1/ Il Lazzaro di Caravaggio, il più bel quadro del mondo, di

1/ Il Lazzaro di Caravaggio, il più bel quadro del mondo, di
Giuseppe Frangi
2/ Appunti sulla Resurrezione di Lazzaro
di Andrea Lonardo
1/ Il Lazzaro di Caravaggio, il più bel quadro del mondo, di Giuseppe Frangi
Ultimamente mi sono sorpreso a ripetere un giudizio un po’ apodittico: la Resurrezione di Lazzaro, dipinta da Caravaggio a Messina nel 1609 è
il più bel quadro del mondo. Provo ad andare oltre l’istintività del giudizio e a supportarlo con qualche ragione.
Innanzitutto due dati, non inutili: Caravaggio dipinge questa grande tela per Giovan Battista De Lazzari, mercante genovese di stanza a
Messina. Lo dipinge per la chiesa dei Crociferi (l’ordine di Camillo de’ Lellis). Nella commissione in realtà si parla di un soggetto diverso,
con la Madonna e San Giovanni Battista, omaggio del committente al “suo” santo.
Alla consegna Caravaggio si presenta con un soggetto del tutto diverso, evidentemente concordato in privato con il committente, ma
verosimilmente frutto della sua libertà creativa. Anziché appigliarsi al nome si appiglia al cognome del mercante: di qui la scelta di
raccontare la Resurrezione di Lazzaro.
Il cardinal Paleotti, con un po’ di sprezzo, chiamò questa di Caravaggio il peccato di «novità». Scrive Ferdinando Bologna, che Caravaggio si
concedeva «una personalizzazione di scelte in cui il peccato di “novità” è non meno flagrante che deliberato».
Il quadro viene accettato il 10 giugno 1609, «nonobstante» il cambio in corsa del soggetto. Alto 3,80 cm, metà occupata dalla scena, metà
dal muro terroso che sembra di una grotta. I personaggi sono tutti allineati in orizzontale, in una ripresa fotografica e frontale.
C’è la frenesia concitata e brutale di un fatto di cronaca, ma il clik blocca un istante di ordine compositivo assoluto. Un fiotto di luce di forza
atomica entra da sinistra, prende di spalle un Gesù che resta in ombra e piomba sul corpo di Lazzaro, che si sveglia dal sonno della morte
con il gesto, vitale e stupefatto, del dormiente che si stira: ma le linee del suo corpo (su cui ha scritto cose inarrivabili Roberto Longhi: «il
corpo madido», «un tragico negativo della morte di Adone, quasi provasse a tinger di nero anche l’antica Grecia…») compongono
un’architettura suprema – architettura di carne rediviva – su cui si regge tutto il quadro.
Tra gli astanti in tre guardano curiosamente verso la parte esterna del quadro, distogliendo lo sguardo dall’epicentro del pur
clamoroso fatto. Che cosa guardano? L’origine della luce? In realtà si coglie dell’ansia sui loro volti. Come se non ci fosse tempo da
perdere, come se ci fosse da fare in fretta. Tra i tre c’è lo stesso Caravaggio, il più platealmente distratto: autobiografia di un uomo braccato?
L’occhio è sgranato e inquieto…
A destra invece tutti sono decisamente sul pezzo. In particolare Maria, sino a pochi attimi prima persin risentita con Cristo («Se tu fossi
stato qui, Lazzaro non sarebbe morto») e ora proiettata, con un gesto mai visto prima, sul volto del fratello, per baciarlo ma anche per
sentirne, sul proprio volto, il primo fiato. Particolare di abissale verità e tenerezza, là dove l’immaginazione di Caravaggio va talmente dentro
quel fatto da coglierne dinamismi assolutamente veri, mai prima raccontati. Un bacio trattenuto (le labbra sfiorano soltanto) che vale
milioni di baci.
Guardate poi la mano di Maria, accarezzata dalla luce, che quasi non osa accostarsi al volto del fratello: come avesse pudore e tremore
a toccare un simile miracolo. Quasi non potesse contenere il sussulto per quel di cui è testimone. Più sobria, più osservatrice, come da
“copione”, alle sue spalle c’è Marta.
Il tutto dipinto con la fretta che è propria della vita. Con la terra che brucia sotto i piedi. E con quel grande vuoto che incombe e cha ha la
funzione di sgonfiare ogni enfasi, di far piombare il quadro dentro la essenzialità drammatica dei fatti. Ecco perché siamo davanti
(secondo me) al più grande quadro del mondo.
2/ Appunti sulla Resurrezione di Lazzaro di Caravaggio, di Andrea Lonardo
Solo se Dio è creatore è anche il salvatore. Caravaggio, che a Roma come intimo di papi e cardinali frequentava il Palazzo Pontificio,
riprende nella Resurrezione di Lazzaro il gesto del Cristo che chiama San Matteo, nella Cappella Contarelli. A sua volta quel gesto gli
era stato ispirato dalla Creazione dell’uomo di Michelangelo nella volta della Sistina. Quella mano crea, guidando la storia interviene in
essa chiamando ed, infine, dona resurrezione.
Tre volti emergono nella luce intorno al Cristo. Essi vogliono vedere. Uno di essi, quello sopra il polso di Cristo, è universalmente
riconosciuto come uno degli autoritratti di Caravaggio. Ha le mani giunte e guarda il Cristo. Lo fissa. E fissa la luce che giungendo da più
oltre passa però tramite il gesto del braccio di Cristo.
Il corpo di Lazzaro è disposto chiaramente a forma di croce. È già il crocifisso. Quel crocifisso che solo illumina tutte le morti del
mondo. E spalanca loro la speranza.
Caravaggio era a Messina. Attendeva la grazia del pontefice per poter rientrare perdonato a Roma pur avendo commesso un omicidio. Roma
era la città che amava. Era la Roma della controriforma. Era la Roma dei papi e dei cardinali dei primi del seicento. Per loro
Caravaggio voleva dipingere. Era fuggito da Malta dopo la breve esperienza di cavaliere crociato dell’Ordine maltese: aveva potuto
essere nominato cavaliere di Malta grazie ad uno speciale permesso pontificio ed aveva firmato la Decollazione del Battista con la f. di
frate. Era cioè divenuto un religioso cattolico! Doveva essere fuggito con l’aiuto dei cavalieri di Malta e di alti prelati di Roma, dopo essere
stato spogliato dell’abito per il suo comportamento nell’isola – non si fugge da Malta solo con i propri mezzi! Ma la benevolenza della Chiesa
del tempo continuava a sostenerlo anche in Sicilia. Nella postilla al contratto della Resurrezione di Lazzaro del 10 giugno 1609 egli è
ancora definito militis Gerosolimitanus[1]. Ed a Messina, proprio negli anni della Resurrezione, i cavalieri di Malta stavano restaurando la
Chiesa di San Giovanni dell’Ordine Gerosolimitano quando vennero alla luce il 13, il 20 ed i 24 novembre del 1608 le presunte reliquie
dei martiri compagni di San Placido. Era presente in quella circostanza il Priore dell’Ordine del tempo, Antonio Martelli, che
Caravaggio ben conosceva. Insomma, non era certamente possibile che la presenza di Caravaggio a Messina passasse sotto silenzio. Studi
recenti ipotizzano che le ossa dipinte da Caravaggio sotto la figura di Lazzaro abbiano un riferimento ai ritrovamenti delle reliquie nella Chiesa
di San Giovanni[2].
I padri crociferi di San Camillo de Lellis erano arrivati a Messina nel 1599 e lo stesso San Camillo si era recato in città. Nel 1605/1606
erano già cresciuti fino al numero di 32. Si dedicavano alla cura degli ammalati ed all’assistenza dei moribondi – i “padri del ben
morire”. Anche per questo la Resurrezione di Lazzaro era adattissima all’iconografia voluta dai crociferi per la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo
(oltre che ovviamente a motivo del cognome del committente Giovan Battista De Lazzari).
Note al testo
[1] D. Spagnolo – G. Barbera, La Resurrezione di Lazzaro del Caravaggio per i Padri Crociferi: contesti, antefatti e critica storica, in D.
Radeglia (a cura di), Caravaggio. La Resurrezione di Lazzaro, Palombi, Roma, 2012, p. 29.
[2] Così D. Spagnolo – G. Barbera, La Resurrezione di Lazzaro del Caravaggio per i Padri Crociferi: contesti, antefatti e critica storica, in
D. Radeglia (a cura di), Caravaggio. La Resurrezione di Lazzaro, Palombi, Roma, 2012, pp. 30-31.