Avvocati di Famiglia n. 4-2012 - Osservatorio nazionale sul diritto di

ISSN 2039-6503
OSSERVATORIO NAZIONALE SUL DIRITTO DI FAMIGLIA
n. 4 - ottobre-dicembre 2012
Anno V - n. 4 - ottobre-novembre 2012 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB Roma
Avvocatidifamiglia
L’unificazione dello stato giuridico dei figli
Giusto processo e tutela del minore
Il futuro della mediazione civile
Avvocatidifamiglia
OSSERVATORIO NAZIONALE SUL DIRITTO DI FAMIGLIA
LA PROFESSIONE FORENSE NEL DIRITTO DI FAMIGLIA IN ITALIA
Avvocati di famiglia
Periodico dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia
Nuova serie, anno V, n. 4 - ottobre-dicembre 2012
Autorizzazione del tribunale di Roma n. 98 del 4 marzo 1996
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SOMMARIO
Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
Sommario
Editoriale
Per un manifesto dell’Osservatorio a dieci anni
dalla sua fondazione 2
(Gianfranco Dosi)
Studi e ricerche
Il giusto processo a tutela degli interessi del minore.
Le prassi virtuose e l’efficienza del giudice 3
(Rita Russo)
Riforme
Filiazione legittima e naturale: criticità e
problematiche. La successione ereditaria dei figli
naturali 5
(Emanuela Comand)
La camera ha approvato la legge di unificazione
dello stato giuridico dei figli. Ora tutti i figli sono
uguali 12
(Gianfranco Dosi)
La legge di riforma sull’unificazione dello stato
giuridico dei figli 14
Giurisprudenza
Diritto ad ottenere la copia della denuncia dei
redditi del convivente more uxorio del coniuge
separato. Rapporto tra diritto di accesso agli atti
della Pubblica Amministrazione e diritto alla
riservatezza dei terzi 22
(C.d.S., Sez. IV, 20 settembre 2012, n. 5047)
Il punto di vista (Gianluca Vecchio) 24
Cassazione
La mancata audizione del minore nel giudizio di
adottabilità è deducibile come motivo di nullità ma
non per violazione del contraddittorio 25
(Cass. civ. Sez. I, 27 gennaio 2012, n. 1251)
Il punto di vista (Francesca Salvia) 26
Le indagini tributarie ex officio in mancanza di una
contestazione specifica sul reddi dell’onerato e la
modifica dell'entità dell'assegno di mantenimento in
caso di costituzione una nuova famiglia 29
(Cass. civ. Sez. I, 22 marzo 2012, n. 4551)
Il punto di vista (Michela Labriola) 31
Per il divorzio a domanda congiunta è obbligatorio
il patrocinio del difensore 33
(Cass. civ. Sez. I, 7 dicembre 2011, n. 26365)
Il punto di vista (Giancarlo Savi) 34
Mediazione e Conciliazione
Il futuro della mediazione civile dopo l’intervento
della Corte Costituzionale 52
(Matilde Giammarco)
Pari Opportunità
Dalle quote di genere alla parità
di rappresentanza 55
(Claudia Romanelli)
Documenti
Documento psicoforense sugli ostacoli al diritto
alla bigenitorialità e sul loro superamento 58
In libreria
I doveri coniugali e la loro violazione - L’addebito
e il risarcimento del danno 60
(Gabriella Contiero)
Il bilancio spiegato ai giuristi 60
(Autori Vari)
Il diritto al nome 61
(Maria Rita Mottola)
Il ruolo del Notaio nel divorzio europeo. Aspetti
personali e patrimoniali. Patti prematrimoniali 62
(Monica Velletti - Emanuele Calò)
L’autonomia negoziale dei coniugi nella crisi
matrimoniale 63
(Vincenza Barbalucca - Patrizia Gallucci)
I trusts nel diritto di famiglia 63
(Salvatore Leuzzi)
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 1
EDITORIALE
Per un manifesto
dell’Osservatorio
a dieci anni
dalla sua fondazione
Quello che ho detto
al XXXI Congresso Nazionale Forense
di Bari del 22-24 novembre 2012
Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia,
a dieci anni dalla
sua fondazione e a due
anni dall’accreditamento
come associazione forense maggiormente rappresentativa a livello nazionale, esprime la propria
soddisfazione per il raggiunto livello di diffusione sul territorio nazionale (78
sezioni territoriali e oltre 1.800 avvocati iscritti) e per
l’adesione sempre alta da parte degli avvocati di ogni
età - soprattutto dei più giovani - alle proprie iniziative di aggiornamento e di formazione, sempre accreditate dagli Ordini forensi. La circostanza che
un’associazione riesca in questi tempi non certamente facili ad esprimere tanta entusiastica partecipazione ci impegna a proseguire su questa strada.
L’Osservatorio intende avviare nei prossimi mesi
una operazione di riordino e di sintesi dei temi più
significativi che in questi anni abbiamo affrontato.
Intendiamo cioè proporre alla riflessione dei colleghi che a qualsiasi titolo si occupano di diritto di famiglia (sia in via prevalente o esclusiva, sia come avvocati chiamati ad occuparsene occasionalmente)
un manifesto dell’Osservatorio nel quale sintetizzare gli obiettivi condivisi del nostro impegno professionale.
Sono quattro i temi che intendiamo indicare come
più significativi.
1) Il primo concerne l’esigenza di un nuovo giudice della famiglia. La giurisdizione nel diritto di famiglia va affidata a sezioni specializzate diffuse sul
territorio nei tribunali e non decentrate nelle sedi
regionali degli attuali tribunali per i minorenni. Il tribunale per i minorenni - dove il contraddittorio è
ancora largamente mortificato dal protagonismo del
giudice e dove le udienze istruttorie sono spesso
solo interminabili sedute di psicoterapia - ha esaurito le sue funzioni storiche e deve essere rimpiazzato da un giudice meno paternalista, più vicino territorialmente ai cittadini, capace di esprimere l’unitarietà dell’intervento giurisdizionale nella famiglia
e soprattutto alti livelli di specializzazione, nel ri-
L’
2 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
spetto del principio di terzietà del giudice e nella ripresa da parte dei servizi sociali e terapeutici del
loro ruolo di promozione sociale troppo facilmente
fino ad oggi delegata al giudice minorile.
2) Ne consegue anche l’esigenza di un nuovo processo civile unitario nel diritto di famiglia. L’accesso alla giustizia e la gestione del processo devono
essere unificati, semplificati e riadattati alle esigenze di urgenza, velocità, modificabilità e sicura attuabilità delle decisioni. C’è bisogno di una riscrittura delle regole processuali per far diventare il processo nel diritto di famiglia un luogo di moderna gestione dei conflitti familiari, capace di salvaguardare
le peculiarità di questo settore. Abolire l’inutile fase
presidenziale del processo di separazione, semplificare i procedimenti in cui la decisione non necessita di una istruttoria particolarmente complessa,
salvaguardare le regole del contraddittorio, unificare
le competenze, dare al giudice del merito poteri di
attuazione dei provvedimenti.
3) Avvertiamo urgente la necessità che l’avvocatura riconsideri il suo ruolo nella gestione dei conflitti familiari con modalità che siano più aderenti
alle esigenze di giustizia in questo settore. Le persone non vogliono cause lunghe ma provvedimenti
giusti. Il che vuol dire chiedere agli avvocati un impegno di formazione e di aggiornamento nella prospettiva di funzioni nuove di regolazione dei conflitti, nuove funzioni e nuove competenze negoziali che possano assicurare soluzioni più adeguate
rispetto a quelle tradizionali che il processo e la sentenza sono in grado di assicurare. Il che vuol dire introdurre nei percorsi di formazione il tema della negozialità e della contrattualità. Una funzione che
l’avvocato familiarista avverte sempre più necessaria per la soluzione dei contrasti nell’ambito delle
relazioni familiari.
4) Infine il tema della deontologia. Le regole deontologiche appaiono sempre più da sole insufficienti a garantire l’interesse dei nostri assistiti.
Non è più sufficiente rispettare le norme deontologiche. La responsabilità sociale dell’avvocato rende
necessario un impegno dei professionisti verso
comportamenti etici orientati a salvaguardare anche il benessere delle persone e non soltanto gli
obiettivi perseguiti nella causa. Da qui la necessità
di definire anche codici etici di comportamento capaci di mettere sempre in primo piano il benessere
e la salute delle persone, il rispetto per le loro relazioni familiari, la considerazione primaria per il benessere dei loro figli minori. È il tema centrale del
rispetto dei diritti e della dignità di tutte le persone
coinvolte in un procedimento.
Questi sono gli obiettivi ai quali sta lavorando oggi
l’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia.
IL PRESIDENTE
AVV. GIANFRANCO DOSI
STUDI E RICERCHE
Il giusto processo a tutela
degli interessi del minore.
Le prassi virtuose
e l’efficienza del giudice
RITA RUSSO
(GIUDICE DEL TRIBUNALE ORDINARIO DI MESSINA)
er molto tempo i processi di diritto di famiglia sono stati considerati di seconda scelta,
portatori di questioni semplici e da decidere
con soluzioni stereotipate. Ma soprattutto il
processo era inteso, più o meno esplicitamente,
come diretto a garantire soprattutto i diritti degli
adulti: così se una certa rilevanza era riconosciuta
ai processi di separazione e divorzio, in quanto vi si
regolavano i diritti economici dei coniugi, poco o
nulla ci si interessava del processo come momento
di tutela degli interessi del minore, e la riprova è
l’assenza, tuttora, nel nostro ordinamento, nonostante il disegno di legge 2805 abbia mostrato attenzione al problema, di un vero e proprio processo
per le questioni che riguardano l’affidamento dei figli di genitori non coniugati.
Da qualche tempo tuttavia si inizia a ragionare di
giusto processo minorile e di applicazione di prassi
virtuose anche nei processi che riguardano il minore, volte a garantire la tutela dei suoi diritti. Ragionare sulle prassi virtuose significa non solo individuarle, ma anche capire perchè alcune prassi oltre
che condivise possono considerarsi virtuose.
Senza pretesa di completezza, si può evidenziare
che una prassi si qualifica virtuosa in primo luogo
quando è conforme alla legge nazionale, alla Costituzione, alle norme europee e Convenzioni internazionali nonché alla interpretazione che di dette
norme offrono la Corte di Cassazione, la Corte costituzionale, la Corte di Giustizia Europea e la CEDU
(c.d. diritto vivente) ed un indice della sua conformità al sistema normativo è la condivisione e la diffusione sul territorio. La conformità al diritto vivente
consente di utilizzare la prassi per rendere più efficiente ed efficace il lavoro del giudice: ciò in quanto
la prassi, nella misura in cui refluisce prima nel procedimento e poi nel provvedimento giudiziario, non
P
solo facilita il lavoro del giudice ma consente di offrire un prodotto fruibile, cioè un provvedimento
tendenzialmente stabile, motivato in maniera adeguata a resistere alle impugnazioni nonché idoneo a
circolare nella spazio giuridico europeo. È vero anche che le prassi in quanto ragionate non sul caso
concreto ma su un modello astratto che rappresenta
quanto più possibile l’id quod plerumque accidit possono poi essere più o meno utilizzabili secondo
quanto il nostro caso concreto si avvicina o si discosta dal modello astratto e che è possibile avere casi
in cui non si possa fare applicazione di alcuna delle
prassi virtuose individuabili mediante il lavoro di ricognizione e ricerca che di norma si concreta poi in
protocolli condivisi. L’analisi del caso concreto e la
motivazione adeguata alle peculiarità del caso sono
quindi preminenti sulla applicazione di qualunque
prassi, tanto più che in materia di processi che riguardano i minori la realizzazione dell’interesse del
minore è il contenuto ed il limite del provvedimento
giudiziale e la sua prevalenza (best interest) consente,
previa una prudente operazione di bilanciamento,
anche il sacrificio in tutto o in parte di altri interessi.
Una prassi tuttavia è virtuosa non solo quando è
conforme al diritto vivente e quindi utilizzabile in
piena sicurezza (senza il rischio cioè di rendere il
provvedimento non idoneo a vivere nello spazio giuridico nazionale ed europeo) ma anche quando è
concretamente sostenibile allo stato dei mezzi organizzativi di cui disponiamo. In tal senso essa rappresenta lo sforzo di ottimizzare le risorse esistenti
e di organizzarsi al meglio, tenendo conto dei limiti
di queste risorse e senza rinunciare a richiedere che
queste risorse vengano aumentate e potenziate.
In materia di protezione del minore di età, e specificamente nei processi in cui una volta sorto il
conflitto familiare questa protezione non può essere
totalmente delegata ai genitori, le prassi sono virtuose se rispettano i suoi diritti e li attuano nel più
breve tempo possibile. L’importanza del fattore
tempo nelle decisioni che riguardano il minore è
fondamentale ed è obbligo tanto del legislatore che
del giudice adeguarsi, in questo settore, ai parametri europei.
Si deve allora ricordare che in data 17 novembre
2010 sono state adottate da parte del Comitato dei
ministri del Consiglio d’Europa, delle Linee guida
per una giustizia child-friendly (amichevole per il minore o a misura di minore)1 che impongono ai paesi
membri di adeguare i loro sistemi giudiziari ai diritti, interessi ed esigenze specifiche dei minori, utilizzando le linee guida come “strumento di utilità
pratica” con la dichiarata finalità di evitare la vittimizzazione secondaria dei minori da parte del sistema giudiziario. In altre parole si impone all’Italia, come a tutti gli altri paesi dove la giurisdizione
è creata dagli adulti per le esigenze degli adulti, di rivedere la legislazione allo scopo di costituire spazi
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STUDI E RICERCHE
di friendly justice per i minori. In particolare si impone ai giudici una diligenza eccezionale nei family
law cases per fornire una risposta rapida (speedy response) In quattro punti fondamentali sono esposti
i precetti utili ad evitare ingiustificati ritardi2: applicare il principio della urgenza per fornire una risposta rapida, osservare una diligenza eccezionale al
fine di evitare conseguenze negative sulle relazioni
familiari, quando necessario prendere decisioni
provvisorie sottoposte a controllo per un certo periodo di tempo e successivamente riesaminate,
prendere decisioni immediatamente esecutive nei
casi in cui ciò sia nell’interesse del minore.
E si deve ancora ricordare che l’Italia non è nuova
a subire condanne dalla CEDU per violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, (Diritto al rispetto della vita privata e familiare)
anche per non avere osservato, in questa materia,
una regola fondamentale: la tempestività dell’intervento giudiziale e degli ausiliari del giudice. Esemplificativa in questo senso la sentenza Piazzi contro
Italia (2 novembre 2010). Con essa la Corte ha condannato lo Stato italiano perché i suoi giudici non
avevano assicurato il diritto di visita paterno, in un
caso in cui il minore, indotto dalla madre, rifiutava
i contatti con il padre. Ciò nonostante la conferita
delega ai servizi sociali di attuare degli interventi
volti a questo fine, che tuttavia, come osserva la
Corte, si erano risolti in misure stereotipate ed automatiche ed inoltre intempestive. La Corte EDU rivolge una pesante censura alle autorità nazionali le
quali hanno lasciato che si consolidasse una situazione di fatto in violazione delle decisioni giudiziarie, sebbene il semplice trascorrere del tempo determinasse delle conseguenze sempre più gravi per
il ricorrente, privato dei contatti con suo figlio. Viene
messo in evidenza che il minore, al momento della
sua audizione in tribunale, si trovava già da qualche
tempo sotto l’influenza esclusiva della madre, in un
ambiente ostile all’interessato e che oltre quattro
anni erano trascorsi senza un solo contatto tra il ricorrente. L’importanza del “fattore tempo” che la
Corte EDU mette in rilievo non per la prima volta
nella sentenza Piazzi è importante e non solo nella
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durata del processo ma anche nell’esecuzione: il
presupposto è che la crescita di un minore e l’evolversi delle situazioni familiari pretendono l’assunzione e attuazione di provvedimenti celere e proporzionata. Provvedimenti astrattamente corretti,
ma non attuati nei tempi necessari in relazione alla
evoluzione delle esigenze di un minore, finiscono
spesso per restare inutili proclami di buone intenzioni. Così nell’ambito di un processo di separazione
dei genitori l’intempestività o l’inadeguatezza di regole certe e precise per il rapporto con il genitore
non convivente, la ritardata o inadeguata (o in alcuni casi totalmente assente) esecuzione dei provvedimenti assunti, producono spesso il radicamento
di sentimenti di disaffezione ed anche ripulsa contro il genitore non convivente, che possono nel
tempo divenire irreparabili. Come appunto nel caso
Piazzi, dove alla fine di una estenuante battaglia giudiziaria e di interventi previsti dai provvedimenti
giudiziali ma non attuati, il figlio raggiunge l’età in
cui non è più consentito alcun tentativo ed al padre
non resta che la (magra) soddisfazione della condanna europea.
Per questo è importante che i provvedimenti da
assumere nell’interesse del minore siano tempestivi
ed effettivamente eseguiti, ma anche che il processo
assicuri, tanto ai figli legittimi che ai figli nati da genitori non coniugati, uno spazio a misura di minore,
nel quale il minore in età di discernimento possa
esprimere le proprie opinioni, ed una scansione processuale tale da imporre dei provvedimenti, anche
provvisori e rivedibili, quanto più rapidi possibile.
Note
1
Reperibili nel sito www.coe.int sezione Human
Rights - Equality diversity and rights of vulnerable - Il
termine friendly viene spiegato nell’ambito dello stesso
documento con il riferimento ad un sistema giudiziario
che deve garantire il rispetto e l’attuazione effettiva dei
diritti del minore al più alto livello possibile (at the highest attainable level), l’accessibilità, la rapidità la diligenza ed il diritto di partecipare e comprendere il procedimento (to participate in and to understand the proceedings).
2
Si veda il testo del capo IV che così si esprime.
RIFORME
FILIAZIONE LEGITTIMA E NATURALE:
CRITICITÀ E PROBLEMATICHE. LA SUCCESSIONE
EREDITARIA DEI FIGLI NATURALI.
AVV. EMANUELA COMAND,
PRESIDENTE DELLA SEZIONE DI UDINE DELL’OSSERVATORIO
(Intervento al Corso di diritto di famiglia, organizzato dalla sezione di Torino dell’Osservatorio nazionale
sul diritto di famiglia il 27 aprile 2012)
PREMESSA
Riferimenti normativi
escigno nella Relazione conclusiva al Convegno internazionale di Bioetica e tutela della persona
umana “Accademia dei Lincei 4-5 dicembre del 1998” affermava che “è questa una delle materie in
cui il giurista “quando è chiamato a fornire il proprio apporto è costretto a sottolineare la limitatezza del diritto, quella che è stata chiamata la sua “miseria”; una limitatezza di cui il diritto soffre in maniera quasi costituzionale e che l’interprete tenta di riscattare e compensare” (in Filiazione vol. II,
diretto da Paolo Zatti ed. Giuffrè pag. 26).
Benchè l’illustre autore si esprimesse così con riferimento alle problematiche aperte dalle nuove frontiere
della bioetica, ci poniamo di fronte alle tematiche relative alla permanente discriminazione tra figli legittimi
e naturali, con lo stesso sentimento di incertezza e inadeguatezza.
Quando si parla di diritti, specialmente se si tratta di diritti negati o violati, è imprescindibile partire dalla
lettura della Costituzione che a distanza di 60 anni rimane, il fondamento del nostro impianto normativo,
sia che si lamenti la mancata applicazione dei suoi principi sia che in base ad essi, si cerchi di modificare le
norme incompatibili con le esigenze della società attuale.
Ricordiamo pertanto:
- l’articolo 2 : “la repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali”.
- l’articolo 3: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociale.
- l’articolo 29: la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti
dalla legge a garanzia dell’unità familiare.
- l’articolo 30: è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori
del matrimonio… la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale,
compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
Altri riferimenti normativi che dobbiamo tener presente nel corso di questa disamina sono:
l’art. 74 del codice civile (definizione di parentela), l’art. 147 del codice civile (doveri verso i figli) l’art.
155 e ss. Del codice civile c.c. (provvedimenti riguardo ai figli), l’art. 250 del codice civile (riconoscimento
dei figli naturali), l’art. 258 del codice civile (effetti del riconoscimento), l’art. 261 del codice civile (diritti e
doveri derivanti al genitore dal riconoscimento), l’art. 317 bis del codice civile (esercizio della potestà) l’art.
565 del codice civile (categoria di successibili) ed ovviamente l’art. 537 del codice civile (riserva a favore dei
figli legittimi e naturali ovvero il diritto di commutazione).
Non possiamo prescindere anche da alcuni precisi richiami alla legislazione europea ed alle convenzioni
internazionali:
- l’art. 21 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea esclude che possa operarsi qualunque
discriminazione in base alla nascita.
- l’articolo 8 della CEDU prevede che il concetto di famiglia prescinda dal matrimonio ed attribuisce valore ai legami di fatto particolarmente stretti e basati sulla convivenza.
- l’articolo 14 sempre della CEDU afferma che “il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti… deve
essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, razza, lingua,
religione, opinioni politiche, origine nazionale o sociale, appartenenza ad una minoranza nazionale, ricchezza, nascita ed ogni altra condizione”.
Non esiste una legislazione uniforme dei diritti della famiglia europea, ma la Commissione di diritto familiare europea si sta muovendo in tal senso.
R
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RIFORME
Chiarito il contesto normativo all’interno del quale ci dobbiamo muovere, osserviamo che nonostante
precisi richiami sovranazionali e numerosi interventi della Corte Costituzionale permane nel nostro ordinamento un sostanziale sfavore nei confronti della concreta equiparazione tra figli legittimi e naturali.
La legge che ha determinato lo spartiacque tra una società fondata sulla legale discriminazione tra filiazione legittima e naturale è la legge di riforma sul diritto di famiglia del 1975, ma non possiamo non ricordare: la legge n. 184 del 1983 che ha rafforzato l’istituto dell’adozione legittimante ed irrevocabile con ciò modificando l’idea di una filiazione connessa solo alla procreazione ed ha ha introdotto il concetto del diritto
del minore ad una famiglia; la legge n. 149 del 2001 che ha riconosciuto al minore la qualità di parte all’interno dei procedimenti civili minorili; la legge n. 40 del 2004 che ha reso legale il diritto alla procreazione medicalmente assistita; la legge n. 54 del 2006, anche come successivamente interpretata dalla giurisprudenza,
che ha equiparato i criteri della disciplina della filiazione naturale e legittima, nel momento della crisi familiare.
RIFLESSIONI INTRODUTTIVE
Ogni tentativo indirizzato a riorganizzare la materia, senza un puntuale e complessivo intervento normativo, sembra destinato a non sortire l’effetto auspicato di eliminare alla radice qualunque discriminazione
tra figli nati dentro e fuori dal matrimonio.
Evoluzione nella ricerca per l’attribuzione della paternità e maternità naturale
La nostra società era permeata da convenzioni sociali, etico-religiose che richiedevano evidentemente
questo tipo di diversificazione.
È opportuno evidenziare che la tutela ad oltranza della famiglia legittima prescinde dalla verità biologica
della paternità e maternità; ciò che rileva è solo la verità legale contro, appunto, la verità biologica.
L’articolo 231 del codice civile sancisce il principio di presunzione di paternità che non è solo -o comunque non è stato solo una peculiarità del nostro ordinamento-, ma si dice faccia parte del patrimonio culturale comune europeo.
Che poi scelte di questo genere siano state determinate da convinzioni religiose, etiche o come invece appare più probabile, da esigenze di tutela del patrimonio familiare è sicuramente convinzione di molti interpreti.
La filiazione nel nostro ordinamento è legata al concetto di matrimonio tra due persone di sesso diverso.
Non esiste nel nostro ordinamento un collegamento automatico tra l’evento nascita e gli effetti giuridici ad essa collegati. L’articolo 261 del codice civile determina infatti, solo dopo il riconoscimento del figlio
naturale, l’assunzione di tutti i doveri e diritti che il genitore ha nei confronti della figli legittimi.
In altri stati europei (come ad esempio in Germania) nel momento in cui un bambino nasce “gli viene immediatamente attribuita la madre”. Nel nostro paese invece la madre può anche decidere di non essere mai
menzionata ed ha tutte le tutele, anche sotto il profilo dell’anonimato permanente.
Ciò che che identifica la condizione di un minore è o il fatto che nasca all’interno di un matrimonio, o che
venga riconosciuto dai genitori naturali spontaneamente o a seguito di un accertamento giudiziale.
Ma vi è di più: esiste anche una filiazione naturale non riconoscibile (cosiddetta incestuosa) a cui va il riconoscimento dei diritti ereditari e del mantenimento.
Quando parliamo di filiazione naturale parliamo di varie condizioni o stati non sempre giuridicamente riconosciuti.
Numerose sono le norme che operano un ‘ingiustificata discriminazione tra figli naturali e legittimi.
Nella filiazione naturale lo status è collegato al riconoscimento e quindi alla volontà del o dei genitori,
mentre nella filiazione legittima lo status è acquisito automaticamente al momento della nascita.
Storicamente siamo partiti dal favor legitimitatis (è padre il marito della madre) per poi passare al favor
veritatis (è riconosciuto il diritto dei genitori al riconoscimento di un figlio concepito anche al di fuori del
matrimonio, ma rispettando i limiti di tutela della famiglia legittima), per poi attestarci a favore della certezza dello status (corrisponde all’interesse preminente del minore non solo il diritto alla conoscenza della
provenienza biologica, ma anche la tutela della stabilità della sua condizione).
Un discorso complesso attiene poi al riconoscimento del diritto alla fecondazione eterologa perchè si potrebbe addirittura affermare che si recupera in questo caso il favor legitimitatis dal momento che alla verità biologica preferiamo la “finzione” dell’attribuzione della paternità legittima.
Ciò che può anche rilevare è che spesso ciò che si persegue è il vantaggio o il collegamento economico, più
che la ricerca della verità. Si pensi alla norma contenuta nell’art. 279 del codice civile laddove si afferma che
i figli incestuosi non hanno lo status di figli naturali, ma hanno diritto al mantenimento ed all’eredità (sentenza Tribunale di Torino del 26 febbraio 1992 in Dir.e Fam. 1992):
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RIFORME
Articolo 262 del codice civile: il figlio naturale acquista il cognome del genitore che lo riconosce per primo
ed in caso di riconoscimento successivo sarà il Tribunale per i Minorenni a decidere circa l’assunzione del
cognome del padre. In caso di filiazione legittima il cognome attribuito al nato è quello del padre.
Articolo 299 del codice civile: la Corte costituzionale con sentenza dell’11 maggio 2001 n. 120 ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo nella parte in cui non prevede che, qualora sia figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori, l’adottato possa aggiungere al cognome dell’adottante anche quello originariamente attribuitogli: la precedenza del cognome dell’adottante rispetto a quello del riconoscimento postula
la preferenza del rapporto adottivo rispetto a quello di sangue.
Articolo 252 del codice civile: se il figlio naturale viene inserito nella famiglia legittima rileva solo il consenso del coniuge del genitore naturale, dei figli legittimi ultra sedicenni, ma nessuno richiede il consenso
del figlio naturale. Inoltre la norma disciplina solo l’inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima
e non viceversa: e il figlio naturale nella famiglia naturale? il figlio legittimo nella nuova famiglia legittima?
Articolo 579 del codice civile: esclude dalla successione i figli legittimi del genitore naturale del de cuius.
Articolo 538 del codice civile: esclude dalla successione dei legittimari gli ascendenti naturali.
Articolo 544 del codice civile: esclude la successione degli ascendenti naturali in caso di morte senza figli e in concorso con il coniuge.
Articolo 248 del codice civile: disciplina l’azione di contestazione di legittimità. Ricordiamo che mentre
nel caso di disconoscimento si contesta l’attribuzione di paternità, con questa azione si contestano gli altri
elementi che contribuiscono a “formare” la presunzione di paternità (ovvero la maternità, la validità del matrimonio, il mancato rispetto del periodo del concepimento).
Nel caso di esperimento vittorioso dell’azione di contestazione di legittimità, il figlio ritorna allo stato di
figlio naturale; tuttavia se si tratta di matrimonio invalido, ma putativo il figlio mantiene lo status di figlio
legittimo: perchè è solo la buona fede dei genitori che tutela il figlio?
Articolo 258 e articolo 433 del codice civile: da un lato si afferma che il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui è stato fatto, salvo i casi previsti dalla legge con richiamo dell’articolo
433 c.c., che elenca i soggetti tenuti agli alimenti... ovvero non erediti, ma sei tenuto a fornire gli alimenti alle
persone dalle quali non erediti.
Articolo 280 del codice civile: possibilità di legittimazione dei figli naturali, ovvero esiste una condizione
intermedia tra figli legittimi e figli naturali legittimati.
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 7
RIFORME
Articolo 317 bis e 330 del codice civile: mentre nella filiazione legittima il Tribunale può emettere provvedimenti ablativi solo in presenza di un danno a carico del minore, nella filiazione naturale è sufficiente
ravvisare l’interesse del figlio all’allontanamento.
Articolo 317 bis del codice civile e 38 disp.att. del codice civile che attribuisce al Tribunale per i Minorenni,
nonostante la novella del 2006, la competenza a disciplinare il regime di affidamento e mantenimento (se
richiesto contestualmente) dei figli naturali, mentre per quanto attiene alla filiazione legittima la competenza in caso di separazione e divorzio appartiene al Tribunale Ordinario.
Numerosi sono stati tuttavia gli interventi legislativi e giurisprudenziali di segno positivo che hanno
ridotto la distanza tra filiazione legittima e naturale, tra i quali ricordiamo:
Articolo 250 del codice civile: è caduto il limite al riconoscimento dei figli adulterini, esteso ora anche sotto
il profilo della legittimazione attiva alla madre.
Articolo 269 del codice civile: è venuto meno il limite alla ricerca della paternità e maternità naturale (“la
prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo”).
Articoli 235 e 244 del codice civile: l’azione di disconoscimento della paternità viene attribuita anche alla
madre ed al figlio, un tempo era prerogativa solo del padre.
Articolo 232 del codice civile: il riconoscimento è stato esteso alla donna coniugata.
Articolo 232 II comma del codice civile: viene esclusa la presunzione di filiazione legittima dopo la separazione legale.
Articolo 244 del codice civile: i termini per esperire l’azione di disconoscimento della paternità decorrono
dal momento della conoscenza delle cause che legittimano l’azione (Corte Costituzionale 14 maggio 1985 n.
134 e 14 maggio 1999 n. 170).
La successione dei figli naturali
Se partiamo dal presupposto che allo stato non esiste una reale e completa equiparazione tra filiazione
naturale e legittima, non ci dovremmo stupire del fatto che anche in sede successoria, molte siano le discriminazioni nei confronti della prole naturale.
L’origine di tale discriminazione sarebbe secondo alcuni interpreti l’articolo 74 del codice civile (la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite), secondo altri l’articolo 258 c.c. (il
riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto).
Secondo alcuni interpreti (Marcella Fiorini in Famiglia e Minori Dossier inserto 9 ottobre 2009; Guida al Diritto) il legislatore non ha voluto che si creassero dei vincoli di parentela nella filiazione naturale, secondo
altri l’art. 258 del codice civile non li esclude, ma semplicemente circoscrive gli effetti della successione naturale.
La tesi della Corte Costituzionale può essere così sintetizzata: la legge deve garantire la sostanziale equiparazione dei figli legittimi e naturali per quanto attiene allo status e comunque per quanto attiene ai diritti fondamentali ed essenziali (ci riferiamo ad esempio all’art. 147 del codice civile), ma tali diritti non sono
necessariamente i medesimi dei figli legittimi.
Le conseguenze di tale interpretazione sono che è il giudice a dover decidere di volta in volta.
Infatti non esistendo la piena equiparazione tra la prole naturale e legittima in sede successoria, è evidente
che solo il giudice potrà valutare caso per caso l’applicazione corretta delle norme.
Principi e casi concreti
Secondo la Consulta il rapporto tra figli naturali e parenti dei genitori naturali è un vincolo di consanguineità e non di parentela. (così Corte Costituzionale n. 363 del 1988, poi ripresa dalla sentenza n. 363 del
2000).
Nel nostro ordinamento non esiste una norma che colleghi allo status di figlio naturale anche uno status
di parente. Per cui il fratello della madre o del padre non sarebbe zio, i suoi figli non sarebbero cugini, i genitori dei genitori non sarebbero nonni... ma la cosa più grave è che neppure i fratelli naturali germani sarebbero fratelli dal punto di vista successorio.
RIASSUMENDO
a) Successione dei figli nei confronti del genitore naturale.
Salvo il diritto di commutazione che esamineremo più oltre non dovrebbero esserci problemi. Ricordiamo tuttavia che il genitore naturale che ha legittimato il figlio naturale, esclude l’altro genitore dalla
successione.
b) Successione dei fratelli naturali in mancanza di altri successibili ai sensi dell’art. 565 del codice civile.
La norma prevedeva che in mancanza di altri successibili entro il 6° grado, anche in presenza di fratelli e
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RIFORME
sorelle naturali, subentrasse lo Stato. Tale norma è stata dichiarata incostituzionale per violazione degli artt.
3 e 30 della Costituzione (Corte Costituzionale n. 55 del 1979).
c) Successione degli zii
Secondo la sentenza della Corte Costituzionale del 24 marzo 1988 n. 363 la condizione dei fratelli del genitore naturale non è paragonabile a quella dei fratelli dei genitori legittimi perchè ai sensi dell’articolo 258
del codice civile non esiste un rapporto di parentela.
d) Successione nei confronti degli ascendenti
Secondo l’articolo 569 del codice civile a colui che muore senza lasciare prole, genitori, fratelli o sorelle o
loro discendenti succedono per metà gli ascendenti della madre e per metà gli ascendenti del padre. E se si
tratta di figli naturali? Qui la dottrina si divide: alcuni ritengono che nel silenzio della legge la vocazione si
estenda anche agli ascendenti naturali, altri invece che vengano esclusi.
e) Rappresentazione
Ai sensi dell’articolo 467 del codice civile la rappresentazione fa subentrare i discendenti legittimi o naturali in luogo e nel grado del loro ascendente. In teoria non dovrebbero esserci problemi. Invece ai sensi dell’articolo 468 del codice civile quando la rappresentazione opera in linea collaterale (ovvero figli dei fratelli
o sorelle premorti o che abbiano rinunciato) subentrano solo i figli legittimi, adottivi o legittimi non i naturali. (sul punto Corte Costituzionale sentenza n. 5747 del 1975).
f) Diritto di commutazione
Nel codice civile del 1942, l’istituto della commutazione aveva lo scopo di evitare il frazionamento della
proprietà offrendo ai figli naturali nati fuori dal contesto della famiglia legittima la possibilità di ereditare
senza danneggiare l’unità economica ed affettiva della famiglia.
In sostanza veniva loro vietato di pretendere il conferimento in natura e comunque di entrare a far parte
della comunione ereditaria.
Nonostante la riforma del diritto di famiglia del 1975 permane questo “residuo” normativo, sempre in funzione di tutela della famiglia legittima.
L’attuale orientamento giurisprudenziale è sempre il medesimo. A tale proposito citiamo la sentenza della
Corte Costituzionale del 18 dicembre 2009 n. 335, (egregiamente commentata su Fam e Dir. n. 4 del 2010 da
Leopoldo Vignudelli ed Alessandra Arceri).
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RIFORME
Ma cosa dice l’articolo 537 comma 3 del codice civile?
“Salvo quanto disposto dall’art. 542 c.c. (concorso tra coniuge e figli) se il genitore lascia un figlio solo,
legittimo o naturale, a questi è riservata la metà del patrimonio. Se i figli sono più è loro riservata la
quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli legittimi e naturali.
I figli legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli
naturali che non vi si oppongono. Nel caso di opposizione decide il giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali”.
Si tratta dunque del diritto dei figli legittimi di escludere i figli naturali (che possono anche essere loro fratelli naturali) dalla comunione ereditaria, attribuendo loro beni immobili, scelti dai commutanti, ovvero una
somma di denaro, oppure beni immobili con una somma di denaro a conguaglio, garantendo in tal modo i
loro diritti ereditari.
Ovviamente l’istituto non opera ove vi sia una successione testamentaria dal momento che in questo
caso prevale la volontà del testatore.
Secondo alcuni autori si tratta di un diritto potestativo a concessione giudiziaria, per altri di un diritto
potestativo ad esercizio negoziale (Gabrielli).
Per altri ancora non si applica quando il figlio naturale ha già ricevuto in vita legati o vi è stata una divisione
giudiziale in vita del testatore, con sua menzione espressa perchè in questo caso prevale la volontà del de cuius.
Caratteristiche e criticità
L’istituto della commutazione sembra corrispondere ad esigenze di tutela della famiglia legittima affinchè non si disperda il patrimonio familiare, anche se tale principio è di per sé contrario al principio di uguaglianza.
- Vale solo per i figli naturali, non per gli adottati o legittimati.
- I figli naturali possono opporsi alla commutazione sia con riferimento ai presupposti della commutazione, che alla congruità della liquidazione.
- È un onere dei figli legittimi rivolgersi al giudice che deciderà con sentenza.
- Non è previsto un termine per esercitare il diritto di commutazione Si tratta di una grave lesione per i
figli naturali che si troverebbero sempre sottoposti alla volontà dei figli legittimi. Sembra logico e corretto
ritenere che i figli naturali possano rivolgersi al giudice per l’attribuzione di un termine.
- il diritto potestativo dei figli legittimi è efficace dal momento della sua manifestazione, per cui i figli naturali hanno la sola possibilità di opporsi con un normale giudizio di cognizione.
- La norma non si applica ai legittimati e ciò esclude che la commutazione abbia il significato autentico
di preservare i figli legittimi da intromissioni di persone estranee al nucleo familiare.
In conclusione possiamo affermare che:
1) la parentela naturale non crea legami di parentela al di fuori dei rapporti con i genitori.
2) la parentela naturale però funziona come impedimento al matrimonio (articolo 87 c.c) e impedisce il riconoscimento dei figli incestuosi (art. 251 c.c).
Merita un cenno la sentenza della Corte Costituzionale del 18 dicembre 2009 n. 335 che opera una completa disamina della materia in commento.
Cosa ci dice?
1) che è legittima la scelta del legislatore di conservare in capo ai figli legittimi la possibilità di chiedere
la commutazione.
2) che la garanzia di giustizia deriva dalla previsione dell’opposizione dei figli naturali e dal controllo
giurisdizionale.
3) che esiste un’aspirazione della normativa in commento alla tendenziale parificazione della posizione dei figli naturali.
4) che tuttavia non è irragionevole il bilanciamento dei diritti dei figli naturali con le esigenze della famiglia legittima.
5) che il richiamo alla compatibilità della Costituzione a tutele diverse assume il carattere di autentica
clausola generale, aperta al divenire della società e del costume.
6) che la naturale concretezza della soluzione giurisdizionale (CHE OVE LE CIRCOSTANZE LO ESIGANO,
PUÒ OVVIAMENTE ESSERE A FAVORE DEL FIGLIO NATURALE) permette di calibrare la singola decisione alle specifiche circostanze personali e patrimoniali.
7) che al giudice è attribuito il ruolo del garante della parità di trattamento nella diversità, attraverso il
continuo adeguamento della concreta applicazione della norma ai principi costituzionali.
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RIFORME
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
L’Europa è lontana da noi anche in questo caso.
Quasi tutti gli stati europei hanno adottato norme che escludono distinzioni tra figli nati fuori e dentro il
matrimonio.
Viviamo in una società in cui i numeri ci dicono che i rapporti familiari stanno cambiando; su 217.000
matrimoni celebrati in Italia nel 2010, ci sono almeno 500.000 persone che convivono.
Il numero dei figli naturali aumenta di anno in anno: solo nel 2008 rappresentavano il 22% di tutti i nati
in Italia.
I Tribunali per i Minorenni vedono una crescita costante delle domande che hanno ad oggetto i diritti ed
i doveri connessi con la filiazione naturale.
Che senso ha tutto questo?
Fortunatamente i giudici di merito ci offrono un’interpretazione illuminata dei principi contenuti nella
sentenza della Corte Costituzionale.
IL CASO
A concepisce un figlio con B, il quale muore prima della nascita di C.
A si rivolge al TM di Trieste chiedendo l’accertamento giudiziale di paternità “contro” la nonna paterna e
la zia paterna che si costituiscono, rimettendosi in sostanza alle risultanze delle prove ematologiche. Il
bimbo viene riconosciuto come figlio di B.
In sede di decisione in merito alla richiesta di assegni di mantenimento a carico dell’eredità il giudice effettua una completa disamina dei diritti successori dei figli naturali.
1) La consolidata giurisprudenza di legittimità esclude l’obbligo di mantenimento del figlio naturale a
carico degli eredi del padre naturale.
2) con riferimento alla norma contenuta nell’art. 565 c.c. Secondo cui dovrebbero escludersi i figli naturali, ci si deve richiamare alla sentenza della Corte Costituzionale n. 532 del 2000 che ha sostenuto che
dall’art. 30 Cost non discendesse automaticamente la parificazione dei figli in materia successoria.
3) che secondo tale assunto anche la Cassazione si è pronunciata (Cass.civ. Sez II 10-09-2007 n. 19011) per
la preclusione di una diversa interpretazione.
4) che tale orientamento non preclude secondo il giudice delle leggi (sentenza citata della Corte del 2009)
un bilanciamento anche futuro degli interessi contrapposti.
5) che l’art. 258 c.c non è affatto d’ostacolo all’ammissione della parentela naturale e che tale norma non
va letta nel senso dell’irrilevanza dei rapporti con i parenti dei genitori naturali.
6) che l’art. 258 c.c va letto con l’art. 433 cc.
7) che tali riferimenti normativi inducono a ritenere che l’espressione dell’art. 258 c.c “salvi i casi previsti dalla legge”, non rivestono il significato di un semplice richiamo e che quindi “ammettere che ex
art. 433 c.c la parentela naturale in linea retta ha la stessa ampiezza di quella legittima; che ex art. 467
c.c essa sussite in linea collaterale tra il figlio naturale ed il fratello del genitore di lui; che ex art. 737
c.c un vincolo di parentela si istituisce anche tra i figli naturali dello stesso genitore.
8) che la responsabilità relativa al mantenimento nasce dla fatto stesso della procreazione e si richiama
l’art. 155 c.c.
9) nel nostro ordinamento l’art. 2 della Costituzione costituisce la chiave di lettura della Carta Costituzionale utilizzandolo come strumento per la ricerca del contemperamento dell’esercizio dei diritti fondamentali.
10) che nella famiglia prevale il principio dell’essere sull’avere ovvero dobbiamo considerare le situazioni
patrimoniali come strumentali alla realizzazione di quelle di natura esistenziali.
11) che anche la normativa sovranazionale ci orienta in tale direzione.
12) che anche in sede parlamentare e governativa sono stati presentati progetti di legge che mirano “al riconoscimento di un unico status filiationis fondato sui due aspetti della verità biologica e dell’assunzione della responsabilità rispetto al figlio, aspetti entrambi necessariamente presenti a fondare la ratio della disciplina”.
13) che il riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio produrrà perciò effetti anche nei confronti dei parenti del genitore che lo effettua e non solo nei confronti del genitore che lo riconosce.
In sostanza ci sembra di poter affermare che il giudice minorile “prende” le affermazioni della sentenza
della Corte Costituzionale del 2009 e mette in pratica ciò che la sentenza stessa indica come funzione-solutoria del giudice.
Ovvero il giudice rappresenta la garanzia dell’applicazione nel caso concreto della parità del trattamento
tra figli legittimi ne naturali, pur nella diversità.
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 11
RIFORME
LA CAMERA HA APPROVATO LA LEGGE DI
UNIFICAZIONE DELLO STATO GIURIDICO DEI FIGLI.
ORA TUTTI I FIGLI SONO UGUALI.
GIANFRANCO DOSI
gni anno nascono in Italia 500.000 bambini di cui il 23% fuori dal matrimonio (da donne non coniugate, vedove, divorziate o nubili). Ora che la Camera ha approvato la legge sull’unificazione
dello stato giuridico di tutti i figli (nel testo licenziato dal Senato lo scorso 30 giugno) i figli nati
fuori dal matrimonio avranno lo stesso stato giuridico dei figli nati da coppie coniugate.
Una rivoluzione culturale prima ancora che giuridica alla quale il Parlamento giunge con ritardo se si considera che il principio della pari dignità è da anni un punto acquisito nel dibattito dei giuristi.
La nuova legge proclama solennemente che “tutti figli hanno lo stesso stato giuridico” (nuovo articolo 315
del codice civile) con la conseguenza che le espressioni “figlio legittimo” e “figlio naturale” scompaiono dal
lessico giuridico. Scompare di conseguenza l’istituto della legittimazione. Un traguardo importante raggiunto grazie alla mobilitazione da anni della coscienza civile su questi problemi e alla sensibilità dei parlamentari che ora l’hanno saputo tradurre in riforma giuridica.
L’avvocatura ha più volte espresso il suo incondizionato consenso su questa riforma che in questi anni è
stata fatta oggetto di seminari e convegni di aggiornamento e di formazione.
La legge prevede all’art. 2 un’ampia delega al Governo per la revisione di tutte le disposizioni in materia
di filiazione da esercitare entro dodici mesi in attuazione dei principi di unificazione dello stato giuridico.
Tra questi il principio moderno che la filiazione fuori dal matrimonio può essere accertata con ogni mezzo
(con ciò cadendo quelle diversità e quei limiti alla ricerca della paternità che perfino la Costituzione ancora
tollera all’art. 30) e il principio che i presupposti del disconoscimento della paternità devono essere riconsiderati in base ai valori richiamati negli ultimi anni dalla corte costituzionale.
O
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RIFORME
Il riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio avrà effetti anche riguardo ai parenti del genitore
che lo effettua; viene perciò riformulato l’art. 258 cod. civ. abbandonandosi l’interpretazione distorta della
originaria norma che appariva negare nella filiazione fuori dal matrimonio il legame parentale per esempio
tra nonni e nipoti.
La nuova legge dà una nuova definizione della nozione di parentela (art. 74 cod. civ.) che va oltre i limiti
dei legami biologici, estendendosi non solo ai figli nati fuori dal matrimonio ma anche alla filiazione adottiva dei minori di età. Ed anche i figli nati da relazione incestuosa potranno essere riconosciuti (se minori
con l’autorizzazione del tribunale per i minorenni) avuto riguardo al loro interesse e alla necessità di evitare
loro qualsiasi pregiudizio (nuovo art. 251 cod. civ.). Cade così una stortura che la stessa Corte costituzionale
(che pure aveva ammesso l’accertamento giudiziale della paternità nei medesimi casi) non aveva potuto
eliminare.
Si potrà riconoscere un figlio nato fuori dal matrimonio già a quattordici anni (e non a sedici come oggi
previsto) ed anche prima se il giudice lo autorizza; il minore che ha compiuto quattordici anni deve dare il
proprio consenso al riconoscimento. Il riconoscimento fatto tardivamente avviene, come già il codice civile
prevede, con il consenso del genitore che per primo ha già riconosciuto il figlio; se il consenso viene negato
sarà il giudice a decidere attraverso un procedimento rapido e semplificato; la sentenza - e questa è una novità importante - potrà anche decidere sulla regolamentazione dell’affidamento e sul mantenimento del figlio (nuovo articolo 250 cod. civ.).
La riforma tocca anche la legittimazione passiva nell’accertamento giudiziale della paternità introducendo la possibilità - più volte negata in passato dalla giurisprudenza - di esercitare l’azione nei confronti
di un curatore speciale ove sia deceduto il presunto genitore e non vi siano eredi (art. 276 cod. civ.).
Anche tutto il settore delle successioni sarà adeguato e adattato ai nuovi principi di uguaglianza e di unificazione dello stato giuridico.
Come auspicato da tempo la legge rimodella anche il concetto di potestà adeguandolo al lessico psicologico e giuridico moderno - anche europeo e internazionale - delineando la nozione di responsabilità genitoriale che mette più l’accento sulle funzioni di cura rispetto alla tradizionale connotazione di potere sui figli che quel termine ha sempre avuto anche nella cultura giuridica.
E in caso di decadenza della potestà genitoriale il figlio non sarà più tenuto agli alimenti (nuovo art. 448
bis cod. civ.).
Viene ridefinita la nozione di abbandono morale e materiale ancorandola al concetto di provata irrecuperabilità delle capacità genitoriali in un tempo ragionevole per garantire al minore il diritto alla propria famiglia.
I nonni potranno far valere in giudizio il loro diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti.
In tutte le procedure che lo riguardano il minore che ha compiuto i dodici anni - ed anche prima ove
capace di discernimento - deve essere ascoltato. Si generalizza per legge quindi (oltre a quanto già prevede l’art. 155-sexies cod. civ. per la separazione e il divorzio) il diritto del minore ad esprimere il suo
punto di vista. In applicazione ormai obbligata della Convenzione del 1989 sui diritti dei minori (legge
176/91) e della convenzione europea sull’esercizio dei diritti del minore (legge 77/2003) e delle norme
che in Europa disciplinano le relazioni tra Stati (si consideri che l’art. 23 del regolamento europeo
2201/2003 impedisce il riconoscimento in altri Stati membri di decisioni adottate senza il previo ascolto
del minore).
Come da tempo auspicato, tutte le procedure giudiziarie relative all’affidamento dei figli minori - anche
nati fuori dal matrimonio - e tutte le azioni di accertamento e disconoscimento della filiazione di minori di
età saranno di competenza del tribunale ordinario, mentre restano di competenza del tribunale per i minorenni i soli procedimenti de potestate e di adozione dei minori (art. 38 disposizioni di attuazione cod. civ.
come modificato dall’art. 3 della legge di riforma).
Tutto ciò in attesa e in vista che si istituiscano al più presto sezioni specializzate sulla famiglia e sulla
persona (con competenza generalizzata su tutto il contenzioso in questo settore) che dovrebbero sorgere
presso ogni tribunale ordinario a completamento di una riforma ordinamentale in questa materia che da
anni si attende con impazienza.
La legge non prevede ancora un modello processuale unitario. Così mentre per la separazione e il divorzio si applicheranno le regole consuete, nei procedimenti per la regolamentazione dell’affidamento di figli
nati fuori dal matrimonio sarà utilizzato il rito camerale nelle forme assicurate oggi nei tribunali nei procedimenti di revisione delle condizioni di separazione e divorzio. Una differenza che non deve far scandalizzare e che non indice affatto sul principio della parità dei diritti. In tutte le procedure si dovrà fare, però,
uguale applicazione dei principi e delle garanzie patrimoniali e il giudice potrà conseguentemente utilizzare
i medesimi strumenti già previsti oggi per la separazione dei coniugi e per il divorzio al fine assicurare che
siano soddisfatte le obbligazioni economiche relative al mantenimento dei figli.
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RIFORME
LA LEGGE DI RIFORMA SULL’UNIFICAZIONE
DELLO STATO GIURIDICO DI FIGLI
Art. 1.
(Disposizioni in materia di filiazione)
1. L’articolo 74 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 74. - (Parentela). - La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel
caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso,
sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti».
2. All’articolo 250 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il primo comma è sostituito dal seguente:
«Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’articolo 254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente»;
b) al secondo comma, le parole: «sedici anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattordici anni»;
c) al terzo comma, le parole: «sedici anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattordici anni»;
d) il quarto comma è sostituito dal seguente:
«Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere
il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all’altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla
notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti
provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l’opposizione non sia palesemente fondata.
Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell’articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi
dell’articolo 262»;
e) al quinto comma sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le
circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio».
3. L’articolo 251 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 251. - (Autorizzazione al riconoscimento) - Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all’interesse del figlio e
alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.
Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal tribunale per i minorenni».
4. Il primo comma dell’articolo 258 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso».
5. L’articolo 276 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 276. - (Legittimazione passiva) - La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale
deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. In
loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti
al quale il giudizio deve essere promosso.
Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse».
6. La rubrica del titolo IX del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Della potestà dei genitori e dei diritti e doveri del figlio».
7. L’articolo 315 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 315. - (Stato giuridico della filiazione). - Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico».
8. Dopo l’articolo 315 del codice civile, come sostituito dal comma 7 del presente articolo, è inserito il seguente:
«Art. 315-bis. - (Diritti e doveri del figlio). - Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito
moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.
Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento,
ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze
e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa».
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RIFORME
9. Nel titolo XIII del libro I del codice civile, dopo l’articolo 448 è aggiunto il seguente:
«Art. 448-bis. - (Cessazione per decadenza dell’avente diritto dalla potestà sui figli). - Il figlio, anche adottivo, e,
in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla potestà e, per i fatti che
non integrano i casi di indegnità di cui all’articolo 463, possono escluderlo dalla successione».
10. È abrogata la sezione II del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile.
11. Nel codice civile, le parole: «figli legittimi» e «figli naturali», ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente: «figli».
Art. 2.
(Delega al Governo per la revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno
o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e di dichiarazione dello
stato di adottabilità per eliminare ogni discriminazione tra i figli, anche adottivi, nel rispetto dell’articolo 30
della Costituzione, osservando, oltre ai princìpi di cui agli articoli 315 e 315-bis del codice civile, come rispettivamente sostituito e introdotto dall’articolo 1 della presente legge, i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) sostituzione, in tutta la legislazione vigente, dei riferimenti ai «figli legittimi» e ai «figli naturali» con riferimenti ai «figli», salvo l’utilizzo delle denominazioni di «figli nati nel matrimonio» o di «figli nati fuori del
matrimonio» quando si tratta di disposizioni a essi specificamente relative;
b) modificazione del titolo VII del libro primo del codice civile, in particolare:
1) sostituendo la rubrica del titolo VII con la seguente: «Dello stato di figlio»;
2) sostituendo la rubrica del capo I con la seguente: «Della presunzione di paternità»;
3) trasponendo nel nuovo capo I i contenuti della sezione I del capo I;
4) trasponendo i contenuti della sezione II del capo I in un nuovo capo II, avente la seguente rubrica: «Delle
prove della filiazione»;
5) trasponendo i contenuti della sezione III del capo I in un nuovo capo III, avente la seguente rubrica:
«Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio»;
6) trasponendo i contenuti del paragrafo 1 della sezione I del capo II in un nuovo capo IV, avente la seguente
rubrica: «Del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio»;
7) trasponendo i contenuti del paragrafo 2 della sezione I del capo II in un nuovo capo V, avente la seguente rubrica: «Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità»;
8) abrogando le disposizioni che fanno riferimento alla legittimazione;
c) ridefinizione della disciplina del possesso di stato e della prova della filiazione prevedendo che la filiazione fuori del matrimonio può essere giudizialmente accertata con ogni mezzo idoneo;
d) estensione della presunzione di paternità del marito rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante
il matrimonio e ridefinizione della disciplina del disconoscimento di paternità, con riferimento in particolare all’articolo 235, primo comma, numeri 1), 2) e 3), del codice civile, nel rispetto dei princìpi costituzionali;
e) modificazione della disciplina del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio con la previsione che:
1) la disciplina attinente all’inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia dell’uno o dell’altro genitore
sia adeguata al principio dell’unificazione dello stato di figlio, demandando esclusivamente al giudice la valutazione di compatibilità di cui all’articolo 30, terzo comma, della Costituzione;
2) il principio dell’inammissibilità del riconoscimento di cui all’articolo 253 del codice civile sia esteso a
tutte le ipotesi in cui il riconoscimento medesimo è in contrasto con lo stato di figlio riconosciuto o giudizialmente dichiarato;
f) modificazione degli articoli 244, 264 e 273 del codice civile prevedendo l’abbassamento dell’età del minore dal sedicesimo al quattordicesimo anno di età;
g) modificazione della disciplina dell’impugnazione del riconoscimento con la limitazione dell’imprescrittibilità dell’azione solo per il figlio e con l’introduzione di un termine di decadenza per l’esercizio dell’azione da parte degli altri legittimati;
h) unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati
nel matrimonio e dei figli nati fuori del matrimonio, delineando la nozione di responsabilità genitoriale
quale aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale;
i) disciplina delle modalità di esercizio del diritto all’ascolto del minore che abbia adeguata capacità di discernimento, precisando che, ove l’ascolto sia previsto nell’ambito di procedimenti giurisdizionali, ad esso
provvede il presidente del tribunale o il giudice delegato;
l) adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio, prevedendo, anche in relazione ai giudizi pendenti, una disciplina che assicuri la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto nelle
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 15
RIFORME
more del riconoscimento e conseguentemente l’estensione delle azioni di petizione di cui agli articoli 533 e
seguenti del codice civile;
m) adattamento e riordino dei criteri di cui agli articoli 33, 34, 35 e 39 della legge 31 maggio 1995, n. 218,
concernenti l’individuazione, nell’ambito del sistema di diritto internazionale privato, della legge applicabile, anche con la determinazione di eventuali norme di applicazione necessaria in attuazione del principio
dell’unificazione dello stato di figlio;
n) specificazione della nozione di abbandono morale e materiale dei figli con riguardo alla provata irrecuperabilità delle capacità genitoriali in un tempo ragionevole da parte dei genitori, fermo restando che le
condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di
ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia;
o) previsione della segnalazione ai comuni, da parte dei tribunali per i minorenni, delle situazioni di indigenza di nuclei familiari che, ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, richiedano interventi di sostegno per
consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia, nonché previsione di controlli che
il tribunale per i minorenni effettua sulle situazioni segnalate agli enti locali;
p) previsione della legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori.
2. Il decreto o i decreti legislativi di cui al comma 1 provvedono, altresì, a effettuare, apportando le occorrenti modificazioni e integrazioni normative, il necessario coordinamento con le norme da essi recate delle
disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942,
n. 318, e delle altre norme vigenti in materia, in modo da assicurare il rispetto dei princìpi e criteri direttivi
di cui al citato comma 1 del presente articolo.
3. Il decreto o i decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio
dei ministri, del Ministro dell’interno, del Ministro della giustizia, del Ministro per le pari opportunità e del
Ministro o Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri delegato per le politiche per la
famiglia. Sugli schemi approvati dal Consiglio dei ministri esprimono il loro parere le Commissioni parlamentari competenti entro due mesi dalla loro trasmissione alle Camere. Decorso tale termine, i decreti legislativi sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l’espressione dei pareri parlamentari, di cui al presente comma, scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto
dal comma 1 o successivamente, quest’ultimo termine è prorogato di sei mesi.
4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma
1, il Governo può adottare decreti integrativi o correttivi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al
citato comma 1 e delle disposizioni del comma 2 e con la procedura prevista dal comma 3.
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RIFORME
Art. 3.
(Modifica dell’articolo 38 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile
e disposizioni a garanzia dei diritti dei figli agli alimenti e al mantenimento).
1. L’articolo 38 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio
decreto 30 marzo 1942, n. 318, è sostituito dal seguente:
«Art. 38. - Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84,
90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all’articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni per l’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti,
giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile; in tale ipotesi per
tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario.
Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente
stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di
mantenimento dei minori si applica, in quanto compatibile, l’articolo 710 del codice di procedura civile.
Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi,
salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni,
il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni».
“l-bis. Il giudice, a garanzia dei provvedimenti patrimoniali in materia di alimenti e mantenimento
della prole, può imporre al genitore obbligato di prestare idonea garanzia personale o reale, se esiste il
pericolo che possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi suddetti. Per assicurare che siano conservate o soddisfatte le ragioni del creditore in ordine all’adempimento degli obblighi di cui al periodo precedente, il giudice può disporre il sequestro dei beni dell’obbligato secondo quanto previsto dall’articolo
8, settimo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche e integrazioni. Il giudice
può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, di
versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto, secondo quanto previsto dai commi secondo
e seguenti dell’articolo 8, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche e integrazioni. I
provvedimenti definitivi costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’articolo
2818 del codice civile.”.
Art. 4.
(Disposizioni transitorie)
1. Le disposizioni di cui all’articolo 3 si applicano ai giudizi instaurati a decorrere dalla data di entrata in
vigore della presente legge.
2. Ai processi relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli di genitori non coniugati pendenti davanti al tribunale per i minorenni alla data di entrata in vigore della presente legge si applica, in quanto
compatibile, l’articolo 710 del codice di procedura civile, nel rispetto delle garanzie costituzionali del giusto
processo.
Art. 5.
(Modifiche alle norme regolamentari in materia di stato civile)
1. Con regolamento emanato, su proposta delle amministrazioni di cui al comma 3 dell’articolo 2 della presente legge, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni,
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto o dei decreti legislativi di cui al citato articolo 2 della
presente legge, sono apportate le necessarie e conseguenti modifiche alla disciplina dettata in materia di ordinamento dello stato civile dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre
2000, n. 396.
2. L’articolo 35 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396,
è sostituito dal seguente:
«Art. 35. - (Nome). - 1. Il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso e può essere costituito da
un solo nome o da più nomi, anche separati, non superiori a tre.
2. Nel caso siano imposti due o più nomi separati da virgola, negli estratti e nei certificati rilasciati dall’ufficiale dello stato civile e dall’ufficiale di anagrafe deve essere riportato solo il primo dei nomi».
Art. 6.
(Clausola di invarianza finanziaria)
1. Dall’attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri
a carico della finanza pubblica.
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Art. 74. Parentela.
La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite.
Art. 250. Riconoscimento.
Il figlio naturale può essere riconosciuto, nei
modi previsti dall’articolo 254, dal padre e dalla
madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente
quanto separatamente.
Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i sedici anni non produce effetto senza il suo assenso.
Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto
i sedici anni non può avvenire senza il consenso
dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.
Il consenso non può essere rifiutato ove il riconoscimento risponda all’interesse del figlio. Se vi
è opposizione, su ricorso del genitore che vuole
effettuare il riconoscimento, sentito il minore in
contraddittorio con il genitore che si oppone e
con l’intervento del pubblico ministero, decide il
tribunale con sentenza che, in caso di accoglimento della domanda, tiene luogo del consenso
mancante.
Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo
anno di età.
1. L’articolo 74 del codice civile è sostituito dal seguente:
Art. 74. - (Parentela). - La parentela è il vincolo tra
le persone che discendono da uno stesso stipite,
sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio
è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei
casi di adozione di persone maggiori di età, di cui
agli articoli 291 e seguenti».
2. All’articolo 250 del codice civile sono apportate
le seguenti modificazioni:
a) il primo comma è sostituito dal seguente:
«Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’articolo 254,
dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto
congiuntamente quanto separatamente»;
b) al secondo comma, le parole: «sedici anni»
sono sostituite dalle seguenti: «quattordici anni»;
c) al terzo comma, le parole: «sedici anni» sono
sostituite dalle seguenti: «quattordici anni»;
d) il quarto comma è sostituito dal seguente:
«Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che
vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso
dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice
competente, che fissa un termine per la notifica
del ricorso all’altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene
luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o
anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione,
salvo che l’opposizione non sia palesemente
fondata. Con la sentenza che tiene luogo del
consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi
dell’articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi
dell’articolo 262»;
e) al quinto comma sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, salvo che il giudice li autorizzi,
valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio».
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RIFORME
Art. 251. Riconoscimento di figli incestuosi.
I figli nati da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela anche soltanto naturale, in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, non possono essere riconosciuti dai
loro genitori, salvo che questi al tempo del concepimento ignorassero il vincolo esistente tra di
loro o che sia stato dichiarato nullo il matrimonio da cui deriva l’affinità. Quando uno solo dei
genitori è stato in buona fede, il riconoscimento
del figlio può essere fatto solo da lui.
Il riconoscimento è autorizzato dal giudice, avuto
riguardo all’interesse del figlio ed alla necessità
di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.
Art. 258. Effetti del riconoscimento.
Il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto salvo i casi previsti dalla legge.
L’atto di riconoscimento di uno solo dei genitori
non può contenere indicazioni relative all’altro
genitore. Queste indicazioni, qualora siano state
fatte, sono senza effetto.
Il pubblico ufficiale che le riceve e l’ufficiale dello
stato civile che le riproduce sui registri dello
stato civile sono puniti con l’ammenda da lire
quarantamila a lire centosessantamila. Le indicazioni stesse devono essere cancellate.
Art. 276. Legittimazione passiva.
La domanda per la dichiarazione di paternità o
di maternità naturale deve essere proposta nei
confronti del presunto genitore o, in mancanza
di lui, nei confronti dei suoi eredi.
Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse.
3. L’articolo 251 del codice civile è sostituito dal
seguente:
«Art. 251. - (Autorizzazione al riconoscimento) - Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di
evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.
Il riconoscimento di una persona minore di età è
autorizzato dal tribunale per i minorenni».
4. Il primo comma dell’articolo 258 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di
esso».
5. L’articolo 276 del codice civile è sostituito dal
seguente:
«Art. 276. - (Legittimazione passiva) - La domanda
per la dichiarazione di paternità o di maternità
naturale deve essere proposta nei confronti del
presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. In loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un
curatore nominato dal giudice davanti al quale il
giudizio deve essere promosso.
Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse».
Titolo IX - Della potestà dei genitori
6. La rubrica del titolo IX del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Della potestà dei genitori e dei diritti e doveri del figlio».
Art. 315. Doveri del figlio verso i genitori.
7. L’articolo 315 del codice civile è sostituito dal
seguente:
Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.
«Art. 315. - (Stato giuridico della filiazione). - Tutti i
figli hanno lo stesso stato giuridico».
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RIFORME
8. Dopo l’articolo 315 del codice civile, come sostituito dal comma 7 del presente articolo, è inserito il seguente:
«Art. 315-bis. - (Diritti e doveri del figlio). - Il figlio ha
diritto di essere mantenuto, educato, istruito e
assistito moralmente dai genitori, nel rispetto
delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali
e delle sue aspirazioni.
Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.
Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le
questioni e le procedure che lo riguardano.
Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa».
9. Nel titolo XIII del libro I del codice civile, dopo
l’articolo 448 è aggiunto il seguente:
«Art. 448-bis. - (Cessazione per decadenza dell’avente
diritto dalla potestà sui figli). - Il figlio, anche adottivo, e, in sua mancanza, i discendenti prossimi
non sono tenuti all’adempimento dell’obbligo di
prestare gli alimenti al genitore nei confronti del
quale è stata pronunciata la decadenza dalla potestà e, per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all’articolo 463, possono escluderlo
dalla successione».
Sez. II
Della legittimazione dei figli naturali
10. È abrogata la sezione II del capo II del titolo
VII del libro primo del codice civile.
11. Nel codice civile, le parole: «figli legittimi» e
«figli naturali», ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente: «figli».
Art. 38
Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli
84, 90, 171, 194, comma secondo, 250, 252, 262,
264, 316, 317 bis, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, nonché nel caso di minori dall`articolo 269, primo comma, codice civile.
Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti per i quali non e espressamente stabilita la
competenza di una diversa autorità giudiziaria.
In ogni caso il tribunale provvede in camera di
consiglio sentito il pubblico ministero.
Quando il provvedimento e` emesso dal tribunale
per i minorenni il reclamo si propone davanti alla
sezione di corte di appello per i minorenni.
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1. L’articolo 38 delle disposizioni per l’attuazione
del codice civile e disposizioni transitorie, di cui
al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è sostituito
dal seguente:
«Art. 38. - Sono di competenza del tribunale per i
minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo
comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui
all’articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni per l’ipotesi in cui sia in
corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o
divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del
processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate
RIFORME
nel primo periodo, spetta al giudice ordinario.
Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa
autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia
di affidamento e di mantenimento dei minori si
applica, in quanto compatibile, l’articolo 710 del
codice di procedura civile.
Fermo restando quanto previsto per le azioni di
stato, il tribunale competente provvede in ogni
caso in camera di consiglio, sentito il pubblico
ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento
è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di
appello per i minorenni».
“l-bis. Il giudice, a garanzia dei provvedimenti patrimoniali in materia di alimenti e mantenimento
della prole, può imporre al genitore obbligato di
prestare idonea garanzia personale o reale, se esiste il pericolo che possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi suddetti. Per assicurare che
siano conservate o soddisfatte le ragioni del creditore in ordine all’adempimento degli obblighi
di cui al periodo precedente, il giudice può disporre il sequestro dei beni dell’obbligato secondo quanto previsto dall’articolo 8, settimo
comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 e
successive modifiche e integrazioni. Il giudice
può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, di versare le somme dovute direttamente
agli aventi diritto, secondo quanto previsto dai
commi secondo e seguenti dell’articolo 8, della
legge 1° dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche e integrazioni. I provvedimenti definitivi costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’articolo 2818 del codice civile”.
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GIURISPRUDENZA
Diritto ad ottenere la copia
della denuncia dei redditi
del convivente more uxorio
del coniuge separato.
Rapporto tra diritto di
accesso agli atti della
Pubblica Amministrazione
e diritto alla riservatezza
dei terzi.
Consiglio di Stato, Sez. IV,
20 settembre 2012, n. 5047
Svolgimento del processo
1 - Con ricorso la TAR della Campania, sede distaccata di Salerno, l’avv. M.B. impugnava la nota
dell’Agenzia Provinciale delle Entrate di Salerno n.
89858 del 2001 di diniego dell’accesso alle “dichiarazioni unico” presentate per gli anni 2009 e 2010
dall’avv. G.C., richiesto con istanza del 21 marzo
2011.
1.2 - Con sentenza n. 1471 dell’8 agosto 2011
l’adito Giudice ha rigettato il ricorso perché, allo
stato degli atti, il ricorrente non risultava legittimato
ad accedere ai documenti fiscali del controinteressato avv. C., essendo ancora in discussione innanzi
al Giudice civile, anche in ragione delle mutevole
giurisprudenza della Corte di Cassazione, se la convivenza more uxorio del coniuge separato con altro
soggetto sia elemento incidente o meno sulla determinazione dell’assegno mensile spettante in
virtù del decreto di omologazione della separazione
consensuale del rapporto di coniugio; perché il Giudice civile adito ha ampi poteri istruttori e può anche disporre accertamenti tramite la Guardia di Finanza, oltre che l’acquisizione di tutta la documentazione anche fiscale ritenuta utile al fine del decidere nel processo di separazione coniugale.
1.3 - Con l’appello in epigrafe l’avv. M.B. ha chiesto l’integrale riforma della sentenza impugnata
perché il Giudice di primo grado avrebbe adottato la
propria decisione in:
22 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
a) violazione dell’art. 69 del D.P.R. n. 600 del 1973,
degli articoli 22 e 23 della L. n. 241 del 1990 e dell’art.
5 del D.M. 29 ottobre 1996, n. 603, nonché eccesso di
potere per falso presupposto, illogicità ed omessa
istruttoria;
b) violazione degli articoli 22 e 24 della L. n. 241
del 1990 e dell’art. 5 del D.M. 29 ottobre 1996, n. 603,
nonché eccesso di potere per disparità di trattamento e violazione delle direttive impartite dalla
Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
c) violazione dell’articolo 24 della Costituzione,
degli articoli 22 e 24 della L. n. 241 del 1990, dell’art.
24 del D.Lgs. n. 196 del 2003, nonché eccesso di potere per omessa istruttoria, illogicità e contraddittorietà.
1.4 - Si è costituita in giudizio l’Amministrazione
fiscale che con memoria depositata il 19 gennaio
2012 ha argomentato in ordine all’infondatezza dell’appello del quale ha chiesto la reiezione.
1.5 - Si è costituito in giudizio anche il controinteressato avv. G.C. che con memoria ha controdedotto a tutte le critiche mosse dall’appellante alla
sentenza impugnata, depositando anche copia della
memoria dallo stesso prodotta in sede di giudizio civile e copia dell’ordinanza del 20 ottobre 2011 con
la quale il Giudice Istruttore del competente Tribunale di Salerno ha concesso all’appellante (in questa
sede), nell’ambito del giudizio di divorzio dalla di lui
moglie sig.ra F.A., i termini di cui all’art. 183, comma
6, del codice di procedura civile.
1.6 - Nella Camera di Consiglio del 15 maggio 2012
l’appello è stato assegnato a decisione.
Motivi della decisione
2 - L’appello è fondato.
Costituisce avviso pacifico e costante di questo
Consiglio di Stato che il diritto di accesso deve prevalere sull’esigenza di riservatezza di terzi quando
esso sia esercitato per consentire la cura o la difesa
processuale di interessi giuridicamente protetti e
concerna un documento amministrativo indispensabile a tali fini, la cui esigenza non possa essere altrimenti soddisfatta (cfr. tra le tante C.d.S. Ad. Plen.
n. 5 del 1997, Sez. V^, n. 5034 del 2003 e n. 1969 del
2004).
2.1- Tale diritto per essere riconosciuto ha bisogno della dimostrazione che vi sia una “rigida necessità” e non una “mera utilità” dell’acquisizione
del documento richiesto allorquando quest’ultimo
concerna terzi ed il richiedente l’accesso documentale non sia parte del procedimento nel quale esso
si è formato (cfr. C.d.S., sez. VI^, n. 117 del 2011).
Orbene, nel caso in esame - che concerne la domanda prodotta dall’avv. B. per l’accesso alle dichiarazioni dei redditi presentate negli anni 2009 e
2010 dall’avv. G.C., convivente more uxorio con la
moglie separata dello stesso avvo.B., al fine di poter
GIURISPRUDENZA
dimostrare nella competente sede civile, adita per
l’accertamento della spettanza o meno, pur dopo
l’instaurazione di tale convivenza, dell’assegno
mensile riconosciuto dal Giudice in sede di separazione consensuale - possono ritenersi sussistenti
tutti i presupposti individuati dalla giurisprudenza
in quanto l’accesso documentale richiesto concerne
atti rilevanti e determinanti per la tutela delle posizione giuridica del richiedente, siccome idonei a dimostrare, nella specie, la capacità economica del
convivente con la propria moglie separata e, quindi,
la sussistenza di presupposto idoneo ad esonerarlo
dall’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento impostogli all’atto dell’omologazione
della separazione consensuale.
2.2 - Né è di ostacolo, nel caso in esame, al riconoscimento del diritto di acceso la norma di principio di cui all’art. 24 della L. n. 241 del 1990, atteso
che con il regolamento di esecuzione di detta
norma, emanato con D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, è
stato disposto (cfr. art. 8, comma 5, lettera d) che, anche quando i documenti concernano la vita privata
o la riservatezza di persone fisiche, con particolare
riferimento agli interessi epistolare, sanitario, finanziario, industriale e commerciale, “...deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione
degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere
il loro stessi interessi giuridici...”.
2.3 - Così pure la circostanza che, nella specie,
l’acceso sia richiesto per documenti fiscali del controinteressato non può costituire impedimento ex
se all’esercizio del relativo diritto poiché una corretta interpretazione del divieto di accesso agli atti
del procedimento tributario, sancito
parimenti dal già citato art. 24 della L.
n. 241 del 1990, che sia conforme ad
una lettura costituzionalmente orientata di tale divieto, non può non condurre al convincimento che l’inaccessibilità a tali specifici atti è limitata,
temporaneamente, alla sola fase di
pendenza del procedimento tributario
che è circostanza che, nella specie, non
risulta sussistente (cfr. sul principio,
C.d.S., sez. IV^, n. 53 del 13 gennaio
2010).
2.4 - Ad avviso diverso non può indurre, inoltre, il richiamo operato da
controparte della norma dell’art. 210
del c.p.c., della quale, peraltro, si sarebbe già avvalso in sede civile l’avv. B.
proprio per richiedere l’acquisizione
iussu judicis delle dichiarazioni dei redditi in questione, in quanto la norma
processuale anzidetta prevede la facoltà dell’ordine istruttorio (“...può...”),
ma non anche la sua vincolatezza, con
la conseguenza che permane fino all’eventuale accoglimento dell’istanza da parte del Giudice Civile il
diritto dello stesso avv. B. ad accedere, nei modi di
legge, alla documentazione utile per la tutela delle
proprie ragioni.
2.5 - Inoltre, ritiene il Collegio, diversamente dal
Giudice di prima istanza, che sia irrilevante, ai fini
del riconoscimento del diritto di accesso, la questione se sia determinante o meno a fini decisori di
quel processo la questione della convivenza del
terzo con la moglie separata del richiedente, in
quanto la norma che regola detto diritto non collega
il soddisfacimento di quest’ultimo alla soluzione nel
merito delle vicende connesse, ma impone soltanto
che l’accesso sia collegato ad un interesse giuridicamente rilevante del richiedente che sia meritevole
di cura e tutela.
2.6 - In conclusione, l’appello deve essere accolto
e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata
e conseguente accoglimento del ricorso di prime
cure, deve essere riconosciuto all’appellante avv.
M.B. il diritto di accedere, nei modi legge, ai documenti richiesti con la propria istanza del 21 marzo
2001.
2.7 - Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, attesa la parziale novità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 8477 del 2011, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza annullata, accoglie il ricorso di primo grado
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 23
GIURISPRUDENZA
con conseguente annullamento del provvedimento
impugnato e declaratoria del diritto dell’avv. M.B. di
accedere ai documenti richiesti con propria istanza
del 21 marzo 2011. Spese compensate. Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
IL PUNTO DI VISTA
di GIANLUCA VECCHIO
AVVOCATO DEL FORO DI PISA
a sentenza in commento merita una trattazione, seppur breve, perchè affronta un tema
assai dibattuto nella pratica e cioè la possibilità o meno di accedere ad atti della pubblica amministrazione rilevanti ai fini della decisione di una
controversia civile. Nel caso di specie, anche perchè
tema che interessa maggiormente gli operatori del
diritto di famiglia, un individuo si è visto negare
dalla Agenzia delle Entrate il diritto d accesso ai documenti fiscali (dichiarazione dei redditi) del convivente more uxorio della moglie al fine di poter dimostrare, in un procedimento di modifica delle condizioni di separazione, un miglioramento delle condizioni economiche tale da giustificare la revisione
dell’assegno di mantenimento.
Il Consiglio di Stato nelle motivazioni della sentenza indica un principio basilare, già più volte dichiarato in seno alla giustizia amministrativa, ma
che per la prima volta in modo chiaro viene applicato ai procedimenti in materia di diritto di famiglia, secondo cui il diritto di accesso degli atti amministrativi deve prevalere sull’esigenza di riservatezza di
terzi quando esso sia esercitato per consentire la cura o la
difesa processuale di interessi giuridicamente protetti e
concerna un documento amministrativo indispensabile a
tali fini, la cui esigenza non possa essere altrimenti soddisfatta1.
Precisa il Consiglio di Stato che tale diritto, per essere riconosciuto, deve necessariamente esser supportato dalla prova della cd. “rigida necessità” e non
una “mera utilità” dell’acquisizione del documento
richiesto2.
Tale principio, calato nelle dinamica processuale
di un procedimento ex art. 710 c.p.c. in cui un marito
separato aveva interesse a dimostrare la capacità
reddituale del convivente more uxorio della moglie
separata, ha fatto sì che lo stesso Consiglio di Stato
ravvisasse la sussistenza di tutti i presupposti individuati dalla giurisprudenza in quanto l’accesso documentale richiesto concerne atti rilevanti e determinanti per la
tutela delle posizione giuridica del richiedente, siccome
idonei a dimostrare, nella specie, la capacità economica
del convivente con la propria moglie separata e, quindi,
la sussistenza di presupposto idoneo ad esonerarlo dall’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento
impostogli all’atto dell’omologazione della separazione
L
24 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
consensuale. Non sono argomenti idonei a confutare
tale tesi, come confermato nella stessa sentenza, né
la previsione di cui all’art. 24, primo comma, della
legge n. 241 del 1990, dove espressamente è prevista l’esclusione al diritto di accesso nei procedimenti tributari, in quanto l’inaccessibilità a tali specifici atti è limitata, temporaneamente, alla sola fase di pendenza del procedimento tributario che è circostanza che,
nella specie, non risulta sussistente, né tantomeno la
possibilità nel processo civile di richiedere al giudice
l’applicazione dell’art. 210 c.p.c. in quanto tale strumento ha un chiaro carattere di facoltatività e non
di vincolatività del Giudice.
La sentenza in commento comunque merita una
sua annotazione anche per un’altra particolarità,
che sicuramente non può sfuggire all’attento lettore,
e cioè la rilevanza che assume nei procedimenti di
separazione e divorzio la figura del convivente more
uxorio del coniuge separato e divorziato titolare del
diritto alla percezione di un assegno di mantenimento e divorzile (cd. coniuge “debole”). Infatti può
ravvisarsi nei principi summenzionati una continuazione di quel percorso, già iniziato in alcune
sentenza della Suprema Corte (da ultima in tema di
divorzio si segnala Cass. Civ. Sez. I, 11 agosto 2011, n.
17195), di avvicinamento delle tutele sostanziali e
processuali tra convivenza e coniugio. Ormai è noto
il vuoto normativo su tale argomento, tale da giustificare da più parti, compresa la nostra associazione3, proposte di riforma del diritto di famiglia
(oggi in discussione in Parlamento) sia dal punto di
vista della modifica delle norme sostanziali così
come quelle processuali, norme ormai superate ed
inidonee ad offrire le tutele ormai necessarie. Basta
pensare che l’unica norma che in termini espliciti
faccia riferimento ad una convivenza more uxorio è
rappresentata dall’art. 155 quater c.c.4, norma inserita al fotofinish con la riforma del 2006. Come accennato sopra il Consiglio di Stato, sulla scia tracciata dalla giurisprudenza della Cassazione civile
degli ultimi anni5, reputa rilevante la dimostrazione
della capacità reddituale del convivente more uxorio
del coniuge separato ai fini della determinazione
dell’assegno di mantenimento.
Note
1
C.d.S. Ad. Plen. n. 5 del 1997, Sez. V^, n. 5034 del 2003 e
n. 1969 del 2004.
2
C.d.S., sez. VI^, n. 117 del 2011, criterio applicabile al caso
in cui il documento concerna terzi ed il richiedente l’accesso
documentale non sia stato parte del procedimento nel quale il
documento si è formato.
3
cfr. questa rivista n. 5 settembre-ottobre 2011 sul “progetto di riforma per un processo civile unitario nel diritto di
famiglia”.
4
Sul punto da ultimo Figone, La convivenza more uxorio
può escludere l’assegno divorzile, in Fam. e dir. 2012, 1, 25.
5
Da ultimo Cass. 22 gennaio 2010, n. 1096, Fam. Pers. Succ.
2010, 11, 754.
CASSAZIONE
LA MANCATA AUDIZIONE
DEL MINORE NEL GIUDIZIO
DI ADOTTABILITÀ
È DEDUCIBILE COME
MOTIVO DI NULLITÀ
MA NON PER VIOLAZIONE
DEL CONTRADDITTORIO
Cass. civ. Sez. I,
27 gennaio 2012, n. 1251
Presidente Maria Grazia Luccioli
Relatore Maria Cristina Giancola
In tema di procedimento per la dichiarazione dello
stato di adottabilità l’art. 15 comma 2, della L. 4 maggio 1983, n. 184, nel testo novellato dalla L. 28 marzo
2001 n. 149, pone nel giudizio di primo grado l’obbligo
dell’audizione del minore che abbia compiuto i dodici anni e anche del minore di età inferiore in considerazione della sua capacità di discernimento; la
relativa nullità è deducibile con l’appello e, se riscontrata, non implica la rimessione al primo giudice,
esulando dalle ipotesi previste dall’art. 354 c.p.c.
Svolgimento del processo
Il Tribunale per i minorenni di Trieste, con sentenza n. 94 del 6.10.2010, dichiarava lo stato di adottabilità delle minori D. L.D. e M., nate rispettivamente il (OMISSIS), dai coniugi D.L.L. ed P.E., dei
quali pronunciava la decadenza dalla potestà genitoriale, con inibizione delle visite con le figlie.
Con sentenza del 27.01- 7.02.2011, la Corte di appello di Trieste, sezione per i minorenni, respingeva
l’impugnazione proposta dal D.L. e dalla P. contro la
sentenza di primo grado. La Corte territoriale, premesso anche il richiamo al contenuto della sentenza
appellata, riteneva: - in relazione al motivo di gravame inerente alla violazione dell’obbligo di audizione in primo grado delle minori e segnatamente di
D.L.D., che tale obbligo presupponeva la maturità del
minore, in genere coincidente con il compimento del
dodicesimo anno di età, evento che per la figlia D. si
sarebbe avverato solo nel (OMISSIS), e che, inoltre, la
capacità di discernimento di entrambe le minori nel
caso concreto era pregiudicata non solo dall’immaturità dell’età, ma anche dal ritardo psichico indotto
dalla situazione di deprivazione familiare nella quale
erano costrette a vivere dai loro genitori. - che il TM
aveva sia analiticamente descritto e compiutamente
valutato il lungo percorso di sostegno attuato in favore del nucleo familiare e rimasto privo di risultati
positivi, non per carenze professionali degli operatori, ma per la pervicace volontà elusiva della coppia, che non tollerava intromissioni nella sua sfera
privata, e sia specificamente richiamato l’attento lavoro di analisi e sostegno del nucleo familiare, compromesso unilateralmente dal rifiuto degli odierni
appellanti a farsi sostenere e guidare nello svolgimento della loro genitorialità.
(omissis)
Avverso questa sentenza, notificata il 12.02.2011,
il D.L. e la P. hanno proposto ricorso per cassazione
affidato a tre motivi, (omissis)
Motivi della decisione
(omissis)
1. “Violazione dell’art. 12 delle norme della convenzione di New York del 20/11/1989, ratificata e
resa esecutiva in Italia dalla L. n. 176 del 1991 in relazione anche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 10.”,
circa la mancata audizione in primo grado delle minori, che assumono immotivata, ed in appello giustificata con contraddittoria motivazione, deducendo anche che la figlia D., prossima ai 12 anni, era
per il profilo psichico matura per essere ascoltata.
(omissis)
I motivi, non soggetti ratione temporis alle prescrizioni imposte dal previgente art. 366 bis c.p.c.,
non meritano favorevole apprezzamento.
In tema di procedimento per la dichiarazione
dello stato di adottabilità, la L. 4 maggio 1983, n. 184,
art. 15, comma 2 nel testo novellato dalla L. 28
marzo 2001, n. 149, pone nel giudizio di primo grado
(cfr cass. n. 14216 del 2010) l’obbligo di audizione del
minore che abbia compiuto i 12 anni e anche del minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento; la nullità della sentenza
conseguente alla violazione di tale obbligo può essere fatta valere nei limiti e secondo le regole fissate
dall’art. 161 cod. proc. civ. e, dunque, è deducibile
con l’appello e, se riscontrata, non implica la rimessione al primo giudice, esulando dalle ipotesi previste dall’art. 354 c.p.c..
Nella specie la Corte distrettuale si è attenuta a
tali principi processuali e nel merito ha ineccepibilmente negato l’audizione delle minori, una volta verificato sia che entrambe all’epoca non avevano ancora compiuto i 12 anni e sia che non presentavano
adeguata capacità di discernimento. A quest’ultimo
riguardo ha chiarito, con argomentazioni esaurienti,
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 25
CASSAZIONE
logiche e non scalfite dalle generiche contrarie asserzioni, che le bambine si rivelavano immature per
età e per ritardo psichico, che seppure non dovuto a
loro carenze fisiche o psichiche da intendersi con
evidenza genetiche, era stato indotto dalla situazione familiare di deprivazione.
(omissis)
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del
giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2012
IL PUNTO DI VISTA
di FRANCESCA SALVIA
PRESIDENTE DELLA SEZIONE DI PALERMO DELL’OSSERVATORIO
a questione affrontata dalla S.C., siccome riportata su di un caso che vede coinvolti nella
dinamica del giudizio di audizione una coppia
di sorelle, si colora di specialità con riferimento ai
casi ordinari, ove l’analisi dell’ascolto riguarda il dichiarato di un minore determinato dalla cui audizione possono derivare effetti circoscritti a sé stesso.
La regola è semplice ed intuitiva, quando si fonda
sull’obbligo di ascolto del minore dodicenne; mentre
diventa più complessa quando si tratti di minore infradodicenne le cui capacità espressive non siano
compromesse dalla deprivazione materiale ed affettiva subita all’interno della famiglia naturale d’origine.
Nel primo caso la nullità derivante dal mancato
ascolto del dodicenne è testuale, mentre, nel secondo, considerato che non vale il limite di età anzidetto ed interviene la discrezionalità del giudice
di prime cure, il regime della nullità si attenua fino
a svanire del tutto, quando il rigetto delle istanze
istruttorie volte ad accedere all’ascolto sia sostenuto
da una motivazione logica ed immune da vizi.
Nel caso di specie due genitori hanno proposto ricorso per Cassazione, avverso la sentenza pronunciata in grado di appello, confermativa della sentenza
di primo grado con la quale erano state dichiarate in
stato di adottabilità le loro due figlie, per violazione
dell’art.12 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 ratificata e resa esecutiva in Italia dalla
L.176/91, in relazione anche all’art.10 L. 4 maggio 1983
n.184, circa la mancata audizione in primo grado
delle minori, che assumono immotivata, ed in appello giustificata con contraddittoria motivazione.
I ricorrenti si dolgono, altresì, dell’immotivato diniego di ammissione in appello dell’articolata prova
testimoniale, inerente a circostanze, volte secondo
loro, a smentire lo stato di abbandono delle figlie e
di cui contestano la ritenuta irrilevanza, lamentano
infine la violazione dell’art. 1 della L.184/83, come
sostituito dalla l. 149/2001, in merito al desunto
L
26 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
stato di abbandono delle minori ed ai dati valutati
per l’adesione di questa conclusione.
Il primo e più importante motivo di doglianza è
relativo alla violazione dell’art. 12 della Convenzione
di New York del 1989 resa esecutiva in Italia nel
1991, in relazione all’art 10 L. 184/83 come novellata
con la L. n.149/2001, circa la mancata audizione
delle figlie in primo grado, che le parti assumono
immotivata e nel corso del giudizio di appello giustificata con una motivazione contraddittoria.
Invero l’ascolto del minore nelle procedure che lo
riguardano è stato, da sempre, oggetto di vivace dibattito e di accese dispute in dottrina e in giurisprudenza, a fronte delle lamentele di moti autori
preoccupati per la scarsa audizione dei minori nei
procedimenti nei quali sono coinvolti e dell’atteggiamento superprotettivo di altri volto a non rendere parte il minore di situazioni per lui dolorose
(Per tutti, cfr. G. Manera, Brevi osservazioni sulla pretesa necessità dell’audizione del minore nella procedura di
adottabilità, in Dir. fam. e pers.,1998, p.1383; E. Quadri,
L’interesse del minore nel sistema della legge civile , in
Dir. Fam. e pers., 1999, p. 819).
Un impulso notevole, in tema di ascolto del minore è venuto dalle Convenzioni Internazionali:
l’art.12, comma 1, della convenzione di New York sui
diritti del fanciullo stabilisce che gli stati firmatari
devono garantire <al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere la sua opinione su ogni
questione che lo interessa> e che le opinioni del fanciullo sono <debitamente prese in considerazione
tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità>. Il comma 2 del medesimo articolo aggiunge
che si darà al fanciullo <la possibilità di essere
ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in
maniera compatibile con le regole di procedura della
legislazione nazionale>.
Un’ulteriore valorizzazione dell’ascolto del minore è venuta dalla Convenzione europea dell’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25
gennaio 1996. Questa è stata ratificata dall’Italia con
la l. 20 marzo 2003, n. 77 ed è entrata in vigore il 1°
novembre 2003. L’art 3 qualifica come un vero e proprio diritto del fanciullo quello di essere informato
e di esprimere la propria opinione nei procedimenti
giudiziari che lo riguardano. Più precisamente al minore che sia considerato dal diritto interno come
<dotato di discernimento sufficiente> è riconosciuto
il diritto di ricevere ogni informazione pertinente, il
diritto di essere consultato e di esprimere la propria
opinione, il diritto di essere informato delle possibili conseguenze dell’attuazione della sua opinione
e degli eventuali effetti di ogni decisione.
Mentre però la convenzione di New York si limita
a prevedere che il minore deve essere ascoltato , la
Convenzione di Strasburgo gli riconosce un ruolo
CASSAZIONE
più attivo ovvero di essere rappresentato nei procedimenti giudiziari che lo riguardano, anche di chiedere la nomina di un avvocato, ove ricorra un conflitto di interessi con i genitori che li privi della possibilità di rappresentare il figlio, il diritto di esercitare in tutto, o in parte, le prerogative di una parte
nel procedimento.
Sempre secondo la Convenzione il Giudice deve
inoltre consultare il minore direttamente o tramite
altre persone od organi, con una forma adeguata
alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario ai suoi interessi superiori. Deve
infine consentire al fanciullo di esprimere la sua
opinione e deve tenere la stessa in debito conto.
Nei procedimenti di adottabilità l’art.10 L. 184/83,
come novellato, prevede che deve essere sentito il
minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il
minore di età inferiore, in considerazione della sua
capacità di discernimento.
Può dunque dirsi che, a norma di tale articolo, per
il minore che abbia compiuto gli anni dodici la capacità di discernimento è presunta, mentre per il
minore infradodicenne essa deve essere verificata e
valutata in relazione al caso concreto.
Pertanto la sua mancata audizione è giustificabile
solo nei casi in cui risulti, con congrua motivazione,
che egli non è dotato di discernimento. Inoltre egli
può non essere ascoltato anche quando l’audizione
appare contraria al suo interesse o potrebbe causargli un pregiudizio, ma pur in presenza di tale evenienza il Giudice dovrà specificatamente motivare
le ragioni che lo hanno condotto a non procedere all’ascolto.
Pertanto posto che il minore deve essere sentito
personalmente o per interposta persona a seconda
dell’età e delle personali capacità cosa accade concretamente nella prassi giudiziaria nel caso in cui il
Giudice omette l’ascolto?
Il problema si pone soltanto per coloro che nel corso
della procedura adozionale non hanno ancora com-
piuto gli anni dodici, poiché per quelli che hanno
compiuto i dodici anni vige l’obbligatorietà dell’ascolto, in tal caso, non può che essere affidata, a
mio avviso, alla discrezionalità del giudice la valutazione circa la sufficiente o meno capacità di discernimento del singolo minore, senza che ciò possa essere
censurato nei successivi gradi del giudizio, se dalla
sentenza si evincono in modo chiaro ed inequivocabile le ragioni per le quali è stata omessa l’audizione.
Inoltre l’ascolto del minore nel procedimento
volto alla declaratoria dello stato di adottabilità non
è da qualificare come un mezzo istruttorio, come
più volte precisato dalla Suprema Corte (cfr. Cass.
Civ. Sez. Un., 21 ottobre 2009. n. 2238: Cass. Civ., 23
luglio 1997, n. 6899; Cass. Civ. 21 marzo 2003, n.
4124), bensì uno strumento processuale che consente allo stesso di esercitare un proprio diritto, e al
Giudice una più compiuta conoscenza delle sue opinioni e delle sue aspirazioni, al fine di meglio individuarne il concreto ed effettivo interesse, di modo
che i provvedimenti che vengono adottati siano i più
idonei a tutelarne l’interesse e a incidere positivamente sul suo sviluppo.
In effetti l’esclusione della natura istruttoria sottrae l’audizione alle stringenti regole sull’assunzione delle prove e consente al Giudice di effettuarla
con modalità libere, adattabili alle esigenze di quel
minore in relazione alla sue capacità personali, e al
vissuto familiare.
Lo stesso legislatore nella consapevolezza della
diversità esistente tra minore e minore, sposta l’angolo di osservazione su una capacità di discernimento che non può non tenere conto delle concrete
circostanze, oggettive e soggettive, e riconduce l’accertamento del Giudice, secondo le ipotesi, a età variamente individuate, come a voler sottolineare che
i minori degli anni dodici non hanno tutti capacità
di discernimento, ma alcuni possono averla.
La funzione del Giudice minorile, a mio avviso e
per quanto interessa in questa sede, è complessa e
delicata poiché nel rispetto del disposto normativo
nazionale e sovranazionale, è chiamato a valutare,
caso per caso, l’opportunità o meno di procedere all’ascolto di quel minore in particolare e, in caso positivo, assumere ogni decisione ritenuta opportuna,
tenendo conto solamente del suo esclusivo interesse anche se, a volte, può non convergere con l’
opinione espressa dal medesimo minore, che si ricorda non è vincolante per il Giudice qualora gli elementi probatori acquisiti sono di segno opposto ai
suoi desideri e/o aspettative.
In ordine poi alla questione relativa all’ascolto del
minore nel corso del giudizio di appello avverso la
sentenza dichiarativa dello stato di adottabilità, occorre precisare che l’art.15 comma 2 l.184/83 come
novellata, prevede l’obbligo della sua audizione solamente se ha compiuto i dodici anni nel giudizio di
primo grado, mentre, a mente dell’art 17 della stessa
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 27
CASSAZIONE
legge, il Giudice di Appello (sezione per i minorenni)
deve «sentire le parti e il P.M., ed effettuato ogni altro opportuno accertamento, pronunciare sentenza
in camera di consiglio».
A mio avviso la norma esclude implicitamente
che la Corte di Appello possa procedere all’audizione di un bambino già ritenuto dal Giudice di
prime cure non dotato di sufficiente capacità di discernimento e come tale non ascoltato, né tanto
meno di un minore che nel corso del processo di appello raggiunga gli anni dodici, poiché se il Legislatore avesse voluto, avrebbe potuto prevedere una
apposita norma per regolare tale diritto anche nella
fase di appello, così come è stato fatto per il primo
grado con la specifica previsione degli art.10 e 15
della Legge sull’adozione.
Vero è comunque che il giudizio di secondo grado
non può racchiudersi in una mera disamina della documentazione in atti, come spesso accade, ma, al contrario, dovrebbe consistere in un nuovo e approfondito esame della situazione, nella quale il Giudice deve
utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione (richiesta di
una nuova relazione ai servizi sociali, nomina di un
consulente tecnico, audizione testi anche a sommarie informazioni), ma è pur vero che non potrebbero,
gli <ulteriori> accertamenti riguardare successive
eventuali modifiche della situazione esaminata rispetto alla pronuncia di adottabilità, quale, appunto il
compimento del 12°anno di età in corso di causa.
Dal punto di vista processuale, appare opportuno
ricordare che, come correttamente fa la sentenza in
commento, nel caso in cui il Tribunale per i minorenni abbia omesso l’audizione di un minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore,
in relazione alla sua capacità di discernimento, la
nullità della sentenza conseguente alla violazione
di tale obbligo può essere fatta valere nei limiti e secondo le regole fissate dall’art.161 c.p.c. e, dunque
deducibile con l’appello, e se riscontrata, non implica, però, la rimessione al primo giudice esulando
dalle ipotesi previste dall’art.354 c.p.c.: in questo
caso sarebbe la Corte di Appello a dover ascoltare il
minore direttamente o per interposta persona.
A parere di chi scrive data la delicatezza dei procedimenti dichiarativi dello stato di adottabilità, sarebbe auspicabile non ricorre allo strumento dell’audizione del minore non ascoltato in primo grado
per la non raggiunta capacità di discernimento, anche se raggiunge i dodici anni nel corso del giudizio
di secondo grado, e a maggior ragione del minore di
dodici anni già sentito dal Tribunale per i minorenni.
Non è infrequente, per gli avvocati che si occupano della materia, imbattersi in provvedimenti
emessi nella fase di appello, ammissivi della C.T.U.
nell’ambito della quale viene espressamente previsto nel quesito che il consulente proceda all’ascolto
del minore, possibilmente già sentito in primo
grado, al fine di valutarne il legame con i genitori.
28 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
Anche se tale facoltà rientra nel potere di accertamento della Corte di Appello, l’uso di tale mezzo
andrebbe ridotto al minimo, per non arrecargli ulteriore pregiudizio in quanto, ricordo a me stessa,
spesso si tratta di un bambino traumatizzato per i
gravi disagi patiti in ambito familiare, allontanato
dai genitori, non in grado di assolvere la loro funzione, e inserito in Casa Famiglia, nell’attesa che si
esaurisca l’iter procedimentale a seguito del quale,
con sentenza, si perviene o alla declaratoria di adottabilità o il non luogo a provvedere, con conseguente
archiviazione del caso.
Si tratta di un minore che è stato, suo malgrado,
sottoposto a mille sollecitazioni, il quale, nell’attesa
che si esauriscano tutti i gradi del giudizio, può, a sua
volta, essere stato allontanato dalla struttura comunitaria ove inizialmente era stato collocato e affidato
temporaneamente ad una famiglia; pertanto l’essere
sottoposto ad ulteriori indagini, audizioni e quant’altro, magari in un fase della propria vita nella quale
ha faticosamente raggiunto un certo equilibrio, rischierebbe di vanificare per sempre i risultati ottenuti, con gravi ripercussioni sulla sua psiche.
Chi scrive condivide in pieno le argomentazioni
che hanno condotto la Suprema Corte di Cassazione
al rigetto del ricorso proposto dai genitori e alla conferma della sentenza resa dal Giudice d’appello, poiché ha chiarito che la Corte distrettuale aveva negato l’audizione delle sorelline, una volta verificato
che entrambe non avevano all’epoca ancora compiuto i dodici anni e che non presentavano adeguata
capacità di discernimento, in quanto immature per
età e ritardo psichico non dovuto a loro carenze personali ma indotto dalla situazione familiare di deprivazione nella quale erano vissute, con ciò stabilendo che l’obbligo dell’ascolto del minore è circoscritto al giudizio di primo grado sempre che abbia
compiuto il 12° anno di età e se di età inferiore solo
se dotato di sufficiente capacità di discernimento.
Pertanto, si ripete, il compimento del dodicesimo
anno di età o l’acquisizione della sufficiente capacità di discernimento, nel corso del giudizio di appello non possono acquistare alcuna rilevanza, posto che, nel caso di specie, già il giudice di prime
cure con argomentazioni logiche ed esaurienti aveva
chiarito che le sorelline, all’epoca, si erano rivelate
immature per le carenze di cure in ambito familiare,
rimanendo così preclusa ogni possibilità di ascolto,
senza con ciò incorrere in alcuna violazione dei
principi vigenti in materia.
Del resto il processo adozionale non è un processo
“contro” i genitori ma volto a stabilire se questi sono
in grado di garantire al figlio un contesto familiare
adeguato alle sue esigenze di crescita e di maturazione. Non esiste infatti un “diritto del minore alle
proprie origini” quanto piuttosto l’interesse a beneficiare di un ambiente idoneo per la migliore formazione della sua personalità.
CASSAZIONE
LE INDAGINI TRIBUTARIE
EX OFFICIO IN MANCANZA
DI UNA CONTESTAZIONE
SPECIFICA SUL REDDITO
DELL’ONERATO E LA
MODIFICA DELL’ENTITÀ
DELL’ASSEGNO DI
MANTENIMENTO IN CASO
DI COSTITUZIONE UNA
NUOVA FAMIGLIA
Cass. civ. Sez. I,
22 marzo 2012, n. 4551
Presidente Carnevale Corrado
Relatore Giacinto Bisogni
Svolgimento del processo
R.M. adiva il Tribunale de L’Aquila per ottenere la
riduzione dell’assegno divorzile posto, a suo carico,
in favore dell’ex moglie M.G. nella misura di Euro
469 mensili quale contributo al mantenimento della
figlia F.. Assumeva il ricorrente che dopo il divorzio
la sua condizione economica era sostanzialmente
peggiorata in quanto si era risposato e aveva avuto
un figlio e il nuovo nucleo familiare era interamente
a suo carico. Il Tribunale de L’Aquila respingeva il ricorso cosi come quello incidentale della M. inteso
ad ottenere un aumento dell’assegno divorzile.
La Corte di appello de L’Aquila ha parzialmente
accolto l’appello del R. riducendo l’importo dell’assegno divorzile mensile ad Euro 250.
Ricorrono per Cassazione M.G. e R.F. affidandosi a
tre motivi di impugnazione. Si difende con controricorso il R..
Motivi della decisione
Le ricorrenti sottopongono alla Corte i seguenti
quesiti a norma dell’art. 366 bis c.p.c.:
(omissis)
4) se vi sia stata la violazione e falsa applicazione
della L. n. 898 del 1970, artt. 4, 5 e 6, degli artt. 147,
148, 155 e 156 c.c. e dell’art. 30 Cost., anche attraverso una motivazione apparente e perplessa,
avendo la Corte di appello de L’Aquila ritenuto sussistente e prevalente il diritto al mantenimento
della nuova famiglia e dell’altro figlio dell’onerato
rispetto al diritto al mantenimento della figlia economicamente dipendente dal genitore e nata da un
precedente matrimonio e quindi avendo la Corte di
appello de L’Aquila disatteso e violato il principio
secondo il quale la formazione di una nuova famiglia non legittima di per sè una diminuzione del
contributo per il mantenimento dei figli nati in precedenza, in quanto costituisce espressione di una
scelta e non di una necessità e lascia inalterata la
consistenza degli obblighi nei confronti della prole e
avendo la Corte di appello de L’Aquila disatteso e
violato altresì il principio secondo il quale a seguito
della separazione o del divorzio, la prole ha diritto a
un mantenimento tale da garantirle un tenore di
vita corrispondente alle risorse economiche della
famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello
goduto in precedenza e che quindi il solo cambiamento della condizione familiare del genitore tenuto all’assegno, per la formazione di una nuova famiglia, e le sue accresciute responsabilità non legittimano di per sè una diminuzione del contributo per
il mantenimento dei figli nati in precedenza, poichè
la costituzione di un nuovo nucleo familiare è
espressione di una scelta e non di una necessità e
lascia inalterata la consistenza degli obblighi nei
confronti della prole;
5) se vi sia stata la violazione degli artt. 113, 115 e
116 c.p.c., della L. n. 898 del 1970, artt. 4, 5 e 6, degli
artt. 147, 148, 155 e 156 c.c. e dell’art. 30 Cost., anche
attraverso una motivazione apparente e perplessa,
avendo la Corte di appello de L’Aquila omesso ogni
accertamento e valutazione, anche sulla base degli
atti di causa, delle effettive condizioni reddituali e
patrimoniali del genitore onerato; avendo la Corte
di appello de L’Aquila, altresi, disatteso e violato il
principio secondo il quale la L. n. 898 del 1970, art. 6,
comma 9, come pure l’art. 155 c.c., comma 7, in materia di separazione, disponendo che i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli e al contributo
per il loro mantenimento possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed
emessi dopo l’assunzione dei mezzi di prova dedotti
dalle parti o disposti d’ufficio dal giudice, opera una
deroga alle regole generali sull’onere della prova, attribuendo al giudice poteri istruttori di ufficio per finalità di natura pubblicistica, con la conseguenza
che le domande delle parti non possono essere respinte sotto il profilo della mancata dimostrazione
degli assunti sui quali si fondano e che i provvedimenti da emettere devono essere ancorati a una
adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei
genitori e delle esigenze di vita dei figli esperibile
anche di ufficio; ed avendo la Corte di appello de
L’Aquila disatteso e violato anche il principio secondo il quale la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9,
- il quale stabilisce che in caso di contestazioni, il
giudice dispone indagini sui redditi e patrimoni
delle parti, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria - ed il successivo art. 6, comma 9 - il
quale dispone che i provvedimenti in materia di
contributo per il mantenimento dei figli minori debbono essere emessi dopo l’assunzione di mezzi di
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 29
CASSAZIONE
prova dedotti dalle parti o disposti d’ufficio dal giudice, introducendo il potere di disporre indagini ed
assumere mezzi di prova d’ufficio, hanno operato
una deroga alle regole generali sull’onere della
prova, deroga comportante che le istanze delle parti
relative al riconoscimento e alla determinazione
dell’assegno divorzile o del contributo di mantenimento non possono essere respinte sotto il profilo
della mancata dimostrazione, da parte dell’istante,
degli assunti sui quali le richieste sono basate,
norme, quelle richiamate, intese a sancire poteri
istruttori d’ufficio per finalità di natura pubblicistica, che, stante l’identità della ratio, sono applicabili anche al procedimento di revisione delle disposizioni concernenti l’assegno di divorzio e il contributo di mantenimento dei figli minori, disciplinato
dalla L. n. 898 del 1970, art. 9;
(omissis)
Per quanto riguarda i quesiti attinenti alla mancata disposizione di indagini d’ufficio dirette ad accertare l’effettivo reddito del R. non può che richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte secondo cui,
in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento, in sede di scioglimento degli effetti civili
del matrimonio, l’esercizio del potere del giudice
che, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9,
può disporre - d’ufficio o su istanza di parte - indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova;
l’esercizio di tale potere discrezionale non può essere considerato anche come un dovere imposto
30 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
sulla base della semplice contestazione delle parti
in ordine alle loro rispettive condizioni economiche
nè può sopperire alla carenza probatoria della parte
onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorie” già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari
mezzi di prova;
tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicché la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione
reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati (Cass. civ., sezione 1, n. 2098 del 28 gennaio
2011). Nella specie la formulazione dei quesiti non
consente di esercitare un controllo sulla specificità
e analiticità della contestazione relativa all’assunto
del R. circa la sostanziale corrispondenza del suo
reddito a quello accertato in sede giudiziaria dall’epoca della sentenza di divorzio.
Per quanto riguarda i quesiti attinenti alla non influenza automatica della costituzione, da parte del
coniuge onerato, di una nuova famiglia sull’entità
dell’assegno di mantenimento si rileva che secondo
la giurisprudenza di questa Corte, ove, a sostegno
della richiesta di diminuzione dell’assegno di divorzio, siano allegati sopravvenuti oneri familiari dell’obbligato, il giudice deve verificare se si determini
un effettivo depauperamento delle sue sostanze in
vista di una rinnovata valutazione comparativa
della situazione delle parti, salvo che la complessiva
situazione patrimoniale dell’obbligato sia di tale
CASSAZIONE
consistenza da rendere irrilevanti i nuovi oneri
(Cass. civ., sezione 1, n. 25010 del 30 novembre 2007),
Se quindi la costituzione di una nuova famiglia non
rappresenta un automatico presupposto che impone la rideterminazione dell’assegno di mantenimento è altrettanto errato ritenere che il sistema
normativo si basa su una considerazione di non necessarietà della scelta del coniuge obbligato. Al contrario il diritto alla costituzione della famiglia è un
diritto fondamentale anche nel contesto costituzionale e sovranazionale della Convenzione Europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo del 1950 (art.
12) e come tale è riconosciuto anche dalla Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 9)
senza che sia possibile considerare il divorzio come
limite oltre il quale tale diritto è destinato a degradare al livello di mera scelta individuale non necessaria. Nella specie il reddito del R. è stato ritenuto
dalla Corte di appello invariato dall’epoca del divorzio mentre la circostanza di un nuovo matrimonio e
della nascita di un figlio è stata correttamente valutata come giustificativa della modifica dell’entità
dell’assegno di mantenimento.
La natura della controversia che ha comportato
una attenta e complessa valutazione delle esigenze
delle parti giustifica la compensazione delle spese
del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del
giudizio di cassazione. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse
le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del
D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il
17 novembre 2011.
IL PUNTO DI VISTA
di MICHELA LABRIOLA
PRESIDENTE DELLA SEZIONE DI BARI DELL’OSSERVATORIO
La Suprema Corte in questa sentenza torna ad
esprimersi su due importanti questioni dibattute da
tempo in tema di assegno di divorzio ovvero le indagini tributarie delegate sui redditi degli ex coniugi
ex art. 5 c. 9 l. 898/1970 e il diritto alla costituzione di
una nuova famiglia da parte dell’onerato.
La sentenza affronta il caso di un padre che richiedeva la riduzione dell’assegno divorzile di mantenimento della figlia atteso che, dopo il divorzio, la
sua situazione economica era variata in peggio giacché si era risposato e aveva avuto un figlio. Soccombente in primo grado, il ricorrente in appello otteneva tale riduzione e di converso l’ex moglie proponeva ricorso in Cassazione.
La prima questione concerne, in tema di determinazione e modifica dell’assegno di divorzio, il potere
del giudice di disporre ex ufficio o su istanza di
parte le indagini tributarie di cui all’art. 5, c. 9 l.
898/1970 introdotte dalla l. 74/1987 e quindi l’ampiezza dei poteri officiosi del giudice nell’accertamento dei redditi degli ex coniugi1.
Tale strumento sussidiario introdotto dalla novella dell’87 consente un approfondimento probatorio molto penetrante. Difatti l’art. 5 c. 9 l. 898/1970
sancisce che i coniugi devono presentare all’udienza
di comparizione avanti al presidente del tribunale
la loro dichiarazione personale dei redditi e ogni altra documentazione idonea. In caso di contestazioni, poi, il tribunale può - ove lo ritenga opportuno
- disporre indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, avvalendosi anche della polizia tributaria.
Tale strumento ha come finalità non solo quella di
andare ad integrare il quadro probatorio esistente
ma consente anche un controllo di attendibilità
sulle produzioni documentali obbligatorie che vengono fornite dai coniugi ai fini della determinazione
dell’assegno di divorzio. L’intenzione del legislatore
dell’87 secondo autorevole dottrina è stata quindi
proprio quella di mirare all’accertamento della verità materiale, tutelando il coniuge più debole economicamente dinnanzi al non rispetto del dovere di
verità e di collaborazione dei coniugi nella formazione della prova, i quali sono tenuti a fornire ai giudice dettagliate informazioni sulla rispettiva situazione economica.
All’uopo, un orientamento restrittivo che trova le
sue fondamenta nel principio della domanda e nel
principio dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. sostiene che i poteri officiosi del giudice avrebbero carattere residuale e non dovrebbero interferire con la dialettica
processuale e con il diritto di difesa delle parti. Difatti per
parte della dottrina e della giurisprudenza non sembra sussistere alcun obbligo del giudice di disporre
le indagini sui redditi ex art all’art. 5, c. 9 l. 898/1970
ogni volta in cui sia contestato un reddito indicato e
documentato: spetta infatti al giudice stesso la valutazione di detta esigenza, in forza del principio generale
dettato dall’art. 187 c.p.c., che affida al giudice la facoltà
di ammettere i mezzi di prova proposti dalle parti e di ordinare gli altri che può disporre d’ufficio, previa valutazione della loro rilevanza e concludenza (Cass. Civ. sent.
21 maggio 2002 n. 7435).
La recentissima pronuncia degli ermellini, invece,
aderisce ad un orientamento più estensivo già peraltro ribadito nel 2011 ( Cass civ., Sez I, sent.
28/01/2011 n. 2098). Viene sancito che posto che le
indagini a mezzo della polizia tributaria sulle condizioni
patrimoniali dei coniugi costituiscono espressione di un
eccezionale potere ufficioso discrezionale del giudice, il
coniuge che ne sollecita l’esercizio ha l’onere di proporre
un’istanza circostanziata e fondata su fatti specifici, non
essendo sufficiente la generica contestazione di quanto
dedotto dall’altra parte. Segnatamente, quindi tale poottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 31
CASSAZIONE
tere discrezionale non può sopperire alle carenze probatorie della parte onerata, ma vale
ad assumere attraverso uno strumento a
questa non consentito, informazioni integrative del bagaglio istruttorio già fornito incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova. In definitiva, il giudice non può. in mancanza di una contestazione sul reddito dell’onerato basata su fatti specifici e circostanziati, attivare tale indagini per fini meramente
esplorativi.
Rifacendosi a quest’ultimo orientamento la Suprema Corte, nella specie, respinge il motivo di ricorso dell’ex moglie,
in quanto la contestazione diretta ad ottenere le suddette indagini tributarie in
ordine alla situazione economica dichiarata dall’ex marito mancava di analiticità
e pertanto il giudice in primo grado non
era obbligato ad avvalersi di tale eccezionale strumento istruttorio ex art. 5, c. 9, l.
898/1970.
Posto ciò, l’altra questione affrontata dalla Corte
riguarda la modifica dell’entità dell’assegno di divorzio a seguito della costituzione di una nuova famiglia da parte dell’obbligato.
Sul punto rilevano precedenti pronunce giurisprudenziali che sul presupposto di rendere intoccabile tale assegno, degradavano la possibilità della
costituzione di una nuova famiglia a mera scelta
personale dell’onerato avendo riguardo solo alle
condizioni economiche degli ex coniugi. Difatti sulla
scia di queste pronunce e in ossequio a quanto stabilisce l’art 5 l. 879/1970, data la natura assistenziale
dell’assegno di divorzio, l’obbligo del coniuge a somministrare periodicamente all’altro tale assegno dipende, tenuto conto di tutti i criteri di determinazione dello stesso, dall’inadeguatezza dei mezzi di
sostentamento del beneficiario e dalla sua incapacità oggettiva a procurarseli. Di contro, ove sia dedotto
il miglioramento delle condizioni economiche del beneficiario, il giudice deve verificare se l’ex coniuge, titolare del
diritto all’assegno, abbia acquistato la disponibilità di
mezzi adeguati (ossia idonei a renderlo autonomamente
capace) senza necessità di integrazione, ad opera dell’obbligato, per assicurare un tenore di vita analogo a quello
avuto in costanza di matrimonio. (Cass. civ., sez. I, sent.
04/04/2011 n. 7601; Cass. civ., Sez. I , sent. 24/05/2012,
n. 8222)
In particolare, la costituzione di una nuova famiglia e la nascita di un nuovo figlio non incide automaticamente sul diritto dell’ex coniuge a ricevere
tale assegno, ma bisogna invece valutare la situazione patrimoniale dell’obbligato e l’oggettivo peso
che le legittime esigenze di mantenimento della
nuova famiglia hanno sulla capacità economica di
quest’ultimo.
32 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
La pronuncia in questione, pur mantenendo in
caso di richiesta di diminuzione dell’assegno di divorzio le condizioni economiche delle parti quale requisito per la revisione, aggiunge un ulteriore elemento di novità in punto di diritto. In particolare, se
la costituzione di una nuova famiglia non rappresenta un
automatico presupposto che impone la rideterminazione
dell’assegno di mantenimento è altrettanto errato ritenere
che il sistema normativo si basa su una considerazione
di non necessarietà della scelta del coniuge obbligato.
Quindi la Suprema Corte riconosce il diritto dell’ex coniuge obbligato a costituirsi una nuova famiglia sulla scorta della considerazione che il divorzio
non può essere considerato quale limite a tale diritto, atteso che il diritto alla costituzione della famiglia è garantito non solo a livello costituzionale
ma anche a livello sovranazionale dall’art. 12 della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo del 1950 e dall’art. 9 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea.
In questo quadro normativo richiamato dalla Suprema Corte, nella specie, atteso che non erano
state esperite le indagini tributarie ed il reddito dell’ex marito è stato ritenuto dai Giudicanti invariato
dall’epoca del divorzio, l’esistenza di un nuovo nucleo famigliare da parte dell’obbligato è stata valutata quale causa idonea per la riduzione dell’assegno di mantenimento nei riguardi della figlia primogenita.
Note
1
L’art. 5 c. 9 l. 898/70 è pacificamente applicabile anche ai
coniugi che si separano ed ora, per quanto riguarda i figli, dall’art.155 comma 6, c.c. e dall’art.155 sexies c.c. nella formulazione di cui alla l. 54/06
CASSAZIONE
PER IL DIVORZIO
A DOMANDA CONGIUNTA
È OBBLIGATORIO
IL PATROCINIO
DEL DIFENSORE
Cass. civ. Sez. I,
7 dicembre 2011, n. 26365
Presidente Maria Grazia Luccioli
Relatore Carlo De Chiara
Nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio su domanda congiunta, è necessario il ministero di
un difensore ai sensi dell’art. 82, terzo comma, cod. proc.
civ., trattandosi di procedura camerale che risolve una
controversia su diritti soggettivi e di natura contenziosa,
anziché volontaria, definita con provvedimento suscettibile di passare in giudicato (massima ufficiale).
(omissis)
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Catania, in accoglimento del
gravame della sig.ra M.C.R. ha dichiarato la nullità
della sentenza di cessazione degli effetti civili del
matrimonio dell’appellante con il sig. D.G., pronunciata dal Tribunale di Siracusa, sul rilievo che il ricorso con cui i coniugi avevano congiuntamente
adito il Tribunale con la richiesta di cessazione degli effetti civili del matrimonio era stato sottoscritto
dalle parti personalmente, mentre era necessario il
ministero di un difensore ai sensi dell’art. 82 C.p.c.
Il sig. D. ha quindi proposto ricorso per cassazione,
cui l’intimata ha resistito con controricorso contenente anche ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno anche presentato memorie.
Motivi della decisione
1.- I ricorsi, principale ed incidentale, vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 C.p.c..
2.- Con l’unico motivo del ricorso principale si ribadisce la tesi della non necessità di ministero difensivo per la domanda congiunta di scioglimento
o cessazione degli effetti civili del matrimonio,
dando origine la stessa ad un procedimento camerale di volontaria giurisdizione.
2.1.- Il motivo è infondato.
L’art. 82, comma terzo, C.p.c., stabilisce che davanti al Tribunale le parti stiano in giudizio a ministero di un difensore, salvo che la legge disponga altrimenti.
Il ricorrente richiama Cass. n° 5814/1987 (riguardante fattispecie di designazione del coltivatore-
erede ai sensi dell’art. 7 L. 29/5/1967 n° 379 sulla riforma fondiaria), che ha escluso, di regola, l’applicazione di tale norma per i procedimenti in camera
di consiglio, qual è appunto quello originato dalla
domanda congiunta di scioglimento o di cessazione
degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell’art. 4,
ult. co., L. 1°/12/1970 n° 898 e succ. modif..
Detta tesi, però, è stata ben presto superata nella
giurisprudenza di questa Corte.
Cass. n° 1848/1989, in dichiarato dissenso, ha osservato, sulla scorta anche di rilievi della dottrina,
che “nei procedimenti camerali che risolvono una controversia su diritti soggettivi, con provvedimento (nella specie qualificato dalla nuova legge espressamente “sentenza”) suscettibile di passare in giudicato e ricorribile per
cassazione, sussiste l’eadem ratio della necessità inderogabile della rappresentanza tecnica, che sta alla base
dell’art. 82 C.p.c. (salva espressa contraria specifica
norma…)”; ha pertanto affermato la necessità del
ministero del difensore nei procedimenti camerali
di delibazione di sentenza ecclesiastica in materia
matrimoniale, e la giurisprudenza successiva si è
orientata in senso conforme (cfr. Cass. n° 2643/1989,
2684/1989, 3099/1989, 5831/1989, 4260/1990, 5025/
1990, 5026/1990).
Dunque, il carattere decisorio del provvedimento
del giudice, attribuendo al relativo procedimento camerale natura contenziosa anziché volontaria, comporta l’applicazione della regola della necessità
della difesa tecnica, come per tutti gli altri giudizi
contenziosi regolati secondo il rito ordinario.
Nel caso dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio chiesto congiuntamente
dai coniugi, la decisorietà del provvedimento che lo
dispone è evidente, trattandosi di provvedimento
che incide sicuramente su diritti soggettivi ed è assunto con sentenza destinata a passare in giudicato.
Il ricorrente sostiene che il procedimento di divorzio su istanza congiunta delle parti non abbia natura contenziosa perché le parti non hanno interessi
contrapposti, ma concordano nella richiesta rivolta
al giudice.
A ciò va replicato ribadendo che è il carattere decisorio del provvedimento del giudice, ossia la sua
incidenza su diritti soggettivi o status con l’efficacia
propria del giudicato, che conferisce carattere contenzioso - piuttosto che volontario - al relativo giudizio, e non le posizioni in concreto assunte dalle
parti; inoltre, il carattere “congiunto” della domanda
non significa “consensualità” dello scioglimento del
matrimonio, quasi che fosse la volontà delle parti e
non il provvedimento del giudice a produrlo, salva la
mera omologazione giudiziale, come avviene per la
separazione consensuale dei coniugi (cui pure fa riferimento il ricorrente nelle sue difese): è invece il
tribunale che decide in base alla verifica - che è sua
prerogativa - dell’esistenza dei presupposti di legge,
oltre che della valutazione della rispondenza delle
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 33
CASSAZIONE
condizioni indicate dagli istanti all’interesse dei figli (art. 4, ult. comma, cit.).
Va infine precisato che la tesi qui sostenuta non si
pone in contrasto con le considerazioni svolte da
questa Corte - e ampiamente riportate nella memoria del ricorrente - nella sentenza n° 25366 del 2006
riguardante l’onere del patrocinio nei procedimenti
in materia di amministrazione di sostegno.
In particolare non vi è contrasto con l’affermazione che il discrimine fra necessità e facoltà del patrocinio non può essere individuato nel carattere
contenzioso o volontario del procedimento: tale affermazione, invero, è fatta in quel precedente solo
nel senso che la necessità del patrocinio può sussistere anche in procedimenti volontari, non già per
negare detta necessità nei procedimenti contenziosi.
3.- Il ricorso incidentale (con cui si deduce l’incompletezza del ricorso in primo grado e la revocabilità del consenso manifestato dal coniuge con la
sottoscrizione di esso) resta assorbito perché logicamente condizionato.
4.- Le spese processuali (…) seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna il ricorrente alle spese processuali (…).
IL PUNTO DI VISTA
di GIANCARLO SAVI
RESPONSABILE DELLA REGIONE MARCHE DELL’OSSERVATORIO
Il difensore nel giudizio divorzile a ricorso
congiunto ed in quello di separazione
consensuale
1. Il caso
La pronuncia annotata costituisce un punto fermo
sulla presenza del difensore nel giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, a domanda congiunta, di cui all’art. 4, co. 16,
l. div..
Una premessa minima impone il richiamo di quel
canone fondamentale del nostro ordinamento processuale civile rappresentato dal combinato disposto di cui agli artt. 82 e 125 c.p.c., in esatta esplicazione del dettato costituzionale, che con il cardine di
cui all’art. 24 assicura ai singoli, in conformità alle
norme convenzionali sovraordinate, l’inviolabilità
del diritto alla difesa, e con l’altro cardine di cui all’art. 111 garantisce che l’attività giurisdizionale
deve procedere all’attuazione del diritto con le regole del giusto processo; secondo il co. 3, dell’art. 82,
appena richiamato, “Salvi i casi in cui la legge dispone
altrimenti, davanti al tribunale…le parti debbono stare
34 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
in giudizio col ministero di un procuratore legalmente
esercente…”; pacifica e consolidata la conclusione secondo cui l’atto introduttivo del giudizio che viola
tale basilare regola del procedere è inficiato di nullità, radicale ed insanabile, che determina l’inammissibilità della domanda di tutela al suo scrutinio
nel merito, e quindi la nullità dell’eventuale decisione resa.
Nella fattispecie, i giudici di legittimità venivano
investiti dal ricorso di un coniuge che, impugnando
la decisione della corte territoriale, dichiarativa della
nullità appena descritta della sentenza di primo
grado, sul rilievo che il ricorso con il quale era stato
adito il tribunale risultava sottoscritto soltanto dai
coniugi, personalmente, lamentava non necessaria
la rappresentanza e l’assistenza di un difensore per
la proposizione della domanda congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio, siccome, in
questa ipotesi, similmente che nella separazione
consensuale, il ricorso non da origine ad un procedimento contenzioso, ove le parti perseguono interessi contrapposti, bensì esse concordano nella richiesta e sulle condizioni, ed il procedimento si
svolge secondo la forma camerale di giurisdizione
“volontaria”; con la reiezione di una tale prospettazione la Corte fuga ogni anteriore residua perplessità, riaffermando l’imprescindibile necessità della
difesa tecnica nel giudizio divorzile a domanda congiunta.
L’esattezza del risultato cui la Cassazione è pervenuta, a quanto consta, per la prima volta1, obiettivamente, non è revocabile in dubbio.
Tale risultato d’altronde è condiviso dalla dottrina
nel momento in cui diffusamente evidenzia che tale
peculiare procedimento incarna una “facilitazione
processuale”, ma non altera il tema sostanziale dei
diritti sottoposti al vaglio decisorio2.
Non altrettanto appagante può dirsi l’inciso argomentativo della motivazione che pone il raffronto
con l’ipotesi del giudizio di separazione dei coniugi
per il solo consenso, ex artt. 150, 158 c.c. e 711 c.p.c.,
per trarne argomento rafforzativo nel discrimine tra
una “domanda congiunta” da sottoporre alla verifica
decisoria nel merito e una “consensualità soggetta a
mera omologazione”; e questo accostamento costituisce occasione preziosa per alcune puntualizzazioni
in ordine alla problematica che similarmente si
pone nel giudizio di separazione consensuale dei
coniugi.
L’analisi della pronuncia in commento parte dall’affermazione per cui il giudizio di divorzio, anche
ove promosso dai coniugi con lo stesso ricorso, è un
procedimento che incide su status e diritti soggettivi e si chiude sempre con sentenza, ossia con un
provvedimento che per la sua forma ha l’ontologica
attitudine a conseguire l’autorità del giudicato,
mentre l’opzione per le forme camerali non muta
certo la sua natura contenziosa (trasformandola in
CASSAZIONE
“volontaria”); e difatti, la domanda congiunta costituisce soltanto un’ipotesi alternativa di proposizione dell’azione divorzile e non esime il tribunale
dal verificare, parimenti, la ricorrenza o meno dei
presupposti per la pronuncia di status invocata dai
coniugi, né lo esime dalla valutazione in ordine alla
rispondenza delle condizioni indicate all’interesse
dei figli (e si ritiene che non lo esime neppure dalla
valutazione d’equità ex art. 5, co. 8, l. div.).
Pur fugacemente, la Corte in sostanza riafferma
tutti gli argomenti che portano da tempo l’interprete
a ravvisare anche nel procedimento di divorzio a ricorso congiunto un procedimento contenzioso, per
il cui svolgimento le forme camerali costituiscono
soltanto la soluzione adottata dal legislatore per un
procedimento speciale, in funzione acceleratoria, ad
effettiva tutela delle posizioni di diritto ivi coinvolte,
ed in primo luogo dello status libertatis dei singoli; al
giudizio risultano comunque estese tutte le garanzie
essenziali dell’iter ordinario (tra le quali spicca la garanzia della ricorribilità per cassazione, pur con la
singolare peculiarità dell’adozione delle forme camerali sia in primo grado che in appello).
Infatti, la Cassazione conferma che nessun discrimine può in realtà farsi derivare dall’adozione del
procedimento avanti “al tribunale in camera di consiglio”, sancito nell’art. 4, co. 16, l. div., che non può per
ciò solo qualificarsi come di giurisdizione “volontaria”; peraltro, quest’ultima è categoria procedimentale unanimemente considerata di ardua catalogazione sistematica, attesa la vistosa disomogeneità
delle ipotesi ricadenti nell’ambito di applicazione
delle disposizioni comuni ai procedimenti in camera
di consiglio ex art. 737 ss. c.p.c.; ed ancor più fragile
risulta l’argomento per cui nel procedimento in camera di consiglio sarebbe esclusa, in via di principio
e per ciò solo, la garanzia della difesa tecnica.
Diffuso è infatti nell’attuale ordinamento positivo
il ricorso alle forme camerali anche per la tratta-
zione di affari obiettivamente contenziosi, e cioè che
attingono diritti soggettivi dei singoli e status; il fenomeno della c.d. “cameralizzazione dei diritti”3 è
stato ripercorso sia pure con qualche omissione anche quanto a precedenti insegnamenti4; sul punto, è
risultata così espressamente sconfessata la tesi del
ricorrente che invocava il lontano precedente di
Cass., Sez. I, 3/7/1987 n° 58145, ove si rinveniva l’anteriore tradizionale insegnamento, secondo cui, nei
procedimenti di giurisdizione “volontaria”, non è
necessario il patrocinio difensivo prescritto dall’art.
82 c.p.c.; il percorso argomentativo ha portato la
Corte al paragone, certamente meglio calzante, con
l’ipotesi del procedimento camerale, promosso a ricorso congiunto, innanzi alla corte d’appello per la
delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa
della nullità del matrimonio, individuando nell’insegnamento di Cass., Sez. I, 18/4/1989 n° 18486, la
svolta segnata dal criterio della natura contenziosa
del relativo giudizio, a prescindere dall’adozione o
meno del rito camerale, con la conseguente applicazione della regola generale a garanzia della difesa
tecnica, di cui all’art. 82, co. 3, c.p.c.; indirizzo poi
consolidatosi in innumerevoli altri insegnamenti di
identico segno7.
Il carattere contenzioso è saldamente ancorato ai
diritti e status oggetto del procedimento; ed infatti,
i coniugi attraverso la domanda giudiziale proposta
con il ricorso congiunto in parola, perseguono in
primo luogo lo scioglimento del vincolo del matrimonio e questo nuovo status, anzi, è esatto dire, questo recupero dello status libertatis, del quale chiedono tutela, a tenore dell’art. 149 c.c., non presuppone il consenso delle parti (in sé e per sé considerato), bensì la domanda e l’identico accertamento
della ricorrenza obiettiva di una delle cause tassativamente prefigurate dalla legge; questa pronuncia,
qualificata espressamente avente sempre la forma
di sentenza (secondo l’eccezione prefigurata dall’art.
737 c.p.c.), ha certamente carattere decisorio, di natura costitutiva, ed è senz’altro idonea al formarsi
del giudicato, anzi, con la nota efficacia estesa ai
terzi8; sia che il divorzio venga domandato dall’un
coniuge verso l’altro, che a ricorso congiunto, la sentenza del tribunale è appellabile e non “reclamabile”; il gravame è deciso sempre in camera di consiglio, pur estese ad esso tutte le garanzie del procedimento d’appello ordinario9, e la pronuncia d’appello sempre identicamente ricorribile per cassazione; questi essenziali rilievi, confermano con forza
l’esattezza del percorso ermeneutico secondo cui
“l’eventuale intesa delle parti nel chiedere ed ottenere un
determinato provvedimento non vale di per sé a farlo rientrare nell’ambito della giurisdizione volontaria, essendo
decisivo al riguardo non la comune volontà delle parti, ma
l’oggettiva contraddittorietà tra questa ed il regime giuridico del matrimonio, che rende comunque indispensabile
l’accertamento giurisdizionale”10; da aggiungere, come,
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 35
CASSAZIONE
a tenore del medesimo art. 4, co. 16, ult. cpv., l. div.,
nella sola ipotesi che “il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui al comma 8”; tale
mutamento di rito non inerisce la domanda di status, che pertanto viene accolta o respinta, con lo
stesso incedere procedurale, sulla base dell’imprescindibile accertamento giurisdizionale ripetutamente indicato.
La Corte si premura inoltre di confutare altro profilo della tesi del ricorrente, il quale invocava anche
l’insegnamento di Cass., Sez. I, 29/11/2006 n° 2536611
in tema di sostegno personale; come noto, il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno oscilla tra ipotesi che possono largamente divergere quanto all’incidenza sui diritti fondamentali della persona, sino ad “avvicinarsi” agli effetti,
alle limitazioni o decadenze che conseguono all’interdizione od all’inabilitazione12; l’esigenza della necessaria presenza del difensore è direttamente connessa ai diritti che ivi si agitano nel singolo caso
concreto; un tale contorsionismo non convince pienamente, rinvenendosi ancora margini di incertezza
in relazione alla singola fattispecie; invece, è oltremodo convincente l’argomento dell’organo di legittimità, secondo cui “il discrimine non può essere individuato nel carattere contenzioso o volontario del procedimento”; altrettanto convincente la sottolineatura
per cui l’insegnamento di quel precedente, in realtà,
va inteso “solo nel senso che la necessità del patrocinio
del difensore può sussistere anche in procedimenti volontari” e, quindi, tutt’altro che invocabile per negare
detta necessità imprescindibile, per un corretto
esplicarsi dei diritti costituzionali di difesa e di garanzia del contraddittorio, nei procedimenti contenziosi.
Non ravvisandosi pertanto alcuna delle ipotesi derogatorie di cui è parola nell’art. 82, co. 3, c.p.c., neppure per via interpretativa (quale è quella che sarebbe sottesa alla equazione procedimenti camerali
= procedimenti di giurisdizione “volontaria”), gioco
forza la conclusione secondo cui sussistendo l’eadem ratio della necessità inderogabile della difesa
tecnica, che sta alla base della regola generale ex art.
82 c.p.c., la sentenza pronunciata con violazione di
tale apporto, a garanzia del metodo di giudizio che
attinge i diritti dei singoli, è nulla.
2. Il punto di vista critico
Così condivisa la pronuncia in commento, veniamo ora al motivo di dissenso.
La Suprema Corte nel motivare il proprio insegnamento nomofilattico, afferma testualmente, “il
carattere “congiunto” della domanda non significa “consensualità” dello scioglimento del matrimonio, quasi che
fosse la volontà delle parti e non il provvedimento del giudice a produrlo, salva la mera omologazione giudiziale,
come avviene per la separazione consensuale dei coniugi
36 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
(cui pure fa riferimento il ricorrente nelle sue difese): è invece il tribunale che decide in base alla verifica -che è sua
prerogativa- dell’esistenza dei presupposti di legge, oltre
che della valutazione della rispondenza delle condizioni
indicate dagli instanti all’interesse dei figli”.
Con tale argomento, dal connotato rafforzativo,
invero non indispensabile nell’economia dell’insegnamento posto e contraddittorio, la Corte, pur non
considerando adeguatamente che la domanda giudiziale, sia nell’una che nell’altra ipotesi, deve sempre essere proposta dai coniugi (cui compete anche
l’indicazione delle condizioni) e su essa deve scendere il dovere decisorio pertinente, palesemente differenzia il divorzio a ricorso congiunto di cui agli
artt. 149 c.c. e 4, co. 16, l. div., dalla separazione consensuale dei coniugi di cui agli artt. 150, 158 c.c. e
711 c.p.c.13.
Deduzione logica plausibile, seppur affatto scontata, appare quella secondo cui nel procedimento in
camera di consiglio per separazione consensuale, a
differenza di quello per divorzio a ricorso congiunto,
allora, la difesa tecnica non sarebbe necessaria, e
quindi lo jus postulandi apparterrebbe anche ai coniugi, personalmente; desta così interesse la catalogazione, seppur fuggevole, del procedimento di separazione consensuale dei coniugi come di mera
omologazione della volontà delle parti; anche se la
Corte in verità non l’esprime, sembra come rimasta
appesa in aria l’ulteriore enumerazione del medesimo procedimento di separazione consensuale tra
quelli di cosiddetta giurisdizione “volontaria”, che
non necessiterebbero in genere o per ciò solo, del
patrocinio difensivo.
Ora, ai fini che qui ci occupano, sembra privo di
reale rilevanza interrogarsi ancora in ordine al quesito teorico del se il procedimento di separazione
consensuale possa essere considerato un procedimento rientrante o meno tra quelli di giurisdizione
“volontaria”, in quanto solo prima facie il tema evoca
CASSAZIONE
la soluzione del quesito; non è infatti revocabile in
dubbio che il procedimento in parola è un procedimento “speciale” e come la garanzia della difesa tecnica (sia essa espressamente indicata dalla norma
di legge che frutto dell’attività ermeneutica) non è
certo incompatibile con i procedimenti di giurisdizione “volontaria”, come riconosce, fermamente ed
in via di principio, la stessa pronuncia annotata;
d’altro canto, pur in presenza di contraddizioni serie e stridenti, non v’è difficoltà a riconoscere subito,
che l’espresso nomen iuris di decreto per il provvedimento di omologazione e l’indirizzo consolidato
della stessa Suprema Corte, che ne esclude l’ammissione allo scrutinio di legittimità, siccome non
decisorio, né definitivo14, non consente di incamminarsi agevolmente sul percorso di una equiparazione tout court ai procedimenti sostanzialmente
contenziosi (similare a quella richiamata dalla Cassazione nella decisione annotata), ovvero di ipotizzarne l’idoneità al giudicato sostanziale.
Se non ci si vuol limitare all’agevole affermazione
secondo cui anche nei procedimenti camerali è necessaria la difesa tecnica, in quanto la norma generale di cui all’art. 82 c.p.c. (enumerata nel libro primo
del codice di rito), è senz’altro applicabile a tutti i
procedimenti avanti al tribunale, quindi anche a
quelli speciali, salva la singola ed espressa disposizione derogatoria15, ed inoltre, se si vuol resistere
alla tentazione di porre al confronto di somiglianza
l’accertamento del tribunale in sede di divorzio a ricorso congiunto rispetto a quello in sede di separazione dei coniugi consensuale16, e si voglia, invece,
cercare di superare il dubbio insinuato da quel percorso motivo della pronuncia annotata, appare allora, ben più pertinente, ripercorrere prima l’incedere processuale che la legge fissa, nell’una e nell’altra alternativa che porta alla statuizione con cui
si rende efficace la separazione dei coniugi, per passare poi all’analisi sostanziale dei diritti ed interessi
parimenti attinti.
Sia nel procedimento consensuale che in quello
giudiziale, è prevista una domanda da formularsi
con ricorso (anche nel consensuale il ricorso può essere presentato da uno soltanto dei coniugi), la sua
iscrizione al ruolo del tribunale adito17, l’emissione
del decreto di comparizione personale con fissazione dell’udienza avanti al presidente del tribunale,
quindi la celebrazione dell’udienza incentrata sull’esperimento del tentativo di conciliazione (con lo
scopo di salvare la famiglia fondata sul matrimonio)
e solo a questo punto, all’esito negativo, la procedura ed il provvedimento giudiziale si diversificano;
nella separazione consensuale, fallito il detto tentativo di conciliazione, il presidente deve raccogliere
nel processo verbale il consenso dei coniugi allo status di vita separato e le condizioni da essi indicate
per questo nuovo regime, riguardanti i coniugi
stessi, la prole ed eventualmente le altre pattuizioni
“occasionate”, per poi riferirne al collegio ai fini dell’omologazione; nella separazione giudiziale, rimasta senza esito l’identica tentata conciliazione18, il
presidente del tribunale emette l’ordinanza contenente i provvedimenti anticipatori ex art. 708 C.p.c.,
per la durata del giudizio di merito, pur soggetta a
reclamo, a modificazione e dotata di peculiare stabilità, mentre con la nomina dell’istruttore e la fissazione dei termini alle parti per la costituzione e le
integrazioni, la causa prosegue nei modi ordinari,
sfociando nella sentenza ma con la peculiare possibilità di scindere la decisione con l’emanazione
della cosiddetta sentenza di status19.
Nel procedimento di separazione giudiziale la difesa tecnica del coniuge è indubbiamente imprescindibile sin dall’introduzione del giudizio, a pena
di nullità del procedimento e della sentenza che lo
conclude, secondo il consolidato indirizzo in caso di
violazione dell’art. 82 c.p.c.20.
Ed allora, intanto non si rinviene per il procedimento di separazione consensuale alcuna norma
derogatoria, né si individua un canone di interpretazione che consenta di accedere senza perplessità
ad una tale importante divaricazione (escludendo,
come premesso, di far riferimento a quell’attività ermeneutica che astrattamente tende a catalogare, secondo tradizionale concezione, il procedimento tra
quelli soggetti all’attività giurisdizionale “volontaria” e, per ciò solo, a porci fuori dal perimetro di operatività della garanzia di difesa tecnica in questione).
Ci troviamo in realtà a fronte di una pronuncia
(seppur nominata “omologazione”) che riconosce la
separazione coniugale ed imprime efficacia all’accordo con cui i coniugi hanno fissato il regime delle
condizioni, cioè, ad una statuizione che attinge lo
stesso status e regolamenta gli stessi diritti ed interessi nel momento della crisi del rapporto matrimoniale/familiare, mentre si producono gli stessi effetti sostanziali
Invero, è rinvenibile nell’art. 707, co. 1, c.p.c., applicabile anche al procedimento di separazione consensuale (per il combinato disposto ex artt. 711 e 708
c.p.c., che ovviamente presuppongono la previsione
assistita nella dinamica della comparizione personale delle parti ex art. 707, co. 1, c.p.c.), una norma
espressa, che di per sé sola ci consente di portare a
soluzione obiettiva la questione, in quanto, non solo
il legislatore non ha inteso derogare alla garanzia
della difesa tecnica del coniuge, bensì l’ha addirittura “imposta” espressamente (“I coniugi debbono
comparire personalmente davanti al presidente con l’assistenza del difensore”); e trattasi di norma identica a
quella rinvenibile a presidio del rito divorzile (art. 4,
co. 7, l. div.21).
Si è discusso, ed oggi la questione sembra superata, in ordine alle conseguenze di una tale violazione nel caso in cui il coniuge convenuto compaia
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 37
CASSAZIONE
personalmente senza l’assistenza di difensore22;
questo tema però non mette certo in discussione il
principio indicato, trattandosi in buona sostanza
soltanto di risolvere la questione del sé il coniuge
convenuto, non volendo nominare un difensore,
possa essere ammesso o meno all’ascolto personale23.
Ciò che unicamente qui rileva è che il principio
costituisce un dato inderogabile dell’ordinamento
processuale positivo: la difesa del coniuge, nei procedimenti di separazione personale, è necessaria in
tutti i suoi momenti, sin dalla comparizione personale; e ben sappiamo che fallito il tentativo di conciliazione esperito dal presidente, raccolto da questi
al verbale il consenso dei coniugi alla separazione e
fissate le condizioni concordate a disciplina di tale
nuovo status, il procedimento prevede poi soltanto
(salvi gli approfondimenti istruttori, oggi estesi per
effetto della novella di cui alla L. 8/2/2006 n° 54, e
precipuamente quelli ex art. 155sexies c.c.) che il presidente, assunto il parere del P.M., rimetta gli atti al
collegio ed ivi riferisca in camera di consiglio ai fini
dell’omologazione o meno dell’accordo; ma già anteriormente era presente l’insegnamento24 per cui
la presenza del difensore fosse a maggior ragione
necessaria, e quindi ammessa, appena terminata la
fase processuale che si concludeva con il vano esperimento del tentativo di conciliazione e sino all’omologazione25; perciò, se quello era l’unico momento processuale, diciamo così, soggetto a deroga
o comunque al legittimo dubbio dell’interprete, in
virtù della natura e della funzione del tentativo di
conciliazione, il legislatore ha inteso fugarlo espressamente.
Come ben noto l’indicato attuale tenore normativo è frutto dell’ultima stagione di riforme in materia26, che sul punto ha radicalmente innovato il
quadro anteriore27, ove l’intervento del difensore era
escluso (originario art. 707, co. 1, c.p.c.), tanto che costituiva una di quelle ipotesi di espressa deroga di
cui è parola nell’art. 82, co. 3, c.p.c..
Questa anteriore disciplina venne dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale28, che vi pose rimedio, cancellando quel divieto e riconoscendo al
coniuge che intendeva valersi della difesa tecnica,
un diritto corrispondente alla garanzia inviolabile
presidiata dalla carta fondamentale, sebbene in termini di facoltà e non obbligatorietà29.
Il tema, sotto l’anteriore regime (come peraltro
adeguato per effetto dell’art. 23 L. 6/3/1987 n° 74, con
estensione della novella all’art. 4 l. div.), aveva dato
adito ad innumerevoli questioni e sotto vari profili,
che qui non è il caso di ripercorrere storicamente30;
ciò non di meno, anche sotto questo regime emergeva con forza l’esigenza di un apporto della difesa
tecnica, quale utile risorsa anche in vista del raggiungimento di una soluzione concordata tra i coniugi/genitori, obiettivo e prima ancora, metodo, che
38 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
per effetto di una lunga stagione di riforme (tra cui
quella di cui alla L. 1°/12/1970 n° 898, adeguata nel
1987, la L. 19/5/1975 n° 151, sino alla L. 8/2/2006 n°
54), assumeva lo spessore di autentica chiave di
volta dell’intero sistema nel vigente diritto di famiglia, anche nel momento di crisi e disgregazione
della vita familiare, al fine di trovarne la miglior
composizione e proprio per l’estrema complessità
dei rapporti giuridici, a valenza primaria per i singoli, che ne risultano coinvolti.
Quest’ultimo inciso ci riporta all’esigenza, sopra
prefigurata, di passare all’analisi sostanziale dei diritti ed interessi attinti nei giudizi di separazione
personale dei coniugi.
Un importante insegnamento della Corte di Cassazione recita oramai tralatiziamente come “l’accordo di separazione coniugale31 costituisce l’espressione
della capacità dei coniugi di autodeterminarsi responsabilmente, ponendosi come uno dei momenti più significativi della negozialità nell’ambito delle vicende familiari”32.
Sotto altro profilo, non v’è dubbio che il potenziale
“oggetto” dell’accordo di separazione consensuale è
ben più vasto di quello essenziale riservato al procedimento contenzioso; oggetto del decidere, quest’ultimo, che al di là della questione personale di
status, viene tracciato dalle disposizioni ex artt. 155
ss., c.c., come novellate dalla L. 8/2/2006 n° 54 e dall’art. 156 c.c. in presenza del coniuge svantaggiato.
Infatti, il contenuto dell’accordo in parola può
estendersi ad atti dispositivi e regolamentazioni
(compensative, restitutorie, retributive, risarcitorie,
ecc.) di più ampia natura ed eterogeneità33, tale da
poter essere destinato alla soluzione dell’intero assetto dei rapporti sviluppatisi nel corso della vita
matrimoniale, esigenza di definizione insorgente
proprio in occasione della separazione e che non è
direttamente collegata ai diritti ed ai doveri nascenti
dalla separazione coniugale stessa, ed a quanto
sembra, stando agli ultimi arresti giurisprudenziali,
persino in vista del divorzio34.
Questa semplice constatazione induce subito alla
riflessione, persino istintiva, secondo cui anche nell’ordinaria esplicazione negoziale di diritto comune
le parti vengono di norma assistite da un pubblico
ufficiale rogante, il notaio35, tanta e tale è la complessità tecnico-giuridica della formalizzazione dei
singoli contratti, di tal ché risulterebbe ben singolare che il coniuge in quella sede giurisdizionale non
sia garantito neppure da difesa tecnica, svolgendosi
attività eminentemente negoziale e per di più atipica destinata ad un organo giurisdizionale od
avanti ad esso, organo che evidentemente non può
“partecipare attivamente” alla migliore od opportuna formazione ed esplicazione della stessa volontà negoziale privata, per evidenti ragioni di terzietà ed imparzialità36; e si noti che il difetto di garanzia della difesa varrebbe, in ipotesi, anche nel
caso in cui l’omologazione venisse allo stato rifiu-
CASSAZIONE
tata, con nuova convocazione dei coniugi37, magari
proprio per l’errata formulazione tecnico-giuridica
dell’accordo.
Non sembra certo revocabile in dubbio che le condizioni divorzili, fissate nel ricorso congiunto, siano
parimenti espressione dell’autonomia negoziale dei
coniugi; ed allora emerge con evidenza, anche per
tale via, l’irrazionalità dell’eventuale assenza di difesa tecnica, nel solo procedimento di separazione
dei coniugi consensuale, non foss’altro che per il canone dell’analogia.
Già in altra sede38, descrivendo il percorso tortuoso e complesso di tale autonomia negoziale dei
coniugi/genitori, ed analizzando peculiarmente
l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità in
tema, individuata la legittimazione ed il fondamento di validità ed efficacia delle manifestazioni
negoziali dei coniugi, si poteva porre in evidenza il
limite di tale autonomia, siccome non idonea di per
sé sola a produrre gli effetti di status o ad attingere
le tutele inderogabili dei diritti e dei doveri che rispondono ad esigenze di ordine pubblico.
L’accento cadeva sulla constatazione per cui è lo
stesso matrimonio un rapporto che nasce dall’espressione (solenne, innanzi a celebrante con potere accertativo e dichiarativo) della volontà dei nubendi, si sviluppa armonicamente sul canone basilare del concorde indirizzo della vita familiare (centralità del principio del consenso -ontologicamente
coerente con l’eguaglianza e l’autonomia- per il
quale la ricerca dell’accordo quale metodo di attuazione dei doveri nascenti dal matrimonio, costituisce ulteriore dovere coniugale, che abbraccia tutti gli
aspetti della convivenza e si sostanzia nel tener
conto del parere dell’altro), ed è infine alla stessa libera volontà del coniuge che può conseguire lo status di separato e di cessazione del vincolo; veniva
così in evidenza l’estrema complessità tecnico-giuridica della separazione consensuale dei coniugi, nel
momento in cui necessariamente si deve coniugare
la modificazione costitutiva in ordine allo status, con
il diritto dei coniugi di autodeterminarsi pattiziamente e con l’attribuzione ai risultati così raggiunti
della necessaria validità ed efficacia, attraverso il
provvedimento giudiziale di omologazione.
Quell’analisi ci consente qui di pervenire subito
ad una agevole distinzione: un conto è il consenso
espresso dai coniugi39 ed un altro conto è la verifica
di legittimità (in ordine alla validità dell’iter ed al
“consenso” espresso40) e di merito (in ordine alle
condizioni per la prole in età minore ed alla compatibilità con le norme fondamentali ed inderogabili
di ordine pubblico), del tribunale chiamato ad omologarla, al fine di conferirgli efficacia giuridica (artt.
158, co. 1, c.c.), con decreto che produce effetti equiparabili41 a quelli che derivano dalla sentenza di separazione giudiziale.
E difatti, anche il decreto di omologazione ex artt.
150, 158 c.c. e 711 c.p.c., al pari della sentenza ex artt.
151 c.c. e 706 ss. c.p.c., modifica lo status dei coniugi
ed imprime efficacia al regolamento dei medesimi
diritti inderogabili; la sostanza non cambia se anche ci si volesse limitare a registrare che il decreto di
omologazione in parola assolve alla funzione costitutiva della separazione personale dei coniugi.
Per quel che qui interessa, evidente risulta la compromissione dei medesimi diritti soggettivi ed interessi; infatti, nessuno in realtà dubita che la separazione coniugale, attribuisce un nuovo status ai coniugi e fissa il nuovo regime di vita tra loro e verso la
prole (se presente), incidendo su quel coacervo di diritti, doveri ed obblighi, che sino ad un momento anteriore regolavano la situazione giuridica presupposta, e cioè il vincolo coniugale nella sua fisiologica
espressione di armonica vita comune nel quotidiano.
Sia il decreto di omologazione che la sentenza, alterano profondamente questa situazione giuridica
presupposta e divengono il titolo del nuovo status,
peraltro indispensabile in quel percorso volto d’ordinario al recupero dello status libertatis dei medesimi coniugi.
Se così è, indubbia la costituzione di nuovi effetti
giuridici, nell’una, o nell’altra ipotesi; quindi, non si
tratta affatto di una funzione giurisdizionale volta
ad adiuvare o controllare meramente il formarsi
della volontà individuale dei coniugi o l’esplicarsi
della loro autonomia negoziale, che li porta al raggiungimento di una sintesi concordemente voluta;
in una parola, ove si colga pragmaticamente il tratto
saliente, il tribunale nell’omologare la separazione
dei coniugi non si limita ad una mera presa d’atto,
risolvendo invece, sempre, quel contrasto obiettivo
tra il volere dei coniugi e la legge, che in via di principio, non consente la risolubilità ad nutum o per
mutuo consenso del rapporto matrimoniale.
Tanto ciò appare razionalmente evidente ove si
consideri che è previsto l’identico intervento delottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 39
CASSAZIONE
l’organo requirente e le condizioni, fissate sempre
rebus sic stantibus, si possono modificare, al sopravvenire di nuove circostanze, indifferentemente, con
il medesimo procedimento camerale ex art. 710
c.p.c.; procedimento avente sempre natura contenziosa, ove, come ben noto, vige il rispetto del principio del contraddittorio, il diritto alla prova, è ammesso il controllo nel merito ed in iure attraverso i
gravami, ivi compreso quello di legittimità, ed ovviamente è imprescindibile la garanzia della difesa
tecnica42.
Come identiche sono le conseguenze dell’eventuale riconciliazione (ancora “di comune accordo”,
come precisa l’art. 157 c.c.), attraverso la quale evenienza vengono a cessare gli effetti della separazione, anche ove pronunciata con sentenza43, identicamente d’altronde all’ipotesi di riconciliazione in
pendenza di giudizio (come si desume dall’art. 154
c.c.).
In un simile contesto, risulta allora arduo discriminare l’esigenza di difesa tecnica, escludendola
per la separazione consensuale, cioè proprio nel
procedimento ove l’esigenza di conoscenze tecnicogiuridiche si affollano maggiormente e con il massimo grado di difficoltà (certamente non inferiori a
quelle della sede divorzile a ricorso congiunto).
A volerci limitare anche soltanto ad alcune esemplificazioni, con il fine dichiarato di mettere bene in
luce il razionale e condivisibile fondamento secondo
cui il legislatore, nella sua ampia discrezionalità nel
regolare l’incedere di ogni singolo procedimento
giurisdizionale, ha inteso imporre la difesa tecnica,
a garanzia dei diritti dei coniugi/genitori e della
prole44, che ivi si agitano, con quella complessità
giuridica e sensibilità per le sfere primarie del singolo, il pensiero corre immediatamente a tutte le
questioni ricorrenti.
Così appare assolutamente impensabile che il coniuge personalmente, salvo che per casuale evenienza rivesta adeguate qualifiche professionali (gli
esercenti le professioni forensi sono dotati peraltro
della speciale facoltà di patrocinio in causa propria),
od abbia altrimenti acquisito quelle specifiche conoscenze, sia in grado di razionalmente distinguere,
nel contesto delle esigenze di corretta ed adeguata
espressione del consenso e di redazione dell’accordo di separazione, conforme alla reale e consapevole volontà, da sottoporre all’omologazione, la
differenza che corre tra una dichiarazione che riconosca insussistenti i presupposti per la previsione
di un assegno di mantenimento coniugale e la dichiarazione di espressa rinuncia45 ad una tale misura, ovvero della transazione o del mero silenzio
su di un tale diritto, e poi, di comprendere a fondo
gli effetti e le conseguenze, con lo sguardo rivolto al
futuro, magari nella successiva sede divorzile.
E che dire poi della difficoltà di comprensione tecnico-giuridica in ordine alla reale stabilità del de40 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
creto di omologazione reso dal tribunale ? Il tema è
certamente difficoltoso anche per il giurista di lungo
corso; ed ovviamente la scelta di questo tema esemplificativo non è casuale nell’economia di queste riflessioni.
La sentenza di separazione coniugale, a differenza
del decreto di omologazione, è certamente idonea
alla formazione del giudicato formale e sostanziale,
ma pur sempre sottoposta alla peculiare condizione
rebus sic stantibus, immanente alla materia, proiettati come sono i rapporti al divenire, di tal ché, una
delle due caratteristiche essenziali del giudicato,
l’immutabilità nel tempo, risulta così condizionata,
per principio46.
Ma altrettanto certamente il decreto di omologazione non è equiparabile ad un qualsivoglia decreto
reso a conclusione di un procedimento in camera di
consiglio, al quale sarebbe riservato in prosieguo di
tempo il precario “destino” previsto dall’art. 742
c.p.c., secondo cui “I decreti possono essere in ogni
tempo modificati o revocati …”.
Analizzando con occhio sostanziale il reale livello
di efficacia e stabilità del decreto di omologazione
in parola, come emergente anche dal lavorio incessante della Corte di legittimità (senza, s’intende,
mettere in discussione la fondamentale distinzione
dei provvedimenti giurisdizionali a seconda della
loro attitudine o meno al giudicato), ne emerge un
quadro che sembra diversificarlo di misura dall’efficacia e stabilità della sentenza di separazione coniugale; infatti, non ci troviamo affatto a fronte di
un comune decreto camerale, fondato su quell’ampia discrezionalità di apprezzamento, espressione
di poteri inquisitori, cui è improntata la disciplina
del procedimento che conclude, revocabile e modificabile in ogni tempo, sia per motivi di legittimità
che di merito (anche preesistenti), in virtù del disposto ex art. 742 c.p.c., con tutte le implicazioni sistematiche che derivano dall’inidoneità al giudicato,
CASSAZIONE
sia formale che sostanziale (inoperante la preclusione sia per il dedotto che per il deducibile, inoperante il principio di assorbimento delle nullità ex art.
161, co. 1, c.p.c., ove non sanate nel corso del procedimento, inammissibilità alla tutela di legittimità ex
art. 111 Cost., e tutto quant’altro ben noto).
Intanto, procedendo ancora per esemplificazioni,
risultano oggettivamente complesse tutte le questioni in ordine al se l’accordo sulle condizioni di separazione47 segua o meno la regola basilare dei contratti di diritto comune, posta dall’art. 1372 c.c., ed
eventualmente a quale condizione risulta sottoposta la sua efficacia vincolante; altrettanto può dirsi
in ordine alla revoca del consenso unilateralmente
manifestata da uno dei coniugi, consenso su cui si
fonda il decreto di omologazione in parola, e sino a
quale momento processuale una tale revoca è ammessa; la stessa giurisprudenza oscilla tra soluzioni
di vario segno48.
Parimenti per l’azione di annullamento per simulazione di status49.
A dispetto persino del nomen iuris la nostra Corte
di legittimità è giunta a tal punto da equiparare nel
concreto la stabilità della sentenza di separazione a
quella degli accordi negoziali sottoscritti in sede di
separazione consensuale omologata; in tal senso infatti l’insegnamento di Cass., Sez. I, 8/5/2008 n°
1148850, del seguente tenore: “Così come la separazione
giudiziale da luogo ad un giudicato rebus sic stantibus,
non modificabile in relazione ai fatti che avrebbero potuto
esser dedotti nel relativo giudizio, analogamente gli accordi negoziali sottoscritti in sede di separazione consensuale omologata non sono modificabili in relazione a fatti
dei quali le parti avrebbero dovuto tener conto al momento della conclusione di detti accordi, ma unicamente in
relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, che abbiano
alterato la situazione preesistente, mutando i presupposti
in base ai quali le parti avevano stabilito le condizioni
della separazione. Del tutto estranei a tale ambito sono
dunque i fatti preesistenti alla regolamentazione pattizia
della separazione, non presi in considerazione, per qualsiasi motivo, in quella sede”. Viene spontaneo osservare come la Cassazione, affermata con tale forza la
millenaria regola pacta sunt servanda, in pratica pone
sullo stesso piano l’accordo negoziale di separazione omologata e la forza del giudicato rebus sic
stantibus; una sorta di giudicato sostanziale per
omologazione di atto negoziale51; certo il percorso
interpretativo è di una originalità e singolarità
unica, ma questo è, appunto, il quadro reale con cui
il giurista della famiglia, chiamato ad assumere il
ruolo di difesa della parte in giudizio, deve fare i
conti; evidente anche per tale via, quindi, quale sia
lo spessore del suo apporto.
In uno dei rari precedenti di legittimità52 degli ultimi decenni, che risulta aver affrontato, pur con minima ricostruzione sistematica, l’ipotesi della revoca del decreto di omologazione della separazione
dei coniugi consensuale, in base all’art. 742 c.p.c.,
l’ha riconosciuta possibile per vizi di legittimità, con
questo testuale tratto motivo: “il provvedimento di
omologazione, in se stesso considerato, è revocabile per
vizio proprio di legittimità dovuto ad inosservanza di
norme processuali o sostanziali in base alle “disposizioni
comuni ai procedimenti in camera di consiglio”… Non ha,
quindi, attitudine ad acquistare l’efficacia di giudicato sostanziale. È per conseguenza, impugnabile con reclamo
alla corte d’appello ai sensi dell’art. 739 c.p.c.; ed è revocabile, ai sensi dell’art. 742 c.p.c., per vizi di legittimità,
che non si convertono in motivi di gravame (con la conseguente preclusione dell’art. 161 c.p.c.), ma sono in ogni
tempo deducibili nell’ambito della giurisdizione camerale;
e sono pure eccepibili in un processo ordinario ad esempio,
riguardante lo scioglimento del vincolo matrimoniale dove
l’esistenza di un valido decreto di omologazione si presenta come imprescindibile condizione dell’azione”.
Come si può constatare il riferimento è ai possibili
vizi di legittimità, non alle scelte di merito fissate
dai coniugi con l’accordo sulle condizioni.
La fattispecie concreta ineriva un vizio di costituzione del giudice (collegiale), quanto alla prima omologazione della separazione dichiarata inesistente, ed
alla revoca del consenso (sopravvenuto a supporto
dell’eccezione dispiegata in sede divorzile), quanto
alla seconda omologazione, richiesta sulla base dello
stesso consenso già validamente espresso dai coniugi
innanzi al presidente del tribunale.
Quindi, è bene avere contezza dello spessore di gravità dell’anomalia invocabile con la domanda di revoca del decreto d’omologazione, che seppur non sarebbe identicamente deducibile con l’impugnazione
della sentenza di separazione per revocazione ex art.
395 e 397 c.p.c., secondo le strettissime maglie astratte
di tale mezzo (o magari impugnata con contestazione
di riferibilità soggettiva del giudicato, ad esempio, attraverso l’accertamento di falsità della procura ad litem, apparentemente rilasciata da uno dei coniugi),
costituisce pur sempre ipotesi eccezionale.
Trascurando l’ipotesi della revoca in sede camerale ex art. 742 c.p.c., l’unica autentica differenza risulterebbe, quindi, quella per cui la domanda di revoca del decreto di omologazione in parola o dei
suoi effetti, avanzata dal coniuge o dal P. M., è formalmente sempre ammessa all’ulteriore scrutinio
della cognizione piena53, per vizi di legittimità formali e sostanziali, al fine di vederne dichiarata la
nullità o l’annullamento, mentre alla separazione
statuita con sentenza si applicano le regole generali,
salva la ridetta condizione rebus sic stantibus; ma, è
bene rilevarlo, anche questa conclusione non è priva
di voci dissonanti54.
È inoltre ben vero che l’accordo di separazione
omologato a differenza della sentenza di separazione può essere sottoposto, nei limiti di compatibilità, all’applicazione dei rimedi in tema di vizi del
consenso e di capacità delle persone55, secondo la
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 41
CASSAZIONE
disciplina generale del negozio giuridico che
esprime principi fondamentali dell’ordinamento
positivo; l’evenienza, anch’essa oggettivamente eccezionale, non appare però risolutiva ai nostri fini,
ove si consideri che una tale possibilità di impugnativa si staglia conforme verso qualsivoglia atto
negoziale, sotto qualunque forma convenuto, o stipulato, od approvato; è la sentenza annotata che poi
ci ricorda come non costituisca elemento dirimente
per qualificare la natura del procedimento (contenziosa o meno), la circostanza che i coniugi, nel proporre la domanda divorzile a ricorso congiunto, concordano sulle condizioni del suo regime (accordo di
evidente pari natura negoziale).
D’altronde, pur consci che l’elemento di per sé solo
non costituisce indice dell’idoneità al giudicato sostanziale, anche l’omologazione in parola produce un
titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.56, ed in esito alla nota
Corte Cost. 18/2/1988 n° 18657, è parimenti titolo per
l’iscrizione dell’ipoteca ex art. 2818 c.c. (art. 156, co. 5,
c.c.); anzi, l’omologazione, come visto, costituisce titolo per la trascrizione, ove siano presenti trasferimenti immobiliari operati con l’accordo omologato,
in quanto inserito nel verbale d’udienza58.
Tuttavia assumono valore decisivo altri elementi.
Il decreto di omologazione della separazione per
mero consenso, produce, al pari della sentenza di separazione, effetti di status irretrattabili, non potendo
proprio darsi incertezze sullo stato delle persone59; il
principio appare peraltro di solare evidenza se solo si
consideri che, ancora esemplificando, a tenore dell’art. 156 c.c., dei doveri nascenti dal matrimonio, in
esito alla separazione, residua soltanto quello di solidarietà per quanto necessario al mantenimento del
coniuge svantaggiato (salvi in ogni caso gli alimenti),
mentre, a tenore dell’art. 232, co. 2, c.c., viene meno la
presunzione di concepimento nel matrimonio del figlio nato dopo trecento giorni dall’omologazione o
dalla data di autorizzazione a vivere separati; d’altro
canto, basta por mente all’effetto dello scioglimento
della comunione legale dei beni tra i coniugi, che si
produce nello stesso momento in cui il decreto di
omologazione diviene inoppugnabile60, con la nota
efficacia estesa ai terzi.
La separazione omologata è poi parimenti annotata sull’atto di matrimonio.
Non si dubita che una volta divenuto inoppugnabile il decreto di omologazione i coniugi conseguono
lo stato di “coniugi separati”, con reciproco obbligo,
assistito dalla forza esecutiva, al rispetto delle condizioni poste, ed un tale stato non può cessare se non
nei modi previsti dalla legge (riconciliazione da un
lato - divorzio o nullità matrimoniali dall’altro); opinare in favore di una sorta di “reversibilità” di stato,
cioè di incondizionata possibilità di revoca ex art. 742
c.p.c. dello stesso provvedimento che lo ha costituito,
significa affermare che il nostro ordinamento riserva
al coniuge separato consensualmente una condi42 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
zione obiettivamente incerta, per definizione; nel
concreto allora, alla soluzione di separarsi consensualmente ci si potrebbe avvicinare solo con la prudenza da riservare ad uno strumento di tutela così
inaffidabile, il ché assume connotati paradossali.
Coerentemente, lo stesso decreto di omologazione, impedisce che possa accertarsi, in un successivo giudizio, il diverso titolo della separazione, per
responsabilità ex art. 151, co. 2, c.c., neppure ove conosciuta successivamente la causa di tale responsabilità; è consolidato infatti l’indirizzo della Suprema Corte sull’inammissibilità del mutamento di
titolo della separazione consensuale omologata61.
Tutto ciò significa che, seppur dopo l’efficace
omologazione e nonostante essa, in astratto rimane
aperta la via alla cognizione ordinaria (principale od
incidentale, per far valere quegli eccezionali vizi
detti, di legittimità, del volere od afferenti la capacità dei coniugi), l’omologazione produce comunque
“preclusioni”, non essendo certo frutto di inutile attività giurisdizionale, attesa la funzione di certezza,
rapidità e semplificazione, cui attende istituzionalmente. E questa situazione costituisce invero ragione ulteriore per assicurare le garanzie costituzionali e in specie quella del diritto di difesa, poiché
quella via ordinaria di norma manca e le garanzie
sui diritti incisi allora mai assicurate.
3. Conclusioni
Si potrebbe proseguire per pagine e pagine, ma è
già ben evidente la conclusione cui si può ragionevolmente pervenire (seppur ai limitati fini che qui
ci occupano), per questa fattispecie processuale
della separazione consensuale, obiettivamente anomala e speciale (nel novero dei processi di separazione e divorzio qualificati tutti come “processi speciali tipici”), che proprio non può essere più “ingabbiata” nelle sole sterili disquisizioni distintive la giurisdizione contenziosa da quella “volontaria”.
Qui il decreto di omologazione reso in camera di
consiglio dal tribunale sulla base del peculiare iter
processuale ex art. 711 c.p.c., che abbiamo cercato di
ripercorrere per tratti essenziali, ha finito per costituire un procedimento speciale che ha visti recisi i
tratti essenziali del comune decreto camerale frutto
della cosiddetta attività giurisdizionale “volontaria”.
Pur mancando ancora quell’auspicata disciplina
omogenea e razionale del rito62, per effetto delle riforme disordinatamente stratificatesi in materia, separazione e divorzio sono tipici giudizi su status e
diritti (oltre che su interessi), nei quali il richiamo
alle forme del procedere in camera di consiglio si è
strutturato per soddisfare l’esigenza di massima
semplificazione-accelerazione dell’attività giurisdizionale di settore.
È erroneo in radice quindi l’argomento che confonde le forme del procedere con la natura del potere giurisdizionale invocato63.
CASSAZIONE
La distinzione tra la giurisdizione contenziosa e
la cosiddetta giurisdizione “volontaria” (o attività a
tutela degli “interessi protetti” affidata alla giurisdizione, che, è bene rammentarlo, il c.p.c. non qualifica in nessuna sua disposizione), non coglie affatto
la valutazione dei diritti attinti in tali procedimenti,
mentre la discutibile categoria della giurisdizione
“volontaria” resta conformata a tutela di interessi
(autorizzazioni, amministrazioni, nomine, gestioni
patrimoniali etc.), secondo la procedura pensata ad
hoc con le scarne norme ex artt. 737 ss., c.p.c..
D’altro canto, a ben riflettere, il nostro ordinamento riconosce il diritto sostanziale dei coniugi ad
addivenire allo stato di “coniugi separati”, per il
mero consenso; tale diritto, di natura personalissima, è previsto dagli artt. 150 e 158 c.c., ed è “costituzionalmente fondato”64.
Da tanto deriva ulteriore argomento dirimente:
quando l’ordinamento riconosce un tale diritto, la
conseguenza necessaria è quella di garantirne
l’azione a sua tutela65, il che, invero, fa subito insorgere la necessità di verificare l’adeguatezza delle
forme di una tale tutela giurisdizionale a garantire
effettivamente la sua realizzazione; una verifica di
tal fatta, di certo, non può risolversi in una limitazione ulteriore, diciamo così, per categorie concettuali astratte inerenti la natura della giurisdizione,
desumibile soltanto dalle forme dell’incedere processuale o del provvedimento conclusivo, piuttosto
che dai diritti attinti66. Ed allora, ecco ben nitida la
ragione (esattamente colta dalla pronuncia annotata) per cui il divorzio non muta natura sol perché
la sentenza che lo dichiara è il frutto di un procedimento adottato in via speciale o, se si vuole, in via di
eccezione rispetto all’ordinario, con le forme del
procedimento in camera di consiglio, né “trasmigra”
per ciò dalla giurisdizione costituzionalmente garantita su diritti e status alla mera giurisdizione “volontaria”.
Del pari, l’operatività o meno della garanzia della
difesa tecnica del coniuge in sede di separazione
consensuale, non è esclusa dall’adozione delle
forme della camera di consiglio.
In entrambi i casi appare allora razionale ed essenziale che sia garantita tale difesa, a pena di nullità del provvedimento reso, con qualunque forma
assunto.
Per ciò, la Suprema Corte, nell’insegnare il principio secondo cui, alle forme del procedere in camera
di consiglio non è negata, a prescindere, la garanzia
difensiva, appare entrata in contraddizione, nel momento in cui il richiamo all’ipotesi della separazione
per mero consenso, si stagliava sì come rafforzativo,
ma in senso diametralmente opposto rispetto a
quello espresso: la difesa del coniuge è infatti imprescindibile nei procedimenti di separazione coniugale sotto qualunque forma celebrati.
Con l’ulteriore precisazione che l’indicata nullità
colpisce il provvedimento di omologazione che
chiude il procedimento di separazione dei coniugi
consensuale ed inerisce ad entrambi i coniugi, in
quanto, sottoscrivendo personalmente il ricorso introduttivo, esercitano uno jus postulandi cui non
sono legittimati; né la nullità per difetto di difesa
muta nell’ipotesi in cui uno soltanto agisca personalmente, poiché si determina la stessa violazione
della medesima norma processuale (semmai, ci si
trova a fronte del diverso quesito del se quella nullità possa essere eccepita dal coniuge che si è invece
regolarmente avvalso della difesa tecnica).
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 43
CASSAZIONE
Note
1
Nella giurisprudenza di merito si rinvenivano già
i precedenti di Trib. Monza 21/3/1989, in Giur. Merito,
1989, 833; Trib. Monza 23/4/1990, in Foro It., 1991, 628,
con nota di CIPRIANI; App. Firenze 24/3/1994, in Fam.
Dir., 1994, 538, con nota di CARBONE, Trib. Torino
17/5/2000, in Familia, 2001, 459, con nota di TOMMASEO;
Trib. Napoli 6/12/2002, in Giur. Napoletana, 3, 89.
2
Un tale quadro si rinviene in MANDRIOLI, Diritto processuale civile, a cura di CARRATTA, III, Torino, 2011, 128,
140; DI IASI-PICARONI, Procedimenti di separazione e di divorzio, in Trattato di diritto di famiglia a cura di ZATTI,
Milano, 1, II, 2011, 1932; GIACOBBE-VIRGADAMO, Separazione personale e divorzio, in Trattato dir. civ., diretto da
SACCO, 3, II, Torino, 2011, 155; ARIETA, Trattato di diritto
processuale civile ARIETA-MONTESANO, Padova, 2011, versione dvd, cap. 861; TOMMASEO, in Commentario breve al
diritto di famiglia, a cura di ZACCARIA, Padova, 2011,
1632, sub art. 4; ID., La disciplina processuale del divorzio,
in Lo scioglimento del matrimonio, a cura di BONILINI e
TOMMASEO, Milano, 2010, 421; PITTALIS, Scioglimento del
matrimonio, in Codice della famiglia a cura di SESTA, II,
Milano, 2009, 3883, sub art. 4; PROTO PISANI, Il diritto alla
separazione e al divorzio da diritto potestativo da esercitare necessariamente in giudizio a diritto potestativo sostanziale, in Foro It., 2008, V, 161.
3
È un tema che impegna grandemente la dottrina
processualcivilistica; la mole dei contributi è tale da indurre a rinviare, per tutti (attese peraltro le citazioni in questi rinvenibili), a: PROTO PISANI, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c. (Appunti sulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla
gestione di interessi devoluti al giudice), in Riv. dir. civ., 1990, 395, con tesi che intravedeva già allora l’imprescindibile necessità
di abbandonare la tradizionale distinzione tra giurisdizione contenziosa e volontaria, giungendo a quella tra attività giurisdizionale costituzionalmente garantita (diretta a dirimere controversie su diritti soggettivi e status) ed attività giurisdizionale costituzionalmente non necessaria siccome diretta all’amministrazione di interessi privati od al controllo di alcune attività, che la legge ordinaria potrebbe ben rimettere al potere dei privati od all’autorità amministrativa; tesi ripresa
dall’A. in tutti gli scritti successivi, ed ora, in Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2010, 664 ss.; PUNZI, Il processo civile. Sistema e problematiche, III, Torino, 2010, 95 ss.; TISCINI, Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005; CHIZZINI, La revoca dei
provvedimenti di volontaria giurisdizione, Padova, 1994; CARRATTA, I procedimenti cameral-sommari in recenti sentenze della Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, 1049; ID., Processo sommario (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., Annali, II, 1, Milano, 2007, 877;
FAZZALARI, I procedimenti in camera di consiglio e la tutela dei diritti, in Giur. it., 1990, IV, 426; LANFRANCHI, La cameralizzazione del giudizio sui diritti, ivi, 1989, IV, 43; ID., Profili sistematici dei procedimenti decisori sommari, in La roccia non incrinata, Torino, 2011, 36;
MONTESANO, “Dovuto processo” su diritti incisi da giudizi camerali e sommari, in Riv. dir. proc., 1989, 915; MANDRIOLI, In tema di onere
del patrocinio nei procedimenti camerali, in Giur. it., 1988, I, 1, 977; CERINO CANOVA, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimenti
camerali e giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ., 1987, 431; DENTI, La giurisdizione volontaria rivisitata, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1987, 325.
4
Ci si riferisce in particolare a Cass., Sez. I, 24/6/1989 n° 3095, in Giust. Civ., 1989, I, 2103.
5
Rinvenibile in Giur. It., 1988, I, 1, 978, con nota di MANDRIOLI, op. cit. in nota 3, e sottoposta a severa critica da LANFRANCHI,
La cameralizzazione, op. cit. in nota 3; invero quella pronuncia, inerente la designazione giudiziaria dell’idoneo erede dell’assegnatario di terreno rientrante nella riforma fondiaria prima del riscatto, in assenza di designazione testamentaria e
nel disaccordo tra coeredi, venne presto smentito dalla stessa Corte di legittimità, nel momento in cui, con Cass., Sez. III,
26/6/1991 n° 7147, individuò in tali controversie la ricorrenza di posizioni di diritto soggettivo ed il carattere decisorio del
decreto della corte d’appello che definisce il reclamo avverso il provvedimento del tribunale, garantito così anche dalla tutela dell’impugnazione in sede di legittimità ex art. 111 Cost.; e poi, con Cass., Sez. II, 28/11/1994 n° 10149, che ha qualificato il provvedimento del tribunale che conclude tale procedimento, come avente natura sostanziale di sentenza, come tale
idoneo al conseguimento della copertura del giudicato.
6
Rinvenibile in Giust. Civ., 1989, I, 2103, ed in Riv. Notar., 1990, II, 1058, con nota di MAZZA.
7
Tra i quali, Cass., Sez. I, 30/05/1989, n° 2643, in Mass. Giur. It., 1989; Id., 02/06/1989, n° 2684, in Dir. Eccl., 1990, II, 559; Id.,
24/6/1989 n° 3099, in Foro It., 1989, I, 2138; Id., 30/12/1989, n° 5831, ivi., 1990, I, 1238; Id., 16/5/1990 n° 4260, in Giust. Civ., 1991,
I, 111; Id. 29/05/1990, n° 5025, in Dir. Eccl., 1992, II, 57; Id., 29/05/1990, n° 5026, in Dir. Fam. Pers., 1990, 1152; singolare l’assenza
della questione dai repertori successivi, salvi i generici cenni impliciti desumibili da Cass., Sez. I, 7/6/2007 n° 13363, in Fam.
Dir., 2007, 990, attesa evidentemente la paventata sanzione prefigurata con tali ripetuti insegnamenti (nullità).
8
Basta por mente a tutti i riflessi di ordine pubblico che derivano dal possesso o meno dello status di soggetto coniugato,
ovvero agli effetti delle annotazioni apposte sull’atto di matrimonio, con efficacia di pubblicità costitutiva.
9
Consolidato sul punto l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità; solo a titolo esemplificativo si può rinviare a, Cass.,
Sez. I, 6/7/2004 n° 12309, in Guida Dir., 2004, 34, 72; Id., 27/5/2005 n° 11319, in Banca dati Foro It., dvd 2011; Id., 20/1/2006 n° 1179,
ivi; Id., 7/3/2008 n° 6196, in Fam. Dir., 2008, 511.
10
Così, testualmente, MONTELEONE, Diritto processuale civile, Padova, 2000, 1260, nota 28.
11
Rinvenibile in Fam. Dir., 2007, 19, con nota TOMMASEO; in Giur. It., 2007, 2259, con nota di SOCCI; in Fam Pers. Succ., 2007, 15,
con nota di CHIZZINI.
12
Un miglior quadro emerge attraverso Cass., Sez. I, 24/7/2009 n° 17421, in Fam. Dir., 2009, con nota di RUSSO; Id., 1/3/2010
n° 4866, in Giur. It., 2010, 2301, con nota di RUFO SPINA e CARBONARA; Cass., Sez. VI, 23/6/2011 n° 13747, ivi, 2012, 873, con nota
di FRATINI; Cass., Sez. I, 26/10/2011 n° 22332, ivi, 2011, 2469; Id., 26/9/2011 n° 19596, in Fam. Dir., 2011, 1085, con nota di TOMMASEO.
13
Quest’ultima norma è rimasta a tutt’oggi nella sua originaria formulazione, in un contesto normativo (ispirato diffusamente a “paternalismo” statuale, affidato alla giurisdizione), radicalmente diverso da quello odierno.
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CASSAZIONE
14
Tra le tante altre si richiamano Cass., Sez. I, 30/4/2008 n° 10932, in Fam. Dir., 2008, 1117, con nota di ARCERI; Id., 8/3/2001
n° 3390, ivi, 2001, 443; Id. 24/8/1990 n° 8712, in Giust. Civ., 1990, I, 2826, ed in Arch. Civ., 1991, 1274.
15
Quali sono, ad esempio, tra i tanti possibili e limitandoci alla materia familiare, quella ex art. 736bis c.p.c., ovvero quella
ex art. 316, co. 3, c.c..
16
Accertamento di cui è bene evidenziare la diversa natura: relativo alla ricorrenza della causa presupposta allo scioglimento del vincolo, per il primo, e del consenso validamente espresso dai coniugi e della regolarità della procedura, oltre alla
verifica delle condizioni convenute nei limiti previsti (ma qui identicamente al primo), per il secondo; anche l’indicato accertamento in sede di omologazione è “prerogativa del tribunale”, per usare le stesse parole della pronuncia annotata. Interessanti spunti in merito si rinvengono in, Cass., Sez. I, 9/4/2008 n° 9174, in Banca dati Foro It., dvd 2011; Id., 8/11/2006 n° 23801,
in Foro It, 2007, I, 1189, con nota di CASABURI; Id., 20/11/2003 n° 17607, in Fam. Dir., 2004, 473, con nota di CONTE; in Corr. Giur.,
2004, 309, con nota di OBERTO; ed in Nuova Giur. Civ. Comm., 2005, I, 343, con nota di BUSI; Id., 8/3/1995 n° 2700, in Dir. Fam. Pers.,
1995, 1390.
17
L’unico precedente edito, reso peraltro nel regime processuale anteriore, che dichiarava l’imprescindibile necessità per
il coniuge che voglia validamente domandare la separazione personale consensuale (come pure il divorzio a ricorso congiunto), di dover avvalersi del patrocinio di un difensore, è quello di Trib. Bologna, 20/9/2000, in Rass. Forense, 2002, 1, 164;
questo precedente affrontava la questione, basando il proprio convincimento, da un lato, rifacendosi alla sopravvenuta Circolare del Ministero della Giustizia del 2/8/2000 (prot. n° 2/2000), con la quale venne da quel momento prescritta l’iscrizione di detti procedimenti nel registro degli affari contenziosi, con ciò superando le anteriori prassi contrastanti, al fine di
assicurare uniformità processuale nel territorio dello Stato; dall’altro lato, quel collegio ricusava il tralatizio argomento, per
cui in detti procedimenti non fosse rinvenibile conflitto di interessi, aggiungendo che era invece principio largamente condiviso quello secondo cui i provvedimenti camerali previsti per situazioni sostanziali di diritti soggettivi o di status, debbano
svolgersi con le forme adeguate alla tutela delle stesse (argomenti emergenti nella stessa Circolare), e tra queste dichiarava
rientrare indubbiamente il patrocinio di un difensore.
18
Peraltro, ove i coniugi/genitori, ferma la volontà di interrompere la vita comune, raggiungono comunque un accordo
anche sulle condizioni di separazione, secondo l’espressa previsione ex artt. 3, n° 2, lett. b), l. div., il procedimento contenzioso “transita” identicamente nell’omologazione di tale accordo (magari stimolato od incoraggiato dal presidente, od anche frutto di una mediazione familiare ex art. 155sexies, co. 2, c.c., positivamente conclusasi); la trasformazione del rito da
giudiziale a consensuale costituisce oramai un dato acquisito risalente almeno agli anni ’80; cfr., tra le tante, Cass., Sez. I,
29/5/1980 n° 3532, in Foro It., 1981, I, 156, e Trib. Firenze 5/3/1980, ivi, 1981, I, 157.
19
Oggi espressamente prevista (identicamente che per il divorzio, art. 4, co. 12, l. div.) dall’art. 709bis c.p.c., norma che ha
recepito il consolidato orientamento giurisprudenziale in punto, e che consente di scindere la pronuncia di status anche dalla
eventuale declaratoria di addebito, costituente distinto capo della domanda; si cfr., ex multis, Cass., Sez. Un., 3/12/2001 n°
15248, in Giur. It., 2002, 921, con nota di DANOVI; in Foro It., 2002, I, 383, con nota di CIPRIANI; ed in Fam. Dir., 2002, 11, con nota
di VULLO; Id., 4/12/2001 n° 15279, in Corr. Giur., 2002, 25, con nota di CARBONE; Cass., Sez. I, 10/6/2005 n° 12284, in Guida Dir.,
2005, 31, 56; e Id., 18/7/2005 n° 15157, in Banca dati Foro It., dvd 2011. Seppur nominalmente qualificata sentenza non definitiva, in realtà trattasi di una sentenza definitiva di status, tanto che è espressamente soggetta soltanto ad appello immediato, conformemente al risultato cui era giunta la giurisprudenza; cfr., Cass., Sez. I, 7/1/2008 n° 26, in Fam. Dir., 2008, 398.
20
Per tutte, cfr., Cass., Sez. II, 22/11/2004 n° 22043, in Banca dati Foro It., dvd 2011.
21
Salvo il curioso diverso riferimento di quest’ultima norma ad “un” difensore, numerale che però non appare ovviamente idoneo a limitare il diritto di nomina di più di un difensore, come non lo è infatti la norma generale ex art. 82, co. 2,
c.p.c.; in punto alla coesistenza di più mandati difensivi ad ai poteri di ciascuno, si cfr., Cass., Sez. Un., 17/7/2003 n° 11188.
22
Per il ricorrente, a tenore dell’art. 125 c.p.c., norma generale che disciplina il contenuto necessario di ogni atto di parte,
il problema non si pone (ed in tal senso è l’opinione diffusa), dovendo il ricorso introduttivo essere sottoscritto dal difensore, sottoposto alla verifica del cancelliere in sede di iscrizione al ruolo del procedimento e poi di quella del presidente del
tribunale in sede di emissione del decreto di comparizione dei coniugi, salvo che non si voglia sostenere che l’assistenza
difensiva può intervenire anche soltanto nel corso dell’udienza di comparizione delle parti.
23
Per la soluzione positiva si esprime M. FINOCCHIARO, Separazione e divorzio - udienza presidenziale subito dopo la notifica, in
Guida Dir., 2005, 22, 97, il quale mette in luce come alla mancata “assistenza” del difensore non è prevista pena di nullità,
al pari, d’altronde, dell’ipotesi di assenza del difensore pur costituito (anche del ricorrente) all’udienza di comparizione
personale dei coniugi. Con qualche perplessità, si esprime invece, TOMMASEO, La disciplina processuale della separazione e del
divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Fam. Dir., 2006, 10-11, che reputando del tutto inopportuna l’obbligatorietà prevista a tenore letterale dell’art. 707, co.1, c.p.c., ipotizza che il presidente del tribunale può comunque sentire il coniuge
convenuto applicando i principi generali, facendo uso dei propri poteri officiosi di assumere informazioni (artt. 711, 738,
co. 3, c.p.c. e 155, 155sexies c.c.) e tenuto conto della regola affermatasi in giurisprudenza per cui anche la parte contumace
può essere liberamente interrogata (Cass., Sez. Lav., 5/5/1982 n° 2818); ciò nonostante esprime razionale dubbio sulla possibilità per il medesimo coniuge convenuto, comparso personalmente senza l’assistenza di difensore in violazione della
norma in questione, di accedere ai possibili sviluppi successivi alla sua audizione; esclude così potersi riconoscere al medesimo convenuto la facoltà di addivenire alla conciliazione od anche soltanto di manifestare il consenso al transito del
procedimento alla separazione consensuale, nell’ipotesi si raggiunga un tale accordo, siccome evidentemente anche soltanto la manifestazione del consenso detto è una facoltà dispositiva del solo coniuge comparso con l’assistenza di difensore, come la legge prefigura, e d’altro canto l’onere della difesa tecnica è oggi reso più lieve dalla possibilità di fruire del
patrocinio a spese dello Stato. Per la soluzione negativa si esprime invece CIPRIANI, Processi di separazione e divorzio, in Foro.
It., 2005, V, 142, che così testualmente osserva: “…venuta meno la norma che obbligava e nel contempo consentiva ai coniugi di
comparire senza l’assistenza dei difensori, non può non trovare applicazione la regola generale per la quale davanti ai tribunali le
parti devono stare in giudizio col ministero di un avvocato legalmente esercente (art. 82, co. 3, c.p.c.), quindi, ognuno dei coniugi,
quando viene sentito dal presidente, non solo può, ma deve essere assistito dal suo difensore. Con la precisazione che qui il problema
non sta solo nello stabilire se il presidente possa escludere dall’udienza il convenuto comparso senza difensore, ma anche nell’aver chiaro
che le eventuali dichiarazioni, di tale convenuto, non potranno mai essere utilizzate contro di lui”. Seguiva l’osservazione coerente
per cui il difensore dell’un coniuge può assistere anche all’audizione dell’altro coniuge, in esplicazione del fondamentale
principio di garanzia del contraddittorio. Una tale ricostruzione suscita perplessità in ordine all’ultimo inciso, poiché il concetto di “inutilizzabilità” inerisce soltanto alle “prove” già assunte agli atti illegittimamente, che pur non potendo stralciarsi
materialmente, non possono utilizzarsi ai fini del decidere; inoltre, una tale logica sembra piuttosto “contaminare” l’ordinamento processuale civile positivo con canoni propri di quello penale, nel quale ultimo soltanto la garanzia di difesa
è prefigurata come immanente presenza fisica della figura del difensore ed anche nell’ipotesi di contumacia; nel processo
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CASSAZIONE
civile alla contumacia del convenuto non corrisponde alcuna sua difesa tecnica ed anche l’assenza volontaria del difensore non ha alcun rilievo se non nell’ambito del mandato di patrocinio; infine, a tenore dell’art. 117 c.p.c., il libero interrogatorio delle parti può sempre essere disposto dal giudice e non si dubita che questi possa poi trarre argomenti per la
prova dei fatti controversi, da tale acquisizione. Da tenere poi presente che l’udienza di comparizione personale in questione, secondo l’art. 3, n° 2, lett. b), l. div., costituisce il dies a quo del triennio valevole ai fini del divorzio. Queste comunque le posizioni principali nell’immediatezza dell’introduzione della nuova norma. Oggi prevale la conclusione per cui il
coniuge convenuto comparso personalmente, con la consapevole opzione di non valersi dell’assistenza di difensore, come
la legge prevede a sua garanzia, potrà comunque essere sentito validamente dal presidente (e non soltanto in relazione
alla prole ove il dubbio non sembra neppure proponibile), e non potrà invocare alcuna nullità; soluzione razionale ove si
consideri, da un lato, che l’ipotesi del convenuto non costituito o non assistito in giudizio (a tutto voler concedere, trattasi di “onere” e l’essenziale è che la parte sia messa in condizione di potersi difendere adeguatamente come prefigurato
dal codice di rito) non equivale a quella della parte “non comparsa” (arduo, quindi, ipotizzare che la parte comparsa personalmente debba considerarsi come “non comparsa”, perché non assistita da difensore e quindi, ai nostri fini, addirittura da allontanare od al più, da far assistere in silenzio) e, dall’altro lato, la funzione di quella fase processuale; d’altronde, se il coniuge convenuto non compare, al di là della facoltà di fissazione di una successiva udienza ex art. 707, co.
3, c.p.c., a tenore dell’art. 708, co. 3, c.p.c., il processo continua ugualmente. Relativamente sempre al coniuge convenuto,
si è anche dubitato della legittimità costituzionale di una tale “imposizione” (sull’assunto ovviamente che sia tale) e sull’impedimento giuridico ad utilmente comparire di persona, questione che è stata sollevata da Trib. Lamezia Terme
19/12/2007, ma dichiarata inammissibile per l’evidente indeterminatezza del petitum, da Corte Cost. 26/1/2011 n° 21, in
Fam. Dir., 2011, 676, con nota di RISOLO (autore che peraltro delinea sufficienti argomenti per considerare infondato quel dubbio di costituzionalità), e subito risollevata ancora da Trib. Lamezia Terme 5/5/2011, in Fam. Dir., 2011, 736, e nuovamente
dichiarata inammissibile da Corte Cost. 16/2/2012 n° 26, per non aver compiutamente sperimentato il “doveroso tentativo
di dare una interpretazione costituzionalmente conforme alle norme impugnate”.
24
Si veda in tal senso Cass., Sez. I, 24/6/1989 n° 3095, cit. in nota 4, che puntualizzava testualmente come “chiarito che il divieto di assistenza del difensore all’udienza riguarda soltanto il momento del tentativo di conciliazione, evidente essendone la ratio di
lasciare alla parte personalmente quel momento così delicato e carico di implicazioni tanto personali, restando dunque fermo che, per
ogni altro momento del procedimento per separazione personale, la legge non “dispone diversamente, (…) non resta che applicare pienamente il principio dell’onere del patrocinio”.
25
In tal senso già ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 338.
26
Ci si riferisce al D.L. 14/3/2005 n° 35 recante “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di cassazione e
di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”, convertito, con modificazioni,
dalla L. 14/5/2005 n° 80; non senza osservare che la successiva L. 8/2/2006 n° 54, con la quale è stato riscritto l’art. 155 c.c.
ed aggiunti gli altri artt. sino al 155sexies c.c., ha finito per integrare anche l’aspetto processuale, in quel suo intrecciarsi costante di disposizioni sostanziali e processuali, che l’hanno caratterizzata; e tale legge è applicabile in primo luogo proprio
alla separazione personale dei coniugi (qualunque sia la forma adita, tanto che all’art. 4, co. 1, si indica il procedimento ex
art. 710 c.p.c. per l’applicazione delle nuove disposizioni anche per l’ipotesi che già sia stato emesso il decreto di omologa
dei patti di separazione consensuale alla data di entrata in vigore della legge), ed estesa poi, per effetto del medesimo art.
4, co. 2, anche al divorzio, alla nullità del matrimonio ed ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Peraltro,
non può mancare un cenno alla questione del ruolo difensivo. Sia l’art. 707, co. 1, c.p.c., che l’art. 4, co.7, l. div., fanno riferimento all’assistenza di difensore. Il termine “assistenza” apparentemente rimanda all’art. 87 c.p.c. (secondo LUISO, Diritto
processuale civile, IV, Milano, 2009, 312, e TOMMASEO, Nuove norme per i giudizi di separazione e divorzio, in Fam. Dir., 2005, 234-235,
la parte può limitarsi a farsi assistere da uno o più avvocati -evidentemente per la mera preparazione ed esplicazione delle
ragioni e degli argomenti difensivi a tutela del proprio diritto- e non v’è necessità della rappresentanza), se non fosse che
la distinzione tra l’assistenza propria dell’avvocato e la rappresentanza o ministero propria del procuratore legale, che già
risultava ambigua ed anacronistica (e questo è l’apprezzamento espresso da ZUCCONI GALLI FONSECA, in Commentario breve al
codice di procedura civile, a cura di CARPI e TARUFFO, Padova, 2012, 334, sub art. 87), siccome generalmente cumulata nella stessa
figura professionale e svolta senza limiti, con la soppressione dell’albo dei procuratori legali, ad opera della L. 24/2/1997 n°
27, obiettivamente sarebbe venuta meno proprio quella distinzione tra la funzione difensiva di ministero o rappresentanza
in giudizio della parte, propria del procuratore legale, e la funzione difensiva di assistenza della parte in giudizio, propria
dell’avvocato; difatti, i procuratori legali divennero di diritto avvocati e da allora sussiste l’unica qualifica di avvocato, distinguendosi oggi questa funzione soltanto rispetto a quella dell’avvocato iscritto nell’albo speciale per il patrocinio avanti
alle giurisdizioni superiori. In considerazione della chiara indicazione costituzionale -negli artt. 24 e 111 Cost., il riferimento
è al difensore od alla difesa- cui l’interprete deve necessariamente orientarsi, è unicamente il ruolo difensivo che rileva,
mentre la distinzione delle “funzioni difensive”, tra quella di mera rappresentanza (o ministero) ed un’altra di mera assistenza, appare un’opzione improbabile; sostanzialmente, i due termini hanno finito per sovrapporsi ed equivalersi, assumendo quindi il più ampio significato detto; da rimarcare come nella prassi del tutto raramente ci si può imbattere nella
limitazione, nell’uno o nell’altro senso indicati, dei poteri difensivi dell’avvocato, in quanto la procura alle liti, per evitare
perniciose eccezioni processuali, viene sempre redatta e normalmente recita: “delego o nomino l’Avv. Tizio, a rappresentarmi,
difendermi ed assistermi, nel presente giudizio, con ogni più ampia facoltà…” o similari espressioni. A ben vedere poi, anche ove
si reputi in qualche modo “sopravvissuta”, nonostante l’abrogazione di tutte le norme incompatibili, dettata dall’art. 6 della
detta L. n° 27/1997, una funzione di mera assistenza difensiva diversa da quella della rappresentanza (che nella specie sarebbe stata implicitamente ripristinata dal legislatore della novella processuale del 2005, con una improbabile interpretazione autentica sistematica ed implicita), essa sarebbe pur sempre esplicazione di quel diritto di difesa, costituzionalmente
garantito alla parte che agisce in giudizio; infatti, ove questa sia l’opzione corretta, il difensore, destinato ad assicurare la
difesa tecnica e professionale della parte, quale momento fondamentale del diritto inviolabile di difesa garantito ai singoli
dall’art. 24 Cost., può assumere nella legge processuale civile, di volta in volta, le funzioni di rappresentanza ovvero di assistenza, ma con ciò non modificandosi certo il valore e la natura inderogabile della garanzia in parola. La sentenza annotata invero sembra proprio confortare quanto appena indicato, nella misura in cui dichiara nulla la sentenza resa in esito
al giudizio divorzile a ricorso congiunto, non sottoscritto dal difensore, reputando necessario il suo ministero; quindi, con
espressioni motive che se da un lato sembrano indurre a considerare superata quella tradizionale distinzione del ruolo difensivo, dall’altro si riferiscono puntualmente alla necessità della rappresentanza (sottoscrizione del ricorso), per poi parificare l’ipotesi a quella prevista per l’ordinario giudizio contenzioso. Un’ultima considerazione: ove si opti per la soluzione
ermeneutica che individua la necessità per il coniuge di agire con la mera “assistenza” del difensore, allora il legislatore
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CASSAZIONE
avrebbe considerato che la funzione di rappre sentanza risulta assolta, od in qualche modo “compensata”, dalla presenza personale del coniuge stesso;
così ragionando però, a tenore dello stesso dato costituzionale e di quanto già emerge nella giurisprudenza della Corte delle leggi (ad iniziare dalla pronuncia indicata in nota 28 che segue), non si potrebbe
comunque validamente inibire al medesimo coniuge
di avvalersi della facoltà di essere anche “rappresentato dal difensore”. Va detto, ad onor del vero, che secondo Cass., Sez. I, 12/5/1999 n° 4718, Banca dati Jus &
Lex, dvd 2011, l’abolizione della distinzione professionale tra procuratore ed avvocato non ha eliminato
la tradizionale bipartizione individuata dalle rispettive locuzioni di “rappresentanza o ministero di difensore” e di “assistenza di difensore”; di un certo interesse anche Cass., Sez. Lav., 8/9/2006 n° 19274, in
Banca dati Foro It., dvd 2011.
27
Oltre alle citazioni in nota 23, ampio il quadro
degli interventi della dottrina, tra i quali si segnalano:
MANDRIOLI, Diritto processuale civile, a cura di CARRATTA,
op. cit. in nota 2, 92; DOSI, Il processo di separazione, in
La separazione personale dei coniugi, a cura di ALPA e
PATTI, Padova, 2011, 521, che rileva il cambio di rotta
“copernicano”; ARIETA, Trattato di diritto processuale civile ARIETA-MONTESANO, op. cit. in nota 2, capp. 816.4 e
829 ss.; DI IASI-PICARONI, Procedimenti di separazione e di
divorzio, in Trattato di diritto di famiglia a cura di ZATTI, op. cit. in nota 2, 1862; CARNEVALI, La fase presidenziale, in I processi di separazione e divorzio, a cura di GRAZIOSI, Torino, 2011, 60; DE FILIPPIS, Il diritto di famiglia, Padova, 2011, 439-442; SPACCAPELO, in
Commentario breve al diritto di famiglia, a cura di ZACCARIA, op. cit. in nota 2, 2631-2634, sub art. 711; TOMMASEO, La disciplina processuale del divorzio, in Lo scioglimento del matrimonio, a cura di BONILINI e TOMMASEO, op. cit. in nota 2, 370; PUNZI, Il processo civile. Sistema e problematiche, op. cit. in nota 3, 139; LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2009, 312; IZZO, Separazione e divorzio, Bari, 2009, 22; SALVANESCHI, I procedimenti di separazione e divorzio, in Fam. Dir., 2006, 365.
28
Ci si riferisce alla nota Corte Cost. 30/6/1971 n° 151, in Foro It., 1972, I, 4; ed in Riv. Dir. Proc., 1972, 498, con nota di CIPRIANI.
29
Come subito puntualizzava, Cass., Sez. I, 18/4/1974 n° 1050, in Giur. It., 1974, I, 1, 1881.
30
I tratti salienti del dibattito e delle soluzioni, tra i tanti contributi, si rinvengono in: CIPRIANI, I provvedimenti presidenziali
nell’interesse dei coniugi e della prole, Napoli, 1970, 66-74, secondo cui nell’intera fase presidenziale non si aveva un’attività giurisdizionale, non manifestandosi una vera e propria lite e di conseguenza una controversia tra i coniugi; MANDRIOLI, Il diritto
di difesa nell’udienza presidenziale del giudizio di separazione dei coniugi, in Giur. It, 1971, I, 2, 1, in nota a Trib. Milano 10/10/1970,
per il quale era necessario dar fondamento positivo ad una prassi incongrua secondo cui: “Un difensore vero, o meglio due difensori, che stando garbatamente fuori dall’uscio, mentre il presidente svolge il tentativo di conciliazione, siano pronti ad entrare non appena si delinei una posizione di contrasto e che in ogni caso debbano essere sentiti ed eventualmente invitati a svolgere brevi osservazioni, prima della pronuncia dell’ordinanza presidenziale”; OBERTO, Sulla necessità del patrocinio legale nei ricorsi congiunti per separazione e divorzio, in Fam. Dir., 2001, 3, 339, che criticava severamente il “fai da te” suggerito sul sito web del Ministero della
Giustizia; SCARDULLA, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, Milano, 2003, 666; MARINO, Separazione e divorzio, in I libri
di Guida al Diritto, Milano, 2005, 172-175. Tra i precedenti giurisprudenziali particolare menzione, per il peso che ebbero ad
assumere, meritano, Cass., Sez. I, 18/7/1967 n° 1822, in Giust. Civ., 1967, I, 1570, della quale è opportuna la trascrizione del
seguente tratto motivo saliente: “…indubbiamente l’art. 82 c.p.c. sancisce la norma generale per cui davanti ai tribunali ed alle corti
di appello le parti devono stare in giudizio con il ministero di un procuratore legalmente esercente, ma è anche vero che lo stesso articolo
al co. 3 fa espressamente salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti. Fra questi ultimi va sicuramente annoverato il procedimento speciale concernente la separazione personale dei coniugi e, particolarmente, la comparizione delle parti davanti al presidente del tribunale,
di cui all’art. 707 c.p.c.”. Trib. Milano 12/2/1968, in Mon. Trib., 1968, 577, con nota di GUZZETTI; Trib. Milano, 26/4/1968, in Foro It.,
1969, I, 243; Trib. Milano 10/10/1970, in Giur. It., 1971, I, 2, 1, e del quale si riporta parte della motivazione in punto di difesa
tecnica e della sua necessità: “…ad avviso del presidente tale disposizione non contrasta con il principio sancito dall’art. 24, co. 2, Cost.,
secondo cui la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo, soltanto per quanto concerne l’audizione dei coniugi prima
separatamente e poi congiuntamente nel tentativo di addivenire ad una conciliazione. È infatti evidente che in questo compito il presidente non svolge un’attività giurisdizionale ma cerca soltanto sul piano umano di dirimere le controversie che hanno minato l’unità familiare, nel tentativo di tutelare l’interesse di natura anche pubblica ad una pacifica continuazione della convivenza tra i coniugi. …Terminato però, ove l’esito sia negativo, il tentativo di conciliazione, l’attività presidenziale diviene di natura tipicamente giurisdizionale ed
in questo momento la mancanza di difensori appare come una violazione del ricordato disposto costituzionale”. Corte Cost. 16/12/1971
n° 201, in Foro It., 1972, I, 4; Cass., Sez. I, 24/6/1989 n° 3095, cit. in nota 4, che ponendo riferimento anche a Corte Cost. 31/3/1988
n° 387, in Foro It., 1989, I, 934, evidenziava la natura contenziosa del procedimento per separazione in ogni sua fase (compresa l’udienza presidenziale). Trib. Udine 27/3/1996, in Dir. Fam. Pers., 1996, 1361, precedente che si interrogava, dubitando
della legittimità costituzionale, sul se, una volta esperito il tentativo di conciliazione con esito negativo, si potesse procedere ad un ulteriore esame dei coniugi senza l’assistenza dei difensori per verificare l’esistenza di ogni possibile soluzione
conciliativa in ordine alle condizioni. Dubbio fugato da Corte Cost. 5/11/1996 n° 389, in Fam. Dir., 1996, 5, con nota critica di
TOMMASEO. Cass., Sez. I, 25/7/2002 n° 10914, ivi, 2002, 594.
31
Accordo che può sempre conseguirsi e formalizzarsi, anche nel corso dell’ordinario giudizio di separazione giudiziale,
avanti all’istruttore, come evidenziato in nota 18; con la precisazione che l’emissione della sentenza non definitiva di status (comprensiva o meno che sia dell’eventuale pronunzia sull’addebito), inibisce la trasformazione del rito contenzioso in
quello camerale e le condizioni poi eventualmente concordate debbono essere recepite dalla sentenza definitiva, anche a
tenore del nuovo art. 155, co. 2, c.c.; in tal senso, Trib. Bari 21/4/2010, in Banca dati Platinum Utet, dvd 2012.
32
In tal senso, tra altre, Cass., Sez. I, 30/4/2008 n° 10932, cit. in nota 14; Id., 20/11/2003 n° 17607, cit. in nota 16, nei cui tenori motivi si rinvengono numerose citazioni di precedenti insegnamenti.
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33
L’orientamento che ammette tra gli accordi di separazione anche quelli “occasionalmente collegati” è
ben consolidato; tra i precedenti è d’uopo menzionare, Cass., Sez. I, 22/11/2007 n° 24231, in Fam. Dir.,
2008, 446, con nota di CASABURI; ma anche, Cass., Sez.
I, 8/11/2006 n° 23801, cit. in nota 16; Cass., Sez. III,
14/3/2006 n° 5473; e Cass., Sez. I, 23/3/2004 n° 5741,
entrambe in Banca dati Foro It., dvd 2011. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle clausole che dispongono il
trasferimento di diritti reali, sia su beni mobili che su
immobili, reputate pienamente valide, con indirizzo
risalente; per tutte, cfr. Cass., Sez. I, 15/5/1997 n° 4306,
in Nuova Giur. Civ. Comm., 1999, I, 278, con nota di ZANUZZI; la questione è stata recentemente ben chiarita
da App. Milano 17/2/2011, in Fam. Dir., 2011, 940, con
precipuo riferimento ai beni immobili; per la mera
promessa di trasferimento immobiliare (anche a favore dei figli, al fine di concorrere al loro mantenimento), validamente ammessa e tutelabile con
l’azione di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., cfr.
Cass., Sez. II, 17/6/2004 n° 11342, in Banca dati Foro It.,
dvd 2011; relativamente a beni di futura acquisizione,
cfr., Cass., Sez. II, 24/4/2007 n° 9863, in Obbl. Contr.,
2007, 483, con nota di RUBINO. Ammessa, da Trib. Pordenone 20/12/2005, in Banca dati Foro It., dvd 2011,
l’istituzione di un trust avente ad oggetto immobili
acquistati in costanza di matrimonio e segregati in
favore della prole. Ammessa, da Trib. Ascoli Piceno 8/5/2002, ivi, la definizione dei rapporti economici derivanti da partecipazione societaria. Ammessa la transazione tra coniugi su diritti disponibili da Cass., Sez. I, 15/3/1991 n° 2788, in Foro It., 1991,
I, 1787. Esclusa invece, da Cass., Sez. I, 8/3/1995 n° 2700, cit. in nota 16, la possibilità di attribuire validità, attraverso l’omologazione, all’atto di donazione, espressamente così convenuto, per l’inidoneità della forma prescritta, siccome, non “redatto”, né “formato”, da pubblico ufficiale.
34
Ci si riferisce alla innovativa pronunzia di Trib. Torino 20/4/2012, in Fam. Dir., 2012, 803, che si è posta in consapevole
contrasto con l’indirizzo consolidato della Corte di legittimità, decisione prontamente annotata da OBERTO, Accordi preventivi di divorzio: la prima picconata è del Tribunale di Torino, ivi, 806, che segnala l’obiettivo raggiungimento di un primo traguardo
per la propria tesi sulla questione, esposta da tempo con tenacia e sfoggio argomentativo. La posizione nettamente contraria della Suprema Corte è ripercorribile attraverso, Cass., Sez. Un., 29/11/1990 n° 11490, in Giust. Civ., 1990, I, 2789; Cass.,
Sez. I, 11/12/1990 n° 11788, in Giur. It., 1992, I, 1, 156, con nota di CECCONI; Id., 6/12/1991 n° 13128, in Giust. Civ., 1992, I, 1239,
con nota di CAVALLO; Id., 4/6/1992 n° 6857, in Giur. It., 1993, I, 1, 338, con nota di DALMOTTO; Id., 11/8/1992 n° 9494, ivi, 1993, I,
1, 1495, con nota di DE MARE; Id., 28/10/1994 n° 8912, in Fam. Dir., 1995, 14, con nota di UDA; Id., 20/12/1995 n° 13017, in Giust.
Civ., 1996, I, 1694; Id., 7/9/1995 n° 9416, in Dir. Fam. Pers., 1996, 931; Id., 20/2/1996 n° 1315, peculiarmente rilevante in merito
alla valenza dell’assegno una tantum (sul quale vedi Cass., Sez. I, 5/9/2003 n° 12939) convenuto in sede di separazione, privo
di effetti esdebitatori nella sede divorzile, riportata integralmente in FERRANDO, Separazione e Divorzio, Milano, 2003, 326;
Cass., Sez. I, 11/6/1997 n° 5244, in Giur. It., 1998, 218, con nota di ERMINI; Id., 20/3/1998 n° 2955, ivi, 1998, 2017, ed in Contratti,
1998, 472, con nota di BONILINI; Id., 18/2/2000 n° 1810, in Corr. Giur., 2000, 1022; Id., 14/6/2000 n° 8109, in Fam. Dir., 2000, 429,
con nota di CARBONE ed in Familia, 2001, II, 243, con nota di FERRANDO; Id., 12/2/2003 n° 2076, in Fam. Dir., 2003, 344, con nota
di PICCALUGA; Id., 5/9/2003 n° 12939, in Dir. Fam. Pers., 2004, 66; Id., 17/7/2009 n° 16789, in Fam. Dir., 2010, 700, con nota di RAVOT; Id., 4/11/2010 n° 22505, in Fam. Minori, 2011, 1, 28, con nota di FIORINI; e Id., 25/1/2012 n° 1084, in Banca dati Leggi d’Italia,
dvd 2012. Quanto alla conforme giurisprudenza di merito, si segnala, Trib. Varese 29/3/2010, in Fam. Dir., 2011, 295, con
nota di PATANIA.
35
Al proposito del ruolo del notaio, è opportuno por mente all’art. 1, della legge notarile (L. 16/2/1913 n° 89), che gli attribuisce lo jus postulandi proprio in relazione agli affari di giurisdizione “volontaria”, riguardanti le stipulazioni affidategli
dalle parti; da tale abilitazione eccezionale sono esclusi tutti quei ricorsi non collegabili direttamente con l’atto da stipulare e certamente la separazione consensuale dei coniugi non può conseguirsi per effetto di una “stipulazione”; invero, in
merito ad un tale ausilio, la nostra giurisprudenza, a quanto consta, ha evidenziato due fattispecie singolarissime; in un caso,
giunto all’attenzione di App. Lecce 9/7/1973, in Giust. Civ., 1974, I, 362, i coniugi avevano affidato il loro accordo sulle condizioni di separazione ad un atto pubblico, il cui contenuto veniva poi richiamato nel verbale dell’udienza di comparizione
personale avanti al presidente del tribunale (mentre nel ricorso dichiaravano genericamente il consenso a voler vivere separati ed il raggiungimento di un accordo), e quella corte ne rilevò l’ammissibilità, ponendo peraltro il limite ontologico per
cui le parti non possono dichiarare al notaio la volontà di separarsi o “stipulare” un tale nuovo status, incaricandolo di presentare l’atto pubblico per l’omologazione; nell’altro caso, giunto all’attenzione di Trib. Monza 13/5/1991, in Foro Padano,
1991, I, 498, con nota di LATELLA, si escludeva la sussistenza dello jus postulandi, per l’omologazione della separazione consensuale dei coniugi, in capo al notaio. In tema, è utile il rinvio a GENGHINI, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale
della famiglia, Padova, 2010, 13 e 220.
36
Diffuso, nelle stesse citazioni poste, l’argomento motivo secondo cui il giudice non svolge funzioni “notarili”, non accerta, né compenetra, non integra, né valuta oltre la soglia dell’apparenza e della serietà, l’espressione della volontà; d’altronde è risalente il monito per cui il presidente del tribunale, ove non riesca a conciliare i coniugi, deve dare atto del consenso o meno degli stessi alla separazione ed enumerare le condizioni da essi convenute per il regolamento della nuova condizione di vita separata, senza potersi certo sostituire ad essi nella determinazione di tali condizioni od addirittura porre
statuizioni proprie; in tal senso, già si esprimeva, Cass., Sez. I, 7/2/1974 n° 343, in Banca dati Jus & Lex, dvd 2011; sono così
ammissibili, al più, solamente “l’indicazione dei punti critici od incongrui, consigli, chiarimenti, suggerimenti o sollecitazioni”, in sintonia con i poteri del collegio riguardo all’ipotesi della riconvocazione ex art. 158, co. 2, c.c., salva la reiezione,
allo stato, della domanda; infatti, neppure il collegio può apportare modifiche od integrazioni officiose, e neanche nell’interesse della prole in età minore, ma solo indicare le modificazioni da adottare per una soluzione idonea all’omologazione.
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CASSAZIONE
37
Evenienza codificata espressamente dall’art. 158, co. 2, c.c.; cfr. in punto, anche relativamente a quanto evidenziato in
nota precedente, LUMIA, La separazione consensuale, in Trattato di diritto di famiglia a cura di ZATTI, op. cit. in nota 2, 1297 ss.; ARCERI, Scioglimento del matrimonio e separazione dei coniugi, in Codice della famiglia a cura di SESTA, op. cit. in nota 2, I, 851 ss., sub
art. 158; SIRENA-BALLARINI, in Commentario breve al diritto di famiglia, a cura di ZACCARIA, op. cit. in nota 2, 503 ss., sub art. 158.
38
SAVI, Quali possibili obbligazioni contrattuali tra ex amanti divenuti genitori ?, in Dir. Fam. Pers., 2012, 246, in particolare sub
paragrafo 6.1.
39
Oltre quanto evidenziato in nota 36, v’è da puntualizzare come il consenso espresso alla nuova condizione di vita ed
al regime che la regolerà, non può essere indagato dal tribunale adito, in sé e per sé considerato, quanto ai motivi interiori
(espressi o meno che siano), né ad esso si può opporre veti, reputandosi dalla legge sufficiente, quella alternativa attribuibile alla volontà degli stessi coniugi (come evidente causa di sopraggiunta intollerabilità della prosecuzione della convivenza), a produrre gli stessi effetti prefigurati per l’ipotesi della domanda contenziosa, cui invece appartiene l’accertamento
della ricorrenza di una valida causa che giustifichi il sopravvenuto diritto alla separazione (art. 151, co. 1, c.c.).
40
È dato distinguere il consenso alla separazione coniugale, dal consenso espresso in ordine all’accordo sulle condizioni
del nuovo regime di vita separato, di natura negoziale, che da sostanza e fondamento alla separazione consensuale dei coniugi, pur compenetrandosi l’un con l’altro; ma è indubitabile che l’omologazione presuppone la ricorrenza di un consenso
espresso liberamente da ciascuno dei coniugi in modo serio e consapevole nelle forme indicate dal codice di rito; e quindi,
questo accertamento deve obiettivamente ricorrere, pur non essendo ravvisabile nell’atto di omologazione, come visto, una
funzione sostitutiva o integrativa della volontà delle parti o di governo dell’autonomia dei coniugi; un tale quadro appare
ben delineato in Cass., Sez. I, 20/11/2003 n° 17607, cit. in nota 16.
41
Testuale espressione di Cass., Sez. I, 5/3/2001 n° 3149, in Familia, 2001, II, 769, con nota di OBERTO; cfr. anche Cass., Sez.
I, 20/11/2003 n° 17607, cit. in nota 16; Id., 4/9/2004 n° 17902, in Fam. Dir., 2005, 508, con nota di PAGNI. Id., 8/5/2008 n° 11488, in
Fam. Dir., 2008, 1120, con nota di ARCERI.
42
In un precedente di merito, Trib. Firenze 9/2/1994, in Arch. Civ., 1994, 548, oltre alla declaratoria di nullità del ricorso ex
art. 710 c.p.c. sottoscritto dal coniuge personalmente, si esclude persino che tale nullità possa conseguire una qualche sanatoria, ed anche ove la procura al difensore risulti conferita successivamente al deposito del ricorso stesso.
43
L’identico operare della riconciliazione, sia per la separazione omologata, che per quella che trova titolo nella sentenza
è un dato pacifico; si cfr., per tutti, MARINI, La separazione personale dei coniugi, in La famiglia-Diritto civile, diretto da LIPARI e RESCIGNO, coordinato da ZOPPINI, Milano, 2009, 1, II, 304.
44
Da sottolineare che i figli in età minore non assumono la qualità di parte del giudizio di separazione coniugale; si richiama, per l’analisi delle implicazioni, SAVI, Legittimazione del figlio maggiorenne ad intervenire nel giudizio di separazione coniugale
dei genitori, in Giur. It., 2012, 1290, e l’anteriore scritto, Intervento del figlio maggiorenne nei giudizi coniugali/genitoriali aventi ad
oggetto il proprio mantenimento, ivi, 2011, 82.
45
In tema si segnala la recente analisi di BUGETTI, Le rinunzie ai diritti contenute nell’accordo di separazione, in Riv. Trim. Dir. Proc.
Civ., 2012, 957, pur non condividendosene l’ispirazione di fondo tesa a limitare l’autonomia negoziale dei coniugi, attraverso
un percorso che individua canoni d’inderogabilità.
46
Sul punto si richiama CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991.
47
Accordo negoziale di norma preventivo e che non raramente vede anche la presenza di accordi ulteriori a latere, non sottoposti ad omologazione; tema che si salda con la possibilità di procedere validamente a modificazioni successive a mezzo
di ulteriori atti negoziali omettendo di adire la sede deputata ex artt. 710, 711 c.p.c.; si richiama in merito, tra altre, Cass., Sez.
I, 20/10/2005 n° 20290, in Fam. Dir., 2006, 147, con nota di OBERTO, ed in Fam. Pers. Succ., 2007, 107, con nota di ZUCCHI.
48
Quanto alla prima questione basta richiamare la lucida analisi di FERRRANDO, La separazione consensuale, in La separazione
personale dei coniugi, a cura di ALPA e PATTI, Padova, 2011, 11; ma anche di RICCI, Della separazione personale dei coniugi, in Codice
della famiglia a cura di SESTA, op. cit. in nota 2, I, 2568, sub art. 711; e di LUMIA, La separazione consensuale, in Trattato di diritto di
famiglia a cura di ZATTI, op. cit. in nota 2, 1306; quanto alla questione della revoca del consenso e del momento finale in cui
può ammettersi, le ipotesi interpretative che possono configurarsi risultano agli antipodi e ci sembrano ben evidenziare tale
quadro, oltre alle op. appena cit., da un lato, il precedente di App. Venezia 11/6/1983, in Giur. It., 1984, 1, II, 666, con nota di
CIRILLO e MONOSI, Il controllo del giudice e l’autonomia dei coniugi nella separazione consensuale, che ammette la revoca unilaterale
del consenso sino a che non sia intervenuta l’omologazione; conformi su tale linea, tra altre, App. Brescia 18/5/2000, in Arch.
Civ., 2002, 204, con nota di SOLDI, e App. Reggio Calabria 2/3/2006, in Giur. Merito, 2007, 80, con nota di MEZZANOTTE; dall’altro
lato, la recente Cass., Sez. I, 30/4/2008 n° 10932, cit. in nota 14, (con nota di ARCERI, illustrativa anche dei diversi orientamenti,
Il consenso nella separazione consensuale, tra diritto al ripensamento, impugnazione per vizi della volontà e procedimento di modifica,
in Fam. Dir., 2008, 1122), che non l’ammette neppure nel corso della comparizione personale dei coniugi avanti al presidente del tribunale; in posizione mediana rispetto a queste due soluzioni se ne rinvengono altre; come già rilevato in nota
40, non sempre risulta nitida la differenza che corre tra il consenso alla separazione di per sé considerato (che da titolo alla
separazione e della cui revoca unilaterale si tratta), e la natura negoziale dell’accordo che ne fissa le condizioni, di norma
a rilevante contenuto economico-patrimoniale, e per il quale ultimo non si esclude che possa avere di per sé efficacia contrattuale vincolante tra i coniugi.
49
Secondo Cass., Sez. I, 20/11/2003 n° 17607, cit. in nota 16, il nuovo status di coniugi separati derivante dall’omologazione (una volta che il decreto è divenuto inoppugnabile) è di per sé obiettivamente irretrattabile, come meglio vedremo anche oltre nel testo, per le conseguenze legali che ne derivano, sia verso le parti che verso i terzi (salve ovviamente le evoluzioni successive); la volontà di conseguire detto status deve infatti ritenersi effettiva e comunque in antitesi con il precedente eventuale accordo simulatorio, di tal ché non si reputa ammissibile l’azione ex art. 1414 c.c.; ma nemmeno questa soluzione può dirsi tranquillizzante per l’interprete, come evidenziato nello scritto cit. in nota 38, in particolare p. 253-254, al
richiamo di nota 31. Al contrario dell’azione di simulazione di status, è invece pacificamente ammessa l’azione di annullamento per simulazione degli eventuali atti dispositivi costituenti le condizioni della separazione, nei confronti dei quali è
anche ammessa l’azione revocatoria (cfr. ivi i riferimenti al richiamo di nota 32).
50
Noto precedente rinvenibile in Fam. Dir., 2008, 1120, e fatta oggetto della stessa nota esplicativa di ARCERI, cit. in nota 48.
51
I limiti di questo scritto non consentono di allargare questa analisi oltre una certa misura; appare opportuno però
chiarire, come peraltro già cennato e come infra seguirà ancora nel testo, che qui non si vuol gettare scompiglio all’abitudine di ragionare secondo tranquillizzanti categorie collaudate sul piano della struttura e degli effetti, né si intende “attentare” alla giurisdizione “volontaria”, ma di rispondere adeguatamente al più modesto quesito del se la garanzia costituzionale del diritto alla difesa possa qualificarsi estranea all’esercizio dell’attività giurisdizionale attivata con la domanda
di separazione dei coniugi consensuale (appartenga essa o meno alla giurisdizione “volontaria”). Ciò non di meno, è bene
tenere in adeguata considerazione che la nozione di provvedimento giurisdizionale “definitivo e decisorio” in più di un oc-
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CASSAZIONE
casione è risultata, nella stessa giurisprudenza della Suprema Corte, quanto mai nebulosa; le citazioni poste (puntuale
l’analisi della dottrina su tali incertezze e sul livello di incisione dei diritti, rinvenibile in tutte le opere cit. in nota 3; rilevanti inoltre le precisazioni di DONZELLI, Le sezioni unite e il “giusto processo” civile; in Corr. Giur., 2005, 990; ID., Sul ricorso straordinario in cassazione avverso il decreto che omologa il concordato fallimentare in assenza di opposizioni, in Dir. Fall., 2012, 207) ne sono
la conferma più evidente, sicché un cenno è ineludibile anche nel nostro caso. Solo a ravvivare la memoria, il provvedimento
è intanto decisorio quando oggetto della decisione sia la tutela di diritti soggettivi e status, e tale statuizione sia idonea a
divenire incontrovertibile ed immutabile. Ora, nella specie, ricorrendo esattamente l’identico oggetto della tutela, si tratterebbe più semplicemente anche di porre in verifica soltanto le “affinità funzionali” dei due provvedimenti, in un settore del
diritto ove la cosa giudicata è comunque sottoposta alla clausola di salvaguardia a situazione data (modificabile e revocabile al mutare delle condizioni), e quindi difettando per principio l’immutabilità nel tempo. Ciò nonostante emerge comunque la problematica afferente l’altro requisito dell’incontrovertibilità. Questo quadro obiettivo ci porta allora in primo
luogo al richiamo del precetto costituzionale di cui all’art. 24, co. 1, Cost., che è inteso come garanzia di effettività rispetto
alle singole situazioni sostanziali. Certo la cosa giudicata (formale e sostanziale) “è il massimo suggello che un diritto soggettivo possa conseguire” (così testualmente, FAZZALARI, op. cit. in nota 3), ma ciò non esclude che il legislatore, cui appartiene ampia discrezionalità in materia processuale, possa optare per una tutela a stabilità modulata, in via speciale od alternativa,
in considerazione del diritto sostanziale sotteso, senza che da ciò si possa dedurne il venir meno, per la tutela prefigurata
di quei medesimi diritti e status, delle garanzie fondamentali (contraddittorio, difesa, ragionevole durata, terzietà ed imparzialità della decisione, motivazione, ecc.); anche se la certezza e stabilità del provvedimento finale così reso non è assoluta, ovvero è solo tendenziale, ciò non significa che possono revocarsi in dubbio le altre garanzie fondamentali che la
carta costituzionale impone alla legge processuale, quale è il diritto di difesa della parte che agisce in giudizio; al più sarebbe solo di dubitare in ordine alla legittimità costituzionale di una tale stabilità, per l’appunto, solo tendenziale, secondo
l’oramai antico quesito del se la nostra Costituzione (artt. 3, co. 1, 24, co. 1 e 2, 111, co. 1 e 2) imponga o meno che ogni diritto dedotto in giudizio possa essere affermato o negato dalla cosa giudicata (artt. 2909 c.c., 327 c.p.c.) e cioè, se la cosa giudicata sia o meno coessenziale alla tutela dei diritti (sulla quale questione rimangono fondamentali i contributi di CERINO
CANOVA e DENTI, opere cit. in nota 3, e che sembrano giunti ad opposte soluzioni).
52
Trattasi di Cass., Sez. I, 24/8/1990 n° 8712, cit. in nota 14, mentre la sentenza impugnata, App. Roma 3/7/1986, si rinviene
in Foro It., 1986, I, 3133. Gli altri precedenti si limitano alla mera declaratoria di inammissibilità allo scrutinio di legittimità
secondo il tralatizio rilievo della non definitività e non decisorietà, ovvero ad escluderne la deducibilità con il ricorso ex artt.
710, 711 c.p.c.; si tratta in particolare di Cass., Sez. I, 5/3/2001 n° 3149, cit. in nota 41; Id., 8/3/2001 n° 3390, cit. in nota 14; Id.,
4/9/2004 n° 17902, cit. in nota 41; Id., 22/11/2007, n° 24321, in Banca dati Foro It., dvd 2011; Id., 20/3/2008 n° 7450, ivi; Id.,
30/4/2008 n° 10932, cit. in nota 14, Cass., Sez. I, 8/5/2008 n° 11489, in Guida Dir., 2008, 33, 62.
53
La sede processuale si identifica in quella contenziosa ordinaria, anche in via di accertamento incidentale e nel corso
di procedimenti speciali (ad esempio, proprio in sede divorzile, in via oppositiva alla ricorrenza dei presupposti per conseguire validamente lo scioglimento del vincolo), od anche in sede di opposizione all’esecuzione come eccezione di nullità o
domanda di annullamento del decreto di omologazione per una delle cause descritte, quindi ivi compresa la questione
trattata in questo scritto (od il mancato esperimento del tentativo di conciliazione, il mancato intervento del P.M., il difetto
di costituzione del giudice, per limitarci ai possibili esempi più evidenti). Si ammette la cosiddetta actio nullitatis (in tal senso
MANDRIOLI, sin dallo scritto, Il procedimento di separazione consensuale, Torino, 1962, 127, poi, in L’assorbimento dell’azione civile di
nullità e l’art. 111 della Costituzione, Milano, 1967, e da ultimo riaffermata nell’opera cit. in nota 2), e da altri anche la disapplicazione (in tal senso, MONTESANO, Sull’efficacia, sulla revoca e sui sindacati contenziosi dei provvedimenti non contenziosi dei giudici civili, in Riv. Dir. Civ., 1986, I, 591).
54
Escludono la revocabilità ex art. 742 c.p.c. del decreto di omologazione della separazione consensuale dei coniugi, pur
con argomentazioni diverse, SCARDULLA, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, Milano, 2008, 933-935; SATTA, Diritto
processuale civile, agg. da PUNZI, Padova, 2000, 840-842, seppur desumibile dalle argomentazioni svolte nell’ambito dell’analisi generale sub art. 742 c.p.c.; DOGLIOTTI, Separazione e Divorzio, Torino, 1995, 29. Sembra propendere per una tale opinione
anche LUMIA, op. cit. in nota 37, 1931. Posizione favorevole alla eliminazione, per vie ordinarie, della situazione creata dal decreto di omologazione e non alla revoca in parola, è assunta invece da MANDRIOLI, op. cit. in nota 2, 122-123, il quale non
nega, peraltro, che “con l’acquisizione dell’efficacia del decreto di omologazione, i due coniugi acquistano lo stato di coniugi separati”,
rilevando poi, come cennato, che la revoca non è sufficiente a far venir meno tale status, sicchè ci si troverebbe a fronte di
una peculiare “stabilità”, seppur diversa da quella del giudicato. Posizione similare è quella espressa da DI BENEDETTO, Il passaggio in giudicato del provvedimento di omologazione della separazione consensuale quale pretesa condizione di proponibilità della successiva domanda congiunta di divorzio, in Dir. Fam. Pers., 2000, II, 104, che reputa potersi profilare “soltanto il rimedio della querela nullitatis”. Secondo CHIZZINI, La revoca dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, op. cit. in nota 3, “essendo assai controversa
la lettura dell’art. 742 c.p.c. non è concesso da quella disposizione dedurre con ragionevole sicurezza il grado di stabilità formale del provvedimento. Ogni soluzione è quindi rimessa all’analisi sistematica”. Posizione favorevole alla revoca ex art. 742 c.p.c. è assunta da
ARIETA, op. cit. in nota 2, capp. da 834.2 a 834.7, il quale si esprime senza incertezze, sull’assunto che “il decreto di omologazione della separazione consensuale è espressione di giurisdizione camerale in senso stretto, integrando una delle semplici ipotesi autorizzative-omologatorie”, e sulla base di una netta distinzione, all’interno del procedimento ex art. 711 c.p.c., di due separate
fasi (quella presidenziale e quella collegiale); a questa ricostruzione può obiettarsi che così non si attribuisce alcun valore
all’accertamento costitutivo di status e che il passaggio alla diversa “fase” collegiale (una volta conclusasi la comparizione
avanti al presidente del tribunale ed esauriti tutti gli incombenti prefigurati) non è desumibile neppure dalla previsione di
una qualche istanza di parte. Argomenti a conforto del contrario avviso in ordine alla revocabilità in questione, possono ulteriormente ricavarsi, da un lato, nella constatazione per cui le sole condizioni concordate possono essere soggette a modificazione, con il procedimento ex art. 710, 711 c.p.c., al mutare della situazione data; dall’altro lato, nella constatazione
per cui nella materia familiare sono presenti esempi in cui la revocabilità del decreto camerale che attinge diritti e status è
si ammessa, ma per espressa disposizione (quale quella di cui all’art. 333, co. 2, c.c.).
55
Si richiamano gli stessi precedenti cit. in nota 52 che precede; Per la giurisprudenza di merito, cfr., App. Milano 18/2/1997,
in Fam. Dir., 1997, 439, con nota di FIGONE; contra, Trib. Napoli 16/10/1996, in Gius, 1997, 1536. Il fondamento di una tale azione
può accertarsi, come detto, soltanto attraverso l’instaurazione di un autonomo giudizio di ordinaria cognizione e non in sede
di modificazione (camerale) ex artt. 710 e 711 c.p.c., presupponendo quest’ultima, proprio l’allegazione di una valida ed efficace separazione (consensuale).
56
Cfr., tra le tante, Cass., Sez. I, 10/9/2004 n° 18248; e Id., 10/11/1994 n° 9393, entrambe in Banca dati Platinum Utet, dvd 2012.
Per effetto della recente C. Cost. 20/11/2009 n° 310, in Fam Dir., 2010, 449, ora sembra acquisito che anche i decreti del Tribunale minorile sono esecutivi.
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CASSAZIONE
57
Rinvenibile in Foro It., 1989, I, 935; ed in Dir. Fam. Pers., 1988, 700, con nota di MOROZZO DELLA ROCCA.
Precisazione diffusa nei precedenti citati; cfr., per tutte, Cass., Sez. I, 15/5/1997 n° 4306, cit. in nota 33.
59
Individua la funzione dell’omologa con le esigenze pubbliche di certezza dello status e delle sue modifiche, FERRANDO,
Il matrimonio, in Trattato dir. civ. comm., CICU-MESSINEO-MENGONI, V, 1, Milano, 2002, 120; tesi ripresa dall’autrice, in La separazione
consensuale, op. cit. in nota 48, 11-14; in tal senso si era già espresso F. FINOCCHIARO, Del matrimonio, in Commentario del codice
civile SCIALOJA-BRANCA, a cura di GALGANO, II, Bologna-Roma, 1993, 475, che rileva come “il decreto di omologazione fa sì che i coniugi acquistino lo stato di separazione, uno stato che può mutare solo con la riconciliazione e con il successivo divorzio”; per tale ragione, l’a. ritiene che il decreto non è soggetto a revoca; “ma, poiché tale stato acquista efficacia solo quando sia trascorso il termine previsto dagli artt. 739, 741 c.p.c., la revoca del provvedimento è ammissibile quando il tribunale riscontri un’illegittimità del procedimento o del decreto prima della scadenza di cotesto termine”; in senso del tutto analogo anche GIACOBBE-VIRGADAMO, Separazione
personale e divorzio, in Trattato dir. civ., diretto da SACCO, 3, II, Torino, 2011, 460. Si richiamano in particolare poi le opere citate
in nota 54, nonché, più in generale, in nota 27. Nella giurisprudenza della Corte di legittimità l’assunto sembra oramai netto
e consolidato, come emerge specificatamente, tra altre, ancora in Cass., Sez. I, 20/11/2003 n° 17607, cit. in nota 16; esattamente ripresa da Cass., Sez. I, 30/4/2008 n° 10932 cit. in nota 14.
60
In tema è sufficiente richiamare la recente, Cass., Sez. I, 26/2/2010 n° 4757, in Foro It., 2010, I, 1772.
61
Risalenti sono infatti i precedenti che segnavano il capovolgimento dell’anteriore tradizionale opinione, di cui a Cass.,
Sez. I, 7/12/1994 n° 10512, in Foro It., 1995, I, 1202, con nota di SALMÈ, e di Cass., Sez. I, 17/3/1995 n° 3098, in Giur. It., 1996, I, 1,
68, con nota di LENTI; si segnalano peraltro le più recenti, Cass., Sez. I, 29/3/2005 n° 6625, in Banca dato Platinum Utet, dvd
2012; Id., 20/3/2008 n° 7450, in Fam. Pers. Succ., 2008, 1034; in tema utile anche Cass., Sez. I, 15/9/2011 n° 18853, in Giur. It., 2012,
1540, con nota di RIZZUTI.
62
Rito effettivamente consono alla materia di famiglia, semplice e celere ma con tutte le garanzie della cognizione, conosciute come essenziali al rito civile, e così il contraddittorio, la difesa, il diritto alla prova, l’ammissione al controllo ed
all’impugnazione di legittimità (magari uno a cognizione piena ed uno a cognizione sommaria, a seconda della concreta materia del contendere), cui è comunque indispensabile la previsione di tutela anticipatoria/cautelare a monte ed una efficace
tutela esecutiva/attuativa a valle; ovviamente con adeguate ricadute processuali, diversificate e semplificatorie, ove ricorra
l’ipotesi auspicata del consenso e dell’accordo dei coniugi sulla soluzione da dare alla crisi familiare, tanto più che proprio
il perseguimento della soluzione concordata costituisce il postulato del ricorso all’ausilio di esperti in mediazione familiare
di cui all’art. 155sexies, co. 2, c.c. (che può disporsi anche in sede di procedimento per separazione consensuale -in tal senso,
Trib. Lamezia Terme 11/3/2010, in Fam. Minori, 2010, 10, 70-, al pari degli altri mezzi di prova e dell’audizione dei figli in età
minore di cui al medesimo art. 155sexies, co. 1, c.c. -in tal senso, tra altri, CARNEVALI, op. cit. in nota 27, 64; LUMIA, op. cit. in nota
37, 1886-). In tema di mediazione e processo civile destano interesse le riflessioni da ultimo formulate da TOMMASEO, Mediazione familiare e processo civile, in Fam. Dir., 2012, 831. Peraltro, è ben noto il fenomeno sociologico della propensione dei
coniugi verso soluzioni consensuali o, se si vuole, domestiche, alla crisi del rapporto, e la coerente diffidenza per lo strumento, intrusivo, di soluzioni imperative terze dei conflitti incidenti sugli affetti e le relazioni familiari; e d’altronde, la crisi
familiare non è sempre causata dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, né l’eventuale violazione assume necessariamente quel carattere tale da imporre lo strumento della soluzione giurisdizionale statuale di un conflitto astratto;
per quanto importante possa risultare l’aspetto “sanzionatorio”, assumono rilievo preminente gli altri valori. Queste riflessioni ci danno anche l’ulteriore spunto per porre in evidenza il paradosso sotteso all’opzione interpretativa che a fronte
del ricorso all’ausilio del mediatore familiare per il raggiungimento dell’accordo dei coniugi/genitori (finalità che, come abbiamo evidenziato, permea ed ispira il vigente ordinamento sostanziale e processuale), per la formulazione del suo risultato, sul versante prettamente tecnico-giuridico, non reputi necessario contare sull’apporto del difensore.
63
Sul punto risultano tutt’oggi fondamentali le distinzioni di CERINO CANOVA, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimenti
camerali e giurisdizione volontaria, op. cit. in nota 3.
64
Per usare la testuale espressione di Cass., Sez. I, 9/10/2007 n° 21099, in Foro It., 2008, I, 128, con nota di CASABURI.
65
L’esercizio di una tale azione a tutela di quel diritto sostanziale (ad ottenere il provvedimento di status in questione e
la regolamentazione dei diritti ed interessi che coinvolge, per il solo consenso), è un’opzione che garantisce non soltanto
una rapida pronuncia giurisdizionale, ma evita, solo per limitarci ad un esempio tra i tanti possibili, il radicarsi di conflittualità relazionali che magari possono altrimenti divenire irreversibili (conflittualità che di norma finisce per coinvolgere
anche i figli, cui l’ordinamento appresta comunque tutela preminente), assicurando quindi uno o più beni non altrimenti
conseguibili; ed al principio della domanda (art. 99 c.p.c.) corrisponde il dovere decisorio (art. 112 c.p.c.), in rapporto di esatta
correlazione; interessanti spunti su tale correlazione tra la domanda di separazione consensuale, l’accordo dei coniugi ed
il provvedimento di omologazione, si rinvengono anche in, Cass., Sez. I, 8/11/2006 n° 23801, cit. in nota 16.
66
A questo punto è opportuno riprendere il discorso interrotto in nota 51 e più sopra nel testo. Gettando lo sguardo oltre il tema circoscritto che qui ci ha occupato, due riflessioni conclusive: intanto la constatazione che il legislatore nel mantenere ferma la struttura originaria, ante costituzione, del procedimento ex art. 711 c.p.c., nonostante la poderosa serie di
riforme che hanno attinto il diritto di famiglia, sia sul versante sostanziale che su quello processuale, è stato malaccorto
nel non riservare alla separazione per mero consenso uno strumento processuale di tutela similare a quello previsto per il
divorzio a ricorso congiunto (posto che non sembra condivisibile la tesi minoritaria che reputa estensibile il procedimento
ex art. 4, co. 16, l. div., alla separazione consensuale, in virtù del rinvio ex art. 23 L. 6/3/1987 n° 74; in tal senso però, Trib. Bari
3/3/1993, in Foro It., 1993, I, 1274), fondato sulla concorde domanda dei coniugi e comunque da definirsi con sentenza, risolvendo in radice le difficoltà ed i “rischi” per il coniuge che intraprende la strada di una separazione consensuale (pur rinvenendosi nell’ordinamento codificato un evidente favor conciliationis); e poi, ci si chiede, prendendo atto come nell’esperienza concreta è ben raro imbattersi in contenziosi che rimettano in discussione il decreto di omologazione, se non siano
oramai maturate le condizioni per una questione di legittimità costituzionale (diritto a conseguire il giudicato ad effettiva
tutela del diritto sostanziale riconosciuto dall’ordinamento), ovvero, se non sia giunto il tempo per tentare una diversa ricostruzione sistematica per il decreto in parola, come atto conclusivo capace di produrre almeno un giudicato sostanziale
di status, ovvero di dar luogo a quel fenomeno ad esso assimilabile negli effetti, della preclusione pro judicato (domanda di
tutela di un diritto soggettivo o status, correlativo dovere decisorio, motivazione, incontrovertibilità al vano decorso dei termini per le impugnazioni, compresa quella di legittimità). Gli “ingredienti” sembrano potersi rinvenire e d’altronde, nell’insegnamento della Cassazione, si colgono importanti aperture su tale versante; infatti, ad esempio, fino a Cass., Sez. I,
30/10/2009 n° 23032; e Id., 4/11/2009 n° 23411 (entrambe in Fam. Dir., 2010, 113, con nota di DOSI), il decreto del tribunale minorile, emesso a conclusione del procedimento camerale ex art. 317bis c.c. e 38 disp. att. c.c., veniva tralatiziamente qualificato non definitivo, né decisorio, ma poi è stato finalmente ammesso alla tutela di legittimità, con una rilettura complessiva della funzione di quel giudizio.
58
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 51
MEDIAZIONE E CONCILIAZIONE
IL FUTURO DELLA
MEDIAZIONE CIVILE DOPO
L’INTERVENTO DELLA
CORTE COSTITUZIONALE
MATILDE GIAMMARCO
(AVVOCATO COMPONENTE DELL’ESECUTIVO
DELL’OSSERVATORIO E PRESIDENTE DELLA SEZIONE DI CHIETI)
a Corte Costituzionale il 23 ottobre 2012 attraverso un laconico, quanto sintetico, comunicato stampa ha dato la notizia di “aver dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del decreto legislativo 4 marzo 2010
n. 28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione”.
Ad essere investito dell’incostituzionalità, sia pur
relativamente solo all’aspetto dell’eccesso di delega,
è l’art. 5 comma primo, periodo primo, secondo e
terzo del richiamato decreto legislativo laddove prevede che “chi intende esercitare in giudizio
un’azione relativa ad una controversia in materia di
condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto
di azienda, risarcimento del danno derivante dalla
circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità
medica e da diffamazione con il mezzo della stampa
o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari è finanziari, è tenuto preliminarmente
a esperire il procedimento di mediazione ai sensi
del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre
2007 n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’art. 128 bis del testo unico delle leggi in
materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385 e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.”
Per poter effettuare qualsivoglia minima valutazione sul richiamato “pre-annuncio” decisionale alla
luce della particolare sensibilità che ha caratterizzato, fin qui, l’applicazione dell’istuto da parte dei
pratici, appare necessario ricostruire il quadro storico e giuridico utile a comprendere come si è arri-
L
52 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
vati alla formulazione della disciplina oggi posta all’attenzione dell’organo costituzionale.
La scelta del legislatore del 2010 è stata una scelta
stimolata e voluta, innanzitutto, dall’esperienza europea e questo sia nel senso che da sempre l’ordinamento comunitario ha posto il problema dell’ADR
come una “priorità politica”, così come ampiamente
sottolineato nel Libro Verde predisposto dalla Commissione Europea nel 2002 e volto a disciplinare i
modi alternativi di risoluzione dei conflitti, ossia le
procedure non giurisdizionali di risoluzione delle
controversie condotte da una parte terza neutrale
ad esclusione dell’arbitrato, ( cfr. Commissione delle
Comunità Europee - Bruxelles 19 aprile 2002 Libro verde
relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale), sia perché, con
l’approvazione della direttiva comunitaria n.
2008/52/CE, si è reso necessario recepire nel diritto
interno molte delle scelte provenienti dall’esperienza europea, e questo a prescindere dall’argomento, più volte sollevato soprattutto dgli oppositori dell’istituto mediativo, che la normativa europea riguarda esclusivamente le controversie transfrontaliere. (cfr. Direttiva 2008/52/CE del Parlamento
Europeo e del Consiglio del 21.05.2008 relativa a determinati aspetti della mediazione civile e commerciale)
Il legislatore italiano, pertanto, era obbligato ad offrire una disciplina completa del modello conciliativo per le controversie interne e poi anche per le
controversie transazionali. Tutto questo doveva accadere entro il 2011, poiché il recepimento della direttiva in Italia era fissato al 21 maggio 2011, fatta
eccezione per la disposizione dell’art. 10 (informazioni sugli organi giurisdizionali e sulle autorità
competenti comunicate dagli Stati membri ai sensi
dell’art. 6 paragrafo 3, per il quale tale data era fissata per il 21 novembre 2010.
Tanto era necessario, anche, nel rispetto ed in prosecuzione di altre esperienze che nel corso degli
anni hanno dato vita a singoli modelli di risoluzione
alternativa dei conflitti: il riferimento evidente è, dal
punto di vista dell’ordinamento interno, al sistema
camerale conciliativo ed a quello societario.
Il primo demandato alle Camere di Commercio
che per loro costituzione rivestono un ruolo dominante nell’esperienza conciliativa, poiché la disciplina relativa al riordino aveva posto tra le attribuzioni primarie degli organismi camerali quello di
promuovere la costituzione di commissioni arbitrali
e conciliative per la risoluzione delle controversie
tra imprese e tra imprese e consumatori ed utenti
(cfr. art. 2 L. 29.12.1993 n. 580)
Il secondo tentativo è stato quello della conciliazione
societaria individuata come modello di risoluzione di
tutte le controversie societarie, sia pur in forma facoltativa (cfr. artt. 38 - 40 D.lgs. 17.01.2003 n. 5).
Questi sistemi avevano anticipato in qualche
modo il decreto delegato tant’è che esso ne rappre-
MEDIAZIONE E CONCILIAZIONE
senta certamente la continuazione “generalizzata”
introducendo, sullo schema di quanto previsto dal
legislatore “societario” un sistema di mediazione
“amministrata” ossia effettuata attraverso appositi
organismi, costituiti ad hoc ed accreditati presso il
Ministero della Giustizia, pensati , come si legge
nella relazione che accompagna il decreto, quali
“strumenti di serietà ed efficienza”.
Il decreto legislativo imposta, quindi, un sistema
complesso di mediazione, ne fissa i principi e regolamenta la procedura, struttura gli organismi, detta
i requisiti relativi ai mediatori ed alla loro formazione, disciplina gli organismi deputati alla formazione ed all’aggiornamento dei mediatori stessi.
Il sistema appare al legislatore delegato assolutamente conforme a Costituzione.
In proposito occorre rammentare, come sottolineato sempre nella relazione introduttiva al decreto
legislativo, che “la Corte Costituzionale ha più volte
giudicato legittimo il perseguimento della finalità
deflattiva dell’istituto , realizzato attraverso il meccanismo della condizione di procedibilità. Si tratta,
infatti, di una misura che, senza impedire o limitare
oltremodo l’accesso alla giurisdizione, si limita a differirne l’esperimento, imponendo alle parti oneri
obiettivamente non gravosi, volti, anzi, a dare soddisfazione alle loro pretese in termini più celeri e
meno dispendiosi” , strumento in grado di assicurare alla domanda di mediazione gli stessi effetti sostanziali e processuali che la domanda giudiziale
produce sul diritto controverso. Ed ancora “la condizione di procedibilità si pone perfettamente in linea con la direttiva della legge delega poiché l’art.
60, comma 3, lettera a) legge n. 69 del 2009 stabilisce
come unico limite all’esercizio della delega che la
disciplina della mediazione non può precludere l’accesso alla giustizia. (…) e non vi è dubbio, prosegue
la relazione, che la disciplina dell’art. 5 comma 1 del
decreto, regolando l’ipotesi di una condizione di pro-
cedibilità e non di proponibilità della domanda, realizzi un punto di equilibrio tra diritto d’azione ex art.
24 Cost ed interessi generali alla sollecita amministrazione della giustizia ed al contenuto dell’abuso
del diritto alla tutela giurisdizionale.”
Tanto è apparso anche al Parlamento europeo che
con la Risoluzione del 13 settembre 2011 ha sottolineato come “ il decreto legislativo n. 28 punta a riformare il sistema giuridico ed ad alleggerire il carico di lavoro dei tribunali italiani, ( cfr. Risoluzione
Parlamento Europeo 13.09.2011 sull’attuiazione della direttiva sulla mediazione negli stati membri, impatto della
stessa sulla mediazione e sua adozione da parte dei tribunali), ugualmente la Commissione europea nelle
Osservazioni scritte del 2 aprile 2012 ha evidenziato
come “la previsione dell’obbligatorietà è giustificabile dalla finalità di perseguire legittimi obiettivi
d’interesse generale quali quello di consentire una
risoluzione più rapida e più economica delle controversie e pertanto di decongestionare i tribunali.
Rispetto a tali obiettvi la mediazione obbligatoria
appare non manifestamente sproporzionata non
esistendo un’alternativa meno vincolante capace di
raggiungere i suddetti obiettivi.” (cfr. Osservazioni
scritte della Commissione Europea alla Corte di Giustiza
presentate si sensi dell’art. 23, 2 dello Statuto della Corte
di Giustizia dell’Unione Europea - domanda vertente sull’interpretazione della direttiva 2008/52/CE alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea)
L’odierno sintetico comunicato del Giudice costituzionale rischia di mettere in discussione questo
complesso impianto sia pur limitatamente all’aspetto dell’eccesso di delega.
Tale profilo però, come da più parti evidenziato, in
quanto attinente ad un aspetto meramente tecnico
e formale certamente non incide sull’opportunità,
ed io direi necessità, da più parti riconfermata, di
una disciplina sistematica della mediazione, qual è
certamente quella offerta dal legislatore italiano,
profilo che verosimilmente potrà essere superato
con un intervento legislativo ad hoc.
Non a caso in questo momento e, quindi, ancor
prima del deposito della sentenza da parte della
Corte Costituzionale, sono già stati presentati in Parlamento emendamenti alla prossima legge di stabilità, volti, in qualche misura, a ripristinare l’obbligatorietà del tentativo di mediazione superando il
censurato profilo di legittimità costituzionale ( cfr
in particolare a) emendamento presentato dall’On.le Di
Lillo sostenuto dal movimento ADR italiano nel quale
viene proposta una sperimentazione della mediazione obbligatoria fino al 31.12.2017 e, nel caso di proposta di conciliazione del mediatore, l’assistenza degli avvocati delle
parti; b) emendamento AC 5534 bis che sana l’eccesso di
delega (On.li Aracu e Birguglio); c) emendamento presentato dall’On.le Occhiuto sostenuto da Asimec, che prevede
l’obbligatorietà con norma di legge, estesa per cinque anni
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 53
MEDIAZIONE E CONCILIAZIONE
a tutte le controversiein materia di diritti disponibili e il
raddoppio delle sanzioni in caso di assenza ingiustificata
della parte chiamata in mediazione).
Ma al di là del dato formale, l’intervento della
Corte potrà necessariamente far scaturire una riflessione su come questo complesso meccanismo
attivato dal legislatore del 2010 non possa essere facilmente superato, perché la disciplina generale del
procedimento di mediazione resta in vigore, ed anzi
lo stesso dovrà essere potenziato e alleggerito dei
suoi punti di criticità evidenziati in questo periodo
di sperimentazione e vigenza dell’istituto.
Resta in piedi, infatti, tutta la disciplina processuale
e procedurale, in particolare la mediazione facoltativa prevista all’art 2 “ Chiunque può accedere alla
mediazione per la conciliazione di una controversia
civile e commerciale vertente su diritti disponibili”;
nonché la mediazione demandata dal giudice “il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la
natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere alla mediazione.” (art. 5 comma 3).
Resta in piedi la disciplina procedimentale, nonché quella che regolamenta i requisiti dei mediatori,
la loro formazione ed il funzionamento degli Organismi.
Un sistema complesso e composito del quale è
necessario superare in termini propositivi e non
abrogativi le obiettive criticità: necessità di una
maggiore formazione dei mediatori, abbassamento
delle tariffe, estensione dell’obbligatorietà a tutte le
controversie relative a diritti disponibili introducendo previsioni normative di raccordo in relazione
a particolari materie, come ad esempio, i diritti reali,
le divisioni e le successioni, eliminazione della possibilità di formulazione della proposta da parte del
mediatore collegata ad un aumento degli oneri economici per le parti, incremento degli incentivi fiscali, riflessione sul sistema sanzionatorio a carico
54 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
delle parti che volutamente si sono sottratte al procedimento o comunque che non hanno accettato
proposte in sede conciliativa.
È necessario, dunque, portare a compimento questo processo evolutivo nato principalmente allo
scopo di decongestionare il contenzioso anche se
non possiamo fare a meno di sottolineare che comunque il provvedimento legislativo ha avuto la
funzione ben più significativa di aprire la strada ad
un percorso per uno storico rinnovamento culturale
volto a elaborare un’alternativa all’amministrazione
della giustizia attraverso la creazione di strumenti
efficaci tesi a rivalutare il rapporto tra cittadini e
giurisdizione per una soluzione “autodeterminata”
del conflitto.
Probabilmente siamo ancora molto lontani dal ritenere che il sistema attuale abbia trovato un suo
punto di equilibrio e questo perché siamo ancora distanti dalla cultura che ha visto in altri paesi affermare la mediazione come un meccanismo efficace
ed efficiente.
Dobbiamo ancora imparare a guardare alla funzionalità dell’istituto in una diversa prospettiva che
non sia quella “giurisdizionale” ma necessariamente debba essere quella “sociale”.
Dobbiamo, cioè, riconoscere pienamente alla mediazione il ruolo di strumento “civilistico” di tutela
degli interessi e questo perchè la mediazione è diversa dal giudizio volto alla tutela dei diritti ma non
è neanche un contratto, quale principale strumento
dell’ espressione dell’autonomia delle parti, ma racchiude in sé la strutturazione di un procedimento
propria del primo e la libertà e l’autonomia caratteristiche del secondo.
L’idea, insomma non può che essere quella che la
mediazione oggi potrebbe imporsi come strumento
efficace di risposta alle esigenze di giustizia provenienti dal basso e questo garantendo ed incentivando i percorsi di fuoriuscita dalla definizione contenziosa del conflitto molto spesso troppo onerosa
sia in termini di costi che di tempi.
Per far questo è importante che tutti gli appartenenti al “contesto giustizia” ripensino il loro ruolo e
questo sia i soggetti tradizionali quali i giudici e gli
avvocati, ma anche i mediatori, gli organismi di mediazione e di formazione, in un rapporto sinergico
di collaborazione dove fondamentale è l’esigenza di
un cambiamento di vedute soprattutto da parte
della classe forense che si avvicina alla mediazione,
poichè è importante che essa comprenda bene il
contesto nel quale è chiamata ad operare e nel
quale verrà chiamata sempre più a contribuire alla
gestione di un servizio utile alla tutela degli interessi delle parti. e che porterà le parti ad un accordo
che nella maggior parte dei casi potrà rapprsentare
effettivamente la migliore soluzione possibile.
Su tutto questo, oggi, non possiamo tornare indietro.
PARI OPPORTUNITÀ
DALLE QUOTE
DI GENERE ALLA PARITÀ
DI RAPPRESENTANZA
di CLAUDIA ROMANELLI
AVVOCATO DEL FORO DI BARI E RESPONSABILE
DELLA REGIONE PUGLIE DELL’OSSERVATORIO
toricamente le istituzioni non si sono mai preoccupate di individuare sistemi tesi al riequilibrio della rappresentanza anche perché si
pensava che il concetto di rappresentanza politica
fosse un concetto neutro.
Abbiamo dovuto aspettare gli anni ottanta nel
corso dei quali, in Europa prima che in Italia, hanno
individuato delle strategie di intervento mutuando
dagli Stati Uniti le cd affermative actions che costituivano una forma di tutela delle minoranze e, in
particolare, contrastavano le discriminazioni razziali.
In Italia la legge n. 83 del 1993 introduce le cd.
quote rosa sia a livello nazionale che locale, ma la
Corte Costituzionale, con sentenza n. 422 del 1995, la
dichiara incostituzionale affermando che in materia
elettorale l’art. 3 della Costituzione, che declina
l’uguaglianza formale, non può prevalere sul principio di uguaglianza sostanziale.
S
L’effetto devastante di tale sentenza paralizzò
l’opera del legislatore che non si preoccupò più della
rappresentanza di genere in ambito elettivo nazionale. Tuttavia le Regioni più avanzate nella riformulazione dei loro statuti, indicarono comunque il limite della presenza di un genere rispetto all’altro
(2/3) per garantire almeno la eleggibilità delle donne,
stabilendo sanzioni pecuniarie nel caso in cui il limite non fosse stato rispettato.
Nel 2001 comincia il processo di revisione costituzionale e viene modificato l’art. 117 che al comma
sette introduce la seguente disposizione mutuata
dalle regioni a statuto speciale “le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.”
Il percorso in Italia è ancora molto lento, mentre
in Europa viene redatta la Carta di Nizza nel 2001
che entra in vigore nel 2003 stabilendo che il principio di parità non osta all’adozione di misure che
prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.
Nel luglio 2002 viene promulgata la legge regionale elettorale della Valle d’Aosta che introduce le
quote e sebbene contestualmente fosse in corso il
processo di revisione dell’art. 51 della Carta Costituzionale, il Governo, recalcitrante al principio di
uguaglianza sostanziale in materia elettorale, im-
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 55
PARI OPPORTUNITÅ
pugna la legge elettorale della Valle D’Aosta. Fortunatamente a contrastare il governo che dovrebbe amministrare la politica democraticamente ed in ossequio ai principi costituzionali, c’è
la Corte Costituzionale che, investita della questione, salva la norma regionale con la sentenza
n. 49 del 2003.
Nell’occasione la Corte impartisce al Governo la
seguente lezione: le Regioni non si devono limitare a riconoscere eguale possibilità dei due sessi
di accedere alle cariche elettive ma devono promuovere la parità introducendo meccanismi che
valgono a controbilanciare lo svantaggio che tuttora caratterizza la posizione delle donne nell’accesso a tali cariche. Almeno sotto il profilo della
candidabilità si garantisce l’accesso alla competizione elettorale.
Si definisce poi la revisione dell’art. 51 della Costituzione con la legge n. 1 del 2003 che introduce il
principio di parità sostanziale anche in ambito elettorale.
Vero è che l’art. 51 è stato tacciato di estrema genericità e quindi di inefficacia perché parla di provvedimenti e non di leggi e questo implicherebbe una
discrezionalità nel legislatore che può continuare a
non legiferare in materia…
A livello locale molte sono state le Regioni che
hanno garantito nei loro statuti il principio di parità
e il mancato rispetto ha visto cadere intere giunte
comunale e regionali per mano dei Tar e del Consiglio di Stato.
La più recente è quella del Consiglio di Stato (n.
3670/2012) che ha dichiarato illegittima la giunta
della Regione Lombardia nella quale era stata nominata solo una donna.
Anche il Testo Unico degli Enti Locali D.Lgs. n.
267/2000 all’art. 6 afferma che “gli statuti comunali e
provinciali devono stabilire norme che assicurano le condizioni di pari opportunità uomo e donna ai sensi della
legge 125/91 nonchè per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del Comune e della Provincia nonché negli enti aziende e istituzioni da essi dipendenti”.
Per le elezioni al Parlamento europeo, le quote
sono state introdotte con la legge 90 del 2004 secondo la quale nessuno dei due sessi può essere
rappresentato in misura superiore ai 2/3 a pena di
sanzioni economiche crescenti fino alla inammissibilità della lista, mentre vi è un principio di premialità, se c’è una maggioranza femminile.
Possiamo dire che nelle ultime elezioni del 2009
c’è un buon 35% di donne. Certo il merito non è attribuibile all’Italia che ha invece confermato il suo
deficit di rappresentanza democratica assestandosi
su una presenza femminile del 25%, laddove paesi
come la Svezia e la Finlandia hanno eletto più
donne che uomini e la Francia e i Paesi Bassi hanno
il 40% di donne.
56 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
Le quote all’interno del potere economico
Ulteriore intervento in favore del riequilibrio di
genere è costituito dall’inserimento delle donne ai
vertici delle società per azioni quotate in borsa e
quelle a partecipazione pubblica.
Con la legge n. 120 del 2011 si sono introdotte le
quote all’interno dei consigli di amministrazione
delle società a patrimonio pubblico e quotate in
borsa.
L’esigenza era dettata dall’esigua percentuale di
donne presenti nei cda che non sfiora la soglia del
7%.
Il 3.8.2012 il consiglio dei Ministri ha approvato il
regolamento attuativo della legge per le società a
partecipazione pubblica che è in attesa di essere approvato dal Consiglio di Stato per poi passare all’approvazione definitiva.
Si prevede che gli organi sociali siano rinnovati
per almeno 1/5 dei propri componenti con il genere
meno rappresentato e poi con i successivi rinnovi
dovranno raggiungere la presenza di 1/3 entro il
2015 fino ad arrivare al 2022, anno in cui la legge dovrebbe esaurire la sua efficacia.
Tuttavia sul regolamento sono state espresse alcune criticità laddove si prevede che la verifica dell’attuazione della presente legge sia affidata alla
presidenza del Consiglio o al Dipartimento delle pari
opportunità. Si è invece suggerito che sarebbe stato
maggiormente efficace un controllo da parte del registro delle imprese già deputato al controllo degli
organi societari e della loro composizione. La irregolare composizione non comporterebbe delle sanzioni economiche ma la decadenza del CDA.
Se la legge non resterà lettera morta potrà essere
un felice strumento per l’ingresso di una presenza
femminile che implicherà non solo quell’indispensabile ottica di genere ormai irrinunciabile per ogni
operatore economico sociale e politico ma anche un
rinnovamento nel settore economico e nella pubblica amministrazione con accesso di nuovi talenti
e nuove professionalità.
Oltre le quote…
Un salto di qualità lo ha fatto la Regione Campania che ha promulgato una legge elettorale che
introduce la doppia preferenza ossia la facoltà di
votare fino a due candidati purchè siano di sesso
differente pena la nullità della seconda preferenza.
Anche questa legge elettorale, introduttiva di questo nuovo strumento riequilibratore di genere, è
stata impugnata dal Governo, ma la Corte Costituzionale, con esemplare sentenza n. 4 del 2010 la dichiara legittima e afferma che, preso atto della storica sottorappresentanza delle donne nelle assemblee elettive non dovuta a preclusioni formali incidenti sui requisiti di eleggibilità ma a fattori culturali e sociali, il legislatore costituzionale e statutario
PARI OPPORTUNITÅ
indicano la via delle misure specifiche volte a dare
effettività ad un principio di eguaglianza astrattamente sancito ma non compiutamente realizzato
nella prassi politica ed elettorale.
Si dà quindi accesso a quelle misure che in concreto possano realizzare una parità effettiva e nella
regione Campania sono state elette per la prima
volta 14 consigliere.
In questi mesi la Regione Puglia è in procinto di
varare la nuova legge elettorale.
Di fatto però le donne non si sono fidate dei partiti e quindi, riunite in un comitato promotore,
prima dell’approvazione della nuova legge, hanno
promosso una petizione popolare con raccolta di
firme per poter introdurre nuovi strumenti atti a riequilibrare la rappresentanza che vanno oltre le
quote di genere: si chiede la presenza dei due sessi
al 50% pena la inammissibilità della lista quindi
non più quote rosa ma rappresentanza paritaria,
inoltre, come per la Campania, si è prevista la doppia preferenza nonchè la presenza mediatica paritaria in campagna elettorale.
Anche se i partiti si dichiarano tutti favorevoli alla
introduzione di tale riforma, si teme che il consiglio
regionale con il voto segreto possa vanificare gli
sforzi messi in campo dalle donne di Puglia in considerazione del rischio altissimo di non veder riconfermare i propri candidati già collaudati per il
consenso elettorale e non solo…
La petizione si chiama 50 e 50 perché in un paese
democratico la rappresentanza non può essere affidata alle quote ma ad una parità di presenze partendo dalla scontata premessa che la società civile è
composta per metà dal genere femminile. Il mancato
rispetto di tale principio, costituzionalmente garantito, non può essere sanato con l’applicazione di sanzioni economiche, peraltro mai versate, ma con la
sanzione della inammissibilità della lista illegittima.
Infine è inutile dire che la presenza di uno o due
donne in un consesso può non servire, è infatti il
dato quantitativo che fa la differenza perché ci sia
un reale cambiamento nella società e nella gestione
della cosa pubblica..
Eppure il timore che la petizione non superi il consenso del consiglio regionale è fondato. La inammissibilità della lista che non preveda la presenza
del 50% di genere diverso dall’altro, resta un ostacolo difficile da superare. Ai singoli consiglieri, si sa,
preme comunque mantenere la loro posizione di
potere, consapevoli che una normativa come quella
del 50 e 50, li pone tutti a rischio di uscita. Continuano imperterriti ad attribuire le responsabilità
della sottorapresentanza alle stesse donne restie a
candidarsi e ad interessarsi di politica.
Ma questo è, come tanti, un luogo comune che va
superato mettendo in campo ogni possibile strumento per rimuovere un modello, quello maschile,
che, oggi potremmo dire, ha fallito…
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 57
DOCUMENTI
DOCUMENTO
PSICOFORENSE SUGLI
OSTACOLI AL DIRITTO
ALLA BIGENITORIALITÀ
E SUL LORO
SUPERAMENTO
La legislazione italiana in ossequio alla Costituzione italiana, alla Convenzione dei Diritti del Fanciullo di New York, alla Convenzione di Strasburgo
ed alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo
pone a fondamento dei rapporti familiari la bigenitorialità, ovvero il diritto dei minori a rapportarsi in
maniera armonica ed equilibrata con i propri genitori e con le rispettive famiglie di origine.
Le condotte volte ad ostacolare l’esercizio di tale
diritto risultano pertanto censurabili e possono a
volte configurare un maltrattamento.
Capita talora che, per il prevalere di dinamiche di
coppia particolarmente disfunzionali, il genitore
presso il quale il figlio è prevalentemente collocato trasmetta al figlio stesso l’ostilità verso l’altro genitore.
Ciò può avvenire per via indiretta (il bambino si
appropria delle reazioni emotive del genitore) oppure diretta (il genitore trasmette attivamente al
bambino i propri giudizi o gli fornisce informazioni
parziali o distorte).
58 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
Il fenomeno del bambino conteso e “schierato” a
difesa di un genitore contro l’altro risulta, purtroppo, molto frequente nelle separazioni caratterizzate da un’alta conflittualità in cui i partner, anche a causa delle loro caratteristiche di personalità,
non riescono ad elaborare in modo evolutivo e riflessivo l’evento separativo.
Tale condizione è stata in un primo tempo denominata “Sindrome di Alienazione Genitoriale” nello
stesso modo in cui si è parlato di “Sindrome del
Bambino Maltrattato”, per poi focalizzare l’attenzione sulle diverse manifestazioni del maltrattamento oltre che sui fattori di rischio e protettivi. Il
fatto che il maltrattamento non costituisca una sindrome in senso proprio non significa che il maltrattamento non esista come fenomeno, potendo compromettere i potenziali di sviluppo psicoevolutivo
del minore coinvolto.
Le attuali riflessioni della comunità scientifica,
basate su molteplici ricerche in ambito nazionale ed
internazionale, non consentono di definire il bambino come “malato” solo in quanto influenzato negativamente da un genitore contro l’altro sino ad arrivare, nei casi più eclatanti, al rifiuto di ogni forma
di rapporto.
Attualmente si ritiene che il termine più corretto
per definire tale fenomeno sia “Alienazione Parentale” e non “Sindrome di Alienazione Genitoriale”
sottolineando (nei casi di rifiuto non motivato) che
non si tratta di una problematica individuale del figlio ma di una difficoltà relazionale tra i tre membri
DOCUMENTI
della famiglia: bambino, madre e padre, alla quale
possono contribuire i membri della famiglia allargata. Anche se in misura che può essere diversa
come intenzioni, motivazioni e comportamenti,
ognuno dei componenti il gruppo familiare fornisce
il proprio personale contributo in misura variabile
da caso a caso.
I segni di tale condizione sono il rifiuto ingiustificato e comunque talora solo parzialmente motivato
da parte del figlio di frequentare uno dei due genitori (più spesso il padre ma non infrequentemente
la madre) e/o il “voltafaccia” del figlio stesso, il quale
prima della separazione era legato al genitore che
successivamente non vuole più frequentare. Altro
segnale è l’ingiustificato disprezzo non solo per un
genitore ma per l’intera sua famiglia d’origine e/o
ricostruita.
Si può discutere se a questo fenomeno sia opportuno dare un nome specifico; a questo proposito
sembra che i manuali di classificazione di prossima
uscita (DSM V e ICD 11) siano orientati a farlo rientrare e definirlo all’interno della categoria dei “Disturbi Relazionali”.
Come per il maltrattamento, riteniamo che negare
il fenomeno del rifiuto immotivato e persistente di
un genitore significhi commettere un errore grossolano e fuorviante.
Le implicazioni psicosociali e giuridiche della violazione dei diritti relazionali dei soggetti coinvolti in
tali situazioni giustifica la messa in atto di interventi e di provvedimenti psicosociali e giudiziari
volti alla tutela dei diritti stessi, i quali varieranno di
caso in caso a seconda dell’età del minore coinvolto,
della sua capacità di autodeterminazione e delle responsabilità dei genitori e dei familiari coinvolti.
D’altronde, in ambito giuridico l’attenzione alla particolarità di ogni singola situazione rappresenta un
elemento fondamentale di rispetto dei componenti
il nucleo familiare e soprattutto, nel caso specifico,
di tutela dei diritti relazionali del minore.
Iolanda Abate, Paola Antonelli, Renato Ariatti,
Anna Balabio, Fabio Benatti, Linda Betti, Francesca
Bianchi, Chiara Brillanti, Cristina Cabras, Giovanni
Battista Camerini, Elisa Cantarutti, Daniela Carboni,
Daniela Catullo, Adele Cavedon, Simona Chiari,
Francesca Ciammarughi, Sara Codognotto, Serena
Colaianni, Elena Consenti, Antonietta Curci, Ancilla
Dal Medico, Michele D’Andreagiovanni, Rodolfo de
Bernart, Luisella De Cataldo Neuburger, Rosanna
Della Corte, Rubens De Nicola, Ida de Rénoche, Carlo
Desole, Renzo Di Cori, Alessandro Fanuli, Valeria
Giamundo, Guglielmo Gulotta, Moira Liberatore,
Laura Lombardi, Giovanni Lopez, Tiziana Magro, Marisa Malagoli Togliatti, Maurizio Marasco, Barbara
Masseroli, Aldo Mattucci, Isabella Merzagora Betsos,
Marco Monzani, Daniela Pajardi, Patrizia Patrizi, Sara
Pezzuolo, Cesare Piccinini, Luisa Puddu, Donatella
Pulixi, Donatella Ragusa, Marco Ricci Messori, Severo Rosa, Lino Rossi, Ugo Sabatello, Laura Sancio,
Luca Sammicheli, Giuseppe Sartori, Melania Scali,
Gilda Scardaccione, Luciana Silvestris, Magda Tura,
Elena Varoli, Alfredo Verde, Matteo Villanova, Laura
Volpini, Vittorio Volterra, Alberta Xodo, Georgia Zara.
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 59
IN LIBRERIA
In libreria
a cura dell’avv. MARIA LIMONGI
GABRIELLA CONTIERO
I doveri coniugali e la loro
violazione - L’addebito
e il risarcimento del danno
Seconda edizione
Giuffrè Editore 2012
Nella seconda edizione del testo
in rassegna, l’avvocato Gabriella
Contiero - che si occupa di diritto
di famiglia e delle persone, membro della Camera Minorile e dell’Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia - con contenuti
innovati riscrive in materia dei
doveri coniugali tenendo conto
della evoluzione che tale argomento ha subito nei sette anni
trascorsi dalla prima edizione per
la continua e significativa opera
applicativa giurisprudenziale ed
interpretativa dottrinale adattata
all’evoluzione dei tempi e dei costumi.
I doveri coniugali non si esauriscono nell’elencazione della let60 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
tera dell’art. 143 c.c. che rappresentando invece, solo il “minimo”
indispensabile alla convivenza coniugale, non è da intendersi come
esaustiva ed omnicomprensiva,
ma necessariamente da integrarsi
con i principi posti a tutela della
persona nelle sue molteplici manifestazioni, definiti quali doveri
coniugali atipici o non codificati. A
questa dimostrazione giunge
l’opera in questione attraverso
l’analisi dei passaggi normativi e
delle pronunce di legittimità e costituzionali fondamentali della
storia più recente che hanno portato alla stesura dell’art. 143 c.c.
nella portata e nel significato voluto e consacrato dal legislatore
della Riforma del diritto di famiglia, aggiornato dalle successive
avvenute evoluzioni culturali, storiche e sociali. Ripercorrendo perciò il pensiero e le tesi più significative di autori autorevoli e gli indirizzi, orientamenti e pronunce
di merito e di legittimità, l’autrice
delinea l’esatta connotazione dei
singoli doveri coniugali e dei loro
contenuti con particolare attenzione al dovere di fedeltà, quest’ultimo ritenuto di indubbia
maggiore notorietà e di più grande
applicazione teorica e pratica.
Ugualmente la tematica della violazione dei doveri coniugali è approfonditamente e compiutamente trattata sotto il profilo
della possibile rilevanza di essa ai
fini dell’addebito nella separazione e differentemente quale
possibile fonte di responsabilità
aquiliana secondo la clausola generale del neminem laedere, il tutto
impreziosito dalle opinioni personali dell’autrice che non dimentica di evidenziare anche le problematiche processuali derivanti
dalla proposizione delle relative
domande.
Dopo aver affrontato la sorte dei
doveri coniugali dopo la separazione dei coniugi e stabilito se e
quali di essi permangono o meno,
la scrittrice ha concluso il suo lavoro discutendo della problematica questione circa l’ammissibilità del mutamento del titolo
della separazione definitivamente conclusa (omologazione o
passaggio in giudicato di separazione giudiziale senza addebito)
in caso di violazione dei doveri
coniugali permanenti e compatibili con lo stato di separazione ed
in caso di sopravvenuta conoscenza della violazione di un dovere coniugale commessa durante il matrimonio.
Il testo pubblicato nella collana
Teoria e Pratica del diritto è utile
riferimento per gli avvocati che
affrontano le criticità legate ai
rapporti tra i coniugi nell’ambito
dei procedimenti di separazione.
AUTORI VARI
Il bilancio spiegato ai giuristi
Ipsoa 2009
Lo studio del bilancio richiede un
approccio interprofessionale e la
pubblicazione in commento raccoglie i contributi di studio che
insigni esponenti di varie categorie professionali, notai, avvocati,
dottori commercialisti, professori
universitari hanno fornito in occasione del Convegno dell’Associazione Civil Law, tenutosi a Napoli il 19 e 20 settembre 2008. Numerose sono le novità che nei
tempi recenti hanno interessato
la disciplina del bilancio di esercizio nell’ordinamento italiano,
anche nei suoi rapporti con il di-
IN LIBRERIA
ritto comunitario e con i principi
contabili internazionali. L’utilizzo,
la comprensione e le finalità del
bilancio di esercizio sono spesso
oscure ai giuristi e comunque alla
professione legale, sebbene l’attuale contesto socio economico
richieda agli operatori del diritto
specie nel campo commerciale,
tributario e fiscale una maggiore
competenza al riguardo. Il Professor Amedeo Bassi affronta il bilancio fallimentare, il suo valore
probatorio rispetto ai creditori ed
al salvataggio dell’impresa, anche
sotto un profilo squisitamente
penalistico. Il Professor Oreste Cagnasso dedica il suo contributo ai
principi generali di chiarezza e di
rappresentazione veritiera e corretta di redazione del bilancio di
esercizio tenendo presente la coesistenza di due modelli di bilancio, l’uno redatto secondo i criteri
tradizionali, l’altro secondo quelli
IAS/IFRS. L’Avvocato Stefano A.
Cerrato cura la parte dedicata al
tema dell’arbitrabilità delle controversie societarie alla luce del
processo evolutivo giurisprudenziale del principio della “disponibilità dei diritti relativi al rapporto
sociale”. La partecipazione della
Professoressa Emanuela Cusa riguarda la complessità della disciplina del bilancio di esercizio
nelle società cooperative anche
quelle a mutualità prevalente,
evidenziando la specialità del diritto cooperativo su quello delle
società di capitali. Rocco Guglielmo, Notaio, spiega la necessità della esatta qualificazione dei
“versamenti” e dei “finanziamenti” dei soci verso la società e
della corretta collocazione di questi all’interno del bilancio nella
gestione dei rapporti soci/creditori sociali, specie nei momenti di
crisi della società mentre più specificamente i Notai Federico Magliulo, Marco Maltoni e Stefano
Santangelo si sono rispettivamente occupati del bilancio e
delle situazioni patrimoniali nella
fusione, nelle trasformazioni e
nelle scissioni rappresentando e
spiegando il complesso iter da se-
guire in tali importanti operazioni
societarie. Il Professor Giorgio Rusticali compie un’analisi sul concetto del fair value che trova le
sue fonti nei principi contabili internazionali che considerano il
bilancio non più e solo come
mero strumento di rendicontazione ma come vero e proprio
strumento di comunicazione e di
informazione per gli stakeholder.
E sempre sull’argomento dei principi contabili internazioni e circa
l’impatto di questi in materia societaria apporta riflessioni (critiche) generali la Professoressa, Avvocato Giuliana Scognamiglio. Il
contributo del Notaio Federico
Tassinari è invece rivolto al bilancio straordinario, questo da redigersi in occasione di determinate
operazioni societarie ed alla normativa, spesso contrastante, che
lo prevede mentre l’intervento del
Notaio Giuseppe A. M. Trimarchi è
rivolto alle operazioni sul capitale
sociale, all’utilizzo delle cosiddette riserve da valutazioni di
partecipazioni sociali e da fusione.
Il bilancio di esercizio, affrontato
qui in maniera multidisciplinare,
viene ancora spiegato dal Notaio
Fabrizia Scalabrini mediante percorsi applicativi ai “non addetti ai
lavori” dedicando(ci) un apposito
capitolo per una lettura del bilancio con un approccio semplificato. La pubblicazione è dunque
una raccolta di contributi brillanti, di non difficile comprensione e di utilità generalizzata.
MARIA RITA MOTTOLA
Il diritto al nome
Officina del Diritto
Giuffrè Editore 2012
Questa pubblicazione è un approfondimento in chiave pratica e
funzionale del diritto al nome (cognome e prenome) in tutte le sue
sfaccettature come segno distintivo della persona che porta in sé
il potere di utilizzarlo in via esclusiva e di impedirne a terzi un uso
non consentito.
Ma il nome è anche identificazione sociale e soprattutto
espressione concernente l’essenza della persona e delle sue
qualità, un aspetto importante
dell’identità personale, oggetto
quindi di un diritto fondamentale
che assume particolare rilevanza
nelle vicende relative ai rapporti
familiari ed, in particolare la questione del cognome è posta in relazione alla concezione di famiglia legittima o naturale. La logica
dell’attuale sistema di attribuzione del cognome alla nascita
dei figli o quello di assegnazione
successiva può trovare diverse risposte e soluzioni in rapporto all’elaborazione dei principi dell’unità familiare e di uguaglianza
dei coniugi o dei genitori. Ponendo maggiore attenzione sull’uno o sull’altro troveremo differenti posizioni della dottrina e
della giurisprudenza, anche costituzionale, a quesiti riguardanti ad
esempio la possibilità per la madre di attribuire il proprio cognome al figlio legittimo o a
quello naturale se riconosciuto
per primo.
In maniera schematica e veloce
con l’ausilio di esempi, formule,
quesiti, percorsi giurisprudenziali
e riferimenti normativi, l’avvocato Maria Rita Mottola autrice di
tale strumento informativo, ha
affrontato la tematica del diritto
al nome senza tralasciare il riferimento alla recente modifica all’Ordinamento dello Stato Civile
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 61
IN LIBRERIA
apportata dal D.P.R. 13 marzo
2012 in ordine alla semplificazione della procedura diretta ad
ottenere il cambio del nome e del
cognome anche in riferimento
alla previsione dell’autorità competente al riguardo.
MONICA VELLETTI
EMANUELE CALÒ
Il ruolo del Notaio nel divorzio
europeo. Aspetti personali
e patrimoniali. Patti
prematrimoniali.
Ipsoa 2012
Anche se troppo spesso si sente
dire che “il Notaio esiste solo in
Italia”, non c’é nulla di più inesatto di ciò. Il Notariato di tipo
“Latino” (vale a dire il tipo di Notaio presente in Italia) è presente
in oltre 25 paesi europei. In sostanza, tutta l’Europa continentale, conosce la figura del Notaio,
dall’Italia al Portogallo, alla Spagna, dalla Germania alla Francia,
alla Svizzera, ai Paesi Bassi… all’Austria ed a molti Stati ancora.
Nel testo in esame gli Autori si
propongono di valutare il ruolo
che il notaio può assumere (nel
contesto europeo) in seno ad un
procedimento - laddove previsto
- molto particolare che è quello
della separazione e divorzio nonché le problematiche tutte quante
scaturenti da detta ipotesi in Ordinamenti ove tale possibilità
62 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
non è contemplata. Anche in questo caso l’Europa ed il suo Diritto
fanno da cornice essenziale e necessaria al corretto inquadramento della questione, degli sviluppi e dell’applicazione pratica.
Il testo segue un percorso preciso
e sistematico, partendo dall’esame della separazione (l’Italia
è ancora uno dei pochi paesi a riconoscere tale istituto) e del divorzio nel diritto internazionale
privato italiano, per proseguire in
una disamina completa della disciplina europea in materia con
particolare riferimento al Regolamento CE n. 2201/2003 (Bruxelles
II Bis), al Regolamento CE n.
4/2009 nonché al Regolamento UE
n. 1259/2010 (Roma III entrato in
vigore il 21 giugno 2012) fino a
giungere, secondo uno schema
pratico/teorico, alle recenti posizioni delineate dalla giurisprudenza rispetto alle problematiche
connesse all’argomento in esame
e relative alle proposte di regolamento diretto al riconoscimento
ed esecuzione delle decisioni in
materia di effetti patrimoniali dei
conviventi registrati. Gli Autori
descrivono gli ambiti e gli aspetti
altamente tecnici ed articolati introdotti dalla citata normativa
evidenziando come l’entrata in
vigore della nuova regolamentazione abbia di fatto introdotto
nuovi spazi all’autonomia privata
riconoscendo ai coniugi (che presentino carattere di transnazionalità) di concludere - sebbene
entro certi limiti, a certe condizioni e rispettando requisiti formali predeterminati dal legislatore europeo - un accordo per designare la legge applicabile alla
separazione ed al divorzio ed anche alle obbligazioni alimentari.
Naturalmente tale circostanza ha
rappresentato una novità per
l’Ordinamento italiano nel quale,
se si esclude l’accordo di scelta
della legge applicabile ai rapporti
patrimoniali (art. 30 L. n.
218/1995) non vi era alcuna attribuzione di ruolo alla volontà delle
parti sulla scelta della legge applicabile alla dissoluzione del vin-
colo coniugale.
Questo volume, nell’evidenziare
la complessità del quadro normativo di riferimento e le ragioni di
incertezza circa l’effettiva applicazione della scelta operata dai
coniugi con particolare attenzione alla validità di accordi sulla
legge applicabile alla separazione
o al divorzio, ma anche alle obbligazioni alimentari, testimonia
chiaramente la rilevanza della vocazione europea del Notariato e
quindi l’utilità del Notaio come il
professionista più adatto a fornire
un valido contributo nella redazione dell’accordo di scelta della
legge applicabile proponendo ai
coniugi gli aspetti e le regole della
varie opzioni possibili, nonché segnalando i vari limiti previsti che
non renderebbero assolute ed
“inattaccabili” le scelte operate
come ad esempio richiamando
l’attenzione sul fatto che i regolamenti, allo stato, non trovano applicazione nell’intero territorio
dell’Unione, dato che il Regolamento Roma III è applicabile solo
in 14 Stati membri mentre il Protocollo si applica per tutti gli Stati
membri con esclusione di Danimarca e Regno Unito… Altra sezione affrontata, di particolare rilievo, è poi quella recante le riflessioni scaturenti da casi di giurisprudenza sul versante europeo
relativamente alla validità degli
accordi prematrimoniali tra cittadini transfrontalieri così come è
di particolare interesse la successiva disamina relativa alla trascrizione in Italia del “divorzio notarile” e del matrimonio omosessuale contratto all’estero in relazione al principio dell’ordine pubblico ed alla garanzia del riconoscimento degli status civitatis.
Molti spunti di riflessione, molte
tracce e proposte per un percorso
di aggiornamento in materie
quali il Diritto internazionale Privato ed il Diritto dell’Unione Europea, nonché parecchi suggerimenti per fornire al cittadino che
si rivolge al Professionista nuove
forme di tutela dei propri interessi.
IN LIBRERIA
VINCENZA BARBALUCCA
PATRIZIA GALLUCCI
L’autonomia negoziale dei
coniugi nella crisi matrimoniale
Giuffrè Editore 2012
È opinione diffusa che le procedure di definizione giudiziale
della crisi coniugale in ambito
non contenzioso permettano ai
coniugi di risolvere in via privata
e nella massima libertà ed autonomia le questioni relative alla
vita familiare, ormai disgregata,
ritenendosi di poter adottare liberamente ogni accordo senza alcun vincolo. In realtà il Legislatore ha permesso ai coniugi di poter regolare consensualmente gli
aspetti della propria vita futura
all’interno di un solco legislativo
ben definito all’interno del quale
l’avvocato potrà indirizzare i propri assistiti.
In questo contesto, sicuramente
utile è il testo edito da Giuffrè Editore nella Collana Teoria e Pratica
del diritto dal titolo L’autonomia negoziale dei coniugi nella crisi matrimoniale di Vincenza Barbalucca
(Consigliere della Corte di Appello
di Napoli e Giudice Tutelare) e Patrizia Gallucci (Avvocato civilista
e matrimonialista).
Le Autrici uniscono le riguardanti
esperienze maturate nei rispettivi
ambiti lavorativi per affrontare le
problematiche legate al potere dei
coniugi di regolare autonomamente i reciproci interessi e rap-
porti al momento della loro crisi
matrimoniale o in vista della
stessa o successivamente all’omologazione. Prendendo le
mosse dall’esame dell’istituto del
matrimonio e del suo tentativo di
definizione da parte di dottrina e
giurisprudenza, si soffermano
nell’esplicazione del concetto dell’autonomia negoziale dei coniugi
- quale fonte primaria di regolamentazione dei rapporti tra le
parti nella crisi coniugale - evidenziando la possibilità, riconosciuta loro dall’Ordinamento e
nei limiti da questo individuati, di
disciplinare le modalità e termini
di conclusione del rapporto matrimoniale per poi sviluppare e riportare importanti riflessioni
circa l’attività di vaglio e valutazione degli accordi presi ad opera
del Giudice, la possibilità di un
suo intervento in tale contesto a
modifica di quanto indicato nonché dei limiti al potere del Giudice
stesso di fronte ad accordi recanti
trasferimenti immobiliari, non
potendo adottare provvedimenti
diretti al trasferimento della proprietà di detti beni.
Il Professionista è così chiamato
ad indirizzare i coniugi nelle loro
scelte e, con un percorso sistematico le autrici forniscono in modo
puntuale ed estremamente semplice gli spunti per formulare o
assecondare o integrare le possibili proposte dei coniugi per una
definizione tanto stragiudiziale
quanto giudiziale non contenziosa della loro crisi.
È chiara dunque, nell’ambito giudiziale, la riflessione operata dalle
Autrici sulla autonomia negoziale
con riferimento al contenuto tipico dell’accordo distinguendo in
contenuto strettamente necessario dell’accordo, contenuto eventualmente necessario e contenuto eventuale. Nel primo caso si
fa riferimento, ad esempio, alla
manifestazione della volontà relativa all’acquisizione del nuovo
status dei coniugi (separati o divorziati); nel secondo alle decisioni relative al mantenimento
della prole, subentrando infatti
tali accordi solo in presenza di figli; nel terzo ad eventuali ulteriori
accordi lasciati alla libertà delle
parti in termini di mantenimento.
Sempre nell’ambito giudiziale,
sotto il profilo soggettivo, oggettivo, causale e degli effetti, sono
analizzate le tematiche riguardanti gli accordi che prevedono
trasferimenti immobiliari come
voci più tipiche di espressioni dell’autonomia negoziale dei coniugi
nella crisi del loro rapporto.
Molti sono gli spunti di riflessione
ed approfondimento anche in relazione agli eventuali accordi che
le parti - questa volta nell’ambito
stragiudiziale - potranno raggiungere a latere dell’accordo omologato citando ed analizzando
l’orientamento fornito dalla Suprema Corte di Cassazione con la
propria sentenza 20290/2005 statuente il principio della non interferenza delle predette pattuizioni rispetto a tutto quanto concordato nell’accordo omologato.
Non ci si può infine esimere dall’evidenziare come le Autrici si
propongano di offrire al lettore Professionista una chiave di lettura idonea ad agevolare una soluzione delle specifiche problematiche derivanti dalla fine del
rapporto coniugale in conformità
alla giurisprudenza ed alla dottrina prevalente nonché proponendo ipotesi interpretative alternative a queste ultime.
Un libro chiaro e semplice nella
sua impostazione, di grande utilità atteso che permette di ottenere immediate risposte per il
successivo approfondimento da
parte del Professionista.
SALVATORE LEUZZI
I trusts nel diritto di famiglia
Giuffrè Editore 2012
Di certo interessante è il testo elaborato dal magistrato Salvatore
Leuzzi a proposito di trusts nel diritto di famiglia.
Il lavoro presenta un metodo
chiaro e comprensibile. Appresi
gli aspetti strutturali e funzionali
ottobre-dicembre 2012 | Avvocati di famiglia | 63
IN LIBRERIA
dell’istituto, evidenziato nei principi generali secondo la normativa e la disciplina sostanziale di
riferimento, al lettore è così consentito un mirato approfondimento della tipologia (sottospecie) del trust familiare, delle sue
caratteristiche, dei suoi margini
di operatività nell’ambito dell’autonomia privata dei coniugi o dei
conviventi more uxorio.
In rilievo è la questione della “segregazione” di determinate situazioni giuridiche soggettive a salvaguardia e protezione del patrimonio familiare - protetto dalle
aggressioni dei creditori dei soggetti coinvolti nel trust - sia pur
entro i limiti previsti, nel nostro
diritto di famiglia, da disposizioni
di carattere generale e contenuti
negli articoli 160, 161,162 e 166 bis
64 | Avvocati di famiglia | ottobre-dicembre 2012
del codice civile. Allora l’autore,
attraverso una sistematica interpretazione delle norme citate ed
altre attinenti, traccia i presupposti per poter strutturare trusts
validi che non contrastino con i
divieti relativi alla creazione di
vincoli assimilabili a quello dotale o alla creazione di convenzioni matrimoniali diverse da
quelle espressamente previste
dal codice a tutela dei diritti e doveri nascenti dal matrimonio. Il
trust familiare è poi nello specifico posto a confronto tanto del
fondo patrimoniale quanto dei
vincoli di destinazione ad uno
scopo di determinati beni ex art.
2645 ter c.c. e, nel contesto di similarità e divergenze tra gli istituti, emergono risaltate le potenzialità operative del trust sotto
l’aspetto della “separazione” del
patrimonio, della soddisfazione
delle “esigenze familiari” e della
tutela dell’autonomia privata.
Non solo.
Il considerevole lavoro prosegue
nella esposizione della proficua
utilizzazione del trust come strumento di “privatizzazione” della
crisi coniugale - quale particolare
momento in cui le varie espressioni di autonomia privata dei coniugi emergono maggiormente diretto al superamento di contrasti economico - patrimoniali nella
separazione o nel divorzio esplicando funzioni “solutorie” (estinguendo definitivamente il debito
di mantenimento) e/o di “garanzia” (salvaguardando, mediante la
segregazione, la posizione dei
soggetti coinvolti) tanto a vantaggio del coniuge economicamente
debole quanto di quello obbligato.
Un capitolo questo - insieme agli
altri - di sicuro rilievo per la indicazione e trattazione di ipotesi
concrete di costituzioni di trusts,
anche secondo la casistica giurisprudenziale più recente.
Il trust riguarda pure la famiglia
di fatto rendendo vincolante il
dovere morale e sociale dei conviventi more uxorio benché non
siano riconosciuti loro diritti soggettivi e vario è il novero delle
ipotesi pratiche del trust - descritte dall’autore - nel quadro
della convivenza in rapporto alla
scopo che si intende realizzare:
trust di sostentamento, di garanzia e tutela del partner senza reddito e della prole, di mantenimento post mortem, a soddisfazione delle esigenze abitative.
Da ultimo, l’attenzione è volta al
“protective trust” ed al “family trust”
a tutela dei soggetti deboli e dei
minori, ulteriore aspetto affrontato in maniera multiforme e posto a confronto degli altri strumenti codicistici di protezione.
In mancanza nel nostro ordinamento di una legge italiana specifica di regolamentazione del
trust, il testo è un efficace strumento per comprendere l’istituto,
la sua applicazione e diffusione.
itinera
Solo per i soci
dell’Osservatorio nazionale
sul diritto di famiglia
GUIDE GIURIDICHE
Famiglia e successioni
a cura di Carlo Rimini
STUDIO RIMINI
Famiglia
L’opera affronta, con un’impostazione multidisciplinare e con il
giusto bilanciamento di approfondimento scientifico e taglio praticooperativo, la tematica del diritto di famiglia.
Attraverso inquadramenti sistematici, esempi, case history, casistica
giurisprudenziale, schemi riepilogativi, focus, clausole contrattuali e
approfondimenti, vengono esaminati:
- il matrimonio, sia negli aspetti fisiologici (promessa, condizioni
per contrarre, matrimonio all’estero, matrimonio concordatario) che
patologici (nullità e annullamento, separazione e divorzio)
- la convivenza (rapporti personali e patrimoniali tra conviventi,
cessazione della convivenza, contratti di convivenza)
- gli effetti del matrimonio (diritti e doveri dei coniugi)
- il regime patrimoniale della famiglia (comunione e separazione dei
beni, fondo patrimoniale, impresa familiare)
- il rapporto di filiazione (sia legittima che naturale)
- le questioni processuali nei giudizi di separazione e divorzio
- gli aspetti fiscali (le indagini basate sui documenti fiscali e contabili per
la determinazione del reddito e del patrimonio dei coniugi)
- il diritto penale della famiglia
Può acquistare il volume
inviando il coupon compilato
al fax 02.82476403 o contattare
il servizio informazioni commerciali
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ricevimento del bene da parte del cliente senza che questi abbia comunicato con raccomandata A.R. inviata a Wolters Kluwer
Italia S.r.l. Milanofiori - Assago (o mediante e-mail, telegramma, telex o facsimile confermati con raccomandata A.R. nelle 48
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