In ogni dove - The Repairman

annuncio pubblicitario
(
40 )
CULTURA E CINEMA
(
41 )
The Repairman,
è stato nominato
come miglior opera prima
al festival londinese Raindance
ed è entrato nel cartellone
della 31 edizione
del Torino Film Festival.
THE REPAIRMAN
Testi di Gloria Berloso
Ambientato nelle Langhe e realizzato
con pochi mezzi, The Repairman ha subito
conquistato i favori del grande pubblico
di Londra e Torino.
Gloria Berioso ha intervistato il regista
Paolo Mitton e gli autori della colonna
sonora: Alan Brunetta e Ricky Mantoan.
IL FILM
DI PAOLO MITTON
NARRA UNA STORIA
QUOTIDIANA
DI UN GIOVANE
COME TANTI
Nella pagina accanto:
Momenti delle riprese del film.
In alto:
Il regista Paolo Mitton.
«Scanio Libertetti, ingegnere mancato che si guadagna da vivere riparando macchine da caffè, segue un
corso di recupero punti in un’autoscuola di provincia.
Tra amici ormai realizzati che non perdono occasione
per criticarlo, lo squillo insistente di un vecchio telefono e lo zio panettiere che lo incoraggia a valorizzare
le sue doti, Scanio si muove in equilibrio precario fra
le contraddizioni del mondo moderno. Solo Helena,
giovane inglese trasferitasi in Italia per lavorare come
esperta di risorse umane, sembra in grado di capirlo e
rassicurarlo. Ma … ».
Una commedia moderna di un regista italiano che
vive a Londra e che si rifà alle leggende nordiche e che
ha capito bene Pirandello. Un’atmosfera tra il comico
e il drammatico semplicemente perché la vita è così,
che ti riporta, per chi conosce e ha visto i vecchi film
da bambino, nella raffigurazione di Scanio (uomo che
si rifugia nella fantasia per paura della vita come risulta chiaro dallo struggente dialogo con l’insegnante di scuola guida e la sociologa inglese Helena) con
Elwood, simbolo della sua umanità.
Scanio (Daniele Savoca) non può paragonarsi a Elwood (James Stewart), ma nei suoi occhi si legge benissimo la disperazione di chi è incompreso dagli altri e
quasi convince lo spettatore che la scelta di rifugiarsi
nella fantasia sia ottima.
La scena gioca e diverte con espedienti normali e
conformi alla realtà: il rapporto con la padrona di
casa, il colloquio di lavoro, la spesa al supermercato
di provincia, la casa di Helena vuota di bellezza ma
colma di speranze. È proprio Scanio che pone degli
interrogativi, rinchiuso nelle sue motivazioni personali e nelle problematiche della società in cui vive.
Intelligentemente è forse qui il punto cruciale del film
che trasmette divertimento e allegria, ma anche incertezza e dubbio, sublima la figura del “fool” in una
diatriba sul diritto alla felicità e all’anticonformismo.
L’opera prima The Repairman di Paolo Mitton è fresca
e diversa da tutti i film italiani. Il regista non è arri-
(
42 )
THE REPAIRMAN
CULTURA E CINEMA
FARE CINEMA IN ITALIA
NE PARLIAMO
CON IL REGISTA
PAOLO MITTON
vato per caso alla cinematografia ma dopo una lunga
esperienza in strade diverse e una gavetta straordinaria; ha lavorato a film come Charlie e la fabbrica di
cioccolato, Alien vs. Predator o Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Bludimary (cm, 2001), Vita da
pendolare (cm, 2005), Mezze note (cm, 2005).
La scelta dell’ambientazione, tra le Langhe e la provincia piemontese, ha regalato una fotografia unica al
nuovo cinema italiano perché non è scontata, le case
sono realmente così. Gli attori, quasi tutti piemontesi ad eccezione di Helena (Hannah Croft), inglese
anche nella realtà, hanno fatto capire che il fascino
del cinema si rivela nella naturalezza delle espressioni e del vivere quotidiano senza tanti pizzi e merletti, linguaggio accattivante e abiti d’alta moda. Tutto
è tremendamente normale in questo lungometraggio,
anche il finale!
La scelta della musica per la colonna sonora è caduta su due compositori piemontesi: Alan Brunetta e
Ricky Mantoan. Gli strumenti usati e inusuali per il
cinema d’ambientazione italiana sono la marimba, il
dobro e la pedal steel guitar, oltre la chitarra e il basso,
naturalmente.
Gli attori: Daniele Savoca (Scanio), l’attore prediletto di Louis Nero; Hannah Croft (Helena), attrice
inglese; Paolo Giangrasso (Fabrizio), Fabio Marchisio (Gianni), Irene Ivaldi (Zoe), Elena Griseri
(l’insegnante), Alessandro Federico (Pitu), Anna
Bonasso (La padrona di casa), Barbara Mazzi (Katia), Francesca Porrini (Carmen), Beppe Rosso (Lo
zio), Marco Bifulco (Ninetto), Lorenzo Bartoli (l’idraulico).
Gli autori: Paolo Mitton e Francesco Scarrone.
The Repairman è una produzione Aidia Production e Seven Still Pictures, è vero. In collaborazione
con Acting Out Creative Studio e Fip - Film Investimenti Piemonte, e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte, altrettanto vero. Ma il
film lo hanno costruito, con i loro gesti e la loro
passione, molte persone, artigiani di un mestiere
bellissimo che si chiama cinema.
(
43 )
F
are film in Italia è difficile? Se non sei un regista
affermato o particolarmente amico di qualcuno?
«Difficile, é difficile, ma é giusto che sia così. Se non ci
fosse da soffrire per produrre un film, verrebbe girato
qualsiasi progetto, senza la cura necessaria, senza una
naturale selezione che porta solo le persone veramente motivate sul set. E poi immagino sia difficile per
chiunque, anche per i registi affermati, e che non sia
un problema solo italiano. Spesso si usa l’Italia come
emblema delle difficoltà del mondo del lavoro, ma
non é che all’estero siano tutte rose e fiori. C’é una tale
competizione in tutti i settori, in Inghilterra poi la
competizione é globale, c’é gente di tutto il mondo che
va a Londra per crearsi un futuro. In campo artistico
per certi aspetti é ancora più difficile che in Italia».
Puoi dirmi qualcosa del tuo lavoro sul set?
«Per un film come il nostro, così indipendente, girato
con un budget più basso di quelli che si usano di solito ma cercando di non sacrificare la qualità, la chiave
del set è stata scegliere le persone giuste, che hanno
remato tutte nella stessa direzione per amore del progetto e il piacere di lavorare in gruppo. Abbiamo preparato molti dettagli prima di girare proprio perché il
tempo sul set sarebbe stato ridotto. Poi é chiaro che ci
sono state molte cose da improvvisare ma sono anche
quelle che rendono divertente questo lavoro».
Nella pagina accanto:
Momenti delle riprese del film.
In alto:
Il regista Paolo Mitton.
Avevi già in mente Daniele Savoca come protagonista
mentre scrivevi la sceneggiatura insieme a Scarrone? E
come sei giunto alla scelta di “Scanio”?
«Si e no. Abbiamo scritto una prima versione senza
aver visualizzato il personaggio. Poi per caso ho visto
un video di Daniele su Youtube, una sorta di autointervista in cui parlava come Scanio, il nostro protagonista. E con Scarrone ci siamo detti: “è lui!”. L’abbiamo contattato, è rimasto entusiasta e da lì in poi
la sceneggiatura è cambiata ancora molto. Avere in
mente l’attore ha sicuramente aiutato, sopratutto un
attore come Daniele che entrando nel personaggio ci
aiutava a capire come si sarebbe comportato in determinate situazioni».
(
44 )
THE REPAIRMAN
CULTURA E CINEMA
DALLA CANZONE ITALIANA
ALLA MUSICA DA FILM
INTERVISTA
AD ALAN BRUNETTA
Sempre a proposito di attori, come è stato trovarsi sul
set con attori come Hannah Croft, nella vita tua moglie?
«Sul set ci siamo comportati come se tra di noi non
ci fosse nulla. Ma senza imporcelo, credo sia normale
essere tutti sullo stesso piano quando sei in un gruppo di lavoro. Poi è chiaro che fuori dal set è diverso,
ed è stato un grande vantaggio poter avere l’appoggio
di Hannah. E inoltre ha aiutato molto il fatto di avere
maturato un lavoro comune durante gli anni, e poter
essere sicuri che sul set ci sarebbe stato poco da suggerire».
Quanto intervieni sul lavoro del direttore della fotografia?
«Nulla. Non me ne intendo di luci e David Rom é un
fenomeno. Abbiamo parlato tanto prima, si é creata
una vera collaborazione. Abbiamo discusso del tipo
di film, del sentimento. Quando ho visto che l’aveva
centrato, gli ho lasciato carta bianca per farlo venire
fuori nelle immagini. Così come con gli attori e con
altri capi di dipartimento, é stato molto facile lavorare
insieme perché quando vedi che tutti stanno facendo
lo stesso film, la tua responsabilità come regista tende
anche a diminuire».
Come sei arrivato alla scelta di Alan Brunetta e Ricky
Mantoan per la musica del film?
«A film montato, ho iniziato a pensare alle musiche.
Mi sono concentrato sul tipo di sonorità più che sul
tipo di melodia, di ritmo, di atmosfere. Mi interessava
il timbro degli strumenti, che si impastasse bene con le
immagini, con la fotografia. E ho provato ad ascoltare
pezzi fatti con i più svariati strumenti, sovrapponendoli al film. Sono giunto alla scelta di due strumenti
particolari, la marimba e la pedal steel guitar. Nel nostro giro di conoscenze c’era un bravo compositore e
suonatore (correggi se mi esprimo male) di marimba,
Alan Brunetta. Gli ho fatto vedere il film e gli ho detto: componimi un pezzo di prova, poi vediamo. Ha
azzeccato al primo tentativo, mi sono innamorato del
tema e da lì non ci siamo più mossi. Abbiamo cercato
di capire dove ci fosse la necessità di accompagnarla
con la pedal steel e ci siamo detti: “eh ma qui ci vuole
uno bravo!”. E guarda caso in Piemonte, a un’ora di
macchina dallo studio di Alan, vive Ricky Mantoan,
che ha una storia pazzesca, ha suonato con i Byrds e i
Flying Burrito Brothers. Come pensare che fosse solo
una coincidenza? Ci siamo incontrati a casa sua, con
lo strumento di fronte, e come spesso é accaduto durante questo film, mi sono accorto che avevo davanti
una persona che aveva capito al volo cosa fare».
The Repairman è stato presentato a Londra e fuori concorso al Film Festival di Torino, ci sarà una presentazione ufficiale a livello internazionale del film e come
sarà distribuito?
«Stiamo lavorando per fare una presentazione in
qualche festival al di fuori dei due paesi d’origine del
film, che sono l’Italia e il Regno Unito. Vedremo. Sicuramente la distribuzione partirà dall’Italia, ne stiamo discutendo con i distributori e credo che in primavera il film arriverà nelle sale».
■
Grazie Paolo !
(
45 )
S
crivere musica è, in genere, un’attività solitaria
ma alle volte può essere necessario un team di
supporto. C’è qualcuno che ti aiuta o ispira? È
troppo retorico e accondiscendente definirti un «grande musicista»?
«Spesso scrivo musica nel mio studio, nei momenti in
cui sono isolato da tutto e tutti, registrandomi da solo
le idee; talvolta l’ispirazione arriva quando meno te lo
aspetti e soprattutto in luoghi in cui diviene impossibile provare l’idea musicale su uno strumento.Sostengo che la propria musica diventi ancora più completa
se suonata da musicisti con cui condividi tutti i giorni
l’amicizia, il palcoscenico e le emozioni. Nel mio caso
sono “lastanzadigreta” (Leonardo Laviano, Jacopo
Tomatis, Flavio Rubatto, Umberto Poli) e “euthymia”
(Dario Mecca Aleina, Angelo Ieva). Siamo un team
veramente unico che oltre alla questione lavorativa
condivide l’amore per la musica. Non posso e non
potrò mai definirmi un “grande musicista” ma posso
dire che il mio intento negli anni è stato quello di trasformare una passione in un lavoro che mi permetta
di esprimere le mie emozioni e i miei stati d’animo».
Da quando hai iniziato a comporre musica per film?
«Ho iniziato qualche anno fa sonorizzando alcuni
corti di inizio 900 come divertimento senza pubblicare nulla; partecipai con gli euthymia ad un concorso
specifico su questo tema, sonorizzando il corto di Alice in wonderland (UK 1903 di Cecil M. Hepworth);
io scrissi la musica e Dario Mecca Aleina mi aiutò
negli arrangiamenti. Non molto tempo dopo iniziai a
lavorare alla colonna sonora del film The Repairman
di Paolo Mitton. Il film attualmente sta avendo riscontri positivi: è stato nominato come miglior opera
prima al festival londinese Raindance ed è entrato nel
cartellone della 31 edizione del Torino Film Festival
facendo SOLD OUT ad entrambe le proiezioni».
Nella pagina accanto:
Paolo Mitton dietro la macchina da presa sul set di The
Rapairman.
In alto:
Il musicista Alan Brunetta.
Durante la tua carriera ti sei cimentato in vari generi
musicali? Quali sono state le principali collaborazioni
che hanno determinato soddisfazioni?
«Durante la mia breve carriera ho avuto la fortuna di
lavorare in diversissime realtà musicali e teatrali: attualmente la principale attività live sono -lastanzadigreta- gruppo in cui la canzone italiana viene svilup-
(
46 )
THE REPAIRMAN
LIBRI - INCONTRI CON L’AUTORE
pata sulla ricerca sonora utilizzando strumenti come
mandolino elettrico, marimba, didjeridoo, djembè,
chitarra classica e elettrica; collaboro con il gruppo
indie rock torinese Supershock divenuto importante
per la sonorizzazione rock di film espressionisti tedeschi (Nosferatu di Murnau, Der Golem di Wegener e
Metropolis di Lang); assieme a loro ho avuto modo
di collaborare con realtà teatrali torinesi importanti
come Tangram Teatro, Assemblea Teatro, Fondazione
TPE e con il TNG di Lyon collaborando con il grande Nino D’Introna; sono compositore e batterista del
gruppo progressive rock torinese Euthymia, gruppo
prodotto da Beppe Crovella per Electromantic Music;
la finalità degli Euthymia è quello di dare libero sfogo
alla composizione mescolando sonorità vintage alla
letteratura e al teatro realizzando suite strumentali
e opere rock.Negli anni mi è capitato di collaborare
con importanti ensemble di musica contemporanea
e orchestre suonando in grandi festival come MITO,
ecc...».
Da quando hai iniziato a scrivere musica, come sono
cambiati il mondo della musica e il suo pubblico?
«Da quando ho iniziato a scrivere musica ho notato
un cambiamento, soprattutto negli ultimi anni, nel
pubblico; secondo me, lentamente, sta tornando la
voglia nelle persone di ricercare sonorità nuove, di
scoprire gruppi nuovi e soprattutto scoprire musica
che susciti nelle persone nuove emozioni».
Andiamo ai tuoi esordi. Quale è stata la prima composizione per cui hai ricevuto un compenso?
«È stato un paio di anni fa quando scrissi ed eseguii
le musiche per uno spettacolo teatrale dal titolo “Leggenda Rock” prodotto dalla compagnia di Aosta Nuovababette Teatro e portato in tournèe nelle principali
città valdostane.Lo spettacolo e quindi le musiche si
ispiravano ad un racconto di Flaubert “La Légende de
Saint Julien l’Hospitalier” tratto da i Trois Contes.Le
sonorità sono molto scure, come il racconto, e si ispirano al progressive rock degli anni ‘70; gli strumenti
utilizzato sono Mini Moog, Hammond, pianoforte e
percussioni.Negli ultimi mesi, assieme a Dario Mecca
Aleina, l’abbiamo trasformata in una suite strumentale divisa in tre tempi per trio rock (tastiere, basso e
batteria) affiancato da un’orchestra di fiati.Sarà incisa
e pubblicata nel 2014».
Cosa pensi del primo lavoro da regista di Paolo Mitton,
The Repairman. Hai ancora voglia di comporre musica
e colonne sonore per il nuovo cinema italiano?
«Trovo che The Repairman sia una boccata d’aria fresca nel mondo della commedia italiana: mi piacque
fin da subito il personaggio, Scanio, su cui costruii
il tema principale della colonna sonora che nacque
quasi istintivamente al termine della prima visione;
mi piacquero le ambientazioni provinciali e soprattutto la semplicità e il realismo della storia.Trovai
emozionante poter lavorare sulle musiche, capire
quale atmosfera dare alle immagini e trovare la giusta
direzione compositiva.
Alla fine uscirono due soli temi che variano nel corso
del film sottolineando gli stati d’animo dei protagonisti, Scanio e Helena. Questo lavoro mi ha aperto la
strada verso il futuro che vorrei intraprendere: compositore ed esecutore di musica e colonne sonore».
PER ME LA MUSICA È
COME UN PAESAGGIO
DA COLORARE
INTERVISTA
A RICKY MANTOAN
Quanta stima nutri per Ricky Mantoan? Insieme avete
collaborato per la colonna sonora di The Repaiman!
«Nutro una fortissima stima e ammirazione per
Ricky: l’ho conosciuto durante la lavorazione della colonna sonora di The Repairman e fin da subito
mi sono trovato benissimo con lui oltre che a livello
umano anche a livello musicale.I primi provini insieme, che conservo ancora, sono delle improvvisazioni
sul tema principale utilizzando marimba e pedal steel
guitar e fin da subito siamo riusciti ad improvvisare insieme senza aver bisogno di guardarci.Ci siamo
resi conto che l’unione dei due strumenti è veramente
particolare e il suono che ne esce è perfetto per alcune
scene del film.
Trovo stupendi anche i brani della colonna sonora
scritti interamente da Ricky sia per il sound sia perché suonati egregiamente con un forte livello espressivo che si lega con le immagini del film.
E’ veramente un musicista incredibile e cosa ancora
più importante molto umile nonostante il fatto sia
il primo chitarrista Pedal Steel in Italia e che abbia
suonato con i Byrds. Non vedo l’ora di poter lavorare
ancora con lui».
■
Grazie Alan !
In alto:
Il musicista Ricky Mantoan.
(
47 )
S
crivere musica è, in genere, un’attività solitaria
ma alle volte può essere necessario un team di
supporto. C’è qualcuno che ti aiuta o ispira? È
troppo retorico e accondiscendente definirti un «grande
musicista»?
«Scrivere musica, per come la vedo io, dovrebbe essere una cosa semplice e istintiva che dovrebbe nascere
da un impulso interiore che prema per esprimersi. La
mia musica nasce quando un “click” interiore scatta e
il cervello diventa come una caldaia dove, senza apparente logica, una melodia comincia a formarsi e girare vorticosamente, dapprima in modo confuso, poi
in un modo sempre più definito. Alla fine ho l’impressione di ascoltare il brano finito e già registrato con
tutti i principali arrangiamenti. Considero questo una
fortuna perché a me basta poi “copiare” quel che ho
in testa e il brano è pronto e registrato… Per quanto
riguarda la definizione di “grande musicista” mi viene
da sorridere, infatti, se chiedete a dieci persone quale
sia per loro il grande musicista, vi sentirete rispondere con dieci nomi diversi.Questa definizione, infatti,
è soggettiva perché ognuno ama la musica che più lo
rappresenta, che più interpreta il suo livello di sensibilità. Personalmente non mi considero per niente
“grande”, penso solo di essere una persona che cerca
di esprimere le proprie emozioni che spesso non riesce ad esprimere in altro modo. A volte mi capita di
“voler” costruire un brano con un indirizzo mirato
ma poi quel “click”misterioso (e implacabile) mi fa
scrivere qualcosa che non immaginavo prima…Tutto
questo avviene nella solitudine più assoluta, quando
entro in contatto con il vero Ricky. Le etichette di
grande o piccolo dovrebbero far parte del giudizio di
chi ascolta e non di chi suona, io credo…»
Da quando hai iniziato a comporre musica per film?
«Ufficialmente ho iniziato l’anno scorso, quando il
regista Paolo Mitton mi ha contattato per scrivere e
suonare qualcosa per il suo film “The Repairman”.
Ho accettato con entusiasmo perché l’ambientazione e tutto il film mi sono piaciuti “a pelle”. In realtà
penso di aver inconsciamente scritto musica da film
da sempre perché ho sempre immaginato la musica
come a “quadri sonori”, ovvero brani che dovrebbero
suggerire immagini di una storia e di un paesaggio
da colorare. Personalmente non amo molto esibirmi
in pubblico perché non amo molto stare sul palco e
(
48 )
CULTURA E CINEMA
preferisco la musica “sentita” a quella “vista”. La mia
timidezza mi fa sentire buffo e preferirei suonare con
un paravento davanti che mi aiuti ad essere più spontaneo. La mia situazione ottimale è quella che mi vede
nel mio studiolo, da solo con i miei strumenti con cui
parlo e che suonando sembrano rispondermi…».
Durante la tua carriera ti sei cimentato in vari generi
musicali. Spesso ancora oggi, però, il tuo nome è associato alla collaborazione con musicisti americani e
band di fama mondiale. Secondo te è un pregio o vorresti essere riconosciuto per l’intera opera da te creata?
«Beh, in realtà nella vita non ho suonato troppi generi
musicali perché, agendo sempre a istinto, ho sempre
suonato ciò che al momento mi emozionava di più.
Sai, essendo un accanito autodidatta e avendo imparato a suonare tutti i miei strumenti da solo, ho sempre
dato solo retta a quel che sentivo dentro. Nella scelta
dei generi ho suonato sempre cose che, al momento,
erano controcorrente, minoritarie nel gradimento dei
più, e questo continua anche oggi…Ho sempre amato
il Folk americano e quello inglese. Poi, alla fine, negli
anni Ottanta, il destino mi ha fatto incontrare i miei
ispiratori californiani, ed è stato come un ritrovarsi
in famiglia tra fratelli e cugini idealmente da sempre
in contatto.Per me è stato certamente un vantaggio
perché accanto a loro sono molto maturato, sia musicalmente che umanamente. È stato buffo constatare
che qualcuno mi conoscesse all’estero mentre nel mio
paese quasi nessuno sapeva che suonassi una chitarra
e molti intuissero qualcosa solo perché porto i capelli
lunghi. Certo che amerei avere qualche concreto attestato di stima in Italia , ma solo perché sarebbe giusto
che un musicista potesse ottenere il suo sostentamento dalla Musica ma, la realtà del nostro Paese è un altro. Secondo un detto abusato si dice che i riconoscimenti spesso arrivino dopo la morte. Se così dovesse
essere auguro ai miei eredi tanta fortuna…».
Da quando, negli anni ’60, tu hai iniziato a scrivere
musica, come sono cambiati il mondo della musica e il
suo pubblico?
«Dagli anni ’60 ad oggi sono cambiati i modi in cui si
ascolta la musica; allora c’era il Juke Box e la sua magia, oggi i giovani ascoltano (anche svogliatamente)
degli aggeggi con le sigle più strane, l’indispensabile
è che siano dell’ultima generazione, ma questo non è
(
dovuto solo ai giovani, da sempre insaziabili di novità,
lo sono sempre stati, ma al sistema che li ha resi, giorno dopo giorno, consumatori passivi di prodotti di
avidi personaggi che hanno deciso di decelebralizzare le nuove generazioni. Lo scopo finale, socialmente
parlando, è quello di ottenere uomini docili ai voleri
dei potenti di turno. In questo i giovani d’oggi si differenziano da quelli degli anni ’60. Allora il “nuovo”
si respirava nell’aria… c’era voglia di sapere, in tutti i campi, voglia di impegnarsi di persona nella vita
sociale, in quella politica, e la musica era la colonna
sonora di questa speranza… Oggi, purtroppo, manca
tanto la voglia ma non è colpa solo loro. Le super pappette ai lattanti, gli iPod e il “tunz tunz” elettronico
arrivano da “sopra” le testoline dei ragazzi disorientati e inermi.Vedere le immagini di Che Guevara o
di Ghandi nelle pubblicità o i grandi poeti e musicisti
venduti nei supermercati con le patatine alla moda fa
stringere il cuore…».
Andiamo ai tuoi esordi. Quale è stata la prima composizione per cui hai ricevuto un compenso?
«La mia prima composizione che abbia ricevuto un
qualche compenso è stata “Sad Country Lady”, dal
mio Album d’esordio “Ricky”, del 1980, che ha avuto
qualche lira dalla SIAE per i diritti d’autore, mentre,
per la vendita del 33 giri non ho mai avuto un soldo.
Io comunque accettai la situazione perché ero felice di
aver dato la mia musica ad altri che, forse, l’avrebbero
apprezzata. Purtroppo questa triste consuetudine si è
protratta negli anni ma questa è un’altra storia…Un
mio grande rammarico è quello che, scrivendo io i
brani in lingua inglese, molto spesso sia apprezzato
in Italia solo per l’aspetto estetico dei brani e non per i
contenuti, spesso autobiografici… Mi sembra che sia
come mangiare la buccia di un buon frutto senza gustarne la totalità…».
Cosa pensi del primo lavoro da regista di Paolo Mitton,
The Repairman. Hai ancora voglia di comporre musica
e colonne sonore per il nuovo cinema italiano?
«Sono particolarmente fiero di aver avuto l’occasione
di partecipare a questa “avventura” di The Repairman,
del regista Paolo Mitton. Questo film mi ha conqui-
49 )
stato subito; il ritmo delle scene, la loro pacatezza,
mi hanno fatto sentire immerso in una atmosfera un
poco surreale, d’altri tempi… Niente violenza gratuita, niente sesso esplicito e “ginecologico”, senza voler
apparire un bacchettone o fustigatore di costumi (non
è il caso). Se in futuro Paolo avesse ancora bisogno
del mio contributo in qualche nuova colonna sonora
sappia fin d’ora che sarà un onore per me lavorare con
lui. Paolo ha grande talento e una visione originale
della cinematografia per cui vedo un bel futuro per lui
come per quello di Hannah e Daniele come attori…»
Quanta stima nutri per Alan Brunetta, giovane compositore e musicista. Insieme avete collaborato per la
colonna sonora del film…
«Non conoscevo Alan Brunetta, prima del lavoro che
ci ha visti lavorare insieme, ma ho subito percepito
la sua enorme preparazione musicale. Il suo modo di
suonare, senza tensioni e assolutamente spontaneo ne
ha fatto per me un compagno eccezionale. Suonare
con lui è stato per me come suonare con i miei amici
californiani più blasonati. Alan ha avuto il pregio di
farmi sentire subito a mio agio con la sua tranquillità
e semplicità. È il caso tipico in cui ti senti come se
avessi sempre suonato con lui. E ora penso con un
po’ di tristezza a quanti musicisti veri, con una preparazione incredibile e gusto da vendere, rimangano in
una specie di semi-anonimato in Italia. Noi però non
disperiamo: anche se i capelli s’imbiancano continuiamo a spargere i semi del cuore.
Prima a dopo forse qualcuno attecchirà…»
Grazie Ricky!
■
Scarica