Ma quando `chiesimo` a Gasparri di rappresentarci

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Ma quando ‘chiesimo’ a Gasparri di rappresentarci, ‘fecimo’ forse uno sbaglio? - 03-20-2016
di Alfio Lanaia - Sicilia Journal, Giornale online di notizie - http://www.siciliajournal.it
Ma quando ‘chiesimo’ a Gasparri di rappresentarci, ‘fecimo’
forse uno sbaglio?
di Alfio Lanaia - 20, Mar, 2016
http://www.siciliajournal.it/86136-2/
In uno dei suoi soliti tweet il senatore Maurizio Gasparri, non nuovo a simili disavventure linguistiche,
scatena l?ironia degli utenti di face-book e di twetter.
Ecco il testo: «E’ vero che @Giorgia Meloni è figlia della storia di destra e proprio per quello a suo
tempo le chiesimo la disponibilità …».
L?occasione era troppo ghiotta perché i social network non la sfruttassero. E infatti il sito de “la
repubblica.it” parla dello «scivolone del senatore e vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri che,
intervenendo nel programma Agorà sulla questione dei candidati del centrodestra al Campidoglio, twitta
(non personalmente ma tramite il suo staff) una delle sue dichiarazioni storpiando in maniera clamorosa
il passato remoto del verbo chiedere. Un errore che diventa ben presto virale, con conseguenti tweet
ironici che invadono il social network».
Lo stesso senatore (o qualcuno del suo staff), dopo il chiasso mediatico suscitato dal suo tweet, sembra
che se ne sia accorto, come infatti ci informa il sito del messaggero.it: «Peccato solo che, mentre
l’hashtag #chiesimo è entrato nei trend topic nazionali, il post sia scomparso».
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Ma quando ‘chiesimo’ a Gasparri di rappresentarci, ‘fecimo’ forse uno sbaglio? - 03-20-2016
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Ma ora, detto che prendersela con Gasparri è come sparare sulla Croce Rossa, dal momento che il
senatore è indifeso e inerme persino di fronte alla coniugazione dei verbi, credo sia giunto il momento di
tentare di capire che cosa abbia provocato lo “scivolone? linguistico. Sgombriamo innanzitutto il
campo da certi censori che non sanno nemmeno di cosa parlano e che, nella fattispecie, non sono poi così
diversi da Gasparri, come l?anonimo autore di un post su ricercalo.it: «Stavolta [Gasparri] si è fatto
notare per un errore di ortografia [sic!] …, facendo confusione con il passato remoto del verbo
“chiedere?. Insomma, il deputato PDL anziché scrivere “chiedemmo?, ha inventato il neologismo [sic!]
“chiesimo?». Non si tratta, ovviamente, né di errore di ortografia, né di neologismo ma di altro, come
vedremo subito.
Proviamo a coniugare il passato remoto di chiedere: chiesi, chiedesti, chiese, chiedemmo, chiedeste
chiesero. Questo verbo, come in genere i verbi della seconda coniugazione, è irregolare, poiché nella
flessione, in questo caso del passato remoto, presenta due temi verbali diversi. Come si può constatare
facilmente, infatti, nella 1a e 3a sing. e 3a pl. il tema è chies-, nella 2a sing. e nella 1a e 2a pl. il tema è
chiede-. Tecnicamente si tratta di una caso di suppletivismo debole, in quanto tra i due temi vi è una base
etimologica comune riconoscibile (il suppletivismo forte è ad esempio quello del verbo andare: io vado,
tu vai, egli va, essi vanno vs noi andiamo, voi andate). Il tema chies– è quello più vicino alla base latina
quaesii (forma parallela a quaesivi), il tema chied(e)- è quello della base romanza, sempre dal lat.
quaerere con dissimilazione r?r in d?r.
In altre parole i verbi irregolari sono più difficili da usare di quelli regolari e pertanto i parlanti
cercano di rimediare attraverso formazioni analogiche. Nel nostro caso il tema verbale della prima
persona sing., chies-i, è stato esteso alla prima plurale, chies-imo. Forme simili, riscontrabili negli
elaborati degli studenti del Nord e del Sud, come presimo, raggiunsimo, decisimo, fecimo, dissimo, ecc.,
dimostrano che il fenomeno è più diffuso di quanto si creda. In particolare si tratta di interferenze del
dialetto sull?italiano: il sen. Gasparri in questo caso non ha fatto altro che usare una forma dialettale, il
romanesco chiesimo, in un post scritto in ?italiano?, o meglio nel ?suo? italiano, interferito spesso di
romanesco. Non si tratta dunque né di errore di ortografia, né di neologismo, ma di una regolare
forma dialettale, tipica del code-switching (commutazione di codice) del parlato e trasferita nello scritto
di un tweet.
Data dunque la diffusione del fenomeno, dovremmo aspettarci la presenza di chiesimo anche nella
lingua scritta e infatti uno sguardo a Google libri non delude la nostra attesa: fino a tutto il Settecento e
l?Ottocento la nostra forma è diffusa, nonostante la condanna di grammatici e lessicografi, come Pietro
Fanfani, in Lingua e Nazione. Avvertimenti a chi vuol scrivere italiano (1872). La troviamo per esempio
in una novella di Ippolito Nievo, Le maghe di Grado (1856): «Così dunque, chiesimo fra noi, dove si
scappa a far qualche bagno che ne raccomodi l?anima e il corpo? …».
Se non proprio chiesimo, tipi simili sono propri della lingua cortigiana, le cui tracce si ritrovano oltre
l?età rinascimentale: ebbimo ?avemmo?, fecimo ?facemmo?, apersimo ?aprimmo?, risimo ?ridemmo?,
dissimo ?dicemmo?, giunsimo ?giungemmo?, misimo ?mettemmo?, vidimo ?vedemmo?. Tali forme «pur
censurate dai grammatici, sono impiegate per tutto l’Ottocento sia in scritture private sia più
raramente in opere scritte per la pubblicazione, per poi estinguersi a cavallo tra Ottocento e primo
Novecento: ancora sei esempi di ebbimo nella Coscienza di Zeno di Italo Svevo, e un caso sporadico in
Gabriele D’Annunzio ‘notturno’ (“Come i fastelli si furono consumati ed ebbimo attorno attorno i
sermenti e gli stecchi …?), solo per citare due scrittori inconciliabili per scelte stilistiche»
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(treccani.it/enciclopedia).
Con ciò non abbiamo voluto giustificare la forma usata da Gasparri, quanto capire come e, forse, perché
l?abbia usata.
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