La molteplicità nella dinamica economica Sapienza Pirata - 06 Mar 2003 par Maurizio Lazzarato Mise en ligne le mardi 1er juin 2004 "Chi" crea e come si produce la ricchezza al giorno d’oggi ? Quali sono le fonti e le forze coinvolte nella creazione dei nuovi valori ? Su quali basi organizzare e legittimare la redistribuzione della ricchezza ? Ecco le questioni che devono essere poste di nuovo oggi, come all’inizio dell’economia politica. Adam Smith può a giusto titolo essere definito come il fondatore dell’economia politica, poiché operò abilmente un passaggio straordinario che sconvolse il mondo, Marx compreso, e che sembra funzionare al punto che nessuno osa più metterlo in questione : la produzione della ricchezza e la valorizzazione della ricchezza coincidono... Sulla base di questo primo colpo di forza, Smith ne introduce un secondo che avrà, questa volta, conseguenze politiche molto importanti per quasi due secoli : i soggetti della valorizzazione capitalista coincidono con i soggetti della produzione della ricchezza. C’è sì una produzione della ricchezza esteriore alla relazione capitalista, ma si tratta della semplice produzione di valori d’uso in vista dello scambio o della soddisfazione di bisogni la quale non porta in sé l’"automovimento", la dinamica innovatrice e autovalorizzante della produzione capitalista. Qui il riferimento è ai residui dei vecchi modi di produzione, destinati ad essere "subordinati", prima o poi, al modo di produzione capitalista. La critica più importante indirizzata all’economia politica (Marx e il marxismo), non ha mai messo in questione questa evidenza, essa si è limitata a distinguere tra lavoro e forza-lavoro per smascherare ciò che l’economia politica nasconde : lo sfruttamento interno alla relazione capitalista. All’origine del valore, la differenza e la ripetizione Gabriel Tarde (1843-1904) è un outsider che tentò di far saltare questo accordo di fondo tra economisti e socialisti facendo leva su ciò che Smith aveva subordinato al lavoro diviso : l’invenzione e la cooperazione. Bisogna cercare l’origine della ricchezza nell’invenzione (forma sociale della Differenza Universale) e la costituzione di valori deve essere cercata nell’imitazione (forma sociale della Ripetizione Universale). L’invenzione e l’imitazione hanno, in primo luogo, la particolarità di non essere soprattutto forze economiche e, in secondo luogo, di essere la sorgente principale della "distruzione creatrice" per la quale Schumpeter definì la specificità della produzione di valore nelle condizioni capitaliste : la potenza immanente di cambiamento e di valorizzazione. La concezione di produzione della ricchezza di Tarde non prevede né un ritorno impossibile alla produzione di valori d’uso, né un ritorno alle nostalgie antropologiche dell’"economia del dono". Essa accetta la novità radicale della dinamica di forze sociali quali quelle che si esprimono nella modernità, ma essa rifiuta di descriverla attraverso la logica del "Capitale". La produzione della ricchezza di Tarde è innanzitutto una teoria della valorizzazione immanente delle forze animate dalla logica della Differenza e della Ripetizione. Il non economico nella costituzione dei valori L’invenzione non è la sola forza non-economica che l’economia politica è obbligata ad escludere dal suo paradigma. Questa è costretta a separare radicalmente l’origine e la costituzione di valori "morali", estetici , politici dall’origine dalla costituzione di valori economici. O a vedere, come nel marxismo, in questi ultimi l’origine dei primi. Ciò che rappresenta per gli economisti una garanzia di "scientificità", è invece per Tarde un limite fondamentale, al punto che per quest’ultimo, già alla fine del XIX secolo la questione è stato quella di concepire una "scienza generale del valore". L’economia classica e l’economia neoclassica hanno sempre avuto le più grandi difficoltà ad integrare l’invenzione e la costituzione di valori non economici nel circuito del valore. Esse hanno da lungo tempo risolto il problema a priori, come una realtà che dovrebbe riguardare altre discipline, la sociologia, la scienza politica o il diritto. Si comprende bene questo passaggio : l’economia è una scienza della valorizzazione capitalista ed ha tutta la legittimità e le ragioni del mondo per procedere in tal senso. Tuttavia col suo sviluppo essa è obbligata ad introdurre ciò che aveva escluso all’inizio. Si pensi alla teoria del cambiamento e dell’innovazione tecnologica, la teoria dei costi di transazione, la teoria delle esternalità, la teoria dei beni pubblici, la teoria delle convenzioni, etc. tutto ciò è interpretabile a mio modo di vedere come una ritrattazione dell’atto fondatore di Smith. Non è vero che produzione della ricchezza e valorizzazione capitalista coincidono. Per spiegare la produzione del valore economico bisogna introdurre, sempre più, forze e dinamiche non immediatamente economiche. Affinché l’invenzione e l’imitazione giochino un ruolo nella spiegazione del fenomeno economico occorrerà attendere l’avvento del nostro secolo con Schumpeter e, più vicino a noi, l’ambiente degli anni ’80, con la teoria evoluzionista del cambiamento tecnologico, quando diviene chiaro che esse sono le forze motrici delle nuove forme di accumulazione e di un nuovo regime di proprietà fondato sul brevetto (diritto di proprietà sull’invenzione) e il copyright (diritto di proprietà sull’imitazione). Ma queste sono sempre e comunque considerate come forze economiche, come facoltà dell’imprenditore o più di recente dell’impresa. Non confondere invenzione e lavoro Tarde si rifiuta di accettare l’incipit di Smith per render conto della Ricchezza delle Nazioni : la divisione del lavoro e l’abilità dell’operaio. All’inizio della Psicologia Economica afferma che invece di partire dalla produzione di spilli, può essere più interessante partire dalla "produzione di libri", poiché, in questo caso, la divisione "scientifica" del lavoro si rivela un ostacolo alla "produzione" e l’abilità degli operai un lavoro di riproduzione (la produzione materiale di libri). Ciò che, al contrario, è al cuore di tale processo produttivo è una forza che l’economia politica della sua epoca nega assolutamente : la conoscenza, cioè l’affetto più importante della metafisica di Tarde. In questo modello produttivo le forze dell’invenzione e dell’imitazione hanno un’altra caratteristica che bisogna segnalare subito : esse non sono, come il lavoro e l’utilità, fondate sulla rarità e il sacrificio ma si esprimono attraverso quello che gli economisti chiamano "rendimenti crescenti". "Chi" inventa non priva gli altri di alcunché poiché egli non fa che aggiungere qualcosa al reale ; e chi imita si appropria di ciò che copia senza privarne gli altri. Al contrario i brevetti e i copyrights introducono un principio di "rarità" nella cooperazione produttiva, ed è per questa ragione che i padroni della new economy sono esattamente elementi di "anti-produzione" per dirla come Felix Guattari o "parassiti", per usare i termini di Toni Negri.1 Tarde si scaglia su asserzioni comuni all’economia politica ed al marxismo. Le fonti del valore e della dinamica economica non risiedono né nel lavoro, né nel capitale, né nell’utilità, ma nell’invenzione e nell’associazione... Secondo Tarde gli economisti, omettendo l’idea di invenzione ed associazione, "hanno decapitato la loro scienza". Essi sono caduti nell’ "errore increscioso" di far rientrare l’invenzione nel lavoro, di confondere il capitale-materiale con il capitale-intellettuale e nello stesso modo, hanno raccolto sotto lo stesso termine "prodotto", i "prodotti detti materiali con i prodotti detti immateriali, confondendo le scoperte e la loro propagazione".2 La cooperazione delle piccole invenzioni "L’impulso fondamentale", per usare il linguaggio di Schumpeter, che mette in movimento la macchina economica, è dato dall’invenzione e dalla cooperazione, che per Tarde sono sinonimi, poiché concatenando in modo nuovo delle "forze ipopsichiche" (ecco uno dei neologismi di cui Tarde va matto e che bisogna intendere come la credenza e il desiderio, la potenza d’agire e la potenza di pensare in quanto forze "intra-sociali", sub-personali) e di forze "iperpsichiche" (la combinazione di desideri e di credenze, della potenza d’agire e della potenza di pensare in quanto forze sociali, sovra-personali) esse scoprono nuove combinazioni, nuove utilità, nuovi impieghi dei prodotti, degli uomini e delle loro relazioni. Esse creano così un "surplus". Tarde pone "allo stesso livello" l’invenzione e la cooperazione perché non si avvale di una concezione esclusivamente "cognitivista" dell’invenzione. La creazione di qualcosa di nuovo è sempre contemporaneamente una potenza di "adattamento" e una "combinazione" di forze, ossia una potenza di co-produzione. "L’essenziale di un’invenzione è di far utilizzare reciprocamente dei mezzi d’azione che prima sembravano distanti ed opposti ; è una associazione di forze sostituita a una opposizione o a una sterile giustapposizione di forze".3 L’ingegnosa idea di coalizzare dei "tentativi separatamente impropri a raggiungere il loro scopo", è così "assimilabile ad una invenzione". La cooperazione è allora una delle "forme più importanti di combinazione". Per invenzione o scoperta Tarde intende "una innovazione qualsiasi o un perfezionamento, anche minimo, apportato ad una invenzione anteriore, in ogni fenomeno sociale, linguaggio, religione, politica, diritto, industria, arte".4 Bisogna sottolineare immediatamente la differenza metodologica tra Tarde e Schumpeter il quale, per primo, fa della "distruzione creatrice" dell’innovazione il motore dell’accumulazione capitalista. Schumpeter ci mostra il modo in cui opera la scienza economica quando integra l’innovazione nel circuito di valorizzazione. Distinguendo tra invenzione e innovazione, egli annuncia che l’economia deve occuparsi di quest’ultima, mentre l’invenzione concerne altre scienze sociali. Ma questa separazione mutila la comprensione del fenomeno economico, poiché nega precisamente le sue fonti - che non sono esclusivamente economiche, tutt’altro. Per Tarde, al contrario, l’invenzione e la cooperazione che mettono in movimento la macchina economica non sono esclusivamente industriali, esse non trovano le loro fonti esclusivamente nella relazione capitale-lavoro. Esse possono così essere etico-politiche, estetiche, scientifiche, militari, giudiziarie, etc. Possono prodursi grazie alla cooperazione e alla forza-invenzione dei consumatori, dei locutori, del "pubblico", dei "teorici, meccanici o politici". La "distruzione creatrice" è l’opera di forze che in nessun modo si possono ridurre alla dialettica capitale-lavoro. Occorre dunque partire dalle "innovazioni più semplici" senza tener conto della difficoltà o del merito dell’innovazione e senza tener conto del loro grado di coscienza ("poiché spesso l’individuo innova a sua insaputa".) La "tendenza innovatrice", come ogni forza in Tarde, non è una forza immensa ed unica, esteriore e superiore ma infinitamente moltiplicata, infinitesimale e interna. "L’invenzione", per fragile che sia, "è il primo oggetto che la scienza sociale deve studiare", poichè per Tarde si tratta di ogni "piccola invenzione" la cui fonte non si trova solo nel cervello di un grande inventore, ma in una moltitudine di cervelli eterogenei. Se da una parte questa concezione di forze-invenzioni è una critica ante litteram della concezione "eroica" dell’imprenditore schumpeteriano, costruita ancora su una forza "immensa e unica, esteriore e superiore", essa assume d’altra parte la discontinuità, la rottura per la quale Schumpeter definì l’azione dell’imprenditore. Se gli elementi differenziali infinitesimali (le"piccole invenzioni") sembrano essere dei "cambiamenti graduali", le loro azioni, in realtà, sono sempre "distinte e discontinue". E’ il concetto stesso di "produzione del nuovo" che qui è in gioco. La messa in comune dell’invenzione e la sua diffusione L’invenzione e la cooperazione sono degli eventi, delle singolarità che in sé non hanno alcun valore. Esistono dei "fuori valore" che sono nondimeno la fonte di tutto il valore. Tarde sottolinea come si possa parlare di valore soltanto se una invenzione combinazione singolare di capacità di agire e di capacità di pensare, che non è una "quantità psicologica"è divisa tra più di una persona, cioè se essa è messa in comune. Non si può parlare di valore o di "quantità sociale" che a questa condizione. Occorre dunque distinguere tra l’atto di creazione che è una singolarità, una differenza "qualitativa", e il suo processo di riproduzione e di propagazione che fa di questi "fuori valore" un valore, di questa differenza una "quantità sociale". La formazione del valore dipende dunque a sua volta dall’invenzione e dalla diffusione, dall’attualizzazione di una virtualità e dal suo effetto sociale. Una invenzione che non si diffonde, che non è imitata, non ha alcun valore. La socializzazione di una invenzione che trasforma l’invenzione in "valore" o "quantità sociale", presuppone la sua ripetitività o la sua riproducibilità e dunque l’omogeneità delle credenze e dei desideri, delle volontà e delle intelligenze che la costituiscono così come la loro comunicabilità. Effettivamente, è solo quando i desideri e le credenze, le volontà e le intelligenze sono "omogenee" che esse sono comunicabili. La forza di ripetizione e di diffusione dell’invenzione è l’imitazione, che trova nella meccanizzazione degli atti di riproduzione (industria) e nella riproduzione a distanza della parola e delle immagini (Tarde è il primo che integra nella costituzione di valore la stampa e i media in generale) una demoltiplicazione della sua potenza di contagio, che, così, come tutte le forze in Tarde, è una forza "infinitesimale ed interna". La diffusione di un nuovo prodotto, per esempio, implica da una parte la riproducibilità dei procedimenti e degli atti di fabbricazione, la riproducibilità degli atti di consumo, dei "bisogni di produzione" e dei "bisogni di consumo" che questo prodotto è ritenuto soddisfare, e d’altra parte la loro comunicabilità attraverso l’imitazione. Lo scambio di credenze quanto quello dei bisogni Per Tarde ogni attività che contribuisce alla diffusioneimitazione dell’invenzione e della cooperazione, contribuisce alla costituzione del valore di questa stessa invenzione. Il "lavoro industriale", da una parte attraverso l’omogeneizzazione (la standardizzazione) dei processi di fabbricazione, degli atti di produzione e dei prodotti e, dall’altro lato, attraverso le sue forme di "comunicazione" (il mercato, lo scambio, la concorrenza) contribuisce potentemente alla costituzione del valore di una invenzione, alla sua trasformazione da quantità psicologica in quantità sociale. L’attività dei lavoratori e dei capitalisti partecipa dunque alla costituzione del valore, ma si tratta innanzi tutto di una attività riproduttiva. Questa attività non è né la "fonte" esclusiva dell’invenzione e della cooperazione né la forma esclusiva che assume la diffusione dell’invenzione o dell’associazione e dunque essa non è sicuramente il luogo esclusivo della formazione del valore. Per Tarde la conversazione, la pubblicità, la comunicazione, la stampa, l’opinione pubblica, l’imitazione-moda e l’imitazione-costume, le città e la loro "densità sociale", i divertimenti... contribuiscono alla diffusione-propagazione di credenze e di desideri, di volontà e di intelligenze che costituiscono gli atti di produzione e di consumo, nello stesso modo del lavoro industriale. Ognuno di questi dispositivi assicura da una parte la costituzione e l’omogeneizzazione delle "abitudini" (saperi, opinioni, gusti etc.) definendo la soggettività, i comportamenti dei "lavoratori" e dei "consumatori" e , d’altra parte, la loro "comunicabilità". Essi fanno tutti parte integrante di un circuito di formazione del valore, una volta che i desideri le credenze non sono più date a priori come le utilità dei neoclassici, o che poi è lo stesso, storicamente determinati, come i valori d’uso dei marxisti. "Prima d’essere una produzione e uno scambio di servizi, la società è innanzitutto una produzione e uno scambio di bisogni così come una produzione e uno scambio di credenze ; è indispensabile".6 L’economia politica classica, i neoclassici e i marxisti, separando radicalmente la produzione del valore economico dalla produzione dei "valori morali", riducono quest’ultimi a dei semplici fenomeni culturali o ideologici. Questo sdoppiamento tra Essere e Coscienza che l’economia politica e il marxismo, in modo diverso, presuppongono, è oggi un autentico ostacolo politico prima ancora che un’impasse teorica. L’invenzione e l’imitazione ci permettono di comprendere come i valori morali (gli affetti, i linguaggi, le opinioni etc.) sono delle "quantità sociali" allo stesso livello dei valori economici, prodotti dall’azione dei desideri e delle credenze che non si rapportano gli uni agli altri come la struttura alla sovrastruttura, l’essere alla coscienza. L’economia politica ha una concezione manchesteriana, feticista del valore e della ricchezza -ugualmente veicolata dal marxismo- di cui essa fa fatica a sbarazzarsi. Quando, come nell’economia contemporanea, occorre vendere prima di produrre, quando è necessaria una "prevalidazione" sociale del valore, queste affermazioni sembrano banali, benché nessun modello "accademico" l’abbia ancora formalizzato. E come si opera questa "prevalidazione del valore" -che la valorizzazione capitalista non può più solamente presupporre, ma che essa deve organizzare (essa diviene anzi la sua funzione più strategica) ? Evidentemente attraverso i dispositivi che l’economia politica e il marxismo definiscono come "ideologici e culturali" così come attraverso le forze che le animano : l’invenzione e l’imitazione. La molteplice dinamica del valore L’invenzione e la cooperazione non si limitano a fornire l’impulso fondamentale al ciclo produttivo, esse ne costituiscono la sua dinamica interna. Un’invenzione, attraverso l’imitazione, si sviluppa ripetendosi e attraverso la sua stessa ripetizione si oppone o si combina, entra in conflitto o si concatena ad altre invenzioni, dando luogo a nuove creazioni. Le attività "culturali", ideologiche o genericamente sociali, allo stesso titolo del lavoro "riproduttivo" della fabbrica, non si limitano alla diffusione del valore dell’invenzione, ma creano a loro volta delle "invenzioni" e delle nuove forme di "cooperazione" che sono all’origine dei nuovi prodotti e delle nuove ricchezze. In questo modo il processo di ripetizione-diffusione sotto la potenza dell’imitazione non è riducibile ad una semplice circolazione, poiché, ripetendosi, un’invenzione suscita usi (attivi o passivi), rende possibili altri concatenamenti (attivi o passivi), apre a nuove produzioni, a nuove forme di consumo. Se la ripetizione, per utilizzare la terminologia filosofica di Tarde, è subordinata alla variazione, essa ne è così una delle condizioni. L’imitazione è il canovaccio da cui emerge, attraverso spostamenti infinitesimali, una nuova invenzione. L’imitazione-riproduzione non è una semplice standardizzazione o una omogeneizzazione, come pensa, ad esempio la scuola di Francoforte, ma una attività che contribuisce alla creazione di nuovi valori. Solo Walter Benjamin, marxista atipico, ha colto il doppio aspetto dell’imitazione e ha così sottolineato il valore nuovo e positivo in cui la potenza è moltiplicata attraverso la meccanizzazione e la "comunicazione a distanza". L’"impulso fondamentale" (l’input, per usare il gergo degli economisti) del ciclo economico è dunque molteplice ed eterogeneo perché così sono le forze di creazione. Esso non è riducibile alla dialettica Capitale-Lavoro, come implica l’atto fondativo dell’economia politica. Tutte queste invenzioni, aggiungono qualcosa di nuovo al reale, aprono delle possibilità di costituzione di nuovi valori, di nuovi bisogni e di nuovi prodotti. Il fenomeno economico non può costituirsi, funzionare e trarre risorse che da queste aperture, queste differenze, questi scarti prodotti attraverso l’innovazione e la cooperazione. La produzione della ricchezza fondata sull’invenzione e la cooperazione possiede una proprietà rilevante rispetto all’economia politica e alla critica marxiana : essa non ha centro. Essa non si sviluppa, come l’economia politica e il marxismo, secondo una logica lineare : produzione di valore nell’impresa, circolazione dei prodotti nel mercato, "distruzione" della ricchezza e realizzazione del valore attraverso il consumo. La catena della produzione di valore corre parallelamente alla fabbricazione, la circolazione e il consumo di un prodotto. Essa ha luogo in ognuna di questi momenti contemporaneamente. I soggetti della produzione della ricchezza sono molteplici e le loro azioni non si limitano alla valorizzazione del capitale. Le idee come forze produttive Le teorie dell’innovazione tecnologica e le teorie evoluzioniste dell’azienda fanno della "distruzione creatrice" la fonte della creazione di nuovi valori. Come l’economia politica e il marxismo esse legano i cambiamenti importanti del valore alle crisi economiche, mentre, quello che Tarde chiama le "crisi-lotte", cioè le crisi sociali e politiche, non possono rientrare nel loro paradigma. Pertanto queste crisi che "distruggono autenticamente" i valori che sono all’origine dei bisogni e delle credenze che fondano la produzione e il consumo economico. "Io parlo di turbamenti profondi del regime economico e morale di un popolo dove una conversazione religiosa, una trasformazione politica, l’apparizione simultanea delle più grandi invenzioni rinnovatrici, introducono bruscamente nuove convinzioni e nuovi bisogni, che implicano la negazione o la soppressione parziale dei principi e dei costumi fin lì dominanti. Questa trasformazione brusca della fede e della passione collettiva, sempre violenta e preceduta da guerre interiori se non da battaglie di piazza, ha l’effetto di suscitare una profusione di nuovi prodotti che distruggono autenticamente il valore dei vecchi prodotti". 7 Se una teoria della valorizzazione capitalistica poteva fare a meno delle fonti sociali e politiche della ricchezza, una teoria della valorizzazione delle forze deve invece integrarle con forza nell’analisi del processo di formazione del valore. Per Tarde, l’"idea di uguaglianza", apparsa con la rivoluzione francese, e la diffusione del socialismo alla fine del XIX secolo, sono delle "forze produttive" della più grande importanza che gli economisti si ostinano a negare perché hanno una concezione ridotta, feticista, del concetto di ricchezza e delle forze che la producono. Che il socialismo e l’idea di uguaglianza generano dei costi di produzione mi sembra un’idea non solo divertente ma vera : l’economia politica, difficilmente può integrarle nei suoi modelli poiché essa dovrebbe, allora, riconoscere che la produzione di valore e la valorizzazione del capitale non coincidono. Bisognerebbe porre la questione ad un industriale qualsiasi per il quale i sindacati hanno sempre rappresentato un costo, prima di trasformarsi, nel fordismo, in agenti della produttività. Tarde riserva il termine di "produzione" ad ogni attività che produce qualcosa di nuovo, che essa si esprima nel rapporto capitale-lavoro, nel consumo, nel campo della conversazione, dell’opinione pubblica o del sapere e chiama "riproduzione" tutte le attività che si limitano a ripetere e diffondere le invenzioni e le cooperazioni così concepite. L’attività economica, così come quella letteraria, scientifica, comunicativa è un’attività che si distingue nella produzione e riproduzione secondo i desideri che essa esprime : "desideri attivi" nella produzione e "desideri passivi" nella riproduzione. La creazione di una nuova forma di consumo, ad esempio, è considerata da Tarde come una "produzione" poiché essa coinvolge desideri attivi di creazione, mentre il semplice uso di questa nuova invenzione- che non aggiunge nulla di nuovo- è una "riproduzione" poiché non impegna che desideri passivi. C’è sì un primato della produzione sulla produzione sulla riproduzione come dissero gli economisti e i marxisti, ma questo si fonda sulla parte attiva della forza che produce. C’è sì "vantaggio", secondo l’espressione di Tarde, della produzione sulla riproduzione, ma secondo un’autentica torsione rispetto all’economia politica ed a Marx stesso, poiché essa rinvia alla valorizzazione della forza e non alla valorizzazione del capitale. E questo primato del desiderio di produzione sulla riproduzione "è tanto più marcato quanto si tratta di una produzione più elevata, ossia meno materiale, più spirituale e sociale".8 Tutti inventano, tutti lavorano Per Tarde il valore dipende dunque dal processo di "riproduzione" sociale dell’invenzione e della cooperazione, ma basta che una nuova invenzione appaia o che una nuova forma di cooperazione veda la luce, affinché i vecchi prodotti o le vecchie forme d’organizzazione si svalutino "su due piedi". La potenza d’inventare o di cooperare appartengono all’insieme delle attività e delle forze sociali ; essa non è esclusivamente assegnabile all’imprenditore o al "lavoratore collettivo". In questa concezione della produzione della ricchezza tutti inventano e tutti lavorano, in fabbrica come nella redazione di un giornale, in un movimento politico come nella scuola. Di conseguenza i soggetti della produzione non sono riducibili alle due classi sociali dei proletari e dei capitalisti. L’attività di cooperazione e di produzione è la combinazione di azioni infinitesimali e molteplici. L’invenzione non è l’atto prometeico di un "grande uomo", ma è questione di "piccole idee" apportate da "piccoli uomini". Lo storico e il sociologo dell’innovazione si ingannano perché non afferrano che questa è il risultato del processo al quale "hanno cooperato dei cervelli molteplici, prima che un cervello unico l’abbia completato o marchiato del suo sigillo"9. A mio parere va da sé che l’opera di Tarde assume un particolare significato dal momento che oggi la forma sociale della produzione della ricchezza precede la valorizzazione capitalista : la dinamica "rivoluzionaria" non definisce principalmente "lo spirito del capitalismo" ma la dinamica immanente delle forze sociali. La produzione della ricchezza non è esplicabile con una nuova definizione di "lavoro cognitivo" ma, al contrario, sulla base di una teoria della produzione e della riproduzione della vita. L’economia oggi si definisce precisamente come bio-potere. Gli uomini d’affari americani, con netto anticipo sugli economisti, definiscono gli indici e le misure del valore capitalista in termini di "life time value" (LTV) o ancora di "value and life styles"(Vals). La pratica politica non potrà così ricomporsi che oltre la separazione tra "critica sociale" e "critica.d’arte", poiché il lavoratore e l’artista si pongono come le due figure separate attraverso le quali il capitalismo del XIX secolo comandò l’invenzione della vita.10 Note (1) Vedere a questo proposito il dossier Le logiciel libre nel n°I di Multitudes. (2) Gabriel Tarde, La logique sociale, Institut Synthelabo, 1999, p.475. (3) Gabriel Tarde, L’opposition universelle, Institut Synthelabo, 1999, p.394. (4) Gabriel Tarde, Les lois de l’imitation, Editions Kime, 1993, p.2. (5) « Io sono per distinguere con tutta la chiarezza possibile il lavoro e l’invenzione. Devo aggiungere tuttavia che, nella realtà dei fatti, essi sono intimamente fusi a dosi straordinariamente ineguali.", "La logique sociale",p.226. Occorre sottolineare che la distinzione tardiana tra lavoro ed invenzione non coincide alla divisione tra "lavoro manuale" e "Lavoro intellettuale", fondamento, per Marx, dell’organizzazione capitalista del lavoro. All’interno di ciascun tipo di attività occorre distinguere tra "creazione" e "ripetizione". Ogni attività (economica, intellettuale, artistica) presenta, a gradi diversi, una serie di atti ripetitivi e abitudinari e una serie di atti che coinvolgono "l’immaginazione inventiva e scopritrice." (6) Gabriel Tarde, Darwinisme naturel et darwinisme social, p.619, op. cit. (7) Gabriel Tarde, L’opposition universelle,1999, p.357, op.cit. (8) Gabriel Tarde, Psychologie économique, Vol 1, Alcan, 1902, p.174. (9) Gabriel Tarde, La logique sociale, p.294, op. cit. (10) Antonella Corsani, Maurizio Lazzarato, Antonio Negri, Le bassin du travail immatériel et la métropole parisienne, l’Harmattan, 1996. Bibliografia Arrow K.J. (1962), "Economic welfare and the allocations resources for inventions", in The Rate and Direction of Inventive Activity : Economic and Social Factors, R.R. Nelson (a cura di) NBER, Princeton University, (EU) pp.609-626. Boyer R., Schmeder G. (1990), Division du travail, changement technique et croissance. Un retour à Adam Smith », Revue francaise d’Economie vol.5, n°I, pp.125-194. Breton Ph., (1990), Une histoire de l’informatique, Editions du Seuil (France). Domar E.D. (1947), « Expansion and employement", American Economic review n°37, pp.34-55. Dosi G. (1982), "Technological paradigms and technological trajectories. A suggested interpretation of the determinants and directions of technical change", Research Policy n°II, pp.147-162. Dosi G., freeman C., Nelson R., Silverberg G., Soete L. 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