( 40 ) CULTURA E CINEMA ( 41 ) The Repairman, è stato nominato come miglior opera prima al festival londinese Raindance ed è entrato nel cartellone della 31 edizione del Torino Film Festival. THE REPAIRMAN Testi di Gloria Berloso Ambientato nelle Langhe e realizzato con pochi mezzi, The Repairman ha subito conquistato i favori del grande pubblico di Londra e Torino. Gloria Berioso ha intervistato il regista Paolo Mitton e gli autori della colonna sonora: Alan Brunetta e Ricky Mantoan. IL FILM DI PAOLO MITTON NARRA UNA STORIA QUOTIDIANA DI UN GIOVANE COME TANTI Nella pagina accanto: Momenti delle riprese del film. In alto: Il regista Paolo Mitton. «Scanio Libertetti, ingegnere mancato che si guadagna da vivere riparando macchine da caffè, segue un corso di recupero punti in un’autoscuola di provincia. Tra amici ormai realizzati che non perdono occasione per criticarlo, lo squillo insistente di un vecchio telefono e lo zio panettiere che lo incoraggia a valorizzare le sue doti, Scanio si muove in equilibrio precario fra le contraddizioni del mondo moderno. Solo Helena, giovane inglese trasferitasi in Italia per lavorare come esperta di risorse umane, sembra in grado di capirlo e rassicurarlo. Ma … ». Una commedia moderna di un regista italiano che vive a Londra e che si rifà alle leggende nordiche e che ha capito bene Pirandello. Un’atmosfera tra il comico e il drammatico semplicemente perché la vita è così, che ti riporta, per chi conosce e ha visto i vecchi film da bambino, nella raffigurazione di Scanio (uomo che si rifugia nella fantasia per paura della vita come risulta chiaro dallo struggente dialogo con l’insegnante di scuola guida e la sociologa inglese Helena) con Elwood, simbolo della sua umanità. Scanio (Daniele Savoca) non può paragonarsi a Elwood (James Stewart), ma nei suoi occhi si legge benissimo la disperazione di chi è incompreso dagli altri e quasi convince lo spettatore che la scelta di rifugiarsi nella fantasia sia ottima. La scena gioca e diverte con espedienti normali e conformi alla realtà: il rapporto con la padrona di casa, il colloquio di lavoro, la spesa al supermercato di provincia, la casa di Helena vuota di bellezza ma colma di speranze. È proprio Scanio che pone degli interrogativi, rinchiuso nelle sue motivazioni personali e nelle problematiche della società in cui vive. Intelligentemente è forse qui il punto cruciale del film che trasmette divertimento e allegria, ma anche incertezza e dubbio, sublima la figura del “fool” in una diatriba sul diritto alla felicità e all’anticonformismo. L’opera prima The Repairman di Paolo Mitton è fresca e diversa da tutti i film italiani. Il regista non è arri- ( 42 ) THE REPAIRMAN CULTURA E CINEMA FARE CINEMA IN ITALIA NE PARLIAMO CON IL REGISTA PAOLO MITTON vato per caso alla cinematografia ma dopo una lunga esperienza in strade diverse e una gavetta straordinaria; ha lavorato a film come Charlie e la fabbrica di cioccolato, Alien vs. Predator o Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Bludimary (cm, 2001), Vita da pendolare (cm, 2005), Mezze note (cm, 2005). La scelta dell’ambientazione, tra le Langhe e la provincia piemontese, ha regalato una fotografia unica al nuovo cinema italiano perché non è scontata, le case sono realmente così. Gli attori, quasi tutti piemontesi ad eccezione di Helena (Hannah Croft), inglese anche nella realtà, hanno fatto capire che il fascino del cinema si rivela nella naturalezza delle espressioni e del vivere quotidiano senza tanti pizzi e merletti, linguaggio accattivante e abiti d’alta moda. Tutto è tremendamente normale in questo lungometraggio, anche il finale! La scelta della musica per la colonna sonora è caduta su due compositori piemontesi: Alan Brunetta e Ricky Mantoan. Gli strumenti usati e inusuali per il cinema d’ambientazione italiana sono la marimba, il dobro e la pedal steel guitar, oltre la chitarra e il basso, naturalmente. Gli attori: Daniele Savoca (Scanio), l’attore prediletto di Louis Nero; Hannah Croft (Helena), attrice inglese; Paolo Giangrasso (Fabrizio), Fabio Marchisio (Gianni), Irene Ivaldi (Zoe), Elena Griseri (l’insegnante), Alessandro Federico (Pitu), Anna Bonasso (La padrona di casa), Barbara Mazzi (Katia), Francesca Porrini (Carmen), Beppe Rosso (Lo zio), Marco Bifulco (Ninetto), Lorenzo Bartoli (l’idraulico). Gli autori: Paolo Mitton e Francesco Scarrone. The Repairman è una produzione Aidia Production e Seven Still Pictures, è vero. In collaborazione con Acting Out Creative Studio e Fip - Film Investimenti Piemonte, e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte, altrettanto vero. Ma il film lo hanno costruito, con i loro gesti e la loro passione, molte persone, artigiani di un mestiere bellissimo che si chiama cinema. ( 43 ) F are film in Italia è difficile? Se non sei un regista affermato o particolarmente amico di qualcuno? «Difficile, é difficile, ma é giusto che sia così. Se non ci fosse da soffrire per produrre un film, verrebbe girato qualsiasi progetto, senza la cura necessaria, senza una naturale selezione che porta solo le persone veramente motivate sul set. E poi immagino sia difficile per chiunque, anche per i registi affermati, e che non sia un problema solo italiano. Spesso si usa l’Italia come emblema delle difficoltà del mondo del lavoro, ma non é che all’estero siano tutte rose e fiori. C’é una tale competizione in tutti i settori, in Inghilterra poi la competizione é globale, c’é gente di tutto il mondo che va a Londra per crearsi un futuro. In campo artistico per certi aspetti é ancora più difficile che in Italia». Puoi dirmi qualcosa del tuo lavoro sul set? «Per un film come il nostro, così indipendente, girato con un budget più basso di quelli che si usano di solito ma cercando di non sacrificare la qualità, la chiave del set è stata scegliere le persone giuste, che hanno remato tutte nella stessa direzione per amore del progetto e il piacere di lavorare in gruppo. Abbiamo preparato molti dettagli prima di girare proprio perché il tempo sul set sarebbe stato ridotto. Poi é chiaro che ci sono state molte cose da improvvisare ma sono anche quelle che rendono divertente questo lavoro». Nella pagina accanto: Momenti delle riprese del film. In alto: Il regista Paolo Mitton. Avevi già in mente Daniele Savoca come protagonista mentre scrivevi la sceneggiatura insieme a Scarrone? E come sei giunto alla scelta di “Scanio”? «Si e no. Abbiamo scritto una prima versione senza aver visualizzato il personaggio. Poi per caso ho visto un video di Daniele su Youtube, una sorta di autointervista in cui parlava come Scanio, il nostro protagonista. E con Scarrone ci siamo detti: “è lui!”. L’abbiamo contattato, è rimasto entusiasta e da lì in poi la sceneggiatura è cambiata ancora molto. Avere in mente l’attore ha sicuramente aiutato, sopratutto un attore come Daniele che entrando nel personaggio ci aiutava a capire come si sarebbe comportato in determinate situazioni». ( 44 ) THE REPAIRMAN CULTURA E CINEMA DALLA CANZONE ITALIANA ALLA MUSICA DA FILM INTERVISTA AD ALAN BRUNETTA Sempre a proposito di attori, come è stato trovarsi sul set con attori come Hannah Croft, nella vita tua moglie? «Sul set ci siamo comportati come se tra di noi non ci fosse nulla. Ma senza imporcelo, credo sia normale essere tutti sullo stesso piano quando sei in un gruppo di lavoro. Poi è chiaro che fuori dal set è diverso, ed è stato un grande vantaggio poter avere l’appoggio di Hannah. E inoltre ha aiutato molto il fatto di avere maturato un lavoro comune durante gli anni, e poter essere sicuri che sul set ci sarebbe stato poco da suggerire». Quanto intervieni sul lavoro del direttore della fotografia? «Nulla. Non me ne intendo di luci e David Rom é un fenomeno. Abbiamo parlato tanto prima, si é creata una vera collaborazione. Abbiamo discusso del tipo di film, del sentimento. Quando ho visto che l’aveva centrato, gli ho lasciato carta bianca per farlo venire fuori nelle immagini. Così come con gli attori e con altri capi di dipartimento, é stato molto facile lavorare insieme perché quando vedi che tutti stanno facendo lo stesso film, la tua responsabilità come regista tende anche a diminuire». Come sei arrivato alla scelta di Alan Brunetta e Ricky Mantoan per la musica del film? «A film montato, ho iniziato a pensare alle musiche. Mi sono concentrato sul tipo di sonorità più che sul tipo di melodia, di ritmo, di atmosfere. Mi interessava il timbro degli strumenti, che si impastasse bene con le immagini, con la fotografia. E ho provato ad ascoltare pezzi fatti con i più svariati strumenti, sovrapponendoli al film. Sono giunto alla scelta di due strumenti particolari, la marimba e la pedal steel guitar. Nel nostro giro di conoscenze c’era un bravo compositore e suonatore (correggi se mi esprimo male) di marimba, Alan Brunetta. Gli ho fatto vedere il film e gli ho detto: componimi un pezzo di prova, poi vediamo. Ha azzeccato al primo tentativo, mi sono innamorato del tema e da lì non ci siamo più mossi. Abbiamo cercato di capire dove ci fosse la necessità di accompagnarla con la pedal steel e ci siamo detti: “eh ma qui ci vuole uno bravo!”. E guarda caso in Piemonte, a un’ora di macchina dallo studio di Alan, vive Ricky Mantoan, che ha una storia pazzesca, ha suonato con i Byrds e i Flying Burrito Brothers. Come pensare che fosse solo una coincidenza? Ci siamo incontrati a casa sua, con lo strumento di fronte, e come spesso é accaduto durante questo film, mi sono accorto che avevo davanti una persona che aveva capito al volo cosa fare». The Repairman è stato presentato a Londra e fuori concorso al Film Festival di Torino, ci sarà una presentazione ufficiale a livello internazionale del film e come sarà distribuito? «Stiamo lavorando per fare una presentazione in qualche festival al di fuori dei due paesi d’origine del film, che sono l’Italia e il Regno Unito. Vedremo. Sicuramente la distribuzione partirà dall’Italia, ne stiamo discutendo con i distributori e credo che in primavera il film arriverà nelle sale». ■ Grazie Paolo ! ( 45 ) S crivere musica è, in genere, un’attività solitaria ma alle volte può essere necessario un team di supporto. C’è qualcuno che ti aiuta o ispira? È troppo retorico e accondiscendente definirti un «grande musicista»? «Spesso scrivo musica nel mio studio, nei momenti in cui sono isolato da tutto e tutti, registrandomi da solo le idee; talvolta l’ispirazione arriva quando meno te lo aspetti e soprattutto in luoghi in cui diviene impossibile provare l’idea musicale su uno strumento.Sostengo che la propria musica diventi ancora più completa se suonata da musicisti con cui condividi tutti i giorni l’amicizia, il palcoscenico e le emozioni. Nel mio caso sono “lastanzadigreta” (Leonardo Laviano, Jacopo Tomatis, Flavio Rubatto, Umberto Poli) e “euthymia” (Dario Mecca Aleina, Angelo Ieva). Siamo un team veramente unico che oltre alla questione lavorativa condivide l’amore per la musica. Non posso e non potrò mai definirmi un “grande musicista” ma posso dire che il mio intento negli anni è stato quello di trasformare una passione in un lavoro che mi permetta di esprimere le mie emozioni e i miei stati d’animo». Da quando hai iniziato a comporre musica per film? «Ho iniziato qualche anno fa sonorizzando alcuni corti di inizio 900 come divertimento senza pubblicare nulla; partecipai con gli euthymia ad un concorso specifico su questo tema, sonorizzando il corto di Alice in wonderland (UK 1903 di Cecil M. Hepworth); io scrissi la musica e Dario Mecca Aleina mi aiutò negli arrangiamenti. Non molto tempo dopo iniziai a lavorare alla colonna sonora del film The Repairman di Paolo Mitton. Il film attualmente sta avendo riscontri positivi: è stato nominato come miglior opera prima al festival londinese Raindance ed è entrato nel cartellone della 31 edizione del Torino Film Festival facendo SOLD OUT ad entrambe le proiezioni». Nella pagina accanto: Paolo Mitton dietro la macchina da presa sul set di The Rapairman. In alto: Il musicista Alan Brunetta. Durante la tua carriera ti sei cimentato in vari generi musicali? Quali sono state le principali collaborazioni che hanno determinato soddisfazioni? «Durante la mia breve carriera ho avuto la fortuna di lavorare in diversissime realtà musicali e teatrali: attualmente la principale attività live sono -lastanzadigreta- gruppo in cui la canzone italiana viene svilup- ( 46 ) THE REPAIRMAN LIBRI - INCONTRI CON L’AUTORE pata sulla ricerca sonora utilizzando strumenti come mandolino elettrico, marimba, didjeridoo, djembè, chitarra classica e elettrica; collaboro con il gruppo indie rock torinese Supershock divenuto importante per la sonorizzazione rock di film espressionisti tedeschi (Nosferatu di Murnau, Der Golem di Wegener e Metropolis di Lang); assieme a loro ho avuto modo di collaborare con realtà teatrali torinesi importanti come Tangram Teatro, Assemblea Teatro, Fondazione TPE e con il TNG di Lyon collaborando con il grande Nino D’Introna; sono compositore e batterista del gruppo progressive rock torinese Euthymia, gruppo prodotto da Beppe Crovella per Electromantic Music; la finalità degli Euthymia è quello di dare libero sfogo alla composizione mescolando sonorità vintage alla letteratura e al teatro realizzando suite strumentali e opere rock.Negli anni mi è capitato di collaborare con importanti ensemble di musica contemporanea e orchestre suonando in grandi festival come MITO, ecc...». Da quando hai iniziato a scrivere musica, come sono cambiati il mondo della musica e il suo pubblico? «Da quando ho iniziato a scrivere musica ho notato un cambiamento, soprattutto negli ultimi anni, nel pubblico; secondo me, lentamente, sta tornando la voglia nelle persone di ricercare sonorità nuove, di scoprire gruppi nuovi e soprattutto scoprire musica che susciti nelle persone nuove emozioni». Andiamo ai tuoi esordi. Quale è stata la prima composizione per cui hai ricevuto un compenso? «È stato un paio di anni fa quando scrissi ed eseguii le musiche per uno spettacolo teatrale dal titolo “Leggenda Rock” prodotto dalla compagnia di Aosta Nuovababette Teatro e portato in tournèe nelle principali città valdostane.Lo spettacolo e quindi le musiche si ispiravano ad un racconto di Flaubert “La Légende de Saint Julien l’Hospitalier” tratto da i Trois Contes.Le sonorità sono molto scure, come il racconto, e si ispirano al progressive rock degli anni ‘70; gli strumenti utilizzato sono Mini Moog, Hammond, pianoforte e percussioni.Negli ultimi mesi, assieme a Dario Mecca Aleina, l’abbiamo trasformata in una suite strumentale divisa in tre tempi per trio rock (tastiere, basso e batteria) affiancato da un’orchestra di fiati.Sarà incisa e pubblicata nel 2014». Cosa pensi del primo lavoro da regista di Paolo Mitton, The Repairman. Hai ancora voglia di comporre musica e colonne sonore per il nuovo cinema italiano? «Trovo che The Repairman sia una boccata d’aria fresca nel mondo della commedia italiana: mi piacque fin da subito il personaggio, Scanio, su cui costruii il tema principale della colonna sonora che nacque quasi istintivamente al termine della prima visione; mi piacquero le ambientazioni provinciali e soprattutto la semplicità e il realismo della storia.Trovai emozionante poter lavorare sulle musiche, capire quale atmosfera dare alle immagini e trovare la giusta direzione compositiva. Alla fine uscirono due soli temi che variano nel corso del film sottolineando gli stati d’animo dei protagonisti, Scanio e Helena. Questo lavoro mi ha aperto la strada verso il futuro che vorrei intraprendere: compositore ed esecutore di musica e colonne sonore». PER ME LA MUSICA È COME UN PAESAGGIO DA COLORARE INTERVISTA A RICKY MANTOAN Quanta stima nutri per Ricky Mantoan? Insieme avete collaborato per la colonna sonora di The Repaiman! «Nutro una fortissima stima e ammirazione per Ricky: l’ho conosciuto durante la lavorazione della colonna sonora di The Repairman e fin da subito mi sono trovato benissimo con lui oltre che a livello umano anche a livello musicale.I primi provini insieme, che conservo ancora, sono delle improvvisazioni sul tema principale utilizzando marimba e pedal steel guitar e fin da subito siamo riusciti ad improvvisare insieme senza aver bisogno di guardarci.Ci siamo resi conto che l’unione dei due strumenti è veramente particolare e il suono che ne esce è perfetto per alcune scene del film. Trovo stupendi anche i brani della colonna sonora scritti interamente da Ricky sia per il sound sia perché suonati egregiamente con un forte livello espressivo che si lega con le immagini del film. E’ veramente un musicista incredibile e cosa ancora più importante molto umile nonostante il fatto sia il primo chitarrista Pedal Steel in Italia e che abbia suonato con i Byrds. Non vedo l’ora di poter lavorare ancora con lui». ■ Grazie Alan ! In alto: Il musicista Ricky Mantoan. ( 47 ) S crivere musica è, in genere, un’attività solitaria ma alle volte può essere necessario un team di supporto. C’è qualcuno che ti aiuta o ispira? È troppo retorico e accondiscendente definirti un «grande musicista»? «Scrivere musica, per come la vedo io, dovrebbe essere una cosa semplice e istintiva che dovrebbe nascere da un impulso interiore che prema per esprimersi. La mia musica nasce quando un “click” interiore scatta e il cervello diventa come una caldaia dove, senza apparente logica, una melodia comincia a formarsi e girare vorticosamente, dapprima in modo confuso, poi in un modo sempre più definito. Alla fine ho l’impressione di ascoltare il brano finito e già registrato con tutti i principali arrangiamenti. Considero questo una fortuna perché a me basta poi “copiare” quel che ho in testa e il brano è pronto e registrato… Per quanto riguarda la definizione di “grande musicista” mi viene da sorridere, infatti, se chiedete a dieci persone quale sia per loro il grande musicista, vi sentirete rispondere con dieci nomi diversi.Questa definizione, infatti, è soggettiva perché ognuno ama la musica che più lo rappresenta, che più interpreta il suo livello di sensibilità. Personalmente non mi considero per niente “grande”, penso solo di essere una persona che cerca di esprimere le proprie emozioni che spesso non riesce ad esprimere in altro modo. A volte mi capita di “voler” costruire un brano con un indirizzo mirato ma poi quel “click”misterioso (e implacabile) mi fa scrivere qualcosa che non immaginavo prima…Tutto questo avviene nella solitudine più assoluta, quando entro in contatto con il vero Ricky. Le etichette di grande o piccolo dovrebbero far parte del giudizio di chi ascolta e non di chi suona, io credo…» Da quando hai iniziato a comporre musica per film? «Ufficialmente ho iniziato l’anno scorso, quando il regista Paolo Mitton mi ha contattato per scrivere e suonare qualcosa per il suo film “The Repairman”. Ho accettato con entusiasmo perché l’ambientazione e tutto il film mi sono piaciuti “a pelle”. In realtà penso di aver inconsciamente scritto musica da film da sempre perché ho sempre immaginato la musica come a “quadri sonori”, ovvero brani che dovrebbero suggerire immagini di una storia e di un paesaggio da colorare. Personalmente non amo molto esibirmi in pubblico perché non amo molto stare sul palco e ( 48 ) CULTURA E CINEMA preferisco la musica “sentita” a quella “vista”. La mia timidezza mi fa sentire buffo e preferirei suonare con un paravento davanti che mi aiuti ad essere più spontaneo. La mia situazione ottimale è quella che mi vede nel mio studiolo, da solo con i miei strumenti con cui parlo e che suonando sembrano rispondermi…». Durante la tua carriera ti sei cimentato in vari generi musicali. Spesso ancora oggi, però, il tuo nome è associato alla collaborazione con musicisti americani e band di fama mondiale. Secondo te è un pregio o vorresti essere riconosciuto per l’intera opera da te creata? «Beh, in realtà nella vita non ho suonato troppi generi musicali perché, agendo sempre a istinto, ho sempre suonato ciò che al momento mi emozionava di più. Sai, essendo un accanito autodidatta e avendo imparato a suonare tutti i miei strumenti da solo, ho sempre dato solo retta a quel che sentivo dentro. Nella scelta dei generi ho suonato sempre cose che, al momento, erano controcorrente, minoritarie nel gradimento dei più, e questo continua anche oggi…Ho sempre amato il Folk americano e quello inglese. Poi, alla fine, negli anni Ottanta, il destino mi ha fatto incontrare i miei ispiratori californiani, ed è stato come un ritrovarsi in famiglia tra fratelli e cugini idealmente da sempre in contatto.Per me è stato certamente un vantaggio perché accanto a loro sono molto maturato, sia musicalmente che umanamente. È stato buffo constatare che qualcuno mi conoscesse all’estero mentre nel mio paese quasi nessuno sapeva che suonassi una chitarra e molti intuissero qualcosa solo perché porto i capelli lunghi. Certo che amerei avere qualche concreto attestato di stima in Italia , ma solo perché sarebbe giusto che un musicista potesse ottenere il suo sostentamento dalla Musica ma, la realtà del nostro Paese è un altro. Secondo un detto abusato si dice che i riconoscimenti spesso arrivino dopo la morte. Se così dovesse essere auguro ai miei eredi tanta fortuna…». Da quando, negli anni ’60, tu hai iniziato a scrivere musica, come sono cambiati il mondo della musica e il suo pubblico? «Dagli anni ’60 ad oggi sono cambiati i modi in cui si ascolta la musica; allora c’era il Juke Box e la sua magia, oggi i giovani ascoltano (anche svogliatamente) degli aggeggi con le sigle più strane, l’indispensabile è che siano dell’ultima generazione, ma questo non è ( dovuto solo ai giovani, da sempre insaziabili di novità, lo sono sempre stati, ma al sistema che li ha resi, giorno dopo giorno, consumatori passivi di prodotti di avidi personaggi che hanno deciso di decelebralizzare le nuove generazioni. Lo scopo finale, socialmente parlando, è quello di ottenere uomini docili ai voleri dei potenti di turno. In questo i giovani d’oggi si differenziano da quelli degli anni ’60. Allora il “nuovo” si respirava nell’aria… c’era voglia di sapere, in tutti i campi, voglia di impegnarsi di persona nella vita sociale, in quella politica, e la musica era la colonna sonora di questa speranza… Oggi, purtroppo, manca tanto la voglia ma non è colpa solo loro. Le super pappette ai lattanti, gli iPod e il “tunz tunz” elettronico arrivano da “sopra” le testoline dei ragazzi disorientati e inermi.Vedere le immagini di Che Guevara o di Ghandi nelle pubblicità o i grandi poeti e musicisti venduti nei supermercati con le patatine alla moda fa stringere il cuore…». Andiamo ai tuoi esordi. Quale è stata la prima composizione per cui hai ricevuto un compenso? «La mia prima composizione che abbia ricevuto un qualche compenso è stata “Sad Country Lady”, dal mio Album d’esordio “Ricky”, del 1980, che ha avuto qualche lira dalla SIAE per i diritti d’autore, mentre, per la vendita del 33 giri non ho mai avuto un soldo. Io comunque accettai la situazione perché ero felice di aver dato la mia musica ad altri che, forse, l’avrebbero apprezzata. Purtroppo questa triste consuetudine si è protratta negli anni ma questa è un’altra storia…Un mio grande rammarico è quello che, scrivendo io i brani in lingua inglese, molto spesso sia apprezzato in Italia solo per l’aspetto estetico dei brani e non per i contenuti, spesso autobiografici… Mi sembra che sia come mangiare la buccia di un buon frutto senza gustarne la totalità…». Cosa pensi del primo lavoro da regista di Paolo Mitton, The Repairman. Hai ancora voglia di comporre musica e colonne sonore per il nuovo cinema italiano? «Sono particolarmente fiero di aver avuto l’occasione di partecipare a questa “avventura” di The Repairman, del regista Paolo Mitton. Questo film mi ha conqui- 49 ) stato subito; il ritmo delle scene, la loro pacatezza, mi hanno fatto sentire immerso in una atmosfera un poco surreale, d’altri tempi… Niente violenza gratuita, niente sesso esplicito e “ginecologico”, senza voler apparire un bacchettone o fustigatore di costumi (non è il caso). Se in futuro Paolo avesse ancora bisogno del mio contributo in qualche nuova colonna sonora sappia fin d’ora che sarà un onore per me lavorare con lui. Paolo ha grande talento e una visione originale della cinematografia per cui vedo un bel futuro per lui come per quello di Hannah e Daniele come attori…» Quanta stima nutri per Alan Brunetta, giovane compositore e musicista. Insieme avete collaborato per la colonna sonora del film… «Non conoscevo Alan Brunetta, prima del lavoro che ci ha visti lavorare insieme, ma ho subito percepito la sua enorme preparazione musicale. Il suo modo di suonare, senza tensioni e assolutamente spontaneo ne ha fatto per me un compagno eccezionale. Suonare con lui è stato per me come suonare con i miei amici californiani più blasonati. Alan ha avuto il pregio di farmi sentire subito a mio agio con la sua tranquillità e semplicità. È il caso tipico in cui ti senti come se avessi sempre suonato con lui. E ora penso con un po’ di tristezza a quanti musicisti veri, con una preparazione incredibile e gusto da vendere, rimangano in una specie di semi-anonimato in Italia. Noi però non disperiamo: anche se i capelli s’imbiancano continuiamo a spargere i semi del cuore. Prima a dopo forse qualcuno attecchirà…» Grazie Ricky! ■