Dalla rivoluzione scientifica a quella elettronica

Padova, 13 marzo 2004
Master … patrimonio industriale
Dalla rivoluzione scientifica
alla rivoluzione elettronica
Il ruolo degli strumenti nella scienza moderna
Giulio Peruzzi
Facoltà di scienze matematiche fisiche e naturali
e Dipartimento di fisica - Università di Padova
La storia della scienza
La storia della scienza costituisce uno strumento prezioso per
capire il mondo in cui viviamo.
È la storia della scienza che, per usare le parole di Francesco
Bacone nel Temporis partum masculum, “quando tutti gli
accessi e, per così dire, gli ingressi di tutte le menti sono
come assediati e ostruiti dai più oscuri idoli che nelle menti
sono radicati profondamente e come impressi a fuoco”, può
permettere alla “luce genuina e originaria delle cose” di
“trovare uno spazio schietto e pulito nel quale rispecchiarsi”.
“Il presente - dice ancora Bacone poche pagine dopo - è un
essere bifronte, guarda insieme al passato e all’avvenire” per
farsene una precisa idea è quindi importante avere un quadro
di tutti e due i tempi, un quadro che abbracci “non solo il
corso e il progresso della scienza ma anche la previsione del
futuro”.
Ripercorrere la storia delle idee, delle pratiche scientifiche e
dei manufatti che sono alla base della nostra vita odierna è un
po’ come spostare indietro l’indice che segna il presente su un
ideale asse temporale e da questa nuova posizione osservare
il passato e il futuro non dal nostro punto di vista ma dal punto
di vista di coloro che a quell’epoca vivevano. Da questa
prospettiva ciò che oggi appare ovvio ridiventa oggetto di
difficile conquista nell’ambito dello sviluppo della conoscenza
scientifica del mondo, e lo spettro di possibilità, di aspettative e
di paure aperte dalle nuove teorie, dalle nuove scoperte e dai
nuovi strumenti ritrova la sua originaria ricchezza.
C’è però anche un’altra cruciale funzione della storia della
scienza: essa può contribuire a evidenziare e rafforzare quel
processo di "fertilizzazione incrociata" delle scienze, di cui
parlava Maxwell nella sua conferenza, dal titolo The telephone,
tenuta a Cambridge nel 1878. Cosa scriveva Maxwell?
Qualunque cosa possa essere detta circa l'importanza di mirare alla
profondità piuttosto che alla vastità nei nostri studi, e per quanto possa
essere forte nell'epoca presente la domanda di persone specializzate, ci sarà
sempre lavoro non solo per coloro che costruiscono scienze particolari e su
di esse scrivono monografie, ma anche per coloro che dischiudono le
comunicazioni tra gruppi diversi di costruttori in modo da facilitare una
salutare interazione tra questi.
E in un'università siamo particolarmente tenuti a riconoscere non solo l'unità
della scienza stessa, ma anche la comunione di coloro che lavorano nella
scienza. Siamo troppo inclini a supporre che siamo qui raccolti soltanto per
avere alla nostra portata certi strumenti di studio, come musei e laboratori,
biblioteche e seminari, cosicché ognuno di noi possa studiare ciò che
preferisce. Io suppongo che quando le api si affollano intorno ai fiori fanno
così perché sono interessate al miele, inconsapevoli del fatto che è il polline
che portano da un fiore all'altro che permette di rendere possibile una più
splendida fioritura e un più affaccendato affollarsi di api negli anni a venire.
Non possiamo perciò far niente di meglio che rendere ancora migliore il
tempo dello splendore (shining hour) operando in favore della
fertilizzazione incrociata della scienza.
• Cosa cambia nel rapporto tra teoria e
esperimento con la rivoluzione scientifica?
• Dalla rivoluzione scientifica alla rivoluzione
elettronica
• “Chi è troppo curioso delle cose del passato
diventa, per lo più, molto ignorante di quelle
presenti”?
Cosa cambia nel rapporto tra teoria e
esperimento con la rivoluzione scientifica?
Uno dei caratteri peculiari della rivoluzione scientifica del
Seicento è la saldatura tra scienza e tecnica che segnerà in
seguito l’intero sviluppo della conoscenza scientifica occidentale.
Sia Platone sia Aristotele avevano disprezzato l’arte meccanica e
il lavoro manuale, e l’assimilazione dell’opposizione tra schiavi e
liberi a quella tra tecnica e scienza - tra conoscenza rivolta alla
pratica e all’uso e conoscenza rivolta alla contemplazione della
verità - era andata consolidandosi nei secoli. Le sette arti liberali
(del trivio: grammatica, retorica e dialettica; e del quadrivio:
aritmetica, geometria, musica e astronomia) erano appunto
proprie degli uomini liberi, mentre quelle meccaniche e manuali
erano proprie dei non liberi o degli schiavi.
Un primo significativo cambiamento si ha nell’Italia del XV secolo
dall’incontro tra artisti e scienziati.
L’artista riceveva all’epoca una formazione polivalente che iniziava
nella bottega di un maestro dove apprendeva, prima di
specializzarsi, non solo la pittura e la scultura, ma anche
l’architettura e l’oreficeria.
In una sola persona,
spesso, si sovrapponevano
all’artista propriamente detto,
l’architetto, l’urbanista, l’esperto
di fortificazioni e di balistica.
Tra i nomi di questi versatili
artisti-tecnici: Brunelleschi,
Verrocchio, Mantegna,
Leonardo da Vinci, Dürer.
Argano centrale del cantiere brunelleschiano per la cupola del Duomo di
Firenze, a tre velocità
velocità e inversione di rotazione per lavorare a ciclo continuo
(disegno di Leonardo, Codice Atlantico,
Atlantico, 1420ca. - Da St.Sc.Treccani,
St.Sc.Treccani, IV, p.949)
Questo favorì progressivi
contatti tra artisti e studiosi, tra i
quali Paolo dal Pozzo
Toscanelli, Luca Pacioli,
Cardano, Tartaglia,
Regiomontano, che ne
utilizzarono spesso l’opera.
E non dimentichiamo che Leon
Battista Alberti nel De Pictura
dette per iscritto veste teorica alla
pratica prospettica del
Brunelleschi che influì fortemente
sull’opera di Masaccio, né
dimentichiamo che Piero della
Francesca nel suo De
prospectiva pingendi fornì ampio
materiale a Pacioli per il suo De
divina proporzione.
Jacopo de’
de’ Barbari (495ca.)(495ca.)- Fra’
Fra’ Luca Pacioli che disegna un
Diagramma Euclideo mentre osserva un icosaedro trasparente
assieme al suo protettore Guidobaldo da Montefeltro duca di
Urbino. (Da St.Sc.Treccani,
St.Sc.Treccani, IV, p. 987)
Da questi contatti nasce lentamente una nuova immagine
dello scienziato e una progressiva rivalutazione della
tecnica e dei manufatti come strumenti funzionali al
progresso della conoscenza.
Queste esperienze seminali del Quattrocento sono in parte
alla base della rivalutazione cinquecentesca delle arti
meccaniche e della difesa sempre più decisa della loro
dignità nell’ambito della cultura.
cultura
Solo alla luce di questa faticosa riaffermazione delle arti
meccaniche, acquista particolare significato l’atteggiamento
di Galilei, che nel 1609 punta verso il cielo il suo
cannocchiale: la fiducia in uno strumento nato negli
ambienti meccanici, disprezzato dalla scienza, funzionale
non a deformare ma a potenziare la vista, fonte di nuova
conoscenza contro l’assolutezza del guardare “naturale”
degli occhi umani.
A differenza delle dottrine che si rifacevano all’aristotelismo,
gli strumenti entravano da quel momento a pieno titolo nella
scienza.
La loro definitiva accettazione richiese un cammino non
facile, come dimostra per esempio il fatto che alla voce
mécanique il Dictionnaire français di Richelet riportava
ancora nel 1680 la definizione:
“il termine meccanico, in riferimento alle arti, significa ciò
che è contrario a liberale e onorevole: ha senso di basso,
villano, poco degno di una persona onesta”.
Ma è certo che oggi vediamo i segni di mondi lontani dalla
nostra scala di grandezza grazie all’uso di strumenti e al
solitario gesto di coraggio intellettuale che sanciva una
decisa rottura con abitudini millenarie.
Se pure c’è chi ha sostenuto una forte continuità tra Medioevo e
Rivoluzione scientifica, ci sono buone ragioni per avvalorare
l’opposta tesi di una forte discontinuità tra la tradizione scientifica
medievale e la scienza moderna:
1. La natura dei moderni è diversa da quella dei medievali: in
essa non si dà distinzione di essenza tra corpi naturali e corpi
artificiali.
“Sulle cose naturali - scrive Gassendi - indaghiamo allo stesso
modo con cui indaghiamo sulle cose delle quali siamo noi stessi
gli autori. Nelle cose della natura in cui ciò è possibile, facciamo
uso dell’anatomia, della chimica e di aiuti di ogni genere in modo
da capire, risolvendo per quanto possibile i corpi e come
scomponendoli, di quali elementi e secondo quali criteri essi sono
composti”.
Per Gassendi, come per Bacone e Cartesio, non si dà distinzione
di essenza tra ciò che è artificiale e ciò che è naturale. Da qui il
criterio del conoscere come fare o dell’identità tra conoscere e
costruire.
2. La natura dei moderni viene interrogata in condizioni “artificiali”:
mentre l’esperienza degli aristotelici è tratta dal mondo della
quotidianità, quella dei moderni deriva dagli esperimenti
“artificialmente” costruiti.
3. Metafora del sapere dei moderni è l’esplorazione di nuovi
continenti, mentre il sapere dei medievali è l’approfondimento
dei problemi sulla base di regole codificate “in libris”.
E qual cosa è più vergognosa che il sentir nelle pubbliche dispute,
mentre si tratta di conclusioni dimostrabili, uscir un di traverso con
un testo, e bene scritto in ogni altro proposito, e con esso serrar la
bocca all’avversario? Ma quando pure voi vogliate continuare in
questo modo di studiare, deponete il nome di filosofi, e chiamatevi
istorici o dottori di memoria; ché non conviene che quelli che non
filosofano mai, si usurpino l’onorato titolo di filosofi…
Signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni,
vostre o di Aristotile, e non con testi e nude autorità, perché i
discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non
sopra un mondo di carta.
Galileo respinge decisamente la separazione dei compiti
nell’ambito della conoscenza, senza però mettere in dubbio
l’esigenza della riflessione filosofica:
“Non vi pigliate già pensiero del cielo né della Terra, né temiate la
lor sovversione, come né anco della filosofia… La filosofia
medesima non può se non ricevere benefizio dalle nostre dispute,
perché se i nostri pensieri saranno veri, nuovi acquisti si saranno
fatti, se falsi, col ributtargli, maggiormente verranno confermate le
prime dottrine. Pigliatevi più tosto pensiero di alcuni filosofi, vedete
di aiutargli e sostenergli, che quanto alla scienza stessa ella non
può se non avanzarsi.” (Dialogo, Einaudi p. 47)
Sono qui enucleati due temi fondamentali:
– la conoscenza filosofica non è vuota, ma può trarre vantaggio
dalle dispute nella scienza, nell’ambito della quale si può
stabilire se un pensiero è verificabile o falsificabile;
– la conoscenza scientifica inevitabilmente progredisce.
Nuovi strumenti e il congiungimento delle “sensate
esperienze” con le “certe dimostrazioni” sono
all’origine dell’esplorazione di nuovi “continenti”.
• Il cannocchiale (ca. 1608)
• Il microscopio (ca. 1610)
• Il barometro (Torricelli 1644, Gasparo Berti
1639<?<1644)
Galileo, Sidereus
Nuncius,
stampato a
Venezia nel
marzo del 1610
e dedicato a
Cosimo II de’
Medici, esercitò
sulla cultura
scientifica del
Seicento una
profonda
influenza.
Esso conteneva tre
fondamentali insiemi di
scoperte.
• Il primo riguardava la
superficie della Luna.
• Il secondo il fatto che
costellazioni note
(come quella di Orione)
non erano
rappresentate dalle
consuete figure, ma
popolate da miriadi di
stelle.
• Il terzo era la
scoperta delle lune di
Giove.
Il primo riguardava la superficie della Luna :
Essa non si presenta affatto “levigata, uniforme
ed esattamente sferica, come un gran numero di
filosofi credette di essa, ma ineguale, scabra e
con molte cavità e sporgenze, non diversamente
dalla faccia della Terra, variata da catene di
monti e profonde valli.”
I disegni che accompagnavano il Sidereus
Nuncius erano in quegli anni sconvolgenti: la
Luna, come corpo celeste, era infatti vista come
corpo perfetto. Inoltre Galileo faceva notare che
la Terra avrebbe offerto un analogo spettacolo a
chi l’avesse osservata da lontano, “illuminata dal
Sole”.
Annunciava poi che in un prossimo trattato, De
sistemate mundi, avrebbe provato la falsità del
punto di vista secondo cui la Terra avrebbe
dovuto essere esclusa dal “novero degli astri
erranti”.
Nel Sidereus Nuncius erano esposti però fatti ben più sconcertanti:
– Innanzi tutto viene stabilita una netta differenza tra pianeti e stelle.
I pianeti “presentano i loro
globi esattamente rotondi e
definiti e, come piccole lune
luminose perfuse ovunque
di luce, appaiono circolari”.
Le stelle “si mostrano di uguale figura
all’occhio nudo e viste al connocchiale” .
Ma c’è di più: visto con il nuovo strumento
il cielo appariva di colpo affollato da “un
gran numero” di stelle “invisibili alla vista
naturale”.
Con il nuovo strumento si vedevano costellazioni note (come quella di
Orione) non più rappresentate dalle consuete figure, ma popolate da
miriadi di stelle (nel limite stretto di uno o due gradi apparivano più di 500
nuove stelle nella costellazione di Orione).
Orione
Le Pleiadi
Le due
nebulose:
quella della
Testa di
Orione e
quella del
Presepe
Accanto alle stelle visibili
quindi esisteva una miriade
di stelle “invisibili”.
A questa seconda novità
astronomica, se ne
aggiungeva una terza: la
Via Lattea e le Nebulose,
che a occhio nudo
apparivano come “un
candore latteo come di
nube biancheggiante”,
erano in realtà stupefacenti
ammassi di stelle. Una
conclusione che Galileo
corroborava con le
osservazioni della Testa di
Orione e della Nebulosa del
Presepe.
Ma “il più importante” fatto del
libro era costituito da ciò che
Galileo aveva osservato, giorno
dopo giorno, attorno a Giove.
Queste osservazioni vengono
narrate, in forma di diario, da
Galileo ad iniziare dal 7 gennaio
1610. Inizialmente pensa al
moto apparente di Giove rispetto
a stelle fisse. Ma il calcolo di
questo moto era possibile, e lo
convince che mai Giove avrebbe
potuto di giorno in giorno
compiere quel tipo di moto:
“Stabilii dunque e conclusi fuor di
ogni dubbio che in cielo v’erano
stelle vaganti attorno a Giove,
come Venere e Mercurio attorno
al Sole”.
La sorprendente precisione delle misure di Galileo è ben esemplificata dalla seguente tabella:
Satellite
I
II
III
IV
Galileo (1612)
1 giorno e 18,5 ore
3 giorni e 13,3 ore
7 giorni e 4 ore
16 giorni e circa 18 ore
Encyclopaedia Brit. (1910)
1 giorno e 18,48 ore
3 giorni e 13,5 ore
7 giorni e 4 ore
16 giorni e circa 18 ore
Il sistema di Copernico era stato oggetto di molte critiche e non poteva
ancora disporre di una teoria fisica su cui fondarsi. Tra le varie perplessità
che esso aveva sollevato vi era quella relativa al supposto trascinamento
della Luna nel moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole. A Conclusione
del Sidereus Galileo affermava: “Ora non abbiamo un solo pianeta che
gira intorno ad un altro, mentre entrambi percorrono la grande orbita
intorno al Sole, ma il senso ci mostra quattro stelle erranti intorno a
Giove, così come la Luna attorno alla Terra, mentre tutte insieme con
Giove, con periodo di dodici anni si volgono in ampia orbita intorno al
Sole”.
Accanto a coloro che riconoscevano il valore scientifico delle nuove scoperte
si levarono “infiniti contradditori e oppositori contro alle mie osservazioni”
(lettera a Sarpi): alcuni “forzati dalla verità” si convertirono alle nuove
evidenze, ma molti dei “filosofi in libris” mantennero un atteggiamento ostile.
“Al presente non provo altri contrari che i Peripatetici, più parziali di Aristotele
che egli medesimo non sarebbe, e sopra agli altri quelli di Padova, sopra i
quali io veramente non spero vittoria” scrive sempre al Sarpi. E a Castelli:
“Dell’avanzarsi nell’opinione popolare, o del guadagnarsi l’assenso dei filosofi
“in libris”, lasciamone il desiderio e la speranza”.
Ma se le opinioni del “volgo” non hanno gran peso, quelle dei filosofi in libris
ne hanno, e affidarsi ai principi o ai granduchi è rischioso: anche se sensibili
all’adulazione e interessati alle nuove scoperte scientifiche, essi sono sempre
attenti anche ai rapporti di forza.
Nuovi strumenti e il congiungimento delle “sensate
esperienze” con le “certe dimostrazioni” sono
all’origine dell’esplorazione di nuovi “continenti”.
• Il cannocchiale (ca. 1608)
• Il microscopio (ca. 1610)
• Il barometro (Torricelli 1644, Gasparo Berti
1639<?<1644)
Gli abitanti della Nuova
Atlantide di Bacone
(composta tra il 1614 e il
1617, pubblicata postuma
nel 1626) possiedono “aiuti
per la vista migliori delle
lenti e degli occhiali” per
“vedere distintamente e
perfettamente i corpi più
minuti ... altrimenti
invisibili”.
L’uso del microscopio
(Galileo 1610?) apriva
all’occhio umano un altro
“nuovo mondo”, sfuggito
fino ad allora
all’osservazione dei sensi e
pieno di “meravigliose”
strutture e forme di vita.
Nel Seicento l’uso del
microscopio come
strumento scientifico si
afferma grazie
principalmente ai lavori di:
1) Marcello Malpighi (16281694) - De pulmonibus
(1661).
2) Robert Hooke (16351703) - Micrographia
(1665).
3) Jan Swammerdam
(1637-1680)
4) Antoni van
Leeuwenhoek (16321673).
Nuovi strumenti e il congiungimento delle “sensate
esperienze” con le “certe dimostrazioni” sono
all’origine dell’esplorazione di nuovi “continenti”.
• Il cannocchiale (ca. 1608)
• Il microscopio (ca. 1610)
• Il barometro (Torricelli 1644, Gasparo Berti
1639<?<1644)
Le accennai già, che si stava facendo non so che esperienza
filosofica intorno al vacuo, non per far semplicemente il vacuo, ma
per far uno strumento, che mostrasse le mutazioni dell’aria, ora più
grave e grossa, ed or più leggera e sottile. Molti hanno detto, che il
vacuo non si dia, altri che si dia, ma con repugnanza della Natura, e
con fatica; non so già, che alcuno abbia detto, che si dia senza
fatica, e senza resistenza della Natura. Io discorreva così: se
trovassi una causa manifestissima dalla quale derivi quella
resistenza, che si sente nel voler fare il vacuo, indarno mi pare si
cercherebbe di attribuire al vacuo quella operazione, che deriva
apertamente da altra cagione, anzi che facendo certi calculi
facilissimi, io trovo, che la causa da me addotta (cioè il peso
dell’aria), doverebbe per sé sola far maggior contrasto, che ella non
fa nel tentarsi il vacuo. Dico ciò perché qualche Filosofo vedendo di
non poter fuggire questa confessione, che la gravità dell’aria cagioni
la repugnanza, che si sente nel fare il vacuo, non dicesse di
concedere l’operazione del peso aereo ma persistesse
nell’asseverare, che anche la Natura concorre a repugnare al vacuo.
Noi viviamo sommersi nel fondo d’un pelago d’aria elementare, la
quale per esperienze indubitate si sa che pesa […].
La lettera di Torricelli (1608-1647;
1644) a Michelangelo Ricci offre un
chiaro esempio di come si istituisce di
fatto la saldatura fra costruzione di
macchine e strumenti e l’emergere di
fondamentali questioni teoriche.
In quella lettera Torricelli spiega che
la sua “esperienza filosofica” è diretta
sia alla costruzione di uno strumento
per misurare la pressione dell’aria sia
alla fabbricazione del vuoto.
L’esperienza (1644) mostrava che
l’argento vivo (il mercurio) risaliva il
tubo non perché attratto dal vuoto, ma
perché spinto dalla pressione esterna
dell’aria. L’accettazione dell’idea della
pressione dell’aria sarà relativamente
veloce, non altrettanto quella
dell’esistenza del vuoto (il dibattito tra
vacuisti e plenisti si protrarrà per vari
decenni).
4. I moderni criticano il sapere scolastico in quanto non in
grado di interrogare la natura, ma solo sé stesso fornendo
sempre risposte soddisfacenti: in esso c’è posto solo per il
maestro e il discepolo, ma non per l’inventore.
5. I moderni operano con disinvoltura e opportunismo
metodologico sconosciuti alla tradizione medievale. Ciò
che conta non è la pretesa all’assoluta esattezza, ma
l’invenzione di sistemi di misurazione sempre più accurati
che spostano l’attenzione dalla precisione ideale a quella
necessaria in relazione agli scopi e agli strumenti
disponibili.
Le invenzioni, grazie al nuovo sapere tecnico e scientifico,
permettono lo sviluppo dell’umanità: la volontà umana di
dominio sulla natura può trasformare l’ambiente in cui l’uomo
vive. Francesco Bacone, riflettendo sull’importanza cruciale
che le nuove invenzioni giocano ne evidenziava acutamente
alcuni caratteri: la casualità, il loro fondarsi sulla scoperta di
nuove proprietà delle cose o sulla semplice combinazione di
proprietà delle cose già note.
“Il caso infatti – scriveva Bacone – in concomitanza con circostanze
naturali favorevoli, ha dato origine a molte scoperte. Nella scoperta
del fuoco, per esempio, il Prometeo della Nuova India differisce dal
Prometeo europeo perché non ha abbondanza di selce.”
Ed elencando le invenzioni che avevano cambiato l’umanità,
distingueva tra quelle che, come “la polvere da sparo, il filo di seta, la
bussola, lo zucchero, il vetro e simili”, sono fondate su proprietà delle
cose, e quelle che, come “l’arte della stampa”, non implicano “nulla
che non sia chiaro e quasi ovvio e che non derivi dalla combinazione
di cose già note.” E concludeva dicendo: “Nel processo
dell’invenzione, invero, la mente umana appare superficiale e inetta:
prima dispera di sé e poi si disprezza; prima ritiene incredibile che
una certa invenzione possa essere realizzata ma, dopo averla
realizzata, ritiene incredibile che non sia stata realizzata molto tempo
prima. Ma proprio questo fatto fa sperare che resti ancora un gran
numero di invenzioni che possano essere ricavate non solo da
operazioni sconosciute, ma anche dal trasferimento e
dall’applicazione di operazioni già note.” [Cogitata et Visa, 1607-1609]
Gli strumenti scientifici presenti nel mondo antico e medievale (bilancia,
compasso, astrolabio, orologi meccanici, ecc.) erano il risultato di un lento
processo di perfezionamento; con gli inizi del Seicento si assiste a
un’improvvisa fase di invenzione che nel giro di un secolo cambia
profondamente l’immagine della scienza e il suo rapporto con la società.
• Si afferma l’importanza sociale della scienza e degli scienziati: i fini della
scienza sono informati al progresso e al rinnovamento delle condizioni di
vita dell’umanità.
• È necessaria una collaborazione tra ricercatori, non casuale, ma
pianificata, organizzata, istituzionalizzata (esperimenti in concerto).
• Si rifiuta di pensare al mondo come immagine vivente di Dio: non ci
sono corrispondenze segrete tra uomo e natura, l’universo non è luogo di
simboli corrispondenti ad archetipi divini, l’impresa scientifica non si
configura come un’esperienza mistica non comunicabile.
Non il sapiente-sacerdote, né il genio del singolo sono paradigmatici della
figura dello scienziato: ma la comunicazione e il lavoro di un gruppo nel
quale conta la divisione del lavoro, il coordinamento e l’interrelazione.
Dalla rivoluzione scientifica alla rivoluzione elettronica:
continuità o discontinuità?
Le osservazioni baconiane continuano a valere anche negli sviluppi
successivi. Il caso, la scoperta di nuove proprietà delle cose o la
combinazione di proprietà delle cose già note operano di concerto,
nel corso del Settecento, ampliando progressivamente l’influenza
della scienza e della tecnica sulla vita sociale, politica e culturale di
larga parte dell’umanità.
Non c’è quindi da stupirsi di trovare nell’introduzione di un libro del
1824, dal titolo Riflessioni sulla potenza motrice del fuoco,
affermazioni del tipo: “Lo studio di queste macchine è di estremo
interesse, la loro importanza immensa, il loro impiego in continua
crescita. Esse sembrano destinate a produrre una grande
rivoluzione nel mondo civile”; alle quali segue una descrizione che
evidenzia l’enorme contributo che le macchine termiche stanno
dando e daranno al progresso dell’umanità.
Soffermiamoci sui fondamentali passi che segnano la nascita della
rivoluzione elettronica e riassumiamole con una breve cronologia, che
traccia gli sviluppi paralleli di elettricità e pneumatica:
¾ 1600, De magnete di Gilbert
¾ 1644, la scoperta di Torricelli
¾ 1654, Otto von Guericke inventa la prima pompa pneumatica, sviluppata in
seguito (1659) da Boyle e Hooke, e da Hauksbee (1703)
¾ Inizio dello studio dei “bagliori” nel vuoto (1676, Jean Picard; 1700, Johann
Bernoulli, dal 1703, Hauksbee)
¾ Prime proprietà dell’elettricità (Stephen Gray, 1729) e scoperta di due tipi di
carica elettrica (Charles Dufay, 1733)
¾ La bottiglia di Leida, 1745 (von Kleist e Peter van Musschenbroek)
¾ Prime leggi dell’elettrostatica e della magnetostatica (Cavendish e Coulomb, dal
1771 al 1889)
¾ La pila di Volta (1800) e le esperienze di Oersted (1820) e Ampère (1820)
¾ L’induzione elettromagnetica, Faraday, 1831
¾ Generatori a induzione (dal 1832, Antoine Pixii) e bobine a induzione (dagli
anni 1830, perfezionati da Ruhmkorff negli anni 1850)
¾ Tubi di Geissler, 1857
¾ Le leggi del campo elettromagnetico, Clerk Maxwell, 1864
¾ La scoperta dei raggi X (1895), della radioattività (1896) e dell’elettrone (1897)
Sono queste ultime scoperte che danno il via agli sviluppi della fisica del
XX secolo (Relatività e Meccanica Quantistica) e alla rivoluzione
elettronica.
Discontinuità nei quadri interpretativi:
• Incrinature sempre più evidenti nel corso dell’Ottocento nella
pretesa di universalità della cosiddetta meccanica classica (quella di
Galilei e Newton).
• In particolare si andranno affermando esigenze di un ripensamento
di nozioni fondamentali come quelle di spazio, tempo e oggetto
fisico.
• L’elettromagnetismo di Maxwell porterà naturalmente alla
definizione di una nuova costante universale (la velocità della luce)
e alla necessità di superare il principio di relatività galileiano (e
quindi lo spazio-tempo della meccanica classica), e non è un caso
che la memoria di Einstein del 1905 che contiene la teoria della
relatività ristretta si intitoli “elettrodinamica dei corpi in movimento”.
• L’avvento della meccanica quantistica introdurrà ulteriori novità,
portando a un profondo mutamento del significato di causalità in
fisica e dei caratteri dell’oggetto fisico.
Spaziotempo in relatività generale
Onda?
O particella?
La meccanica quantistica in realtà ci insegna che l’alternativa
classica, onda o particella, non è ben posta: un elettrone può
comportarsi come un’onda o come una particella a seconda del
tipo di dispositivo sperimentale che viene utilizzato. Il “fenomeno”
è un complesso di cui fa parte il sistema fisico da osservare e lo
strumento di misura.
L’ampia diffusione dei prodotti della tecnica e il loro uso quotidiano sembra
renderli oggi ovvii e scontati, tanto da ingenerare in molti la sensazione che
siano esistiti da sempre. Giusto per fare qualche esempio: come
immaginare le strade e le case senza luce elettrica? o gli spostamenti
senza navi a motore, treni, automobili, aerei? o le comunicazioni senza
telefoni, radio, televisione? Eppure ancora nei primi decenni dell’Ottocento
tutto questo era di là da venire.
La velocità con cui i manufatti
tecnologicamente sempre più
sofisticati sono diventati parte
della nostra vita quotidiana è
notevolmente aumentata con
quella che un noto rapporto del
“Club di Roma” chiamava la
“rivoluzione microelettronica”
(aggiungendo nel sottotitolo “per
il meglio e per il peggio”). Basti
pensare che il primo Universal
Automatic Computer (UNIVAC)
veniva terminato solo nel 1951 e
prodotto in “ben sette esemplari”.
La rapida mutazione del nostro ambiente di vita (del nostro e
di quello di una parte sempre più larga dell’umanità) si
manifesta in una serie di atteggiamenti contraddittori, non
infrequenti in epoche passate della storia umana ma assai
accentuati ai giorni nostri.
Come osserva Paolo Rossi, molti (in particolare gli
adolescenti) “fanno un uso continuo e quotidiano di macchine
della più varia specie e natura e insieme detestano tutto ciò
che è artificiale, odiano l’industria, la chimica, la tecnologia, la
modernità”.
Si può dire che nel mutuo scambio tra fedi progressiste e
angosce apocalittiche sembra che quanti più vantaggi la
scienza porta alla vita dell’uomo, tanto più essa venga
sospettata di avere lo scopo esclusivo di aggredire l’umanità.
Al di là dei corsi e ricorsi della storia umana esistono ragioni
riconducibili alla specifica situazione odierna?
• All’ampliamento virtuale delle possibilità di essere collegati in
tempo reale con persone e luoghi estremamente lontani fa da
contraltare il perimetro reale degli spazi dove trascorriamo,
essenzialmente soli, gran parte della nostra vita. È questo un
aspetto che accomuna, entro certi limiti, lo scienziato e il cittadino
generico.
• C’è però anche un divario crescente tra l’uso di prodotti ad alto
contenuto tecnologico e livello di acculturazione scientifica.
L’inadeguatezza più o meno consapevole, crea una sensazione di
dipendenza e non di liberazione, di regresso e non di progresso
nella nostra vita di tutti i giorni: il rapporto tra ambiente e persone
pare assumere nuovamente connotati prescientifici difficilmente
distinguibili da quelli genericamente antiscientifici.
“Chi è troppo curioso delle cose del passato diventa, per lo
più, molto ignorante di quelle presenti”?
Si potrebbe rispondere alle parole di Cartesio con quelle che
Bacone scrive nel suo Temporis partum masculum:
E tuttavia perché tu possa farti una precisa idea del presente che,
come un essere dai due volti, guarda insieme al passato e
all’avvenire, ho stabilito di offrirti un quadro di tutte e due i tempi,
quadro che abbraccerà non solo il corso e il progresso della
scienza ma anche la previsione del futuro.
La ricostruzione storica del progresso tecnico e scientifico è
importante per capire il presente e per orientare il futuro. Ma è
essenziale non perdere di vista la specificità che la rivoluzione
scientifica ha introdotto nella conoscenza della natura.
La natura sarebbe una funzione della civiltà. Le civiltà sarebbero
l’ultima realtà a noi raggiungibile. Lo scetticismo della nostra ultima
fase sarebbe storico. Ma perché la leva al tempo d’Archimede e i
cunei nel paleolitico funzionavano esattamente come oggi? Perché
perfino una scimmia è in grado di usare una leva o una pietra come se
fosse a conoscenza della statica e della resistenza dei materiali, e una
pantera di dedurre dalle orme la presenza della preda come se fosse
a conoscenza della causalità? Ove non si voglia supporre che una
civiltà comune leghi anche scimmie, uomini dell’età della pietra,
Archimede e pantere, non resta proprio altro che supporre un
regolatore comune situato al di fuori dei soggetti, un’esperienza
obiettiva che sia quindi capace di ampliarsi e affinarsi, la possibilità di
una conoscenza, una qualsivoglia concezione di verità, di progresso e
di ascesa, in breve proprio quel miscuglio di fattori teoretici soggettivi
ed oggettivi, la separazione dei quali costituisce il gravoso lavoro di
cernita della teoria della conoscenza […]
[Robert Musil, Spirito ed esperienza, osservazioni per i lettori scampati al tramonto
dell’occidente]
L’incalzare degli avanzamenti della scienza e della tecnica non
catalizza soltanto atteggiamenti genericamente etichettati come
irrazionalistici o antiscientifici, ma stimola anche una domanda di
cultura scientifica.
Rispondere a questa domanda vuol dire colmare quel divario, cui
accennavamo sopra, tra l’uso di prodotti ad alto contenuto
tecnologico e livello di acculturazione scientifica, e preparare i
cittadini alle sfide che la scienza e la tecnica costantemente
propongono, fornendo loro quel patrimonio di conoscenze che sole
possono permettere una vera partecipazione attiva ai processi di
trasformazione in atto.
Una funzione di “alfabetizzazione scientifica” che la storia della
scienza e della tecnica può certamente svolgere, ricostruendo gli
itinerari che hanno portato la conoscenza della natura ai più alti
livelli mai raggiunti.
Bibliografia
• Paolo Rossi, I filosofi e le macchine, Feltrinelli, Milano 2002.
• Paolo Rossi, La rivoluzione scientifica da Copernico a Newton,
Loescher, Torino 1999.
• Enrico Bellone, La Stella Nuova. L’evoluzione e il caso Galilei,
Einaudi, Torino 2003.
• G. Peruzzi, Maxwell. Dai campi elettromagnetici ai costituenti
ultimi della materia, “i grandi della scienza”, Le Scienze, n. 5,
1998.
• AA.VV. (rapporto del Club di Roma), La rivoluzione
microelettronica. Per il meglio e per il peggio, Mondadori, Milano
1982.