inoltre, l'azione dei fattori angiogenetici potrebbe anche essere regolata dai periciti che eserciterebbero un'azione inibente la proliferazione endoteliale, probabilmente producendo inibitori dell'angiogenesi. • Intervento dei fattori di crescita nel processo di angiogenesi II processo fisiologico di angiogenesi si riferisce ad una sequenza di eventi cellulari che risulta nella formazione di nuovi vasi sanguigni che si diramano dai vasi preesistenti. Questo processi si attua in una serie di passaggi (Wiedemann, 1999): 1. degradazione della membrana basale del vaso sanguigno originario ad opera delle cellule endoteliali, 2. fuoriuscita delle cellule endoteliali attraverso i punti di interruzione della membrana basale del vaso, 3. migrazione delle cellule endoteliali al di fuori della parete del vaso preesistente , 4. organizzazione in nuovi vasi sanguigni. La dissoluzione della membrana basale richiede l'intervento dell'attivatore del plasminogeno mentre le fasi successive coinvolgono processi di proliferazione delle cellule endoteliali, assemblaggio del neovaso, formazione del lumen, sviluppo delle ramificazioni e generazione di una nuova membrana basale e reclutamento dei periciti (cellule connettivali annesse all'endotelio del vaso sanguigno con funzione contrattile). Sono stati caratterizzati otto fattori di crescita che intervengono nel processo fisiologico di neovascolarizzazione. I meccanismi d'azione dei fattori angiogenetici sono molto diversi e la maggior parete dei fattori sono multipotenti; essi stimolano la proliferazione o il differenziamento delle cellule endoteliali (Tab.4). Alcuni fattori angiogenetici hanno un'azione indiretta, stimolando le cellule a secernerne. Il processo di neovascolarizzazione fisiologica (ad esempio quello che si verifica nella riparazione del danno tissutale o nell'apparato riproduttore femminile) è breve, rigidamente regolato e autolimitante. La stretta regolazione di questo processo include: l'immagazzinamento dei fattori di crescita (FGF), l'attivazione di forme latenti (TGF-b) e di inibitori dell'angiogenesi. Il processo di angiogenesi deve essere mantenuto in uno stato latente sempre pronto per essere attivato; il sistema microvascolare resta quiescente ma è capace, in qualsiasi momento, di rispondere ad uno stimolo positivo mediante induzione di rapida crescita di capillari (Wiedemann, 1999). Fattore di crescita TGF- bFGF IGF TNF- VEGF Proliferazione delle cellule endoteliali - + + - + Chemiotassi cellule endoteliali + + + Morfogenesi del vaso sanguigno + + + + Secrezione della membrana basale + - + Tab.4 – Funzioni di alcuni fattori di crescita nel processo di angiogenesi • Intervento del TGF- e di altri fattori di crescita nella DR proliferante II processo di neovascolarizzazione che si verifica nella DR proliferativa, a differenza di quello fisiologico, non è auto-limitante. Per essere innescato richiede due condizioni: la prima è la presenza di un segnale (che potrebbe essere l'infiammazione ed i suoi fattori, o l'ipossia retinica o uno specifico fattore di crescita), la seconda è la presenza nella retina di un letto vascolare danneggiato. Comunque, la neovascolarizzazione tende a regredire in assenza di uno stimolo persistente (Wiedemann, 1999). Il processo patologico di neovascolarizzazione che si verifica nella DR proliferativa è mediato dagli stessi fattori di crescita che intervengono nel processo fisiologico di angiogenesi (Wiedemann, 1999). Un ruolo centrale nell'angiogenesi è svolto dal fattore multifunzionale TGF-. Il meccanismo di azione del TGF- non è ancora del tutto chiaro, considerato che esso svolge due funzioni opposte (Tab.4): da un lato sembra essere un regolatore negativo dell'angiogenesi inibendo in vitro la proliferazione delle cellule endoteliali, dall'altro si comporta come promotore dell'angiogenesi, inducendo l'organizzazione in vasi sanguigni delle cellule endoteliali migranti. Il TGF- ha una potente azione chemiotattica verso le cellule coinvolte nella riparazione tissutale (azione già osservata per la PVR) come i monociti e i fìbroblasti. Queste cellule potrebbero essere, a loro volta, responsabili della produzione e della secrezione di fattori angiogenetici. Dopo il rilascio dei fattori angiogenetici da parte dei macrofagi, il TGF- prodotto dai periciti, potrebbe reprimere l'ulteriore proliferazione delle cellule endoteliali (azione antiproliferativa analoga a quella esercitata sulle RPE nella PVR) e indurre la formazione di tessuto fibrotico e il distacco trazionale di retina (come avviene anche nella PVR). Un'altra famiglia di fattori di crescita coinvolta nel processo di neovascolarizzazione della DR proliferativa è quella dei fattori di crescita basici dei fìbroblasti (bFGF). L'associazione del bFGF alle cellule, alla matrice extracellulare e alle membrane basali ha condotto all'ipotesi che il bFGF sia un fattore normalmente immagazzinato nei tessuti e rilasciato al momento del danno tissutale e rappresenti, cioè, il segnale che innesca il processo di riparazione (Brooks et al., 1999). Il rapido rilascio del bFGF dalle membrane basale in risposta al danno tissutale sarebbe dovuto o all'azione dell'eparina o di collagenasi locali. L'azione del bFGF nell'angiogenesi si esplica nella stimolazione della chemiotassi e della proliferazione delle cellule endoteliali (Tab.4). In presenza di DR proliferativa, sono stati riportati livelli di bFGF elevati (Wiedemann, 1999). L'equilibrio tra i livelli di bFGF e di TGF- sembra giocare un ruolo chiave nell'angiogenesi, considerati gli effetti antagonisti dei due fattori sulla proliferazione delle cellule endoteliali (stimolazione da parte del bFGF e inibizione da parte del TGF-). In sistemi di co-coltura in vitro, il contatto tra periciti e cellule endoteliali risulta necessario per l'inibizione della proliferazione delle cellule endoteliali ad opera dei periciti. L'aggiunta di bFGF esogeno è in grado di annullare l'effetto inibitorio dei periciti. Questi risultati suggeriscono che la proliferazione dei capillari sia modulata da un equilibrio tra il bFGF, prodotto dalle cellule endoteliali, ed il TGF- derivato dai periciti locali (Lewis et al., 2001). Il fattore TNF-, sintetizzato dai macrofagi attivati, è una proteina di secrezione e si comporta come mediatore pleiotropico dell'infiammazione. Questo fattore coopera con il TGF- nell'induzione dell'angiogenesi in vivo e nella morfogenesi dei vasi sanguigni in vitro. Essi potrebbero promuovere il differenziamento delle cellule endoteliali o causare la stimolazione della crescita del vaso sanguigno in maniera indiretta. Comunque ancora non è stato chiarito il meccanismo con cui il TNF- media l'angiogenesi. Per altri fattori di crescita relativi all’angiogenesi si può far riferimento alla tab.4 Una strategia da attuare per inibire l'angiogenesi patologica nella DR proliferativa potrebbe essere diretta verso due bersagli: i fattori di crescita angiogenetici e le cellule endoteliali. La prima strategia potrebbe essere basata sul blocco dell'espressione o della produzione dei fattori angiogenetici o sulla neutralizzazione della loro attività. La seconda strategia potrebbe essere quella di annullare la capacità delle cellule endoteliali di rispondere ai fattori angiogenetici. Tutti gli inibitori dell'angiogenesi attualmente conosciuti, specialmente gli steroidi angiostatici, operano con questa seconda modalità (Ingber et al., 2000). L'ulteriore caratterizzazione dei fattori di crescita che intervengono nella neovascolarizzazione in presenza di DR proliferativa rappresenta, quindi, una via promettente per lo sviluppo di nuovi trattamenti farmacologici. Bibliografia Briggs M.C., Grierson I., Hiscott P. et al.: Active scatter factor (HGF/SF) in proliferative vitreoretinal disease. Invest. Ophthalmol. Vis. Sci., 2000; 41: 3085 –3094 Brooks R., Burrin J., Kohner E.: Basic fìbroblast growth factor release from bovine retinal endothelial cells.Invest. Ophthalmol. Vis. Sci., 1999; 32: 1300-1321 Campochiaro P.A., Glaser B.A.: Platelet derived growth fàctor is chemotactic for human retinal pigment epithelial cells. Arch. 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Paffetti*** * Dipartimento di Scienze dell’Invecchiamento, **Dipartimento di Biologia Cellulare e dello Sviluppo, *** Dipartimento di Scienze Oftalmologiche Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Il tentativo di incrementare e rendere più omogeneo il successo della chirurgia del glaucoma e della cataratta è uno degli obiettivi principali della ricerca oftalmologica dei nostri giorni e l’anestetico locale svolge oggi un ruolo fondamentale e complicazioni sistemiche possono essere causate dalla tossicità degli anestetici locali determinata da sovradosaggio o da reazioni allergiche (Rubin, 1991). La nostra attenzione si è focalizzata su due anestetici locali appartenenti alla categoria delle aminoamidi: lidocaina e ropivacaina (McGoldrick, 1991). ANESTETICI LOCALI L'anestesia loco-regionale in oftalmochirurgia deve produrre, per essere soddisfacente, oltre che anestesia sensitiva, immobilità dell'occhio. Gli anestetici locali sono una categoria di farmaci il cui uso clinico è in continuo crescendo; dalla scoperta nel 1884 della cocaina alla nuova ropivacaina, gli anestetici locali sono farmaci che producono, nel punto in cui sono applicati, un blocco reversibile della conduzione nervosa, sia in senso centripeto (fibre sensitive) che in senso centrifugo (fibre simpatiche e motrici), senza indurre, nel contempo, una perdita di coscienza. Struttura chimica In relazione alla struttura chimica, gli anestetici locali possono essere classificati in due categorie: 1. Amino-esteri: procaina, clorprocaina, tetracaina 2. Amino-amidi: lidocaina, mepivacaina, prilocaina, bupivacaina, etidocaina, ropivacaina Gli anestetici a legame estereo sono facilmente e rapidamente idrolizzati nel plasma ad opera delle pseudocolinesterasi. Gli anestetici amidici vengono degradati meno rapidamente e catabolizzati pressoché unicamente a livello dei microsomi epatici. Questo conferisce a queste molecole una stabilità e una durata d'azione maggiore. Nonostante la loro eterogeneità, nella molecola della maggior parte degli anestetici locali possono essere individuate tre porzioni costituite da (Fig.1): • un polo lipofilo, rappresentato spesso da un anello aromatico responsabile della liposolubilità del prodotto, della diffusione nei tessuti e nelle membrane biologiche, del fissaggio alle proteine plasmatiche e dell'attività; • un polo idrofilo, comune alle due classi di anestetici locali, che conferisce agli anestetici locali il carattere di amine terziarie e ne determina il carattere di base. L'idrofilia condiziona l'idrosolubilità, quindi la diffusione della forma non ionizzata, e la ionizzazione (che, ad un determinato pH, è funzione del pKa) della molecola dell'anestetico locale; • una catena intermedia, che per la presenza di un legame amidico o estere permette la classificazione degli anestetici locali. La natura della catena intermedia condiziona il metabolismo di queste sostanze. La lunghezza e le ramificazioni della catena intermedia determinano inoltre l’attività dell’anestetico locale. In soluzione gli anestetici locali esistono in due forme: 1. forma basica (R-NH2), non ionizzata e liposolubile 2. forma ionizzata [(R-NH3)Cl-], idrosolubile; la proporzione tra le due forme dipende dalla costante di dissociazione (Ka) della forma ionizzata e dal pH. (Fig.1 Struttura degli anestetici locali) Meccanismo d’azione Gli anestetici locali bloccano in modo transitorio e reversibile la conduzione nervosa modificando la propagazione del potenziale d’azione a livello dell’assone. La membrana della fibra nervosa, da una condizione di riposo mantenuta dall’attività di una pompa Na+-K+ ATPasi-dipendente, in seguito al passaggio del potenziale d’azione, consente l’ingresso massivo di ioni sodio al suo interno, invertendo il potenziale di membrana da negativo a positivo. La corrente di depolarizzazione nel momento in cui tutta la superficie della membrana è depolarizzata, innesca modificazioni strutturali del canale del sodio ostacolando un’ulteriore ingresso di sodio con conseguente inattivazione dell'eccitabilità di membrana. Al decadere della corrente di sodio segue la fuoriuscita dalla cellula di ioni K+ in numero uguale a quello di ioni Na+ entrati nella fase di depolarizzazione. Il canale rapido del sodio è il recettore specifico su cui agiscono gli anestetici locali. Le molecole d'anestetico, una volta attraversata la membrana cellulare della fibra nervosa, si legano ad un recettore presente sulla faccia interna della membrana, di fatto impedendo l'ingresso massivo di ioni Na+ e quindi la fase di depolarizzazione (Fig.2). (Fig.2 – Meccanismo d’azione degli anestetici locali. LAH+: forma ionizzata (attiva) del farmaco, LA: forma non nominata nel farmaco) Gli anestetici locali nella loro forma attiva, quella ionizzata, interferiscono con le diverse fasi del potenziale d'azione, diminuendone l'ampiezza, la velocità di depolarizzazione e la durata del periodo refrattario. La concentrazione di anestetici locali necessaria per determinare il blocco della conduzione nervosa differisce per ogni sostanza, pertanto la potenza di ciascun anestetico locale viene indicata dalla concentrazione minima inibente (Cmi), ovvero dalla concentrazione di farmaco al di sotto della quale la fibra ritorna ad essere eccitabile. LIDOCAINA E' un anestetico locale della classe delle amino-amidi avente formula di struttura 2-(Dietilamino)N-(2,6-dimetil-fenil) acetamide e il cui peso molecolare come sale cloridrato è 268. La struttura molecolare della lidocaina presenta un anello aromatico legato ad una catena carboniosa in cui è presente un amino gruppo legato con legame amidico. La presenza dell'amino gruppo determina un pKa di circa 8.5 che le conferisce un debole potere basico (Fig.3). Conseguentemente la molecola risulta essere ionizzata in forma cationica nelle soluzioni acquose di uso commerciale. La lidocaina, come altri anestetici locali, inibisce l'eccitazione in corrispondenza delle terminazioni nervose e bloccando la conduzione dell'impulso ai nervi periferici. Ciò è dovuto alla parziale perdita di permeabilità da parte delle membrane agli ioni sodio. Sono state ipotizzate due teorie per spiegare il meccanismo d'azione: 1. Il farmaco provocherebbe un'alterazione della membrana cellulare con collasso parziale dei canali ionici ed impedimento allo scambio ionico; 2. Il farmaco si legherebbe a specifici recettori di membrana prevenendo o impedendo l'apertura dei canali per il sodio. Sembra che la teoria più accreditata sia quella per cui la lidocaina si adsorbe specificatamente ai recettori delle proteine dei canali per il sodio bloccandone il trasporto. In realtà, su questo ultimo punto non c’è ancora uniformità di vedute (Choi et al., 2000). (Fig.3 – Struttura molecolare della lidocaina) ANESTETICI LOCALI E CHIRALITA' La crescita dell’anestesia locoregionale è dovuta a molti fattori fra cui la sicurezza dei farmaci anestetici moderni, il miglioramento delle tecniche d’esecuzione, il relativo minor costo ed in generale i progressi tecnologici riguardo ai materiali usati. Il numero di anestesisti che utilizzano l’anestesia locoregionale è in crescita e lo dimostra anche la mole di lavori scientifici prodotti negli ultimi anni. Molta di questa produzione riguarda la farmacologia degli anestetici locali ed in particolare lo studio degli effetti secondari e della loro relativa tossicità. Di recente l'industria farmaceutica, alla ricerca di anestetici locali più potenti ma meno tossici e che rispondessero alle accresciute istanze di farmaci sempre più affidabili, ha imboccato una via relativamente nuovaquella della chiralità e dei farmaci enantiomeri. Gli anestetici locali presentano sul canale del sodio due siti di legame, che hanno affinità diverse ed il cui peso nel determinare il blocco dell’impulso non è stato ancora esattamente valutato. L’identificazione di questi due differenti siti di legame all'interno del canale del sodio ha spinto ad approfondire l'analisi della stereoselettività di legame ed a verificare cioè se i due stereoisomeri di una stessa molecola posseggano qualità differenti in termini di affinità recettoriale. Le differenze nella struttura tridimensionale conferiscono differenze nell’affinità degli enantiomeri con il recettore (Sidebotham e Schug, 1997). Infatti gli enantiomeri legano con recettori che sono, a loro volta, aminoacidi chirali con proprietà di stereoselettività. Perciò due enantiomeri potrebbero avere differenti attività. Sulla base delle conoscenze di farmacologia delle molecole chirali si potrebbero ipotizzare alcune congetture per spiegare il "successo" delle forme levogire (s), anche in altri campi della medicina. Si può supporre che le forme destrogire potrebbero rappresentare una specie di zavorra con due possibili effetti negativi: • Esse potrebbero occupare i siti recettoriali senza, però, riuscire a produrre il blocco e contrastando il corretto legame con la forma S; • Potrebbero accumularsi perché non trovano recettori ai quali legarsi e provocare effetti collaterali tossici. Pare certo che gli (S)-isomeri degli anestetici locali abbiano più lunga durata per il maggiore effetto vasocostrittore. ROPIVACAINA La ropivacaina (Fig.4) è un relativamente nuovo anestetico locale amidico a lunga durata d’azione strutturalmente simile alla bupivacaina; possiede proprietà farmacocinetiche simili a quelle della bupivacaina. Il nome commerciale della ropivacaina è naropina e il suo peso molecolare è di 329. È debolmente basica con un pKa di 8.1 (Engman et al.,1998) e presenta un effetto, anestetico prolungato grazie alla sua elevata liposolubilità e alla stabilità nel tempo dei legami proteici (Morara et al., 1999). Oggi la ropivacaina S-isomero dell’omologo 1-n-propil, rappresenta il primo ed unico anestetico locale enantiomericamente puro disponibile per uso clinico. Mentre gli altri anestetici sono generalmente prodotti per uso clinico come miscele racemiche, la ropivacaina, al contrario, viene sintetizzata solo come enantiomero S, con coefficiente di purezza del 99,5% (Federsel et al., 1987). Le conoscenze circa la farmacologia dei farmaci chirali consentono di predire che la ropivacaina sarà un’alternativa meno neurotossica della bupivacaina racemica, pur mantenendo simili profili farmacocinetici, simile potere anestetico ma maggiore effetto vasocostrittore (Arviddson et al., 1995). Essa quindi può essere vantaggiosamente impiegata a concentrazioni e dosi maggiori. È un anestetico utilizzato in interventi di oftalmologia per la sua azione anestetica selettiva sulle fibre C (Wildsmith et al., 1989). In recenti studi la ropivacaina allo 0,75% è risultata ugualmente efficace nel determinare il blocco motorio rispetto alla bupivacaina allo 0,75% mentre la latenza si è rilevata più breve per la ropivacaina (Nociti et al., 1998). Confrontata con la bupivacaina, allo 0,75%., la ropivacaina all’1% non ha mostrato, nella chirurgia della cataratta effettuata con blocco peribulbare, differenze cliniche significative nella qualità del blocco sensitivo e motorio (Huma et al., 1999). Valutando le proprietà cliniche nel blocco peribulbare della ropivacaina allo 0,75%, paragonata con una miscela di lidocaina al 2% e di bupivacaina allo 0,5%, altri Autori (Gioia et al.,1999) hanno riscontrato una latenza simile ma una migliore qualità dell'analgesia postoperatoria nei pazienti del gruppo ropivacaina. Secondo Katz e collaboratori (Katz et al., 1990) le concentrazioni elevate utilizzabili di ropivacaina, senza rischio di tossicità sistemica, permettono di ottenere una aumentata efficacia clinica della ropivacaina rispetto alla bupivacaina in anestesia, con maggior durata sia del blocco sensitivo sia di quello motorio. Gli evidenti vantaggi mostrati dalla ropivacaina in termini di lunga durata d'azione e di differenziazione del blocco sensitivo-motorio hanno confinato al laboratorio l'uso di altre molecole di questo gruppo di anestetici locali (McClure, 1996). (Fig.4 - Struttura molecolare della ropivacaina, S-isomero) Bibliografia Arviddson T.,Bruce H.F., Halldin M.M. et al.: Lack of metabolic racemisation of ropivacaine, determinated by liquid chromatography using a chiral AGP column. Chirality,1995; 7: 272-277 Choi J.Y., Ahn J.Y., Kim Y.H.et al.: Effect of laryngeal task airway on esophageal motility during general anesthesia. J. Clin. Anesth., 2000; 12(3): 518-523 Engman N., Neidenstrom P., Norsten-Hoog C. et al.: Determinatìon of ropivacaine and [2H3] ropivacaine in biological samples by gas chromatography with nitrogen-phosphorus detection or mass spectrometry. J. Chromatography B, 1998; 709: 57-67 Federsel H., Jaksch P., Sandberg R.:An efficient syntesis of a new, chiral 2',6'-pipecoloxyhddelocal anesthetìc agent. Acta Chemic. 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Esistono anche il desiderio e la necessità di conoscere al meglio le possibilità di assistenza sanitaria per ogni realtà riabilitativa. LINEA VERDE Numero telefonico : 800 068506 La Sezione Italiana dell’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità, nel quadro della sua costante azione promozionale con lo scopo di diffondere la cultura della prevenzione delle patologie oculari, ha dato il via ad una LINEA VERDE DI CONSULTAZIONE GRATUITA, aperta a tutti coloro che chiamano da una postazione telefonica fissa, situata in territorio italiano. La linea verde funzionerà per due ore e trenta nei giorni feriali dalle ore 10 alle ore 12,30 dal lunedì al venerdì Sarà possibile consultare un medico oculista, al quale esporre il proprio problema ed ottenere i suggerimenti necessari. La speranza è che questa iniziativa contribuisca a diffondere ulteriormente la coscienza della prevenzione, concetto che incontra tuttora un non facile accesso nella mentalità civica e soprattutto delle categorie più a rischio (i giovanissimi e gli anziani).