E adesso vi dico: aridatece i soviet

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E adesso vi dico: aridatece i soviet - Massimo Fini
Dalla Russia arrivano sinistri scricchiolii: i minatori sono in sciopero perché da mesi non
ricevono il salario, le ferrovie bloccate, il fisco in rosso, il deficit galoppa, il rublo non fa che
deprezzarsi (ce ne vogliono più di 6 mila per un dollaro), la Borsa ha perso, solo nell'ultimo
mese, il 42 per cento. Queste le notizie che ci fornisce Il Giorno del 27 maggio. Ma non sono
che la punta emergente di una disgregazione sociale, prima ancora che economica,
spaventosa: disoccupazione, disuguaglianze enormi e quasi sempre ingiustificate, criminalità
diffusa, prostituzione dilagante, droga e mafie di tutte le risme che han messo piede sul suolo
russo. Sono le devastanti conseguenze dell'indiscriminata e folle apertura al liberismo
imboccata, dopo il fallito colpo di Stato di Janaev dell'estate del '91, dai radicali russi, ma
fortemente voluta e spesso imposta anche col ricatto ( «o fate come vi diciamo noi o non vi
diamo i soldi» ) dal Fondo Monetario Internazionale e dai Paesi occidentali, che nella terra
russa hanno visto solo un potenziale ed enorme mercato e non anche una comunità di uomini e
di donne. Si è volutamente confusa la libertà politica e civile riconquistata, e sacrosanta, con la
libertà economica. Ma non son la stessa cosa. Il popolo russo, per storia, tradizione, cultura,
vocazione, antropologia non è preparato o, meglio, non è adatto al mercato e alla
kunkurrenzkampf di tipo occidentale. È un popolo pigro, immensamente pigro, sentimentale,
melanconico, con profonde tendenze mistiche, che nemmeno il comunismo sovietico è riuscito
a cancellare e nulla gli è più estraneo della spietata concorrenza economica, dell'idolatria del
profitto e del denaro per il denaro. «Per il russo il denaro è sempre meno importante di una
buona occasione di spenderlo», ha detto il giornalista americano Hedriek Smith che ha vissuto
per anni a Mosca. C'è nel russo, per straccione che sia, qualcosa di principesco, di nobile, di
scialacquatore, di dissipatore, di feudale. Una mentalità agli antipodi del gretto calcolare
necessario al capitalismo. Solgenitsin, che conosce bene i suoi polli (e un poco anch'io che son
di madre russa), lo aveva detto fin da subito: «ll liberismo va bene da noi, ma a piccole dosi e in
piccole dimensioni: piccolo mercato, piccola proprietà privata, piccola impresa, piccolo
commercio». E, come spesso accade a quelli che son considerati dei visionari, aveva visto
giusto. Invece si è voluto somministrare ai russi il libero mercato in dosi d'urto. Il risultato è stato
che le poche, povere, ma reali conquiste del socialismo sovietico sono state spazzate via
avendo come conguaglio il peggio del capitalismo. La piena occupazione era una realtà in Urss,
oggi i disoccupati sono 10 milioni e le stime più ottimistiche dicono che saranno 16 nel Duemila,
mentre quelle pessimistiche parlano di 30 milioni. In ogni caso nei prossimi anni almeno 40
milioni di russi dovrà cambiare località, lavoro e «riconvertirsi». Anche la stabilità dei prezzi dei
beni di prima necessità era una realtà. Quello del pane (e quindi del grano) è rimasto immutato
dal 1954 fino ai primi tempi di Gorbaciov. Oggi l'inflazione viaggia, a seconda degli anni, a due
o a tre cifre. Salari e stipendi non riescono a tenere il passo per cui con la retribuzione mensile
di un professore,di scuola media (sempre che gli arrivi) si compra un pollo. In questa situazione
tutti sono costretti ad arrangiarsi. Come? Con la prostituzione, maschile e femminile, lo spaccio
di stupefacenti, la microcriminalità, l'accattonaggio, l'adesione a questa o quella mafia. Ma ciò
che soprattutto fa uscir dai gangheri il russo medio, diventato miserabile da povero che era (una
povertà comunque dignitosa e sostenibile, da Italia anni Cinquanta per intenderci), è vedere il
vicino di casa che, senza alcuna ragione plausibile, entra tranquillamente nei ristoranti da cento
dollari a pasto, mentre lui è ridotto sul lastrico. Gigantesche e intollerabili disuguaglianze si sono
create fra una ridottissima minoranza di superricchi (a maggioranza criminali e mafiosi) e una
popolazione di straccioni. Oggi la Russia è un bordello, una prostituta costretta a vendere la
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propria carne, la propria terra, le proprie case, oltre che la propria anima, nel tentativo
impossibile di competere con l'Occidente. E voglio guardare negli occhi chi ha il coraggio,di
negare che oggi i russi stanno infinitamente peggio di ieri. E' un passaggio necessario verso il
capitalismo maturo, un periodo di transizione, si afferma, come sempre quando c'è da
giustificare: in qualche modo l'ulteriore impoverimento della povera gente. Già, perché la Russia
possa allinearsi in un quarto di secolo agli standard del Portogallo e della Grecia, secondo
stime americane opportunamente ottimistiche. Ma via! Non era questa la strada. L'approccio al
libero mercato, come dice Solgenitsin, doveva essere molto più cauto, graduale, limitato,
salvando quel poco di buono che, dal punto di vista sociale, aveva costruito il sovietismo.
Invece i liberisti occidentali attraverso i loro domestici di Mosca hanno trattato il popolo russo
esattamente come i loro predecessori sovietici, usandolo da carne da macello per i loro
esperimenti «in corpore vili». Hanno avuto, e hanno, la tragica pretesa di applicare in terra di
Russia i principi del liberismo e del capitalismo con la stessa astrattezza ideologica con cui,
sino all'altro ieri, i marxisti-leninisti vi avevano imposto il loro modello.
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