Enrico Grassi
Sul rapporto tra scienza e filosofia
[Non è possibile che un contenzioso filosofico possa risolversi al suo interno, senza
che intervenga un sapere scientifico inoppugnabile. Si potrebbe dire che scienza e filosofia
camminino insieme, accomunate da uno stesso sapere problematico, fino a quando la
scienza non risolve il dilemma. Solo allora, su quello specifico punto, cessa la discussione sia
filosofica che scientifica, venendo archiviato l’argomento. Attualmente non si discute più infatti
di geocentrismo, di calorico, di impulso, di materia-estensione, di spazio assoluto, di
incorporeità del sole, di ubicazione dell’inferno o di quanto altro è ormai archeologia del
sapere. Ma nessuna di queste problematiche si è esaurita in quella sede che è in grado solo
di porre e agitare problemi, mai di risolverli, ovvero entro la filosofia].
1) La "grande ipotesi"
Da molto tempo si annuncia la fine della filosofia a vantaggio della
scienza (1), ma da sempre ci si è dovuti ricredere, verificandosi impensabili
riprese di vigore della prima.
È forse possibile interpretare questo successo, considerando la
filosofia come scienza di ipotesi generali, di grandi ipotesi, di idee regolative,
senza le quali la scienza, che è sempre conoscenza di leggi particolari, non
saprebbe orientarsi (2).
Copernico partì da una filosofia solare, da una ipotesi, per altro falsa,
sul sole, per arrivare alla teoria eliocentrica. Il culto religioso del sole e
l’esigenza platonica di un universo strutturato con semplicità geometrica da
un Dio matematico furono infatti le basi non “scientifiche” della rivoluzione
copernicana, senza le quali sarebbero mancate le condizioni per la sua
pensabilità. Per questo motivo, alcuni pregiudizi “conservatori” rimasero nella
sua visione, non permettendogli di oltrepassare - per quegli aspetti – il sapere
tradizionale, come ad esempio nella teoria omocentrica dell’universo e della
sua finitezza, o nella concezione delle sfere celesti. (3).
T. Kuhn, a proposito degli schemi concettuali, scrive:
“I viaggi di Colombo costituiscono un esempio di quanto uno schema concettuale
possa essere fecondo di risultati. Mostrano come le teorie siano in grado di guidare uno
scienziato nell’ignoto, insegnandogli dove deve guardare e che cosa può attendersi di
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trovare” ( ).
La concezione del primo Keplero, quando nel Mysterium
Cosmographicum del 1596 presentava un universo strutturato sulla base dei
cinque platonici poliedri regolari, viene così interpretata da uno storico:
1 - Si pensi agli attacchi che son venuti alla filosofia dal neoempirismo logico o dalle varie correnti
epistemologiche del Novecento, che tuttavia spesso sono state vere e proprie forme di nuova o vecchia
metafisica.
2 - Filosofia e "grande ipotesi" vanno considerate come sinonimi, anche se il rapporto tra filosofia,
scienza e religione è più complesso e intrecciato, come si può vedere in P. Odifreddi, Il Vangelo
secondo la Scienza, Einaudi, Torino 1999. Il nesso scienza-metafisica è riconosciuto da molti
epistemologi a partire da Herschel, Whewell e Peirce nell’ottocento fino a Popper e la sua ampia scuola.
Significativo anche il filone cattolico in Italia, la cui bibliografia si può trovare in O. Todisco, Metafisica e
scienza, Borla, Roma1986.
3 - P. Casini discute la bibliografia in proposito in “Rivista di filosofia”, Il mito pitagorico e la rivoluzione
astronomica, vol. 85, n° 1, aprile, 1994.
4 - T. S. Kuhn, La rivoluzione copernicana (1957) Einaudi, Torino 1972, p. 53.
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“La convinzione di una struttura del mondo matematicamente definibile, che trovava
la sua formulazione teologica nella credenza che nella creazione del mondo Dio fosse
guidato da considerazioni matematiche, l’irremovibile certezza che la semplicità...si identifichi
con l’armonia e con la bellezza, e...che esistono esattamente cinque poliedri [regolari]
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...questi sono tutti sintomi inequivocabili della concezione del mondo pitagorico-platonica” ( ).
I “paradigmi” di cui parla la moderna epistemologia d’altra parte
rappresentano il presupposto della scienza, con una provenienza complessa
e con un carattere a volte non “scientifico”. Uno storico della scienza così
descrive questa condizione:
“Ma la forma che le domande assumono, la direzione e l’estensione conferite loro
nella ricerca di una spiegazione, saranno inevitabilmente e fortemente influenzate dalla
filosofia o dalla concezione della natura del ricercatore, dai suoi presupposti metafisici o dalle
sue “credenze regolatrici”...essi possono ispirare la sua immaginazione scientifica, come fu
per Keplero e Galileo; e possono porre limiti a ciò che lo scienziato considera ammissibile in
una spiegazione, come nel caso dell’obiezione alla possibilità di una azione a distanza, da
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parte di coloro che criticarono la teoria della gravitazione di Newton” ( ).
Tale ruolo ricoprono le nozioni comuni nella filosofia di Aristotele, che
così inizia la Fisica:
“Poiché in ogni campo di ricerca di cui esistono principi o cause o elementi, il sapere
e la scienza derivano dalla conoscenza di questi ultimi...è evidente che anche nella scienza
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della natura si deve cercare di determinare anzitutto ciò che riguarda i principi” ( ).
Materia, forma, sostanza, potenza, atto, causa, sono alcuni dei
fondamenti del sapere filosofico antico utilizzati dalla fisica, e la scienza
moderna non poteva non germinare sulla crisi di questa metafisica. I principi
primi aristotelici infatti, in quanto indimostrabili (8), precedono e fondano la
possibilità della stessa scienza e la derivabilità delle sue leggi, tanto che al
loro mutare mutano anche i contenuti scientifici. Similmente gli assiomi (entia
iam nota) di Cartesio, ovvero le nature semplici (naturae simplices),
immediatamente intuibili, autoevidenti (9), rappresentano l’impalcatura del
sapere in generale.
“L’identità di materia e spazio che costituisce il fondamento metafisico del sistema
cartesiano porta immediatamente a una serie di conseguenze: a) il mondo ha una estensione
infinita; b) esso è costituito dappertutto della stessa materia; c) la materia è infinitamente
divisibile; d) il vuoto, ossia uno spazio non contenente nessuna materia, è un concetto
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contraddittorio e conseguentemente impossibile” ( ).
Se agli assiomi cartesiani aggiungiamo il movimento inteso
meccanicisticamente, otteniamo prima di qualsiasi esperienza tutte le leggi
generali della fisica, compreso il principio di inerzia (11). L’esistenza stessa del
mondo esterno trova una fondazione filosofico-religiosa, dovendone Dio
5 - E. J. Dijksterhuis, Il meccanicismo e l’immagine del mondo (1961), Feltrinelli, Milano 1971, p. 404.
6 - A. C. Crombie, Da S. Agostino a Galileo (1952), Feltrinelli, Milano 1970, p. 473. L’autore si riferisce
ai critici di scuola cartesiana. In questa stessa direzione si muovono anche A. Koyré in Dal mondo
chiuso all’universo infinito (1957), Feltrinelli, Milano 1970, in particolare p. 11, e W. Heisenberg in Fisica
e Filosofia (1958), il Saggiatore, Milano 1961, p. 94.
7 - Aristotele, Fisica, 3, 184 a.
8 - Ivi, Organon, Secondi analitici, 1-10, 71 a segg.
9 - R. Perini, Il problema della fondazione nelle “Regulae” di Descartes, Maggioli, Rimini 1983, p. 17
segg..
10 - E. J. Dijksterhuis, cit., p. IV 204.
11 - L. Liard, Descartes, Librairie Germer Baillièr, Paris 1982, p. 92.
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essere il garante (12). Non diversamente vanno le cose per il concetto di vuoto
che fu prima filosofico e poi scientifico con Torricelli.
Il critico moderno può avanzare dubbi sulla reale intuitività di alcuni
presunti principi della tradizione filosofica e ritenere che siano figli del tempo,
con una origine empirica e sociale, ma ciò rende ancora più difficile scindere
sapere filosofico e sapere scientifico, metafisica e fisica, in Aristotele come in
Cartesio e Kant, in Galilei come in Newton, data l’intrinsecità dei due saperi,
non essendo praticabile la distinzione tra scienze nomotetiche e idiografiche,
tra scienze dello spiegare e scienze del comprendere (13). La distinzione
galileiana tra “sensate esperienze” (induttivismo) e “necessarie dimostrazioni”
(deduttivismo) va interpretata in questa direzione, se la scienza della natura
deve inglobare il linguaggio matematico, il determinismo meccanicistico,
l’eliminazione delle qualità secondarie, in una parola, la filosofia del tempo.
Scindere i due momenti rappresenta un ulteriore tentativo di allontanare
scienza da filosofia, ipotesi da esperimento.
Lo stesso Hobbes dichiarava di utilizzare, come presupposti della
scienza, i principi autoevidenti di corpo, movimento, spazio, tempo, ovvero i
fondamenti del meccanicismo, che nel De corpore vengono trattati per lo più
nella seconda parte dedicata alla Filosofia prima, ove emerge l’impianto
probabilistico e convenzionalistico del filosofo, che mal si combina con la
parte indubitabile dei principi.
La discussione sullo spazio che si è protratta per millenni ha avuto una
impronta ipotetico-deduttiva evidente, tanto è vero che è impossibile scindere
il concetto di spazio in Cartesio dal suo concetto di materia, così come sono
inscindibili metafisica e religione nel concetto di spazio assoluto di More e
Newton. I meccanicisti superarono la metafisica qualitativa, ma introdussero
successivamente il concetto metafisico di etere per spiegare la propagazione
della luce e alcuni fenomeni elettromagnetici. Kant, dopo aver collocato tra le
idee regolative alcuni dei concetti fondamentali della tradizione filosofica, non
ha esitato a porre nell’ambito del sapere apodittico la struttura delle funzioni
conoscitive dell’uomo, per derivarne i principi della scienza della natura,
riproponendo la teoria della precedenza delle categorie rispetto alla realtà (14).
Ancora oggi possiamo osservare il forte vincolo che lega filosofia e
scienza là dove si discute di continuità e discontinuità, di necessità e caso, di
storicità e strutturalità, di convenzionalità e realtà, di esperienza e intuizione.
Lo stesso neoempirismo, che programmaticamente intendeva fondare un
“empirismo senza metafisica”, si è a volte reso conto di avere reintrodotto
inconsapevolmente una vecchia metafisica a proposito dei protocolli,
dell’intersoggettività, della verificazione, tanto che Wittgenstein, ispiratore del
Circolo di Vienna, nelle Ricerche logiche, per evitare questo rischio,
approderà ad una sorta di strutturalistica teoria del gioco, più vicina a Gorgia
che all’empirismo, contribuendo alla fondazione di un ”idealismo linguistico”
(15). Di fronte all’impossibilità di una radicale riduzione empiristica della legge,
questa viene retrocessa da Schlick e da Carnap a regola o a ipotesi, con un
avvicinamento sempre più stretto al convenzionalismo di Duhem, fino alla
trasformazione del concetto di verifica in quello di conferma, con un evidente
ritorno al fattore humeano della ripetizione.
12 - J. Laporte, Le rationalisme de Descartes, PUF, Paris 1945, p. 142-6.
13 - Si veda a tal proposito P. Casini, Filosofia e fisica da Newton a Kant, Loescher, Torino 1978, pp.
10-23, 169, 293.
14 - W. Heisenberg, cit., p. 106, sostiene che la scienza moderna ha “completamente annichilito” i
giudizi sintetici a priori di Kant, la sua concezione di spazio e tempo e il principio di causa.
Nell’introduzione a questa opera F. S. C. Northrop si chiede: “Non è la fisica affatto indipendente dalla
filosofia? La fisica moderna non ha raggiunto la sua piena efficienza, appunto rompendo con la
filosofia? Evidentemente Heisenberg risponde in modo negativo all’una e all’altra di queste domande”.
15 - Alle sue ricerche si ispireranno in molti, anche se con intenti diversi, dall’ermeneutica fino ad Apel
ed Habermas.
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Dalla precedente discussione si potrebbe trarre la convinzione che
scienza e filosofia, ma anche arte e religione, risultino unificate dal fatto che
spesso si occupano dello stesso oggetto, quasi a contenderselo. Va colta
invece una sottile differenza fra i due saperi, dovuta al fatto che è sempre la
scienza a concludere il dibattito. La scoperta scientifica della trasformazione
dell’energia ha superato definitivamente la tesi filosofica cartesiana
sull’equazione universale del movimento, così come la meccanica classica ha
chiuso la secolare discussione sulle forme e sulle qualità occulte, o come
l’astronomia newtoniana ha interrotto il dibattito filosofico-teologico sulle sfere
celesti e sul centro dell’universo, o come la teoria del campo elettromagnetico
e della radiazione dei corpi neri hanno ridimensionato la visione
meccanicistica.
Sembra quindi impossibile che un contenzioso filosofico possa
risolversi entro la sua stessa sfera, senza che intervenga un sapere
particolare inoppugnabile. Si potrebbe dire che scienza e filosofia camminino
insieme, accomunate da uno stesso sapere problematico, fino a quando la
scienza non risolve il dilemma. Solo allora, su quello specifico punto, cessa la
discussione sia filosofica che scientifica, venendo archiviato l’argomento.
Attualmente non si discute più infatti di geocentrismo, di calorico, di impulso,
di materia-estensione, di spazio assoluto, di incorporeità del sole, di
ubicazione dell’inferno o di quanto altro è ormai archeologia del sapere. Ma
nessuna di queste problematiche si è esaurita in quella sede che è in grado
solo di porre e agitare problemi, mai di risolverli, ovvero entro la filosofia.
Sappiamo che non è immaginabile una geometria euclidea senza una
specifica concezione dello spazio, o che il concetto matematico di zero entra
nella scienza occidentale solo dopo che la visione filosofico-religiosa del nulla
ha perduto le sue connotazioni essenzialmente negative (16). Lo studio
galileiano dell'accelerazione si realizzava entro l'ipotesi di uno specifico
rapporto tra spazi e tempi a proposito dei fenomeni dinamici, e questa ipotesi
si inscriveva a sua volta entro la teoria meccanicistica più generale, arricchita
dal concetto della relatività del movimento, per alimentarsi insieme della
visione geometrico-matematica della realtà e del grande ordinatore. La traccia
dell'itinerario conoscitivo è una spirale, ovvero una sorta di andirivieni del
pensiero, tale per cui è impossibile stabilire una volta per tutte la via della
conoscenza, che è sempre un intreccio di osservazione e di abduzione (tirare
ad indovinare), di induzione e deduzione, di intuizione e di giudizio, di analisi
e sintesi, attraverso cui una filosofia funge da base al pensiero scientifico,
così come una scoperta scientifica muta le grandi visioni d'insieme. La
filosofia illuministica dell’esperienza da Hume a Kant sarebbe impensabile
senza la sintesi newtoniana, come sarebbe d’altra parte inconcepibile Newton
senza la teologia cristiana e parte dell’antica metafisica. Infatti:
“Il modello cosmologico sottostante la fisica matematica di Newton si fondava su
assiomi e definizioni solo in parte verificabili. Non verificabili erano ad esempio, le asserzioni
fondamentali concernenti il principio di inerzia e i suoi parametri: il tempo assoluto, lo spazio
assoluto, il moto assoluto. Questi ‘principi’ trans-fisici facevano parte di una philosophia
naturalis non matematica, eclettica, che accoglieva e saldava insieme la ‘filosofia
corpuscolare’ di origine atomistica, i connessi concetti di vacuum e di moto, sparsi elementi e
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frammenti di filosofie animistiche della natura” ( ).
Se la scienza influenza la filosofia e, viceversa, la filosofia crea
paradigmi per la scienza, è necessario inferirne che esse rappresentano due
livelli di uno stesso sapere, appaiati dall’unicità del reale e dall’unicità del
pensiero, anche se può accadere che il sapere particolare sopravanzi
temporaneamente quello generale, salvo poi ad essere rincorso e, a sua
16 - Si veda G. Israel, La sapienza del nulla, “Sfera”, Sigma-Tau, n° 58, 1994.
17 - P. Casini, cit., p. 18.
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volta, anche provvisoriamente superato. I concetti metafisici comunque non
indicano soltanto un programma di ricerca, quadri concettuali entro cui
procedere, ma spesso entrano decisamente nel corpo della legge scientifica,
invadendo gli aspetti più deboli di essa (18); né è ipotizzabile per il futuro una
scienza senza una qualche metafisica, come ha sostenuto Agassi. Tutto ciò
comunque deve farci capire che il "pregiudizio" non sempre è negativo. Gli
"idoli" sono paradigmi negativi solo se rimangono regolativi, non riuscendo ad
operare fattivamente.
È difficile credere che la teoria darwiniana possa essere nata
baconianamente a partire da protocolli osservativi senza la teoria romantica
della trasformazione sullo sfondo. Può anche verificarsi che un settore di una
teoria possa fungere da grande ipotesi per una teoria molto diversa e perfino
opposta, come è accaduto a Marx nei confronti di Hegel a proposito della
dialettica.
La scienza può essere falsa come la filosofia, ma con la differenza
fondamentale che la filosofia lo è sempre, almeno nel senso che non è
provabile nel suo complesso, appunto perché teoria di fondamenti e di totalità.
Una legge scientifica invece può essere falsa, parzialmente vera, o del tutto
vera, portando alla visibilità e alla praticabilità ciò che prima era invisibile e
impraticabile (19).
Sorprende tuttavia che filosofia e religione siano rimaste sempre
presenti nella storia della cultura. Ciò è dipeso probabilmente dal fatto che
esse sono contenitori molto capaci e sopportano mutamenti nei contenuti
anche rilevanti. Il concetto di causa vale sia quando per esso si intendono
forze magiche sia quando si intendono meccanismi di implicanza nel senso
del pensiero moderno. Una scoperta settoriale infatti non è in grado di
dirimere il più generale contenzioso filosofico, come, ad esempio, la
contrapposizione tra materialismo e idealismo, che è antichissima e non
sembra prossima all’archiviazione, pur essendo passati quattro secoli dalla
nascita dello spirito scientifico.
2) Separazione di scienza e filosofia
Il sapere quindi è uno, pur assumendo forme diverse. Il fatto che la
filosofia risulti separata dalla scienza è solo la conseguenza della spaccatura
storica di quell’originaria unità, prodottasi quando filosofia e scienza
diventarono specializzazioni settoriali. Lo scienziato delega ad altri il sapere
generale, per dedicarsi a quello particolare, recuperando all’occasione, e non
sempre consapevolmente, alcune nozioni generiche di cui ha bisogno nella
sua ricerca. Involontariamente si è andata stratificando una diffidenza da
parte della scienza nei confronti della filosofia, più raramente il contrario,
almeno negli ultimi due secoli, con il risultato di avere un ceto di filosofi
"deboli" nei saperi particolari, e un ceto di scienziati altrettanto "deboli" in
campo filosofico, con il deplorevole risultato che ciascuno utilizzi i risultati
dell'altro in modo approssimativo.
Con la crescita del sapere, filosofia e scienza si sono rese autonome,
dividendosi ulteriormente al loro interno in settori, in scienze e filosofie
particolari, così come nell'industria sviluppata si sono separate le varie
mansioni, tutte indispensabili all'unità della produzione. La filosofia è ormai
una sorta di delega che la scienza fa ai maîtres à penser della totalità, pur
essendo uno il sapere, come uno è l'uomo in tutte le sue attività. La
specializzazione ha dato l'impressione della separazione reale, della
18 - Si veda su ciò la discussione in D. Antiseri, Perché la metafisica, Queriniana, Brescia 1980.
19 - Ha ragione L. Colletti in Fine della filosofia, Micromega, 1996, a sostenere che il mondo è quello
della scienza, non esistendo un oggetto di pertinenza della filosofia, anche se non considera il ruolo di
quest’ultima nell’ambito di un sapere unitario.
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differenza, facendo perdere di vista l'unità funzionale dei saperi, degli averi,
dei poteri. L'esaltazione della diversità ha esasperato le differenze, creando
abilità indispensabili, ma anche individualismi, personali o di gruppo, a
vantaggio dell'antagonismo sociale e a detrimento della collaborazione. Le
funzioni si sono entificate in corpi separati, pertinenze, dipendenze, sfere
autonome, trascurando il principio che gli uomini dovrebbero essere tutti
"funzionari" di un’unica realtà, che è appunto una e di tutti. Nonostante ciò, la
divisione del lavoro, pure indispensabile, è sfuggita al controllo collettivo.
Il rapporto scienza-filosofia è quindi un caso classico di reciprocità,
nata non già da subordinazione di un termine ad un altro, ma piuttosto da
distinzione di un originario sapere unitario operata dalla specializzazione. Ma
come nella produzione di merci il punto terminale del processo, ovvero il
mercato, rappresenta il momento della verità di un sistema articolato, così
nella produzione del sapere il momento della verità è il punto terminale del
processo, dove si trova il sapere determinato o scientifico.
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