pratica filosofica ed esercizio della morte come via

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SHIATSU E...
SHIATSU E...
PRATICA FILOSOFICA ED ESERCIZIO DELLA MORTE
COME VIA PER LA CONSAPEVOLEZZA
Una e la medesima è l’arte del ben vivere e del ben morire (Epicuro)
Laura Campanello
LA FILOSOFIA: PRATICA E PENSIERO
PER STARE AL MONDO
[…] tu, che non disponi del domani, rinvii l’occasione
dell’oggi: e intanto la vita ci sfugge, e ciascuno di noi
senza essere mai padroni di un’ ora si muore.
Epicuro
Per molti, forse, la filosofia è sempre stata una materia
per gente “intellettuale”, difficile da comprendere e
inutile da studiare. Forse perché la filosofia, nel corso dei
secoli, ha perso il contatto vivificante che le dava ragione
d’essere e di esprimersi sulla vita, intorno e dentro
all’esistenza e, come parte integrante della vita stessa,
anche e soprattutto intorno al dolore e alla morte.
La filosofia, in realtà, nasce come interrogativo sul
mondo e l’esistenza, nasce come “maniera di vivere” per
poter condurre l’uomo, il filosofo, sulla strada della
consapevolezza di sé, della conoscenza della vita “per
quella che è”, al fine di conoscere se stessi e il mondo e
potersi prendere cura di sé, dandosi una condotta di vita,
un pensiero intorno ad essa, delle priorità e dei valori di
riferimento.
Epicuro, Epitteto, Socrate, Aristotele, Marco Aurelio, e
successivamente Montaigne, Pascal, Heidegger,…sono
stati uomini che si sono interrogati sul senso della vita e
della morte e, anche attraverso l’intera esistenza,
all’interno della propria pratica di vita hanno cercato
delle risposte. In questa accezione ogni uomo che si
interroghi sull’esistenza è filosofo: chiedersi come vivo,
che senso ha la vita, cos’ è la felicità, cos’è il destino e se
lo si deve solo subire o si può tentare di accettarlo,
chiedersi come vorrei vivere e come vorrei morire… sono
domande etiche e filosofiche che interpellano ciascuno,
ma che spesso non ci poniamo o cerchiamo di tacere
dandoci risposte sbrigative o definitive, siano esse
rassicuranti o pessimistiche.
Per Socrate essere filosofi significava prendersi cura
dell’anima nel corso della propria vita.
La cura dell’anima che la filosofia offre passa, però,
imprescindibilmente, attraverso lo sguardo sulla morte,
sguardo che non deve portare alla mortificazione
dell’esistenza ma alla possibilità di vivere pienamente la
vita, proprio alla luce della sua finitezza. “Ma se la morte
è l’unica cosa certa di ogni esistenza, è possibile fare in
modo che non sia anche l’unica veramente temuta e
rimossa? […]
Quando la realtà e la vita si presentano per quello che
sono, con l’inevitabile presenza del limite e della
sofferenza, c’è smarrimento, dolore, tristezza, sgomento;
lo sgomento deriva proprio dall’essere sorpresi da ciò che
non si attendeva, da ciò che per noi pareva impossibile.” 1
“Si tratta di capire che la vita e la morte sono due aspetti
della stessa cosa. Arrivare a questo è forse la sola vera
meta del viaggio che tutti intraprendiamo nascendo” 2
La filosofia come stile di vita e interrogazione sul senso
del vivere e del morire è quindi una proposta non
intellettualistica, utile solo a chi avvicina la cultura
filosofica, ma una proposta concreta, un proposta valida
per tutti, in quanto “esseri al mondo”.
“La filosofia può, innovando se stessa nella
considerazione attenta della biografia, ritrovare la sua
vocazione di cura dell’anima”. 3
UNA BATTUTA D’ARRESTO
Quasi tutti muoiono impreparati, così come hanno
vissuto, impreparati a vivere 4
Oggi siamo spesso presi a “vivere intensamente,
altrimenti ci accorgiamo di esistere” (come recita una
vignetta letta di recente). Ma qualcosa, a volte, impone
una battuta di arresto e obbliga a uno sguardo sulla sua
vita: una malattia, i cambiamenti repentini e inaspettati,
un lutto,… tutto ciò che lo obbliga ad uscire dal ritmo
consueto e quotidiano cui è abituato e che pretende come
unico, dovuto, giusto modo di esistere.
Questo porta, quasi inesorabilmente, a ridefinire le
proprie priorità, a rileggere la propria esistenza, a
riconoscere le proprie mancanze e, a volte, a ritrovare e
rimettere in gioco le proprie risorse in un differente
contesto esistenziale.
Quando il limite si rende presente nella nostra vita,
quando il corpo viene percepito come vincolo, quando il
dolore riduce le nostre possibilità, inevitabilmente si
trasforma la percezione che si ha di sé e della realtà. La
diagnosi di una malattia che mette in discussione la
quantità e la qualità della vita della persona è per la
maggior parte della gente la prima “occasione” per
mettere in discussione la propria esistenza, le proprie
scelte, le proprie priorità, ma spesso ciò accade con tale
violenza, in modo talmente inatteso e drammatico, che
lascia giustamente sgomenti, spiazzati e profondamente
intimoriti: inizia una nuova vita, fatta di insicurezza, di
sofferenza, di paura, dove l’ignoto – prima evitato con
cura - prende il sopravvento (come sarà, soffrirò, guarirò,
ce la farò, ?). Ci si può preparare diversamente a tali
eventi? Si può cercare di viverli in un altro modo? Non si
può certo pensare o auspicare che un persona prenda tali
diagnosi in modo leggero, totalmente sereno… verrebbe il
dubbio che non abbia colto ciò che sta accadendo nella
sua reale portata o che cerchi di negare la questione per
poter continuare la vita di sempre. Ma la battuta di
arresto c’è, e se non viene vissuta ed espressa viene
comunque depositata e agita nel profondo, dando vita ad
ansie, inquietudini, angosce, depressioni. Quando la vita,
come Socrate faceva, ci pone domande cui non sappiamo
rispondere può, e dovrebbe iniziare, il percorso di presa
in carico di sé, di consapevolezza, di “vita autentica”
direbbe Heidegger.
TEMPO DI BILANCI E TRASFORMAZIONI
Perciò la maggior parte delle persone, se
alla fine guarderanno indietro, troveranno
di aver vissuto per tutta la vita ad interim,
e si meraviglieranno di vedere che proprio ciò che hanno
lasciato passare senza considerarlo e senza goderlo è
stato la loro vita, ed è stato proprio quello nell’attesa di
cui hanno vissuto”.
Tutti noi l’abbiamo sentito spesso dire o lo abbiamo detto a
nostra volta: “dopo la malattia non sono più lo stesso…,
dopo quello che mi è successo è cambiato tutto…, da
quando sono guarita guardo alla vita in modo diverso…, se
avessi saputo che se ne sarebbe andato avrei detto cose che
non gli ho detto…, se avessi immaginato di avere così poco
tempo da vivere avrei fatto alcune cose tempo fa…”; c’è
un’inevitabile conversione di fronte agli eventi inattesi:
l’atteggiamento verso la vita, il tempo, le relazioni si
modifica profondamente, ma questa trasformazione può
volgere al positivo (stare al mondo con più serenità,
accettando la vita per quella che è e prendendo e dando il
meglio ogni giorno, guardando a ciò che si è avuto e ancora
si ha) o al negativo (facendosi travolgere dal rimpianto e
dal rimorso, entrando in uno stato di paralisi e di
mancanza di senso per la propria e altrui vita, guardando a
ciò che non si avrai mai e alle aspettative deluse).
C’è un modo diverso per arrivare a vedere in faccia la vita
per quella che è, godendo di ogni momento, vivendo ogni
momento nella consapevolezza di esistere, senza dovere
arrivare ad avere malattie gravi o a veder allontanare i
propri cari? Quando l’evento doloroso accade inizia la
danza dei “Se avessi saputo…” perché realmente pochi di
noi vivono pienamente ogni momento della vita,
rimandando invece tutto ad un futuro dato per certo.
“L’ultima volta che la vide non sapeva/Che era l’ultima
volta che la vedeva. Perché?
Perché queste cose non si sanno mai/Allora non fu gentile
per quell’ultima volta?
Sì, ma non abbastanza per l’eternità” 5
L’esperienza della precarietà della vita insegna spesso ciò
che veramente conta.
“Supponi che ogni giorno che brilla sia per te l’ultimo;
sarà allora con gratitudine che riceverai ogni ora
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insperata” Epicuro
Si tratta, credo, di essere più consapevoli e presenti a se
stessi e alla propria vita, assaporarla, accorgersi di esistere
e cercare di vivere pienamente, non di sopravvivere
accorgendosi della vita solo quando rischiamo di perderla.
“Moriamo tutti. Si tratta di riuscire a godere del viaggio”.6
L’invito della filosofia, come della pratica dello Shiatsu,
sia in condizioni di malattia e fatica che di serenità e gioia
è di vivere meglio, in modo più consapevole di ciò che si
ha e di ciò che si è, di ciò che si può avere e fare, per non
avere rimorsi o rimpianti quando si effettua il bilancio di
fine giornata, di fine anno, di fine vita. In una parola,
forse, cercare di essere soddisfatti della vita. “Contento è
meno di felice, ma sta per soddisfatto.[…] Contento è chi
si accontenta. In tedesco la parola è “Zu-frieden” e
significa darsi pace.” 7
Laura Campanello
Tel. Cell: 339.1442609 [email protected]
Laureata in Filosofia, specializzata in pratiche filosofiche.
Analista Biografica ad Orientamento Filosofico opera
privatamente e collabora attualmente con l’Hospice dell’Istituto
Nazionale dei Tumori di Milano insieme all’operatore Shiatsu
Gianluigi Cislaghi. È autrice della prefazione al testo “101 storie
Shiatsu” di D.Gattini. È autrice del libro “NON CI LASCEREMO
MAI? L’esercizio filosofico della morte tra autobiografia e
filosofia” con un saggio di Romano Màdera, Unicopli, Milano
2005, all’interno della collana diretta da D.Demetrio “Laboratori
della memoria”. Autrice di numerosi articoli su riviste
specializzate è co-autrice del capitolo “La dimensione spirituale e
religiosa alla fine della vita” inserito nel testo “Migliorare la
qualità delle cure di fine vita in ospedale. Un cambiamento
possibile e necessario” in corso di pubblicazione per la casa
editrice Erickson.
BIBLIOGRAFIA:
L.Campanello “Non ci lasceremo mai? - L’esercizio filosofico
della morte tra filosofia e autobiografia” Unicopli, 2005
T.Terzani, “Un altro giro di giostra”, Longanesi & C., Milano, 2004
R. Màdera e L.V. Tarca, “La filosofia come stile di vita” , Bruno
Mondadori, Milano, 2003
S.Rinpoche “Il libro tibetano del vivere e del morire”, Astrolabio Ubaldini Editore, Roma, 1994
1
L.Campanello “Non ci lasceremo mai? L’esercizio filosofico della morte tra filosofia e autobiografia” Unicopli,
2005, pp. 26 e 27
2
T.Terzani, “Un altro giro di giostra”, Longanesi & C., Milano, 2004, p.24
3
R. Màdera e L.V. Tarca, “La filosofia come stile di vita”, Bruno
Mondadori, Milano, 2003, pag. 19
4
S.Rinpoche “Il libro tibetano del vivere e del morire”, Astrolabio Ubaldini Editore, Roma, 1994, pag. 22
5
Vivian Lamarque, in Perdonare la morte, Livia Crozzoli Aite, Rivista di
psicologia Analitica, La perdita – Lutti e trasformazioni, Nuova serie,
n.17, 69/2004, La Biblioteca di Vivarium, pag. 69
6
T.Terzani, op.cit., pag. 296
7
T.Terzani, op.cit., pag. 382
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