ISSN 2039-6503 OSSERVATORIO NAZIONALE SUL DIRITTO DI FAMIGLIA n. 4 - ottobre-dicembre 2012 Anno V - n. 4 - ottobre-novembre 2012 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB Roma Avvocatidifamiglia L’unificazione dello stato giuridico dei figli Giusto processo e tutela del minore Il futuro della mediazione civile Avvocatidifamiglia OSSERVATORIO NAZIONALE SUL DIRITTO DI FAMIGLIA LA PROFESSIONE FORENSE NEL DIRITTO DI FAMIGLIA IN ITALIA Avvocati di famiglia Periodico dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia Nuova serie, anno V, n. 4 - ottobre-dicembre 2012 Autorizzazione del tribunale di Roma n. 98 del 4 marzo 1996 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB Roma Amministrazione Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia Centro studi giuridici sulla persona Via Nomentana, 257 - 00161 Roma Tel. 06.44242164 Fax 06.44236900 ([email protected]) Direttore responsabile avv. Gianfranco Dosi ([email protected]) Comitato esecutivo dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia avv. Gianfranco Dosi (Roma) avv. Maria Giulia Albiero (Messina) avv. Germana Bertoli (Torino) avv. Matilde Giammarco (Chieti) avv. Corrado Rosina (Barcellona Pozzo di Gotto) avv. Ivana Terracciano Scognamiglio (Napoli) Redazione Maria Giulia Albiero, Germana Bertoli, Claudio Cecchella, Maria Stella Ciarletta, Emanuela Comand, Gianfranco Dosi, Matilde Giammarco, Michela Labriola, Claudia Romanelli, Francesca Salvia, Gioia Sambuco, Giancarlo Savi Coordinamento redazionale avv. Maria Limongi Impaginazione e Stampa EUROLIT S.r.l. 00133 Roma - Via Bitetto, 39 - Tel. 06.2015137 ([email protected]) SOMMARIO Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 Sommario Editoriale Per un manifesto dell’Osservatorio a dieci anni dalla sua fondazione 2 (Gianfranco Dosi) Studi e ricerche Il giusto processo a tutela degli interessi del minore. Le prassi virtuose e l’efficienza del giudice 3 (Rita Russo) Riforme Filiazione legittima e naturale: criticità e problematiche. La successione ereditaria dei figli naturali 5 (Emanuela Comand) La camera ha approvato la legge di unificazione dello stato giuridico dei figli. Ora tutti i figli sono uguali 12 (Gianfranco Dosi) La legge di riforma sull’unificazione dello stato giuridico dei figli 14 Giurisprudenza Diritto ad ottenere la copia della denuncia dei redditi del convivente more uxorio del coniuge separato. Rapporto tra diritto di accesso agli atti della Pubblica Amministrazione e diritto alla riservatezza dei terzi 22 (C.d.S., Sez. IV, 20 settembre 2012, n. 5047) Il punto di vista (Gianluca Vecchio) 24 Cassazione La mancata audizione del minore nel giudizio di adottabilità è deducibile come motivo di nullità ma non per violazione del contraddittorio 25 (Cass. civ. Sez. I, 27 gennaio 2012, n. 1251) Il punto di vista (Francesca Salvia) 26 Le indagini tributarie ex officio in mancanza di una contestazione specifica sul reddi dell’onerato e la modifica dell'entità dell'assegno di mantenimento in caso di costituzione una nuova famiglia 29 (Cass. civ. Sez. I, 22 marzo 2012, n. 4551) Il punto di vista (Michela Labriola) 31 Per il divorzio a domanda congiunta è obbligatorio il patrocinio del difensore 33 (Cass. civ. Sez. I, 7 dicembre 2011, n. 26365) Il punto di vista (Giancarlo Savi) 34 Mediazione e Conciliazione Il futuro della mediazione civile dopo l’intervento della Corte Costituzionale 52 (Matilde Giammarco) Pari Opportunità Dalle quote di genere alla parità di rappresentanza 55 (Claudia Romanelli) Documenti Documento psicoforense sugli ostacoli al diritto alla bigenitorialità e sul loro superamento 58 In libreria I doveri coniugali e la loro violazione - L’addebito e il risarcimento del danno 60 (Gabriella Contiero) Il bilancio spiegato ai giuristi 60 (Autori Vari) Il diritto al nome 61 (Maria Rita Mottola) Il ruolo del Notaio nel divorzio europeo. Aspetti personali e patrimoniali. Patti prematrimoniali 62 (Monica Velletti - Emanuele Calò) L’autonomia negoziale dei coniugi nella crisi matrimoniale 63 (Vincenza Barbalucca - Patrizia Gallucci) I trusts nel diritto di famiglia 63 (Salvatore Leuzzi) ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 1 EDITORIALE Per un manifesto dell’Osservatorio a dieci anni dalla sua fondazione Quello che ho detto al XXXI Congresso Nazionale Forense di Bari del 22-24 novembre 2012 Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, a dieci anni dalla sua fondazione e a due anni dall’accreditamento come associazione forense maggiormente rappresentativa a livello nazionale, esprime la propria soddisfazione per il raggiunto livello di diffusione sul territorio nazionale (78 sezioni territoriali e oltre 1.800 avvocati iscritti) e per l’adesione sempre alta da parte degli avvocati di ogni età - soprattutto dei più giovani - alle proprie iniziative di aggiornamento e di formazione, sempre accreditate dagli Ordini forensi. La circostanza che un’associazione riesca in questi tempi non certamente facili ad esprimere tanta entusiastica partecipazione ci impegna a proseguire su questa strada. L’Osservatorio intende avviare nei prossimi mesi una operazione di riordino e di sintesi dei temi più significativi che in questi anni abbiamo affrontato. Intendiamo cioè proporre alla riflessione dei colleghi che a qualsiasi titolo si occupano di diritto di famiglia (sia in via prevalente o esclusiva, sia come avvocati chiamati ad occuparsene occasionalmente) un manifesto dell’Osservatorio nel quale sintetizzare gli obiettivi condivisi del nostro impegno professionale. Sono quattro i temi che intendiamo indicare come più significativi. 1) Il primo concerne l’esigenza di un nuovo giudice della famiglia. La giurisdizione nel diritto di famiglia va affidata a sezioni specializzate diffuse sul territorio nei tribunali e non decentrate nelle sedi regionali degli attuali tribunali per i minorenni. Il tribunale per i minorenni - dove il contraddittorio è ancora largamente mortificato dal protagonismo del giudice e dove le udienze istruttorie sono spesso solo interminabili sedute di psicoterapia - ha esaurito le sue funzioni storiche e deve essere rimpiazzato da un giudice meno paternalista, più vicino territorialmente ai cittadini, capace di esprimere l’unitarietà dell’intervento giurisdizionale nella famiglia e soprattutto alti livelli di specializzazione, nel ri- L’ 2 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 spetto del principio di terzietà del giudice e nella ripresa da parte dei servizi sociali e terapeutici del loro ruolo di promozione sociale troppo facilmente fino ad oggi delegata al giudice minorile. 2) Ne consegue anche l’esigenza di un nuovo processo civile unitario nel diritto di famiglia. L’accesso alla giustizia e la gestione del processo devono essere unificati, semplificati e riadattati alle esigenze di urgenza, velocità, modificabilità e sicura attuabilità delle decisioni. C’è bisogno di una riscrittura delle regole processuali per far diventare il processo nel diritto di famiglia un luogo di moderna gestione dei conflitti familiari, capace di salvaguardare le peculiarità di questo settore. Abolire l’inutile fase presidenziale del processo di separazione, semplificare i procedimenti in cui la decisione non necessita di una istruttoria particolarmente complessa, salvaguardare le regole del contraddittorio, unificare le competenze, dare al giudice del merito poteri di attuazione dei provvedimenti. 3) Avvertiamo urgente la necessità che l’avvocatura riconsideri il suo ruolo nella gestione dei conflitti familiari con modalità che siano più aderenti alle esigenze di giustizia in questo settore. Le persone non vogliono cause lunghe ma provvedimenti giusti. Il che vuol dire chiedere agli avvocati un impegno di formazione e di aggiornamento nella prospettiva di funzioni nuove di regolazione dei conflitti, nuove funzioni e nuove competenze negoziali che possano assicurare soluzioni più adeguate rispetto a quelle tradizionali che il processo e la sentenza sono in grado di assicurare. Il che vuol dire introdurre nei percorsi di formazione il tema della negozialità e della contrattualità. Una funzione che l’avvocato familiarista avverte sempre più necessaria per la soluzione dei contrasti nell’ambito delle relazioni familiari. 4) Infine il tema della deontologia. Le regole deontologiche appaiono sempre più da sole insufficienti a garantire l’interesse dei nostri assistiti. Non è più sufficiente rispettare le norme deontologiche. La responsabilità sociale dell’avvocato rende necessario un impegno dei professionisti verso comportamenti etici orientati a salvaguardare anche il benessere delle persone e non soltanto gli obiettivi perseguiti nella causa. Da qui la necessità di definire anche codici etici di comportamento capaci di mettere sempre in primo piano il benessere e la salute delle persone, il rispetto per le loro relazioni familiari, la considerazione primaria per il benessere dei loro figli minori. È il tema centrale del rispetto dei diritti e della dignità di tutte le persone coinvolte in un procedimento. Questi sono gli obiettivi ai quali sta lavorando oggi l’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia. IL PRESIDENTE AVV. GIANFRANCO DOSI STUDI E RICERCHE Il giusto processo a tutela degli interessi del minore. Le prassi virtuose e l’efficienza del giudice RITA RUSSO (GIUDICE DEL TRIBUNALE ORDINARIO DI MESSINA) er molto tempo i processi di diritto di famiglia sono stati considerati di seconda scelta, portatori di questioni semplici e da decidere con soluzioni stereotipate. Ma soprattutto il processo era inteso, più o meno esplicitamente, come diretto a garantire soprattutto i diritti degli adulti: così se una certa rilevanza era riconosciuta ai processi di separazione e divorzio, in quanto vi si regolavano i diritti economici dei coniugi, poco o nulla ci si interessava del processo come momento di tutela degli interessi del minore, e la riprova è l’assenza, tuttora, nel nostro ordinamento, nonostante il disegno di legge 2805 abbia mostrato attenzione al problema, di un vero e proprio processo per le questioni che riguardano l’affidamento dei figli di genitori non coniugati. Da qualche tempo tuttavia si inizia a ragionare di giusto processo minorile e di applicazione di prassi virtuose anche nei processi che riguardano il minore, volte a garantire la tutela dei suoi diritti. Ragionare sulle prassi virtuose significa non solo individuarle, ma anche capire perchè alcune prassi oltre che condivise possono considerarsi virtuose. Senza pretesa di completezza, si può evidenziare che una prassi si qualifica virtuosa in primo luogo quando è conforme alla legge nazionale, alla Costituzione, alle norme europee e Convenzioni internazionali nonché alla interpretazione che di dette norme offrono la Corte di Cassazione, la Corte costituzionale, la Corte di Giustizia Europea e la CEDU (c.d. diritto vivente) ed un indice della sua conformità al sistema normativo è la condivisione e la diffusione sul territorio. La conformità al diritto vivente consente di utilizzare la prassi per rendere più efficiente ed efficace il lavoro del giudice: ciò in quanto la prassi, nella misura in cui refluisce prima nel procedimento e poi nel provvedimento giudiziario, non P solo facilita il lavoro del giudice ma consente di offrire un prodotto fruibile, cioè un provvedimento tendenzialmente stabile, motivato in maniera adeguata a resistere alle impugnazioni nonché idoneo a circolare nella spazio giuridico europeo. È vero anche che le prassi in quanto ragionate non sul caso concreto ma su un modello astratto che rappresenta quanto più possibile l’id quod plerumque accidit possono poi essere più o meno utilizzabili secondo quanto il nostro caso concreto si avvicina o si discosta dal modello astratto e che è possibile avere casi in cui non si possa fare applicazione di alcuna delle prassi virtuose individuabili mediante il lavoro di ricognizione e ricerca che di norma si concreta poi in protocolli condivisi. L’analisi del caso concreto e la motivazione adeguata alle peculiarità del caso sono quindi preminenti sulla applicazione di qualunque prassi, tanto più che in materia di processi che riguardano i minori la realizzazione dell’interesse del minore è il contenuto ed il limite del provvedimento giudiziale e la sua prevalenza (best interest) consente, previa una prudente operazione di bilanciamento, anche il sacrificio in tutto o in parte di altri interessi. Una prassi tuttavia è virtuosa non solo quando è conforme al diritto vivente e quindi utilizzabile in piena sicurezza (senza il rischio cioè di rendere il provvedimento non idoneo a vivere nello spazio giuridico nazionale ed europeo) ma anche quando è concretamente sostenibile allo stato dei mezzi organizzativi di cui disponiamo. In tal senso essa rappresenta lo sforzo di ottimizzare le risorse esistenti e di organizzarsi al meglio, tenendo conto dei limiti di queste risorse e senza rinunciare a richiedere che queste risorse vengano aumentate e potenziate. In materia di protezione del minore di età, e specificamente nei processi in cui una volta sorto il conflitto familiare questa protezione non può essere totalmente delegata ai genitori, le prassi sono virtuose se rispettano i suoi diritti e li attuano nel più breve tempo possibile. L’importanza del fattore tempo nelle decisioni che riguardano il minore è fondamentale ed è obbligo tanto del legislatore che del giudice adeguarsi, in questo settore, ai parametri europei. Si deve allora ricordare che in data 17 novembre 2010 sono state adottate da parte del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, delle Linee guida per una giustizia child-friendly (amichevole per il minore o a misura di minore)1 che impongono ai paesi membri di adeguare i loro sistemi giudiziari ai diritti, interessi ed esigenze specifiche dei minori, utilizzando le linee guida come “strumento di utilità pratica” con la dichiarata finalità di evitare la vittimizzazione secondaria dei minori da parte del sistema giudiziario. In altre parole si impone all’Italia, come a tutti gli altri paesi dove la giurisdizione è creata dagli adulti per le esigenze degli adulti, di rivedere la legislazione allo scopo di costituire spazi ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 3 STUDI E RICERCHE di friendly justice per i minori. In particolare si impone ai giudici una diligenza eccezionale nei family law cases per fornire una risposta rapida (speedy response) In quattro punti fondamentali sono esposti i precetti utili ad evitare ingiustificati ritardi2: applicare il principio della urgenza per fornire una risposta rapida, osservare una diligenza eccezionale al fine di evitare conseguenze negative sulle relazioni familiari, quando necessario prendere decisioni provvisorie sottoposte a controllo per un certo periodo di tempo e successivamente riesaminate, prendere decisioni immediatamente esecutive nei casi in cui ciò sia nell’interesse del minore. E si deve ancora ricordare che l’Italia non è nuova a subire condanne dalla CEDU per violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) anche per non avere osservato, in questa materia, una regola fondamentale: la tempestività dell’intervento giudiziale e degli ausiliari del giudice. Esemplificativa in questo senso la sentenza Piazzi contro Italia (2 novembre 2010). Con essa la Corte ha condannato lo Stato italiano perché i suoi giudici non avevano assicurato il diritto di visita paterno, in un caso in cui il minore, indotto dalla madre, rifiutava i contatti con il padre. Ciò nonostante la conferita delega ai servizi sociali di attuare degli interventi volti a questo fine, che tuttavia, come osserva la Corte, si erano risolti in misure stereotipate ed automatiche ed inoltre intempestive. La Corte EDU rivolge una pesante censura alle autorità nazionali le quali hanno lasciato che si consolidasse una situazione di fatto in violazione delle decisioni giudiziarie, sebbene il semplice trascorrere del tempo determinasse delle conseguenze sempre più gravi per il ricorrente, privato dei contatti con suo figlio. Viene messo in evidenza che il minore, al momento della sua audizione in tribunale, si trovava già da qualche tempo sotto l’influenza esclusiva della madre, in un ambiente ostile all’interessato e che oltre quattro anni erano trascorsi senza un solo contatto tra il ricorrente. L’importanza del “fattore tempo” che la Corte EDU mette in rilievo non per la prima volta nella sentenza Piazzi è importante e non solo nella 4 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 durata del processo ma anche nell’esecuzione: il presupposto è che la crescita di un minore e l’evolversi delle situazioni familiari pretendono l’assunzione e attuazione di provvedimenti celere e proporzionata. Provvedimenti astrattamente corretti, ma non attuati nei tempi necessari in relazione alla evoluzione delle esigenze di un minore, finiscono spesso per restare inutili proclami di buone intenzioni. Così nell’ambito di un processo di separazione dei genitori l’intempestività o l’inadeguatezza di regole certe e precise per il rapporto con il genitore non convivente, la ritardata o inadeguata (o in alcuni casi totalmente assente) esecuzione dei provvedimenti assunti, producono spesso il radicamento di sentimenti di disaffezione ed anche ripulsa contro il genitore non convivente, che possono nel tempo divenire irreparabili. Come appunto nel caso Piazzi, dove alla fine di una estenuante battaglia giudiziaria e di interventi previsti dai provvedimenti giudiziali ma non attuati, il figlio raggiunge l’età in cui non è più consentito alcun tentativo ed al padre non resta che la (magra) soddisfazione della condanna europea. Per questo è importante che i provvedimenti da assumere nell’interesse del minore siano tempestivi ed effettivamente eseguiti, ma anche che il processo assicuri, tanto ai figli legittimi che ai figli nati da genitori non coniugati, uno spazio a misura di minore, nel quale il minore in età di discernimento possa esprimere le proprie opinioni, ed una scansione processuale tale da imporre dei provvedimenti, anche provvisori e rivedibili, quanto più rapidi possibile. Note 1 Reperibili nel sito www.coe.int sezione Human Rights - Equality diversity and rights of vulnerable - Il termine friendly viene spiegato nell’ambito dello stesso documento con il riferimento ad un sistema giudiziario che deve garantire il rispetto e l’attuazione effettiva dei diritti del minore al più alto livello possibile (at the highest attainable level), l’accessibilità, la rapidità la diligenza ed il diritto di partecipare e comprendere il procedimento (to participate in and to understand the proceedings). 2 Si veda il testo del capo IV che così si esprime. RIFORME FILIAZIONE LEGITTIMA E NATURALE: CRITICITÀ E PROBLEMATICHE. LA SUCCESSIONE EREDITARIA DEI FIGLI NATURALI. AVV. EMANUELA COMAND, PRESIDENTE DELLA SEZIONE DI UDINE DELL’OSSERVATORIO (Intervento al Corso di diritto di famiglia, organizzato dalla sezione di Torino dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia il 27 aprile 2012) PREMESSA Riferimenti normativi escigno nella Relazione conclusiva al Convegno internazionale di Bioetica e tutela della persona umana “Accademia dei Lincei 4-5 dicembre del 1998” affermava che “è questa una delle materie in cui il giurista “quando è chiamato a fornire il proprio apporto è costretto a sottolineare la limitatezza del diritto, quella che è stata chiamata la sua “miseria”; una limitatezza di cui il diritto soffre in maniera quasi costituzionale e che l’interprete tenta di riscattare e compensare” (in Filiazione vol. II, diretto da Paolo Zatti ed. Giuffrè pag. 26). Benchè l’illustre autore si esprimesse così con riferimento alle problematiche aperte dalle nuove frontiere della bioetica, ci poniamo di fronte alle tematiche relative alla permanente discriminazione tra figli legittimi e naturali, con lo stesso sentimento di incertezza e inadeguatezza. Quando si parla di diritti, specialmente se si tratta di diritti negati o violati, è imprescindibile partire dalla lettura della Costituzione che a distanza di 60 anni rimane, il fondamento del nostro impianto normativo, sia che si lamenti la mancata applicazione dei suoi principi sia che in base ad essi, si cerchi di modificare le norme incompatibili con le esigenze della società attuale. Ricordiamo pertanto: - l’articolo 2 : “la repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali”. - l’articolo 3: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociale. - l’articolo 29: la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare. - l’articolo 30: è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio… la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. Altri riferimenti normativi che dobbiamo tener presente nel corso di questa disamina sono: l’art. 74 del codice civile (definizione di parentela), l’art. 147 del codice civile (doveri verso i figli) l’art. 155 e ss. Del codice civile c.c. (provvedimenti riguardo ai figli), l’art. 250 del codice civile (riconoscimento dei figli naturali), l’art. 258 del codice civile (effetti del riconoscimento), l’art. 261 del codice civile (diritti e doveri derivanti al genitore dal riconoscimento), l’art. 317 bis del codice civile (esercizio della potestà) l’art. 565 del codice civile (categoria di successibili) ed ovviamente l’art. 537 del codice civile (riserva a favore dei figli legittimi e naturali ovvero il diritto di commutazione). Non possiamo prescindere anche da alcuni precisi richiami alla legislazione europea ed alle convenzioni internazionali: - l’art. 21 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea esclude che possa operarsi qualunque discriminazione in base alla nascita. - l’articolo 8 della CEDU prevede che il concetto di famiglia prescinda dal matrimonio ed attribuisce valore ai legami di fatto particolarmente stretti e basati sulla convivenza. - l’articolo 14 sempre della CEDU afferma che “il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti… deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, origine nazionale o sociale, appartenenza ad una minoranza nazionale, ricchezza, nascita ed ogni altra condizione”. Non esiste una legislazione uniforme dei diritti della famiglia europea, ma la Commissione di diritto familiare europea si sta muovendo in tal senso. R ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 5 RIFORME Chiarito il contesto normativo all’interno del quale ci dobbiamo muovere, osserviamo che nonostante precisi richiami sovranazionali e numerosi interventi della Corte Costituzionale permane nel nostro ordinamento un sostanziale sfavore nei confronti della concreta equiparazione tra figli legittimi e naturali. La legge che ha determinato lo spartiacque tra una società fondata sulla legale discriminazione tra filiazione legittima e naturale è la legge di riforma sul diritto di famiglia del 1975, ma non possiamo non ricordare: la legge n. 184 del 1983 che ha rafforzato l’istituto dell’adozione legittimante ed irrevocabile con ciò modificando l’idea di una filiazione connessa solo alla procreazione ed ha ha introdotto il concetto del diritto del minore ad una famiglia; la legge n. 149 del 2001 che ha riconosciuto al minore la qualità di parte all’interno dei procedimenti civili minorili; la legge n. 40 del 2004 che ha reso legale il diritto alla procreazione medicalmente assistita; la legge n. 54 del 2006, anche come successivamente interpretata dalla giurisprudenza, che ha equiparato i criteri della disciplina della filiazione naturale e legittima, nel momento della crisi familiare. RIFLESSIONI INTRODUTTIVE Ogni tentativo indirizzato a riorganizzare la materia, senza un puntuale e complessivo intervento normativo, sembra destinato a non sortire l’effetto auspicato di eliminare alla radice qualunque discriminazione tra figli nati dentro e fuori dal matrimonio. Evoluzione nella ricerca per l’attribuzione della paternità e maternità naturale La nostra società era permeata da convenzioni sociali, etico-religiose che richiedevano evidentemente questo tipo di diversificazione. È opportuno evidenziare che la tutela ad oltranza della famiglia legittima prescinde dalla verità biologica della paternità e maternità; ciò che rileva è solo la verità legale contro, appunto, la verità biologica. L’articolo 231 del codice civile sancisce il principio di presunzione di paternità che non è solo -o comunque non è stato solo una peculiarità del nostro ordinamento-, ma si dice faccia parte del patrimonio culturale comune europeo. Che poi scelte di questo genere siano state determinate da convinzioni religiose, etiche o come invece appare più probabile, da esigenze di tutela del patrimonio familiare è sicuramente convinzione di molti interpreti. La filiazione nel nostro ordinamento è legata al concetto di matrimonio tra due persone di sesso diverso. Non esiste nel nostro ordinamento un collegamento automatico tra l’evento nascita e gli effetti giuridici ad essa collegati. L’articolo 261 del codice civile determina infatti, solo dopo il riconoscimento del figlio naturale, l’assunzione di tutti i doveri e diritti che il genitore ha nei confronti della figli legittimi. In altri stati europei (come ad esempio in Germania) nel momento in cui un bambino nasce “gli viene immediatamente attribuita la madre”. Nel nostro paese invece la madre può anche decidere di non essere mai menzionata ed ha tutte le tutele, anche sotto il profilo dell’anonimato permanente. Ciò che che identifica la condizione di un minore è o il fatto che nasca all’interno di un matrimonio, o che venga riconosciuto dai genitori naturali spontaneamente o a seguito di un accertamento giudiziale. Ma vi è di più: esiste anche una filiazione naturale non riconoscibile (cosiddetta incestuosa) a cui va il riconoscimento dei diritti ereditari e del mantenimento. Quando parliamo di filiazione naturale parliamo di varie condizioni o stati non sempre giuridicamente riconosciuti. Numerose sono le norme che operano un ‘ingiustificata discriminazione tra figli naturali e legittimi. Nella filiazione naturale lo status è collegato al riconoscimento e quindi alla volontà del o dei genitori, mentre nella filiazione legittima lo status è acquisito automaticamente al momento della nascita. Storicamente siamo partiti dal favor legitimitatis (è padre il marito della madre) per poi passare al favor veritatis (è riconosciuto il diritto dei genitori al riconoscimento di un figlio concepito anche al di fuori del matrimonio, ma rispettando i limiti di tutela della famiglia legittima), per poi attestarci a favore della certezza dello status (corrisponde all’interesse preminente del minore non solo il diritto alla conoscenza della provenienza biologica, ma anche la tutela della stabilità della sua condizione). Un discorso complesso attiene poi al riconoscimento del diritto alla fecondazione eterologa perchè si potrebbe addirittura affermare che si recupera in questo caso il favor legitimitatis dal momento che alla verità biologica preferiamo la “finzione” dell’attribuzione della paternità legittima. Ciò che può anche rilevare è che spesso ciò che si persegue è il vantaggio o il collegamento economico, più che la ricerca della verità. Si pensi alla norma contenuta nell’art. 279 del codice civile laddove si afferma che i figli incestuosi non hanno lo status di figli naturali, ma hanno diritto al mantenimento ed all’eredità (sentenza Tribunale di Torino del 26 febbraio 1992 in Dir.e Fam. 1992): 6 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 RIFORME Articolo 262 del codice civile: il figlio naturale acquista il cognome del genitore che lo riconosce per primo ed in caso di riconoscimento successivo sarà il Tribunale per i Minorenni a decidere circa l’assunzione del cognome del padre. In caso di filiazione legittima il cognome attribuito al nato è quello del padre. Articolo 299 del codice civile: la Corte costituzionale con sentenza dell’11 maggio 2001 n. 120 ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo nella parte in cui non prevede che, qualora sia figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori, l’adottato possa aggiungere al cognome dell’adottante anche quello originariamente attribuitogli: la precedenza del cognome dell’adottante rispetto a quello del riconoscimento postula la preferenza del rapporto adottivo rispetto a quello di sangue. Articolo 252 del codice civile: se il figlio naturale viene inserito nella famiglia legittima rileva solo il consenso del coniuge del genitore naturale, dei figli legittimi ultra sedicenni, ma nessuno richiede il consenso del figlio naturale. Inoltre la norma disciplina solo l’inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima e non viceversa: e il figlio naturale nella famiglia naturale? il figlio legittimo nella nuova famiglia legittima? Articolo 579 del codice civile: esclude dalla successione i figli legittimi del genitore naturale del de cuius. Articolo 538 del codice civile: esclude dalla successione dei legittimari gli ascendenti naturali. Articolo 544 del codice civile: esclude la successione degli ascendenti naturali in caso di morte senza figli e in concorso con il coniuge. Articolo 248 del codice civile: disciplina l’azione di contestazione di legittimità. Ricordiamo che mentre nel caso di disconoscimento si contesta l’attribuzione di paternità, con questa azione si contestano gli altri elementi che contribuiscono a “formare” la presunzione di paternità (ovvero la maternità, la validità del matrimonio, il mancato rispetto del periodo del concepimento). Nel caso di esperimento vittorioso dell’azione di contestazione di legittimità, il figlio ritorna allo stato di figlio naturale; tuttavia se si tratta di matrimonio invalido, ma putativo il figlio mantiene lo status di figlio legittimo: perchè è solo la buona fede dei genitori che tutela il figlio? Articolo 258 e articolo 433 del codice civile: da un lato si afferma che il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui è stato fatto, salvo i casi previsti dalla legge con richiamo dell’articolo 433 c.c., che elenca i soggetti tenuti agli alimenti... ovvero non erediti, ma sei tenuto a fornire gli alimenti alle persone dalle quali non erediti. Articolo 280 del codice civile: possibilità di legittimazione dei figli naturali, ovvero esiste una condizione intermedia tra figli legittimi e figli naturali legittimati. ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 7 RIFORME Articolo 317 bis e 330 del codice civile: mentre nella filiazione legittima il Tribunale può emettere provvedimenti ablativi solo in presenza di un danno a carico del minore, nella filiazione naturale è sufficiente ravvisare l’interesse del figlio all’allontanamento. Articolo 317 bis del codice civile e 38 disp.att. del codice civile che attribuisce al Tribunale per i Minorenni, nonostante la novella del 2006, la competenza a disciplinare il regime di affidamento e mantenimento (se richiesto contestualmente) dei figli naturali, mentre per quanto attiene alla filiazione legittima la competenza in caso di separazione e divorzio appartiene al Tribunale Ordinario. Numerosi sono stati tuttavia gli interventi legislativi e giurisprudenziali di segno positivo che hanno ridotto la distanza tra filiazione legittima e naturale, tra i quali ricordiamo: Articolo 250 del codice civile: è caduto il limite al riconoscimento dei figli adulterini, esteso ora anche sotto il profilo della legittimazione attiva alla madre. Articolo 269 del codice civile: è venuto meno il limite alla ricerca della paternità e maternità naturale (“la prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo”). Articoli 235 e 244 del codice civile: l’azione di disconoscimento della paternità viene attribuita anche alla madre ed al figlio, un tempo era prerogativa solo del padre. Articolo 232 del codice civile: il riconoscimento è stato esteso alla donna coniugata. Articolo 232 II comma del codice civile: viene esclusa la presunzione di filiazione legittima dopo la separazione legale. Articolo 244 del codice civile: i termini per esperire l’azione di disconoscimento della paternità decorrono dal momento della conoscenza delle cause che legittimano l’azione (Corte Costituzionale 14 maggio 1985 n. 134 e 14 maggio 1999 n. 170). La successione dei figli naturali Se partiamo dal presupposto che allo stato non esiste una reale e completa equiparazione tra filiazione naturale e legittima, non ci dovremmo stupire del fatto che anche in sede successoria, molte siano le discriminazioni nei confronti della prole naturale. L’origine di tale discriminazione sarebbe secondo alcuni interpreti l’articolo 74 del codice civile (la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite), secondo altri l’articolo 258 c.c. (il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto). Secondo alcuni interpreti (Marcella Fiorini in Famiglia e Minori Dossier inserto 9 ottobre 2009; Guida al Diritto) il legislatore non ha voluto che si creassero dei vincoli di parentela nella filiazione naturale, secondo altri l’art. 258 del codice civile non li esclude, ma semplicemente circoscrive gli effetti della successione naturale. La tesi della Corte Costituzionale può essere così sintetizzata: la legge deve garantire la sostanziale equiparazione dei figli legittimi e naturali per quanto attiene allo status e comunque per quanto attiene ai diritti fondamentali ed essenziali (ci riferiamo ad esempio all’art. 147 del codice civile), ma tali diritti non sono necessariamente i medesimi dei figli legittimi. Le conseguenze di tale interpretazione sono che è il giudice a dover decidere di volta in volta. Infatti non esistendo la piena equiparazione tra la prole naturale e legittima in sede successoria, è evidente che solo il giudice potrà valutare caso per caso l’applicazione corretta delle norme. Principi e casi concreti Secondo la Consulta il rapporto tra figli naturali e parenti dei genitori naturali è un vincolo di consanguineità e non di parentela. (così Corte Costituzionale n. 363 del 1988, poi ripresa dalla sentenza n. 363 del 2000). Nel nostro ordinamento non esiste una norma che colleghi allo status di figlio naturale anche uno status di parente. Per cui il fratello della madre o del padre non sarebbe zio, i suoi figli non sarebbero cugini, i genitori dei genitori non sarebbero nonni... ma la cosa più grave è che neppure i fratelli naturali germani sarebbero fratelli dal punto di vista successorio. RIASSUMENDO a) Successione dei figli nei confronti del genitore naturale. Salvo il diritto di commutazione che esamineremo più oltre non dovrebbero esserci problemi. Ricordiamo tuttavia che il genitore naturale che ha legittimato il figlio naturale, esclude l’altro genitore dalla successione. b) Successione dei fratelli naturali in mancanza di altri successibili ai sensi dell’art. 565 del codice civile. La norma prevedeva che in mancanza di altri successibili entro il 6° grado, anche in presenza di fratelli e 8 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 RIFORME sorelle naturali, subentrasse lo Stato. Tale norma è stata dichiarata incostituzionale per violazione degli artt. 3 e 30 della Costituzione (Corte Costituzionale n. 55 del 1979). c) Successione degli zii Secondo la sentenza della Corte Costituzionale del 24 marzo 1988 n. 363 la condizione dei fratelli del genitore naturale non è paragonabile a quella dei fratelli dei genitori legittimi perchè ai sensi dell’articolo 258 del codice civile non esiste un rapporto di parentela. d) Successione nei confronti degli ascendenti Secondo l’articolo 569 del codice civile a colui che muore senza lasciare prole, genitori, fratelli o sorelle o loro discendenti succedono per metà gli ascendenti della madre e per metà gli ascendenti del padre. E se si tratta di figli naturali? Qui la dottrina si divide: alcuni ritengono che nel silenzio della legge la vocazione si estenda anche agli ascendenti naturali, altri invece che vengano esclusi. e) Rappresentazione Ai sensi dell’articolo 467 del codice civile la rappresentazione fa subentrare i discendenti legittimi o naturali in luogo e nel grado del loro ascendente. In teoria non dovrebbero esserci problemi. Invece ai sensi dell’articolo 468 del codice civile quando la rappresentazione opera in linea collaterale (ovvero figli dei fratelli o sorelle premorti o che abbiano rinunciato) subentrano solo i figli legittimi, adottivi o legittimi non i naturali. (sul punto Corte Costituzionale sentenza n. 5747 del 1975). f) Diritto di commutazione Nel codice civile del 1942, l’istituto della commutazione aveva lo scopo di evitare il frazionamento della proprietà offrendo ai figli naturali nati fuori dal contesto della famiglia legittima la possibilità di ereditare senza danneggiare l’unità economica ed affettiva della famiglia. In sostanza veniva loro vietato di pretendere il conferimento in natura e comunque di entrare a far parte della comunione ereditaria. Nonostante la riforma del diritto di famiglia del 1975 permane questo “residuo” normativo, sempre in funzione di tutela della famiglia legittima. L’attuale orientamento giurisprudenziale è sempre il medesimo. A tale proposito citiamo la sentenza della Corte Costituzionale del 18 dicembre 2009 n. 335, (egregiamente commentata su Fam e Dir. n. 4 del 2010 da Leopoldo Vignudelli ed Alessandra Arceri). ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 9 RIFORME Ma cosa dice l’articolo 537 comma 3 del codice civile? “Salvo quanto disposto dall’art. 542 c.c. (concorso tra coniuge e figli) se il genitore lascia un figlio solo, legittimo o naturale, a questi è riservata la metà del patrimonio. Se i figli sono più è loro riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli legittimi e naturali. I figli legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongono. Nel caso di opposizione decide il giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali”. Si tratta dunque del diritto dei figli legittimi di escludere i figli naturali (che possono anche essere loro fratelli naturali) dalla comunione ereditaria, attribuendo loro beni immobili, scelti dai commutanti, ovvero una somma di denaro, oppure beni immobili con una somma di denaro a conguaglio, garantendo in tal modo i loro diritti ereditari. Ovviamente l’istituto non opera ove vi sia una successione testamentaria dal momento che in questo caso prevale la volontà del testatore. Secondo alcuni autori si tratta di un diritto potestativo a concessione giudiziaria, per altri di un diritto potestativo ad esercizio negoziale (Gabrielli). Per altri ancora non si applica quando il figlio naturale ha già ricevuto in vita legati o vi è stata una divisione giudiziale in vita del testatore, con sua menzione espressa perchè in questo caso prevale la volontà del de cuius. Caratteristiche e criticità L’istituto della commutazione sembra corrispondere ad esigenze di tutela della famiglia legittima affinchè non si disperda il patrimonio familiare, anche se tale principio è di per sé contrario al principio di uguaglianza. - Vale solo per i figli naturali, non per gli adottati o legittimati. - I figli naturali possono opporsi alla commutazione sia con riferimento ai presupposti della commutazione, che alla congruità della liquidazione. - È un onere dei figli legittimi rivolgersi al giudice che deciderà con sentenza. - Non è previsto un termine per esercitare il diritto di commutazione Si tratta di una grave lesione per i figli naturali che si troverebbero sempre sottoposti alla volontà dei figli legittimi. Sembra logico e corretto ritenere che i figli naturali possano rivolgersi al giudice per l’attribuzione di un termine. - il diritto potestativo dei figli legittimi è efficace dal momento della sua manifestazione, per cui i figli naturali hanno la sola possibilità di opporsi con un normale giudizio di cognizione. - La norma non si applica ai legittimati e ciò esclude che la commutazione abbia il significato autentico di preservare i figli legittimi da intromissioni di persone estranee al nucleo familiare. In conclusione possiamo affermare che: 1) la parentela naturale non crea legami di parentela al di fuori dei rapporti con i genitori. 2) la parentela naturale però funziona come impedimento al matrimonio (articolo 87 c.c) e impedisce il riconoscimento dei figli incestuosi (art. 251 c.c). Merita un cenno la sentenza della Corte Costituzionale del 18 dicembre 2009 n. 335 che opera una completa disamina della materia in commento. Cosa ci dice? 1) che è legittima la scelta del legislatore di conservare in capo ai figli legittimi la possibilità di chiedere la commutazione. 2) che la garanzia di giustizia deriva dalla previsione dell’opposizione dei figli naturali e dal controllo giurisdizionale. 3) che esiste un’aspirazione della normativa in commento alla tendenziale parificazione della posizione dei figli naturali. 4) che tuttavia non è irragionevole il bilanciamento dei diritti dei figli naturali con le esigenze della famiglia legittima. 5) che il richiamo alla compatibilità della Costituzione a tutele diverse assume il carattere di autentica clausola generale, aperta al divenire della società e del costume. 6) che la naturale concretezza della soluzione giurisdizionale (CHE OVE LE CIRCOSTANZE LO ESIGANO, PUÒ OVVIAMENTE ESSERE A FAVORE DEL FIGLIO NATURALE) permette di calibrare la singola decisione alle specifiche circostanze personali e patrimoniali. 7) che al giudice è attribuito il ruolo del garante della parità di trattamento nella diversità, attraverso il continuo adeguamento della concreta applicazione della norma ai principi costituzionali. 10 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 RIFORME OSSERVAZIONI CONCLUSIVE L’Europa è lontana da noi anche in questo caso. Quasi tutti gli stati europei hanno adottato norme che escludono distinzioni tra figli nati fuori e dentro il matrimonio. Viviamo in una società in cui i numeri ci dicono che i rapporti familiari stanno cambiando; su 217.000 matrimoni celebrati in Italia nel 2010, ci sono almeno 500.000 persone che convivono. Il numero dei figli naturali aumenta di anno in anno: solo nel 2008 rappresentavano il 22% di tutti i nati in Italia. I Tribunali per i Minorenni vedono una crescita costante delle domande che hanno ad oggetto i diritti ed i doveri connessi con la filiazione naturale. Che senso ha tutto questo? Fortunatamente i giudici di merito ci offrono un’interpretazione illuminata dei principi contenuti nella sentenza della Corte Costituzionale. IL CASO A concepisce un figlio con B, il quale muore prima della nascita di C. A si rivolge al TM di Trieste chiedendo l’accertamento giudiziale di paternità “contro” la nonna paterna e la zia paterna che si costituiscono, rimettendosi in sostanza alle risultanze delle prove ematologiche. Il bimbo viene riconosciuto come figlio di B. In sede di decisione in merito alla richiesta di assegni di mantenimento a carico dell’eredità il giudice effettua una completa disamina dei diritti successori dei figli naturali. 1) La consolidata giurisprudenza di legittimità esclude l’obbligo di mantenimento del figlio naturale a carico degli eredi del padre naturale. 2) con riferimento alla norma contenuta nell’art. 565 c.c. Secondo cui dovrebbero escludersi i figli naturali, ci si deve richiamare alla sentenza della Corte Costituzionale n. 532 del 2000 che ha sostenuto che dall’art. 30 Cost non discendesse automaticamente la parificazione dei figli in materia successoria. 3) che secondo tale assunto anche la Cassazione si è pronunciata (Cass.civ. Sez II 10-09-2007 n. 19011) per la preclusione di una diversa interpretazione. 4) che tale orientamento non preclude secondo il giudice delle leggi (sentenza citata della Corte del 2009) un bilanciamento anche futuro degli interessi contrapposti. 5) che l’art. 258 c.c non è affatto d’ostacolo all’ammissione della parentela naturale e che tale norma non va letta nel senso dell’irrilevanza dei rapporti con i parenti dei genitori naturali. 6) che l’art. 258 c.c va letto con l’art. 433 cc. 7) che tali riferimenti normativi inducono a ritenere che l’espressione dell’art. 258 c.c “salvi i casi previsti dalla legge”, non rivestono il significato di un semplice richiamo e che quindi “ammettere che ex art. 433 c.c la parentela naturale in linea retta ha la stessa ampiezza di quella legittima; che ex art. 467 c.c essa sussite in linea collaterale tra il figlio naturale ed il fratello del genitore di lui; che ex art. 737 c.c un vincolo di parentela si istituisce anche tra i figli naturali dello stesso genitore. 8) che la responsabilità relativa al mantenimento nasce dla fatto stesso della procreazione e si richiama l’art. 155 c.c. 9) nel nostro ordinamento l’art. 2 della Costituzione costituisce la chiave di lettura della Carta Costituzionale utilizzandolo come strumento per la ricerca del contemperamento dell’esercizio dei diritti fondamentali. 10) che nella famiglia prevale il principio dell’essere sull’avere ovvero dobbiamo considerare le situazioni patrimoniali come strumentali alla realizzazione di quelle di natura esistenziali. 11) che anche la normativa sovranazionale ci orienta in tale direzione. 12) che anche in sede parlamentare e governativa sono stati presentati progetti di legge che mirano “al riconoscimento di un unico status filiationis fondato sui due aspetti della verità biologica e dell’assunzione della responsabilità rispetto al figlio, aspetti entrambi necessariamente presenti a fondare la ratio della disciplina”. 13) che il riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio produrrà perciò effetti anche nei confronti dei parenti del genitore che lo effettua e non solo nei confronti del genitore che lo riconosce. In sostanza ci sembra di poter affermare che il giudice minorile “prende” le affermazioni della sentenza della Corte Costituzionale del 2009 e mette in pratica ciò che la sentenza stessa indica come funzione-solutoria del giudice. Ovvero il giudice rappresenta la garanzia dell’applicazione nel caso concreto della parità del trattamento tra figli legittimi ne naturali, pur nella diversità. ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 11 RIFORME LA CAMERA HA APPROVATO LA LEGGE DI UNIFICAZIONE DELLO STATO GIURIDICO DEI FIGLI. ORA TUTTI I FIGLI SONO UGUALI. GIANFRANCO DOSI gni anno nascono in Italia 500.000 bambini di cui il 23% fuori dal matrimonio (da donne non coniugate, vedove, divorziate o nubili). Ora che la Camera ha approvato la legge sull’unificazione dello stato giuridico di tutti i figli (nel testo licenziato dal Senato lo scorso 30 giugno) i figli nati fuori dal matrimonio avranno lo stesso stato giuridico dei figli nati da coppie coniugate. Una rivoluzione culturale prima ancora che giuridica alla quale il Parlamento giunge con ritardo se si considera che il principio della pari dignità è da anni un punto acquisito nel dibattito dei giuristi. La nuova legge proclama solennemente che “tutti figli hanno lo stesso stato giuridico” (nuovo articolo 315 del codice civile) con la conseguenza che le espressioni “figlio legittimo” e “figlio naturale” scompaiono dal lessico giuridico. Scompare di conseguenza l’istituto della legittimazione. Un traguardo importante raggiunto grazie alla mobilitazione da anni della coscienza civile su questi problemi e alla sensibilità dei parlamentari che ora l’hanno saputo tradurre in riforma giuridica. L’avvocatura ha più volte espresso il suo incondizionato consenso su questa riforma che in questi anni è stata fatta oggetto di seminari e convegni di aggiornamento e di formazione. La legge prevede all’art. 2 un’ampia delega al Governo per la revisione di tutte le disposizioni in materia di filiazione da esercitare entro dodici mesi in attuazione dei principi di unificazione dello stato giuridico. Tra questi il principio moderno che la filiazione fuori dal matrimonio può essere accertata con ogni mezzo (con ciò cadendo quelle diversità e quei limiti alla ricerca della paternità che perfino la Costituzione ancora tollera all’art. 30) e il principio che i presupposti del disconoscimento della paternità devono essere riconsiderati in base ai valori richiamati negli ultimi anni dalla corte costituzionale. O 12 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 RIFORME Il riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio avrà effetti anche riguardo ai parenti del genitore che lo effettua; viene perciò riformulato l’art. 258 cod. civ. abbandonandosi l’interpretazione distorta della originaria norma che appariva negare nella filiazione fuori dal matrimonio il legame parentale per esempio tra nonni e nipoti. La nuova legge dà una nuova definizione della nozione di parentela (art. 74 cod. civ.) che va oltre i limiti dei legami biologici, estendendosi non solo ai figli nati fuori dal matrimonio ma anche alla filiazione adottiva dei minori di età. Ed anche i figli nati da relazione incestuosa potranno essere riconosciuti (se minori con l’autorizzazione del tribunale per i minorenni) avuto riguardo al loro interesse e alla necessità di evitare loro qualsiasi pregiudizio (nuovo art. 251 cod. civ.). Cade così una stortura che la stessa Corte costituzionale (che pure aveva ammesso l’accertamento giudiziale della paternità nei medesimi casi) non aveva potuto eliminare. Si potrà riconoscere un figlio nato fuori dal matrimonio già a quattordici anni (e non a sedici come oggi previsto) ed anche prima se il giudice lo autorizza; il minore che ha compiuto quattordici anni deve dare il proprio consenso al riconoscimento. Il riconoscimento fatto tardivamente avviene, come già il codice civile prevede, con il consenso del genitore che per primo ha già riconosciuto il figlio; se il consenso viene negato sarà il giudice a decidere attraverso un procedimento rapido e semplificato; la sentenza - e questa è una novità importante - potrà anche decidere sulla regolamentazione dell’affidamento e sul mantenimento del figlio (nuovo articolo 250 cod. civ.). La riforma tocca anche la legittimazione passiva nell’accertamento giudiziale della paternità introducendo la possibilità - più volte negata in passato dalla giurisprudenza - di esercitare l’azione nei confronti di un curatore speciale ove sia deceduto il presunto genitore e non vi siano eredi (art. 276 cod. civ.). Anche tutto il settore delle successioni sarà adeguato e adattato ai nuovi principi di uguaglianza e di unificazione dello stato giuridico. Come auspicato da tempo la legge rimodella anche il concetto di potestà adeguandolo al lessico psicologico e giuridico moderno - anche europeo e internazionale - delineando la nozione di responsabilità genitoriale che mette più l’accento sulle funzioni di cura rispetto alla tradizionale connotazione di potere sui figli che quel termine ha sempre avuto anche nella cultura giuridica. E in caso di decadenza della potestà genitoriale il figlio non sarà più tenuto agli alimenti (nuovo art. 448 bis cod. civ.). Viene ridefinita la nozione di abbandono morale e materiale ancorandola al concetto di provata irrecuperabilità delle capacità genitoriali in un tempo ragionevole per garantire al minore il diritto alla propria famiglia. I nonni potranno far valere in giudizio il loro diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti. In tutte le procedure che lo riguardano il minore che ha compiuto i dodici anni - ed anche prima ove capace di discernimento - deve essere ascoltato. Si generalizza per legge quindi (oltre a quanto già prevede l’art. 155-sexies cod. civ. per la separazione e il divorzio) il diritto del minore ad esprimere il suo punto di vista. In applicazione ormai obbligata della Convenzione del 1989 sui diritti dei minori (legge 176/91) e della convenzione europea sull’esercizio dei diritti del minore (legge 77/2003) e delle norme che in Europa disciplinano le relazioni tra Stati (si consideri che l’art. 23 del regolamento europeo 2201/2003 impedisce il riconoscimento in altri Stati membri di decisioni adottate senza il previo ascolto del minore). Come da tempo auspicato, tutte le procedure giudiziarie relative all’affidamento dei figli minori - anche nati fuori dal matrimonio - e tutte le azioni di accertamento e disconoscimento della filiazione di minori di età saranno di competenza del tribunale ordinario, mentre restano di competenza del tribunale per i minorenni i soli procedimenti de potestate e di adozione dei minori (art. 38 disposizioni di attuazione cod. civ. come modificato dall’art. 3 della legge di riforma). Tutto ciò in attesa e in vista che si istituiscano al più presto sezioni specializzate sulla famiglia e sulla persona (con competenza generalizzata su tutto il contenzioso in questo settore) che dovrebbero sorgere presso ogni tribunale ordinario a completamento di una riforma ordinamentale in questa materia che da anni si attende con impazienza. La legge non prevede ancora un modello processuale unitario. Così mentre per la separazione e il divorzio si applicheranno le regole consuete, nei procedimenti per la regolamentazione dell’affidamento di figli nati fuori dal matrimonio sarà utilizzato il rito camerale nelle forme assicurate oggi nei tribunali nei procedimenti di revisione delle condizioni di separazione e divorzio. Una differenza che non deve far scandalizzare e che non indice affatto sul principio della parità dei diritti. In tutte le procedure si dovrà fare, però, uguale applicazione dei principi e delle garanzie patrimoniali e il giudice potrà conseguentemente utilizzare i medesimi strumenti già previsti oggi per la separazione dei coniugi e per il divorzio al fine assicurare che siano soddisfatte le obbligazioni economiche relative al mantenimento dei figli. ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 13 RIFORME LA LEGGE DI RIFORMA SULL’UNIFICAZIONE DELLO STATO GIURIDICO DI FIGLI Art. 1. (Disposizioni in materia di filiazione) 1. L’articolo 74 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 74. - (Parentela). - La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti». 2. All’articolo 250 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni: a) il primo comma è sostituito dal seguente: «Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’articolo 254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente»; b) al secondo comma, le parole: «sedici anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattordici anni»; c) al terzo comma, le parole: «sedici anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattordici anni»; d) il quarto comma è sostituito dal seguente: «Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all’altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l’opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell’articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell’articolo 262»; e) al quinto comma sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio». 3. L’articolo 251 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 251. - (Autorizzazione al riconoscimento) - Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal tribunale per i minorenni». 4. Il primo comma dell’articolo 258 del codice civile è sostituito dal seguente: «Il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso». 5. L’articolo 276 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 276. - (Legittimazione passiva) - La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. In loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso. Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse». 6. La rubrica del titolo IX del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Della potestà dei genitori e dei diritti e doveri del figlio». 7. L’articolo 315 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 315. - (Stato giuridico della filiazione). - Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico». 8. Dopo l’articolo 315 del codice civile, come sostituito dal comma 7 del presente articolo, è inserito il seguente: «Art. 315-bis. - (Diritti e doveri del figlio). - Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa». 14 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 RIFORME 9. Nel titolo XIII del libro I del codice civile, dopo l’articolo 448 è aggiunto il seguente: «Art. 448-bis. - (Cessazione per decadenza dell’avente diritto dalla potestà sui figli). - Il figlio, anche adottivo, e, in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla potestà e, per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all’articolo 463, possono escluderlo dalla successione». 10. È abrogata la sezione II del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile. 11. Nel codice civile, le parole: «figli legittimi» e «figli naturali», ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente: «figli». Art. 2. (Delega al Governo per la revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione) 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità per eliminare ogni discriminazione tra i figli, anche adottivi, nel rispetto dell’articolo 30 della Costituzione, osservando, oltre ai princìpi di cui agli articoli 315 e 315-bis del codice civile, come rispettivamente sostituito e introdotto dall’articolo 1 della presente legge, i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) sostituzione, in tutta la legislazione vigente, dei riferimenti ai «figli legittimi» e ai «figli naturali» con riferimenti ai «figli», salvo l’utilizzo delle denominazioni di «figli nati nel matrimonio» o di «figli nati fuori del matrimonio» quando si tratta di disposizioni a essi specificamente relative; b) modificazione del titolo VII del libro primo del codice civile, in particolare: 1) sostituendo la rubrica del titolo VII con la seguente: «Dello stato di figlio»; 2) sostituendo la rubrica del capo I con la seguente: «Della presunzione di paternità»; 3) trasponendo nel nuovo capo I i contenuti della sezione I del capo I; 4) trasponendo i contenuti della sezione II del capo I in un nuovo capo II, avente la seguente rubrica: «Delle prove della filiazione»; 5) trasponendo i contenuti della sezione III del capo I in un nuovo capo III, avente la seguente rubrica: «Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio»; 6) trasponendo i contenuti del paragrafo 1 della sezione I del capo II in un nuovo capo IV, avente la seguente rubrica: «Del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio»; 7) trasponendo i contenuti del paragrafo 2 della sezione I del capo II in un nuovo capo V, avente la seguente rubrica: «Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità»; 8) abrogando le disposizioni che fanno riferimento alla legittimazione; c) ridefinizione della disciplina del possesso di stato e della prova della filiazione prevedendo che la filiazione fuori del matrimonio può essere giudizialmente accertata con ogni mezzo idoneo; d) estensione della presunzione di paternità del marito rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante il matrimonio e ridefinizione della disciplina del disconoscimento di paternità, con riferimento in particolare all’articolo 235, primo comma, numeri 1), 2) e 3), del codice civile, nel rispetto dei princìpi costituzionali; e) modificazione della disciplina del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio con la previsione che: 1) la disciplina attinente all’inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia dell’uno o dell’altro genitore sia adeguata al principio dell’unificazione dello stato di figlio, demandando esclusivamente al giudice la valutazione di compatibilità di cui all’articolo 30, terzo comma, della Costituzione; 2) il principio dell’inammissibilità del riconoscimento di cui all’articolo 253 del codice civile sia esteso a tutte le ipotesi in cui il riconoscimento medesimo è in contrasto con lo stato di figlio riconosciuto o giudizialmente dichiarato; f) modificazione degli articoli 244, 264 e 273 del codice civile prevedendo l’abbassamento dell’età del minore dal sedicesimo al quattordicesimo anno di età; g) modificazione della disciplina dell’impugnazione del riconoscimento con la limitazione dell’imprescrittibilità dell’azione solo per il figlio e con l’introduzione di un termine di decadenza per l’esercizio dell’azione da parte degli altri legittimati; h) unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e dei figli nati fuori del matrimonio, delineando la nozione di responsabilità genitoriale quale aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale; i) disciplina delle modalità di esercizio del diritto all’ascolto del minore che abbia adeguata capacità di discernimento, precisando che, ove l’ascolto sia previsto nell’ambito di procedimenti giurisdizionali, ad esso provvede il presidente del tribunale o il giudice delegato; l) adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio, prevedendo, anche in relazione ai giudizi pendenti, una disciplina che assicuri la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto nelle ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 15 RIFORME more del riconoscimento e conseguentemente l’estensione delle azioni di petizione di cui agli articoli 533 e seguenti del codice civile; m) adattamento e riordino dei criteri di cui agli articoli 33, 34, 35 e 39 della legge 31 maggio 1995, n. 218, concernenti l’individuazione, nell’ambito del sistema di diritto internazionale privato, della legge applicabile, anche con la determinazione di eventuali norme di applicazione necessaria in attuazione del principio dell’unificazione dello stato di figlio; n) specificazione della nozione di abbandono morale e materiale dei figli con riguardo alla provata irrecuperabilità delle capacità genitoriali in un tempo ragionevole da parte dei genitori, fermo restando che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia; o) previsione della segnalazione ai comuni, da parte dei tribunali per i minorenni, delle situazioni di indigenza di nuclei familiari che, ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, richiedano interventi di sostegno per consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia, nonché previsione di controlli che il tribunale per i minorenni effettua sulle situazioni segnalate agli enti locali; p) previsione della legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori. 2. Il decreto o i decreti legislativi di cui al comma 1 provvedono, altresì, a effettuare, apportando le occorrenti modificazioni e integrazioni normative, il necessario coordinamento con le norme da essi recate delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, e delle altre norme vigenti in materia, in modo da assicurare il rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al citato comma 1 del presente articolo. 3. Il decreto o i decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro dell’interno, del Ministro della giustizia, del Ministro per le pari opportunità e del Ministro o Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri delegato per le politiche per la famiglia. Sugli schemi approvati dal Consiglio dei ministri esprimono il loro parere le Commissioni parlamentari competenti entro due mesi dalla loro trasmissione alle Camere. Decorso tale termine, i decreti legislativi sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l’espressione dei pareri parlamentari, di cui al presente comma, scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal comma 1 o successivamente, quest’ultimo termine è prorogato di sei mesi. 4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 1, il Governo può adottare decreti integrativi o correttivi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al citato comma 1 e delle disposizioni del comma 2 e con la procedura prevista dal comma 3. 16 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 RIFORME Art. 3. (Modifica dell’articolo 38 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni a garanzia dei diritti dei figli agli alimenti e al mantenimento). 1. L’articolo 38 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è sostituito dal seguente: «Art. 38. - Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all’articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni per l’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applica, in quanto compatibile, l’articolo 710 del codice di procedura civile. Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni». “l-bis. Il giudice, a garanzia dei provvedimenti patrimoniali in materia di alimenti e mantenimento della prole, può imporre al genitore obbligato di prestare idonea garanzia personale o reale, se esiste il pericolo che possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi suddetti. Per assicurare che siano conservate o soddisfatte le ragioni del creditore in ordine all’adempimento degli obblighi di cui al periodo precedente, il giudice può disporre il sequestro dei beni dell’obbligato secondo quanto previsto dall’articolo 8, settimo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche e integrazioni. Il giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, di versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto, secondo quanto previsto dai commi secondo e seguenti dell’articolo 8, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche e integrazioni. I provvedimenti definitivi costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’articolo 2818 del codice civile.”. Art. 4. (Disposizioni transitorie) 1. Le disposizioni di cui all’articolo 3 si applicano ai giudizi instaurati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge. 2. Ai processi relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli di genitori non coniugati pendenti davanti al tribunale per i minorenni alla data di entrata in vigore della presente legge si applica, in quanto compatibile, l’articolo 710 del codice di procedura civile, nel rispetto delle garanzie costituzionali del giusto processo. Art. 5. (Modifiche alle norme regolamentari in materia di stato civile) 1. Con regolamento emanato, su proposta delle amministrazioni di cui al comma 3 dell’articolo 2 della presente legge, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto o dei decreti legislativi di cui al citato articolo 2 della presente legge, sono apportate le necessarie e conseguenti modifiche alla disciplina dettata in materia di ordinamento dello stato civile dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396. 2. L’articolo 35 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, è sostituito dal seguente: «Art. 35. - (Nome). - 1. Il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso e può essere costituito da un solo nome o da più nomi, anche separati, non superiori a tre. 2. Nel caso siano imposti due o più nomi separati da virgola, negli estratti e nei certificati rilasciati dall’ufficiale dello stato civile e dall’ufficiale di anagrafe deve essere riportato solo il primo dei nomi». Art. 6. (Clausola di invarianza finanziaria) 1. Dall’attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 17 RIFORME Art. 74. Parentela. La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite. Art. 250. Riconoscimento. Il figlio naturale può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’articolo 254, dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente. Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i sedici anni non produce effetto senza il suo assenso. Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i sedici anni non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento. Il consenso non può essere rifiutato ove il riconoscimento risponda all’interesse del figlio. Se vi è opposizione, su ricorso del genitore che vuole effettuare il riconoscimento, sentito il minore in contraddittorio con il genitore che si oppone e con l’intervento del pubblico ministero, decide il tribunale con sentenza che, in caso di accoglimento della domanda, tiene luogo del consenso mancante. Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età. 1. L’articolo 74 del codice civile è sostituito dal seguente: Art. 74. - (Parentela). - La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti». 2. All’articolo 250 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni: a) il primo comma è sostituito dal seguente: «Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’articolo 254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente»; b) al secondo comma, le parole: «sedici anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattordici anni»; c) al terzo comma, le parole: «sedici anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattordici anni»; d) il quarto comma è sostituito dal seguente: «Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all’altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l’opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell’articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell’articolo 262»; e) al quinto comma sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio». 18 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 RIFORME Art. 251. Riconoscimento di figli incestuosi. I figli nati da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela anche soltanto naturale, in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, non possono essere riconosciuti dai loro genitori, salvo che questi al tempo del concepimento ignorassero il vincolo esistente tra di loro o che sia stato dichiarato nullo il matrimonio da cui deriva l’affinità. Quando uno solo dei genitori è stato in buona fede, il riconoscimento del figlio può essere fatto solo da lui. Il riconoscimento è autorizzato dal giudice, avuto riguardo all’interesse del figlio ed alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. Art. 258. Effetti del riconoscimento. Il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto salvo i casi previsti dalla legge. L’atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all’altro genitore. Queste indicazioni, qualora siano state fatte, sono senza effetto. Il pubblico ufficiale che le riceve e l’ufficiale dello stato civile che le riproduce sui registri dello stato civile sono puniti con l’ammenda da lire quarantamila a lire centosessantamila. Le indicazioni stesse devono essere cancellate. Art. 276. Legittimazione passiva. La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in mancanza di lui, nei confronti dei suoi eredi. Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse. 3. L’articolo 251 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 251. - (Autorizzazione al riconoscimento) - Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal tribunale per i minorenni». 4. Il primo comma dell’articolo 258 del codice civile è sostituito dal seguente: «Il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso». 5. L’articolo 276 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 276. - (Legittimazione passiva) - La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. In loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso. Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse». Titolo IX - Della potestà dei genitori 6. La rubrica del titolo IX del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Della potestà dei genitori e dei diritti e doveri del figlio». Art. 315. Doveri del figlio verso i genitori. 7. L’articolo 315 del codice civile è sostituito dal seguente: Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa. «Art. 315. - (Stato giuridico della filiazione). - Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico». ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 19 RIFORME 8. Dopo l’articolo 315 del codice civile, come sostituito dal comma 7 del presente articolo, è inserito il seguente: «Art. 315-bis. - (Diritti e doveri del figlio). - Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa». 9. Nel titolo XIII del libro I del codice civile, dopo l’articolo 448 è aggiunto il seguente: «Art. 448-bis. - (Cessazione per decadenza dell’avente diritto dalla potestà sui figli). - Il figlio, anche adottivo, e, in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla potestà e, per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all’articolo 463, possono escluderlo dalla successione». Sez. II Della legittimazione dei figli naturali 10. È abrogata la sezione II del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile. 11. Nel codice civile, le parole: «figli legittimi» e «figli naturali», ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente: «figli». Art. 38 Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 171, 194, comma secondo, 250, 252, 262, 264, 316, 317 bis, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, nonché nel caso di minori dall`articolo 269, primo comma, codice civile. Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti per i quali non e espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. In ogni caso il tribunale provvede in camera di consiglio sentito il pubblico ministero. Quando il provvedimento e` emesso dal tribunale per i minorenni il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni. 20 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 1. L’articolo 38 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è sostituito dal seguente: «Art. 38. - Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all’articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni per l’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate RIFORME nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applica, in quanto compatibile, l’articolo 710 del codice di procedura civile. Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni». “l-bis. Il giudice, a garanzia dei provvedimenti patrimoniali in materia di alimenti e mantenimento della prole, può imporre al genitore obbligato di prestare idonea garanzia personale o reale, se esiste il pericolo che possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi suddetti. Per assicurare che siano conservate o soddisfatte le ragioni del creditore in ordine all’adempimento degli obblighi di cui al periodo precedente, il giudice può disporre il sequestro dei beni dell’obbligato secondo quanto previsto dall’articolo 8, settimo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche e integrazioni. Il giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, di versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto, secondo quanto previsto dai commi secondo e seguenti dell’articolo 8, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche e integrazioni. I provvedimenti definitivi costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’articolo 2818 del codice civile”. ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 21 GIURISPRUDENZA Diritto ad ottenere la copia della denuncia dei redditi del convivente more uxorio del coniuge separato. Rapporto tra diritto di accesso agli atti della Pubblica Amministrazione e diritto alla riservatezza dei terzi. Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 settembre 2012, n. 5047 Svolgimento del processo 1 - Con ricorso la TAR della Campania, sede distaccata di Salerno, l’avv. M.B. impugnava la nota dell’Agenzia Provinciale delle Entrate di Salerno n. 89858 del 2001 di diniego dell’accesso alle “dichiarazioni unico” presentate per gli anni 2009 e 2010 dall’avv. G.C., richiesto con istanza del 21 marzo 2011. 1.2 - Con sentenza n. 1471 dell’8 agosto 2011 l’adito Giudice ha rigettato il ricorso perché, allo stato degli atti, il ricorrente non risultava legittimato ad accedere ai documenti fiscali del controinteressato avv. C., essendo ancora in discussione innanzi al Giudice civile, anche in ragione delle mutevole giurisprudenza della Corte di Cassazione, se la convivenza more uxorio del coniuge separato con altro soggetto sia elemento incidente o meno sulla determinazione dell’assegno mensile spettante in virtù del decreto di omologazione della separazione consensuale del rapporto di coniugio; perché il Giudice civile adito ha ampi poteri istruttori e può anche disporre accertamenti tramite la Guardia di Finanza, oltre che l’acquisizione di tutta la documentazione anche fiscale ritenuta utile al fine del decidere nel processo di separazione coniugale. 1.3 - Con l’appello in epigrafe l’avv. M.B. ha chiesto l’integrale riforma della sentenza impugnata perché il Giudice di primo grado avrebbe adottato la propria decisione in: 22 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 a) violazione dell’art. 69 del D.P.R. n. 600 del 1973, degli articoli 22 e 23 della L. n. 241 del 1990 e dell’art. 5 del D.M. 29 ottobre 1996, n. 603, nonché eccesso di potere per falso presupposto, illogicità ed omessa istruttoria; b) violazione degli articoli 22 e 24 della L. n. 241 del 1990 e dell’art. 5 del D.M. 29 ottobre 1996, n. 603, nonché eccesso di potere per disparità di trattamento e violazione delle direttive impartite dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri; c) violazione dell’articolo 24 della Costituzione, degli articoli 22 e 24 della L. n. 241 del 1990, dell’art. 24 del D.Lgs. n. 196 del 2003, nonché eccesso di potere per omessa istruttoria, illogicità e contraddittorietà. 1.4 - Si è costituita in giudizio l’Amministrazione fiscale che con memoria depositata il 19 gennaio 2012 ha argomentato in ordine all’infondatezza dell’appello del quale ha chiesto la reiezione. 1.5 - Si è costituito in giudizio anche il controinteressato avv. G.C. che con memoria ha controdedotto a tutte le critiche mosse dall’appellante alla sentenza impugnata, depositando anche copia della memoria dallo stesso prodotta in sede di giudizio civile e copia dell’ordinanza del 20 ottobre 2011 con la quale il Giudice Istruttore del competente Tribunale di Salerno ha concesso all’appellante (in questa sede), nell’ambito del giudizio di divorzio dalla di lui moglie sig.ra F.A., i termini di cui all’art. 183, comma 6, del codice di procedura civile. 1.6 - Nella Camera di Consiglio del 15 maggio 2012 l’appello è stato assegnato a decisione. Motivi della decisione 2 - L’appello è fondato. Costituisce avviso pacifico e costante di questo Consiglio di Stato che il diritto di accesso deve prevalere sull’esigenza di riservatezza di terzi quando esso sia esercitato per consentire la cura o la difesa processuale di interessi giuridicamente protetti e concerna un documento amministrativo indispensabile a tali fini, la cui esigenza non possa essere altrimenti soddisfatta (cfr. tra le tante C.d.S. Ad. Plen. n. 5 del 1997, Sez. V^, n. 5034 del 2003 e n. 1969 del 2004). 2.1- Tale diritto per essere riconosciuto ha bisogno della dimostrazione che vi sia una “rigida necessità” e non una “mera utilità” dell’acquisizione del documento richiesto allorquando quest’ultimo concerna terzi ed il richiedente l’accesso documentale non sia parte del procedimento nel quale esso si è formato (cfr. C.d.S., sez. VI^, n. 117 del 2011). Orbene, nel caso in esame - che concerne la domanda prodotta dall’avv. B. per l’accesso alle dichiarazioni dei redditi presentate negli anni 2009 e 2010 dall’avv. G.C., convivente more uxorio con la moglie separata dello stesso avvo.B., al fine di poter GIURISPRUDENZA dimostrare nella competente sede civile, adita per l’accertamento della spettanza o meno, pur dopo l’instaurazione di tale convivenza, dell’assegno mensile riconosciuto dal Giudice in sede di separazione consensuale - possono ritenersi sussistenti tutti i presupposti individuati dalla giurisprudenza in quanto l’accesso documentale richiesto concerne atti rilevanti e determinanti per la tutela delle posizione giuridica del richiedente, siccome idonei a dimostrare, nella specie, la capacità economica del convivente con la propria moglie separata e, quindi, la sussistenza di presupposto idoneo ad esonerarlo dall’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento impostogli all’atto dell’omologazione della separazione consensuale. 2.2 - Né è di ostacolo, nel caso in esame, al riconoscimento del diritto di acceso la norma di principio di cui all’art. 24 della L. n. 241 del 1990, atteso che con il regolamento di esecuzione di detta norma, emanato con D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, è stato disposto (cfr. art. 8, comma 5, lettera d) che, anche quando i documenti concernano la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, finanziario, industriale e commerciale, “...deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere il loro stessi interessi giuridici...”. 2.3 - Così pure la circostanza che, nella specie, l’acceso sia richiesto per documenti fiscali del controinteressato non può costituire impedimento ex se all’esercizio del relativo diritto poiché una corretta interpretazione del divieto di accesso agli atti del procedimento tributario, sancito parimenti dal già citato art. 24 della L. n. 241 del 1990, che sia conforme ad una lettura costituzionalmente orientata di tale divieto, non può non condurre al convincimento che l’inaccessibilità a tali specifici atti è limitata, temporaneamente, alla sola fase di pendenza del procedimento tributario che è circostanza che, nella specie, non risulta sussistente (cfr. sul principio, C.d.S., sez. IV^, n. 53 del 13 gennaio 2010). 2.4 - Ad avviso diverso non può indurre, inoltre, il richiamo operato da controparte della norma dell’art. 210 del c.p.c., della quale, peraltro, si sarebbe già avvalso in sede civile l’avv. B. proprio per richiedere l’acquisizione iussu judicis delle dichiarazioni dei redditi in questione, in quanto la norma processuale anzidetta prevede la facoltà dell’ordine istruttorio (“...può...”), ma non anche la sua vincolatezza, con la conseguenza che permane fino all’eventuale accoglimento dell’istanza da parte del Giudice Civile il diritto dello stesso avv. B. ad accedere, nei modi di legge, alla documentazione utile per la tutela delle proprie ragioni. 2.5 - Inoltre, ritiene il Collegio, diversamente dal Giudice di prima istanza, che sia irrilevante, ai fini del riconoscimento del diritto di accesso, la questione se sia determinante o meno a fini decisori di quel processo la questione della convivenza del terzo con la moglie separata del richiedente, in quanto la norma che regola detto diritto non collega il soddisfacimento di quest’ultimo alla soluzione nel merito delle vicende connesse, ma impone soltanto che l’accesso sia collegato ad un interesse giuridicamente rilevante del richiedente che sia meritevole di cura e tutela. 2.6 - In conclusione, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata e conseguente accoglimento del ricorso di prime cure, deve essere riconosciuto all’appellante avv. M.B. il diritto di accedere, nei modi legge, ai documenti richiesti con la propria istanza del 21 marzo 2001. 2.7 - Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, attesa la parziale novità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 8477 del 2011, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza annullata, accoglie il ricorso di primo grado ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 23 GIURISPRUDENZA con conseguente annullamento del provvedimento impugnato e declaratoria del diritto dell’avv. M.B. di accedere ai documenti richiesti con propria istanza del 21 marzo 2011. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. IL PUNTO DI VISTA di GIANLUCA VECCHIO AVVOCATO DEL FORO DI PISA a sentenza in commento merita una trattazione, seppur breve, perchè affronta un tema assai dibattuto nella pratica e cioè la possibilità o meno di accedere ad atti della pubblica amministrazione rilevanti ai fini della decisione di una controversia civile. Nel caso di specie, anche perchè tema che interessa maggiormente gli operatori del diritto di famiglia, un individuo si è visto negare dalla Agenzia delle Entrate il diritto d accesso ai documenti fiscali (dichiarazione dei redditi) del convivente more uxorio della moglie al fine di poter dimostrare, in un procedimento di modifica delle condizioni di separazione, un miglioramento delle condizioni economiche tale da giustificare la revisione dell’assegno di mantenimento. Il Consiglio di Stato nelle motivazioni della sentenza indica un principio basilare, già più volte dichiarato in seno alla giustizia amministrativa, ma che per la prima volta in modo chiaro viene applicato ai procedimenti in materia di diritto di famiglia, secondo cui il diritto di accesso degli atti amministrativi deve prevalere sull’esigenza di riservatezza di terzi quando esso sia esercitato per consentire la cura o la difesa processuale di interessi giuridicamente protetti e concerna un documento amministrativo indispensabile a tali fini, la cui esigenza non possa essere altrimenti soddisfatta1. Precisa il Consiglio di Stato che tale diritto, per essere riconosciuto, deve necessariamente esser supportato dalla prova della cd. “rigida necessità” e non una “mera utilità” dell’acquisizione del documento richiesto2. Tale principio, calato nelle dinamica processuale di un procedimento ex art. 710 c.p.c. in cui un marito separato aveva interesse a dimostrare la capacità reddituale del convivente more uxorio della moglie separata, ha fatto sì che lo stesso Consiglio di Stato ravvisasse la sussistenza di tutti i presupposti individuati dalla giurisprudenza in quanto l’accesso documentale richiesto concerne atti rilevanti e determinanti per la tutela delle posizione giuridica del richiedente, siccome idonei a dimostrare, nella specie, la capacità economica del convivente con la propria moglie separata e, quindi, la sussistenza di presupposto idoneo ad esonerarlo dall’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento impostogli all’atto dell’omologazione della separazione L 24 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 consensuale. Non sono argomenti idonei a confutare tale tesi, come confermato nella stessa sentenza, né la previsione di cui all’art. 24, primo comma, della legge n. 241 del 1990, dove espressamente è prevista l’esclusione al diritto di accesso nei procedimenti tributari, in quanto l’inaccessibilità a tali specifici atti è limitata, temporaneamente, alla sola fase di pendenza del procedimento tributario che è circostanza che, nella specie, non risulta sussistente, né tantomeno la possibilità nel processo civile di richiedere al giudice l’applicazione dell’art. 210 c.p.c. in quanto tale strumento ha un chiaro carattere di facoltatività e non di vincolatività del Giudice. La sentenza in commento comunque merita una sua annotazione anche per un’altra particolarità, che sicuramente non può sfuggire all’attento lettore, e cioè la rilevanza che assume nei procedimenti di separazione e divorzio la figura del convivente more uxorio del coniuge separato e divorziato titolare del diritto alla percezione di un assegno di mantenimento e divorzile (cd. coniuge “debole”). Infatti può ravvisarsi nei principi summenzionati una continuazione di quel percorso, già iniziato in alcune sentenza della Suprema Corte (da ultima in tema di divorzio si segnala Cass. Civ. Sez. I, 11 agosto 2011, n. 17195), di avvicinamento delle tutele sostanziali e processuali tra convivenza e coniugio. Ormai è noto il vuoto normativo su tale argomento, tale da giustificare da più parti, compresa la nostra associazione3, proposte di riforma del diritto di famiglia (oggi in discussione in Parlamento) sia dal punto di vista della modifica delle norme sostanziali così come quelle processuali, norme ormai superate ed inidonee ad offrire le tutele ormai necessarie. Basta pensare che l’unica norma che in termini espliciti faccia riferimento ad una convivenza more uxorio è rappresentata dall’art. 155 quater c.c.4, norma inserita al fotofinish con la riforma del 2006. Come accennato sopra il Consiglio di Stato, sulla scia tracciata dalla giurisprudenza della Cassazione civile degli ultimi anni5, reputa rilevante la dimostrazione della capacità reddituale del convivente more uxorio del coniuge separato ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento. Note 1 C.d.S. Ad. Plen. n. 5 del 1997, Sez. V^, n. 5034 del 2003 e n. 1969 del 2004. 2 C.d.S., sez. VI^, n. 117 del 2011, criterio applicabile al caso in cui il documento concerna terzi ed il richiedente l’accesso documentale non sia stato parte del procedimento nel quale il documento si è formato. 3 cfr. questa rivista n. 5 settembre-ottobre 2011 sul “progetto di riforma per un processo civile unitario nel diritto di famiglia”. 4 Sul punto da ultimo Figone, La convivenza more uxorio può escludere l’assegno divorzile, in Fam. e dir. 2012, 1, 25. 5 Da ultimo Cass. 22 gennaio 2010, n. 1096, Fam. Pers. Succ. 2010, 11, 754. CASSAZIONE LA MANCATA AUDIZIONE DEL MINORE NEL GIUDIZIO DI ADOTTABILITÀ È DEDUCIBILE COME MOTIVO DI NULLITÀ MA NON PER VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO Cass. civ. Sez. I, 27 gennaio 2012, n. 1251 Presidente Maria Grazia Luccioli Relatore Maria Cristina Giancola In tema di procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità l’art. 15 comma 2, della L. 4 maggio 1983, n. 184, nel testo novellato dalla L. 28 marzo 2001 n. 149, pone nel giudizio di primo grado l’obbligo dell’audizione del minore che abbia compiuto i dodici anni e anche del minore di età inferiore in considerazione della sua capacità di discernimento; la relativa nullità è deducibile con l’appello e, se riscontrata, non implica la rimessione al primo giudice, esulando dalle ipotesi previste dall’art. 354 c.p.c. Svolgimento del processo Il Tribunale per i minorenni di Trieste, con sentenza n. 94 del 6.10.2010, dichiarava lo stato di adottabilità delle minori D. L.D. e M., nate rispettivamente il (OMISSIS), dai coniugi D.L.L. ed P.E., dei quali pronunciava la decadenza dalla potestà genitoriale, con inibizione delle visite con le figlie. Con sentenza del 27.01- 7.02.2011, la Corte di appello di Trieste, sezione per i minorenni, respingeva l’impugnazione proposta dal D.L. e dalla P. contro la sentenza di primo grado. La Corte territoriale, premesso anche il richiamo al contenuto della sentenza appellata, riteneva: - in relazione al motivo di gravame inerente alla violazione dell’obbligo di audizione in primo grado delle minori e segnatamente di D.L.D., che tale obbligo presupponeva la maturità del minore, in genere coincidente con il compimento del dodicesimo anno di età, evento che per la figlia D. si sarebbe avverato solo nel (OMISSIS), e che, inoltre, la capacità di discernimento di entrambe le minori nel caso concreto era pregiudicata non solo dall’immaturità dell’età, ma anche dal ritardo psichico indotto dalla situazione di deprivazione familiare nella quale erano costrette a vivere dai loro genitori. - che il TM aveva sia analiticamente descritto e compiutamente valutato il lungo percorso di sostegno attuato in favore del nucleo familiare e rimasto privo di risultati positivi, non per carenze professionali degli operatori, ma per la pervicace volontà elusiva della coppia, che non tollerava intromissioni nella sua sfera privata, e sia specificamente richiamato l’attento lavoro di analisi e sostegno del nucleo familiare, compromesso unilateralmente dal rifiuto degli odierni appellanti a farsi sostenere e guidare nello svolgimento della loro genitorialità. (omissis) Avverso questa sentenza, notificata il 12.02.2011, il D.L. e la P. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, (omissis) Motivi della decisione (omissis) 1. “Violazione dell’art. 12 delle norme della convenzione di New York del 20/11/1989, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla L. n. 176 del 1991 in relazione anche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 10.”, circa la mancata audizione in primo grado delle minori, che assumono immotivata, ed in appello giustificata con contraddittoria motivazione, deducendo anche che la figlia D., prossima ai 12 anni, era per il profilo psichico matura per essere ascoltata. (omissis) I motivi, non soggetti ratione temporis alle prescrizioni imposte dal previgente art. 366 bis c.p.c., non meritano favorevole apprezzamento. In tema di procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, la L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 15, comma 2 nel testo novellato dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, pone nel giudizio di primo grado (cfr cass. n. 14216 del 2010) l’obbligo di audizione del minore che abbia compiuto i 12 anni e anche del minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento; la nullità della sentenza conseguente alla violazione di tale obbligo può essere fatta valere nei limiti e secondo le regole fissate dall’art. 161 cod. proc. civ. e, dunque, è deducibile con l’appello e, se riscontrata, non implica la rimessione al primo giudice, esulando dalle ipotesi previste dall’art. 354 c.p.c.. Nella specie la Corte distrettuale si è attenuta a tali principi processuali e nel merito ha ineccepibilmente negato l’audizione delle minori, una volta verificato sia che entrambe all’epoca non avevano ancora compiuto i 12 anni e sia che non presentavano adeguata capacità di discernimento. A quest’ultimo riguardo ha chiarito, con argomentazioni esaurienti, ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 25 CASSAZIONE logiche e non scalfite dalle generiche contrarie asserzioni, che le bambine si rivelavano immature per età e per ritardo psichico, che seppure non dovuto a loro carenze fisiche o psichiche da intendersi con evidenza genetiche, era stato indotto dalla situazione familiare di deprivazione. (omissis) P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2011. Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2012 IL PUNTO DI VISTA di FRANCESCA SALVIA PRESIDENTE DELLA SEZIONE DI PALERMO DELL’OSSERVATORIO a questione affrontata dalla S.C., siccome riportata su di un caso che vede coinvolti nella dinamica del giudizio di audizione una coppia di sorelle, si colora di specialità con riferimento ai casi ordinari, ove l’analisi dell’ascolto riguarda il dichiarato di un minore determinato dalla cui audizione possono derivare effetti circoscritti a sé stesso. La regola è semplice ed intuitiva, quando si fonda sull’obbligo di ascolto del minore dodicenne; mentre diventa più complessa quando si tratti di minore infradodicenne le cui capacità espressive non siano compromesse dalla deprivazione materiale ed affettiva subita all’interno della famiglia naturale d’origine. Nel primo caso la nullità derivante dal mancato ascolto del dodicenne è testuale, mentre, nel secondo, considerato che non vale il limite di età anzidetto ed interviene la discrezionalità del giudice di prime cure, il regime della nullità si attenua fino a svanire del tutto, quando il rigetto delle istanze istruttorie volte ad accedere all’ascolto sia sostenuto da una motivazione logica ed immune da vizi. Nel caso di specie due genitori hanno proposto ricorso per Cassazione, avverso la sentenza pronunciata in grado di appello, confermativa della sentenza di primo grado con la quale erano state dichiarate in stato di adottabilità le loro due figlie, per violazione dell’art.12 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 ratificata e resa esecutiva in Italia dalla L.176/91, in relazione anche all’art.10 L. 4 maggio 1983 n.184, circa la mancata audizione in primo grado delle minori, che assumono immotivata, ed in appello giustificata con contraddittoria motivazione. I ricorrenti si dolgono, altresì, dell’immotivato diniego di ammissione in appello dell’articolata prova testimoniale, inerente a circostanze, volte secondo loro, a smentire lo stato di abbandono delle figlie e di cui contestano la ritenuta irrilevanza, lamentano infine la violazione dell’art. 1 della L.184/83, come sostituito dalla l. 149/2001, in merito al desunto L 26 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 stato di abbandono delle minori ed ai dati valutati per l’adesione di questa conclusione. Il primo e più importante motivo di doglianza è relativo alla violazione dell’art. 12 della Convenzione di New York del 1989 resa esecutiva in Italia nel 1991, in relazione all’art 10 L. 184/83 come novellata con la L. n.149/2001, circa la mancata audizione delle figlie in primo grado, che le parti assumono immotivata e nel corso del giudizio di appello giustificata con una motivazione contraddittoria. Invero l’ascolto del minore nelle procedure che lo riguardano è stato, da sempre, oggetto di vivace dibattito e di accese dispute in dottrina e in giurisprudenza, a fronte delle lamentele di moti autori preoccupati per la scarsa audizione dei minori nei procedimenti nei quali sono coinvolti e dell’atteggiamento superprotettivo di altri volto a non rendere parte il minore di situazioni per lui dolorose (Per tutti, cfr. G. Manera, Brevi osservazioni sulla pretesa necessità dell’audizione del minore nella procedura di adottabilità, in Dir. fam. e pers.,1998, p.1383; E. Quadri, L’interesse del minore nel sistema della legge civile , in Dir. Fam. e pers., 1999, p. 819). Un impulso notevole, in tema di ascolto del minore è venuto dalle Convenzioni Internazionali: l’art.12, comma 1, della convenzione di New York sui diritti del fanciullo stabilisce che gli stati firmatari devono garantire <al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere la sua opinione su ogni questione che lo interessa> e che le opinioni del fanciullo sono <debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità>. Il comma 2 del medesimo articolo aggiunge che si darà al fanciullo <la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale>. Un’ulteriore valorizzazione dell’ascolto del minore è venuta dalla Convenzione europea dell’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996. Questa è stata ratificata dall’Italia con la l. 20 marzo 2003, n. 77 ed è entrata in vigore il 1° novembre 2003. L’art 3 qualifica come un vero e proprio diritto del fanciullo quello di essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti giudiziari che lo riguardano. Più precisamente al minore che sia considerato dal diritto interno come <dotato di discernimento sufficiente> è riconosciuto il diritto di ricevere ogni informazione pertinente, il diritto di essere consultato e di esprimere la propria opinione, il diritto di essere informato delle possibili conseguenze dell’attuazione della sua opinione e degli eventuali effetti di ogni decisione. Mentre però la convenzione di New York si limita a prevedere che il minore deve essere ascoltato , la Convenzione di Strasburgo gli riconosce un ruolo CASSAZIONE più attivo ovvero di essere rappresentato nei procedimenti giudiziari che lo riguardano, anche di chiedere la nomina di un avvocato, ove ricorra un conflitto di interessi con i genitori che li privi della possibilità di rappresentare il figlio, il diritto di esercitare in tutto, o in parte, le prerogative di una parte nel procedimento. Sempre secondo la Convenzione il Giudice deve inoltre consultare il minore direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario ai suoi interessi superiori. Deve infine consentire al fanciullo di esprimere la sua opinione e deve tenere la stessa in debito conto. Nei procedimenti di adottabilità l’art.10 L. 184/83, come novellato, prevede che deve essere sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. Può dunque dirsi che, a norma di tale articolo, per il minore che abbia compiuto gli anni dodici la capacità di discernimento è presunta, mentre per il minore infradodicenne essa deve essere verificata e valutata in relazione al caso concreto. Pertanto la sua mancata audizione è giustificabile solo nei casi in cui risulti, con congrua motivazione, che egli non è dotato di discernimento. Inoltre egli può non essere ascoltato anche quando l’audizione appare contraria al suo interesse o potrebbe causargli un pregiudizio, ma pur in presenza di tale evenienza il Giudice dovrà specificatamente motivare le ragioni che lo hanno condotto a non procedere all’ascolto. Pertanto posto che il minore deve essere sentito personalmente o per interposta persona a seconda dell’età e delle personali capacità cosa accade concretamente nella prassi giudiziaria nel caso in cui il Giudice omette l’ascolto? Il problema si pone soltanto per coloro che nel corso della procedura adozionale non hanno ancora com- piuto gli anni dodici, poiché per quelli che hanno compiuto i dodici anni vige l’obbligatorietà dell’ascolto, in tal caso, non può che essere affidata, a mio avviso, alla discrezionalità del giudice la valutazione circa la sufficiente o meno capacità di discernimento del singolo minore, senza che ciò possa essere censurato nei successivi gradi del giudizio, se dalla sentenza si evincono in modo chiaro ed inequivocabile le ragioni per le quali è stata omessa l’audizione. Inoltre l’ascolto del minore nel procedimento volto alla declaratoria dello stato di adottabilità non è da qualificare come un mezzo istruttorio, come più volte precisato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. Sez. Un., 21 ottobre 2009. n. 2238: Cass. Civ., 23 luglio 1997, n. 6899; Cass. Civ. 21 marzo 2003, n. 4124), bensì uno strumento processuale che consente allo stesso di esercitare un proprio diritto, e al Giudice una più compiuta conoscenza delle sue opinioni e delle sue aspirazioni, al fine di meglio individuarne il concreto ed effettivo interesse, di modo che i provvedimenti che vengono adottati siano i più idonei a tutelarne l’interesse e a incidere positivamente sul suo sviluppo. In effetti l’esclusione della natura istruttoria sottrae l’audizione alle stringenti regole sull’assunzione delle prove e consente al Giudice di effettuarla con modalità libere, adattabili alle esigenze di quel minore in relazione alla sue capacità personali, e al vissuto familiare. Lo stesso legislatore nella consapevolezza della diversità esistente tra minore e minore, sposta l’angolo di osservazione su una capacità di discernimento che non può non tenere conto delle concrete circostanze, oggettive e soggettive, e riconduce l’accertamento del Giudice, secondo le ipotesi, a età variamente individuate, come a voler sottolineare che i minori degli anni dodici non hanno tutti capacità di discernimento, ma alcuni possono averla. La funzione del Giudice minorile, a mio avviso e per quanto interessa in questa sede, è complessa e delicata poiché nel rispetto del disposto normativo nazionale e sovranazionale, è chiamato a valutare, caso per caso, l’opportunità o meno di procedere all’ascolto di quel minore in particolare e, in caso positivo, assumere ogni decisione ritenuta opportuna, tenendo conto solamente del suo esclusivo interesse anche se, a volte, può non convergere con l’ opinione espressa dal medesimo minore, che si ricorda non è vincolante per il Giudice qualora gli elementi probatori acquisiti sono di segno opposto ai suoi desideri e/o aspettative. In ordine poi alla questione relativa all’ascolto del minore nel corso del giudizio di appello avverso la sentenza dichiarativa dello stato di adottabilità, occorre precisare che l’art.15 comma 2 l.184/83 come novellata, prevede l’obbligo della sua audizione solamente se ha compiuto i dodici anni nel giudizio di primo grado, mentre, a mente dell’art 17 della stessa ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 27 CASSAZIONE legge, il Giudice di Appello (sezione per i minorenni) deve «sentire le parti e il P.M., ed effettuato ogni altro opportuno accertamento, pronunciare sentenza in camera di consiglio». A mio avviso la norma esclude implicitamente che la Corte di Appello possa procedere all’audizione di un bambino già ritenuto dal Giudice di prime cure non dotato di sufficiente capacità di discernimento e come tale non ascoltato, né tanto meno di un minore che nel corso del processo di appello raggiunga gli anni dodici, poiché se il Legislatore avesse voluto, avrebbe potuto prevedere una apposita norma per regolare tale diritto anche nella fase di appello, così come è stato fatto per il primo grado con la specifica previsione degli art.10 e 15 della Legge sull’adozione. Vero è comunque che il giudizio di secondo grado non può racchiudersi in una mera disamina della documentazione in atti, come spesso accade, ma, al contrario, dovrebbe consistere in un nuovo e approfondito esame della situazione, nella quale il Giudice deve utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione (richiesta di una nuova relazione ai servizi sociali, nomina di un consulente tecnico, audizione testi anche a sommarie informazioni), ma è pur vero che non potrebbero, gli <ulteriori> accertamenti riguardare successive eventuali modifiche della situazione esaminata rispetto alla pronuncia di adottabilità, quale, appunto il compimento del 12°anno di età in corso di causa. Dal punto di vista processuale, appare opportuno ricordare che, come correttamente fa la sentenza in commento, nel caso in cui il Tribunale per i minorenni abbia omesso l’audizione di un minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore, in relazione alla sua capacità di discernimento, la nullità della sentenza conseguente alla violazione di tale obbligo può essere fatta valere nei limiti e secondo le regole fissate dall’art.161 c.p.c. e, dunque deducibile con l’appello, e se riscontrata, non implica, però, la rimessione al primo giudice esulando dalle ipotesi previste dall’art.354 c.p.c.: in questo caso sarebbe la Corte di Appello a dover ascoltare il minore direttamente o per interposta persona. A parere di chi scrive data la delicatezza dei procedimenti dichiarativi dello stato di adottabilità, sarebbe auspicabile non ricorre allo strumento dell’audizione del minore non ascoltato in primo grado per la non raggiunta capacità di discernimento, anche se raggiunge i dodici anni nel corso del giudizio di secondo grado, e a maggior ragione del minore di dodici anni già sentito dal Tribunale per i minorenni. Non è infrequente, per gli avvocati che si occupano della materia, imbattersi in provvedimenti emessi nella fase di appello, ammissivi della C.T.U. nell’ambito della quale viene espressamente previsto nel quesito che il consulente proceda all’ascolto del minore, possibilmente già sentito in primo grado, al fine di valutarne il legame con i genitori. 28 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 Anche se tale facoltà rientra nel potere di accertamento della Corte di Appello, l’uso di tale mezzo andrebbe ridotto al minimo, per non arrecargli ulteriore pregiudizio in quanto, ricordo a me stessa, spesso si tratta di un bambino traumatizzato per i gravi disagi patiti in ambito familiare, allontanato dai genitori, non in grado di assolvere la loro funzione, e inserito in Casa Famiglia, nell’attesa che si esaurisca l’iter procedimentale a seguito del quale, con sentenza, si perviene o alla declaratoria di adottabilità o il non luogo a provvedere, con conseguente archiviazione del caso. Si tratta di un minore che è stato, suo malgrado, sottoposto a mille sollecitazioni, il quale, nell’attesa che si esauriscano tutti i gradi del giudizio, può, a sua volta, essere stato allontanato dalla struttura comunitaria ove inizialmente era stato collocato e affidato temporaneamente ad una famiglia; pertanto l’essere sottoposto ad ulteriori indagini, audizioni e quant’altro, magari in un fase della propria vita nella quale ha faticosamente raggiunto un certo equilibrio, rischierebbe di vanificare per sempre i risultati ottenuti, con gravi ripercussioni sulla sua psiche. Chi scrive condivide in pieno le argomentazioni che hanno condotto la Suprema Corte di Cassazione al rigetto del ricorso proposto dai genitori e alla conferma della sentenza resa dal Giudice d’appello, poiché ha chiarito che la Corte distrettuale aveva negato l’audizione delle sorelline, una volta verificato che entrambe non avevano all’epoca ancora compiuto i dodici anni e che non presentavano adeguata capacità di discernimento, in quanto immature per età e ritardo psichico non dovuto a loro carenze personali ma indotto dalla situazione familiare di deprivazione nella quale erano vissute, con ciò stabilendo che l’obbligo dell’ascolto del minore è circoscritto al giudizio di primo grado sempre che abbia compiuto il 12° anno di età e se di età inferiore solo se dotato di sufficiente capacità di discernimento. Pertanto, si ripete, il compimento del dodicesimo anno di età o l’acquisizione della sufficiente capacità di discernimento, nel corso del giudizio di appello non possono acquistare alcuna rilevanza, posto che, nel caso di specie, già il giudice di prime cure con argomentazioni logiche ed esaurienti aveva chiarito che le sorelline, all’epoca, si erano rivelate immature per le carenze di cure in ambito familiare, rimanendo così preclusa ogni possibilità di ascolto, senza con ciò incorrere in alcuna violazione dei principi vigenti in materia. Del resto il processo adozionale non è un processo “contro” i genitori ma volto a stabilire se questi sono in grado di garantire al figlio un contesto familiare adeguato alle sue esigenze di crescita e di maturazione. Non esiste infatti un “diritto del minore alle proprie origini” quanto piuttosto l’interesse a beneficiare di un ambiente idoneo per la migliore formazione della sua personalità. CASSAZIONE LE INDAGINI TRIBUTARIE EX OFFICIO IN MANCANZA DI UNA CONTESTAZIONE SPECIFICA SUL REDDITO DELL’ONERATO E LA MODIFICA DELL’ENTITÀ DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO IN CASO DI COSTITUZIONE UNA NUOVA FAMIGLIA Cass. civ. Sez. I, 22 marzo 2012, n. 4551 Presidente Carnevale Corrado Relatore Giacinto Bisogni Svolgimento del processo R.M. adiva il Tribunale de L’Aquila per ottenere la riduzione dell’assegno divorzile posto, a suo carico, in favore dell’ex moglie M.G. nella misura di Euro 469 mensili quale contributo al mantenimento della figlia F.. Assumeva il ricorrente che dopo il divorzio la sua condizione economica era sostanzialmente peggiorata in quanto si era risposato e aveva avuto un figlio e il nuovo nucleo familiare era interamente a suo carico. Il Tribunale de L’Aquila respingeva il ricorso cosi come quello incidentale della M. inteso ad ottenere un aumento dell’assegno divorzile. La Corte di appello de L’Aquila ha parzialmente accolto l’appello del R. riducendo l’importo dell’assegno divorzile mensile ad Euro 250. Ricorrono per Cassazione M.G. e R.F. affidandosi a tre motivi di impugnazione. Si difende con controricorso il R.. Motivi della decisione Le ricorrenti sottopongono alla Corte i seguenti quesiti a norma dell’art. 366 bis c.p.c.: (omissis) 4) se vi sia stata la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, artt. 4, 5 e 6, degli artt. 147, 148, 155 e 156 c.c. e dell’art. 30 Cost., anche attraverso una motivazione apparente e perplessa, avendo la Corte di appello de L’Aquila ritenuto sussistente e prevalente il diritto al mantenimento della nuova famiglia e dell’altro figlio dell’onerato rispetto al diritto al mantenimento della figlia economicamente dipendente dal genitore e nata da un precedente matrimonio e quindi avendo la Corte di appello de L’Aquila disatteso e violato il principio secondo il quale la formazione di una nuova famiglia non legittima di per sè una diminuzione del contributo per il mantenimento dei figli nati in precedenza, in quanto costituisce espressione di una scelta e non di una necessità e lascia inalterata la consistenza degli obblighi nei confronti della prole e avendo la Corte di appello de L’Aquila disatteso e violato altresì il principio secondo il quale a seguito della separazione o del divorzio, la prole ha diritto a un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza e che quindi il solo cambiamento della condizione familiare del genitore tenuto all’assegno, per la formazione di una nuova famiglia, e le sue accresciute responsabilità non legittimano di per sè una diminuzione del contributo per il mantenimento dei figli nati in precedenza, poichè la costituzione di un nuovo nucleo familiare è espressione di una scelta e non di una necessità e lascia inalterata la consistenza degli obblighi nei confronti della prole; 5) se vi sia stata la violazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., della L. n. 898 del 1970, artt. 4, 5 e 6, degli artt. 147, 148, 155 e 156 c.c. e dell’art. 30 Cost., anche attraverso una motivazione apparente e perplessa, avendo la Corte di appello de L’Aquila omesso ogni accertamento e valutazione, anche sulla base degli atti di causa, delle effettive condizioni reddituali e patrimoniali del genitore onerato; avendo la Corte di appello de L’Aquila, altresi, disatteso e violato il principio secondo il quale la L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 9, come pure l’art. 155 c.c., comma 7, in materia di separazione, disponendo che i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l’assunzione dei mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d’ufficio dal giudice, opera una deroga alle regole generali sull’onere della prova, attribuendo al giudice poteri istruttori di ufficio per finalità di natura pubblicistica, con la conseguenza che le domande delle parti non possono essere respinte sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano e che i provvedimenti da emettere devono essere ancorati a una adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori e delle esigenze di vita dei figli esperibile anche di ufficio; ed avendo la Corte di appello de L’Aquila disatteso e violato anche il principio secondo il quale la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, - il quale stabilisce che in caso di contestazioni, il giudice dispone indagini sui redditi e patrimoni delle parti, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria - ed il successivo art. 6, comma 9 - il quale dispone che i provvedimenti in materia di contributo per il mantenimento dei figli minori debbono essere emessi dopo l’assunzione di mezzi di ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 29 CASSAZIONE prova dedotti dalle parti o disposti d’ufficio dal giudice, introducendo il potere di disporre indagini ed assumere mezzi di prova d’ufficio, hanno operato una deroga alle regole generali sull’onere della prova, deroga comportante che le istanze delle parti relative al riconoscimento e alla determinazione dell’assegno divorzile o del contributo di mantenimento non possono essere respinte sotto il profilo della mancata dimostrazione, da parte dell’istante, degli assunti sui quali le richieste sono basate, norme, quelle richiamate, intese a sancire poteri istruttori d’ufficio per finalità di natura pubblicistica, che, stante l’identità della ratio, sono applicabili anche al procedimento di revisione delle disposizioni concernenti l’assegno di divorzio e il contributo di mantenimento dei figli minori, disciplinato dalla L. n. 898 del 1970, art. 9; (omissis) Per quanto riguarda i quesiti attinenti alla mancata disposizione di indagini d’ufficio dirette ad accertare l’effettivo reddito del R. non può che richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento, in sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l’esercizio del potere del giudice che, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, può disporre - d’ufficio o su istanza di parte - indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova; l’esercizio di tale potere discrezionale non può essere considerato anche come un dovere imposto 30 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche nè può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorie” già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicché la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati (Cass. civ., sezione 1, n. 2098 del 28 gennaio 2011). Nella specie la formulazione dei quesiti non consente di esercitare un controllo sulla specificità e analiticità della contestazione relativa all’assunto del R. circa la sostanziale corrispondenza del suo reddito a quello accertato in sede giudiziaria dall’epoca della sentenza di divorzio. Per quanto riguarda i quesiti attinenti alla non influenza automatica della costituzione, da parte del coniuge onerato, di una nuova famiglia sull’entità dell’assegno di mantenimento si rileva che secondo la giurisprudenza di questa Corte, ove, a sostegno della richiesta di diminuzione dell’assegno di divorzio, siano allegati sopravvenuti oneri familiari dell’obbligato, il giudice deve verificare se si determini un effettivo depauperamento delle sue sostanze in vista di una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti, salvo che la complessiva situazione patrimoniale dell’obbligato sia di tale CASSAZIONE consistenza da rendere irrilevanti i nuovi oneri (Cass. civ., sezione 1, n. 25010 del 30 novembre 2007), Se quindi la costituzione di una nuova famiglia non rappresenta un automatico presupposto che impone la rideterminazione dell’assegno di mantenimento è altrettanto errato ritenere che il sistema normativo si basa su una considerazione di non necessarietà della scelta del coniuge obbligato. Al contrario il diritto alla costituzione della famiglia è un diritto fondamentale anche nel contesto costituzionale e sovranazionale della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo del 1950 (art. 12) e come tale è riconosciuto anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 9) senza che sia possibile considerare il divorzio come limite oltre il quale tale diritto è destinato a degradare al livello di mera scelta individuale non necessaria. Nella specie il reddito del R. è stato ritenuto dalla Corte di appello invariato dall’epoca del divorzio mentre la circostanza di un nuovo matrimonio e della nascita di un figlio è stata correttamente valutata come giustificativa della modifica dell’entità dell’assegno di mantenimento. La natura della controversia che ha comportato una attenta e complessa valutazione delle esigenze delle parti giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 novembre 2011. IL PUNTO DI VISTA di MICHELA LABRIOLA PRESIDENTE DELLA SEZIONE DI BARI DELL’OSSERVATORIO La Suprema Corte in questa sentenza torna ad esprimersi su due importanti questioni dibattute da tempo in tema di assegno di divorzio ovvero le indagini tributarie delegate sui redditi degli ex coniugi ex art. 5 c. 9 l. 898/1970 e il diritto alla costituzione di una nuova famiglia da parte dell’onerato. La sentenza affronta il caso di un padre che richiedeva la riduzione dell’assegno divorzile di mantenimento della figlia atteso che, dopo il divorzio, la sua situazione economica era variata in peggio giacché si era risposato e aveva avuto un figlio. Soccombente in primo grado, il ricorrente in appello otteneva tale riduzione e di converso l’ex moglie proponeva ricorso in Cassazione. La prima questione concerne, in tema di determinazione e modifica dell’assegno di divorzio, il potere del giudice di disporre ex ufficio o su istanza di parte le indagini tributarie di cui all’art. 5, c. 9 l. 898/1970 introdotte dalla l. 74/1987 e quindi l’ampiezza dei poteri officiosi del giudice nell’accertamento dei redditi degli ex coniugi1. Tale strumento sussidiario introdotto dalla novella dell’87 consente un approfondimento probatorio molto penetrante. Difatti l’art. 5 c. 9 l. 898/1970 sancisce che i coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la loro dichiarazione personale dei redditi e ogni altra documentazione idonea. In caso di contestazioni, poi, il tribunale può - ove lo ritenga opportuno - disporre indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, avvalendosi anche della polizia tributaria. Tale strumento ha come finalità non solo quella di andare ad integrare il quadro probatorio esistente ma consente anche un controllo di attendibilità sulle produzioni documentali obbligatorie che vengono fornite dai coniugi ai fini della determinazione dell’assegno di divorzio. L’intenzione del legislatore dell’87 secondo autorevole dottrina è stata quindi proprio quella di mirare all’accertamento della verità materiale, tutelando il coniuge più debole economicamente dinnanzi al non rispetto del dovere di verità e di collaborazione dei coniugi nella formazione della prova, i quali sono tenuti a fornire ai giudice dettagliate informazioni sulla rispettiva situazione economica. All’uopo, un orientamento restrittivo che trova le sue fondamenta nel principio della domanda e nel principio dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. sostiene che i poteri officiosi del giudice avrebbero carattere residuale e non dovrebbero interferire con la dialettica processuale e con il diritto di difesa delle parti. Difatti per parte della dottrina e della giurisprudenza non sembra sussistere alcun obbligo del giudice di disporre le indagini sui redditi ex art all’art. 5, c. 9 l. 898/1970 ogni volta in cui sia contestato un reddito indicato e documentato: spetta infatti al giudice stesso la valutazione di detta esigenza, in forza del principio generale dettato dall’art. 187 c.p.c., che affida al giudice la facoltà di ammettere i mezzi di prova proposti dalle parti e di ordinare gli altri che può disporre d’ufficio, previa valutazione della loro rilevanza e concludenza (Cass. Civ. sent. 21 maggio 2002 n. 7435). La recentissima pronuncia degli ermellini, invece, aderisce ad un orientamento più estensivo già peraltro ribadito nel 2011 ( Cass civ., Sez I, sent. 28/01/2011 n. 2098). Viene sancito che posto che le indagini a mezzo della polizia tributaria sulle condizioni patrimoniali dei coniugi costituiscono espressione di un eccezionale potere ufficioso discrezionale del giudice, il coniuge che ne sollecita l’esercizio ha l’onere di proporre un’istanza circostanziata e fondata su fatti specifici, non essendo sufficiente la generica contestazione di quanto dedotto dall’altra parte. Segnatamente, quindi tale poottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 31 CASSAZIONE tere discrezionale non può sopperire alle carenze probatorie della parte onerata, ma vale ad assumere attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del bagaglio istruttorio già fornito incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova. In definitiva, il giudice non può. in mancanza di una contestazione sul reddito dell’onerato basata su fatti specifici e circostanziati, attivare tale indagini per fini meramente esplorativi. Rifacendosi a quest’ultimo orientamento la Suprema Corte, nella specie, respinge il motivo di ricorso dell’ex moglie, in quanto la contestazione diretta ad ottenere le suddette indagini tributarie in ordine alla situazione economica dichiarata dall’ex marito mancava di analiticità e pertanto il giudice in primo grado non era obbligato ad avvalersi di tale eccezionale strumento istruttorio ex art. 5, c. 9, l. 898/1970. Posto ciò, l’altra questione affrontata dalla Corte riguarda la modifica dell’entità dell’assegno di divorzio a seguito della costituzione di una nuova famiglia da parte dell’obbligato. Sul punto rilevano precedenti pronunce giurisprudenziali che sul presupposto di rendere intoccabile tale assegno, degradavano la possibilità della costituzione di una nuova famiglia a mera scelta personale dell’onerato avendo riguardo solo alle condizioni economiche degli ex coniugi. Difatti sulla scia di queste pronunce e in ossequio a quanto stabilisce l’art 5 l. 879/1970, data la natura assistenziale dell’assegno di divorzio, l’obbligo del coniuge a somministrare periodicamente all’altro tale assegno dipende, tenuto conto di tutti i criteri di determinazione dello stesso, dall’inadeguatezza dei mezzi di sostentamento del beneficiario e dalla sua incapacità oggettiva a procurarseli. Di contro, ove sia dedotto il miglioramento delle condizioni economiche del beneficiario, il giudice deve verificare se l’ex coniuge, titolare del diritto all’assegno, abbia acquistato la disponibilità di mezzi adeguati (ossia idonei a renderlo autonomamente capace) senza necessità di integrazione, ad opera dell’obbligato, per assicurare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. (Cass. civ., sez. I, sent. 04/04/2011 n. 7601; Cass. civ., Sez. I , sent. 24/05/2012, n. 8222) In particolare, la costituzione di una nuova famiglia e la nascita di un nuovo figlio non incide automaticamente sul diritto dell’ex coniuge a ricevere tale assegno, ma bisogna invece valutare la situazione patrimoniale dell’obbligato e l’oggettivo peso che le legittime esigenze di mantenimento della nuova famiglia hanno sulla capacità economica di quest’ultimo. 32 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 La pronuncia in questione, pur mantenendo in caso di richiesta di diminuzione dell’assegno di divorzio le condizioni economiche delle parti quale requisito per la revisione, aggiunge un ulteriore elemento di novità in punto di diritto. In particolare, se la costituzione di una nuova famiglia non rappresenta un automatico presupposto che impone la rideterminazione dell’assegno di mantenimento è altrettanto errato ritenere che il sistema normativo si basa su una considerazione di non necessarietà della scelta del coniuge obbligato. Quindi la Suprema Corte riconosce il diritto dell’ex coniuge obbligato a costituirsi una nuova famiglia sulla scorta della considerazione che il divorzio non può essere considerato quale limite a tale diritto, atteso che il diritto alla costituzione della famiglia è garantito non solo a livello costituzionale ma anche a livello sovranazionale dall’art. 12 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo del 1950 e dall’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. In questo quadro normativo richiamato dalla Suprema Corte, nella specie, atteso che non erano state esperite le indagini tributarie ed il reddito dell’ex marito è stato ritenuto dai Giudicanti invariato dall’epoca del divorzio, l’esistenza di un nuovo nucleo famigliare da parte dell’obbligato è stata valutata quale causa idonea per la riduzione dell’assegno di mantenimento nei riguardi della figlia primogenita. Note 1 L’art. 5 c. 9 l. 898/70 è pacificamente applicabile anche ai coniugi che si separano ed ora, per quanto riguarda i figli, dall’art.155 comma 6, c.c. e dall’art.155 sexies c.c. nella formulazione di cui alla l. 54/06 CASSAZIONE PER IL DIVORZIO A DOMANDA CONGIUNTA È OBBLIGATORIO IL PATROCINIO DEL DIFENSORE Cass. civ. Sez. I, 7 dicembre 2011, n. 26365 Presidente Maria Grazia Luccioli Relatore Carlo De Chiara Nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio su domanda congiunta, è necessario il ministero di un difensore ai sensi dell’art. 82, terzo comma, cod. proc. civ., trattandosi di procedura camerale che risolve una controversia su diritti soggettivi e di natura contenziosa, anziché volontaria, definita con provvedimento suscettibile di passare in giudicato (massima ufficiale). (omissis) Svolgimento del processo La Corte d’appello di Catania, in accoglimento del gravame della sig.ra M.C.R. ha dichiarato la nullità della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio dell’appellante con il sig. D.G., pronunciata dal Tribunale di Siracusa, sul rilievo che il ricorso con cui i coniugi avevano congiuntamente adito il Tribunale con la richiesta di cessazione degli effetti civili del matrimonio era stato sottoscritto dalle parti personalmente, mentre era necessario il ministero di un difensore ai sensi dell’art. 82 C.p.c. Il sig. D. ha quindi proposto ricorso per cassazione, cui l’intimata ha resistito con controricorso contenente anche ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno anche presentato memorie. Motivi della decisione 1.- I ricorsi, principale ed incidentale, vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 C.p.c.. 2.- Con l’unico motivo del ricorso principale si ribadisce la tesi della non necessità di ministero difensivo per la domanda congiunta di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, dando origine la stessa ad un procedimento camerale di volontaria giurisdizione. 2.1.- Il motivo è infondato. L’art. 82, comma terzo, C.p.c., stabilisce che davanti al Tribunale le parti stiano in giudizio a ministero di un difensore, salvo che la legge disponga altrimenti. Il ricorrente richiama Cass. n° 5814/1987 (riguardante fattispecie di designazione del coltivatore- erede ai sensi dell’art. 7 L. 29/5/1967 n° 379 sulla riforma fondiaria), che ha escluso, di regola, l’applicazione di tale norma per i procedimenti in camera di consiglio, qual è appunto quello originato dalla domanda congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell’art. 4, ult. co., L. 1°/12/1970 n° 898 e succ. modif.. Detta tesi, però, è stata ben presto superata nella giurisprudenza di questa Corte. Cass. n° 1848/1989, in dichiarato dissenso, ha osservato, sulla scorta anche di rilievi della dottrina, che “nei procedimenti camerali che risolvono una controversia su diritti soggettivi, con provvedimento (nella specie qualificato dalla nuova legge espressamente “sentenza”) suscettibile di passare in giudicato e ricorribile per cassazione, sussiste l’eadem ratio della necessità inderogabile della rappresentanza tecnica, che sta alla base dell’art. 82 C.p.c. (salva espressa contraria specifica norma…)”; ha pertanto affermato la necessità del ministero del difensore nei procedimenti camerali di delibazione di sentenza ecclesiastica in materia matrimoniale, e la giurisprudenza successiva si è orientata in senso conforme (cfr. Cass. n° 2643/1989, 2684/1989, 3099/1989, 5831/1989, 4260/1990, 5025/ 1990, 5026/1990). Dunque, il carattere decisorio del provvedimento del giudice, attribuendo al relativo procedimento camerale natura contenziosa anziché volontaria, comporta l’applicazione della regola della necessità della difesa tecnica, come per tutti gli altri giudizi contenziosi regolati secondo il rito ordinario. Nel caso dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio chiesto congiuntamente dai coniugi, la decisorietà del provvedimento che lo dispone è evidente, trattandosi di provvedimento che incide sicuramente su diritti soggettivi ed è assunto con sentenza destinata a passare in giudicato. Il ricorrente sostiene che il procedimento di divorzio su istanza congiunta delle parti non abbia natura contenziosa perché le parti non hanno interessi contrapposti, ma concordano nella richiesta rivolta al giudice. A ciò va replicato ribadendo che è il carattere decisorio del provvedimento del giudice, ossia la sua incidenza su diritti soggettivi o status con l’efficacia propria del giudicato, che conferisce carattere contenzioso - piuttosto che volontario - al relativo giudizio, e non le posizioni in concreto assunte dalle parti; inoltre, il carattere “congiunto” della domanda non significa “consensualità” dello scioglimento del matrimonio, quasi che fosse la volontà delle parti e non il provvedimento del giudice a produrlo, salva la mera omologazione giudiziale, come avviene per la separazione consensuale dei coniugi (cui pure fa riferimento il ricorrente nelle sue difese): è invece il tribunale che decide in base alla verifica - che è sua prerogativa - dell’esistenza dei presupposti di legge, oltre che della valutazione della rispondenza delle ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 33 CASSAZIONE condizioni indicate dagli istanti all’interesse dei figli (art. 4, ult. comma, cit.). Va infine precisato che la tesi qui sostenuta non si pone in contrasto con le considerazioni svolte da questa Corte - e ampiamente riportate nella memoria del ricorrente - nella sentenza n° 25366 del 2006 riguardante l’onere del patrocinio nei procedimenti in materia di amministrazione di sostegno. In particolare non vi è contrasto con l’affermazione che il discrimine fra necessità e facoltà del patrocinio non può essere individuato nel carattere contenzioso o volontario del procedimento: tale affermazione, invero, è fatta in quel precedente solo nel senso che la necessità del patrocinio può sussistere anche in procedimenti volontari, non già per negare detta necessità nei procedimenti contenziosi. 3.- Il ricorso incidentale (con cui si deduce l’incompletezza del ricorso in primo grado e la revocabilità del consenso manifestato dal coniuge con la sottoscrizione di esso) resta assorbito perché logicamente condizionato. 4.- Le spese processuali (…) seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna il ricorrente alle spese processuali (…). IL PUNTO DI VISTA di GIANCARLO SAVI RESPONSABILE DELLA REGIONE MARCHE DELL’OSSERVATORIO Il difensore nel giudizio divorzile a ricorso congiunto ed in quello di separazione consensuale 1. Il caso La pronuncia annotata costituisce un punto fermo sulla presenza del difensore nel giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, a domanda congiunta, di cui all’art. 4, co. 16, l. div.. Una premessa minima impone il richiamo di quel canone fondamentale del nostro ordinamento processuale civile rappresentato dal combinato disposto di cui agli artt. 82 e 125 c.p.c., in esatta esplicazione del dettato costituzionale, che con il cardine di cui all’art. 24 assicura ai singoli, in conformità alle norme convenzionali sovraordinate, l’inviolabilità del diritto alla difesa, e con l’altro cardine di cui all’art. 111 garantisce che l’attività giurisdizionale deve procedere all’attuazione del diritto con le regole del giusto processo; secondo il co. 3, dell’art. 82, appena richiamato, “Salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti, davanti al tribunale…le parti debbono stare 34 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente…”; pacifica e consolidata la conclusione secondo cui l’atto introduttivo del giudizio che viola tale basilare regola del procedere è inficiato di nullità, radicale ed insanabile, che determina l’inammissibilità della domanda di tutela al suo scrutinio nel merito, e quindi la nullità dell’eventuale decisione resa. Nella fattispecie, i giudici di legittimità venivano investiti dal ricorso di un coniuge che, impugnando la decisione della corte territoriale, dichiarativa della nullità appena descritta della sentenza di primo grado, sul rilievo che il ricorso con il quale era stato adito il tribunale risultava sottoscritto soltanto dai coniugi, personalmente, lamentava non necessaria la rappresentanza e l’assistenza di un difensore per la proposizione della domanda congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio, siccome, in questa ipotesi, similmente che nella separazione consensuale, il ricorso non da origine ad un procedimento contenzioso, ove le parti perseguono interessi contrapposti, bensì esse concordano nella richiesta e sulle condizioni, ed il procedimento si svolge secondo la forma camerale di giurisdizione “volontaria”; con la reiezione di una tale prospettazione la Corte fuga ogni anteriore residua perplessità, riaffermando l’imprescindibile necessità della difesa tecnica nel giudizio divorzile a domanda congiunta. L’esattezza del risultato cui la Cassazione è pervenuta, a quanto consta, per la prima volta1, obiettivamente, non è revocabile in dubbio. Tale risultato d’altronde è condiviso dalla dottrina nel momento in cui diffusamente evidenzia che tale peculiare procedimento incarna una “facilitazione processuale”, ma non altera il tema sostanziale dei diritti sottoposti al vaglio decisorio2. Non altrettanto appagante può dirsi l’inciso argomentativo della motivazione che pone il raffronto con l’ipotesi del giudizio di separazione dei coniugi per il solo consenso, ex artt. 150, 158 c.c. e 711 c.p.c., per trarne argomento rafforzativo nel discrimine tra una “domanda congiunta” da sottoporre alla verifica decisoria nel merito e una “consensualità soggetta a mera omologazione”; e questo accostamento costituisce occasione preziosa per alcune puntualizzazioni in ordine alla problematica che similarmente si pone nel giudizio di separazione consensuale dei coniugi. L’analisi della pronuncia in commento parte dall’affermazione per cui il giudizio di divorzio, anche ove promosso dai coniugi con lo stesso ricorso, è un procedimento che incide su status e diritti soggettivi e si chiude sempre con sentenza, ossia con un provvedimento che per la sua forma ha l’ontologica attitudine a conseguire l’autorità del giudicato, mentre l’opzione per le forme camerali non muta certo la sua natura contenziosa (trasformandola in CASSAZIONE “volontaria”); e difatti, la domanda congiunta costituisce soltanto un’ipotesi alternativa di proposizione dell’azione divorzile e non esime il tribunale dal verificare, parimenti, la ricorrenza o meno dei presupposti per la pronuncia di status invocata dai coniugi, né lo esime dalla valutazione in ordine alla rispondenza delle condizioni indicate all’interesse dei figli (e si ritiene che non lo esime neppure dalla valutazione d’equità ex art. 5, co. 8, l. div.). Pur fugacemente, la Corte in sostanza riafferma tutti gli argomenti che portano da tempo l’interprete a ravvisare anche nel procedimento di divorzio a ricorso congiunto un procedimento contenzioso, per il cui svolgimento le forme camerali costituiscono soltanto la soluzione adottata dal legislatore per un procedimento speciale, in funzione acceleratoria, ad effettiva tutela delle posizioni di diritto ivi coinvolte, ed in primo luogo dello status libertatis dei singoli; al giudizio risultano comunque estese tutte le garanzie essenziali dell’iter ordinario (tra le quali spicca la garanzia della ricorribilità per cassazione, pur con la singolare peculiarità dell’adozione delle forme camerali sia in primo grado che in appello). Infatti, la Cassazione conferma che nessun discrimine può in realtà farsi derivare dall’adozione del procedimento avanti “al tribunale in camera di consiglio”, sancito nell’art. 4, co. 16, l. div., che non può per ciò solo qualificarsi come di giurisdizione “volontaria”; peraltro, quest’ultima è categoria procedimentale unanimemente considerata di ardua catalogazione sistematica, attesa la vistosa disomogeneità delle ipotesi ricadenti nell’ambito di applicazione delle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio ex art. 737 ss. c.p.c.; ed ancor più fragile risulta l’argomento per cui nel procedimento in camera di consiglio sarebbe esclusa, in via di principio e per ciò solo, la garanzia della difesa tecnica. Diffuso è infatti nell’attuale ordinamento positivo il ricorso alle forme camerali anche per la tratta- zione di affari obiettivamente contenziosi, e cioè che attingono diritti soggettivi dei singoli e status; il fenomeno della c.d. “cameralizzazione dei diritti”3 è stato ripercorso sia pure con qualche omissione anche quanto a precedenti insegnamenti4; sul punto, è risultata così espressamente sconfessata la tesi del ricorrente che invocava il lontano precedente di Cass., Sez. I, 3/7/1987 n° 58145, ove si rinveniva l’anteriore tradizionale insegnamento, secondo cui, nei procedimenti di giurisdizione “volontaria”, non è necessario il patrocinio difensivo prescritto dall’art. 82 c.p.c.; il percorso argomentativo ha portato la Corte al paragone, certamente meglio calzante, con l’ipotesi del procedimento camerale, promosso a ricorso congiunto, innanzi alla corte d’appello per la delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio, individuando nell’insegnamento di Cass., Sez. I, 18/4/1989 n° 18486, la svolta segnata dal criterio della natura contenziosa del relativo giudizio, a prescindere dall’adozione o meno del rito camerale, con la conseguente applicazione della regola generale a garanzia della difesa tecnica, di cui all’art. 82, co. 3, c.p.c.; indirizzo poi consolidatosi in innumerevoli altri insegnamenti di identico segno7. Il carattere contenzioso è saldamente ancorato ai diritti e status oggetto del procedimento; ed infatti, i coniugi attraverso la domanda giudiziale proposta con il ricorso congiunto in parola, perseguono in primo luogo lo scioglimento del vincolo del matrimonio e questo nuovo status, anzi, è esatto dire, questo recupero dello status libertatis, del quale chiedono tutela, a tenore dell’art. 149 c.c., non presuppone il consenso delle parti (in sé e per sé considerato), bensì la domanda e l’identico accertamento della ricorrenza obiettiva di una delle cause tassativamente prefigurate dalla legge; questa pronuncia, qualificata espressamente avente sempre la forma di sentenza (secondo l’eccezione prefigurata dall’art. 737 c.p.c.), ha certamente carattere decisorio, di natura costitutiva, ed è senz’altro idonea al formarsi del giudicato, anzi, con la nota efficacia estesa ai terzi8; sia che il divorzio venga domandato dall’un coniuge verso l’altro, che a ricorso congiunto, la sentenza del tribunale è appellabile e non “reclamabile”; il gravame è deciso sempre in camera di consiglio, pur estese ad esso tutte le garanzie del procedimento d’appello ordinario9, e la pronuncia d’appello sempre identicamente ricorribile per cassazione; questi essenziali rilievi, confermano con forza l’esattezza del percorso ermeneutico secondo cui “l’eventuale intesa delle parti nel chiedere ed ottenere un determinato provvedimento non vale di per sé a farlo rientrare nell’ambito della giurisdizione volontaria, essendo decisivo al riguardo non la comune volontà delle parti, ma l’oggettiva contraddittorietà tra questa ed il regime giuridico del matrimonio, che rende comunque indispensabile l’accertamento giurisdizionale”10; da aggiungere, come, ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 35 CASSAZIONE a tenore del medesimo art. 4, co. 16, ult. cpv., l. div., nella sola ipotesi che “il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui al comma 8”; tale mutamento di rito non inerisce la domanda di status, che pertanto viene accolta o respinta, con lo stesso incedere procedurale, sulla base dell’imprescindibile accertamento giurisdizionale ripetutamente indicato. La Corte si premura inoltre di confutare altro profilo della tesi del ricorrente, il quale invocava anche l’insegnamento di Cass., Sez. I, 29/11/2006 n° 2536611 in tema di sostegno personale; come noto, il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno oscilla tra ipotesi che possono largamente divergere quanto all’incidenza sui diritti fondamentali della persona, sino ad “avvicinarsi” agli effetti, alle limitazioni o decadenze che conseguono all’interdizione od all’inabilitazione12; l’esigenza della necessaria presenza del difensore è direttamente connessa ai diritti che ivi si agitano nel singolo caso concreto; un tale contorsionismo non convince pienamente, rinvenendosi ancora margini di incertezza in relazione alla singola fattispecie; invece, è oltremodo convincente l’argomento dell’organo di legittimità, secondo cui “il discrimine non può essere individuato nel carattere contenzioso o volontario del procedimento”; altrettanto convincente la sottolineatura per cui l’insegnamento di quel precedente, in realtà, va inteso “solo nel senso che la necessità del patrocinio del difensore può sussistere anche in procedimenti volontari” e, quindi, tutt’altro che invocabile per negare detta necessità imprescindibile, per un corretto esplicarsi dei diritti costituzionali di difesa e di garanzia del contraddittorio, nei procedimenti contenziosi. Non ravvisandosi pertanto alcuna delle ipotesi derogatorie di cui è parola nell’art. 82, co. 3, c.p.c., neppure per via interpretativa (quale è quella che sarebbe sottesa alla equazione procedimenti camerali = procedimenti di giurisdizione “volontaria”), gioco forza la conclusione secondo cui sussistendo l’eadem ratio della necessità inderogabile della difesa tecnica, che sta alla base della regola generale ex art. 82 c.p.c., la sentenza pronunciata con violazione di tale apporto, a garanzia del metodo di giudizio che attinge i diritti dei singoli, è nulla. 2. Il punto di vista critico Così condivisa la pronuncia in commento, veniamo ora al motivo di dissenso. La Suprema Corte nel motivare il proprio insegnamento nomofilattico, afferma testualmente, “il carattere “congiunto” della domanda non significa “consensualità” dello scioglimento del matrimonio, quasi che fosse la volontà delle parti e non il provvedimento del giudice a produrlo, salva la mera omologazione giudiziale, come avviene per la separazione consensuale dei coniugi 36 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 (cui pure fa riferimento il ricorrente nelle sue difese): è invece il tribunale che decide in base alla verifica -che è sua prerogativa- dell’esistenza dei presupposti di legge, oltre che della valutazione della rispondenza delle condizioni indicate dagli instanti all’interesse dei figli”. Con tale argomento, dal connotato rafforzativo, invero non indispensabile nell’economia dell’insegnamento posto e contraddittorio, la Corte, pur non considerando adeguatamente che la domanda giudiziale, sia nell’una che nell’altra ipotesi, deve sempre essere proposta dai coniugi (cui compete anche l’indicazione delle condizioni) e su essa deve scendere il dovere decisorio pertinente, palesemente differenzia il divorzio a ricorso congiunto di cui agli artt. 149 c.c. e 4, co. 16, l. div., dalla separazione consensuale dei coniugi di cui agli artt. 150, 158 c.c. e 711 c.p.c.13. Deduzione logica plausibile, seppur affatto scontata, appare quella secondo cui nel procedimento in camera di consiglio per separazione consensuale, a differenza di quello per divorzio a ricorso congiunto, allora, la difesa tecnica non sarebbe necessaria, e quindi lo jus postulandi apparterrebbe anche ai coniugi, personalmente; desta così interesse la catalogazione, seppur fuggevole, del procedimento di separazione consensuale dei coniugi come di mera omologazione della volontà delle parti; anche se la Corte in verità non l’esprime, sembra come rimasta appesa in aria l’ulteriore enumerazione del medesimo procedimento di separazione consensuale tra quelli di cosiddetta giurisdizione “volontaria”, che non necessiterebbero in genere o per ciò solo, del patrocinio difensivo. Ora, ai fini che qui ci occupano, sembra privo di reale rilevanza interrogarsi ancora in ordine al quesito teorico del se il procedimento di separazione consensuale possa essere considerato un procedimento rientrante o meno tra quelli di giurisdizione “volontaria”, in quanto solo prima facie il tema evoca CASSAZIONE la soluzione del quesito; non è infatti revocabile in dubbio che il procedimento in parola è un procedimento “speciale” e come la garanzia della difesa tecnica (sia essa espressamente indicata dalla norma di legge che frutto dell’attività ermeneutica) non è certo incompatibile con i procedimenti di giurisdizione “volontaria”, come riconosce, fermamente ed in via di principio, la stessa pronuncia annotata; d’altro canto, pur in presenza di contraddizioni serie e stridenti, non v’è difficoltà a riconoscere subito, che l’espresso nomen iuris di decreto per il provvedimento di omologazione e l’indirizzo consolidato della stessa Suprema Corte, che ne esclude l’ammissione allo scrutinio di legittimità, siccome non decisorio, né definitivo14, non consente di incamminarsi agevolmente sul percorso di una equiparazione tout court ai procedimenti sostanzialmente contenziosi (similare a quella richiamata dalla Cassazione nella decisione annotata), ovvero di ipotizzarne l’idoneità al giudicato sostanziale. Se non ci si vuol limitare all’agevole affermazione secondo cui anche nei procedimenti camerali è necessaria la difesa tecnica, in quanto la norma generale di cui all’art. 82 c.p.c. (enumerata nel libro primo del codice di rito), è senz’altro applicabile a tutti i procedimenti avanti al tribunale, quindi anche a quelli speciali, salva la singola ed espressa disposizione derogatoria15, ed inoltre, se si vuol resistere alla tentazione di porre al confronto di somiglianza l’accertamento del tribunale in sede di divorzio a ricorso congiunto rispetto a quello in sede di separazione dei coniugi consensuale16, e si voglia, invece, cercare di superare il dubbio insinuato da quel percorso motivo della pronuncia annotata, appare allora, ben più pertinente, ripercorrere prima l’incedere processuale che la legge fissa, nell’una e nell’altra alternativa che porta alla statuizione con cui si rende efficace la separazione dei coniugi, per passare poi all’analisi sostanziale dei diritti ed interessi parimenti attinti. Sia nel procedimento consensuale che in quello giudiziale, è prevista una domanda da formularsi con ricorso (anche nel consensuale il ricorso può essere presentato da uno soltanto dei coniugi), la sua iscrizione al ruolo del tribunale adito17, l’emissione del decreto di comparizione personale con fissazione dell’udienza avanti al presidente del tribunale, quindi la celebrazione dell’udienza incentrata sull’esperimento del tentativo di conciliazione (con lo scopo di salvare la famiglia fondata sul matrimonio) e solo a questo punto, all’esito negativo, la procedura ed il provvedimento giudiziale si diversificano; nella separazione consensuale, fallito il detto tentativo di conciliazione, il presidente deve raccogliere nel processo verbale il consenso dei coniugi allo status di vita separato e le condizioni da essi indicate per questo nuovo regime, riguardanti i coniugi stessi, la prole ed eventualmente le altre pattuizioni “occasionate”, per poi riferirne al collegio ai fini dell’omologazione; nella separazione giudiziale, rimasta senza esito l’identica tentata conciliazione18, il presidente del tribunale emette l’ordinanza contenente i provvedimenti anticipatori ex art. 708 C.p.c., per la durata del giudizio di merito, pur soggetta a reclamo, a modificazione e dotata di peculiare stabilità, mentre con la nomina dell’istruttore e la fissazione dei termini alle parti per la costituzione e le integrazioni, la causa prosegue nei modi ordinari, sfociando nella sentenza ma con la peculiare possibilità di scindere la decisione con l’emanazione della cosiddetta sentenza di status19. Nel procedimento di separazione giudiziale la difesa tecnica del coniuge è indubbiamente imprescindibile sin dall’introduzione del giudizio, a pena di nullità del procedimento e della sentenza che lo conclude, secondo il consolidato indirizzo in caso di violazione dell’art. 82 c.p.c.20. Ed allora, intanto non si rinviene per il procedimento di separazione consensuale alcuna norma derogatoria, né si individua un canone di interpretazione che consenta di accedere senza perplessità ad una tale importante divaricazione (escludendo, come premesso, di far riferimento a quell’attività ermeneutica che astrattamente tende a catalogare, secondo tradizionale concezione, il procedimento tra quelli soggetti all’attività giurisdizionale “volontaria” e, per ciò solo, a porci fuori dal perimetro di operatività della garanzia di difesa tecnica in questione). Ci troviamo in realtà a fronte di una pronuncia (seppur nominata “omologazione”) che riconosce la separazione coniugale ed imprime efficacia all’accordo con cui i coniugi hanno fissato il regime delle condizioni, cioè, ad una statuizione che attinge lo stesso status e regolamenta gli stessi diritti ed interessi nel momento della crisi del rapporto matrimoniale/familiare, mentre si producono gli stessi effetti sostanziali Invero, è rinvenibile nell’art. 707, co. 1, c.p.c., applicabile anche al procedimento di separazione consensuale (per il combinato disposto ex artt. 711 e 708 c.p.c., che ovviamente presuppongono la previsione assistita nella dinamica della comparizione personale delle parti ex art. 707, co. 1, c.p.c.), una norma espressa, che di per sé sola ci consente di portare a soluzione obiettiva la questione, in quanto, non solo il legislatore non ha inteso derogare alla garanzia della difesa tecnica del coniuge, bensì l’ha addirittura “imposta” espressamente (“I coniugi debbono comparire personalmente davanti al presidente con l’assistenza del difensore”); e trattasi di norma identica a quella rinvenibile a presidio del rito divorzile (art. 4, co. 7, l. div.21). Si è discusso, ed oggi la questione sembra superata, in ordine alle conseguenze di una tale violazione nel caso in cui il coniuge convenuto compaia ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 37 CASSAZIONE personalmente senza l’assistenza di difensore22; questo tema però non mette certo in discussione il principio indicato, trattandosi in buona sostanza soltanto di risolvere la questione del sé il coniuge convenuto, non volendo nominare un difensore, possa essere ammesso o meno all’ascolto personale23. Ciò che unicamente qui rileva è che il principio costituisce un dato inderogabile dell’ordinamento processuale positivo: la difesa del coniuge, nei procedimenti di separazione personale, è necessaria in tutti i suoi momenti, sin dalla comparizione personale; e ben sappiamo che fallito il tentativo di conciliazione esperito dal presidente, raccolto da questi al verbale il consenso dei coniugi alla separazione e fissate le condizioni concordate a disciplina di tale nuovo status, il procedimento prevede poi soltanto (salvi gli approfondimenti istruttori, oggi estesi per effetto della novella di cui alla L. 8/2/2006 n° 54, e precipuamente quelli ex art. 155sexies c.c.) che il presidente, assunto il parere del P.M., rimetta gli atti al collegio ed ivi riferisca in camera di consiglio ai fini dell’omologazione o meno dell’accordo; ma già anteriormente era presente l’insegnamento24 per cui la presenza del difensore fosse a maggior ragione necessaria, e quindi ammessa, appena terminata la fase processuale che si concludeva con il vano esperimento del tentativo di conciliazione e sino all’omologazione25; perciò, se quello era l’unico momento processuale, diciamo così, soggetto a deroga o comunque al legittimo dubbio dell’interprete, in virtù della natura e della funzione del tentativo di conciliazione, il legislatore ha inteso fugarlo espressamente. Come ben noto l’indicato attuale tenore normativo è frutto dell’ultima stagione di riforme in materia26, che sul punto ha radicalmente innovato il quadro anteriore27, ove l’intervento del difensore era escluso (originario art. 707, co. 1, c.p.c.), tanto che costituiva una di quelle ipotesi di espressa deroga di cui è parola nell’art. 82, co. 3, c.p.c.. Questa anteriore disciplina venne dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale28, che vi pose rimedio, cancellando quel divieto e riconoscendo al coniuge che intendeva valersi della difesa tecnica, un diritto corrispondente alla garanzia inviolabile presidiata dalla carta fondamentale, sebbene in termini di facoltà e non obbligatorietà29. Il tema, sotto l’anteriore regime (come peraltro adeguato per effetto dell’art. 23 L. 6/3/1987 n° 74, con estensione della novella all’art. 4 l. div.), aveva dato adito ad innumerevoli questioni e sotto vari profili, che qui non è il caso di ripercorrere storicamente30; ciò non di meno, anche sotto questo regime emergeva con forza l’esigenza di un apporto della difesa tecnica, quale utile risorsa anche in vista del raggiungimento di una soluzione concordata tra i coniugi/genitori, obiettivo e prima ancora, metodo, che 38 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 per effetto di una lunga stagione di riforme (tra cui quella di cui alla L. 1°/12/1970 n° 898, adeguata nel 1987, la L. 19/5/1975 n° 151, sino alla L. 8/2/2006 n° 54), assumeva lo spessore di autentica chiave di volta dell’intero sistema nel vigente diritto di famiglia, anche nel momento di crisi e disgregazione della vita familiare, al fine di trovarne la miglior composizione e proprio per l’estrema complessità dei rapporti giuridici, a valenza primaria per i singoli, che ne risultano coinvolti. Quest’ultimo inciso ci riporta all’esigenza, sopra prefigurata, di passare all’analisi sostanziale dei diritti ed interessi attinti nei giudizi di separazione personale dei coniugi. Un importante insegnamento della Corte di Cassazione recita oramai tralatiziamente come “l’accordo di separazione coniugale31 costituisce l’espressione della capacità dei coniugi di autodeterminarsi responsabilmente, ponendosi come uno dei momenti più significativi della negozialità nell’ambito delle vicende familiari”32. Sotto altro profilo, non v’è dubbio che il potenziale “oggetto” dell’accordo di separazione consensuale è ben più vasto di quello essenziale riservato al procedimento contenzioso; oggetto del decidere, quest’ultimo, che al di là della questione personale di status, viene tracciato dalle disposizioni ex artt. 155 ss., c.c., come novellate dalla L. 8/2/2006 n° 54 e dall’art. 156 c.c. in presenza del coniuge svantaggiato. Infatti, il contenuto dell’accordo in parola può estendersi ad atti dispositivi e regolamentazioni (compensative, restitutorie, retributive, risarcitorie, ecc.) di più ampia natura ed eterogeneità33, tale da poter essere destinato alla soluzione dell’intero assetto dei rapporti sviluppatisi nel corso della vita matrimoniale, esigenza di definizione insorgente proprio in occasione della separazione e che non è direttamente collegata ai diritti ed ai doveri nascenti dalla separazione coniugale stessa, ed a quanto sembra, stando agli ultimi arresti giurisprudenziali, persino in vista del divorzio34. Questa semplice constatazione induce subito alla riflessione, persino istintiva, secondo cui anche nell’ordinaria esplicazione negoziale di diritto comune le parti vengono di norma assistite da un pubblico ufficiale rogante, il notaio35, tanta e tale è la complessità tecnico-giuridica della formalizzazione dei singoli contratti, di tal ché risulterebbe ben singolare che il coniuge in quella sede giurisdizionale non sia garantito neppure da difesa tecnica, svolgendosi attività eminentemente negoziale e per di più atipica destinata ad un organo giurisdizionale od avanti ad esso, organo che evidentemente non può “partecipare attivamente” alla migliore od opportuna formazione ed esplicazione della stessa volontà negoziale privata, per evidenti ragioni di terzietà ed imparzialità36; e si noti che il difetto di garanzia della difesa varrebbe, in ipotesi, anche nel caso in cui l’omologazione venisse allo stato rifiu- CASSAZIONE tata, con nuova convocazione dei coniugi37, magari proprio per l’errata formulazione tecnico-giuridica dell’accordo. Non sembra certo revocabile in dubbio che le condizioni divorzili, fissate nel ricorso congiunto, siano parimenti espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi; ed allora emerge con evidenza, anche per tale via, l’irrazionalità dell’eventuale assenza di difesa tecnica, nel solo procedimento di separazione dei coniugi consensuale, non foss’altro che per il canone dell’analogia. Già in altra sede38, descrivendo il percorso tortuoso e complesso di tale autonomia negoziale dei coniugi/genitori, ed analizzando peculiarmente l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità in tema, individuata la legittimazione ed il fondamento di validità ed efficacia delle manifestazioni negoziali dei coniugi, si poteva porre in evidenza il limite di tale autonomia, siccome non idonea di per sé sola a produrre gli effetti di status o ad attingere le tutele inderogabili dei diritti e dei doveri che rispondono ad esigenze di ordine pubblico. L’accento cadeva sulla constatazione per cui è lo stesso matrimonio un rapporto che nasce dall’espressione (solenne, innanzi a celebrante con potere accertativo e dichiarativo) della volontà dei nubendi, si sviluppa armonicamente sul canone basilare del concorde indirizzo della vita familiare (centralità del principio del consenso -ontologicamente coerente con l’eguaglianza e l’autonomia- per il quale la ricerca dell’accordo quale metodo di attuazione dei doveri nascenti dal matrimonio, costituisce ulteriore dovere coniugale, che abbraccia tutti gli aspetti della convivenza e si sostanzia nel tener conto del parere dell’altro), ed è infine alla stessa libera volontà del coniuge che può conseguire lo status di separato e di cessazione del vincolo; veniva così in evidenza l’estrema complessità tecnico-giuridica della separazione consensuale dei coniugi, nel momento in cui necessariamente si deve coniugare la modificazione costitutiva in ordine allo status, con il diritto dei coniugi di autodeterminarsi pattiziamente e con l’attribuzione ai risultati così raggiunti della necessaria validità ed efficacia, attraverso il provvedimento giudiziale di omologazione. Quell’analisi ci consente qui di pervenire subito ad una agevole distinzione: un conto è il consenso espresso dai coniugi39 ed un altro conto è la verifica di legittimità (in ordine alla validità dell’iter ed al “consenso” espresso40) e di merito (in ordine alle condizioni per la prole in età minore ed alla compatibilità con le norme fondamentali ed inderogabili di ordine pubblico), del tribunale chiamato ad omologarla, al fine di conferirgli efficacia giuridica (artt. 158, co. 1, c.c.), con decreto che produce effetti equiparabili41 a quelli che derivano dalla sentenza di separazione giudiziale. E difatti, anche il decreto di omologazione ex artt. 150, 158 c.c. e 711 c.p.c., al pari della sentenza ex artt. 151 c.c. e 706 ss. c.p.c., modifica lo status dei coniugi ed imprime efficacia al regolamento dei medesimi diritti inderogabili; la sostanza non cambia se anche ci si volesse limitare a registrare che il decreto di omologazione in parola assolve alla funzione costitutiva della separazione personale dei coniugi. Per quel che qui interessa, evidente risulta la compromissione dei medesimi diritti soggettivi ed interessi; infatti, nessuno in realtà dubita che la separazione coniugale, attribuisce un nuovo status ai coniugi e fissa il nuovo regime di vita tra loro e verso la prole (se presente), incidendo su quel coacervo di diritti, doveri ed obblighi, che sino ad un momento anteriore regolavano la situazione giuridica presupposta, e cioè il vincolo coniugale nella sua fisiologica espressione di armonica vita comune nel quotidiano. Sia il decreto di omologazione che la sentenza, alterano profondamente questa situazione giuridica presupposta e divengono il titolo del nuovo status, peraltro indispensabile in quel percorso volto d’ordinario al recupero dello status libertatis dei medesimi coniugi. Se così è, indubbia la costituzione di nuovi effetti giuridici, nell’una, o nell’altra ipotesi; quindi, non si tratta affatto di una funzione giurisdizionale volta ad adiuvare o controllare meramente il formarsi della volontà individuale dei coniugi o l’esplicarsi della loro autonomia negoziale, che li porta al raggiungimento di una sintesi concordemente voluta; in una parola, ove si colga pragmaticamente il tratto saliente, il tribunale nell’omologare la separazione dei coniugi non si limita ad una mera presa d’atto, risolvendo invece, sempre, quel contrasto obiettivo tra il volere dei coniugi e la legge, che in via di principio, non consente la risolubilità ad nutum o per mutuo consenso del rapporto matrimoniale. Tanto ciò appare razionalmente evidente ove si consideri che è previsto l’identico intervento delottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 39 CASSAZIONE l’organo requirente e le condizioni, fissate sempre rebus sic stantibus, si possono modificare, al sopravvenire di nuove circostanze, indifferentemente, con il medesimo procedimento camerale ex art. 710 c.p.c.; procedimento avente sempre natura contenziosa, ove, come ben noto, vige il rispetto del principio del contraddittorio, il diritto alla prova, è ammesso il controllo nel merito ed in iure attraverso i gravami, ivi compreso quello di legittimità, ed ovviamente è imprescindibile la garanzia della difesa tecnica42. Come identiche sono le conseguenze dell’eventuale riconciliazione (ancora “di comune accordo”, come precisa l’art. 157 c.c.), attraverso la quale evenienza vengono a cessare gli effetti della separazione, anche ove pronunciata con sentenza43, identicamente d’altronde all’ipotesi di riconciliazione in pendenza di giudizio (come si desume dall’art. 154 c.c.). In un simile contesto, risulta allora arduo discriminare l’esigenza di difesa tecnica, escludendola per la separazione consensuale, cioè proprio nel procedimento ove l’esigenza di conoscenze tecnicogiuridiche si affollano maggiormente e con il massimo grado di difficoltà (certamente non inferiori a quelle della sede divorzile a ricorso congiunto). A volerci limitare anche soltanto ad alcune esemplificazioni, con il fine dichiarato di mettere bene in luce il razionale e condivisibile fondamento secondo cui il legislatore, nella sua ampia discrezionalità nel regolare l’incedere di ogni singolo procedimento giurisdizionale, ha inteso imporre la difesa tecnica, a garanzia dei diritti dei coniugi/genitori e della prole44, che ivi si agitano, con quella complessità giuridica e sensibilità per le sfere primarie del singolo, il pensiero corre immediatamente a tutte le questioni ricorrenti. Così appare assolutamente impensabile che il coniuge personalmente, salvo che per casuale evenienza rivesta adeguate qualifiche professionali (gli esercenti le professioni forensi sono dotati peraltro della speciale facoltà di patrocinio in causa propria), od abbia altrimenti acquisito quelle specifiche conoscenze, sia in grado di razionalmente distinguere, nel contesto delle esigenze di corretta ed adeguata espressione del consenso e di redazione dell’accordo di separazione, conforme alla reale e consapevole volontà, da sottoporre all’omologazione, la differenza che corre tra una dichiarazione che riconosca insussistenti i presupposti per la previsione di un assegno di mantenimento coniugale e la dichiarazione di espressa rinuncia45 ad una tale misura, ovvero della transazione o del mero silenzio su di un tale diritto, e poi, di comprendere a fondo gli effetti e le conseguenze, con lo sguardo rivolto al futuro, magari nella successiva sede divorzile. E che dire poi della difficoltà di comprensione tecnico-giuridica in ordine alla reale stabilità del de40 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 creto di omologazione reso dal tribunale ? Il tema è certamente difficoltoso anche per il giurista di lungo corso; ed ovviamente la scelta di questo tema esemplificativo non è casuale nell’economia di queste riflessioni. La sentenza di separazione coniugale, a differenza del decreto di omologazione, è certamente idonea alla formazione del giudicato formale e sostanziale, ma pur sempre sottoposta alla peculiare condizione rebus sic stantibus, immanente alla materia, proiettati come sono i rapporti al divenire, di tal ché, una delle due caratteristiche essenziali del giudicato, l’immutabilità nel tempo, risulta così condizionata, per principio46. Ma altrettanto certamente il decreto di omologazione non è equiparabile ad un qualsivoglia decreto reso a conclusione di un procedimento in camera di consiglio, al quale sarebbe riservato in prosieguo di tempo il precario “destino” previsto dall’art. 742 c.p.c., secondo cui “I decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati …”. Analizzando con occhio sostanziale il reale livello di efficacia e stabilità del decreto di omologazione in parola, come emergente anche dal lavorio incessante della Corte di legittimità (senza, s’intende, mettere in discussione la fondamentale distinzione dei provvedimenti giurisdizionali a seconda della loro attitudine o meno al giudicato), ne emerge un quadro che sembra diversificarlo di misura dall’efficacia e stabilità della sentenza di separazione coniugale; infatti, non ci troviamo affatto a fronte di un comune decreto camerale, fondato su quell’ampia discrezionalità di apprezzamento, espressione di poteri inquisitori, cui è improntata la disciplina del procedimento che conclude, revocabile e modificabile in ogni tempo, sia per motivi di legittimità che di merito (anche preesistenti), in virtù del disposto ex art. 742 c.p.c., con tutte le implicazioni sistematiche che derivano dall’inidoneità al giudicato, CASSAZIONE sia formale che sostanziale (inoperante la preclusione sia per il dedotto che per il deducibile, inoperante il principio di assorbimento delle nullità ex art. 161, co. 1, c.p.c., ove non sanate nel corso del procedimento, inammissibilità alla tutela di legittimità ex art. 111 Cost., e tutto quant’altro ben noto). Intanto, procedendo ancora per esemplificazioni, risultano oggettivamente complesse tutte le questioni in ordine al se l’accordo sulle condizioni di separazione47 segua o meno la regola basilare dei contratti di diritto comune, posta dall’art. 1372 c.c., ed eventualmente a quale condizione risulta sottoposta la sua efficacia vincolante; altrettanto può dirsi in ordine alla revoca del consenso unilateralmente manifestata da uno dei coniugi, consenso su cui si fonda il decreto di omologazione in parola, e sino a quale momento processuale una tale revoca è ammessa; la stessa giurisprudenza oscilla tra soluzioni di vario segno48. Parimenti per l’azione di annullamento per simulazione di status49. A dispetto persino del nomen iuris la nostra Corte di legittimità è giunta a tal punto da equiparare nel concreto la stabilità della sentenza di separazione a quella degli accordi negoziali sottoscritti in sede di separazione consensuale omologata; in tal senso infatti l’insegnamento di Cass., Sez. I, 8/5/2008 n° 1148850, del seguente tenore: “Così come la separazione giudiziale da luogo ad un giudicato rebus sic stantibus, non modificabile in relazione ai fatti che avrebbero potuto esser dedotti nel relativo giudizio, analogamente gli accordi negoziali sottoscritti in sede di separazione consensuale omologata non sono modificabili in relazione a fatti dei quali le parti avrebbero dovuto tener conto al momento della conclusione di detti accordi, ma unicamente in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, che abbiano alterato la situazione preesistente, mutando i presupposti in base ai quali le parti avevano stabilito le condizioni della separazione. Del tutto estranei a tale ambito sono dunque i fatti preesistenti alla regolamentazione pattizia della separazione, non presi in considerazione, per qualsiasi motivo, in quella sede”. Viene spontaneo osservare come la Cassazione, affermata con tale forza la millenaria regola pacta sunt servanda, in pratica pone sullo stesso piano l’accordo negoziale di separazione omologata e la forza del giudicato rebus sic stantibus; una sorta di giudicato sostanziale per omologazione di atto negoziale51; certo il percorso interpretativo è di una originalità e singolarità unica, ma questo è, appunto, il quadro reale con cui il giurista della famiglia, chiamato ad assumere il ruolo di difesa della parte in giudizio, deve fare i conti; evidente anche per tale via, quindi, quale sia lo spessore del suo apporto. In uno dei rari precedenti di legittimità52 degli ultimi decenni, che risulta aver affrontato, pur con minima ricostruzione sistematica, l’ipotesi della revoca del decreto di omologazione della separazione dei coniugi consensuale, in base all’art. 742 c.p.c., l’ha riconosciuta possibile per vizi di legittimità, con questo testuale tratto motivo: “il provvedimento di omologazione, in se stesso considerato, è revocabile per vizio proprio di legittimità dovuto ad inosservanza di norme processuali o sostanziali in base alle “disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio”… Non ha, quindi, attitudine ad acquistare l’efficacia di giudicato sostanziale. È per conseguenza, impugnabile con reclamo alla corte d’appello ai sensi dell’art. 739 c.p.c.; ed è revocabile, ai sensi dell’art. 742 c.p.c., per vizi di legittimità, che non si convertono in motivi di gravame (con la conseguente preclusione dell’art. 161 c.p.c.), ma sono in ogni tempo deducibili nell’ambito della giurisdizione camerale; e sono pure eccepibili in un processo ordinario ad esempio, riguardante lo scioglimento del vincolo matrimoniale dove l’esistenza di un valido decreto di omologazione si presenta come imprescindibile condizione dell’azione”. Come si può constatare il riferimento è ai possibili vizi di legittimità, non alle scelte di merito fissate dai coniugi con l’accordo sulle condizioni. La fattispecie concreta ineriva un vizio di costituzione del giudice (collegiale), quanto alla prima omologazione della separazione dichiarata inesistente, ed alla revoca del consenso (sopravvenuto a supporto dell’eccezione dispiegata in sede divorzile), quanto alla seconda omologazione, richiesta sulla base dello stesso consenso già validamente espresso dai coniugi innanzi al presidente del tribunale. Quindi, è bene avere contezza dello spessore di gravità dell’anomalia invocabile con la domanda di revoca del decreto d’omologazione, che seppur non sarebbe identicamente deducibile con l’impugnazione della sentenza di separazione per revocazione ex art. 395 e 397 c.p.c., secondo le strettissime maglie astratte di tale mezzo (o magari impugnata con contestazione di riferibilità soggettiva del giudicato, ad esempio, attraverso l’accertamento di falsità della procura ad litem, apparentemente rilasciata da uno dei coniugi), costituisce pur sempre ipotesi eccezionale. Trascurando l’ipotesi della revoca in sede camerale ex art. 742 c.p.c., l’unica autentica differenza risulterebbe, quindi, quella per cui la domanda di revoca del decreto di omologazione in parola o dei suoi effetti, avanzata dal coniuge o dal P. M., è formalmente sempre ammessa all’ulteriore scrutinio della cognizione piena53, per vizi di legittimità formali e sostanziali, al fine di vederne dichiarata la nullità o l’annullamento, mentre alla separazione statuita con sentenza si applicano le regole generali, salva la ridetta condizione rebus sic stantibus; ma, è bene rilevarlo, anche questa conclusione non è priva di voci dissonanti54. È inoltre ben vero che l’accordo di separazione omologato a differenza della sentenza di separazione può essere sottoposto, nei limiti di compatibilità, all’applicazione dei rimedi in tema di vizi del consenso e di capacità delle persone55, secondo la ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 41 CASSAZIONE disciplina generale del negozio giuridico che esprime principi fondamentali dell’ordinamento positivo; l’evenienza, anch’essa oggettivamente eccezionale, non appare però risolutiva ai nostri fini, ove si consideri che una tale possibilità di impugnativa si staglia conforme verso qualsivoglia atto negoziale, sotto qualunque forma convenuto, o stipulato, od approvato; è la sentenza annotata che poi ci ricorda come non costituisca elemento dirimente per qualificare la natura del procedimento (contenziosa o meno), la circostanza che i coniugi, nel proporre la domanda divorzile a ricorso congiunto, concordano sulle condizioni del suo regime (accordo di evidente pari natura negoziale). D’altronde, pur consci che l’elemento di per sé solo non costituisce indice dell’idoneità al giudicato sostanziale, anche l’omologazione in parola produce un titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.56, ed in esito alla nota Corte Cost. 18/2/1988 n° 18657, è parimenti titolo per l’iscrizione dell’ipoteca ex art. 2818 c.c. (art. 156, co. 5, c.c.); anzi, l’omologazione, come visto, costituisce titolo per la trascrizione, ove siano presenti trasferimenti immobiliari operati con l’accordo omologato, in quanto inserito nel verbale d’udienza58. Tuttavia assumono valore decisivo altri elementi. Il decreto di omologazione della separazione per mero consenso, produce, al pari della sentenza di separazione, effetti di status irretrattabili, non potendo proprio darsi incertezze sullo stato delle persone59; il principio appare peraltro di solare evidenza se solo si consideri che, ancora esemplificando, a tenore dell’art. 156 c.c., dei doveri nascenti dal matrimonio, in esito alla separazione, residua soltanto quello di solidarietà per quanto necessario al mantenimento del coniuge svantaggiato (salvi in ogni caso gli alimenti), mentre, a tenore dell’art. 232, co. 2, c.c., viene meno la presunzione di concepimento nel matrimonio del figlio nato dopo trecento giorni dall’omologazione o dalla data di autorizzazione a vivere separati; d’altro canto, basta por mente all’effetto dello scioglimento della comunione legale dei beni tra i coniugi, che si produce nello stesso momento in cui il decreto di omologazione diviene inoppugnabile60, con la nota efficacia estesa ai terzi. La separazione omologata è poi parimenti annotata sull’atto di matrimonio. Non si dubita che una volta divenuto inoppugnabile il decreto di omologazione i coniugi conseguono lo stato di “coniugi separati”, con reciproco obbligo, assistito dalla forza esecutiva, al rispetto delle condizioni poste, ed un tale stato non può cessare se non nei modi previsti dalla legge (riconciliazione da un lato - divorzio o nullità matrimoniali dall’altro); opinare in favore di una sorta di “reversibilità” di stato, cioè di incondizionata possibilità di revoca ex art. 742 c.p.c. dello stesso provvedimento che lo ha costituito, significa affermare che il nostro ordinamento riserva al coniuge separato consensualmente una condi42 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 zione obiettivamente incerta, per definizione; nel concreto allora, alla soluzione di separarsi consensualmente ci si potrebbe avvicinare solo con la prudenza da riservare ad uno strumento di tutela così inaffidabile, il ché assume connotati paradossali. Coerentemente, lo stesso decreto di omologazione, impedisce che possa accertarsi, in un successivo giudizio, il diverso titolo della separazione, per responsabilità ex art. 151, co. 2, c.c., neppure ove conosciuta successivamente la causa di tale responsabilità; è consolidato infatti l’indirizzo della Suprema Corte sull’inammissibilità del mutamento di titolo della separazione consensuale omologata61. Tutto ciò significa che, seppur dopo l’efficace omologazione e nonostante essa, in astratto rimane aperta la via alla cognizione ordinaria (principale od incidentale, per far valere quegli eccezionali vizi detti, di legittimità, del volere od afferenti la capacità dei coniugi), l’omologazione produce comunque “preclusioni”, non essendo certo frutto di inutile attività giurisdizionale, attesa la funzione di certezza, rapidità e semplificazione, cui attende istituzionalmente. E questa situazione costituisce invero ragione ulteriore per assicurare le garanzie costituzionali e in specie quella del diritto di difesa, poiché quella via ordinaria di norma manca e le garanzie sui diritti incisi allora mai assicurate. 3. Conclusioni Si potrebbe proseguire per pagine e pagine, ma è già ben evidente la conclusione cui si può ragionevolmente pervenire (seppur ai limitati fini che qui ci occupano), per questa fattispecie processuale della separazione consensuale, obiettivamente anomala e speciale (nel novero dei processi di separazione e divorzio qualificati tutti come “processi speciali tipici”), che proprio non può essere più “ingabbiata” nelle sole sterili disquisizioni distintive la giurisdizione contenziosa da quella “volontaria”. Qui il decreto di omologazione reso in camera di consiglio dal tribunale sulla base del peculiare iter processuale ex art. 711 c.p.c., che abbiamo cercato di ripercorrere per tratti essenziali, ha finito per costituire un procedimento speciale che ha visti recisi i tratti essenziali del comune decreto camerale frutto della cosiddetta attività giurisdizionale “volontaria”. Pur mancando ancora quell’auspicata disciplina omogenea e razionale del rito62, per effetto delle riforme disordinatamente stratificatesi in materia, separazione e divorzio sono tipici giudizi su status e diritti (oltre che su interessi), nei quali il richiamo alle forme del procedere in camera di consiglio si è strutturato per soddisfare l’esigenza di massima semplificazione-accelerazione dell’attività giurisdizionale di settore. È erroneo in radice quindi l’argomento che confonde le forme del procedere con la natura del potere giurisdizionale invocato63. CASSAZIONE La distinzione tra la giurisdizione contenziosa e la cosiddetta giurisdizione “volontaria” (o attività a tutela degli “interessi protetti” affidata alla giurisdizione, che, è bene rammentarlo, il c.p.c. non qualifica in nessuna sua disposizione), non coglie affatto la valutazione dei diritti attinti in tali procedimenti, mentre la discutibile categoria della giurisdizione “volontaria” resta conformata a tutela di interessi (autorizzazioni, amministrazioni, nomine, gestioni patrimoniali etc.), secondo la procedura pensata ad hoc con le scarne norme ex artt. 737 ss., c.p.c.. D’altro canto, a ben riflettere, il nostro ordinamento riconosce il diritto sostanziale dei coniugi ad addivenire allo stato di “coniugi separati”, per il mero consenso; tale diritto, di natura personalissima, è previsto dagli artt. 150 e 158 c.c., ed è “costituzionalmente fondato”64. Da tanto deriva ulteriore argomento dirimente: quando l’ordinamento riconosce un tale diritto, la conseguenza necessaria è quella di garantirne l’azione a sua tutela65, il che, invero, fa subito insorgere la necessità di verificare l’adeguatezza delle forme di una tale tutela giurisdizionale a garantire effettivamente la sua realizzazione; una verifica di tal fatta, di certo, non può risolversi in una limitazione ulteriore, diciamo così, per categorie concettuali astratte inerenti la natura della giurisdizione, desumibile soltanto dalle forme dell’incedere processuale o del provvedimento conclusivo, piuttosto che dai diritti attinti66. Ed allora, ecco ben nitida la ragione (esattamente colta dalla pronuncia annotata) per cui il divorzio non muta natura sol perché la sentenza che lo dichiara è il frutto di un procedimento adottato in via speciale o, se si vuole, in via di eccezione rispetto all’ordinario, con le forme del procedimento in camera di consiglio, né “trasmigra” per ciò dalla giurisdizione costituzionalmente garantita su diritti e status alla mera giurisdizione “volontaria”. Del pari, l’operatività o meno della garanzia della difesa tecnica del coniuge in sede di separazione consensuale, non è esclusa dall’adozione delle forme della camera di consiglio. In entrambi i casi appare allora razionale ed essenziale che sia garantita tale difesa, a pena di nullità del provvedimento reso, con qualunque forma assunto. Per ciò, la Suprema Corte, nell’insegnare il principio secondo cui, alle forme del procedere in camera di consiglio non è negata, a prescindere, la garanzia difensiva, appare entrata in contraddizione, nel momento in cui il richiamo all’ipotesi della separazione per mero consenso, si stagliava sì come rafforzativo, ma in senso diametralmente opposto rispetto a quello espresso: la difesa del coniuge è infatti imprescindibile nei procedimenti di separazione coniugale sotto qualunque forma celebrati. Con l’ulteriore precisazione che l’indicata nullità colpisce il provvedimento di omologazione che chiude il procedimento di separazione dei coniugi consensuale ed inerisce ad entrambi i coniugi, in quanto, sottoscrivendo personalmente il ricorso introduttivo, esercitano uno jus postulandi cui non sono legittimati; né la nullità per difetto di difesa muta nell’ipotesi in cui uno soltanto agisca personalmente, poiché si determina la stessa violazione della medesima norma processuale (semmai, ci si trova a fronte del diverso quesito del se quella nullità possa essere eccepita dal coniuge che si è invece regolarmente avvalso della difesa tecnica). ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 43 CASSAZIONE Note 1 Nella giurisprudenza di merito si rinvenivano già i precedenti di Trib. Monza 21/3/1989, in Giur. Merito, 1989, 833; Trib. Monza 23/4/1990, in Foro It., 1991, 628, con nota di CIPRIANI; App. Firenze 24/3/1994, in Fam. Dir., 1994, 538, con nota di CARBONE, Trib. Torino 17/5/2000, in Familia, 2001, 459, con nota di TOMMASEO; Trib. Napoli 6/12/2002, in Giur. Napoletana, 3, 89. 2 Un tale quadro si rinviene in MANDRIOLI, Diritto processuale civile, a cura di CARRATTA, III, Torino, 2011, 128, 140; DI IASI-PICARONI, Procedimenti di separazione e di divorzio, in Trattato di diritto di famiglia a cura di ZATTI, Milano, 1, II, 2011, 1932; GIACOBBE-VIRGADAMO, Separazione personale e divorzio, in Trattato dir. civ., diretto da SACCO, 3, II, Torino, 2011, 155; ARIETA, Trattato di diritto processuale civile ARIETA-MONTESANO, Padova, 2011, versione dvd, cap. 861; TOMMASEO, in Commentario breve al diritto di famiglia, a cura di ZACCARIA, Padova, 2011, 1632, sub art. 4; ID., La disciplina processuale del divorzio, in Lo scioglimento del matrimonio, a cura di BONILINI e TOMMASEO, Milano, 2010, 421; PITTALIS, Scioglimento del matrimonio, in Codice della famiglia a cura di SESTA, II, Milano, 2009, 3883, sub art. 4; PROTO PISANI, Il diritto alla separazione e al divorzio da diritto potestativo da esercitare necessariamente in giudizio a diritto potestativo sostanziale, in Foro It., 2008, V, 161. 3 È un tema che impegna grandemente la dottrina processualcivilistica; la mole dei contributi è tale da indurre a rinviare, per tutti (attese peraltro le citazioni in questi rinvenibili), a: PROTO PISANI, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c. (Appunti sulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla gestione di interessi devoluti al giudice), in Riv. dir. civ., 1990, 395, con tesi che intravedeva già allora l’imprescindibile necessità di abbandonare la tradizionale distinzione tra giurisdizione contenziosa e volontaria, giungendo a quella tra attività giurisdizionale costituzionalmente garantita (diretta a dirimere controversie su diritti soggettivi e status) ed attività giurisdizionale costituzionalmente non necessaria siccome diretta all’amministrazione di interessi privati od al controllo di alcune attività, che la legge ordinaria potrebbe ben rimettere al potere dei privati od all’autorità amministrativa; tesi ripresa dall’A. in tutti gli scritti successivi, ed ora, in Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2010, 664 ss.; PUNZI, Il processo civile. Sistema e problematiche, III, Torino, 2010, 95 ss.; TISCINI, Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005; CHIZZINI, La revoca dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, Padova, 1994; CARRATTA, I procedimenti cameral-sommari in recenti sentenze della Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, 1049; ID., Processo sommario (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., Annali, II, 1, Milano, 2007, 877; FAZZALARI, I procedimenti in camera di consiglio e la tutela dei diritti, in Giur. it., 1990, IV, 426; LANFRANCHI, La cameralizzazione del giudizio sui diritti, ivi, 1989, IV, 43; ID., Profili sistematici dei procedimenti decisori sommari, in La roccia non incrinata, Torino, 2011, 36; MONTESANO, “Dovuto processo” su diritti incisi da giudizi camerali e sommari, in Riv. dir. proc., 1989, 915; MANDRIOLI, In tema di onere del patrocinio nei procedimenti camerali, in Giur. it., 1988, I, 1, 977; CERINO CANOVA, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimenti camerali e giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ., 1987, 431; DENTI, La giurisdizione volontaria rivisitata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, 325. 4 Ci si riferisce in particolare a Cass., Sez. I, 24/6/1989 n° 3095, in Giust. Civ., 1989, I, 2103. 5 Rinvenibile in Giur. It., 1988, I, 1, 978, con nota di MANDRIOLI, op. cit. in nota 3, e sottoposta a severa critica da LANFRANCHI, La cameralizzazione, op. cit. in nota 3; invero quella pronuncia, inerente la designazione giudiziaria dell’idoneo erede dell’assegnatario di terreno rientrante nella riforma fondiaria prima del riscatto, in assenza di designazione testamentaria e nel disaccordo tra coeredi, venne presto smentito dalla stessa Corte di legittimità, nel momento in cui, con Cass., Sez. III, 26/6/1991 n° 7147, individuò in tali controversie la ricorrenza di posizioni di diritto soggettivo ed il carattere decisorio del decreto della corte d’appello che definisce il reclamo avverso il provvedimento del tribunale, garantito così anche dalla tutela dell’impugnazione in sede di legittimità ex art. 111 Cost.; e poi, con Cass., Sez. II, 28/11/1994 n° 10149, che ha qualificato il provvedimento del tribunale che conclude tale procedimento, come avente natura sostanziale di sentenza, come tale idoneo al conseguimento della copertura del giudicato. 6 Rinvenibile in Giust. Civ., 1989, I, 2103, ed in Riv. Notar., 1990, II, 1058, con nota di MAZZA. 7 Tra i quali, Cass., Sez. I, 30/05/1989, n° 2643, in Mass. Giur. It., 1989; Id., 02/06/1989, n° 2684, in Dir. Eccl., 1990, II, 559; Id., 24/6/1989 n° 3099, in Foro It., 1989, I, 2138; Id., 30/12/1989, n° 5831, ivi., 1990, I, 1238; Id., 16/5/1990 n° 4260, in Giust. Civ., 1991, I, 111; Id. 29/05/1990, n° 5025, in Dir. Eccl., 1992, II, 57; Id., 29/05/1990, n° 5026, in Dir. Fam. Pers., 1990, 1152; singolare l’assenza della questione dai repertori successivi, salvi i generici cenni impliciti desumibili da Cass., Sez. I, 7/6/2007 n° 13363, in Fam. Dir., 2007, 990, attesa evidentemente la paventata sanzione prefigurata con tali ripetuti insegnamenti (nullità). 8 Basta por mente a tutti i riflessi di ordine pubblico che derivano dal possesso o meno dello status di soggetto coniugato, ovvero agli effetti delle annotazioni apposte sull’atto di matrimonio, con efficacia di pubblicità costitutiva. 9 Consolidato sul punto l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità; solo a titolo esemplificativo si può rinviare a, Cass., Sez. I, 6/7/2004 n° 12309, in Guida Dir., 2004, 34, 72; Id., 27/5/2005 n° 11319, in Banca dati Foro It., dvd 2011; Id., 20/1/2006 n° 1179, ivi; Id., 7/3/2008 n° 6196, in Fam. Dir., 2008, 511. 10 Così, testualmente, MONTELEONE, Diritto processuale civile, Padova, 2000, 1260, nota 28. 11 Rinvenibile in Fam. Dir., 2007, 19, con nota TOMMASEO; in Giur. It., 2007, 2259, con nota di SOCCI; in Fam Pers. Succ., 2007, 15, con nota di CHIZZINI. 12 Un miglior quadro emerge attraverso Cass., Sez. I, 24/7/2009 n° 17421, in Fam. Dir., 2009, con nota di RUSSO; Id., 1/3/2010 n° 4866, in Giur. It., 2010, 2301, con nota di RUFO SPINA e CARBONARA; Cass., Sez. VI, 23/6/2011 n° 13747, ivi, 2012, 873, con nota di FRATINI; Cass., Sez. I, 26/10/2011 n° 22332, ivi, 2011, 2469; Id., 26/9/2011 n° 19596, in Fam. Dir., 2011, 1085, con nota di TOMMASEO. 13 Quest’ultima norma è rimasta a tutt’oggi nella sua originaria formulazione, in un contesto normativo (ispirato diffusamente a “paternalismo” statuale, affidato alla giurisdizione), radicalmente diverso da quello odierno. 44 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 CASSAZIONE 14 Tra le tante altre si richiamano Cass., Sez. I, 30/4/2008 n° 10932, in Fam. Dir., 2008, 1117, con nota di ARCERI; Id., 8/3/2001 n° 3390, ivi, 2001, 443; Id. 24/8/1990 n° 8712, in Giust. Civ., 1990, I, 2826, ed in Arch. Civ., 1991, 1274. 15 Quali sono, ad esempio, tra i tanti possibili e limitandoci alla materia familiare, quella ex art. 736bis c.p.c., ovvero quella ex art. 316, co. 3, c.c.. 16 Accertamento di cui è bene evidenziare la diversa natura: relativo alla ricorrenza della causa presupposta allo scioglimento del vincolo, per il primo, e del consenso validamente espresso dai coniugi e della regolarità della procedura, oltre alla verifica delle condizioni convenute nei limiti previsti (ma qui identicamente al primo), per il secondo; anche l’indicato accertamento in sede di omologazione è “prerogativa del tribunale”, per usare le stesse parole della pronuncia annotata. Interessanti spunti in merito si rinvengono in, Cass., Sez. I, 9/4/2008 n° 9174, in Banca dati Foro It., dvd 2011; Id., 8/11/2006 n° 23801, in Foro It, 2007, I, 1189, con nota di CASABURI; Id., 20/11/2003 n° 17607, in Fam. Dir., 2004, 473, con nota di CONTE; in Corr. Giur., 2004, 309, con nota di OBERTO; ed in Nuova Giur. Civ. Comm., 2005, I, 343, con nota di BUSI; Id., 8/3/1995 n° 2700, in Dir. Fam. Pers., 1995, 1390. 17 L’unico precedente edito, reso peraltro nel regime processuale anteriore, che dichiarava l’imprescindibile necessità per il coniuge che voglia validamente domandare la separazione personale consensuale (come pure il divorzio a ricorso congiunto), di dover avvalersi del patrocinio di un difensore, è quello di Trib. Bologna, 20/9/2000, in Rass. Forense, 2002, 1, 164; questo precedente affrontava la questione, basando il proprio convincimento, da un lato, rifacendosi alla sopravvenuta Circolare del Ministero della Giustizia del 2/8/2000 (prot. n° 2/2000), con la quale venne da quel momento prescritta l’iscrizione di detti procedimenti nel registro degli affari contenziosi, con ciò superando le anteriori prassi contrastanti, al fine di assicurare uniformità processuale nel territorio dello Stato; dall’altro lato, quel collegio ricusava il tralatizio argomento, per cui in detti procedimenti non fosse rinvenibile conflitto di interessi, aggiungendo che era invece principio largamente condiviso quello secondo cui i provvedimenti camerali previsti per situazioni sostanziali di diritti soggettivi o di status, debbano svolgersi con le forme adeguate alla tutela delle stesse (argomenti emergenti nella stessa Circolare), e tra queste dichiarava rientrare indubbiamente il patrocinio di un difensore. 18 Peraltro, ove i coniugi/genitori, ferma la volontà di interrompere la vita comune, raggiungono comunque un accordo anche sulle condizioni di separazione, secondo l’espressa previsione ex artt. 3, n° 2, lett. b), l. div., il procedimento contenzioso “transita” identicamente nell’omologazione di tale accordo (magari stimolato od incoraggiato dal presidente, od anche frutto di una mediazione familiare ex art. 155sexies, co. 2, c.c., positivamente conclusasi); la trasformazione del rito da giudiziale a consensuale costituisce oramai un dato acquisito risalente almeno agli anni ’80; cfr., tra le tante, Cass., Sez. I, 29/5/1980 n° 3532, in Foro It., 1981, I, 156, e Trib. Firenze 5/3/1980, ivi, 1981, I, 157. 19 Oggi espressamente prevista (identicamente che per il divorzio, art. 4, co. 12, l. div.) dall’art. 709bis c.p.c., norma che ha recepito il consolidato orientamento giurisprudenziale in punto, e che consente di scindere la pronuncia di status anche dalla eventuale declaratoria di addebito, costituente distinto capo della domanda; si cfr., ex multis, Cass., Sez. Un., 3/12/2001 n° 15248, in Giur. It., 2002, 921, con nota di DANOVI; in Foro It., 2002, I, 383, con nota di CIPRIANI; ed in Fam. Dir., 2002, 11, con nota di VULLO; Id., 4/12/2001 n° 15279, in Corr. Giur., 2002, 25, con nota di CARBONE; Cass., Sez. I, 10/6/2005 n° 12284, in Guida Dir., 2005, 31, 56; e Id., 18/7/2005 n° 15157, in Banca dati Foro It., dvd 2011. Seppur nominalmente qualificata sentenza non definitiva, in realtà trattasi di una sentenza definitiva di status, tanto che è espressamente soggetta soltanto ad appello immediato, conformemente al risultato cui era giunta la giurisprudenza; cfr., Cass., Sez. I, 7/1/2008 n° 26, in Fam. Dir., 2008, 398. 20 Per tutte, cfr., Cass., Sez. II, 22/11/2004 n° 22043, in Banca dati Foro It., dvd 2011. 21 Salvo il curioso diverso riferimento di quest’ultima norma ad “un” difensore, numerale che però non appare ovviamente idoneo a limitare il diritto di nomina di più di un difensore, come non lo è infatti la norma generale ex art. 82, co. 2, c.p.c.; in punto alla coesistenza di più mandati difensivi ad ai poteri di ciascuno, si cfr., Cass., Sez. Un., 17/7/2003 n° 11188. 22 Per il ricorrente, a tenore dell’art. 125 c.p.c., norma generale che disciplina il contenuto necessario di ogni atto di parte, il problema non si pone (ed in tal senso è l’opinione diffusa), dovendo il ricorso introduttivo essere sottoscritto dal difensore, sottoposto alla verifica del cancelliere in sede di iscrizione al ruolo del procedimento e poi di quella del presidente del tribunale in sede di emissione del decreto di comparizione dei coniugi, salvo che non si voglia sostenere che l’assistenza difensiva può intervenire anche soltanto nel corso dell’udienza di comparizione delle parti. 23 Per la soluzione positiva si esprime M. FINOCCHIARO, Separazione e divorzio - udienza presidenziale subito dopo la notifica, in Guida Dir., 2005, 22, 97, il quale mette in luce come alla mancata “assistenza” del difensore non è prevista pena di nullità, al pari, d’altronde, dell’ipotesi di assenza del difensore pur costituito (anche del ricorrente) all’udienza di comparizione personale dei coniugi. Con qualche perplessità, si esprime invece, TOMMASEO, La disciplina processuale della separazione e del divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Fam. Dir., 2006, 10-11, che reputando del tutto inopportuna l’obbligatorietà prevista a tenore letterale dell’art. 707, co.1, c.p.c., ipotizza che il presidente del tribunale può comunque sentire il coniuge convenuto applicando i principi generali, facendo uso dei propri poteri officiosi di assumere informazioni (artt. 711, 738, co. 3, c.p.c. e 155, 155sexies c.c.) e tenuto conto della regola affermatasi in giurisprudenza per cui anche la parte contumace può essere liberamente interrogata (Cass., Sez. Lav., 5/5/1982 n° 2818); ciò nonostante esprime razionale dubbio sulla possibilità per il medesimo coniuge convenuto, comparso personalmente senza l’assistenza di difensore in violazione della norma in questione, di accedere ai possibili sviluppi successivi alla sua audizione; esclude così potersi riconoscere al medesimo convenuto la facoltà di addivenire alla conciliazione od anche soltanto di manifestare il consenso al transito del procedimento alla separazione consensuale, nell’ipotesi si raggiunga un tale accordo, siccome evidentemente anche soltanto la manifestazione del consenso detto è una facoltà dispositiva del solo coniuge comparso con l’assistenza di difensore, come la legge prefigura, e d’altro canto l’onere della difesa tecnica è oggi reso più lieve dalla possibilità di fruire del patrocinio a spese dello Stato. Per la soluzione negativa si esprime invece CIPRIANI, Processi di separazione e divorzio, in Foro. It., 2005, V, 142, che così testualmente osserva: “…venuta meno la norma che obbligava e nel contempo consentiva ai coniugi di comparire senza l’assistenza dei difensori, non può non trovare applicazione la regola generale per la quale davanti ai tribunali le parti devono stare in giudizio col ministero di un avvocato legalmente esercente (art. 82, co. 3, c.p.c.), quindi, ognuno dei coniugi, quando viene sentito dal presidente, non solo può, ma deve essere assistito dal suo difensore. Con la precisazione che qui il problema non sta solo nello stabilire se il presidente possa escludere dall’udienza il convenuto comparso senza difensore, ma anche nell’aver chiaro che le eventuali dichiarazioni, di tale convenuto, non potranno mai essere utilizzate contro di lui”. Seguiva l’osservazione coerente per cui il difensore dell’un coniuge può assistere anche all’audizione dell’altro coniuge, in esplicazione del fondamentale principio di garanzia del contraddittorio. Una tale ricostruzione suscita perplessità in ordine all’ultimo inciso, poiché il concetto di “inutilizzabilità” inerisce soltanto alle “prove” già assunte agli atti illegittimamente, che pur non potendo stralciarsi materialmente, non possono utilizzarsi ai fini del decidere; inoltre, una tale logica sembra piuttosto “contaminare” l’ordinamento processuale civile positivo con canoni propri di quello penale, nel quale ultimo soltanto la garanzia di difesa è prefigurata come immanente presenza fisica della figura del difensore ed anche nell’ipotesi di contumacia; nel processo ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 45 CASSAZIONE civile alla contumacia del convenuto non corrisponde alcuna sua difesa tecnica ed anche l’assenza volontaria del difensore non ha alcun rilievo se non nell’ambito del mandato di patrocinio; infine, a tenore dell’art. 117 c.p.c., il libero interrogatorio delle parti può sempre essere disposto dal giudice e non si dubita che questi possa poi trarre argomenti per la prova dei fatti controversi, da tale acquisizione. Da tenere poi presente che l’udienza di comparizione personale in questione, secondo l’art. 3, n° 2, lett. b), l. div., costituisce il dies a quo del triennio valevole ai fini del divorzio. Queste comunque le posizioni principali nell’immediatezza dell’introduzione della nuova norma. Oggi prevale la conclusione per cui il coniuge convenuto comparso personalmente, con la consapevole opzione di non valersi dell’assistenza di difensore, come la legge prevede a sua garanzia, potrà comunque essere sentito validamente dal presidente (e non soltanto in relazione alla prole ove il dubbio non sembra neppure proponibile), e non potrà invocare alcuna nullità; soluzione razionale ove si consideri, da un lato, che l’ipotesi del convenuto non costituito o non assistito in giudizio (a tutto voler concedere, trattasi di “onere” e l’essenziale è che la parte sia messa in condizione di potersi difendere adeguatamente come prefigurato dal codice di rito) non equivale a quella della parte “non comparsa” (arduo, quindi, ipotizzare che la parte comparsa personalmente debba considerarsi come “non comparsa”, perché non assistita da difensore e quindi, ai nostri fini, addirittura da allontanare od al più, da far assistere in silenzio) e, dall’altro lato, la funzione di quella fase processuale; d’altronde, se il coniuge convenuto non compare, al di là della facoltà di fissazione di una successiva udienza ex art. 707, co. 3, c.p.c., a tenore dell’art. 708, co. 3, c.p.c., il processo continua ugualmente. Relativamente sempre al coniuge convenuto, si è anche dubitato della legittimità costituzionale di una tale “imposizione” (sull’assunto ovviamente che sia tale) e sull’impedimento giuridico ad utilmente comparire di persona, questione che è stata sollevata da Trib. Lamezia Terme 19/12/2007, ma dichiarata inammissibile per l’evidente indeterminatezza del petitum, da Corte Cost. 26/1/2011 n° 21, in Fam. Dir., 2011, 676, con nota di RISOLO (autore che peraltro delinea sufficienti argomenti per considerare infondato quel dubbio di costituzionalità), e subito risollevata ancora da Trib. Lamezia Terme 5/5/2011, in Fam. Dir., 2011, 736, e nuovamente dichiarata inammissibile da Corte Cost. 16/2/2012 n° 26, per non aver compiutamente sperimentato il “doveroso tentativo di dare una interpretazione costituzionalmente conforme alle norme impugnate”. 24 Si veda in tal senso Cass., Sez. I, 24/6/1989 n° 3095, cit. in nota 4, che puntualizzava testualmente come “chiarito che il divieto di assistenza del difensore all’udienza riguarda soltanto il momento del tentativo di conciliazione, evidente essendone la ratio di lasciare alla parte personalmente quel momento così delicato e carico di implicazioni tanto personali, restando dunque fermo che, per ogni altro momento del procedimento per separazione personale, la legge non “dispone diversamente, (…) non resta che applicare pienamente il principio dell’onere del patrocinio”. 25 In tal senso già ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 338. 26 Ci si riferisce al D.L. 14/3/2005 n° 35 recante “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”, convertito, con modificazioni, dalla L. 14/5/2005 n° 80; non senza osservare che la successiva L. 8/2/2006 n° 54, con la quale è stato riscritto l’art. 155 c.c. ed aggiunti gli altri artt. sino al 155sexies c.c., ha finito per integrare anche l’aspetto processuale, in quel suo intrecciarsi costante di disposizioni sostanziali e processuali, che l’hanno caratterizzata; e tale legge è applicabile in primo luogo proprio alla separazione personale dei coniugi (qualunque sia la forma adita, tanto che all’art. 4, co. 1, si indica il procedimento ex art. 710 c.p.c. per l’applicazione delle nuove disposizioni anche per l’ipotesi che già sia stato emesso il decreto di omologa dei patti di separazione consensuale alla data di entrata in vigore della legge), ed estesa poi, per effetto del medesimo art. 4, co. 2, anche al divorzio, alla nullità del matrimonio ed ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Peraltro, non può mancare un cenno alla questione del ruolo difensivo. Sia l’art. 707, co. 1, c.p.c., che l’art. 4, co.7, l. div., fanno riferimento all’assistenza di difensore. Il termine “assistenza” apparentemente rimanda all’art. 87 c.p.c. (secondo LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2009, 312, e TOMMASEO, Nuove norme per i giudizi di separazione e divorzio, in Fam. Dir., 2005, 234-235, la parte può limitarsi a farsi assistere da uno o più avvocati -evidentemente per la mera preparazione ed esplicazione delle ragioni e degli argomenti difensivi a tutela del proprio diritto- e non v’è necessità della rappresentanza), se non fosse che la distinzione tra l’assistenza propria dell’avvocato e la rappresentanza o ministero propria del procuratore legale, che già risultava ambigua ed anacronistica (e questo è l’apprezzamento espresso da ZUCCONI GALLI FONSECA, in Commentario breve al codice di procedura civile, a cura di CARPI e TARUFFO, Padova, 2012, 334, sub art. 87), siccome generalmente cumulata nella stessa figura professionale e svolta senza limiti, con la soppressione dell’albo dei procuratori legali, ad opera della L. 24/2/1997 n° 27, obiettivamente sarebbe venuta meno proprio quella distinzione tra la funzione difensiva di ministero o rappresentanza in giudizio della parte, propria del procuratore legale, e la funzione difensiva di assistenza della parte in giudizio, propria dell’avvocato; difatti, i procuratori legali divennero di diritto avvocati e da allora sussiste l’unica qualifica di avvocato, distinguendosi oggi questa funzione soltanto rispetto a quella dell’avvocato iscritto nell’albo speciale per il patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori. In considerazione della chiara indicazione costituzionale -negli artt. 24 e 111 Cost., il riferimento è al difensore od alla difesa- cui l’interprete deve necessariamente orientarsi, è unicamente il ruolo difensivo che rileva, mentre la distinzione delle “funzioni difensive”, tra quella di mera rappresentanza (o ministero) ed un’altra di mera assistenza, appare un’opzione improbabile; sostanzialmente, i due termini hanno finito per sovrapporsi ed equivalersi, assumendo quindi il più ampio significato detto; da rimarcare come nella prassi del tutto raramente ci si può imbattere nella limitazione, nell’uno o nell’altro senso indicati, dei poteri difensivi dell’avvocato, in quanto la procura alle liti, per evitare perniciose eccezioni processuali, viene sempre redatta e normalmente recita: “delego o nomino l’Avv. Tizio, a rappresentarmi, difendermi ed assistermi, nel presente giudizio, con ogni più ampia facoltà…” o similari espressioni. A ben vedere poi, anche ove si reputi in qualche modo “sopravvissuta”, nonostante l’abrogazione di tutte le norme incompatibili, dettata dall’art. 6 della detta L. n° 27/1997, una funzione di mera assistenza difensiva diversa da quella della rappresentanza (che nella specie sarebbe stata implicitamente ripristinata dal legislatore della novella processuale del 2005, con una improbabile interpretazione autentica sistematica ed implicita), essa sarebbe pur sempre esplicazione di quel diritto di difesa, costituzionalmente garantito alla parte che agisce in giudizio; infatti, ove questa sia l’opzione corretta, il difensore, destinato ad assicurare la difesa tecnica e professionale della parte, quale momento fondamentale del diritto inviolabile di difesa garantito ai singoli dall’art. 24 Cost., può assumere nella legge processuale civile, di volta in volta, le funzioni di rappresentanza ovvero di assistenza, ma con ciò non modificandosi certo il valore e la natura inderogabile della garanzia in parola. La sentenza annotata invero sembra proprio confortare quanto appena indicato, nella misura in cui dichiara nulla la sentenza resa in esito al giudizio divorzile a ricorso congiunto, non sottoscritto dal difensore, reputando necessario il suo ministero; quindi, con espressioni motive che se da un lato sembrano indurre a considerare superata quella tradizionale distinzione del ruolo difensivo, dall’altro si riferiscono puntualmente alla necessità della rappresentanza (sottoscrizione del ricorso), per poi parificare l’ipotesi a quella prevista per l’ordinario giudizio contenzioso. Un’ultima considerazione: ove si opti per la soluzione ermeneutica che individua la necessità per il coniuge di agire con la mera “assistenza” del difensore, allora il legislatore 46 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 CASSAZIONE avrebbe considerato che la funzione di rappre sentanza risulta assolta, od in qualche modo “compensata”, dalla presenza personale del coniuge stesso; così ragionando però, a tenore dello stesso dato costituzionale e di quanto già emerge nella giurisprudenza della Corte delle leggi (ad iniziare dalla pronuncia indicata in nota 28 che segue), non si potrebbe comunque validamente inibire al medesimo coniuge di avvalersi della facoltà di essere anche “rappresentato dal difensore”. Va detto, ad onor del vero, che secondo Cass., Sez. I, 12/5/1999 n° 4718, Banca dati Jus & Lex, dvd 2011, l’abolizione della distinzione professionale tra procuratore ed avvocato non ha eliminato la tradizionale bipartizione individuata dalle rispettive locuzioni di “rappresentanza o ministero di difensore” e di “assistenza di difensore”; di un certo interesse anche Cass., Sez. Lav., 8/9/2006 n° 19274, in Banca dati Foro It., dvd 2011. 27 Oltre alle citazioni in nota 23, ampio il quadro degli interventi della dottrina, tra i quali si segnalano: MANDRIOLI, Diritto processuale civile, a cura di CARRATTA, op. cit. in nota 2, 92; DOSI, Il processo di separazione, in La separazione personale dei coniugi, a cura di ALPA e PATTI, Padova, 2011, 521, che rileva il cambio di rotta “copernicano”; ARIETA, Trattato di diritto processuale civile ARIETA-MONTESANO, op. cit. in nota 2, capp. 816.4 e 829 ss.; DI IASI-PICARONI, Procedimenti di separazione e di divorzio, in Trattato di diritto di famiglia a cura di ZATTI, op. cit. in nota 2, 1862; CARNEVALI, La fase presidenziale, in I processi di separazione e divorzio, a cura di GRAZIOSI, Torino, 2011, 60; DE FILIPPIS, Il diritto di famiglia, Padova, 2011, 439-442; SPACCAPELO, in Commentario breve al diritto di famiglia, a cura di ZACCARIA, op. cit. in nota 2, 2631-2634, sub art. 711; TOMMASEO, La disciplina processuale del divorzio, in Lo scioglimento del matrimonio, a cura di BONILINI e TOMMASEO, op. cit. in nota 2, 370; PUNZI, Il processo civile. Sistema e problematiche, op. cit. in nota 3, 139; LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2009, 312; IZZO, Separazione e divorzio, Bari, 2009, 22; SALVANESCHI, I procedimenti di separazione e divorzio, in Fam. Dir., 2006, 365. 28 Ci si riferisce alla nota Corte Cost. 30/6/1971 n° 151, in Foro It., 1972, I, 4; ed in Riv. Dir. Proc., 1972, 498, con nota di CIPRIANI. 29 Come subito puntualizzava, Cass., Sez. I, 18/4/1974 n° 1050, in Giur. It., 1974, I, 1, 1881. 30 I tratti salienti del dibattito e delle soluzioni, tra i tanti contributi, si rinvengono in: CIPRIANI, I provvedimenti presidenziali nell’interesse dei coniugi e della prole, Napoli, 1970, 66-74, secondo cui nell’intera fase presidenziale non si aveva un’attività giurisdizionale, non manifestandosi una vera e propria lite e di conseguenza una controversia tra i coniugi; MANDRIOLI, Il diritto di difesa nell’udienza presidenziale del giudizio di separazione dei coniugi, in Giur. It, 1971, I, 2, 1, in nota a Trib. Milano 10/10/1970, per il quale era necessario dar fondamento positivo ad una prassi incongrua secondo cui: “Un difensore vero, o meglio due difensori, che stando garbatamente fuori dall’uscio, mentre il presidente svolge il tentativo di conciliazione, siano pronti ad entrare non appena si delinei una posizione di contrasto e che in ogni caso debbano essere sentiti ed eventualmente invitati a svolgere brevi osservazioni, prima della pronuncia dell’ordinanza presidenziale”; OBERTO, Sulla necessità del patrocinio legale nei ricorsi congiunti per separazione e divorzio, in Fam. Dir., 2001, 3, 339, che criticava severamente il “fai da te” suggerito sul sito web del Ministero della Giustizia; SCARDULLA, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, Milano, 2003, 666; MARINO, Separazione e divorzio, in I libri di Guida al Diritto, Milano, 2005, 172-175. Tra i precedenti giurisprudenziali particolare menzione, per il peso che ebbero ad assumere, meritano, Cass., Sez. I, 18/7/1967 n° 1822, in Giust. Civ., 1967, I, 1570, della quale è opportuna la trascrizione del seguente tratto motivo saliente: “…indubbiamente l’art. 82 c.p.c. sancisce la norma generale per cui davanti ai tribunali ed alle corti di appello le parti devono stare in giudizio con il ministero di un procuratore legalmente esercente, ma è anche vero che lo stesso articolo al co. 3 fa espressamente salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti. Fra questi ultimi va sicuramente annoverato il procedimento speciale concernente la separazione personale dei coniugi e, particolarmente, la comparizione delle parti davanti al presidente del tribunale, di cui all’art. 707 c.p.c.”. Trib. Milano 12/2/1968, in Mon. Trib., 1968, 577, con nota di GUZZETTI; Trib. Milano, 26/4/1968, in Foro It., 1969, I, 243; Trib. Milano 10/10/1970, in Giur. It., 1971, I, 2, 1, e del quale si riporta parte della motivazione in punto di difesa tecnica e della sua necessità: “…ad avviso del presidente tale disposizione non contrasta con il principio sancito dall’art. 24, co. 2, Cost., secondo cui la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo, soltanto per quanto concerne l’audizione dei coniugi prima separatamente e poi congiuntamente nel tentativo di addivenire ad una conciliazione. È infatti evidente che in questo compito il presidente non svolge un’attività giurisdizionale ma cerca soltanto sul piano umano di dirimere le controversie che hanno minato l’unità familiare, nel tentativo di tutelare l’interesse di natura anche pubblica ad una pacifica continuazione della convivenza tra i coniugi. …Terminato però, ove l’esito sia negativo, il tentativo di conciliazione, l’attività presidenziale diviene di natura tipicamente giurisdizionale ed in questo momento la mancanza di difensori appare come una violazione del ricordato disposto costituzionale”. Corte Cost. 16/12/1971 n° 201, in Foro It., 1972, I, 4; Cass., Sez. I, 24/6/1989 n° 3095, cit. in nota 4, che ponendo riferimento anche a Corte Cost. 31/3/1988 n° 387, in Foro It., 1989, I, 934, evidenziava la natura contenziosa del procedimento per separazione in ogni sua fase (compresa l’udienza presidenziale). Trib. Udine 27/3/1996, in Dir. Fam. Pers., 1996, 1361, precedente che si interrogava, dubitando della legittimità costituzionale, sul se, una volta esperito il tentativo di conciliazione con esito negativo, si potesse procedere ad un ulteriore esame dei coniugi senza l’assistenza dei difensori per verificare l’esistenza di ogni possibile soluzione conciliativa in ordine alle condizioni. Dubbio fugato da Corte Cost. 5/11/1996 n° 389, in Fam. Dir., 1996, 5, con nota critica di TOMMASEO. Cass., Sez. I, 25/7/2002 n° 10914, ivi, 2002, 594. 31 Accordo che può sempre conseguirsi e formalizzarsi, anche nel corso dell’ordinario giudizio di separazione giudiziale, avanti all’istruttore, come evidenziato in nota 18; con la precisazione che l’emissione della sentenza non definitiva di status (comprensiva o meno che sia dell’eventuale pronunzia sull’addebito), inibisce la trasformazione del rito contenzioso in quello camerale e le condizioni poi eventualmente concordate debbono essere recepite dalla sentenza definitiva, anche a tenore del nuovo art. 155, co. 2, c.c.; in tal senso, Trib. Bari 21/4/2010, in Banca dati Platinum Utet, dvd 2012. 32 In tal senso, tra altre, Cass., Sez. I, 30/4/2008 n° 10932, cit. in nota 14; Id., 20/11/2003 n° 17607, cit. in nota 16, nei cui tenori motivi si rinvengono numerose citazioni di precedenti insegnamenti. ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 47 CASSAZIONE 33 L’orientamento che ammette tra gli accordi di separazione anche quelli “occasionalmente collegati” è ben consolidato; tra i precedenti è d’uopo menzionare, Cass., Sez. I, 22/11/2007 n° 24231, in Fam. Dir., 2008, 446, con nota di CASABURI; ma anche, Cass., Sez. I, 8/11/2006 n° 23801, cit. in nota 16; Cass., Sez. III, 14/3/2006 n° 5473; e Cass., Sez. I, 23/3/2004 n° 5741, entrambe in Banca dati Foro It., dvd 2011. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle clausole che dispongono il trasferimento di diritti reali, sia su beni mobili che su immobili, reputate pienamente valide, con indirizzo risalente; per tutte, cfr. Cass., Sez. I, 15/5/1997 n° 4306, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1999, I, 278, con nota di ZANUZZI; la questione è stata recentemente ben chiarita da App. Milano 17/2/2011, in Fam. Dir., 2011, 940, con precipuo riferimento ai beni immobili; per la mera promessa di trasferimento immobiliare (anche a favore dei figli, al fine di concorrere al loro mantenimento), validamente ammessa e tutelabile con l’azione di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., cfr. Cass., Sez. II, 17/6/2004 n° 11342, in Banca dati Foro It., dvd 2011; relativamente a beni di futura acquisizione, cfr., Cass., Sez. II, 24/4/2007 n° 9863, in Obbl. Contr., 2007, 483, con nota di RUBINO. Ammessa, da Trib. Pordenone 20/12/2005, in Banca dati Foro It., dvd 2011, l’istituzione di un trust avente ad oggetto immobili acquistati in costanza di matrimonio e segregati in favore della prole. Ammessa, da Trib. Ascoli Piceno 8/5/2002, ivi, la definizione dei rapporti economici derivanti da partecipazione societaria. Ammessa la transazione tra coniugi su diritti disponibili da Cass., Sez. I, 15/3/1991 n° 2788, in Foro It., 1991, I, 1787. Esclusa invece, da Cass., Sez. I, 8/3/1995 n° 2700, cit. in nota 16, la possibilità di attribuire validità, attraverso l’omologazione, all’atto di donazione, espressamente così convenuto, per l’inidoneità della forma prescritta, siccome, non “redatto”, né “formato”, da pubblico ufficiale. 34 Ci si riferisce alla innovativa pronunzia di Trib. Torino 20/4/2012, in Fam. Dir., 2012, 803, che si è posta in consapevole contrasto con l’indirizzo consolidato della Corte di legittimità, decisione prontamente annotata da OBERTO, Accordi preventivi di divorzio: la prima picconata è del Tribunale di Torino, ivi, 806, che segnala l’obiettivo raggiungimento di un primo traguardo per la propria tesi sulla questione, esposta da tempo con tenacia e sfoggio argomentativo. La posizione nettamente contraria della Suprema Corte è ripercorribile attraverso, Cass., Sez. Un., 29/11/1990 n° 11490, in Giust. Civ., 1990, I, 2789; Cass., Sez. I, 11/12/1990 n° 11788, in Giur. It., 1992, I, 1, 156, con nota di CECCONI; Id., 6/12/1991 n° 13128, in Giust. Civ., 1992, I, 1239, con nota di CAVALLO; Id., 4/6/1992 n° 6857, in Giur. It., 1993, I, 1, 338, con nota di DALMOTTO; Id., 11/8/1992 n° 9494, ivi, 1993, I, 1, 1495, con nota di DE MARE; Id., 28/10/1994 n° 8912, in Fam. Dir., 1995, 14, con nota di UDA; Id., 20/12/1995 n° 13017, in Giust. Civ., 1996, I, 1694; Id., 7/9/1995 n° 9416, in Dir. Fam. Pers., 1996, 931; Id., 20/2/1996 n° 1315, peculiarmente rilevante in merito alla valenza dell’assegno una tantum (sul quale vedi Cass., Sez. I, 5/9/2003 n° 12939) convenuto in sede di separazione, privo di effetti esdebitatori nella sede divorzile, riportata integralmente in FERRANDO, Separazione e Divorzio, Milano, 2003, 326; Cass., Sez. I, 11/6/1997 n° 5244, in Giur. It., 1998, 218, con nota di ERMINI; Id., 20/3/1998 n° 2955, ivi, 1998, 2017, ed in Contratti, 1998, 472, con nota di BONILINI; Id., 18/2/2000 n° 1810, in Corr. Giur., 2000, 1022; Id., 14/6/2000 n° 8109, in Fam. Dir., 2000, 429, con nota di CARBONE ed in Familia, 2001, II, 243, con nota di FERRANDO; Id., 12/2/2003 n° 2076, in Fam. Dir., 2003, 344, con nota di PICCALUGA; Id., 5/9/2003 n° 12939, in Dir. Fam. Pers., 2004, 66; Id., 17/7/2009 n° 16789, in Fam. Dir., 2010, 700, con nota di RAVOT; Id., 4/11/2010 n° 22505, in Fam. Minori, 2011, 1, 28, con nota di FIORINI; e Id., 25/1/2012 n° 1084, in Banca dati Leggi d’Italia, dvd 2012. Quanto alla conforme giurisprudenza di merito, si segnala, Trib. Varese 29/3/2010, in Fam. Dir., 2011, 295, con nota di PATANIA. 35 Al proposito del ruolo del notaio, è opportuno por mente all’art. 1, della legge notarile (L. 16/2/1913 n° 89), che gli attribuisce lo jus postulandi proprio in relazione agli affari di giurisdizione “volontaria”, riguardanti le stipulazioni affidategli dalle parti; da tale abilitazione eccezionale sono esclusi tutti quei ricorsi non collegabili direttamente con l’atto da stipulare e certamente la separazione consensuale dei coniugi non può conseguirsi per effetto di una “stipulazione”; invero, in merito ad un tale ausilio, la nostra giurisprudenza, a quanto consta, ha evidenziato due fattispecie singolarissime; in un caso, giunto all’attenzione di App. Lecce 9/7/1973, in Giust. Civ., 1974, I, 362, i coniugi avevano affidato il loro accordo sulle condizioni di separazione ad un atto pubblico, il cui contenuto veniva poi richiamato nel verbale dell’udienza di comparizione personale avanti al presidente del tribunale (mentre nel ricorso dichiaravano genericamente il consenso a voler vivere separati ed il raggiungimento di un accordo), e quella corte ne rilevò l’ammissibilità, ponendo peraltro il limite ontologico per cui le parti non possono dichiarare al notaio la volontà di separarsi o “stipulare” un tale nuovo status, incaricandolo di presentare l’atto pubblico per l’omologazione; nell’altro caso, giunto all’attenzione di Trib. Monza 13/5/1991, in Foro Padano, 1991, I, 498, con nota di LATELLA, si escludeva la sussistenza dello jus postulandi, per l’omologazione della separazione consensuale dei coniugi, in capo al notaio. In tema, è utile il rinvio a GENGHINI, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Padova, 2010, 13 e 220. 36 Diffuso, nelle stesse citazioni poste, l’argomento motivo secondo cui il giudice non svolge funzioni “notarili”, non accerta, né compenetra, non integra, né valuta oltre la soglia dell’apparenza e della serietà, l’espressione della volontà; d’altronde è risalente il monito per cui il presidente del tribunale, ove non riesca a conciliare i coniugi, deve dare atto del consenso o meno degli stessi alla separazione ed enumerare le condizioni da essi convenute per il regolamento della nuova condizione di vita separata, senza potersi certo sostituire ad essi nella determinazione di tali condizioni od addirittura porre statuizioni proprie; in tal senso, già si esprimeva, Cass., Sez. I, 7/2/1974 n° 343, in Banca dati Jus & Lex, dvd 2011; sono così ammissibili, al più, solamente “l’indicazione dei punti critici od incongrui, consigli, chiarimenti, suggerimenti o sollecitazioni”, in sintonia con i poteri del collegio riguardo all’ipotesi della riconvocazione ex art. 158, co. 2, c.c., salva la reiezione, allo stato, della domanda; infatti, neppure il collegio può apportare modifiche od integrazioni officiose, e neanche nell’interesse della prole in età minore, ma solo indicare le modificazioni da adottare per una soluzione idonea all’omologazione. 48 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 CASSAZIONE 37 Evenienza codificata espressamente dall’art. 158, co. 2, c.c.; cfr. in punto, anche relativamente a quanto evidenziato in nota precedente, LUMIA, La separazione consensuale, in Trattato di diritto di famiglia a cura di ZATTI, op. cit. in nota 2, 1297 ss.; ARCERI, Scioglimento del matrimonio e separazione dei coniugi, in Codice della famiglia a cura di SESTA, op. cit. in nota 2, I, 851 ss., sub art. 158; SIRENA-BALLARINI, in Commentario breve al diritto di famiglia, a cura di ZACCARIA, op. cit. in nota 2, 503 ss., sub art. 158. 38 SAVI, Quali possibili obbligazioni contrattuali tra ex amanti divenuti genitori ?, in Dir. Fam. Pers., 2012, 246, in particolare sub paragrafo 6.1. 39 Oltre quanto evidenziato in nota 36, v’è da puntualizzare come il consenso espresso alla nuova condizione di vita ed al regime che la regolerà, non può essere indagato dal tribunale adito, in sé e per sé considerato, quanto ai motivi interiori (espressi o meno che siano), né ad esso si può opporre veti, reputandosi dalla legge sufficiente, quella alternativa attribuibile alla volontà degli stessi coniugi (come evidente causa di sopraggiunta intollerabilità della prosecuzione della convivenza), a produrre gli stessi effetti prefigurati per l’ipotesi della domanda contenziosa, cui invece appartiene l’accertamento della ricorrenza di una valida causa che giustifichi il sopravvenuto diritto alla separazione (art. 151, co. 1, c.c.). 40 È dato distinguere il consenso alla separazione coniugale, dal consenso espresso in ordine all’accordo sulle condizioni del nuovo regime di vita separato, di natura negoziale, che da sostanza e fondamento alla separazione consensuale dei coniugi, pur compenetrandosi l’un con l’altro; ma è indubitabile che l’omologazione presuppone la ricorrenza di un consenso espresso liberamente da ciascuno dei coniugi in modo serio e consapevole nelle forme indicate dal codice di rito; e quindi, questo accertamento deve obiettivamente ricorrere, pur non essendo ravvisabile nell’atto di omologazione, come visto, una funzione sostitutiva o integrativa della volontà delle parti o di governo dell’autonomia dei coniugi; un tale quadro appare ben delineato in Cass., Sez. I, 20/11/2003 n° 17607, cit. in nota 16. 41 Testuale espressione di Cass., Sez. I, 5/3/2001 n° 3149, in Familia, 2001, II, 769, con nota di OBERTO; cfr. anche Cass., Sez. I, 20/11/2003 n° 17607, cit. in nota 16; Id., 4/9/2004 n° 17902, in Fam. Dir., 2005, 508, con nota di PAGNI. Id., 8/5/2008 n° 11488, in Fam. Dir., 2008, 1120, con nota di ARCERI. 42 In un precedente di merito, Trib. Firenze 9/2/1994, in Arch. Civ., 1994, 548, oltre alla declaratoria di nullità del ricorso ex art. 710 c.p.c. sottoscritto dal coniuge personalmente, si esclude persino che tale nullità possa conseguire una qualche sanatoria, ed anche ove la procura al difensore risulti conferita successivamente al deposito del ricorso stesso. 43 L’identico operare della riconciliazione, sia per la separazione omologata, che per quella che trova titolo nella sentenza è un dato pacifico; si cfr., per tutti, MARINI, La separazione personale dei coniugi, in La famiglia-Diritto civile, diretto da LIPARI e RESCIGNO, coordinato da ZOPPINI, Milano, 2009, 1, II, 304. 44 Da sottolineare che i figli in età minore non assumono la qualità di parte del giudizio di separazione coniugale; si richiama, per l’analisi delle implicazioni, SAVI, Legittimazione del figlio maggiorenne ad intervenire nel giudizio di separazione coniugale dei genitori, in Giur. It., 2012, 1290, e l’anteriore scritto, Intervento del figlio maggiorenne nei giudizi coniugali/genitoriali aventi ad oggetto il proprio mantenimento, ivi, 2011, 82. 45 In tema si segnala la recente analisi di BUGETTI, Le rinunzie ai diritti contenute nell’accordo di separazione, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2012, 957, pur non condividendosene l’ispirazione di fondo tesa a limitare l’autonomia negoziale dei coniugi, attraverso un percorso che individua canoni d’inderogabilità. 46 Sul punto si richiama CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991. 47 Accordo negoziale di norma preventivo e che non raramente vede anche la presenza di accordi ulteriori a latere, non sottoposti ad omologazione; tema che si salda con la possibilità di procedere validamente a modificazioni successive a mezzo di ulteriori atti negoziali omettendo di adire la sede deputata ex artt. 710, 711 c.p.c.; si richiama in merito, tra altre, Cass., Sez. I, 20/10/2005 n° 20290, in Fam. Dir., 2006, 147, con nota di OBERTO, ed in Fam. Pers. Succ., 2007, 107, con nota di ZUCCHI. 48 Quanto alla prima questione basta richiamare la lucida analisi di FERRRANDO, La separazione consensuale, in La separazione personale dei coniugi, a cura di ALPA e PATTI, Padova, 2011, 11; ma anche di RICCI, Della separazione personale dei coniugi, in Codice della famiglia a cura di SESTA, op. cit. in nota 2, I, 2568, sub art. 711; e di LUMIA, La separazione consensuale, in Trattato di diritto di famiglia a cura di ZATTI, op. cit. in nota 2, 1306; quanto alla questione della revoca del consenso e del momento finale in cui può ammettersi, le ipotesi interpretative che possono configurarsi risultano agli antipodi e ci sembrano ben evidenziare tale quadro, oltre alle op. appena cit., da un lato, il precedente di App. Venezia 11/6/1983, in Giur. It., 1984, 1, II, 666, con nota di CIRILLO e MONOSI, Il controllo del giudice e l’autonomia dei coniugi nella separazione consensuale, che ammette la revoca unilaterale del consenso sino a che non sia intervenuta l’omologazione; conformi su tale linea, tra altre, App. Brescia 18/5/2000, in Arch. Civ., 2002, 204, con nota di SOLDI, e App. Reggio Calabria 2/3/2006, in Giur. Merito, 2007, 80, con nota di MEZZANOTTE; dall’altro lato, la recente Cass., Sez. I, 30/4/2008 n° 10932, cit. in nota 14, (con nota di ARCERI, illustrativa anche dei diversi orientamenti, Il consenso nella separazione consensuale, tra diritto al ripensamento, impugnazione per vizi della volontà e procedimento di modifica, in Fam. Dir., 2008, 1122), che non l’ammette neppure nel corso della comparizione personale dei coniugi avanti al presidente del tribunale; in posizione mediana rispetto a queste due soluzioni se ne rinvengono altre; come già rilevato in nota 40, non sempre risulta nitida la differenza che corre tra il consenso alla separazione di per sé considerato (che da titolo alla separazione e della cui revoca unilaterale si tratta), e la natura negoziale dell’accordo che ne fissa le condizioni, di norma a rilevante contenuto economico-patrimoniale, e per il quale ultimo non si esclude che possa avere di per sé efficacia contrattuale vincolante tra i coniugi. 49 Secondo Cass., Sez. I, 20/11/2003 n° 17607, cit. in nota 16, il nuovo status di coniugi separati derivante dall’omologazione (una volta che il decreto è divenuto inoppugnabile) è di per sé obiettivamente irretrattabile, come meglio vedremo anche oltre nel testo, per le conseguenze legali che ne derivano, sia verso le parti che verso i terzi (salve ovviamente le evoluzioni successive); la volontà di conseguire detto status deve infatti ritenersi effettiva e comunque in antitesi con il precedente eventuale accordo simulatorio, di tal ché non si reputa ammissibile l’azione ex art. 1414 c.c.; ma nemmeno questa soluzione può dirsi tranquillizzante per l’interprete, come evidenziato nello scritto cit. in nota 38, in particolare p. 253-254, al richiamo di nota 31. Al contrario dell’azione di simulazione di status, è invece pacificamente ammessa l’azione di annullamento per simulazione degli eventuali atti dispositivi costituenti le condizioni della separazione, nei confronti dei quali è anche ammessa l’azione revocatoria (cfr. ivi i riferimenti al richiamo di nota 32). 50 Noto precedente rinvenibile in Fam. Dir., 2008, 1120, e fatta oggetto della stessa nota esplicativa di ARCERI, cit. in nota 48. 51 I limiti di questo scritto non consentono di allargare questa analisi oltre una certa misura; appare opportuno però chiarire, come peraltro già cennato e come infra seguirà ancora nel testo, che qui non si vuol gettare scompiglio all’abitudine di ragionare secondo tranquillizzanti categorie collaudate sul piano della struttura e degli effetti, né si intende “attentare” alla giurisdizione “volontaria”, ma di rispondere adeguatamente al più modesto quesito del se la garanzia costituzionale del diritto alla difesa possa qualificarsi estranea all’esercizio dell’attività giurisdizionale attivata con la domanda di separazione dei coniugi consensuale (appartenga essa o meno alla giurisdizione “volontaria”). Ciò non di meno, è bene tenere in adeguata considerazione che la nozione di provvedimento giurisdizionale “definitivo e decisorio” in più di un oc- ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 49 CASSAZIONE casione è risultata, nella stessa giurisprudenza della Suprema Corte, quanto mai nebulosa; le citazioni poste (puntuale l’analisi della dottrina su tali incertezze e sul livello di incisione dei diritti, rinvenibile in tutte le opere cit. in nota 3; rilevanti inoltre le precisazioni di DONZELLI, Le sezioni unite e il “giusto processo” civile; in Corr. Giur., 2005, 990; ID., Sul ricorso straordinario in cassazione avverso il decreto che omologa il concordato fallimentare in assenza di opposizioni, in Dir. Fall., 2012, 207) ne sono la conferma più evidente, sicché un cenno è ineludibile anche nel nostro caso. Solo a ravvivare la memoria, il provvedimento è intanto decisorio quando oggetto della decisione sia la tutela di diritti soggettivi e status, e tale statuizione sia idonea a divenire incontrovertibile ed immutabile. Ora, nella specie, ricorrendo esattamente l’identico oggetto della tutela, si tratterebbe più semplicemente anche di porre in verifica soltanto le “affinità funzionali” dei due provvedimenti, in un settore del diritto ove la cosa giudicata è comunque sottoposta alla clausola di salvaguardia a situazione data (modificabile e revocabile al mutare delle condizioni), e quindi difettando per principio l’immutabilità nel tempo. Ciò nonostante emerge comunque la problematica afferente l’altro requisito dell’incontrovertibilità. Questo quadro obiettivo ci porta allora in primo luogo al richiamo del precetto costituzionale di cui all’art. 24, co. 1, Cost., che è inteso come garanzia di effettività rispetto alle singole situazioni sostanziali. Certo la cosa giudicata (formale e sostanziale) “è il massimo suggello che un diritto soggettivo possa conseguire” (così testualmente, FAZZALARI, op. cit. in nota 3), ma ciò non esclude che il legislatore, cui appartiene ampia discrezionalità in materia processuale, possa optare per una tutela a stabilità modulata, in via speciale od alternativa, in considerazione del diritto sostanziale sotteso, senza che da ciò si possa dedurne il venir meno, per la tutela prefigurata di quei medesimi diritti e status, delle garanzie fondamentali (contraddittorio, difesa, ragionevole durata, terzietà ed imparzialità della decisione, motivazione, ecc.); anche se la certezza e stabilità del provvedimento finale così reso non è assoluta, ovvero è solo tendenziale, ciò non significa che possono revocarsi in dubbio le altre garanzie fondamentali che la carta costituzionale impone alla legge processuale, quale è il diritto di difesa della parte che agisce in giudizio; al più sarebbe solo di dubitare in ordine alla legittimità costituzionale di una tale stabilità, per l’appunto, solo tendenziale, secondo l’oramai antico quesito del se la nostra Costituzione (artt. 3, co. 1, 24, co. 1 e 2, 111, co. 1 e 2) imponga o meno che ogni diritto dedotto in giudizio possa essere affermato o negato dalla cosa giudicata (artt. 2909 c.c., 327 c.p.c.) e cioè, se la cosa giudicata sia o meno coessenziale alla tutela dei diritti (sulla quale questione rimangono fondamentali i contributi di CERINO CANOVA e DENTI, opere cit. in nota 3, e che sembrano giunti ad opposte soluzioni). 52 Trattasi di Cass., Sez. I, 24/8/1990 n° 8712, cit. in nota 14, mentre la sentenza impugnata, App. Roma 3/7/1986, si rinviene in Foro It., 1986, I, 3133. Gli altri precedenti si limitano alla mera declaratoria di inammissibilità allo scrutinio di legittimità secondo il tralatizio rilievo della non definitività e non decisorietà, ovvero ad escluderne la deducibilità con il ricorso ex artt. 710, 711 c.p.c.; si tratta in particolare di Cass., Sez. I, 5/3/2001 n° 3149, cit. in nota 41; Id., 8/3/2001 n° 3390, cit. in nota 14; Id., 4/9/2004 n° 17902, cit. in nota 41; Id., 22/11/2007, n° 24321, in Banca dati Foro It., dvd 2011; Id., 20/3/2008 n° 7450, ivi; Id., 30/4/2008 n° 10932, cit. in nota 14, Cass., Sez. I, 8/5/2008 n° 11489, in Guida Dir., 2008, 33, 62. 53 La sede processuale si identifica in quella contenziosa ordinaria, anche in via di accertamento incidentale e nel corso di procedimenti speciali (ad esempio, proprio in sede divorzile, in via oppositiva alla ricorrenza dei presupposti per conseguire validamente lo scioglimento del vincolo), od anche in sede di opposizione all’esecuzione come eccezione di nullità o domanda di annullamento del decreto di omologazione per una delle cause descritte, quindi ivi compresa la questione trattata in questo scritto (od il mancato esperimento del tentativo di conciliazione, il mancato intervento del P.M., il difetto di costituzione del giudice, per limitarci ai possibili esempi più evidenti). Si ammette la cosiddetta actio nullitatis (in tal senso MANDRIOLI, sin dallo scritto, Il procedimento di separazione consensuale, Torino, 1962, 127, poi, in L’assorbimento dell’azione civile di nullità e l’art. 111 della Costituzione, Milano, 1967, e da ultimo riaffermata nell’opera cit. in nota 2), e da altri anche la disapplicazione (in tal senso, MONTESANO, Sull’efficacia, sulla revoca e sui sindacati contenziosi dei provvedimenti non contenziosi dei giudici civili, in Riv. Dir. Civ., 1986, I, 591). 54 Escludono la revocabilità ex art. 742 c.p.c. del decreto di omologazione della separazione consensuale dei coniugi, pur con argomentazioni diverse, SCARDULLA, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, Milano, 2008, 933-935; SATTA, Diritto processuale civile, agg. da PUNZI, Padova, 2000, 840-842, seppur desumibile dalle argomentazioni svolte nell’ambito dell’analisi generale sub art. 742 c.p.c.; DOGLIOTTI, Separazione e Divorzio, Torino, 1995, 29. Sembra propendere per una tale opinione anche LUMIA, op. cit. in nota 37, 1931. Posizione favorevole alla eliminazione, per vie ordinarie, della situazione creata dal decreto di omologazione e non alla revoca in parola, è assunta invece da MANDRIOLI, op. cit. in nota 2, 122-123, il quale non nega, peraltro, che “con l’acquisizione dell’efficacia del decreto di omologazione, i due coniugi acquistano lo stato di coniugi separati”, rilevando poi, come cennato, che la revoca non è sufficiente a far venir meno tale status, sicchè ci si troverebbe a fronte di una peculiare “stabilità”, seppur diversa da quella del giudicato. Posizione similare è quella espressa da DI BENEDETTO, Il passaggio in giudicato del provvedimento di omologazione della separazione consensuale quale pretesa condizione di proponibilità della successiva domanda congiunta di divorzio, in Dir. Fam. Pers., 2000, II, 104, che reputa potersi profilare “soltanto il rimedio della querela nullitatis”. Secondo CHIZZINI, La revoca dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, op. cit. in nota 3, “essendo assai controversa la lettura dell’art. 742 c.p.c. non è concesso da quella disposizione dedurre con ragionevole sicurezza il grado di stabilità formale del provvedimento. Ogni soluzione è quindi rimessa all’analisi sistematica”. Posizione favorevole alla revoca ex art. 742 c.p.c. è assunta da ARIETA, op. cit. in nota 2, capp. da 834.2 a 834.7, il quale si esprime senza incertezze, sull’assunto che “il decreto di omologazione della separazione consensuale è espressione di giurisdizione camerale in senso stretto, integrando una delle semplici ipotesi autorizzative-omologatorie”, e sulla base di una netta distinzione, all’interno del procedimento ex art. 711 c.p.c., di due separate fasi (quella presidenziale e quella collegiale); a questa ricostruzione può obiettarsi che così non si attribuisce alcun valore all’accertamento costitutivo di status e che il passaggio alla diversa “fase” collegiale (una volta conclusasi la comparizione avanti al presidente del tribunale ed esauriti tutti gli incombenti prefigurati) non è desumibile neppure dalla previsione di una qualche istanza di parte. Argomenti a conforto del contrario avviso in ordine alla revocabilità in questione, possono ulteriormente ricavarsi, da un lato, nella constatazione per cui le sole condizioni concordate possono essere soggette a modificazione, con il procedimento ex art. 710, 711 c.p.c., al mutare della situazione data; dall’altro lato, nella constatazione per cui nella materia familiare sono presenti esempi in cui la revocabilità del decreto camerale che attinge diritti e status è si ammessa, ma per espressa disposizione (quale quella di cui all’art. 333, co. 2, c.c.). 55 Si richiamano gli stessi precedenti cit. in nota 52 che precede; Per la giurisprudenza di merito, cfr., App. Milano 18/2/1997, in Fam. Dir., 1997, 439, con nota di FIGONE; contra, Trib. Napoli 16/10/1996, in Gius, 1997, 1536. Il fondamento di una tale azione può accertarsi, come detto, soltanto attraverso l’instaurazione di un autonomo giudizio di ordinaria cognizione e non in sede di modificazione (camerale) ex artt. 710 e 711 c.p.c., presupponendo quest’ultima, proprio l’allegazione di una valida ed efficace separazione (consensuale). 56 Cfr., tra le tante, Cass., Sez. I, 10/9/2004 n° 18248; e Id., 10/11/1994 n° 9393, entrambe in Banca dati Platinum Utet, dvd 2012. Per effetto della recente C. Cost. 20/11/2009 n° 310, in Fam Dir., 2010, 449, ora sembra acquisito che anche i decreti del Tribunale minorile sono esecutivi. 50 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 CASSAZIONE 57 Rinvenibile in Foro It., 1989, I, 935; ed in Dir. Fam. Pers., 1988, 700, con nota di MOROZZO DELLA ROCCA. Precisazione diffusa nei precedenti citati; cfr., per tutte, Cass., Sez. I, 15/5/1997 n° 4306, cit. in nota 33. 59 Individua la funzione dell’omologa con le esigenze pubbliche di certezza dello status e delle sue modifiche, FERRANDO, Il matrimonio, in Trattato dir. civ. comm., CICU-MESSINEO-MENGONI, V, 1, Milano, 2002, 120; tesi ripresa dall’autrice, in La separazione consensuale, op. cit. in nota 48, 11-14; in tal senso si era già espresso F. FINOCCHIARO, Del matrimonio, in Commentario del codice civile SCIALOJA-BRANCA, a cura di GALGANO, II, Bologna-Roma, 1993, 475, che rileva come “il decreto di omologazione fa sì che i coniugi acquistino lo stato di separazione, uno stato che può mutare solo con la riconciliazione e con il successivo divorzio”; per tale ragione, l’a. ritiene che il decreto non è soggetto a revoca; “ma, poiché tale stato acquista efficacia solo quando sia trascorso il termine previsto dagli artt. 739, 741 c.p.c., la revoca del provvedimento è ammissibile quando il tribunale riscontri un’illegittimità del procedimento o del decreto prima della scadenza di cotesto termine”; in senso del tutto analogo anche GIACOBBE-VIRGADAMO, Separazione personale e divorzio, in Trattato dir. civ., diretto da SACCO, 3, II, Torino, 2011, 460. Si richiamano in particolare poi le opere citate in nota 54, nonché, più in generale, in nota 27. Nella giurisprudenza della Corte di legittimità l’assunto sembra oramai netto e consolidato, come emerge specificatamente, tra altre, ancora in Cass., Sez. I, 20/11/2003 n° 17607, cit. in nota 16; esattamente ripresa da Cass., Sez. I, 30/4/2008 n° 10932 cit. in nota 14. 60 In tema è sufficiente richiamare la recente, Cass., Sez. I, 26/2/2010 n° 4757, in Foro It., 2010, I, 1772. 61 Risalenti sono infatti i precedenti che segnavano il capovolgimento dell’anteriore tradizionale opinione, di cui a Cass., Sez. I, 7/12/1994 n° 10512, in Foro It., 1995, I, 1202, con nota di SALMÈ, e di Cass., Sez. I, 17/3/1995 n° 3098, in Giur. It., 1996, I, 1, 68, con nota di LENTI; si segnalano peraltro le più recenti, Cass., Sez. I, 29/3/2005 n° 6625, in Banca dato Platinum Utet, dvd 2012; Id., 20/3/2008 n° 7450, in Fam. Pers. Succ., 2008, 1034; in tema utile anche Cass., Sez. I, 15/9/2011 n° 18853, in Giur. It., 2012, 1540, con nota di RIZZUTI. 62 Rito effettivamente consono alla materia di famiglia, semplice e celere ma con tutte le garanzie della cognizione, conosciute come essenziali al rito civile, e così il contraddittorio, la difesa, il diritto alla prova, l’ammissione al controllo ed all’impugnazione di legittimità (magari uno a cognizione piena ed uno a cognizione sommaria, a seconda della concreta materia del contendere), cui è comunque indispensabile la previsione di tutela anticipatoria/cautelare a monte ed una efficace tutela esecutiva/attuativa a valle; ovviamente con adeguate ricadute processuali, diversificate e semplificatorie, ove ricorra l’ipotesi auspicata del consenso e dell’accordo dei coniugi sulla soluzione da dare alla crisi familiare, tanto più che proprio il perseguimento della soluzione concordata costituisce il postulato del ricorso all’ausilio di esperti in mediazione familiare di cui all’art. 155sexies, co. 2, c.c. (che può disporsi anche in sede di procedimento per separazione consensuale -in tal senso, Trib. Lamezia Terme 11/3/2010, in Fam. Minori, 2010, 10, 70-, al pari degli altri mezzi di prova e dell’audizione dei figli in età minore di cui al medesimo art. 155sexies, co. 1, c.c. -in tal senso, tra altri, CARNEVALI, op. cit. in nota 27, 64; LUMIA, op. cit. in nota 37, 1886-). In tema di mediazione e processo civile destano interesse le riflessioni da ultimo formulate da TOMMASEO, Mediazione familiare e processo civile, in Fam. Dir., 2012, 831. Peraltro, è ben noto il fenomeno sociologico della propensione dei coniugi verso soluzioni consensuali o, se si vuole, domestiche, alla crisi del rapporto, e la coerente diffidenza per lo strumento, intrusivo, di soluzioni imperative terze dei conflitti incidenti sugli affetti e le relazioni familiari; e d’altronde, la crisi familiare non è sempre causata dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, né l’eventuale violazione assume necessariamente quel carattere tale da imporre lo strumento della soluzione giurisdizionale statuale di un conflitto astratto; per quanto importante possa risultare l’aspetto “sanzionatorio”, assumono rilievo preminente gli altri valori. Queste riflessioni ci danno anche l’ulteriore spunto per porre in evidenza il paradosso sotteso all’opzione interpretativa che a fronte del ricorso all’ausilio del mediatore familiare per il raggiungimento dell’accordo dei coniugi/genitori (finalità che, come abbiamo evidenziato, permea ed ispira il vigente ordinamento sostanziale e processuale), per la formulazione del suo risultato, sul versante prettamente tecnico-giuridico, non reputi necessario contare sull’apporto del difensore. 63 Sul punto risultano tutt’oggi fondamentali le distinzioni di CERINO CANOVA, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimenti camerali e giurisdizione volontaria, op. cit. in nota 3. 64 Per usare la testuale espressione di Cass., Sez. I, 9/10/2007 n° 21099, in Foro It., 2008, I, 128, con nota di CASABURI. 65 L’esercizio di una tale azione a tutela di quel diritto sostanziale (ad ottenere il provvedimento di status in questione e la regolamentazione dei diritti ed interessi che coinvolge, per il solo consenso), è un’opzione che garantisce non soltanto una rapida pronuncia giurisdizionale, ma evita, solo per limitarci ad un esempio tra i tanti possibili, il radicarsi di conflittualità relazionali che magari possono altrimenti divenire irreversibili (conflittualità che di norma finisce per coinvolgere anche i figli, cui l’ordinamento appresta comunque tutela preminente), assicurando quindi uno o più beni non altrimenti conseguibili; ed al principio della domanda (art. 99 c.p.c.) corrisponde il dovere decisorio (art. 112 c.p.c.), in rapporto di esatta correlazione; interessanti spunti su tale correlazione tra la domanda di separazione consensuale, l’accordo dei coniugi ed il provvedimento di omologazione, si rinvengono anche in, Cass., Sez. I, 8/11/2006 n° 23801, cit. in nota 16. 66 A questo punto è opportuno riprendere il discorso interrotto in nota 51 e più sopra nel testo. Gettando lo sguardo oltre il tema circoscritto che qui ci ha occupato, due riflessioni conclusive: intanto la constatazione che il legislatore nel mantenere ferma la struttura originaria, ante costituzione, del procedimento ex art. 711 c.p.c., nonostante la poderosa serie di riforme che hanno attinto il diritto di famiglia, sia sul versante sostanziale che su quello processuale, è stato malaccorto nel non riservare alla separazione per mero consenso uno strumento processuale di tutela similare a quello previsto per il divorzio a ricorso congiunto (posto che non sembra condivisibile la tesi minoritaria che reputa estensibile il procedimento ex art. 4, co. 16, l. div., alla separazione consensuale, in virtù del rinvio ex art. 23 L. 6/3/1987 n° 74; in tal senso però, Trib. Bari 3/3/1993, in Foro It., 1993, I, 1274), fondato sulla concorde domanda dei coniugi e comunque da definirsi con sentenza, risolvendo in radice le difficoltà ed i “rischi” per il coniuge che intraprende la strada di una separazione consensuale (pur rinvenendosi nell’ordinamento codificato un evidente favor conciliationis); e poi, ci si chiede, prendendo atto come nell’esperienza concreta è ben raro imbattersi in contenziosi che rimettano in discussione il decreto di omologazione, se non siano oramai maturate le condizioni per una questione di legittimità costituzionale (diritto a conseguire il giudicato ad effettiva tutela del diritto sostanziale riconosciuto dall’ordinamento), ovvero, se non sia giunto il tempo per tentare una diversa ricostruzione sistematica per il decreto in parola, come atto conclusivo capace di produrre almeno un giudicato sostanziale di status, ovvero di dar luogo a quel fenomeno ad esso assimilabile negli effetti, della preclusione pro judicato (domanda di tutela di un diritto soggettivo o status, correlativo dovere decisorio, motivazione, incontrovertibilità al vano decorso dei termini per le impugnazioni, compresa quella di legittimità). Gli “ingredienti” sembrano potersi rinvenire e d’altronde, nell’insegnamento della Cassazione, si colgono importanti aperture su tale versante; infatti, ad esempio, fino a Cass., Sez. I, 30/10/2009 n° 23032; e Id., 4/11/2009 n° 23411 (entrambe in Fam. Dir., 2010, 113, con nota di DOSI), il decreto del tribunale minorile, emesso a conclusione del procedimento camerale ex art. 317bis c.c. e 38 disp. att. c.c., veniva tralatiziamente qualificato non definitivo, né decisorio, ma poi è stato finalmente ammesso alla tutela di legittimità, con una rilettura complessiva della funzione di quel giudizio. 58 ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 51 MEDIAZIONE E CONCILIAZIONE IL FUTURO DELLA MEDIAZIONE CIVILE DOPO L’INTERVENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE MATILDE GIAMMARCO (AVVOCATO COMPONENTE DELL’ESECUTIVO DELL’OSSERVATORIO E PRESIDENTE DELLA SEZIONE DI CHIETI) a Corte Costituzionale il 23 ottobre 2012 attraverso un laconico, quanto sintetico, comunicato stampa ha dato la notizia di “aver dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione”. Ad essere investito dell’incostituzionalità, sia pur relativamente solo all’aspetto dell’eccesso di delega, è l’art. 5 comma primo, periodo primo, secondo e terzo del richiamato decreto legislativo laddove prevede che “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di azienda, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari è finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007 n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’art. 128 bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385 e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.” Per poter effettuare qualsivoglia minima valutazione sul richiamato “pre-annuncio” decisionale alla luce della particolare sensibilità che ha caratterizzato, fin qui, l’applicazione dell’istuto da parte dei pratici, appare necessario ricostruire il quadro storico e giuridico utile a comprendere come si è arri- L 52 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 vati alla formulazione della disciplina oggi posta all’attenzione dell’organo costituzionale. La scelta del legislatore del 2010 è stata una scelta stimolata e voluta, innanzitutto, dall’esperienza europea e questo sia nel senso che da sempre l’ordinamento comunitario ha posto il problema dell’ADR come una “priorità politica”, così come ampiamente sottolineato nel Libro Verde predisposto dalla Commissione Europea nel 2002 e volto a disciplinare i modi alternativi di risoluzione dei conflitti, ossia le procedure non giurisdizionali di risoluzione delle controversie condotte da una parte terza neutrale ad esclusione dell’arbitrato, ( cfr. Commissione delle Comunità Europee - Bruxelles 19 aprile 2002 Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale), sia perché, con l’approvazione della direttiva comunitaria n. 2008/52/CE, si è reso necessario recepire nel diritto interno molte delle scelte provenienti dall’esperienza europea, e questo a prescindere dall’argomento, più volte sollevato soprattutto dgli oppositori dell’istituto mediativo, che la normativa europea riguarda esclusivamente le controversie transfrontaliere. (cfr. Direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21.05.2008 relativa a determinati aspetti della mediazione civile e commerciale) Il legislatore italiano, pertanto, era obbligato ad offrire una disciplina completa del modello conciliativo per le controversie interne e poi anche per le controversie transazionali. Tutto questo doveva accadere entro il 2011, poiché il recepimento della direttiva in Italia era fissato al 21 maggio 2011, fatta eccezione per la disposizione dell’art. 10 (informazioni sugli organi giurisdizionali e sulle autorità competenti comunicate dagli Stati membri ai sensi dell’art. 6 paragrafo 3, per il quale tale data era fissata per il 21 novembre 2010. Tanto era necessario, anche, nel rispetto ed in prosecuzione di altre esperienze che nel corso degli anni hanno dato vita a singoli modelli di risoluzione alternativa dei conflitti: il riferimento evidente è, dal punto di vista dell’ordinamento interno, al sistema camerale conciliativo ed a quello societario. Il primo demandato alle Camere di Commercio che per loro costituzione rivestono un ruolo dominante nell’esperienza conciliativa, poiché la disciplina relativa al riordino aveva posto tra le attribuzioni primarie degli organismi camerali quello di promuovere la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori ed utenti (cfr. art. 2 L. 29.12.1993 n. 580) Il secondo tentativo è stato quello della conciliazione societaria individuata come modello di risoluzione di tutte le controversie societarie, sia pur in forma facoltativa (cfr. artt. 38 - 40 D.lgs. 17.01.2003 n. 5). Questi sistemi avevano anticipato in qualche modo il decreto delegato tant’è che esso ne rappre- MEDIAZIONE E CONCILIAZIONE senta certamente la continuazione “generalizzata” introducendo, sullo schema di quanto previsto dal legislatore “societario” un sistema di mediazione “amministrata” ossia effettuata attraverso appositi organismi, costituiti ad hoc ed accreditati presso il Ministero della Giustizia, pensati , come si legge nella relazione che accompagna il decreto, quali “strumenti di serietà ed efficienza”. Il decreto legislativo imposta, quindi, un sistema complesso di mediazione, ne fissa i principi e regolamenta la procedura, struttura gli organismi, detta i requisiti relativi ai mediatori ed alla loro formazione, disciplina gli organismi deputati alla formazione ed all’aggiornamento dei mediatori stessi. Il sistema appare al legislatore delegato assolutamente conforme a Costituzione. In proposito occorre rammentare, come sottolineato sempre nella relazione introduttiva al decreto legislativo, che “la Corte Costituzionale ha più volte giudicato legittimo il perseguimento della finalità deflattiva dell’istituto , realizzato attraverso il meccanismo della condizione di procedibilità. Si tratta, infatti, di una misura che, senza impedire o limitare oltremodo l’accesso alla giurisdizione, si limita a differirne l’esperimento, imponendo alle parti oneri obiettivamente non gravosi, volti, anzi, a dare soddisfazione alle loro pretese in termini più celeri e meno dispendiosi” , strumento in grado di assicurare alla domanda di mediazione gli stessi effetti sostanziali e processuali che la domanda giudiziale produce sul diritto controverso. Ed ancora “la condizione di procedibilità si pone perfettamente in linea con la direttiva della legge delega poiché l’art. 60, comma 3, lettera a) legge n. 69 del 2009 stabilisce come unico limite all’esercizio della delega che la disciplina della mediazione non può precludere l’accesso alla giustizia. (…) e non vi è dubbio, prosegue la relazione, che la disciplina dell’art. 5 comma 1 del decreto, regolando l’ipotesi di una condizione di pro- cedibilità e non di proponibilità della domanda, realizzi un punto di equilibrio tra diritto d’azione ex art. 24 Cost ed interessi generali alla sollecita amministrazione della giustizia ed al contenuto dell’abuso del diritto alla tutela giurisdizionale.” Tanto è apparso anche al Parlamento europeo che con la Risoluzione del 13 settembre 2011 ha sottolineato come “ il decreto legislativo n. 28 punta a riformare il sistema giuridico ed ad alleggerire il carico di lavoro dei tribunali italiani, ( cfr. Risoluzione Parlamento Europeo 13.09.2011 sull’attuiazione della direttiva sulla mediazione negli stati membri, impatto della stessa sulla mediazione e sua adozione da parte dei tribunali), ugualmente la Commissione europea nelle Osservazioni scritte del 2 aprile 2012 ha evidenziato come “la previsione dell’obbligatorietà è giustificabile dalla finalità di perseguire legittimi obiettivi d’interesse generale quali quello di consentire una risoluzione più rapida e più economica delle controversie e pertanto di decongestionare i tribunali. Rispetto a tali obiettvi la mediazione obbligatoria appare non manifestamente sproporzionata non esistendo un’alternativa meno vincolante capace di raggiungere i suddetti obiettivi.” (cfr. Osservazioni scritte della Commissione Europea alla Corte di Giustiza presentate si sensi dell’art. 23, 2 dello Statuto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea - domanda vertente sull’interpretazione della direttiva 2008/52/CE alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) L’odierno sintetico comunicato del Giudice costituzionale rischia di mettere in discussione questo complesso impianto sia pur limitatamente all’aspetto dell’eccesso di delega. Tale profilo però, come da più parti evidenziato, in quanto attinente ad un aspetto meramente tecnico e formale certamente non incide sull’opportunità, ed io direi necessità, da più parti riconfermata, di una disciplina sistematica della mediazione, qual è certamente quella offerta dal legislatore italiano, profilo che verosimilmente potrà essere superato con un intervento legislativo ad hoc. Non a caso in questo momento e, quindi, ancor prima del deposito della sentenza da parte della Corte Costituzionale, sono già stati presentati in Parlamento emendamenti alla prossima legge di stabilità, volti, in qualche misura, a ripristinare l’obbligatorietà del tentativo di mediazione superando il censurato profilo di legittimità costituzionale ( cfr in particolare a) emendamento presentato dall’On.le Di Lillo sostenuto dal movimento ADR italiano nel quale viene proposta una sperimentazione della mediazione obbligatoria fino al 31.12.2017 e, nel caso di proposta di conciliazione del mediatore, l’assistenza degli avvocati delle parti; b) emendamento AC 5534 bis che sana l’eccesso di delega (On.li Aracu e Birguglio); c) emendamento presentato dall’On.le Occhiuto sostenuto da Asimec, che prevede l’obbligatorietà con norma di legge, estesa per cinque anni ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 53 MEDIAZIONE E CONCILIAZIONE a tutte le controversiein materia di diritti disponibili e il raddoppio delle sanzioni in caso di assenza ingiustificata della parte chiamata in mediazione). Ma al di là del dato formale, l’intervento della Corte potrà necessariamente far scaturire una riflessione su come questo complesso meccanismo attivato dal legislatore del 2010 non possa essere facilmente superato, perché la disciplina generale del procedimento di mediazione resta in vigore, ed anzi lo stesso dovrà essere potenziato e alleggerito dei suoi punti di criticità evidenziati in questo periodo di sperimentazione e vigenza dell’istituto. Resta in piedi, infatti, tutta la disciplina processuale e procedurale, in particolare la mediazione facoltativa prevista all’art 2 “ Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili”; nonché la mediazione demandata dal giudice “il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere alla mediazione.” (art. 5 comma 3). Resta in piedi la disciplina procedimentale, nonché quella che regolamenta i requisiti dei mediatori, la loro formazione ed il funzionamento degli Organismi. Un sistema complesso e composito del quale è necessario superare in termini propositivi e non abrogativi le obiettive criticità: necessità di una maggiore formazione dei mediatori, abbassamento delle tariffe, estensione dell’obbligatorietà a tutte le controversie relative a diritti disponibili introducendo previsioni normative di raccordo in relazione a particolari materie, come ad esempio, i diritti reali, le divisioni e le successioni, eliminazione della possibilità di formulazione della proposta da parte del mediatore collegata ad un aumento degli oneri economici per le parti, incremento degli incentivi fiscali, riflessione sul sistema sanzionatorio a carico 54 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 delle parti che volutamente si sono sottratte al procedimento o comunque che non hanno accettato proposte in sede conciliativa. È necessario, dunque, portare a compimento questo processo evolutivo nato principalmente allo scopo di decongestionare il contenzioso anche se non possiamo fare a meno di sottolineare che comunque il provvedimento legislativo ha avuto la funzione ben più significativa di aprire la strada ad un percorso per uno storico rinnovamento culturale volto a elaborare un’alternativa all’amministrazione della giustizia attraverso la creazione di strumenti efficaci tesi a rivalutare il rapporto tra cittadini e giurisdizione per una soluzione “autodeterminata” del conflitto. Probabilmente siamo ancora molto lontani dal ritenere che il sistema attuale abbia trovato un suo punto di equilibrio e questo perché siamo ancora distanti dalla cultura che ha visto in altri paesi affermare la mediazione come un meccanismo efficace ed efficiente. Dobbiamo ancora imparare a guardare alla funzionalità dell’istituto in una diversa prospettiva che non sia quella “giurisdizionale” ma necessariamente debba essere quella “sociale”. Dobbiamo, cioè, riconoscere pienamente alla mediazione il ruolo di strumento “civilistico” di tutela degli interessi e questo perchè la mediazione è diversa dal giudizio volto alla tutela dei diritti ma non è neanche un contratto, quale principale strumento dell’ espressione dell’autonomia delle parti, ma racchiude in sé la strutturazione di un procedimento propria del primo e la libertà e l’autonomia caratteristiche del secondo. L’idea, insomma non può che essere quella che la mediazione oggi potrebbe imporsi come strumento efficace di risposta alle esigenze di giustizia provenienti dal basso e questo garantendo ed incentivando i percorsi di fuoriuscita dalla definizione contenziosa del conflitto molto spesso troppo onerosa sia in termini di costi che di tempi. Per far questo è importante che tutti gli appartenenti al “contesto giustizia” ripensino il loro ruolo e questo sia i soggetti tradizionali quali i giudici e gli avvocati, ma anche i mediatori, gli organismi di mediazione e di formazione, in un rapporto sinergico di collaborazione dove fondamentale è l’esigenza di un cambiamento di vedute soprattutto da parte della classe forense che si avvicina alla mediazione, poichè è importante che essa comprenda bene il contesto nel quale è chiamata ad operare e nel quale verrà chiamata sempre più a contribuire alla gestione di un servizio utile alla tutela degli interessi delle parti. e che porterà le parti ad un accordo che nella maggior parte dei casi potrà rapprsentare effettivamente la migliore soluzione possibile. Su tutto questo, oggi, non possiamo tornare indietro. PARI OPPORTUNITÀ DALLE QUOTE DI GENERE ALLA PARITÀ DI RAPPRESENTANZA di CLAUDIA ROMANELLI AVVOCATO DEL FORO DI BARI E RESPONSABILE DELLA REGIONE PUGLIE DELL’OSSERVATORIO toricamente le istituzioni non si sono mai preoccupate di individuare sistemi tesi al riequilibrio della rappresentanza anche perché si pensava che il concetto di rappresentanza politica fosse un concetto neutro. Abbiamo dovuto aspettare gli anni ottanta nel corso dei quali, in Europa prima che in Italia, hanno individuato delle strategie di intervento mutuando dagli Stati Uniti le cd affermative actions che costituivano una forma di tutela delle minoranze e, in particolare, contrastavano le discriminazioni razziali. In Italia la legge n. 83 del 1993 introduce le cd. quote rosa sia a livello nazionale che locale, ma la Corte Costituzionale, con sentenza n. 422 del 1995, la dichiara incostituzionale affermando che in materia elettorale l’art. 3 della Costituzione, che declina l’uguaglianza formale, non può prevalere sul principio di uguaglianza sostanziale. S L’effetto devastante di tale sentenza paralizzò l’opera del legislatore che non si preoccupò più della rappresentanza di genere in ambito elettivo nazionale. Tuttavia le Regioni più avanzate nella riformulazione dei loro statuti, indicarono comunque il limite della presenza di un genere rispetto all’altro (2/3) per garantire almeno la eleggibilità delle donne, stabilendo sanzioni pecuniarie nel caso in cui il limite non fosse stato rispettato. Nel 2001 comincia il processo di revisione costituzionale e viene modificato l’art. 117 che al comma sette introduce la seguente disposizione mutuata dalle regioni a statuto speciale “le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.” Il percorso in Italia è ancora molto lento, mentre in Europa viene redatta la Carta di Nizza nel 2001 che entra in vigore nel 2003 stabilendo che il principio di parità non osta all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato. Nel luglio 2002 viene promulgata la legge regionale elettorale della Valle d’Aosta che introduce le quote e sebbene contestualmente fosse in corso il processo di revisione dell’art. 51 della Carta Costituzionale, il Governo, recalcitrante al principio di uguaglianza sostanziale in materia elettorale, im- ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 55 PARI OPPORTUNITÅ pugna la legge elettorale della Valle D’Aosta. Fortunatamente a contrastare il governo che dovrebbe amministrare la politica democraticamente ed in ossequio ai principi costituzionali, c’è la Corte Costituzionale che, investita della questione, salva la norma regionale con la sentenza n. 49 del 2003. Nell’occasione la Corte impartisce al Governo la seguente lezione: le Regioni non si devono limitare a riconoscere eguale possibilità dei due sessi di accedere alle cariche elettive ma devono promuovere la parità introducendo meccanismi che valgono a controbilanciare lo svantaggio che tuttora caratterizza la posizione delle donne nell’accesso a tali cariche. Almeno sotto il profilo della candidabilità si garantisce l’accesso alla competizione elettorale. Si definisce poi la revisione dell’art. 51 della Costituzione con la legge n. 1 del 2003 che introduce il principio di parità sostanziale anche in ambito elettorale. Vero è che l’art. 51 è stato tacciato di estrema genericità e quindi di inefficacia perché parla di provvedimenti e non di leggi e questo implicherebbe una discrezionalità nel legislatore che può continuare a non legiferare in materia… A livello locale molte sono state le Regioni che hanno garantito nei loro statuti il principio di parità e il mancato rispetto ha visto cadere intere giunte comunale e regionali per mano dei Tar e del Consiglio di Stato. La più recente è quella del Consiglio di Stato (n. 3670/2012) che ha dichiarato illegittima la giunta della Regione Lombardia nella quale era stata nominata solo una donna. Anche il Testo Unico degli Enti Locali D.Lgs. n. 267/2000 all’art. 6 afferma che “gli statuti comunali e provinciali devono stabilire norme che assicurano le condizioni di pari opportunità uomo e donna ai sensi della legge 125/91 nonchè per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del Comune e della Provincia nonché negli enti aziende e istituzioni da essi dipendenti”. Per le elezioni al Parlamento europeo, le quote sono state introdotte con la legge 90 del 2004 secondo la quale nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai 2/3 a pena di sanzioni economiche crescenti fino alla inammissibilità della lista, mentre vi è un principio di premialità, se c’è una maggioranza femminile. Possiamo dire che nelle ultime elezioni del 2009 c’è un buon 35% di donne. Certo il merito non è attribuibile all’Italia che ha invece confermato il suo deficit di rappresentanza democratica assestandosi su una presenza femminile del 25%, laddove paesi come la Svezia e la Finlandia hanno eletto più donne che uomini e la Francia e i Paesi Bassi hanno il 40% di donne. 56 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 Le quote all’interno del potere economico Ulteriore intervento in favore del riequilibrio di genere è costituito dall’inserimento delle donne ai vertici delle società per azioni quotate in borsa e quelle a partecipazione pubblica. Con la legge n. 120 del 2011 si sono introdotte le quote all’interno dei consigli di amministrazione delle società a patrimonio pubblico e quotate in borsa. L’esigenza era dettata dall’esigua percentuale di donne presenti nei cda che non sfiora la soglia del 7%. Il 3.8.2012 il consiglio dei Ministri ha approvato il regolamento attuativo della legge per le società a partecipazione pubblica che è in attesa di essere approvato dal Consiglio di Stato per poi passare all’approvazione definitiva. Si prevede che gli organi sociali siano rinnovati per almeno 1/5 dei propri componenti con il genere meno rappresentato e poi con i successivi rinnovi dovranno raggiungere la presenza di 1/3 entro il 2015 fino ad arrivare al 2022, anno in cui la legge dovrebbe esaurire la sua efficacia. Tuttavia sul regolamento sono state espresse alcune criticità laddove si prevede che la verifica dell’attuazione della presente legge sia affidata alla presidenza del Consiglio o al Dipartimento delle pari opportunità. Si è invece suggerito che sarebbe stato maggiormente efficace un controllo da parte del registro delle imprese già deputato al controllo degli organi societari e della loro composizione. La irregolare composizione non comporterebbe delle sanzioni economiche ma la decadenza del CDA. Se la legge non resterà lettera morta potrà essere un felice strumento per l’ingresso di una presenza femminile che implicherà non solo quell’indispensabile ottica di genere ormai irrinunciabile per ogni operatore economico sociale e politico ma anche un rinnovamento nel settore economico e nella pubblica amministrazione con accesso di nuovi talenti e nuove professionalità. Oltre le quote… Un salto di qualità lo ha fatto la Regione Campania che ha promulgato una legge elettorale che introduce la doppia preferenza ossia la facoltà di votare fino a due candidati purchè siano di sesso differente pena la nullità della seconda preferenza. Anche questa legge elettorale, introduttiva di questo nuovo strumento riequilibratore di genere, è stata impugnata dal Governo, ma la Corte Costituzionale, con esemplare sentenza n. 4 del 2010 la dichiara legittima e afferma che, preso atto della storica sottorappresentanza delle donne nelle assemblee elettive non dovuta a preclusioni formali incidenti sui requisiti di eleggibilità ma a fattori culturali e sociali, il legislatore costituzionale e statutario PARI OPPORTUNITÅ indicano la via delle misure specifiche volte a dare effettività ad un principio di eguaglianza astrattamente sancito ma non compiutamente realizzato nella prassi politica ed elettorale. Si dà quindi accesso a quelle misure che in concreto possano realizzare una parità effettiva e nella regione Campania sono state elette per la prima volta 14 consigliere. In questi mesi la Regione Puglia è in procinto di varare la nuova legge elettorale. Di fatto però le donne non si sono fidate dei partiti e quindi, riunite in un comitato promotore, prima dell’approvazione della nuova legge, hanno promosso una petizione popolare con raccolta di firme per poter introdurre nuovi strumenti atti a riequilibrare la rappresentanza che vanno oltre le quote di genere: si chiede la presenza dei due sessi al 50% pena la inammissibilità della lista quindi non più quote rosa ma rappresentanza paritaria, inoltre, come per la Campania, si è prevista la doppia preferenza nonchè la presenza mediatica paritaria in campagna elettorale. Anche se i partiti si dichiarano tutti favorevoli alla introduzione di tale riforma, si teme che il consiglio regionale con il voto segreto possa vanificare gli sforzi messi in campo dalle donne di Puglia in considerazione del rischio altissimo di non veder riconfermare i propri candidati già collaudati per il consenso elettorale e non solo… La petizione si chiama 50 e 50 perché in un paese democratico la rappresentanza non può essere affidata alle quote ma ad una parità di presenze partendo dalla scontata premessa che la società civile è composta per metà dal genere femminile. Il mancato rispetto di tale principio, costituzionalmente garantito, non può essere sanato con l’applicazione di sanzioni economiche, peraltro mai versate, ma con la sanzione della inammissibilità della lista illegittima. Infine è inutile dire che la presenza di uno o due donne in un consesso può non servire, è infatti il dato quantitativo che fa la differenza perché ci sia un reale cambiamento nella società e nella gestione della cosa pubblica.. Eppure il timore che la petizione non superi il consenso del consiglio regionale è fondato. La inammissibilità della lista che non preveda la presenza del 50% di genere diverso dall’altro, resta un ostacolo difficile da superare. Ai singoli consiglieri, si sa, preme comunque mantenere la loro posizione di potere, consapevoli che una normativa come quella del 50 e 50, li pone tutti a rischio di uscita. Continuano imperterriti ad attribuire le responsabilità della sottorapresentanza alle stesse donne restie a candidarsi e ad interessarsi di politica. Ma questo è, come tanti, un luogo comune che va superato mettendo in campo ogni possibile strumento per rimuovere un modello, quello maschile, che, oggi potremmo dire, ha fallito… ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 57 DOCUMENTI DOCUMENTO PSICOFORENSE SUGLI OSTACOLI AL DIRITTO ALLA BIGENITORIALITÀ E SUL LORO SUPERAMENTO La legislazione italiana in ossequio alla Costituzione italiana, alla Convenzione dei Diritti del Fanciullo di New York, alla Convenzione di Strasburgo ed alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo pone a fondamento dei rapporti familiari la bigenitorialità, ovvero il diritto dei minori a rapportarsi in maniera armonica ed equilibrata con i propri genitori e con le rispettive famiglie di origine. Le condotte volte ad ostacolare l’esercizio di tale diritto risultano pertanto censurabili e possono a volte configurare un maltrattamento. Capita talora che, per il prevalere di dinamiche di coppia particolarmente disfunzionali, il genitore presso il quale il figlio è prevalentemente collocato trasmetta al figlio stesso l’ostilità verso l’altro genitore. Ciò può avvenire per via indiretta (il bambino si appropria delle reazioni emotive del genitore) oppure diretta (il genitore trasmette attivamente al bambino i propri giudizi o gli fornisce informazioni parziali o distorte). 58 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 Il fenomeno del bambino conteso e “schierato” a difesa di un genitore contro l’altro risulta, purtroppo, molto frequente nelle separazioni caratterizzate da un’alta conflittualità in cui i partner, anche a causa delle loro caratteristiche di personalità, non riescono ad elaborare in modo evolutivo e riflessivo l’evento separativo. Tale condizione è stata in un primo tempo denominata “Sindrome di Alienazione Genitoriale” nello stesso modo in cui si è parlato di “Sindrome del Bambino Maltrattato”, per poi focalizzare l’attenzione sulle diverse manifestazioni del maltrattamento oltre che sui fattori di rischio e protettivi. Il fatto che il maltrattamento non costituisca una sindrome in senso proprio non significa che il maltrattamento non esista come fenomeno, potendo compromettere i potenziali di sviluppo psicoevolutivo del minore coinvolto. Le attuali riflessioni della comunità scientifica, basate su molteplici ricerche in ambito nazionale ed internazionale, non consentono di definire il bambino come “malato” solo in quanto influenzato negativamente da un genitore contro l’altro sino ad arrivare, nei casi più eclatanti, al rifiuto di ogni forma di rapporto. Attualmente si ritiene che il termine più corretto per definire tale fenomeno sia “Alienazione Parentale” e non “Sindrome di Alienazione Genitoriale” sottolineando (nei casi di rifiuto non motivato) che non si tratta di una problematica individuale del figlio ma di una difficoltà relazionale tra i tre membri DOCUMENTI della famiglia: bambino, madre e padre, alla quale possono contribuire i membri della famiglia allargata. Anche se in misura che può essere diversa come intenzioni, motivazioni e comportamenti, ognuno dei componenti il gruppo familiare fornisce il proprio personale contributo in misura variabile da caso a caso. I segni di tale condizione sono il rifiuto ingiustificato e comunque talora solo parzialmente motivato da parte del figlio di frequentare uno dei due genitori (più spesso il padre ma non infrequentemente la madre) e/o il “voltafaccia” del figlio stesso, il quale prima della separazione era legato al genitore che successivamente non vuole più frequentare. Altro segnale è l’ingiustificato disprezzo non solo per un genitore ma per l’intera sua famiglia d’origine e/o ricostruita. Si può discutere se a questo fenomeno sia opportuno dare un nome specifico; a questo proposito sembra che i manuali di classificazione di prossima uscita (DSM V e ICD 11) siano orientati a farlo rientrare e definirlo all’interno della categoria dei “Disturbi Relazionali”. Come per il maltrattamento, riteniamo che negare il fenomeno del rifiuto immotivato e persistente di un genitore significhi commettere un errore grossolano e fuorviante. Le implicazioni psicosociali e giuridiche della violazione dei diritti relazionali dei soggetti coinvolti in tali situazioni giustifica la messa in atto di interventi e di provvedimenti psicosociali e giudiziari volti alla tutela dei diritti stessi, i quali varieranno di caso in caso a seconda dell’età del minore coinvolto, della sua capacità di autodeterminazione e delle responsabilità dei genitori e dei familiari coinvolti. D’altronde, in ambito giuridico l’attenzione alla particolarità di ogni singola situazione rappresenta un elemento fondamentale di rispetto dei componenti il nucleo familiare e soprattutto, nel caso specifico, di tutela dei diritti relazionali del minore. Iolanda Abate, Paola Antonelli, Renato Ariatti, Anna Balabio, Fabio Benatti, Linda Betti, Francesca Bianchi, Chiara Brillanti, Cristina Cabras, Giovanni Battista Camerini, Elisa Cantarutti, Daniela Carboni, Daniela Catullo, Adele Cavedon, Simona Chiari, Francesca Ciammarughi, Sara Codognotto, Serena Colaianni, Elena Consenti, Antonietta Curci, Ancilla Dal Medico, Michele D’Andreagiovanni, Rodolfo de Bernart, Luisella De Cataldo Neuburger, Rosanna Della Corte, Rubens De Nicola, Ida de Rénoche, Carlo Desole, Renzo Di Cori, Alessandro Fanuli, Valeria Giamundo, Guglielmo Gulotta, Moira Liberatore, Laura Lombardi, Giovanni Lopez, Tiziana Magro, Marisa Malagoli Togliatti, Maurizio Marasco, Barbara Masseroli, Aldo Mattucci, Isabella Merzagora Betsos, Marco Monzani, Daniela Pajardi, Patrizia Patrizi, Sara Pezzuolo, Cesare Piccinini, Luisa Puddu, Donatella Pulixi, Donatella Ragusa, Marco Ricci Messori, Severo Rosa, Lino Rossi, Ugo Sabatello, Laura Sancio, Luca Sammicheli, Giuseppe Sartori, Melania Scali, Gilda Scardaccione, Luciana Silvestris, Magda Tura, Elena Varoli, Alfredo Verde, Matteo Villanova, Laura Volpini, Vittorio Volterra, Alberta Xodo, Georgia Zara. ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 59 IN LIBRERIA In libreria a cura dell’avv. MARIA LIMONGI GABRIELLA CONTIERO I doveri coniugali e la loro violazione - L’addebito e il risarcimento del danno Seconda edizione Giuffrè Editore 2012 Nella seconda edizione del testo in rassegna, l’avvocato Gabriella Contiero - che si occupa di diritto di famiglia e delle persone, membro della Camera Minorile e dell’Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia - con contenuti innovati riscrive in materia dei doveri coniugali tenendo conto della evoluzione che tale argomento ha subito nei sette anni trascorsi dalla prima edizione per la continua e significativa opera applicativa giurisprudenziale ed interpretativa dottrinale adattata all’evoluzione dei tempi e dei costumi. I doveri coniugali non si esauriscono nell’elencazione della let60 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 tera dell’art. 143 c.c. che rappresentando invece, solo il “minimo” indispensabile alla convivenza coniugale, non è da intendersi come esaustiva ed omnicomprensiva, ma necessariamente da integrarsi con i principi posti a tutela della persona nelle sue molteplici manifestazioni, definiti quali doveri coniugali atipici o non codificati. A questa dimostrazione giunge l’opera in questione attraverso l’analisi dei passaggi normativi e delle pronunce di legittimità e costituzionali fondamentali della storia più recente che hanno portato alla stesura dell’art. 143 c.c. nella portata e nel significato voluto e consacrato dal legislatore della Riforma del diritto di famiglia, aggiornato dalle successive avvenute evoluzioni culturali, storiche e sociali. Ripercorrendo perciò il pensiero e le tesi più significative di autori autorevoli e gli indirizzi, orientamenti e pronunce di merito e di legittimità, l’autrice delinea l’esatta connotazione dei singoli doveri coniugali e dei loro contenuti con particolare attenzione al dovere di fedeltà, quest’ultimo ritenuto di indubbia maggiore notorietà e di più grande applicazione teorica e pratica. Ugualmente la tematica della violazione dei doveri coniugali è approfonditamente e compiutamente trattata sotto il profilo della possibile rilevanza di essa ai fini dell’addebito nella separazione e differentemente quale possibile fonte di responsabilità aquiliana secondo la clausola generale del neminem laedere, il tutto impreziosito dalle opinioni personali dell’autrice che non dimentica di evidenziare anche le problematiche processuali derivanti dalla proposizione delle relative domande. Dopo aver affrontato la sorte dei doveri coniugali dopo la separazione dei coniugi e stabilito se e quali di essi permangono o meno, la scrittrice ha concluso il suo lavoro discutendo della problematica questione circa l’ammissibilità del mutamento del titolo della separazione definitivamente conclusa (omologazione o passaggio in giudicato di separazione giudiziale senza addebito) in caso di violazione dei doveri coniugali permanenti e compatibili con lo stato di separazione ed in caso di sopravvenuta conoscenza della violazione di un dovere coniugale commessa durante il matrimonio. Il testo pubblicato nella collana Teoria e Pratica del diritto è utile riferimento per gli avvocati che affrontano le criticità legate ai rapporti tra i coniugi nell’ambito dei procedimenti di separazione. AUTORI VARI Il bilancio spiegato ai giuristi Ipsoa 2009 Lo studio del bilancio richiede un approccio interprofessionale e la pubblicazione in commento raccoglie i contributi di studio che insigni esponenti di varie categorie professionali, notai, avvocati, dottori commercialisti, professori universitari hanno fornito in occasione del Convegno dell’Associazione Civil Law, tenutosi a Napoli il 19 e 20 settembre 2008. Numerose sono le novità che nei tempi recenti hanno interessato la disciplina del bilancio di esercizio nell’ordinamento italiano, anche nei suoi rapporti con il di- IN LIBRERIA ritto comunitario e con i principi contabili internazionali. L’utilizzo, la comprensione e le finalità del bilancio di esercizio sono spesso oscure ai giuristi e comunque alla professione legale, sebbene l’attuale contesto socio economico richieda agli operatori del diritto specie nel campo commerciale, tributario e fiscale una maggiore competenza al riguardo. Il Professor Amedeo Bassi affronta il bilancio fallimentare, il suo valore probatorio rispetto ai creditori ed al salvataggio dell’impresa, anche sotto un profilo squisitamente penalistico. Il Professor Oreste Cagnasso dedica il suo contributo ai principi generali di chiarezza e di rappresentazione veritiera e corretta di redazione del bilancio di esercizio tenendo presente la coesistenza di due modelli di bilancio, l’uno redatto secondo i criteri tradizionali, l’altro secondo quelli IAS/IFRS. L’Avvocato Stefano A. Cerrato cura la parte dedicata al tema dell’arbitrabilità delle controversie societarie alla luce del processo evolutivo giurisprudenziale del principio della “disponibilità dei diritti relativi al rapporto sociale”. La partecipazione della Professoressa Emanuela Cusa riguarda la complessità della disciplina del bilancio di esercizio nelle società cooperative anche quelle a mutualità prevalente, evidenziando la specialità del diritto cooperativo su quello delle società di capitali. Rocco Guglielmo, Notaio, spiega la necessità della esatta qualificazione dei “versamenti” e dei “finanziamenti” dei soci verso la società e della corretta collocazione di questi all’interno del bilancio nella gestione dei rapporti soci/creditori sociali, specie nei momenti di crisi della società mentre più specificamente i Notai Federico Magliulo, Marco Maltoni e Stefano Santangelo si sono rispettivamente occupati del bilancio e delle situazioni patrimoniali nella fusione, nelle trasformazioni e nelle scissioni rappresentando e spiegando il complesso iter da se- guire in tali importanti operazioni societarie. Il Professor Giorgio Rusticali compie un’analisi sul concetto del fair value che trova le sue fonti nei principi contabili internazionali che considerano il bilancio non più e solo come mero strumento di rendicontazione ma come vero e proprio strumento di comunicazione e di informazione per gli stakeholder. E sempre sull’argomento dei principi contabili internazioni e circa l’impatto di questi in materia societaria apporta riflessioni (critiche) generali la Professoressa, Avvocato Giuliana Scognamiglio. Il contributo del Notaio Federico Tassinari è invece rivolto al bilancio straordinario, questo da redigersi in occasione di determinate operazioni societarie ed alla normativa, spesso contrastante, che lo prevede mentre l’intervento del Notaio Giuseppe A. M. Trimarchi è rivolto alle operazioni sul capitale sociale, all’utilizzo delle cosiddette riserve da valutazioni di partecipazioni sociali e da fusione. Il bilancio di esercizio, affrontato qui in maniera multidisciplinare, viene ancora spiegato dal Notaio Fabrizia Scalabrini mediante percorsi applicativi ai “non addetti ai lavori” dedicando(ci) un apposito capitolo per una lettura del bilancio con un approccio semplificato. La pubblicazione è dunque una raccolta di contributi brillanti, di non difficile comprensione e di utilità generalizzata. MARIA RITA MOTTOLA Il diritto al nome Officina del Diritto Giuffrè Editore 2012 Questa pubblicazione è un approfondimento in chiave pratica e funzionale del diritto al nome (cognome e prenome) in tutte le sue sfaccettature come segno distintivo della persona che porta in sé il potere di utilizzarlo in via esclusiva e di impedirne a terzi un uso non consentito. Ma il nome è anche identificazione sociale e soprattutto espressione concernente l’essenza della persona e delle sue qualità, un aspetto importante dell’identità personale, oggetto quindi di un diritto fondamentale che assume particolare rilevanza nelle vicende relative ai rapporti familiari ed, in particolare la questione del cognome è posta in relazione alla concezione di famiglia legittima o naturale. La logica dell’attuale sistema di attribuzione del cognome alla nascita dei figli o quello di assegnazione successiva può trovare diverse risposte e soluzioni in rapporto all’elaborazione dei principi dell’unità familiare e di uguaglianza dei coniugi o dei genitori. Ponendo maggiore attenzione sull’uno o sull’altro troveremo differenti posizioni della dottrina e della giurisprudenza, anche costituzionale, a quesiti riguardanti ad esempio la possibilità per la madre di attribuire il proprio cognome al figlio legittimo o a quello naturale se riconosciuto per primo. In maniera schematica e veloce con l’ausilio di esempi, formule, quesiti, percorsi giurisprudenziali e riferimenti normativi, l’avvocato Maria Rita Mottola autrice di tale strumento informativo, ha affrontato la tematica del diritto al nome senza tralasciare il riferimento alla recente modifica all’Ordinamento dello Stato Civile ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 61 IN LIBRERIA apportata dal D.P.R. 13 marzo 2012 in ordine alla semplificazione della procedura diretta ad ottenere il cambio del nome e del cognome anche in riferimento alla previsione dell’autorità competente al riguardo. MONICA VELLETTI EMANUELE CALÒ Il ruolo del Notaio nel divorzio europeo. Aspetti personali e patrimoniali. Patti prematrimoniali. Ipsoa 2012 Anche se troppo spesso si sente dire che “il Notaio esiste solo in Italia”, non c’é nulla di più inesatto di ciò. Il Notariato di tipo “Latino” (vale a dire il tipo di Notaio presente in Italia) è presente in oltre 25 paesi europei. In sostanza, tutta l’Europa continentale, conosce la figura del Notaio, dall’Italia al Portogallo, alla Spagna, dalla Germania alla Francia, alla Svizzera, ai Paesi Bassi… all’Austria ed a molti Stati ancora. Nel testo in esame gli Autori si propongono di valutare il ruolo che il notaio può assumere (nel contesto europeo) in seno ad un procedimento - laddove previsto - molto particolare che è quello della separazione e divorzio nonché le problematiche tutte quante scaturenti da detta ipotesi in Ordinamenti ove tale possibilità 62 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 non è contemplata. Anche in questo caso l’Europa ed il suo Diritto fanno da cornice essenziale e necessaria al corretto inquadramento della questione, degli sviluppi e dell’applicazione pratica. Il testo segue un percorso preciso e sistematico, partendo dall’esame della separazione (l’Italia è ancora uno dei pochi paesi a riconoscere tale istituto) e del divorzio nel diritto internazionale privato italiano, per proseguire in una disamina completa della disciplina europea in materia con particolare riferimento al Regolamento CE n. 2201/2003 (Bruxelles II Bis), al Regolamento CE n. 4/2009 nonché al Regolamento UE n. 1259/2010 (Roma III entrato in vigore il 21 giugno 2012) fino a giungere, secondo uno schema pratico/teorico, alle recenti posizioni delineate dalla giurisprudenza rispetto alle problematiche connesse all’argomento in esame e relative alle proposte di regolamento diretto al riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali dei conviventi registrati. Gli Autori descrivono gli ambiti e gli aspetti altamente tecnici ed articolati introdotti dalla citata normativa evidenziando come l’entrata in vigore della nuova regolamentazione abbia di fatto introdotto nuovi spazi all’autonomia privata riconoscendo ai coniugi (che presentino carattere di transnazionalità) di concludere - sebbene entro certi limiti, a certe condizioni e rispettando requisiti formali predeterminati dal legislatore europeo - un accordo per designare la legge applicabile alla separazione ed al divorzio ed anche alle obbligazioni alimentari. Naturalmente tale circostanza ha rappresentato una novità per l’Ordinamento italiano nel quale, se si esclude l’accordo di scelta della legge applicabile ai rapporti patrimoniali (art. 30 L. n. 218/1995) non vi era alcuna attribuzione di ruolo alla volontà delle parti sulla scelta della legge applicabile alla dissoluzione del vin- colo coniugale. Questo volume, nell’evidenziare la complessità del quadro normativo di riferimento e le ragioni di incertezza circa l’effettiva applicazione della scelta operata dai coniugi con particolare attenzione alla validità di accordi sulla legge applicabile alla separazione o al divorzio, ma anche alle obbligazioni alimentari, testimonia chiaramente la rilevanza della vocazione europea del Notariato e quindi l’utilità del Notaio come il professionista più adatto a fornire un valido contributo nella redazione dell’accordo di scelta della legge applicabile proponendo ai coniugi gli aspetti e le regole della varie opzioni possibili, nonché segnalando i vari limiti previsti che non renderebbero assolute ed “inattaccabili” le scelte operate come ad esempio richiamando l’attenzione sul fatto che i regolamenti, allo stato, non trovano applicazione nell’intero territorio dell’Unione, dato che il Regolamento Roma III è applicabile solo in 14 Stati membri mentre il Protocollo si applica per tutti gli Stati membri con esclusione di Danimarca e Regno Unito… Altra sezione affrontata, di particolare rilievo, è poi quella recante le riflessioni scaturenti da casi di giurisprudenza sul versante europeo relativamente alla validità degli accordi prematrimoniali tra cittadini transfrontalieri così come è di particolare interesse la successiva disamina relativa alla trascrizione in Italia del “divorzio notarile” e del matrimonio omosessuale contratto all’estero in relazione al principio dell’ordine pubblico ed alla garanzia del riconoscimento degli status civitatis. Molti spunti di riflessione, molte tracce e proposte per un percorso di aggiornamento in materie quali il Diritto internazionale Privato ed il Diritto dell’Unione Europea, nonché parecchi suggerimenti per fornire al cittadino che si rivolge al Professionista nuove forme di tutela dei propri interessi. IN LIBRERIA VINCENZA BARBALUCCA PATRIZIA GALLUCCI L’autonomia negoziale dei coniugi nella crisi matrimoniale Giuffrè Editore 2012 È opinione diffusa che le procedure di definizione giudiziale della crisi coniugale in ambito non contenzioso permettano ai coniugi di risolvere in via privata e nella massima libertà ed autonomia le questioni relative alla vita familiare, ormai disgregata, ritenendosi di poter adottare liberamente ogni accordo senza alcun vincolo. In realtà il Legislatore ha permesso ai coniugi di poter regolare consensualmente gli aspetti della propria vita futura all’interno di un solco legislativo ben definito all’interno del quale l’avvocato potrà indirizzare i propri assistiti. In questo contesto, sicuramente utile è il testo edito da Giuffrè Editore nella Collana Teoria e Pratica del diritto dal titolo L’autonomia negoziale dei coniugi nella crisi matrimoniale di Vincenza Barbalucca (Consigliere della Corte di Appello di Napoli e Giudice Tutelare) e Patrizia Gallucci (Avvocato civilista e matrimonialista). Le Autrici uniscono le riguardanti esperienze maturate nei rispettivi ambiti lavorativi per affrontare le problematiche legate al potere dei coniugi di regolare autonomamente i reciproci interessi e rap- porti al momento della loro crisi matrimoniale o in vista della stessa o successivamente all’omologazione. Prendendo le mosse dall’esame dell’istituto del matrimonio e del suo tentativo di definizione da parte di dottrina e giurisprudenza, si soffermano nell’esplicazione del concetto dell’autonomia negoziale dei coniugi - quale fonte primaria di regolamentazione dei rapporti tra le parti nella crisi coniugale - evidenziando la possibilità, riconosciuta loro dall’Ordinamento e nei limiti da questo individuati, di disciplinare le modalità e termini di conclusione del rapporto matrimoniale per poi sviluppare e riportare importanti riflessioni circa l’attività di vaglio e valutazione degli accordi presi ad opera del Giudice, la possibilità di un suo intervento in tale contesto a modifica di quanto indicato nonché dei limiti al potere del Giudice stesso di fronte ad accordi recanti trasferimenti immobiliari, non potendo adottare provvedimenti diretti al trasferimento della proprietà di detti beni. Il Professionista è così chiamato ad indirizzare i coniugi nelle loro scelte e, con un percorso sistematico le autrici forniscono in modo puntuale ed estremamente semplice gli spunti per formulare o assecondare o integrare le possibili proposte dei coniugi per una definizione tanto stragiudiziale quanto giudiziale non contenziosa della loro crisi. È chiara dunque, nell’ambito giudiziale, la riflessione operata dalle Autrici sulla autonomia negoziale con riferimento al contenuto tipico dell’accordo distinguendo in contenuto strettamente necessario dell’accordo, contenuto eventualmente necessario e contenuto eventuale. Nel primo caso si fa riferimento, ad esempio, alla manifestazione della volontà relativa all’acquisizione del nuovo status dei coniugi (separati o divorziati); nel secondo alle decisioni relative al mantenimento della prole, subentrando infatti tali accordi solo in presenza di figli; nel terzo ad eventuali ulteriori accordi lasciati alla libertà delle parti in termini di mantenimento. Sempre nell’ambito giudiziale, sotto il profilo soggettivo, oggettivo, causale e degli effetti, sono analizzate le tematiche riguardanti gli accordi che prevedono trasferimenti immobiliari come voci più tipiche di espressioni dell’autonomia negoziale dei coniugi nella crisi del loro rapporto. Molti sono gli spunti di riflessione ed approfondimento anche in relazione agli eventuali accordi che le parti - questa volta nell’ambito stragiudiziale - potranno raggiungere a latere dell’accordo omologato citando ed analizzando l’orientamento fornito dalla Suprema Corte di Cassazione con la propria sentenza 20290/2005 statuente il principio della non interferenza delle predette pattuizioni rispetto a tutto quanto concordato nell’accordo omologato. Non ci si può infine esimere dall’evidenziare come le Autrici si propongano di offrire al lettore Professionista una chiave di lettura idonea ad agevolare una soluzione delle specifiche problematiche derivanti dalla fine del rapporto coniugale in conformità alla giurisprudenza ed alla dottrina prevalente nonché proponendo ipotesi interpretative alternative a queste ultime. Un libro chiaro e semplice nella sua impostazione, di grande utilità atteso che permette di ottenere immediate risposte per il successivo approfondimento da parte del Professionista. SALVATORE LEUZZI I trusts nel diritto di famiglia Giuffrè Editore 2012 Di certo interessante è il testo elaborato dal magistrato Salvatore Leuzzi a proposito di trusts nel diritto di famiglia. Il lavoro presenta un metodo chiaro e comprensibile. Appresi gli aspetti strutturali e funzionali ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 63 IN LIBRERIA dell’istituto, evidenziato nei principi generali secondo la normativa e la disciplina sostanziale di riferimento, al lettore è così consentito un mirato approfondimento della tipologia (sottospecie) del trust familiare, delle sue caratteristiche, dei suoi margini di operatività nell’ambito dell’autonomia privata dei coniugi o dei conviventi more uxorio. In rilievo è la questione della “segregazione” di determinate situazioni giuridiche soggettive a salvaguardia e protezione del patrimonio familiare - protetto dalle aggressioni dei creditori dei soggetti coinvolti nel trust - sia pur entro i limiti previsti, nel nostro diritto di famiglia, da disposizioni di carattere generale e contenuti negli articoli 160, 161,162 e 166 bis 64 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012 del codice civile. Allora l’autore, attraverso una sistematica interpretazione delle norme citate ed altre attinenti, traccia i presupposti per poter strutturare trusts validi che non contrastino con i divieti relativi alla creazione di vincoli assimilabili a quello dotale o alla creazione di convenzioni matrimoniali diverse da quelle espressamente previste dal codice a tutela dei diritti e doveri nascenti dal matrimonio. Il trust familiare è poi nello specifico posto a confronto tanto del fondo patrimoniale quanto dei vincoli di destinazione ad uno scopo di determinati beni ex art. 2645 ter c.c. e, nel contesto di similarità e divergenze tra gli istituti, emergono risaltate le potenzialità operative del trust sotto l’aspetto della “separazione” del patrimonio, della soddisfazione delle “esigenze familiari” e della tutela dell’autonomia privata. Non solo. Il considerevole lavoro prosegue nella esposizione della proficua utilizzazione del trust come strumento di “privatizzazione” della crisi coniugale - quale particolare momento in cui le varie espressioni di autonomia privata dei coniugi emergono maggiormente diretto al superamento di contrasti economico - patrimoniali nella separazione o nel divorzio esplicando funzioni “solutorie” (estinguendo definitivamente il debito di mantenimento) e/o di “garanzia” (salvaguardando, mediante la segregazione, la posizione dei soggetti coinvolti) tanto a vantaggio del coniuge economicamente debole quanto di quello obbligato. Un capitolo questo - insieme agli altri - di sicuro rilievo per la indicazione e trattazione di ipotesi concrete di costituzioni di trusts, anche secondo la casistica giurisprudenziale più recente. Il trust riguarda pure la famiglia di fatto rendendo vincolante il dovere morale e sociale dei conviventi more uxorio benché non siano riconosciuti loro diritti soggettivi e vario è il novero delle ipotesi pratiche del trust - descritte dall’autore - nel quadro della convivenza in rapporto alla scopo che si intende realizzare: trust di sostentamento, di garanzia e tutela del partner senza reddito e della prole, di mantenimento post mortem, a soddisfazione delle esigenze abitative. Da ultimo, l’attenzione è volta al “protective trust” ed al “family trust” a tutela dei soggetti deboli e dei minori, ulteriore aspetto affrontato in maniera multiforme e posto a confronto degli altri strumenti codicistici di protezione. In mancanza nel nostro ordinamento di una legge italiana specifica di regolamentazione del trust, il testo è un efficace strumento per comprendere l’istituto, la sua applicazione e diffusione. itinera Solo per i soci dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia GUIDE GIURIDICHE Famiglia e successioni a cura di Carlo Rimini STUDIO RIMINI Famiglia L’opera affronta, con un’impostazione multidisciplinare e con il giusto bilanciamento di approfondimento scientifico e taglio praticooperativo, la tematica del diritto di famiglia. Attraverso inquadramenti sistematici, esempi, case history, casistica giurisprudenziale, schemi riepilogativi, focus, clausole contrattuali e approfondimenti, vengono esaminati: - il matrimonio, sia negli aspetti fisiologici (promessa, condizioni per contrarre, matrimonio all’estero, matrimonio concordatario) che patologici (nullità e annullamento, separazione e divorzio) - la convivenza (rapporti personali e patrimoniali tra conviventi, cessazione della convivenza, contratti di convivenza) - gli effetti del matrimonio (diritti e doveri dei coniugi) - il regime patrimoniale della famiglia (comunione e separazione dei beni, fondo patrimoniale, impresa familiare) - il rapporto di filiazione (sia legittima che naturale) - le questioni processuali nei giudizi di separazione e divorzio - gli aspetti fiscali (le indagini basate sui documenti fiscali e contabili per la determinazione del reddito e del patrimonio dei coniugi) - il diritto penale della famiglia Può acquistare il volume inviando il coupon compilato al fax 02.82476403 o contattare il servizio informazioni commerciali tel. 02.82476794 [email protected] (00116654 ) Sì, Il volume è disponibile anche nella versione e-book. desidero acquistare il volume Famiglia a € 47,00 anzichè € 55,00 solo fino al 30.6.2012 Cognome e Nome Azienda/Studio Via CAP Città Tel. 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