L`essere umano, a differenza degli altri esseri viventi, non soltanto

L’essere umano, a differenza degli altri esseri viventi, non soltanto può avere dei mali, ma può stare male dentro. In effetti,
il “male che si ha”, cioè il dolore fisico, può essere rimosso o lenito in vari modi: eliminando la causa del male, curando il
sintomo con un farmaco, potenziando altre funzioni corporee complementari. Si tratta di un male prodotto da cause naturali che
sono per lo più comprensibili e prevedibili. È inoltre un tipo di male la cui durata e intensità si riesce in buona misura a prevedere
e controllare.
Quando si sta male dentro, invece, quando si ha cioè un dolore morale , non esiste un rimedio che automaticamente ci
riporti a “star bene”. L’uomo, per contrastare il suo “stare male” può cercare dei piaceri, eppure molti di essi non sono in grado di
togliere la sofferenza interiore. Il dolore morale, infatti, proviene da una fonte complessa e misteriosa, ovvero dagli atti liberi posti
dall’uomo, che non sono mai del tutto prevedibili (anche noi stessi ci comportiamo talora come non vorremmo!) e che lasciano una
traccia profonda nell’animo. A differenza di quanto avviene di norma nel dolore fisico, noi non sappiamo quanto durerà e quanto ci
farà stare male una sofferenza interiore, poiché ciò dipende dalla profondità con cui siamo colpiti, da come riusciamo a reagire, da
quanto il rapporto con le altre persone coinvolte risulta compromesso.
Si può dunque affermare che il male morale ferisce più del male fisico.
Oltre a riguardare gli atti liberi dell’uomo, il dolore morale investe sempre la relazione fra le persone. Tale relazione, infatti,
chiama in causa una serie di esigenze morali: rispetto dei diritti fondamentali, dei diritti particolari di quel tal individuo, ovvero dei
valori oggettivi (la giustizia, la verità, la libertà dell’altro, la vita, ecc.). Tutti questi elementi della vita personale e sociale sono
studiati dall’etica. Possiamo chiederci allora che cosa sia l’etica, che qui consideriamo come sinonimo di morale. Varie sono le
definizioni comunemente date all’etica: descrizione dei costumi e dei modi di agire; insieme delle leggi che regolano i sentimenti
morali delle culture; logica del discorso morale; disciplina di carattere normativo.
Ogni definizione di etica contiene alcuni elementi utili ad individuare l’oggetto proprio e il metodo di questa disciplina, ma
nessuna tranne l’ultima (l’etica come scienza normativa degli atti umani) ce li spiega a fondo. In effetti, i comportamenti etici o
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morali (gr. ethos, lat. mos, moris = costume, maniera abituale di agire), cioè le azioni proprie dell’uomo o atti umani, richiedono
un’analisi sistematica per poter essere compresi ed orientati. L’etica, infatti, ha la pretesa non solo di spiegare i comportamenti
(tanto meno di limitarsi a descriverli o a verificarne la coerenza interna) ma di guidare l’azione (funzione normativa).
È quindi una scienza (perché sistematica, con un oggetto e un metodo propri), è pratica (perché rivolta all’azione) e
normativa, cioè propone regole e ammonimenti, consigli e precetti per mostrare agli uomini la direzione del vivere bene .
Per “vivere bene” occorre individuare che cosa sia conveniente per l’uomo, cioè quali azioni realizzino pienamente la natura
umana, che è strutturalmente aperta alla verità e al bene, e motivare la volontà dell’uomo ad agire conformemente a questo
ideale. Di fatto, tale modello di vita si accorda anche con l’aspirazione universale degli uomini alla felicità, un grande bene che non
si identifica con il piacere (edonismo) né con l’utilità o il vantaggio svincolati da ogni principio e indipendenti dai mezzi
(utilitarismo), ma con l’adesione al bene oggettivo dell’uomo. In questo senso, etica dell’obbligazione (il dovere di fare il bene) ed
etica della beatitudine (il desiderio di stare bene) coincidono. Come dicevano gli antichi, bonum, verum, unum (et pulchrum)
convertuntur, ovvero il bene, il vero (e il bello) si corrispondono.
Per vivere/stare/agire bene occorre innanzitutto esaminare il cuore dell’azione umana: la capacità (tipicamente umana) di
darsi dei fini. L’azione dell’uomo è qualificata moralmente dall’intenzione con cui viene condotta. È un fatto che una medesima
azione dal punto di vista esterno può essere in realtà profondamente diversa perché animata da intenzioni opposte. Per agire in
modo moralmente buono è necessario dunque volere il bene ed evitare il male. Volere il bene, poi, significa ordinare l’azione
secondo quei precetti che costituiscono la legge morale naturale, cioè la legge interiore che l’uomo è in grado di scoprire con la
sua intelligenza e di rispettare con la sua volontà. Tali precetti caratterizzano trasversalmente e universalmente le culture e i
tempi, e sono fondamentali per la costruzione di una società ordinata. La religione ebraica e poi quella cristiana riassumono questi
precetti nei Dieci Comandamenti che prescrivono di non uccidere l’innocente (e per estensione non fare volontariamente male ad
alcuno), di non rubare (e dunque rispetta la giustizia dando a ciascuno il suo), di non dire il falso (non ingannare), di non essere
schiavo delle passioni sensuali, di rispettare la famiglia e la libertà religiosa, di essere fedeli.
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Scegliere e perseguire questi beni oggettivi impegna la libertà dell’uomo, che è il potere umano, radicato nella ragione e
nella volontà, di agire o di non agire, di fare questo o quello. Se da un certo punto di vista la libertà è ciò che ci dà la possibilità di
scegliere il bene o il male, è pur vero che scegliere il bene e il vero rende maggiormente liberi, cioè sempre più capaci di non
dipendere da condizionamenti interiori per agire secondo i fini buoni. In questo senso, la libertà rende l’uomo responsabile dei suoi
atti. La responsabilità si ha ogni volta che un uomo vuole direttamente qualcosa. Per questo motivo, può anche darsi che
un’azione sia indirettamente volontaria, quando per propria negligenza non si sa o non si fa qualcosa di doveroso (ad esempio, è
propria negligenza ignorare il codice stradale, dato che lo stesso è facilmente reperibile e tutti sono tenuti a conoscerlo). Un’azione
può invece avere involontariamente effetti cattivi, quando si tollera un male allo scopo di ottenere un bene maggiore e senza la
possibilità di evitarlo. Si parla in questo caso di principio del duplice effetto.
Come si fa per vivere bene? Bisogna acquisire “abiti”, ovvero qualità che rendono facile e quasi spontaneo agire in un
determinato modo. L’uomo buono compie normalmente atti buoni perché ha abitudini morali buone (abiti), ossia virtù; al
contrario, l’uomo cattivo compie normalmente atti cattivi, in quanto indossa abiti morali cattivi, ossia vizi. Gli abiti morali non si
acquisiscono con atti isolati, ma con una continua attività morale. Le virtù sono il patrimonio morale dell’uomo che agisce secondo
il bene, e vengono conquistate e sostenute da una fervente attività morale, così che non è sufficiente un solo atto cattivo per
corromperle. A fondamento di tutte le virtù ci sono le virtù cardinali, che fungono appunto da cardini intorno a cui sviluppare le
altre. Esse sono, in gerarchia: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza.
La “madre” di tutte le virtù è la prudenza, perché essa si rivolge dapprincipio alla realtà, così che la conoscenza oggettiva di
questa diventa normativa per l’azione. Poiché il bene presuppone la verità e la verità presuppone l’essere, la prudenza guarda la
realtà per conoscere la verità e in base a questa dirigere l’azione concreta verso il bene. Tommaso d’Aquino fa notare che il primo
requisito di chi opera è sapere quel che fa. La prudenza, quindi, è la realizzazione del giudizio morale retto, che richiede:
comprensione della situazione, scelta del fine particolare e quindi dei mezzi adeguati per raggiungerlo.
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Se solo il prudente è nella condizione di poter essere buono, il valore della giustizia sta nel fatto che essa è la forma più
alta e più autentica di tale bontà. Giustizia significa dare a ciascuno ciò che gli è dovuto, quindi agire equamente, rispettando i
diritti di ciascuno e promuovendo l’armonia sociale, base del bene comune.
La giustizia non si impone da sola, ma è necessario l’impegno saldo della persona. Fortezza significa disponibilità a mettere
in conto, nella realizzazione del bene, la possibilità di riportare delle ferite o addirittura di sacrificare la propria vita.
C’è infine la temperanza, che è la più “privata” delle virtù. Ha infatti a che fare con il rapporto dell’uomo con le passioni
della sua anima. Essa modera i piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni materiali; assicura il dominio della volontà sugli
appetiti sensibili e li orienta al bene.
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