Padova, 13 marzo 2004 Master … patrimonio industriale Dalla rivoluzione scientifica alla rivoluzione elettronica Il ruolo degli strumenti nella scienza moderna Giulio Peruzzi Facoltà di scienze matematiche fisiche e naturali e Dipartimento di fisica - Università di Padova La storia della scienza La storia della scienza costituisce uno strumento prezioso per capire il mondo in cui viviamo. È la storia della scienza che, per usare le parole di Francesco Bacone nel Temporis partum masculum, “quando tutti gli accessi e, per così dire, gli ingressi di tutte le menti sono come assediati e ostruiti dai più oscuri idoli che nelle menti sono radicati profondamente e come impressi a fuoco”, può permettere alla “luce genuina e originaria delle cose” di “trovare uno spazio schietto e pulito nel quale rispecchiarsi”. “Il presente - dice ancora Bacone poche pagine dopo - è un essere bifronte, guarda insieme al passato e all’avvenire” per farsene una precisa idea è quindi importante avere un quadro di tutti e due i tempi, un quadro che abbracci “non solo il corso e il progresso della scienza ma anche la previsione del futuro”. Ripercorrere la storia delle idee, delle pratiche scientifiche e dei manufatti che sono alla base della nostra vita odierna è un po’ come spostare indietro l’indice che segna il presente su un ideale asse temporale e da questa nuova posizione osservare il passato e il futuro non dal nostro punto di vista ma dal punto di vista di coloro che a quell’epoca vivevano. Da questa prospettiva ciò che oggi appare ovvio ridiventa oggetto di difficile conquista nell’ambito dello sviluppo della conoscenza scientifica del mondo, e lo spettro di possibilità, di aspettative e di paure aperte dalle nuove teorie, dalle nuove scoperte e dai nuovi strumenti ritrova la sua originaria ricchezza. C’è però anche un’altra cruciale funzione della storia della scienza: essa può contribuire a evidenziare e rafforzare quel processo di "fertilizzazione incrociata" delle scienze, di cui parlava Maxwell nella sua conferenza, dal titolo The telephone, tenuta a Cambridge nel 1878. Cosa scriveva Maxwell? Qualunque cosa possa essere detta circa l'importanza di mirare alla profondità piuttosto che alla vastità nei nostri studi, e per quanto possa essere forte nell'epoca presente la domanda di persone specializzate, ci sarà sempre lavoro non solo per coloro che costruiscono scienze particolari e su di esse scrivono monografie, ma anche per coloro che dischiudono le comunicazioni tra gruppi diversi di costruttori in modo da facilitare una salutare interazione tra questi. E in un'università siamo particolarmente tenuti a riconoscere non solo l'unità della scienza stessa, ma anche la comunione di coloro che lavorano nella scienza. Siamo troppo inclini a supporre che siamo qui raccolti soltanto per avere alla nostra portata certi strumenti di studio, come musei e laboratori, biblioteche e seminari, cosicché ognuno di noi possa studiare ciò che preferisce. Io suppongo che quando le api si affollano intorno ai fiori fanno così perché sono interessate al miele, inconsapevoli del fatto che è il polline che portano da un fiore all'altro che permette di rendere possibile una più splendida fioritura e un più affaccendato affollarsi di api negli anni a venire. Non possiamo perciò far niente di meglio che rendere ancora migliore il tempo dello splendore (shining hour) operando in favore della fertilizzazione incrociata della scienza. • Cosa cambia nel rapporto tra teoria e esperimento con la rivoluzione scientifica? • Dalla rivoluzione scientifica alla rivoluzione elettronica • “Chi è troppo curioso delle cose del passato diventa, per lo più, molto ignorante di quelle presenti”? Cosa cambia nel rapporto tra teoria e esperimento con la rivoluzione scientifica? Uno dei caratteri peculiari della rivoluzione scientifica del Seicento è la saldatura tra scienza e tecnica che segnerà in seguito l’intero sviluppo della conoscenza scientifica occidentale. Sia Platone sia Aristotele avevano disprezzato l’arte meccanica e il lavoro manuale, e l’assimilazione dell’opposizione tra schiavi e liberi a quella tra tecnica e scienza - tra conoscenza rivolta alla pratica e all’uso e conoscenza rivolta alla contemplazione della verità - era andata consolidandosi nei secoli. Le sette arti liberali (del trivio: grammatica, retorica e dialettica; e del quadrivio: aritmetica, geometria, musica e astronomia) erano appunto proprie degli uomini liberi, mentre quelle meccaniche e manuali erano proprie dei non liberi o degli schiavi. Un primo significativo cambiamento si ha nell’Italia del XV secolo dall’incontro tra artisti e scienziati. L’artista riceveva all’epoca una formazione polivalente che iniziava nella bottega di un maestro dove apprendeva, prima di specializzarsi, non solo la pittura e la scultura, ma anche l’architettura e l’oreficeria. In una sola persona, spesso, si sovrapponevano all’artista propriamente detto, l’architetto, l’urbanista, l’esperto di fortificazioni e di balistica. Tra i nomi di questi versatili artisti-tecnici: Brunelleschi, Verrocchio, Mantegna, Leonardo da Vinci, Dürer. Argano centrale del cantiere brunelleschiano per la cupola del Duomo di Firenze, a tre velocità velocità e inversione di rotazione per lavorare a ciclo continuo (disegno di Leonardo, Codice Atlantico, Atlantico, 1420ca. - Da St.Sc.Treccani, St.Sc.Treccani, IV, p.949) Questo favorì progressivi contatti tra artisti e studiosi, tra i quali Paolo dal Pozzo Toscanelli, Luca Pacioli, Cardano, Tartaglia, Regiomontano, che ne utilizzarono spesso l’opera. E non dimentichiamo che Leon Battista Alberti nel De Pictura dette per iscritto veste teorica alla pratica prospettica del Brunelleschi che influì fortemente sull’opera di Masaccio, né dimentichiamo che Piero della Francesca nel suo De prospectiva pingendi fornì ampio materiale a Pacioli per il suo De divina proporzione. Jacopo de’ de’ Barbari (495ca.)(495ca.)- Fra’ Fra’ Luca Pacioli che disegna un Diagramma Euclideo mentre osserva un icosaedro trasparente assieme al suo protettore Guidobaldo da Montefeltro duca di Urbino. (Da St.Sc.Treccani, St.Sc.Treccani, IV, p. 987) Da questi contatti nasce lentamente una nuova immagine dello scienziato e una progressiva rivalutazione della tecnica e dei manufatti come strumenti funzionali al progresso della conoscenza. Queste esperienze seminali del Quattrocento sono in parte alla base della rivalutazione cinquecentesca delle arti meccaniche e della difesa sempre più decisa della loro dignità nell’ambito della cultura. cultura Solo alla luce di questa faticosa riaffermazione delle arti meccaniche, acquista particolare significato l’atteggiamento di Galilei, che nel 1609 punta verso il cielo il suo cannocchiale: la fiducia in uno strumento nato negli ambienti meccanici, disprezzato dalla scienza, funzionale non a deformare ma a potenziare la vista, fonte di nuova conoscenza contro l’assolutezza del guardare “naturale” degli occhi umani. A differenza delle dottrine che si rifacevano all’aristotelismo, gli strumenti entravano da quel momento a pieno titolo nella scienza. La loro definitiva accettazione richiese un cammino non facile, come dimostra per esempio il fatto che alla voce mécanique il Dictionnaire français di Richelet riportava ancora nel 1680 la definizione: “il termine meccanico, in riferimento alle arti, significa ciò che è contrario a liberale e onorevole: ha senso di basso, villano, poco degno di una persona onesta”. Ma è certo che oggi vediamo i segni di mondi lontani dalla nostra scala di grandezza grazie all’uso di strumenti e al solitario gesto di coraggio intellettuale che sanciva una decisa rottura con abitudini millenarie. Se pure c’è chi ha sostenuto una forte continuità tra Medioevo e Rivoluzione scientifica, ci sono buone ragioni per avvalorare l’opposta tesi di una forte discontinuità tra la tradizione scientifica medievale e la scienza moderna: 1. La natura dei moderni è diversa da quella dei medievali: in essa non si dà distinzione di essenza tra corpi naturali e corpi artificiali. “Sulle cose naturali - scrive Gassendi - indaghiamo allo stesso modo con cui indaghiamo sulle cose delle quali siamo noi stessi gli autori. Nelle cose della natura in cui ciò è possibile, facciamo uso dell’anatomia, della chimica e di aiuti di ogni genere in modo da capire, risolvendo per quanto possibile i corpi e come scomponendoli, di quali elementi e secondo quali criteri essi sono composti”. Per Gassendi, come per Bacone e Cartesio, non si dà distinzione di essenza tra ciò che è artificiale e ciò che è naturale. Da qui il criterio del conoscere come fare o dell’identità tra conoscere e costruire. 2. La natura dei moderni viene interrogata in condizioni “artificiali”: mentre l’esperienza degli aristotelici è tratta dal mondo della quotidianità, quella dei moderni deriva dagli esperimenti “artificialmente” costruiti. 3. Metafora del sapere dei moderni è l’esplorazione di nuovi continenti, mentre il sapere dei medievali è l’approfondimento dei problemi sulla base di regole codificate “in libris”. E qual cosa è più vergognosa che il sentir nelle pubbliche dispute, mentre si tratta di conclusioni dimostrabili, uscir un di traverso con un testo, e bene scritto in ogni altro proposito, e con esso serrar la bocca all’avversario? Ma quando pure voi vogliate continuare in questo modo di studiare, deponete il nome di filosofi, e chiamatevi istorici o dottori di memoria; ché non conviene che quelli che non filosofano mai, si usurpino l’onorato titolo di filosofi… Signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, e non con testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta. Galileo respinge decisamente la separazione dei compiti nell’ambito della conoscenza, senza però mettere in dubbio l’esigenza della riflessione filosofica: “Non vi pigliate già pensiero del cielo né della Terra, né temiate la lor sovversione, come né anco della filosofia… La filosofia medesima non può se non ricevere benefizio dalle nostre dispute, perché se i nostri pensieri saranno veri, nuovi acquisti si saranno fatti, se falsi, col ributtargli, maggiormente verranno confermate le prime dottrine. Pigliatevi più tosto pensiero di alcuni filosofi, vedete di aiutargli e sostenergli, che quanto alla scienza stessa ella non può se non avanzarsi.” (Dialogo, Einaudi p. 47) Sono qui enucleati due temi fondamentali: – la conoscenza filosofica non è vuota, ma può trarre vantaggio dalle dispute nella scienza, nell’ambito della quale si può stabilire se un pensiero è verificabile o falsificabile; – la conoscenza scientifica inevitabilmente progredisce. Nuovi strumenti e il congiungimento delle “sensate esperienze” con le “certe dimostrazioni” sono all’origine dell’esplorazione di nuovi “continenti”. • Il cannocchiale (ca. 1608) • Il microscopio (ca. 1610) • Il barometro (Torricelli 1644, Gasparo Berti 1639<?<1644) Galileo, Sidereus Nuncius, stampato a Venezia nel marzo del 1610 e dedicato a Cosimo II de’ Medici, esercitò sulla cultura scientifica del Seicento una profonda influenza. Esso conteneva tre fondamentali insiemi di scoperte. • Il primo riguardava la superficie della Luna. • Il secondo il fatto che costellazioni note (come quella di Orione) non erano rappresentate dalle consuete figure, ma popolate da miriadi di stelle. • Il terzo era la scoperta delle lune di Giove. Il primo riguardava la superficie della Luna : Essa non si presenta affatto “levigata, uniforme ed esattamente sferica, come un gran numero di filosofi credette di essa, ma ineguale, scabra e con molte cavità e sporgenze, non diversamente dalla faccia della Terra, variata da catene di monti e profonde valli.” I disegni che accompagnavano il Sidereus Nuncius erano in quegli anni sconvolgenti: la Luna, come corpo celeste, era infatti vista come corpo perfetto. Inoltre Galileo faceva notare che la Terra avrebbe offerto un analogo spettacolo a chi l’avesse osservata da lontano, “illuminata dal Sole”. Annunciava poi che in un prossimo trattato, De sistemate mundi, avrebbe provato la falsità del punto di vista secondo cui la Terra avrebbe dovuto essere esclusa dal “novero degli astri erranti”. Nel Sidereus Nuncius erano esposti però fatti ben più sconcertanti: – Innanzi tutto viene stabilita una netta differenza tra pianeti e stelle. I pianeti “presentano i loro globi esattamente rotondi e definiti e, come piccole lune luminose perfuse ovunque di luce, appaiono circolari”. Le stelle “si mostrano di uguale figura all’occhio nudo e viste al connocchiale” . Ma c’è di più: visto con il nuovo strumento il cielo appariva di colpo affollato da “un gran numero” di stelle “invisibili alla vista naturale”. Con il nuovo strumento si vedevano costellazioni note (come quella di Orione) non più rappresentate dalle consuete figure, ma popolate da miriadi di stelle (nel limite stretto di uno o due gradi apparivano più di 500 nuove stelle nella costellazione di Orione). Orione Le Pleiadi Le due nebulose: quella della Testa di Orione e quella del Presepe Accanto alle stelle visibili quindi esisteva una miriade di stelle “invisibili”. A questa seconda novità astronomica, se ne aggiungeva una terza: la Via Lattea e le Nebulose, che a occhio nudo apparivano come “un candore latteo come di nube biancheggiante”, erano in realtà stupefacenti ammassi di stelle. Una conclusione che Galileo corroborava con le osservazioni della Testa di Orione e della Nebulosa del Presepe. Ma “il più importante” fatto del libro era costituito da ciò che Galileo aveva osservato, giorno dopo giorno, attorno a Giove. Queste osservazioni vengono narrate, in forma di diario, da Galileo ad iniziare dal 7 gennaio 1610. Inizialmente pensa al moto apparente di Giove rispetto a stelle fisse. Ma il calcolo di questo moto era possibile, e lo convince che mai Giove avrebbe potuto di giorno in giorno compiere quel tipo di moto: “Stabilii dunque e conclusi fuor di ogni dubbio che in cielo v’erano stelle vaganti attorno a Giove, come Venere e Mercurio attorno al Sole”. La sorprendente precisione delle misure di Galileo è ben esemplificata dalla seguente tabella: Satellite I II III IV Galileo (1612) 1 giorno e 18,5 ore 3 giorni e 13,3 ore 7 giorni e 4 ore 16 giorni e circa 18 ore Encyclopaedia Brit. (1910) 1 giorno e 18,48 ore 3 giorni e 13,5 ore 7 giorni e 4 ore 16 giorni e circa 18 ore Il sistema di Copernico era stato oggetto di molte critiche e non poteva ancora disporre di una teoria fisica su cui fondarsi. Tra le varie perplessità che esso aveva sollevato vi era quella relativa al supposto trascinamento della Luna nel moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole. A Conclusione del Sidereus Galileo affermava: “Ora non abbiamo un solo pianeta che gira intorno ad un altro, mentre entrambi percorrono la grande orbita intorno al Sole, ma il senso ci mostra quattro stelle erranti intorno a Giove, così come la Luna attorno alla Terra, mentre tutte insieme con Giove, con periodo di dodici anni si volgono in ampia orbita intorno al Sole”. Accanto a coloro che riconoscevano il valore scientifico delle nuove scoperte si levarono “infiniti contradditori e oppositori contro alle mie osservazioni” (lettera a Sarpi): alcuni “forzati dalla verità” si convertirono alle nuove evidenze, ma molti dei “filosofi in libris” mantennero un atteggiamento ostile. “Al presente non provo altri contrari che i Peripatetici, più parziali di Aristotele che egli medesimo non sarebbe, e sopra agli altri quelli di Padova, sopra i quali io veramente non spero vittoria” scrive sempre al Sarpi. E a Castelli: “Dell’avanzarsi nell’opinione popolare, o del guadagnarsi l’assenso dei filosofi “in libris”, lasciamone il desiderio e la speranza”. Ma se le opinioni del “volgo” non hanno gran peso, quelle dei filosofi in libris ne hanno, e affidarsi ai principi o ai granduchi è rischioso: anche se sensibili all’adulazione e interessati alle nuove scoperte scientifiche, essi sono sempre attenti anche ai rapporti di forza. Nuovi strumenti e il congiungimento delle “sensate esperienze” con le “certe dimostrazioni” sono all’origine dell’esplorazione di nuovi “continenti”. • Il cannocchiale (ca. 1608) • Il microscopio (ca. 1610) • Il barometro (Torricelli 1644, Gasparo Berti 1639<?<1644) Gli abitanti della Nuova Atlantide di Bacone (composta tra il 1614 e il 1617, pubblicata postuma nel 1626) possiedono “aiuti per la vista migliori delle lenti e degli occhiali” per “vedere distintamente e perfettamente i corpi più minuti ... altrimenti invisibili”. L’uso del microscopio (Galileo 1610?) apriva all’occhio umano un altro “nuovo mondo”, sfuggito fino ad allora all’osservazione dei sensi e pieno di “meravigliose” strutture e forme di vita. Nel Seicento l’uso del microscopio come strumento scientifico si afferma grazie principalmente ai lavori di: 1) Marcello Malpighi (16281694) - De pulmonibus (1661). 2) Robert Hooke (16351703) - Micrographia (1665). 3) Jan Swammerdam (1637-1680) 4) Antoni van Leeuwenhoek (16321673). Nuovi strumenti e il congiungimento delle “sensate esperienze” con le “certe dimostrazioni” sono all’origine dell’esplorazione di nuovi “continenti”. • Il cannocchiale (ca. 1608) • Il microscopio (ca. 1610) • Il barometro (Torricelli 1644, Gasparo Berti 1639<?<1644) Le accennai già, che si stava facendo non so che esperienza filosofica intorno al vacuo, non per far semplicemente il vacuo, ma per far uno strumento, che mostrasse le mutazioni dell’aria, ora più grave e grossa, ed or più leggera e sottile. Molti hanno detto, che il vacuo non si dia, altri che si dia, ma con repugnanza della Natura, e con fatica; non so già, che alcuno abbia detto, che si dia senza fatica, e senza resistenza della Natura. Io discorreva così: se trovassi una causa manifestissima dalla quale derivi quella resistenza, che si sente nel voler fare il vacuo, indarno mi pare si cercherebbe di attribuire al vacuo quella operazione, che deriva apertamente da altra cagione, anzi che facendo certi calculi facilissimi, io trovo, che la causa da me addotta (cioè il peso dell’aria), doverebbe per sé sola far maggior contrasto, che ella non fa nel tentarsi il vacuo. Dico ciò perché qualche Filosofo vedendo di non poter fuggire questa confessione, che la gravità dell’aria cagioni la repugnanza, che si sente nel fare il vacuo, non dicesse di concedere l’operazione del peso aereo ma persistesse nell’asseverare, che anche la Natura concorre a repugnare al vacuo. Noi viviamo sommersi nel fondo d’un pelago d’aria elementare, la quale per esperienze indubitate si sa che pesa […]. La lettera di Torricelli (1608-1647; 1644) a Michelangelo Ricci offre un chiaro esempio di come si istituisce di fatto la saldatura fra costruzione di macchine e strumenti e l’emergere di fondamentali questioni teoriche. In quella lettera Torricelli spiega che la sua “esperienza filosofica” è diretta sia alla costruzione di uno strumento per misurare la pressione dell’aria sia alla fabbricazione del vuoto. L’esperienza (1644) mostrava che l’argento vivo (il mercurio) risaliva il tubo non perché attratto dal vuoto, ma perché spinto dalla pressione esterna dell’aria. L’accettazione dell’idea della pressione dell’aria sarà relativamente veloce, non altrettanto quella dell’esistenza del vuoto (il dibattito tra vacuisti e plenisti si protrarrà per vari decenni). 4. I moderni criticano il sapere scolastico in quanto non in grado di interrogare la natura, ma solo sé stesso fornendo sempre risposte soddisfacenti: in esso c’è posto solo per il maestro e il discepolo, ma non per l’inventore. 5. I moderni operano con disinvoltura e opportunismo metodologico sconosciuti alla tradizione medievale. Ciò che conta non è la pretesa all’assoluta esattezza, ma l’invenzione di sistemi di misurazione sempre più accurati che spostano l’attenzione dalla precisione ideale a quella necessaria in relazione agli scopi e agli strumenti disponibili. Le invenzioni, grazie al nuovo sapere tecnico e scientifico, permettono lo sviluppo dell’umanità: la volontà umana di dominio sulla natura può trasformare l’ambiente in cui l’uomo vive. Francesco Bacone, riflettendo sull’importanza cruciale che le nuove invenzioni giocano ne evidenziava acutamente alcuni caratteri: la casualità, il loro fondarsi sulla scoperta di nuove proprietà delle cose o sulla semplice combinazione di proprietà delle cose già note. “Il caso infatti – scriveva Bacone – in concomitanza con circostanze naturali favorevoli, ha dato origine a molte scoperte. Nella scoperta del fuoco, per esempio, il Prometeo della Nuova India differisce dal Prometeo europeo perché non ha abbondanza di selce.” Ed elencando le invenzioni che avevano cambiato l’umanità, distingueva tra quelle che, come “la polvere da sparo, il filo di seta, la bussola, lo zucchero, il vetro e simili”, sono fondate su proprietà delle cose, e quelle che, come “l’arte della stampa”, non implicano “nulla che non sia chiaro e quasi ovvio e che non derivi dalla combinazione di cose già note.” E concludeva dicendo: “Nel processo dell’invenzione, invero, la mente umana appare superficiale e inetta: prima dispera di sé e poi si disprezza; prima ritiene incredibile che una certa invenzione possa essere realizzata ma, dopo averla realizzata, ritiene incredibile che non sia stata realizzata molto tempo prima. Ma proprio questo fatto fa sperare che resti ancora un gran numero di invenzioni che possano essere ricavate non solo da operazioni sconosciute, ma anche dal trasferimento e dall’applicazione di operazioni già note.” [Cogitata et Visa, 1607-1609] Gli strumenti scientifici presenti nel mondo antico e medievale (bilancia, compasso, astrolabio, orologi meccanici, ecc.) erano il risultato di un lento processo di perfezionamento; con gli inizi del Seicento si assiste a un’improvvisa fase di invenzione che nel giro di un secolo cambia profondamente l’immagine della scienza e il suo rapporto con la società. • Si afferma l’importanza sociale della scienza e degli scienziati: i fini della scienza sono informati al progresso e al rinnovamento delle condizioni di vita dell’umanità. • È necessaria una collaborazione tra ricercatori, non casuale, ma pianificata, organizzata, istituzionalizzata (esperimenti in concerto). • Si rifiuta di pensare al mondo come immagine vivente di Dio: non ci sono corrispondenze segrete tra uomo e natura, l’universo non è luogo di simboli corrispondenti ad archetipi divini, l’impresa scientifica non si configura come un’esperienza mistica non comunicabile. Non il sapiente-sacerdote, né il genio del singolo sono paradigmatici della figura dello scienziato: ma la comunicazione e il lavoro di un gruppo nel quale conta la divisione del lavoro, il coordinamento e l’interrelazione. Dalla rivoluzione scientifica alla rivoluzione elettronica: continuità o discontinuità? Le osservazioni baconiane continuano a valere anche negli sviluppi successivi. Il caso, la scoperta di nuove proprietà delle cose o la combinazione di proprietà delle cose già note operano di concerto, nel corso del Settecento, ampliando progressivamente l’influenza della scienza e della tecnica sulla vita sociale, politica e culturale di larga parte dell’umanità. Non c’è quindi da stupirsi di trovare nell’introduzione di un libro del 1824, dal titolo Riflessioni sulla potenza motrice del fuoco, affermazioni del tipo: “Lo studio di queste macchine è di estremo interesse, la loro importanza immensa, il loro impiego in continua crescita. Esse sembrano destinate a produrre una grande rivoluzione nel mondo civile”; alle quali segue una descrizione che evidenzia l’enorme contributo che le macchine termiche stanno dando e daranno al progresso dell’umanità. Soffermiamoci sui fondamentali passi che segnano la nascita della rivoluzione elettronica e riassumiamole con una breve cronologia, che traccia gli sviluppi paralleli di elettricità e pneumatica: ¾ 1600, De magnete di Gilbert ¾ 1644, la scoperta di Torricelli ¾ 1654, Otto von Guericke inventa la prima pompa pneumatica, sviluppata in seguito (1659) da Boyle e Hooke, e da Hauksbee (1703) ¾ Inizio dello studio dei “bagliori” nel vuoto (1676, Jean Picard; 1700, Johann Bernoulli, dal 1703, Hauksbee) ¾ Prime proprietà dell’elettricità (Stephen Gray, 1729) e scoperta di due tipi di carica elettrica (Charles Dufay, 1733) ¾ La bottiglia di Leida, 1745 (von Kleist e Peter van Musschenbroek) ¾ Prime leggi dell’elettrostatica e della magnetostatica (Cavendish e Coulomb, dal 1771 al 1889) ¾ La pila di Volta (1800) e le esperienze di Oersted (1820) e Ampère (1820) ¾ L’induzione elettromagnetica, Faraday, 1831 ¾ Generatori a induzione (dal 1832, Antoine Pixii) e bobine a induzione (dagli anni 1830, perfezionati da Ruhmkorff negli anni 1850) ¾ Tubi di Geissler, 1857 ¾ Le leggi del campo elettromagnetico, Clerk Maxwell, 1864 ¾ La scoperta dei raggi X (1895), della radioattività (1896) e dell’elettrone (1897) Sono queste ultime scoperte che danno il via agli sviluppi della fisica del XX secolo (Relatività e Meccanica Quantistica) e alla rivoluzione elettronica. Discontinuità nei quadri interpretativi: • Incrinature sempre più evidenti nel corso dell’Ottocento nella pretesa di universalità della cosiddetta meccanica classica (quella di Galilei e Newton). • In particolare si andranno affermando esigenze di un ripensamento di nozioni fondamentali come quelle di spazio, tempo e oggetto fisico. • L’elettromagnetismo di Maxwell porterà naturalmente alla definizione di una nuova costante universale (la velocità della luce) e alla necessità di superare il principio di relatività galileiano (e quindi lo spazio-tempo della meccanica classica), e non è un caso che la memoria di Einstein del 1905 che contiene la teoria della relatività ristretta si intitoli “elettrodinamica dei corpi in movimento”. • L’avvento della meccanica quantistica introdurrà ulteriori novità, portando a un profondo mutamento del significato di causalità in fisica e dei caratteri dell’oggetto fisico. Spaziotempo in relatività generale Onda? O particella? La meccanica quantistica in realtà ci insegna che l’alternativa classica, onda o particella, non è ben posta: un elettrone può comportarsi come un’onda o come una particella a seconda del tipo di dispositivo sperimentale che viene utilizzato. Il “fenomeno” è un complesso di cui fa parte il sistema fisico da osservare e lo strumento di misura. L’ampia diffusione dei prodotti della tecnica e il loro uso quotidiano sembra renderli oggi ovvii e scontati, tanto da ingenerare in molti la sensazione che siano esistiti da sempre. Giusto per fare qualche esempio: come immaginare le strade e le case senza luce elettrica? o gli spostamenti senza navi a motore, treni, automobili, aerei? o le comunicazioni senza telefoni, radio, televisione? Eppure ancora nei primi decenni dell’Ottocento tutto questo era di là da venire. La velocità con cui i manufatti tecnologicamente sempre più sofisticati sono diventati parte della nostra vita quotidiana è notevolmente aumentata con quella che un noto rapporto del “Club di Roma” chiamava la “rivoluzione microelettronica” (aggiungendo nel sottotitolo “per il meglio e per il peggio”). Basti pensare che il primo Universal Automatic Computer (UNIVAC) veniva terminato solo nel 1951 e prodotto in “ben sette esemplari”. La rapida mutazione del nostro ambiente di vita (del nostro e di quello di una parte sempre più larga dell’umanità) si manifesta in una serie di atteggiamenti contraddittori, non infrequenti in epoche passate della storia umana ma assai accentuati ai giorni nostri. Come osserva Paolo Rossi, molti (in particolare gli adolescenti) “fanno un uso continuo e quotidiano di macchine della più varia specie e natura e insieme detestano tutto ciò che è artificiale, odiano l’industria, la chimica, la tecnologia, la modernità”. Si può dire che nel mutuo scambio tra fedi progressiste e angosce apocalittiche sembra che quanti più vantaggi la scienza porta alla vita dell’uomo, tanto più essa venga sospettata di avere lo scopo esclusivo di aggredire l’umanità. Al di là dei corsi e ricorsi della storia umana esistono ragioni riconducibili alla specifica situazione odierna? • All’ampliamento virtuale delle possibilità di essere collegati in tempo reale con persone e luoghi estremamente lontani fa da contraltare il perimetro reale degli spazi dove trascorriamo, essenzialmente soli, gran parte della nostra vita. È questo un aspetto che accomuna, entro certi limiti, lo scienziato e il cittadino generico. • C’è però anche un divario crescente tra l’uso di prodotti ad alto contenuto tecnologico e livello di acculturazione scientifica. L’inadeguatezza più o meno consapevole, crea una sensazione di dipendenza e non di liberazione, di regresso e non di progresso nella nostra vita di tutti i giorni: il rapporto tra ambiente e persone pare assumere nuovamente connotati prescientifici difficilmente distinguibili da quelli genericamente antiscientifici. “Chi è troppo curioso delle cose del passato diventa, per lo più, molto ignorante di quelle presenti”? Si potrebbe rispondere alle parole di Cartesio con quelle che Bacone scrive nel suo Temporis partum masculum: E tuttavia perché tu possa farti una precisa idea del presente che, come un essere dai due volti, guarda insieme al passato e all’avvenire, ho stabilito di offrirti un quadro di tutte e due i tempi, quadro che abbraccerà non solo il corso e il progresso della scienza ma anche la previsione del futuro. La ricostruzione storica del progresso tecnico e scientifico è importante per capire il presente e per orientare il futuro. Ma è essenziale non perdere di vista la specificità che la rivoluzione scientifica ha introdotto nella conoscenza della natura. La natura sarebbe una funzione della civiltà. Le civiltà sarebbero l’ultima realtà a noi raggiungibile. Lo scetticismo della nostra ultima fase sarebbe storico. Ma perché la leva al tempo d’Archimede e i cunei nel paleolitico funzionavano esattamente come oggi? Perché perfino una scimmia è in grado di usare una leva o una pietra come se fosse a conoscenza della statica e della resistenza dei materiali, e una pantera di dedurre dalle orme la presenza della preda come se fosse a conoscenza della causalità? Ove non si voglia supporre che una civiltà comune leghi anche scimmie, uomini dell’età della pietra, Archimede e pantere, non resta proprio altro che supporre un regolatore comune situato al di fuori dei soggetti, un’esperienza obiettiva che sia quindi capace di ampliarsi e affinarsi, la possibilità di una conoscenza, una qualsivoglia concezione di verità, di progresso e di ascesa, in breve proprio quel miscuglio di fattori teoretici soggettivi ed oggettivi, la separazione dei quali costituisce il gravoso lavoro di cernita della teoria della conoscenza […] [Robert Musil, Spirito ed esperienza, osservazioni per i lettori scampati al tramonto dell’occidente] L’incalzare degli avanzamenti della scienza e della tecnica non catalizza soltanto atteggiamenti genericamente etichettati come irrazionalistici o antiscientifici, ma stimola anche una domanda di cultura scientifica. Rispondere a questa domanda vuol dire colmare quel divario, cui accennavamo sopra, tra l’uso di prodotti ad alto contenuto tecnologico e livello di acculturazione scientifica, e preparare i cittadini alle sfide che la scienza e la tecnica costantemente propongono, fornendo loro quel patrimonio di conoscenze che sole possono permettere una vera partecipazione attiva ai processi di trasformazione in atto. Una funzione di “alfabetizzazione scientifica” che la storia della scienza e della tecnica può certamente svolgere, ricostruendo gli itinerari che hanno portato la conoscenza della natura ai più alti livelli mai raggiunti. Bibliografia • Paolo Rossi, I filosofi e le macchine, Feltrinelli, Milano 2002. • Paolo Rossi, La rivoluzione scientifica da Copernico a Newton, Loescher, Torino 1999. • Enrico Bellone, La Stella Nuova. L’evoluzione e il caso Galilei, Einaudi, Torino 2003. • G. Peruzzi, Maxwell. Dai campi elettromagnetici ai costituenti ultimi della materia, “i grandi della scienza”, Le Scienze, n. 5, 1998. • AA.VV. (rapporto del Club di Roma), La rivoluzione microelettronica. Per il meglio e per il peggio, Mondadori, Milano 1982.