universita` degli studi di milano clemenza e diritto penale

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO
FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
CLEMENZA E DIRITTO PENALE
Tesi di laurea di:
Anna LISCIDINI
Matr. N. 721336
Relatore: Chiar.mo Prof. Francesco VIGANO’
Correlatore: Dott. Matteo VIZZARDI
Anno Accademico 2007-2008
CLEMENZA E DIRITTO PENALE
CAPITOLO I
LA CLEMENZA E IL SISTEMA PENALE ITALIANO
1. Il fondamento giustificativo della clemenza nelle riflessioni della
cultura giuridica italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.
1.1 Il dibattito in sede costituente e il superamento delle
posizioni abolizioniste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
1.2 La svolta negli anni settanta: le teorie costituzionalistiche di
G. Zagrebelsky e G. Gemma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2. La contemporanea evoluzione oscillatoria della giurisprudenza
costituzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
3. La controversia sulla natura dei provvedimenti di clemenza . . . . . . .
»
1
10
13
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29
CAPITOLO II
GLI ISTITUTI DELLA CLEMENZA COLLETTIVA
1. Amnistia e indulto: nozione e funzione dei due istituti . . . . . . . . . . . Pag.
2. Art. 79 Cost.: la normativa costituzionale prima e dopo le modifiche
ad opera della l. cost. 6 marzo 1992, n. 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
3. Amnistia.
3.1. La distinzione tra amnistia propria e impropria . . . . . . . . . . . .
»
3.2. Il concorso con altre cause di estinzione del reato e di
proscioglimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
3.3. Il tempus commissi delicti ai fini dell’applicazione del
beneficio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
3.4. Amnistia e successione di leggi penali . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
3.5. Amnistia condizionata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
3.6. Rinunciabilità del beneficio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
4. Indulto.
4.1. Gli effetti del provvedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
4.2. Indulto e pluralità di condanne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
4.3. Indulto condizionato e revocabilità del beneficio . . . . . . . . . . .
»
4.4. Ipotesi di mancata applicazione del beneficio e giudicato in
tema di indulto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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5. Aspetti di disciplina comuni ai due istituti.
5.1. La selezione dei reati amnistiabili e condonabili e la questione
del reato tentato e circostanziato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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5.2. Le esclusioni soggettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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5.3. La procedura applicativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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60
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94
6. I condoni atipici: in particolare il c.d. “indultino” . . . . . . . . . . . . . . .
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96
CAPITOLO III
LA GRAZIA: PROVVEDIMENTO DI CLEMENZA A CARATTERE
INDIVIDUALE
1. Fondamento, finalità ed effetti della potestà di grazia . . . . . . . . . . . . Pag. 106
2. La titolarità del potere di clemenza individuale . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
114
2.1 Conflitti tra poteri: la questione circa la necessarietà della
controfirma ministeriale prevista dall’art. 89 Cost. . . . . . . . . .
»
119
3. Profili procedurali: i soggetti legittimati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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125
3.1 (Segue) I provvedimenti relativi alla grazia . . . . . . . . . . . . . . .
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127
4. La grazia condizionata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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131
CAPITOLO IV
L’IMPIEGO DEI PROVVEDIMENTI CLEMENZIALI: LA PRASSI
ITALIANA DAL SECONDO DOPOGUERRA AD OGGI
1. Uso ed abuso dei provvedimenti di clemenza dall’entrata in vigore
della Costituzione ad oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 135
2. La clemenza in dati e linee di tendenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
145
2.1 La clemenza collettiva dal 1948 agli anni ’90 . . . . . . . . . . . . .
»
146
2.2 (Segue) dalla legge costituzionale 6 marzo 1992, n°1, ad oggi.
In particolare: obiettivi, cifre e risultati dell’indulto concesso
con legge 31 luglio 2006, n. 241 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
151
2.3 L’utilizzo del beneficio della grazia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
165
3. Clemenza e recidivismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
169
CONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pag. 174
BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 180
II
CAPITOLO I
LA CLEMENZA E IL SISTEMA PENALE ITALIANO
SOMMARIO: 1. Il fondamento giustificativo della clemenza nelle riflessioni della cultura
giuridica italiana. – 1.1 Il dibattito in sede costituente e il superamento delle posizioni
abolizioniste. – 1.2 La svolta negli anni settanta: le teorie costituzionalistiche di G.
Zagrebelsky e G. Gemma. – 2. La contemporanea evoluzione oscillatoria della
giurisprudenza costituzionale. – 3. La controversia sulla natura dei provvedimenti di
clemenza.
1. Il fondamento giustificativo della clemenza nelle riflessioni della cultura
giuridica italiana.
Nell’ordinamento giuridico italiano, gli istituti tipici attraverso i quali può
attuarsi la facoltà di clemenza1, disciplinati dal codice Rocco2 e riconosciuti
ufficialmente nella Costituzione italiana3, sono tre: amnistia, indulto e grazia
individuale.
La previsione, nelle vigenti fonti normative, di istituti che introducono ipotesi
nominate di estinzione di reati e pene, è conforme ad una costante e risalente tradizione
giuridica, considerato che la loro genesi storica è agevolmente individuabile nel potere
di “indulgentia Principis” (clemenza sovrana), le cui radici sono da ricercarsi in epoca
romana4. Nell’età imperiale, tale potestà divenne sempre più piena ed assoluta, dal
1
L’uso della locuzione “provvedimenti di clemenza”, pacifico in dottrina anche se indubbiamente legato
ad una realtà storica spiccatamente autocratica, dalla quale quella attuale si differenzia in modo
sostanziale, è dovuto semplicemente al fatto che essa ben si presta a riassumere in un termine
“omnicomprensivo” i distinti concetti di amnistia, indulto e grazia. Per un’illustrazione delle ragioni poste
a sostegno dell’impiego di tale locuzione si veda MANZINI V.: “L’uso del termine clemenza, ancorché
possa risvegliare ricordi storici che si riconnettono al regime politico autocratico, è da noi preferito,
perché ci sembra il più preciso e comprensivo. La parola grazia ha perso, infatti, un significato tecnico
determinato e ristretto, sì che, usandola in senso lato, si può ingenerare confusione. La voce indulgenza ha
assunto un senso quasi esclusivamente religioso e morale, mentre clemenza designa assai meglio
l’indulgenza politica. Il termine perdòno, poi, che presuppone in ogni caso una colpa accertata, non si
attaglia all’amnistia e si riferisce ad un diverso istituto giuridico” (Trattato di diritto penale, III,
aggiornamento a cura di NUVOLONE P., Torino, 1981, p. 423, nota 1).
2
Artt. 151 (Amnistia) e 174 (Indulto e grazia) c.p.
3
Artt. 79, modificato da L. cost. 6 marzo 1992, n. 1, e 87 Cost., concernenti rispettivamente la
concessione di amnistia e indulto e la competenza del Presidente della Repubblica a concedere grazia.
4
La più antica legge che “poenae gratiam facit” è la Sulpicia, risalente al periodo repubblicano, che
intervenne in occasione delle condanne per delitti politici relativi alla guerra sociale. Provvedimenti simili
si ebbero anche successivamente, sotto la dittatura di Cesare. V. MANZINI V., Trattato di diritto penale,
op. cit., p. 424, nota 2. La dottrina è uniforme nel considerare tale legge come il primo esempio di
clemenza in senso giuridico, tuttavia si veda POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), in
Digesto delle discipline penalistiche, 2005, p. 1 ss., per un rapido excursus circa l’impiego dell’amnistia
1
momento in cui Augusto riservò a sé stesso il potere di clemenza, che si manifestò
mediante un’indulgentia che poteva essere specialis (istituto analogo all’attuale grazia)
oppure generalis (simile all’odierno indulto), ovvero mediante la abolitio generalis
publica (paragonabile alla moderna amnistia)5.
Anche nell’epoca feudale e comunale è diffuso l’impiego del potere di facere
gratis de poenis, frazionata tra le autorità religiose ed i molti signori locali, i quali ne
divenivano titolari all’atto dell’investitura su concessione del principe. Ma è solo agli
albori degli Stati nazionali, con l’avvento delle monarchie assolute, che “gli istituti della
clemenza nella loro configurazione moderna prendono forma (…) perde (ndo) i caratteri
di perdono privato” 6, in quanto connessi alla posizione istituzionale del re in veste di
titolare di tutte le funzioni pubbliche dello Stato.
Con l’instaurazione dei regimi parlamentari, nel momento in cui il sovrano non è
più il titolare dell’attività normativa dello Stato, e maggiormente con l’avvento del
sistema costituzionale, viene meno la giustificazione storica dei poteri di sospensione e
dispensa dall’osservanza di atti normativi7. Questo mutamento di prospettiva appare
tuttavia da rintracciarsi non esclusivamente in un mero cambiamento della
configurazione giuridica e istituzionale, ma altresì, e soprattutto, nella presa d’atto che
“la clemenza, nel passato, non costituiva ingiustizia, ma una integrazione della giustizia,
resa necessaria dalle insufficienze della normativa penale (e dell’organizzazione
giudiziaria). La clemenza, in questo senso, è un fattore di realizzazione del principio
d’eguaglianza”8. Tutto ciò spiega la reazione che si manifesta nella dottrina e nella
nel mondo greco.
5
Per una indagine più approfondita circa l’impiego dei provvedimenti di clemenza nella storia,
difficilmente inseribile in tale contesto stante l’ampiezza dell’argomento, vedi MANZINI V., Trattato di
diritto penale, op. cit., p. 424 ss.; oppure, per una sintesi di quanto contenuto in tale opera, POMANTI P.,
voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 3 ss.; ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia.
Profili costituzionali, Milano, 1974, p. 11 ss.; GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza e
remissione della sanzione, Milano, 1983, p. 48 ss.; recentemente MAIELLO V., Clemenza e sistema
penale, Napoli, 2007.
6
In tali termini si pronuncia ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 27.
7
Vedi in proposito ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), in Enciclopedia del diritto, XIX, Varese,
1970, p. 757 ss., e ancora, nei medesimi termini, ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p.
28.
Si rende a tal punto necessario precisare che tale conclusione, se ben calzante in riferimento agli istituti
dell’amnistia e dell’indulto, poco si presta a descrivere le circostanze dell’impiego della potestà di grazia,
il quale, anzi, è rimasto estraneo a questa evoluzione. Il concetto di prerogativa regia ha infatti subito esso
stesso delle modificazioni nel tempo, ma nonostante ciò si è conservato in capo al re il potere di
conservare e sostituire le pene. L’art. 8 dello Statuto Albertino recitava, infatti, “il re può far grazia e
commutare le pene”.
8
Giunge a tale conclusione, convenendo con una dottrina della Scuola Positiva, GEMMA G., Principio
2
legislazione illuministiche9: il principio d’eguaglianza tende, infatti, ad eliminare la
clemenza, concepita come lex specialis o di eccezione10, sulla scorta della rilevata
incompatibilità con sé stesso e con il diritto di punire.
Se dunque, da un lato, risulta palese la coerenza interna ad un sistema
caratterizzato da prerogative regie ed istituti quali amnistia, indulto e grazia, dall’altro
appare altrettanto evidente come la clemenza stenti a conciliarsi con l’odierno
ordinamento giuridico, governato dall’assunto razionale in base al quale «tutti i cittadini
sono eguali davanti alla legge». Si tratterà dunque di discutere un fondamentale quesito:
un diritto penale, inteso quale complesso di regole che mirano a comporre il conflitto tra
esigenze di tutela dei beni giuridici e di garanzia individuale, può legittimamente
annoverare tra le sue norme anche quelle che contemplino il ricorso ad istituti che
sospendono l’efficacia di disposizioni incriminatici?11.
La corretta applicazione del diritto penale mira, come è noto, a soddisfare il
bisogno di pena naturalmente insito nell’animo umano, eliminando tuttavia ogni forma
di giustizia privata o, addirittura, di vendetta personale. Vale a dire che sin
dall’illuminismo giuridico, quali dati caratterizzanti il sistema penale non appaiono più
la rigidità delle norme e la severità delle pene, che portavano con sé la necessità di
temperamenti in fase applicativa, quanto piuttosto la certezza della repressione dei più
gravi comportamenti devianti e la garanzia dell’ordinato svolgersi della vita civile:
“l’umanitarismo, che deve ispirare il regime penale, deve manifestarsi nella legge, non
nella sua applicazione”12.
costituzionale di eguaglianza, op. ult. cit., p. 50 ss.
9
Nel secolo XVIII alcuni filosofi italiani, sulla spinta di una straordinaria fiducia negli ordinamenti e
nelle riforme da essi prospettati, insorsero contro il potere di clemenza, prospettandone l’abolizione. V.
FILANGIERI “se la grazia è equa, la legge è cattiva; e se la legge è buona, la grazia è un attentato contro la
legge”; BECCARIA “il far vedere gli uomini che si possono perdonare i delitti e che la pena non ne è la
necessaria conseguenza è un fomentare la lusinga dell’impunità, è un fare credere che, potendosi
perdonare, le condanne non perdonate siano piuttosto violenza della forza che emancipazione della
giustizia”, in VENTURI F. (a cura di), Dei delitti e delle pene, Torino, 1981, p. 103). Drastiche conclusioni
che non rimasero nella sfera teorica, ma ebbero delle conseguenze concrete: Pietro Leopoldo di Toscana
ne seguì l’opinione, e nel 1971, durante la Rivoluzione francese, la Costituente soppresse il diritto di
grazia. Sul punto v. MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 430; GEMMA G., Principio
costituzionale di eguaglianza, op. ult. cit., p. 52.
10
ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., Milano, 1974, p. 58.
11
Circa la centralità di tale questione nell’analisi del rapporto intercorrente tra clemenza e sistema penale,
v. ampiamente MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, in Rivista italiana di diritto
e procedura penale, 1992, p. 1029 ss., e dello stesso Autore: Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 397
ss.
12
Tale considerazione, a proposito della critica alla clemenza nell’età dei lumi, è di GEMMA G., Note
critiche in tema di grazia, in Quaderni costituzionali, 2007, I, p. 130. Seppure formulata in riferimento
3
Partendo da una definizione di provvedimenti di clemenza come “istituti che
comportano il venir meno, in tutto o in parte, delle conseguenze penali di un reato,
previste dalla legge”13, risulta immediato come la ricerca degli ambiti di legittimazione
della clemenza vada condotta proprio in simmetria con i fondamenti di tipo normativo
della punibilità. Tra le figure di clemenza in esame, è infatti possibile individuare un
“minimo comune denominatore struttural-funzionale”14, costituito dalla sospensione
temporanea e retroattiva della legge penale. Di conseguenza, a fondamento e regola di
tali istituti non può che essere posto il paradigma teleologico della pena, rispetto al
quale la clemenza costituisce causa derogatoria. In termini più semplici: “tra le ragioni
del perché e del quando punire e la fondazione razionale del perché e del quando non
punire (...) riteniamo che debba intercorrere un nesso di funzionalità antagonista, di
corrispettività speculare”15, secondo il quale l’inserimento nel sistema penale di norme
dal contenuto clemenziale pone inevitabilmente un problema di compatibilità dei
benefici che tali disposizioni prevedono con il pieno perseguimento delle funzioni della
pena.
Il fatto che non si dia luogo all’applicazione della sanzione (o che comunque
vengano previste circostanze attenuanti), può infatti pregiudicare il raggiungimento
degli scopi della punizione, qualsiasi essi siano, vale a dire qualsiasi sia la finalità che la
dottrina penalistica pone di volta in volta come centrale nel diritto penale.
Tradizionalmente16 è stato prospettato, quale paradigma giustificativo della
alla grazia individuale, ben si presta ad esprimere un pensiero di dimensioni più globali in materia di
clemenza.
13
PULITANO’ D., Diritto penale, Torino, 2005, p. 674.
14
Espressione coniata da MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1069.
15
Ancora MAIELLO V., op. ult. cit., p. 1069. L’Autore riconosce particolare importanza a tale rapporto di
“specularità antagonistica”, al punto di affermare che, nella storia dello Stato nazionale, amnistie e indulti
abbiano costituito spesso la risposta indulgenziale a scelte repressive puramente simboliche “che, nella
pratica impossibilità di attingere ad un adeguato livello di effettività, hanno finito per ricevere proprio
dalle cause di clemenza generale una sostanziale (ri) legittimazione politico-criminale”, ipotizzando in tal
modo un’inaspettata inversione del problema, in Clemenza e sistema penale, cit., p. 55.
16
Ai fini di una completa argomentazione di tale tesi, e di una contestuale confutazione delle ragioni a
sostegno della contrapposta “idea della prevenzione” (o della “difesa sociale”), nonché per ulteriori
indicazioni bibliografiche, si veda il contributo di BETTIOL G., in BETTIOL G. – PETTOELLO MANTOVANI
L., Diritto penale, Padova, 1986, p. 797 ss.; MANTOVANI F., Diritto premiale e ordinamento
penitenziario, in AA. VV., Diritto premiale e sistema legale. Atti del VII simposio di studi di diritto e
procedura penali promosso dalla fondazione Angelo Luzzani, Milano, 1983, p. 197 ss, afferma che senza
dubbio ”tale sistema sanzionatorio trova il suo più coerente fondamento razionale nel principio della
retribuzione”, senza tuttavia giungere ad escludere che il sistema penale possa trovare una legittimazione
anche nell’utilitarismo della prevenzione generale e speciale.
Contra (vedi infra questo paragrafo): MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op.
cit., p. 1068 ss. e Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 371 ss.; MAZZACUVA N., Il diritto penale come
4
pena, anzitutto quello retributivo.
Tale principio della retribuzione, sposando una concezione della giustizia penale
di stampo assoluto, appare caratterizzato da “intrinseca eticità” e da totale “neutralità
teleologica”17. In altre parole, mentre trae la sua giustificazione dal fatto di essere
espressione di una esigenza naturale ed insopprimibile dell’animo umano, per la quale
“a bene deve seguire bene e a male deve seguire male”18, si presenta come svincolata
dalla considerazione di un qualsivoglia fine da raggiungere, dal momento che non si
pone obiettivi altri dal mero ristabilimento dell’ordine giuridico violato e dalla
compensazione di colpevolezza. La pena retributiva statuale “si legittima come un male
inflitto dallo Stato per compensare (‘retribuire’) il male che un uomo ha inflitto ad un
altro uomo o alla società”19, pur tuttavia non volendo necessariamente giungere ad
affermare che alla base di tale concezione sia posta la nota legge del taglione20. Tale
primitiva regola viene, infatti, temperata da una più moderna, e raffinata, funzione
garantistica contro pene sproporzionate o indeterminate, considerato che l’accoglimento
dell’idea retributiva comporta il connaturale ingresso nel diritto penale del principio di
proporzionalità tra sanzione e comportamento tenuto.
La corrente dottrinale che condivide tale impostazione teorica, non ha dubbi
nell’individuare una netta ed insanabile contrapposizione21 tra i provvedimenti di
clemenza e la finalità retributiva della pena, le cui “proporzionalità col male commesso
ed inderogabilità risultano alterate”22 dall’impiego di questi istituti. Ne è conseguenza la
strumento di pacificazione e di risoluzione del conflitto sociale: l’impiego della clemenza collettiva, in
Indice penale, 2004, I, p. 17 ss.; PULITANO’ D., voce Politica criminale, in Enciclopedia del diritto,
XXXIV, Varese, 1985, p. 73 ss.
17
Per BETTIOL G., Il mito della rieducazione, in AA. VV., Sul problema della rieducazione del
condannato, Padova, 1964, p.15.
18
BETTIOL G., in Diritto penale, op. cit., p. 800.
19
Tale definizione si trova in MARINUCCI G. – DOLCINI E., Manuale di diritto penale. Parte generale,
Milano, 2004, p. 4, riferimento utile per una presentazione agevole, in quanto scolastica, delle teorie della
pena.
20
In tal senso BETTIOL G., op. ult. cit., p. 810; contra MARINUCCI G. – DOLCINI E., Manuale di diritto
penale, op. cit., laddove ravvisano in tale regola il punto di partenza per le successive elaborazioni
dottrinali in tema di teoria retributiva.
21
Di diverso avviso PASELLA R., Diritto penale premiale e funzione della pena, in AA. VV., Diritto
premiale e sistema legale. Atti del VII simposio di studi di diritto e procedura penali promosso dalla
fondazione Angelo Luzzani, Milano, 1983, p. 237 ss.. L’Autore non coglie alcun contrasto con riguardo
alla retributività della pena, laddove sostiene che “questa è retributiva solo nel suo fondamento logico,
non nella sua funzione: sicché non vi è necessità di un costante adeguamento della pena concretamente
inflitta al fatto e alla colpevolezza, ma solo che non si applichi una pena più grave, per specie o durata, di
quella corrispondente al disvalore del fatto”.
22
MANTOVANI F., Diritto penale. Parte generale, Padova, 2007, p. 802 ss.. Espressamente sul punto, ed
in termini pressoché identici, il contributo di MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza:
5
radicale improponibilità di ipotesi che determinino rotture del nesso di rigorosa
consequenzialità tra reato e sanzione23, sicché ne deriverebbero come “illegittimi” non
solo il loro impiego concreto, ma anche la loro semplice previsione a livello normativo.
Conclusione, questa, che tuttavia risulta essere solo di apparente impasse per il
persistere nel nostro ordinamento dei provvedimenti di clemenza, considerato che
l’annosa questione circa il prevalere di questo o quel paradigma teorico della pena non
ha ancora trovato definitiva soluzione, e che gli Autori risultano fermi nelle posizioni
più diverse24.
Interessante, ai fini della nostra indagine, appare la posizione di chi considera
predominante una diversa finalità della pena, in quanto comporta, come vedremo,
dirette conseguenze intorno alla questione di una possibile coesistenza di norme
repressive e clemenziali.
Una
puntuale
critica
all’ideologia
poc’anzi
presentata25
conduce
all’impraticabilità di questo classico dogma della cultura penale su un duplice piano. In
primo luogo si evidenzia l’esistenza di una intrinseca contraddizione tra la pretesa di
fungere da mero strumento di compensazione e riequilibrio sociale, e l’intrinseco
significato eticizzante del castigo; in secondo luogo, nello stesso scopo di ristabilimento
dell’ordine giuridico violato è innata l’idea “magico-religiosa che il reo (...) infetti della
sua colpa tutta la società”26, concezione che contraddice necessariamente l’istanza laica
e interventista contemplata dalla filosofia dello Stato sociale di diritto27. La pena
retributiva, inoltre, ha “lo sguardo rivolto ‘verso il passato, verso tutto ciò che è
fondamento giustificativo ed effetti, in Diritto & formazione, 2003, I, p. 445 ss.
23
Cfr. GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. ult. cit., p. 289.
24
Come è noto, “non esiste una teoria della pena che si imponga come vincente per la sua superiore,
intrinseca razionalità: la legittimazione della pena varia a seconda del tipo di Stato in cui si pone il
problema”. MARINUCCI G. – DOLCINI E., Manuale di diritto penale, op. cit., p. 5.
25
Tale critica, sistematicamente presentata in due opere di MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e
politica criminale, op. cit., p. 1070 ss. e Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 371 ss., pone come
premessa della propria argomentazione, il contesto politico-istituzionale dello Stato sociale di diritto
(Sozialrechtsstaat), quale risultato dell’incontro di due distinte teorie giuridico-politiche: quelle dello
stato di diritto e dello stato sociale. Sul piano del diritto penale, la prima “garantisce l’individuo, quale
portatore di diritti di libertà da far valere verso l’autorità centrale nella sua eventuale veste di Leviatano,
ed in ragione di tale programma di tutela stabilisce presupposti, modalità e limiti della coercizione
legale”; mentre la seconda “promuove la protezione del singolo non già in una prospettiva di riparo
dall’arbitrio punitivo, ma agendo in modo da potenziarne la posizione di fruitore di determinati livelli di
progresso civile” (La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1070).
26
ROSS A., Colpa, responsabilità e pena, tr. it., Milano, 1972, p. 80.
27
MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 371 ss.
6
esaurito’”28: la sua applicazione presupporrebbe, pertanto, un concreto fallimento del
compito di tutela proprio della politica sociale, lasciando dunque senza risposte
l’interrogativo del perché punire29. Conseguentemente, tali Autori postulano come la
legittimazione dell’uso della sanzione, e contemporaneamente della clemenza, vada
ricercata sul diverso terreno delle teorie relative, incentrate sugli effetti della pena.
Ambedue i paradigmi preventivi, generale e speciale, sono caratterizzati da un
orientamento relativo allo scopo, sulla base dell’assunto che “nella formazione delle
leggi penali, lo specifico senso «politico-criminale» è ne peccetur, è il contenimento di
date offese alla convivenza sociale e a beni che si assumono bisognosi di tutela
coercitiva”30. Nella sua più moderna concezione, la generalprevenzione non viene più
vista soltanto nella sua tradizionale funzione negativa di intimidazione31, ma
preferibilmente in quella positiva di rafforzamento della coscienza giuridica e morale
dei consociati32. Il nuovo assunto appare armonizzato con i principi di libertà, dignità ed
autonomia della persona, impronta personalistica che prospetta, come proprio fine
ultimo, quello della risocializzazione al termine di un percorso di emancipazione, scelto
dal condannato in totale libertà33. Il riferimento corre pertanto alle categorie della
meritevolezza e del bisogno di pena, che da un lato pongono una soglia di legittimità
dell’intervento penale, che deve presentarsi giustificato in rapporto all’interesse in tal
modo tutelato, e dall’altro realizzano il naturale senso di necessità della sanzione, pur
temperandolo con i criteri della sussidiarietà e della extrema ratio, e corre altresì ai
principi di colpevolezza (personalità della responsabilità penale) e di proporzione della
28
BETTIOL G., Diritto penale, op. cit., p. 820.
MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1072.
30
Sostiene che la ‘politica’ penale, per definizione, muova in direzione preventiva: PULITANO’ D., voce
Politica criminale, op. cit., p. 73.
31
MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 374 ss., dichiara la totale illegittimità delle versioni
autoritarie dell’ideologia preventiva, tanto generale quanto speciale, in quanto incompatibili con il
modello garantista di diritto penale. La logica di una sanzione intesa quale pura intimidazione, facente
leva sulla paura di conseguenze afflittive (cd. prevenzione generale negativa), così come di una
esecuzione penale tesa ad eliminare i rischi di recidiva, attraverso la “neutralizzazione” del condannato
(cd. prevenzione speciale negativa), determinano la degradazione dell’individuo a mero oggetto passivo
della pretesa istituzionale.
Proprio da tale concezione di prevenzione prende le mosse il rifiuto, da parte di BETTIOL G., di
abbracciare tale paradigma teorico della sanzione. L’Autore presenta quale principale lato negativo della
dottrina della difesa sociale, l’essere basata su “un principio a sfondo nettamente naturalistico (...) il quale
riposa su una concezione soltanto biologica dell’individuo, partendo dalla considerazione che la società,
al pari di ogni altro organismo vivente, reagisce in modo automatico quando (...) sia toccata nelle sue
fisiche condizioni di esistenza”. V. BETTIOL G., Diritto penale, op. cit., p. 815 ss.
32
Di prevenzione generale “rivisitata” si occupa anche PULITANO’ D., voce Politica criminale, op. ult.
cit., p. 73.
33
MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 382.
29
7
misura giudiziale di pena.
Fatte le dovute premesse di ordine teorico, appare possibile valutare la tipologia
di rapporto sussistente tra remissione della sanzione e scopi assegnati alla pena in un
sistema penale preventivo-rieducativo.
Quanto alla prevenzione generale, essa comporterebbe l’ammissibilità dei
provvedimenti di clemenza ogni qualvolta la pena non sia in grado di perseguire alcun
risultato di intimidazione né, tantomeno, di orientamento culturale34, ed anzi favorisca la
commissione di illeciti. In altri termini, la clemenza agirebbe quale fattore stabilizzante
dell’ordinamento, in grado di garantire continuità alle relative scelte politiche, tutte le
volte che alterazioni dei fattori di meritevolezza e bisogno di incriminazione
“renderebbero l’applicazione della pena non conforme ai principi di una politica
criminale da Stato sociale di diritto”35. Quanto alla prevenzione speciale, occorre tenere
conto dell’acquisita esperienza criminologica in base alla quale risulta possibile ottenere
il recupero del reo non solo tramite l’espiazione della pena, ma anche all’esito della
concessione di misure indulgenziali, argomentando dal fatto che “la remissione
sanzionatoria non fa venir meno la qualifica di illiceità penale per fatti futuri della stessa
specie di quelli oggetto del beneficio temporaneo”36.
34
MAZZACUVA N., Il diritto penale come strumento di pacificazione e di risoluzione del conflitto sociale,
op. cit., p. 17, il quale afferma altresì, ancora con rimando alla tesi sostenuta da GEMMA G., Principio
costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 297, che tale paradigma possa spiegare anche in negativo il
ricorso all’indulgenza: “la funzione intimidatoria invalida soltanto quella remissione che possa divenire
manifestazione di lassismo ed incentivazione alla commissione di illeciti” (v. infra par 1.2).
Contra fra gli altri: MANTOVANI F., Diritto penale, op. cit., p. 802 ss., e MARZAGALLI C., I provvedimenti
penali di clemenza, op. cit., p.445, secondo i quali la clemenza svilirebbe la funzione deterrente della
pena, in misura proporzionale alla frequenza e periodicità con cui se ne farebbe uso, sino a poter essere
computata nel calcolo dei rischi; PASELLA R., Diritto penale premiale e funzione della pena, op. cit., p.
242 presenta un’opinione ai sensi della quale è proprio con la funzione di prevenzione generale che le
norme premiali possono presentare i maggiori punti di attrito. Ai fini della salvaguardia dell’efficacia
intimidativa, viene prospettato come certo il fatto che “l’approssimazione, qualitativa e quantitativa, della
pena alla misura di colpevolezza del fatto sia l’elemento più idoneo a garantire la serietà dell’intervento
punitivo”.
35
MAZZACUVA N., Il diritto penale come strumento di pacificazione, op. cit., p. 14, sostenitore della tesi
in base alla quale assumono costante rilievo le categorie della meritevolezza della pena (Strafwürdigkeit)
e del bisogno di pena (Strafbedürfnis).
36
MAZZACUVA N., Il diritto penale come strumento di pacificazione e di risoluzione del conflitto sociale,
op. cit., p. 18. Con la contestuale precisazione che, tuttavia, nella maggioranza dei casi, la funzione di
rieducazione sia rispettata proprio dall’applicazione ed esecuzione della pena.
Contra ancora MANTOVANI F., Diritto penale, op. cit., p. 802 ss., e MARZAGALLI C., I provvedimenti
penali di clemenza, op. cit., p.445, traendo spunto dalla precisazione che i provvedimenti estintivi della
pena, per poter essere compatibili, dovrebbero essere non generalizzati ed automatici (come l’amnistia e
l’indulto), ma individualizzati e fondati su diagnosi e prognosi criminologiche individuali. In termini
simili si esprime PASELLA R., Diritto penale premiale e funzione della pena, op. cit., p. 241: “ è pur vero
che il semplice fatto che il soggetto venga indotto a comportarsi in un certo modo per poter beneficiare
8
Non sono queste, tuttavia, le sole argomentazioni che tali Autori pongono a
sostegno di una risposta positiva al quesito posto in partenza, venendone impiegate di
ulteriori e diverse.
In primo luogo si pone, su un piano strutturale, un rilievo solo all’apparenza
semplicistico37, ma certamente di sicura validità persuasiva, secondo cui gli istituti di
clemenza collettiva sono stati previsti e disciplinati, con una decisa impronta
teleologica, dal Costituente, ossia dallo stesso soggetto che ha costruito il sistema
penale con il quale si intende accertare la conciliabilità. Amnistia e indulto (e grazia),
dunque, troverebbero un solido fondamento giuridico nell’art. 79 (e 87) Cost.38.
In secondo luogo, una legittimazione proviene altresì da un terreno funzionale:
“una risposta negativa al quesito potrebbe ammettersi (solo) a condizione di teorizzare
la totale idoneità degli ‘strumenti sistematici di non punibilità’ ad operare (...) anche in
rapporto a situazioni (...) eccezionali e straordinarie”39, nondimeno, contrasta con tale
statuizione il semplice rilievo che amnistia e indulto comportano una modificazione
della punibilità non di singoli fatti ancora al di là dal verificarsi, bensì di intere “classi”
di reati già consumati.
Infine, l’ultimo punto della dimostrazione si presenta in contrapposizione ad una
tesi che mira ad ottenere risposta negativa al noto quesito, ponendo come pilastri
portanti del ragionamento i principi di tassatività e di divieto di analogia, che per
antonomasia definiscono il carattere “chiuso” del diritto penale. Tale teoria, che obietta
una sistematica violazione dei citati punti fermi ogni qualvolta si faccia uso degli istituti
di clemenza, tanto collettivi quanto individuali, può essere agevolmente superata
dell’impunità o di una attenuazione della pena può essere di per sé positivamente valutato in una prognosi
sul reinserimento sociale perché dimostra una rinnovata sensibilità del soggetto ai meccanismi di
controllo sociale”, tuttavia, il fatto che il beneficio non consegua ad un giudizio di esito positivo sulla
personalità del soggetto, ma sia diretta conseguenza dell’attuazione di una condotta socialmente utile, può
frustrare ogni efficacia ammonitiva ed educativa.
37
Tale argomentazione non viene presa in considerazione, nemmeno ai fini di una confutazione, dagli
Autori che sostengono una innata incompatibilità tra i due termini del raffronto. A monte di questa scelta
si pone, verosimilmente, proprio lo scarso spessore, da un punto di vista teorico-argomentativo,
riconosciuto a tale tesi.
38
Presentano tale spunto argomentativo, D’ORAZIO G., voce Amnistia e indulto (dir. cost.), in
Enciclopedia Giuridica, II, Roma, 1993, p. 9; MAIELLO V., nelle due opere ampiamente citate, poiché
ampie e complete sull’argomento, La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1081;
Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 397 ss.; DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. –
LUPO E. (a cura di), Codice Penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, II, Milano, 2000, p. 145.
Tali Autori recepiscono l’osservazione della Corte costituzionale, contenuta nella sentenza 23 dicembre
1963, n.170 (cfr. infra par. 2).
39
MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1082; Clemenza e sistema
penale, op. cit., p. 398.
9
elevando a ‘principio chiave’ anche la constatazione che, nella realtà concreta, esistono
inevitabilmente “circostanze nelle quali la tutela di interessi costituzionali, normalmente
realizzata con la legislazione penale, esige invece la remissione della pena”40, con la
conseguenza che i vantaggi del disattendere sarebbero certamente maggiori, soprattutto
poiché ciò consentirebbe di evitare trattamenti giudiziari difformi41. Com’é palese, si
tratta di ipotesi che non possono essere prestabilite a livello normativo, e che per tale
motivo hanno prestato il fianco a svariate critiche42, proprio alla luce dei sopra citati
assiomi.
In conclusione, tenendo presenti le singole accuse e le corrispondenti smentite, si
deve constatare che la dottrina penalistica ha certamente condotto un’analisi corretta e
puntigliosa del “dilemma”, ma limitando il proprio campo di indagine all’area di Sua
esclusiva competenza, ossia il diritto penale, seppur con le inevitabili ingerenze di
politica criminale e criminologia. Tuttavia, è su un gradino più “alto” e di maggiore
presa sociale, in quanto colpisce la coscienza giuridica non solo degli esperti giuristi ma
anche dei comuni cittadini, che si muove la principale critica (per il motivo appena
accennato) all’impiego dei provvedimenti di clemenza: il contrasto con il principio
d’eguaglianza enunciato dall’art. 3 della Carta Costituzionale43. Ai fini della
completezza della presente indagine, occorre pertanto dedicare la dovuta attenzione
anche alla materia costituzionale, alle vicende legate alla stesura della Costituzione, alla
dottrina dei costituzionalisti e, naturalmente, alla giurisprudenza della Consulta.
1.1 Il dibattito in sede costituente e il superamento delle posizioni abolizioniste.
Nel 1946 ebbero inizio i lavori dell’Assemblea Costituente, che dedicò le
40
GEMMA G., Note critiche in tema di grazia, op. cit., p. 130.
MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1082.
42
Da ultimo, per l’inapplicabilità del procedimento analogico alle cause di giustificazione, PADOVANI T.,
Diritto penale, Milano, 2002, p. 35.
43
La dottrina penalistica protagonista di questo paragrafo, infatti, senza travalicare i confini della propria
materia, si è limitata a porre il problema di un assodato contrasto con il principio di cui all’art. 3 Cost., e,
successivamente, a recepire quanto risultante dai dibattiti e dalle argomentazioni svoltesi in ambito
costituzionale. V. MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 433; MANTOVANI F., Diritto penale,
op. cit., p. 802 ss.; MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p.445; PALAZZO F.,
Corso di diritto penale. Parte generale, Torino, 2006, p. 622; PULITANO’ D., Diritto penale, op. cit., p.
675. Più completi sul punto, poiché riportano in sintesi le fasi dell’indagine, D’ORAZIO G., voce Amnistia
e indulto (dir. cost.), op. cit., p. 9 ss.; MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op.
cit., p. 1083 ss.; Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 401 ss.
41
10
sedute dal 5 dicembre 1946 al 23 gennaio 1947 al tema dell’amnistia, argomento
particolarmente dibattuto a causa della proliferazione della clemenza collettiva nel
periodo precedente44, a differenza dell’esperienza della grazia che non fu oggetto di
particolari rilievi da parte dei costituenti45. In particolare, veniva denunciata la
diffusione smisurata di amnistie, “perché essa provoca vuoi un rallentamento
dell’attività giudiziaria46, vuoi una caduta dell’effetto deterrente delle sanzioni penali47,
vuoi una crescita di deteriore consenso ai favori dei governanti48”49. Inoltre, proprio nel
novembre 1946, veniva pubblicato un polemico scritto sull’argomento50, nel quale era
condotta una severa critica dell’amnistia da un punto di vista teorico51, arrivando alla
conclusione che “l’amnistia e con essa l’indulto o condono dovrebbero essere cancellati
dal codice penale”, o comunque “ove (...) ne sorgesse la riconosciuta assoluta necessità,
si potrebbe emanarla di volta in volta con leggi speciali così che i predetti
provvedimenti divenissero nella pratica legislazione soltanto una eccezione e non una
regola”52.
44
Con riferimento al periodo statutario e a quello fascista appena conclusosi. Oltre 220 sono, infatti, i
provvedimenti di clemenza anteriori alla Costituzione: v. PERSEO T., Il codice degli atti di clemenza,
Piacenza, 1963, p. 137 ss.
45
V. GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 130; voce Clemenza (profili
costituzionali), in Digesto delle discipline penalistiche, II, Torino, 1988, p. 235 ss., il quale afferma che la
grazia sia stata, in passato, meno contestata rispetto all’amnistia o all’indulto, perché più rispondente
all’esigenza di valutazione individuale del reo, “nondimeno qualche motivo di critica poteva e doveva pur
essere presente ai costituenti, i quali, invece, senza particolare dibattito, hanno posto in essere una
disciplina stringata, assai simile a quella prevista dallo Statuto albertino: ‘il Capo dello Stato concede la
grazia e commuta le pene’”.
46
V. intervento dell’on. Persico G., in SEGRETARIATO GEN. DELLA CAMERA DEI DEPUTATI (a cura di), La
Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, IV, Roma, 1971, p.
3392.
47
On.li Rossi P., Persico G., Codacci Pisanelli G., in SEGRETARIATO GEN. DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
(a cura di), La Costituzione, IV, op. cit., pp. 3392 e 3398.
48
On. Codacci Pisanelli G., in SEGRETARIATO GEN. DELLA CAMERA DEI DEPUTATI (a cura di), La
Costituzione, IV, op. cit., p. 3406.
49
GEMMA G., Profili costituzionali dell’amnistia e dell’indulto nelle riflessioni della cultura giuridica
italiana, in LA GRECA G. (a cura di), L’amnistia del 1990. Testo, lavori preparatori, analisi, Padova,
1990, p. 14.
50
VITALE N., Contro l’amnistia, in Rivista penale, 1946, p. 1053 ss.
51
Particolarmente interessante risulta essere la confutazione della più ricorrente motivazione, bensì di
ordine pratico e non teorico, addotta a favore delle amnistie: l’alto numero di delinquenti e l’insufficienza
di locali carcerari. L’Autore osserva in proposito che ‘alto numero di delinquenti’ significa ‘maggiore
pericolosità della zona’, con conseguente illogicità dell’essere più remissivi, mentre il secondo motivo
porta con sé un grave paradosso: “il maggiore aumento dei detenuti, essendo in ragione inversa con la
minore disponibilità dei locali, è in ragione diretta con la più facile liberazione di essi; ossia l’aumentata
frequenza di delitti e di arresti, essendo in rapporto diretto con l’aumentata pericolosità dei luoghi e con
l’aggravarsi del pubblico allarme, è in eguale diretto rapporto con le inconsulte immissioni di rei nella
vita civile; insomma più grave è la crisi generale, più si aumentano le occasioni per facilitarli” (op. cit., p.
1054).
52
VITALE N., Contro l’amnistia, op. cit., p. 1072.
11
In seno all’Assemblea si crearono, sostanzialmente, due orientamenti, che si
proponevano l’obiettivo di contenere il fenomeno dell’indulgenzialismo percorrendo
due vie differenti.
Da un lato si prospettavano soluzioni abolizioniste, che investivano ora solo
l’amnistia, ora entrambi gli istituti53. Si trattava generalmente di proposte che
“ricalcavano (...) quella visione della clemenza propria del pensiero giuridico
illuminista, secondo cui l’indulgenza doveva aver ingresso nelle leggi generali ed
astratte, nei codici, e non tradursi in atti particolari”54. L’argomentazione più dettagliata
è stata delineata da Leone, il quale ha incentrato su tre motivazioni la propria critica. In
primo luogo, l’amnistia quale residuo di una prerogativa regia non trova giustificazione
nell’attuale assetto repubblicano, e, in secondo luogo, non risulta possibile rinvenire
altro valido fondamento poiché le tesi avanzate sino ad allora non paiono reggere alle
confutazioni55. Infine, terzo motivo, legato agli inconvenienti connessi alla
rinunciabilità o meno dell’amnistia: “se è vincolante ed irrinunziabile, preclude al
cittadino la possibilità di provare la propria innocenza, se è rinunziabile allora si
trasforma in indulto”56.
Le soluzioni abolizioniste risultarono però perdenti, poiché presentavano due
evidenti lacune. In primo luogo, né da Leone, né dagli altri costituenti contrari
all’amnistia, veniva posto alcun limite all’indulto, nonostante sussistesse parimenti un
rischio di proliferazione; in secondo luogo, non era stato sufficientemente dimostrato
53
Per l’introduzione di un divieto costituzionale di concessione di amnistie, ma non di indulto, v.
interventi di Leone G., Rossi P., Dominedò F.M., in SEGRETARIATO GEN. DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
(a cura di), La Costituzione, VI, op. cit., p. 234 ss.; Codacci Pisanelli G. si fa invece portavoce della
proposta di assoggettare la concessione di amnistia o di indulto solo al procedimento di revisione
costituzionale, in SEGRETARIATO GEN. DELLA CAMERA DEI DEPUTATI (a cura di), La Costituzione, IV, op.
cit., p. 3398 ss.
54
GEMMA G., Profili costituzionali, op. cit., p. 15.
55
Sostiene Leone che non può invocarsi, quale possibile fondamento, il mutamento della coscienza
sociale che non reputi più meritevole di punizione un fatto illecito, giacché in tal caso occorrerebbe una
modificazione o abrogazione della legge penale. Dettagliate, sul punto, le presentazioni di GEMMA G.,
Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 132, ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op.
cit., p. 56 ss., MAZZINA P., Commento all’art. 79, in BIFULCO R. – CELOTTO A. – OLIVETTI M. (a cura di),
Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, p. 1514 ss. Se poi il risultato voluto, con l’amnistia, fosse
stato quello di allentare il peso dei processi pendenti, afferma Leone che sarebbe sufficiente l’indulto.
Anche se, tale ultimo asserimento non convince pienamente la dottrina. V. ZAGREBELSKY G., Amnistia,
indulto e grazia, op. cit., p. 57, “L’indulto cui si riferiva l’on. Leone è quello che estingue totalmente la
pena. Non si comprende tuttavia come, attraverso questo strumento, sarebbe possibile allentare il carico
dei processi pendenti”.
56
Condivisibile, sul punto, la precisazione mossa da GEMMA G., Profili costituzionali, op. cit., p. 15, circa
la chiarezza di tale argomento. L’Autore si esprime in tali termini: “non riusciamo a vedere come la
rinunziabilità dell’amnistia trasfiguri l’atto a tal punto da trasformarlo in indulto”.
12
per quale motivo non si potesse in alcun caso ricorrere a tale istituto, nemmeno in
circostanze straordinarie ed eccezionali quali grandi sconvolgimenti politici e sociali
(cd. amnistie pacificatrici)57. Tali proposte furono dunque respinte poiché apparvero
“massimaliste”, troppo rigide e quindi non razionali.
A prevalere fu la soluzione opposta, che prevedeva il trasferimento della potestà
di clemenza dal potere esecutivo a quello legislativo58, e la delimitazione di essa
mediante meccanismi procedurali, con il risultato che nessuno strumento di indulgenza
fu bandito dalla Costituzione. Superato un iniziale disaccordo sulle modalità di esercizio
della potestà da parte del Parlamento59, nella seduta pomeridiana del 21 ottobre 1947
venne approvata le versione finale dell’art. 75, poi rinumerato art. 79, ai sensi del quale:
“L’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica su legge di
delegazione delle Camere. / Non possono applicarsi ai reati commessi successivamente
alla proposta di delegazione”.
1.2 La svolta negli anni ’70: le teorie costituzionalistiche di G. Zagrebelsky e G.
Gemma.
57
Si tratta, tuttavia, di motivazioni che appaiono piuttosto fragili, come nota GEMMA G., Principio
costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 133, ad esempio: “l’esigenza di cancellare completamente le
conseguenze di fatti, che sono dichiarati reati in circostanze eccezionali, allorché queste ultime sono
venute a cessare” (on. Molè E.), obiettabile rinviando alle maggiori garanzie offerte da una legge
abrogatrice o modificatrice; “la necessità di correggere gli effetti di una legislazione penale largamente
difettosa” (on. Togliatti P.), benché siano sufficienti, in luogo di un’amnistia, un indulto o la rinnovazione
della legislazione; ancora peggio “l’opportunità di riconoscere anche alla Repubblica una potestà di
clemenza, già appartenente alla Monarchia, per non far rimpiangere quest’ultima” (on. Togliatti P.);
infine il rilievo che “l’amnistia, e specialmente per reati politici, in certi momenti è utile colpo di spugna
nell’interesse della pace sociale” (on. Perassi T.). V. SEGRETARIATO GEN. DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
(a cura di), La Costituzione, VI, op. cit., p. 234 ss.
58
Osserva ZAGREBELSKY G., Commento all’art. 79 della Costituzione, in BRANCA G. – PIZZORUSSO A. (a
cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1979, p. 116, che i “lavori preparatori della mostrano
una consistente tendenza a fare del solo Parlamento l’arbitro della valutazione sull’opportunità politica
del provvedimento”. Motivazione di tale tendenza può essere ravvisata nel confidamento nella parsimonia
parlamentare in materia di clemenza.
59
V. MAZZINA P., Commento all’art. 79, op. cit., p. 1547; GEMMA G., Principio costituzionale di
eguaglianza, op. cit., p. 134. Quattro le soluzioni proposte: 1) approvazione da parte della Assemblea
Nazionale, cioè dall’organo costituito dalle Camere in seduta comune, per dare maggiore solennità ad un
provvedimento di carattere eccezionale ed evitarne un uso da parte del Governo (opzione della
Commissione); 2) attribuzione alle due Camere, secondo l’ordinario procedimento legislativo, ai fini di
una formulazione tecnica migliore; 3) esigenza della legge costituzionale, con l’obiettivo di impedire il
ripetersi degli abusi verificatisi in passato; 4) ricorso allo strumento del decreto legislativo, in ragione
della maggiore rapidità di adozione, poi modificato dall’emendamento Bettiol: concessione da parte del
Presidente della Repubblica, dietro delegazione delle Camere (ZAGREBELSKY G., Commento all’art. 79,
op. cit., p. 116, ove l’Autore precisa che “l’intervento del Presidente e del Governo è stato previsto per
ragioni di ordine formale oltreché per consentire l’intervento di soggetti idonei a sopperire ad esigenze di
celerità e tecnicismo”).
13
Il profilo di politica del diritto, nelle discussioni apertesi sugli istituti di amnistia
ed indulto, si affaccia all’attenzione della dottrina (come già detto prevalentemente
costituzionalistica60) solamente a cavallo tra la fine degli anni sessanta, e gli inizi degli
anni settanta.
Sino ad allora, lo studio delle cause di clemenza generale in una prospettiva
teleologico-funzionale, non compare tra le priorità della dottrina penalistica61, la quale
appariva dominata da una impostazione di stampo prettamente tecnicistico-giuridico.
Prioritari risultavano, piuttosto, l’esame di questioni circa gli aspetti formali e le
vicende procedimentali delle concessioni di provvedimenti di clemenza, problematiche
interne al dato positivo, interpretazione dei dettati normativi, ovvero il coordinamento
tra singoli provvedimenti e disposizioni codicistiche di parte generale62. Si può
affermare con sicurezza che “in nessuna di queste occasioni il riferimento alla figura
clemenziale (...) si accompagnava alla riflessione critica riguardante la sfera della sua
legittimazione politico criminale”63, e che, eccezion fatta per alcune trattazioni che si
spingevano ad esplorare il ‘retroterra storico-culturale’64, si presentavano legate da un
comune denominatore: l’essere caratterizzate da una “sostanziale neutralità sul piano dei
valori”65.
Sulla formazione di questo orientamento della dottrina, certamente influirono in
modo determinante due correnti di pensiero. Anzitutto “il lascito del formalismo della
60
Eccezion fatta per lo scritto di PULITANÒ D., Il significato della clemenza, in Quale giustizia, 1970, p.
109 ss., il risveglio critico in tema di fondamento della clemenza è dovuto ai lavori di costituzionalisti
quali ZAGREBELSKY G., voce Indulto (dir. cost.), in Enciclopedia del diritto, XXI, Varese, 1971, p. 233
ss.; Amnistia, indulto e grazia, op. cit.; La Corte costituzionale e l’amnistia, in Giurisprudenza
costituzionale, 1974, I, p. 528 ss.; e GEMMA G., Profili costituzionali dell’amnistia, dell’indulto e del
condono fiscale, in Archivio Giuridico, 1971, p. 35 ss.; Amnistia e indulto: revisione costituzionale o
nuova giurisprudenza?, in Politica del diritto, 1971, p. 645 ss.; Un altro monito della Corte costituzionale
contro l’abuso di clemenza, in Giurisprudenza costituzionale, 1976, I, p. 647 ss. (per citare gli scritti base
di tali giuristi in materia di clemenza).
61
Evoluzione dottrinale ricostruita in termini completi da MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e
politica criminale, op. cit., p. 1042 ss.; Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 302 ss..
62
Alcuni esempi chiarificatori: SANTAMARIA D., L’applicabilità dell’amnistia al reato continuato, in
Rivista italiana di diritto penale, 1951; MATERIA I. – SICILIANO G., Amnistia e indulto nella
giurisprudenza, Milano, 1978; KOSTORIS S., Amnistia e indulto, Padova, 1978. V. in proposito GEMMA
G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 159 ss.., il quale, tuttavia, sottolinea che
nell’ambito di questo disinteresse si possono considerare alcune eccezioni che profilarono una
delimitazione della clemenza fondata su basi costituzionali, in particolare invocandosi l’art. 27 Cost. (op.
cit., p. 160-161).
63
L’affermazione è di MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1043.
64
MANZINI V., Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1950, p. 385 ss.
65
MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1043
14
Scuola Positiva66, esaltato dall’indirizzo tecnico-giuridico”67; poi, l’ideologia di
Vincenzo Manzini, il quale nel suo Trattato così introduceva il capitolo dedicato alla
potestà di clemenza: “La trattazione della materia riguardante la potestà di clemenza
non fa parte, propriamente, né del diritto né della procedura penale, giacché codesta
facoltà sovrana ha la sua base e la sua disciplina unicamente nel diritto costituzionale.
Nondimeno, poiché gli effetti di siffatta forza, per noi eterogenea, incidono nella sfera
della legge e della giustizia penale, è conveniente discorrerne qui in modo adeguato allo
scopo di questo Trattato”68. Vero è che l’abuso di clemenza non è sfuggito alla dottrina
penalistica, la quale non ha mancato di deplorare tale fenomeno, dapprima lamentando
l’impatto negativo dell’utilizzo indiscriminato e frequente di tali provvedimenti nei
confronti della funzione intimidatoria della pena e delle esigenze di difesa sociale,
mentre successivamente, agli inizi degli anni settanta, la critica si fondava su una
motivazione quasi antitetica: la clemenza collettiva appariva da contestare non tanto
perché si riteneva vanificasse la validità della vigente legge penale, quanto piuttosto per
il fatto che manteneva in vita una normativa all’evidenza non più accettata dalla
coscienza sociale. “La clemenza, come eccezione, conferma una legge penale, che
invece dovrebbe essere modificata e non costituire più la regola”69, ed è in un tale
contesto che vengono sistematicamente denunciate le “amnistie delle coscienze non
tranquille 70” ovvero “la clemenza come mistificazione”71.
L’importanza di tali influenze è tale che, sino all’assimilazione delle novità
promananti dall’area dell’elaborazione costituzionalistica, la tematica delle indulgenze
continua ad essere considerata appannaggio della ‘politica’, e dunque insuscettibile di
essere gestita sul piano della conformità alle esigenze dell’ordinamento penale. Si era
accreditata, infatti, la convinzione che “la clemenza fosse un’aporia sistematica
66
Per un’illustrazione dei caratteri dell’indirizzo tecnico-giuridico e dell’influenza esercitata sulle
tendenze ed indirizzi della scienza penalistica, cfr. BARATTA A., Filosofia e diritto penale. Note su alcuni
aspetti dello sviluppo del pensiero penalistico in Italia da Beccaria ai nostri giorni, in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, 1972, p. 37 ss.
67
MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1045.
68
Così MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 423, nt. 1.
69
Calzante definizione di GEMMA G., Profili costituzionali, op. cit., p. 17.
70
Cfr. MANTOVANI F., Terra d’amnistie, in Temi, 1970, p. 410.
71
V. PULITANÒ D., Il significato della clemenza, op. cit., p. 111 ss. E’ parere dell’Autore che “di fronte a
leggi penali che si dicono superate, porsi un problema di clemenza appare contraddittorio: ciò che si ha da
fare è modificare o abrogare tali leggi, in modo da sostituire una volta per tutte alla repressione
l’impunità, o una pena più congrua, non come facoltativo «atto di clemenza», ma come normale criterio
di giustizia. L’amnistia potrà essere un palliativo per i casi più urgenti, non certo una soluzione”.
15
legittima, in quanto prevista e disciplinata dall’ordinamento”72.
A causa dei numerosi provvedimenti emanati posteriormente alla entrata in
vigore della Costituzione, e la conseguente critica proveniente da un fronte dottrinale di
uniforme convinzione, negli anni sessanta, e maggiormente negli anni settanta, il
principio costituzionale d’eguaglianza investe la clemenza collettiva73. La dottrina era
concorde nella scelta di ricorrere al principio sancito dall’art. 3 Cost., quale fonte di
vincolo e controllo di legittimità dei provvedimenti emanandi, salvo tuttavia divergere
in punto di differente interpretazione del contenuto e della portata di esso74. Appaiono
individuabili essenzialmente due differenti indirizzi75, il primo dei quali, risultato in
verità ‘perdente’ poiché massimalista76, affermava la sussistenza di una incompatibilità
insuperabile fra principio di uguaglianza e amnistia (o indulto), stante il fatto che
“situazioni perfettamente identiche possono (potevano) essere trattate in modo
differente a seconda che il fatto criminoso sia (fosse) stato commesso immediatamente
prima o dopo lo scadere del termine previsto dal secondo comma dell’art 79 Cost.”
(limite temporale di applicabilità del decreto)77. Tale tesi, che si risolveva pertanto nella
negazione della legittimità costituzionale della clemenza collettiva, veniva sostenuta
affermando che l’art. 79 Cost, benché offra generica copertura costituzionale agli istituti
in questione, si limita a disciplinarne gli aspetti procedurali, mentre non è “decisamente
recettizia dell’istituto dell’amnistia, dal momento che lascia impregiudicata la questione
72
Per un’analisi più profonda dello status quo, v. MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica
criminale, op. cit., p. 1042 ss.
73
Come accennato poc’anzi (v. supra nota 60), il riferimento corre soprattutto ai lavori di ZAGREBELSKY
e GEMMA. Il primo, in particolare, nel citato scritto La Corte costituzionale e l’amnistia, p. 529, rileva
come tutti gli sforzi compiuti, sino ad allora, per frenare l’uso largamente indiscriminato dei
provvedimenti di clemenza, non avessero sortito alcun effetto, avallando la tesi di coloro che ritenevano
che “i provvedimenti di clemenza, una volta deliberati, costituiscono dei fatti compiuti ai quali nessuno è
dato di opporsi: non al Presidente della Repubblica (...), non alla Corte costituzionale che ha sempre
evitato di ostacolare la politica di clemenza svolta dalle Camere”. Emerge pertanto a chiare lettere quanto
fosse sentita l’esigenza di una evoluzione tanto del pensiero dottrinale, quanto della corrispondente prassi
giurisprudenziale.
74
Osservazione di MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1062.
75
In proposito v. GEMMA G., Profili costituzionali, op. cit., p. 21.
76
“Dal 1970, dopo un’altra amnistia (con il consueto riferimento ad anniversari, nella fattispecie il
centenario di Roma capitale ed il venticinquennale della Liberazione), la polemica giuridica contro la
prassi di clemenza collettiva, oltre a divenire più ricca ed agguerrita sotto il profilo dell’opportunità
politica, acquisisce nel proprio armamentario elaborate motivazioni di legittimità costituzionale”, cfr.
GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 166.
77
ZAGREBELSKY G., voce Indulto (dir. cost.), op. cit., p. 247. Ovviamente il riferimento di chi scrive è
all’attuale comma 3 dell’art. 79 Cost., dal momento che tale scritto è anteriore alla l. cost. 1/1992 che ha
modificato tale norma: il comma citato (comma 2), corrisponde oggi al comma 3 (ultimo comma), e non
indica più, quale termine, la proposta di delegazione, bensì la presentazione del disegno di legge (v. infra
cap. II, par. 2).
16
relativa alla legittimità costituzionale della clemenza”78. Due i punti deboli
dell’argomentazione79: da un lato si limitava a riproporre la drastica visione illuminista
della illiceità, senza condizioni né eccezioni, di qualsivoglia deroga alla legge penale
vigente; dall’altro le considerazioni espresse circa l’art. 79 Cost apparivano nettamente
incongruenti: sarebbe, infatti, illogico ritenere che il medesimo legislatore, per di più di
rango costituzionale, avesse disciplinato un procedimento da seguire per l’approvazione
di atti illeciti. Il fallimento di tale linea di pensiero è da attribuirsi, pertanto, alla
proposizione di tesi troppo contrastanti con (ormai) consolidate teorie giuridiche80.
Un indirizzo più solido81, si manifesta invece nella prima metà della decade, ad
opera del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky82. L’elaborazione di detto giurista si
muove su due piani83. Quale punto di partenza della Sua analisi, configura come certa
l’operatività dell’art. 3 Cost. in materia di clemenza, prendendo in tal modo le distanze
dalla tesi sopra esposta. Ciò significa, posto che tale principio pone il limite della
ragionevolezza e non arbitrarietà alla libertà di apprezzamento politico del legislatore,
che anche amnistia ed indulto, in quanto derogatori ad un regime generale, debbono
78
Estratto dall’ordinanza 30 gennaio 1963, della Pretura di Bracciano, in Giurisprudenza costituzionale,
1963, p. 234, la quale giunge sino ad affermare che, configurandosi un rapporto di gerarchia tra l’art. 3,
norma principio, e l’art. 79 Cost., sia possibile dedurre l’illegittimità e la caducazione di questa norma,
nonostante sia inserita nel testo della Costituzione. Sul punto v. altresì: BIAGINI A., Considerazioni sulla
sentenza 12-13 dicembre 1963, n. 171 della Corte costituzionale, in Nuovo diritto, 1964, p. 849 ss.,
secondo il quale si tratterebbe di vera e propria disparità di diritto, con conseguente violazione del
principio sancito dall’art. 3 Cost.
79
Rinvenibili in GEMMA G., Profili costituzionali, op. cit., p. 21.
80
Alle soglie degli anni settanta, è pressoché unanime la convinzione della cultura giuridica secondo cui
la clemenza collettiva è senza dubbio razionale, e di conseguenza legittima, in particolari ed eccezionali
circostanze nelle quali non appare indicata l’applicazione della legge penale generale. Oltre al fatto che
tale tesi sarebbe “sicuramente eccessiva, (...) poiché proverebbe nel senso della incostituzionalità di tutte
le modificazioni in senso più favorevole delle leggi penali” (ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia,
op. cit., p. 169, nota 169).
81
Preceduto da alcuni spunti, che colgono un impatto del principio d’eguaglianza sulla clemenza
collettiva: PIZZORUSSO A., Osservazione alla sentenza 20 dicembre 1962, n. 110, della Corte
costituzionale, in Giurisprudenza italiana, 1963. I, p. 570; L’amnistia e la Costituzione, in Quale
giustizia, 1970, IV, p. 77 ss.; PULITANÒ D., Il significato della clemenza, op. cit., p. 109 ss. Quest’ultimo
è particolarmente esemplificativo del grado di solidità argomentativa raggiunto solo con Zagrebelsky: da
un lato afferma drasticamente che “per effetto del provvedimento di clemenza si determina, in luogo
dell’eguaglianza davanti alla legge, una diseguaglianza, anzi una antitesi nel trattamento di casi identici”,
dall’altro lato, sostiene che in via eccezionale la clemenza è giustificata, al fine di sanare lacerazioni
sociali. Comunque “al di là delle oscillazioni, il discorso sul rapporto d’eguaglianza-amnistia è avanzato
in termini ancora generici e (...) non ricorre nello scritto alcun richiamo esplicito all’art. 3” (GEMMA G.,
Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 167, nota 110)
82
Per gli scritti principali, v. supra nota 60.
82
Per gli scritti principali, v. supra nota 60.
83
Distinzione prospettata in GEMMA G., Profili costituzionali, op. cit., p. 23.
17
soggiacere a detti limiti di ragionevolezza84. Tale principio costituzionale di eguaglianza
deve ovviamente valere anche nei confronti della grazia. Pertanto, “per regolare un caso
che si ritiene assolutamente peculiare e irriproducibile, tale da costituire classe a sé
stante, sarà possibile fare ricorso ad un provvedimento individuale, mentre laddove sia
possibile individuare una categoria di soggetti mossi dalla medesima motivazione,
questa è l’ipotesi tipica su cui provvedere invece con indulto”85. Occorre a tale
proposito una precisazione. La tradizione dommatica ha individuato, quale tratto
peculiare della clemenza, la ‘capacità sospensiva’ della norma penale sanzionatoria86,
con la conseguenza che essa realizza “sempre e necessariamente una deroga al principio
di eguaglianza in materia penale, inteso in senso formale come pari soggezione alle
conseguenze previste dalle leggi generali in vigore al momento della commissione dei
fatti”87. Ora, se nel nostro ordinamento il principio di uguaglianza conoscesse un
significato puramente formale, non residuerebbe alcuno spazio per l’operatività delle
indulgenze, oppure, il ricorso all’amnistia e all’indulto dovrebbe essere in ogni caso
estremamente limitato88. Per tali ragioni Zagrebelsky identifica nella dimensione
84
Solo un disconoscimento dell’operatività di tale principio potrebbe consentire la configurazione di una
clemenza senza limiti, ipotesi che, pertanto, risultava possibile soltanto in epoche nelle quali a detto
principio “non era possibile attribuire il ruolo centrale nella ricostruzione del sistema, ruolo che ad esso,
viceversa, oggi spetta”, v. ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 85. Altresì, per
utilizzare le parole di GEMMA G.: “anche la potestà di emanare amnistie ed indulti è soggetta ai vincoli
che scaturiscono dall’art. 3 e l’area di clemenza non è, pertanto, una «area franca» nei confronti del
principio costituzionale d’eguaglianza”, Profili costituzionali, op. cit., p. 23.
85
V. ZAGREBELSKY G., voce Indulto (dir. cost.), op. cit., p. 237 ss. Tuttavia, v. le osservazioni sul punto
contenute in GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 165. L’Autore è
dell’opinione che Z. abbia richiamato l’art. 3, a proposito della grazia, non al fine di delimitare l’impiego
della clemenza in generale, o almeno non direttamente, quanto piuttosto “per non consentire un
aggiramento di norme costituzionali attributive di competenza, cioè dell’art. 79 Cost. che prevede una
potestà (anche) parlamentare in materia di indulto”. Gemma sostiene, infatti, che Zagrebelsky sia il
portavoce di una corrente di pensiero definibile ‘moderata’ poiché, stando alla Sua ricostruzione, “sarebbe
legittima la concessione di grazia al detenuto in caso di buona condotta, di sue condizioni familiari, di
circostanze eccezionali in cui sia stato commesso il reato, oppure in presenza di “cause particolarissime
che rendono politicamente opportuna la cessazione della esecuzione delle pene per singoli condannati” (v.
GEMMA G., voce Clemenza, op. cit., p. 245, ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 207).
Differente invece la soluzione prospettata dal filone dottrinale ‘radicale’: la grazia dovrebbe essere
concessa solo al fine di prevenire la futura commissione di illeciti, cioè solo per finalità caratterizzanti la
legge generale ed astratta, e in ipotesi che non possano essere qualificate da quest’ultima, impostazione
alla quale conseguirebbe “la sola legittimità di grazie finalizzate a prevenire gravi lesioni di interessi
umani” (GEMMA G., voce Clemenza, op. cit., p. 245).
86
Cfr. MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 306.
87
ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 81. L’Autore prosegue: “Attraverso i decreti di
clemenza, si determina una situazione per la quale, fra tutti i fatti che costituiscono la stessa violazione di
una medesima norma penale, solo alcuni e non altri ricevono la sanzione secondo le prescrizioni della
legge comune”.
88
Concorde la dottrina sul punto, e sulla necessità di una visione differente dell’art. 3 della Costituzione.
V. MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 306; MAZZACUVA N., L’uso della clemenza in
18
materiale89 la via d’uscita per una compatibilità della clemenza con l’ordinamento
vigente: “l’obbligo del legislatore di seguire il principio di eguaglianza significa non
divieto di dettare norme di specie o norme di eccezione nei confronti di categorie di
interessati (...), ma divieto di dettare norme diverse per situazioni oggettivamente eguali,
con il corollario reciproco (...) che norme diverse siano dettate per situazioni
oggettivamente e ragionevolmente diverse”90.
Pertanto, il collegamento tra clemenza collettiva e principio di ragionevolezza
appare sussistere in corrispondenza della esistenza di “una situazione eccezionale e
presumibilmente irripetibile: se la situazione non è eccezionale e non è presumibilmente
irripetibile non c’è spazio per l’emanazione di atti di clemenza”91. In particolare, il
riferimento corre a “categorie di fatti chiuse nel tempo”92, assunto che può contare su di
una specifica copertura normativa, rinvenibile nell’ultimo comma dell’art. 79 Cost.93, e
che intende prescrivere che la proposta legislativa dell’atto di clemenza “sia successiva
al cessare della situazione di eccezionalità che lo giustifica e perciò costituisce
(costituisca) una logica conseguenza della necessità che l’amnistia e l’indulto riguardino
tutti i reati commessi in periodi di tempo ormai conclusi”94.
Il passo successivo dell’Autore è stato quello di configurare, in concreto, criteri
materia penale e la “nuova” politica criminale: le contraddizioni del d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, in La
questione criminale, 1978, p. 471 ss.; Il diritto penale come strumento di pacificazione, op. cit., p. 15.
89
Così definita da Zagrebelsky per differenziarla da quella ‘sostanziale’, prevista come situazione di fatto
da perseguire dai pubblici poteri e per sottolineare che le distinzioni cui è possibile attribuire rilevanza, ai
fini dell’adeguamento al criterio della ragionevolezza, non sono soltanto quelle formulate a livello
legislativo, ma anche quelle rilevabili ‘materialmente’, cioè in fatto.
90
ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 83.
91
ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 93. L’Autore esemplifica tale affermazione
con le seguenti parole “comportamenti oggettivamente individuabili con caratteristiche proprie
nell’insieme delle fattispecie concrete integranti ipotesi astratte di reato” (op. cit., p. 90). Gli Autori che
successivamente si sono occupati della medesima problematica, concordano sul punto e richiamano le
espressioni di Zagrebelsky. V. per primo GEMMA G., secondo il quale l’opportunità della valutazione di
“non punire comportamenti, per motivi di giustizia o politici, è lecita solo in presenza di situazioni
eccezionali ed irripetibili, che giustifichino una disciplina derogatoria, senza ricorso ad una revisione
legislativa” (GEMMA G., Profili costituzionali, op. cit., p. 24); ma anche più recentemente: MAZZACUVA
N., L’uso della clemenza, op. cit., p. 480; Il diritto penale come strumento di pacificazione, op. cit., p. 16;
MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1063; Clemenza e sistema
penale, op. cit., p. 307; MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 456; D’ORAZIO
G., voce Amnistia e indulto (dir. cost.), op. cit., p. 10.
92
ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 92. V. altresì il precedente: voce Indulto (dir.
cost.), op. cit., p. 247.
93
Tale comma recita: “In ogni caso l’amnistia e l’indulto non possono applicarsi ai reati commessi
successivamente alla presentazione del disegno di legge”, cfr. considerazioni espresse supra in nota 77.
94
ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 92-93. Laddove, infatti, l’iter parlamentare per
l’approvazione iniziasse non a cose fatte, rimarrebbe aperta la possibilità che esso possa concludersi
prima della cessazione della situazione eccezionale. In tale circostanza il provvedimento risulterebbe sì
discriminatorio, perché restrittivo. Sul punto anche: voce Indulto (dir. cost.), op. cit., p. 249.
19
di delimitazione di carattere sostanziale, al fine di prefigurare ipotesi, il più possibile
concrete, di liceità ed illiceità costituzionali degli istituti. Allo scopo di esemplificare il
concetto, Zagrebelsky indica due ipotesi integranti altrettante forme legittime di
amnistia ed indulto.
In un primo caso95, la clemenza dipenderebbe da una motivazione che “concerne
l’inopportunità o l’ingiustizia del trattamento secondo la disciplina comune di
determinati fatti di reato già realizzati”96. In altri termini, tale giustificazione
sussisterebbe laddove comportamenti ritenuti illeciti in situazioni normali, alla luce di
una nuova valutazione dei fatti operata in un momento successivo alla loro
commissione, e sulla base di elementi nuovi, particolari o sopravvenuti e comunque
insuscettibili di riprodursi in futuro, appaiano privi del loro disvalore: “la clemenza si
risolve essenzialmente nel riconoscimento successivo
dell’imperfezione della
legislazione penale al momento della commissione dei fatti”97. Zagrebelsky, pertanto, fa
dell’amnistia e dell’indulto strumenti di giustizia, operanti attraverso “una sorta di
supplementum legislationis”98. Tra le ipotesi di clemenza con finalità “di giustizia”,
Zagrebelsky indica due possibili categorie di fatti99: in un primo gruppo potrebbero
essere ricompresi comportamenti che “in un momento successivo alla loro
realizzazione, appaiono eccezionalmente (...) carenti di disvalore sociale”; in un
secondo novero la clemenza perseguirebbe la finalità pratica di anticipare gli effetti di
una imminente riforma legislativa, in modo da evitare che, nelle lungaggini
burocratiche, si possano formare giudicati di condanna per i reati interessati dal progetto
95
Definita “clemenza con finalità di giustizia”, ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p.
19.
96
ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 86.
97
ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 86. Fondamentale: il fatto che i comportamenti
risultino privi di disvalore è circostanza che deve apparire assolutamente irripetibile, in caso contrario,
ove si colga una attenuazione o perdita da dannosità in termini definitivi, la clemenza risulterebbe
illegittima per “eccesso di potere legislativo”, poiché sussistendo tali motivazioni si imporrebbe una
stabile modifica legislativa (v. op. cit., p. 87).
98
Cioè, oggetto della nuova valutazione sarebbe il giudizio di illiceità penale, operato dalla norma
incriminatrice, “riconosciuta ex post meritevole di riforma rispetto alla categoria di fatti considerata”
(ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 87). Un esempio di tale ipotesi viene fornito
dallo stesso Autore, op. cit., p. 102, laddove considera ammissibile l’impiego di una amnistia “per
ristabilire l’eguaglianza di trattamento, nei casi eccezionalissimi di oscillazioni derivanti dalla linea
giurisprudenziale degli organi giudiziari che abbiano portato solo in certi casi e non in altri, pur analoghi,
alla pronuncia della condanna”. Sul punto v. altresì GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza,
op. cit., p. 168.
99
Cfr. ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 100 ss.; MAIELLO V., Clemenza e sistema
penale, op. cit., p. 310.
20
di modifica100.
La seconda ipotesi di clemenza collettiva legittima viene solitamente definita
“per fini politici”. In tale caso, la valutazione sottostante non riguarda il disvalore
sociale del fatto, che permane, ma investe la mera opportunità politica ed attuale di
procedere a condanna ed irrogare le pene101, giudizio di inopportunità che, secondo
l’Autore, “dipende dall’apprezzamento di elementi estranei al nesso fattispecie
concrete-norme penali incriminatrici”102. Conseguentemente, in tali casi, l’amnistia e
l’indulto non si configurano quali strumenti di integrazione della valutazione legislativa,
bensì come “istituto che incide sulla sola punibilità ovvero che esaurisce i suoi effetti
sul piano del processo penale”103.
Innegabile l’importanza, all’interno di una prospettiva di evoluzione dottrinale,
rivestita dall’opera di Zagrebelsky, anzitutto per il significato di svolta e di rottura con
la prevalente tradizione di studio del tema104. Il Suo contributo appare, infatti, “il primo
ed articolato tentativo dottrinale di applicare criteri e direttive di scienza del diritto ad
una materia considerata dalla tradizione appannaggio della discrezionalità politica”105.
Tuttavia, appare possibile individuare anche una serie di ‘punti critici’ nella
ricostruzione prospettata dal giurista. Una prima perplessità riguarda i requisiti elencati
come necessari ai fini di un riconoscimento di legittimità: è evidente come risulti in
concreto problematico articolare le prognosi di ‘inopportunità’ e di ‘non ripetibilità’,
considerato che “neppure le indicazioni offerte al riguardo dall’Autore sembrano fornire
affidabili parametri di selezione dei presupposti”106. Inoltre, il contributo di Zagrebelsky
è caratterizzato da un taglio prettamente costituzionale, mancando un qualsiasi cenno
alla caratterizzazione specificatamente penalistica del potere di clemenza: l’indagine,
infatti, non è stata centrata sulla verifica della compatibilità tra potere di remissione
100
V. MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 310.
Esempio di tale forma di clemenza: le amnistie concesse per prevenire gravi tensioni e turbamenti che
compromettano l’ordine legale, ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 100 ss.;
102
ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 88.
103
ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 89.
104
I meriti e i limiti del lavoro di Zagrebelsky sono ben delineati in MAIELLO V., Clemenza e sistema
penale, op. cit., p. 312 ss.
105
MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 313. L’Autore prosegue riconoscendo altresì il
merito di aver sottratto la materia della clemenza ad estremismi dottrinali: da un lato coloro che ne
richiedevano la definitiva messa al bando, dall’altro coloro che la accettavano ineluttabilmente, con tutti i
difetti derivanti dall’assenza di una adatta regolamentazione.
106
Considerazione di MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 312.
101
21
della sanzione e ordinamento penale107, bensì tra quello e la Carta costituzionale. In altri
termini, “l’opera di razionalizzazione anziché muoversi all’interno della dimensione dei
‘mezzi e dei fini’ della materia regolata (le funzioni della pena ed i compiti del diritto
penale), soddisfa una mera esigenza di coerenza logico-costituzionale”108, con la
conseguenza che il requisito della ‘eccezionalità’ non risulta selezionato nell’ambito di
considerazioni di politica criminale.
La ricerca di limiti sostanziali ai provvedimenti di clemenza, registra con Gladio
Gemma uno sviluppo significativo109. L’autore condivide con il suo ‘predecessore’,
Zagrebelsky, l’intenzione di coniare delle regole all’esercizio della potestà di clemenza,
sulla base di quel principio razionale che è l’uguaglianza, salvo poi compiere un passo
avanti di non indifferente portata: ne prevede, infatti, un’utilizzazione in chiave
teleologica110, portando a compimento una sorta di processo di emancipazione della
ragionevolezza dal principio-madre dell’uguaglianza. Secondo tale tesi i provvedimenti
di clemenza, al fine di essere considerati legittimi, devono soddisfare la nota
caratteristica della eccezionalità prospettata da Zagrebelsky, ma anche, e soprattutto,
perseguire i medesimi scopi della normativa generale derogata. Vale a dire che “fra finiparametro e norme-giudicate deve sussistere un rapporto di armonia, nel senso che non
deve contrastare con il fine di una normativa derogata la disciplina della norma
derogante”111. Tale prospettiva è definita da alcuni Autori112 ‘costruttivistica’, oltre che
‘teleologicamente orientata’, per il fatto che il criterio della ragionevolezza si presenta
sotto forma di ‘sindacato’, alla luce del quale sarebbe certamente possibile una verifica
di legittimità delle scelte normative che comportino disparità ovvero parificazioni di
107
E quindi né mediante la valutazione della sussistenza di criteri fondamentali quali la meritevolezza e il
bisogno di pena, né tenendo presenti effettive esigenze di prevenzione, elementi che vanno a costituire il
profilo cd. teleologico.
108
Ampiamente MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 315.
109
Con tale Autore prende corpo la seconda delle prospettive teoriche di contenimento della clemenza, la
quale, sebbene impostata nel corso degli anni settanta, trova la sua completa e finale espressione nel
decennio successivo, con la pubblicazione, nel 1983, della citata opera Principio costituzionale di
eguaglianza e remissione della sanzione.
110
GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 251 ss. Per una sintesi efficace della
Sua tesi v. op. cit., p. 293, ove scrive che “la remissione della sanzione trova giustificazione, e limite al
contempo, nell’esigenza, in circostanze eccezionali e transitorie, di perseguire gli stessi fini della
normativa sanzionatoria al di fuori dei canali ordinari di applicazione della sanzione. Più precisamente,
(...) la funzione utilitaristica, che sta alla base della disciplina sanzionatoria, può giustificare, proprio per
la sua realizzazione, che si deroghi alla disciplina sanzionatoria stessa.”
111
GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 265.
112
MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 319.
22
disciplina113.
Molto opportunamente Gemma chiarisce che all’interno di un ordinamento
improntato in chiave esclusivamente retributiva, dove alla pena sia assegnata solo una
funzione morale, in ragione della inderogabilità del nesso intercorrente tra reato e
sanzione non si porrebbe neppure un problema di legittimazione delle cause di
clemenza. Viceversa, nell’ottica di un sistema penale preventivo-rieducativo, l’Autore
intravede ampie prospettive giustificative114. Quanto alla prevenzione generale, accolta
in chiave solamente dissuasiva, egli rileva come essa sia in grado di giustificare, in
positivo e in negativo, il ricorso agli istituti di clemenza115. In positivo laddove “la
sanzione non abbia un effetto intimidatorio e non prevenga, anzi favorisca, future
violazioni della legge”116; mentre in negativo, “la funzione intimidatoria invalida quella
remissione della sanzione che possa divenire manifestazione di lassismo ed
incentivazione alla commissione di illeciti”117, cioè se le circostanze concrete sono
suscettibili di ripetizione, e soprattutto il provvedimento di clemenza ne è un incentivo,
allora sussiste un contrasto tra remissione e funzione di prevenzione generale. L’iter
giustificativo alla luce della prospettiva di rieducazione del reo (prevenzione speciale)
appare invece meno agevole, ma dal sicuro risultato. L’Autore afferma, infatti, che la
soluzione vada ricercata nel tenere nella giusta considerazione i numerosi studi in
materia criminologica, secondo i quali il recupero del reo può anche costituire l’effetto
della concessione di misure remissorie118.
2. La contemporanea evoluzione “oscillatoria” della giurisprudenza
costituzionale.
Accade spesso che la linea evolutiva della giurisprudenza non sia
caratterizzata da cambiamenti d’opinione repentini, ma piuttosto segua un percorso di
113
GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 256 ss..
Per le opinioni di altri Autori in merito, v. supra par. 1.
115
GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 297.
116
Afferma Gemma che, in determinate circostanze, “proprio ne peccetur è necessario (ed è plausibile
comunque) non punire quia peccatum est” (op. ult. cit., p. 294).
117
GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 297, e v. supra nota 34.
118
Cfr VASSALLI G., Funzione educativa della pena e liberazione condizionale, in Scuola positiva, 1964,
p. 403 ss.
114
23
crescita graduale e a “zig-zag”119; vale a dire che è solita muoversi irregolarmente prima
in una direzione e poi in quella opposta, ma con una propensione ad avvicinarsi
progressivamente ad un capo allontanandosi dall’altro. Si può assistere alla
verificazione di tale fenomeno anche osservando la giurisprudenza della Corte
Costituzionale120 in materia di clemenza, che appare “oscillante fra il polo della deroga
e quello della disciplina generale ed astratta di illeciti, ma tendente sempre più verso il
secondo”121. Nel complesso, le questioni che sono state sottoposte al vaglio della Corte
vertevano, soprattutto, sul tema della sindacabilità dei presupposti giustificativi dei
singoli provvedimenti di remissione sanzionatoria. A posteriori è possibile notare come
la risposta contenuta nei dispositivi della Consulta è stata sempre di segno negativo, ma
altresì come “alla monoliticità delle declaratorie adottate non ha fatto riscontro una
totale identità di trame argomentative”122.
Partendo dagli anni sessanta ad oggi, risultano individuabili almeno quattro
diversi orientamenti, a conferma di quanto appena affermato a proposito del percorso
evolutivo, definito ‘oscillatorio’.
Inizialmente, sulla base della considerazione che la potestà di clemenza consista
essenzialmente in un retaggio di prerogative regie, la posizione della Corte circa il
rapporto tra essa e il principio di uguaglianza appare definibile “di chiusura”123. Con la
sentenza 23 dicembre 1963, n. 171124, la Consulta afferma sbrigativamente che il potere
di emanare amnistie e/o indulti non debba affatto relazionarsi con il principio di
eguaglianza, non essendo, di conseguenza, possibile configurare un contrasto con esso,
poiché “l’istituto dell’amnistia è espressamente contemplato dall’art. 79 Cost che ne
contiene la disciplina”. Precisano, altresì, che l’inconveniente derivante da un
trattamento differenziato per illeciti uguali commessi in momenti diversi “si risolve non
in una disparità di diritto, ma in una mera e inevitabile disparità di fatto, cui rimane
119
Così definita da GEMMA G., Un altro monito della Corte costituzionale, op. cit., p. 647.
A livello giurisprudenziale, lo strumento utilizzato per operare una sorta di ‘riqualificazione’ della
materia clemenziale è stato unicamente la questione di legittimità costituzionale. Evidenzia bene
ZAGREBELSKY G., La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, p. 502 ss., come gran parte degli
aggiornamenti del nostro diritto siano legati proprio al frequente ricorso a tale mezzo.
121
GEMMA G., Un altro monito della Corte costituzionale, op. cit., p. 647. In altre parole: “il parametro
normativo di riferimento (...) oscillava tra il principio di uguaglianza e quello del teologismo rieducativo
della pena”, v. MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1058.
122
Considerazione rinvenibile in MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 333.
123
Cfr. GEMMA G., voce Clemenza, op. cit., p. 244.
124
Corte Cost., sentenza 23 dicembre 1963, n. 171, in Giurisprudenza costituzionale, 1963, p. 1690 ss.
120
24
estranea la legge”125. In quanto previsto e approvato dalla Costituzione, dunque, tale
potere risulta insindacabile dal giudice delle leggi126.
Con la sentenza del 14 luglio 1971127 ha inizio una nuova e completamente
diversa fase della giurisprudenza costituzionale. Ciò a dispetto del fatto che, scemato
l’iniziale entusiasmo 128, la dottrina si presenta unanime nel riconoscere come tale
pronuncia costituisca in realtà solamente un piccolo passo avanti. La Corte, infatti,
espressamente sottolinea che “l’esigenza (...) di contenere l’esercizio del potere di
amnistia nei limiti più ristretti (...) fu bene presente nei costituenti che, nel prevederne la
possibilità (...) ne riaffermarono in modo esplicito il carattere del tutto eccezionale129”,
sennonché tale apertura viene mortificata dalla successiva precisazione secondo cui
“una indagine volta a sindacare l’ampiezza dell’uso fatto dal Parlamento nella sua
discrezionalità in materia eccederebbe i limiti entro cui deve rimanere rinchiuso il
sindacato di mera legittimità della legge”130. Dunque, mentre da un lato la Corte
125
Cfr. Corte Cost., sentenza 171/63, in Giurisprudenza costituzionale, op. cit., p. 1694-1695. Aggiunge
in proposito GEMMA G., Un altro monito della Corte costituzionale, op. cit., p. 647-648, che l’essere
l’ordinanza di rimessione mal motivata, se non fu determinante per l’atteggiamento della Corte, certo
ebbe un ruolo nel rendere possibile un tale netto rigetto. V. ordinanza 30 gennaio 1963, della Pretura di
Bracciano, in Giurisprudenza costituzionale, 1963, p. 233 ss., la quale, rilevato il contrasto amnistiaeguaglianza, affermava che “l’art. 79 Cost. potrebbe non essere considerato come norma decisamente
recettizia dell’istituto di amnistia, dal momento che lascia impregiudicata la questione relativa alla
legittimità costituzionale della clemenza sovrana, estrinsecata attraverso l’amnistia.” V. anche MAIELLO
V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 335, il quale afferma “nonostante questo ‘motivo attenuante’,
l’inaccettabilità delle affermazioni della Corte resta un dato a nostro avviso insuperabile. In pratica i
giudici (...) operano una inspiegabile confusione tra il profilo dell’an e quello del quomodo della
clemenza”; GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 180.
126
Simili, nelle argomentazioni, tutte le successive pronunce del decennio, laddove appare individuabile
come filo conduttore “l’assenza dell’esplicito riconoscimento che il potere di clemenza incontra limiti
nelle direttive costituzionali, e, specificatamente, nel canone dell’eguaglianza”, MAIELLO V., Clemenza e
sistema penale, op. cit., p. 336; v. altresì GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p.
180 ss.
127
Corte Cost., sentenza 14 luglio 1971, n. 175, in Giurisprudenza costituzionale, 1975, p. 2132 ss.
Questione di legittimità sollevata da due elaborate ordinanze di rimessione: Pretore di Chieri, 26 maggio
1970, e Pretore di Modena, 30 luglio 1970, le quali, differentemente da quella appena presa in esame (v.
supra nota 125), ben rilevano i presunti aspetti di incompatibilità.
128
Il ‘salto di qualità’, lo ‘spartiacque’ tra due distinti orientamenti della Corte costituzionale, il ‘nuovo
corso’ della giurisprudenza, questi ed altri i termini utilizzati dai giuristi per indicare la notevole virata
compiuta dai giudici della Consulta con la decisione del 14 luglio 1971, n. 175
129
Continua “così da farla ritenere validamente consentita solo nel caso della sopravvenienza di
circostanze siffatte da condurre a considerare i reati precedentemente commessi, in quanto legati ad un
momento storico ormai superato, non più offensivi della coscienza sociale”, v. Cfr. Corte Cost., sentenza
175/71, in Giurisprudenza costituzionale, op. cit., p. 2132.
130
Op. ult. cit., p. 2132-2133, continua “infatti tale sindacato non potrebbe altrimenti effettuarsi se non
con il ricorso ad accertamenti assai più penetranti di quelli consentiti, da riferire sia alla entità dei reati
considerati degni d’oblio, sia alle valutazioni di opportunità in ordine alla situazione politica ritenuta tale
da consigliare il ricorso all’amnistia, nonché alla individuazione del momento da cui debba farsi
validamente decorrere”. Sottolinea GEMMA G., Un altro monito della Corte costituzionale, op. cit., p.
25
affronta espressamente, per la prima volta, il tema del legittimo impiego dei
provvedimenti di clemenza alla luce dell’art. 3 Cost.131, rendendo diritto vivente il
neonato filone dottrinale 132 che ravvisa compatibilità tra l’art. 3 Cost. e la clemenza solo
laddove quest’ultima sia stata concessa
“in una situazione eccezionale
e
presumibilmente irripetibile”133, dall’altro si arresta alla “larvata” enunciazione di una
mera tesi di fondo, assestandosi su una posizione definita di self restraint134. A
testimonianza del fatto che il decennio in corso sia fondamentale nel percorso evolutivo
della giurisprudenza costituzionale, troviamo un’altra decisione assai degna di nota:
sentenza 19 febbraio 1976, n. 32135. L’occasione è rappresentata da numerose questioni
di legittimità, sempre per contrasto con il canone d’eguaglianza, nei confronti
dell’amnistia in materia di reati finanziari, concessa con d.P.R. 22 dicembre 1973, n.
834136. Veniva ravvisata sul punto una palese disparità di trattamento fra chi avesse
definito il proprio rapporto tributario in regime ordinario (più oneroso), e chi lo avesse
definito in regime straordinario di clemenza fiscale (più favorevole)137. La Corte
convalida e afferma in termini ancora più espliciti la prima parte del dictum della
sentenza 175/71, circa la necessità del rispetto dell’art. 3 Cost. La dichiarata
649, come si tratti in realtà di una affermazione pretestuosa, poiché a tal fine non necessitano affatto tutte
le valutazioni di cui parla la Corte. Inoltre, il medesimo Autore sottolinea che l’assunto della
insindacabilità risulta contrario alla logica dello Stato di diritto, e della supremazia della Corte, in
Amnistia ed indulto dopo la revisione dell’art. 79 Cost., in Legislazione penale, 1992, p. 360 ss. Molto
ampio sul punto il contributo di MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 340, in cui l’Autore
analizza in concreto il provvedimento di clemenza concesso con l’art. 5 del d.P.R. 22 maggio 1970, n.
283, al fine di dimostrare che “per valutare, in termini finanche di manifesta arbitrarietà, (...) occorre
davvero poco”.
131
Appare utile una panoramica sulle circostanze vigenti al tempo dell’emanazione di tale sentenza, per
meglio comprendere cosa abbia spinto la Corte a compiere una tale inversione di rotta, relegando le
opposte resistenze alla individuazione di un, seppure non di poco conto, vincolo procedurale. Elencate
sinteticamente da GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 185-186, ma
individuabili anche in altri scritti sull’argomento, tali motivazioni sono: a) la prassi di clemenza collettiva
dei precedenti vent’anni; b) il delinearsi dell’indirizzo dottrinale riduttivo della clemenza, in base al
principio d’eguaglianza, ad opera di Zagrebelsky (la voce Indulto contenuta nella Enciclopedia del diritto,
risale appunto al 1971); c) la decorrenza della presidenza Sandulli, con la quale la Corte ha assunto un
ruolo più dinamico che non con il suo predecessore Ambrosini (v. RODOTÀ S., La svolta politica della
Corte costituzionale, in Politica del diritto, 1970, p. 37 ss.).
132
Il riferimento è a Zagrebelsky, e al Suo contributo: voce Indulto (dir. cost.), in Enciclopedia del diritto,
op. cit., p. 233 ss.
133
ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 93, v. supra par. 1.2.
134
Cfr. MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1061.
135
Corte Cost., sentenza 19 febbraio 1976, n. 32, in Giurisprudenza costituzionale, 1976, p. 126 ss.
136
Si tratta di una amnistia condizionata (v. infra cap. II, par. 3.1), che subordina la propria applicabilità
alla condizione che le pendenze e le situazioni tributarie siano state definite o regolarizzate secondo le
disposizioni del d.l. 660/73 (conv. con modificazioni nella legge 823/73), con esplicita esclusione, quindi,
dei reati le cui posizioni siano state definite secondo l’ordinario regime fiscale.
137
Ampiamente GEMMA G., Un altro monito della Corte costituzionale, op. cit., p. 650 ss.
26
infondatezza delle questioni sollevate, infatti, non viene motivata sulla base dell’asserita
insindacabilità delle decisioni circa l’an del provvedimento. Al contrario, “essa suggella
un articolato giudizio di piena ragionevolezza dell’amnistia (...), che muove dalla
necessità di riconoscere carattere eccezionale all’istituto”138 e dalla “concomitante
esigenza di contenere nei più ristretti limiti l’esercizio della relativa potestà conferita
dall’art. 79 della Costituzione”139. Dette ragionevolezza ed eccezionalità vengono
ravvisate dalla Corte, nel caso concreto, nell’essere tale amnistia corollario della riforma
tributaria attuata col d.l. 660/73, essendo manifesto il carattere strumentale del concesso
provvedimento, che lo colloca al di fuori della categoria delle amnistie “celebrative”. I
giudici costituzionali considerano coerente che il legislatore, dopo aver ridisegnato i
rapporti tra fisco e contribuenti, sia ricorso ad un provvedimento clemenziale per
assicurare la piena realizzazione della propria riforma140.
L’acme dell’evoluzione giurisprudenziale, in tema di fondamento e funzione dei
provvedimenti di clemenza, si manifesta nella sentenza 30 marzo 1988, n. 369. La Corte
afferma testualmente: “Tutte le volte in cui si rompe il nesso costante tra reato e
punibilità e quest’ultima (la clemenza) viene utilizzata per fini estranei a quelli relativi
alla difesa dei beni tutelati attraverso l’incriminazione penale, tale uso, nell’incidere
negativamente sul principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., deve trovare la sua
giustificazione nel quadro costituzionale che determina il fondamento ed i limiti
dell’intervento punitivo dello Stato”141. Il mutamento di paradigma appare lampante:
dall’introduzione, quale fondamento giustificatore, del principio d’eguaglianza, alla sua
utilizzazione in chiave teleologica, ottenendo come risultato la fondazione del potere di
clemenza nell’ottica degli scopi della pena e delle funzioni del diritto penale142.
Tuttavia143, anche la sentenza 369/88 è caratterizzata da un lato ‘ambiguo’ come le
precedenti: alla soddisfazione per i progressi conquistati, segue il rammarico per la
ribadita insindacabilità dei presupposti giustificativi degli atti di clemenza generale.
Inoltre, tale concezione funzionale della potestà di clemenza, non risulta tenuta in debita
138
V. MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 341.
Corte Cost., sentenza 32/76, in Giurisprudenza costituzionale, op. cit., p. 126.
140
Modello argomentativo che sarebbe stato ripreso dalle sentenze nn. 427/95 e 196/2004, concernenti,
rispettivamente, i condoni edilizi del 1994 e del 2003.
141
Corte Cost., sentenza 30 marzo 1988, n. 369, in Giurisprudenza costituzionale, 1988 p. 1587 ss.
142
Si noti come tale passo avanti in campo giurisprudenziale, coincida con il diffondersi delle teorie
dottrinali di Gemma, il quale rielabora in chiave appunto teleologica la teoria riduttiva della clemenza di
Zagrebelsky (v. supra par. 1.2).
143
Come precisa MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 345.
139
27
considerazione dalle pronunce successive della Corte, venendo meno, in tal modo,
l’occasione per una adeguata puntualizzazione di questo schema argomentativo.
Nelle due pronunce successive144 che appaiono degne di nota, i giudici
costituzionali mutano nuovamente indirizzo, e danno inizio alla quarta, e per il
momento ultima, fase di tale evoluzione giurisprudenziale. Nella sentenza 12 settembre
1995, n. 427, in realtà è rintracciabile prima facie un retaggio della citata 369/88, ma ad
un esame (poco) più approfondito appare come tale schema di legittimazione della
remissione sanzionatoria non sia oggetto di svalutazione, né tantomento sia assunto
quale fondamento. La Corte si limita infatti ad utilizzarlo “in ragione del credito teorico
di cui esso godeva”145, dopo di ché lo fa convivere con il modello del
‘contemperamento di valori e di interessi’. Le censure mosse al condono edilizio
concesso con l’art 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, vengono superate
affermando che “il carattere dell’art. 39 è sicuramente quello di norma del tutto
eccezionale in relazione anche a ragioni contingenti e straordinarie di natura
finanziaria”146. Invero, risulta oggettivamente impossibile ravvisare compatibilità tra il
condono in esame e le presunte finalità di difesa dei beni giuridici tutelati dalla
normativa penale urbanistica, poiché esso non risulta collegato “né a circostanze,
storico-fattuali, che indichino una diminuita meritevolezza della pena, né all’adozione di
una nuova strategia di controllo del fenomeno”147. Svolte tali considerazioni, appare
evidente come l’unica motivazione che possa fondare la cancellazione delle
responsabilità penali venga in verità individuata dalla Corte nella esigenza di ‘battere
cassa’, bisogno sociale risultato vincitore, sul principio di eguaglianza, a seguito del
bilanciamento di interessi. Questa linea di giudizio ha trovato ulteriore conferma nella
sentenza 19 giugno 2004, n. 196, occasione nella quale la Corte segna ancora più
nettamente il proprio distacco dalla concezione politico-criminale della clemenza,
esprimendo una visione assai debole del vincolo costituzionale esistente in concreto in
materia.
144
Si tratta delle sentenze nn. 427/95 e 196/2004 (v. supra nota 140); la prima pubblicata in
Giurisprudenza costituzionale, 1995, p. 3320 ss., con nota di GEMMA G., Condono edilizio e costituzione:
una compatibilità tutta da dimostrare, cit., la seconda in Rivista italiana di diritto processuale penale,
2004, p. 1219 ss, con nota di MAIELLO V., Condono edilizio e limiti costituzionali della remissione
sanzionatoria: la Consulta continua a deludere, p. 1234 ss.
145
V. MAIELLO V., Condono edilizio, op. cit., p. 1234.
146
Corte Cost., sentenza 12 settembre 1995, n. 427, in Giurisprudenza costituzionale, 1995, p. 3330,
corsivo nostro.
147
Cfr. MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit., p. 348.
28
Un ultimo cenno a due decisioni che costituiscono al contempo eccezione e
conferma alla regola di fondo tutt’oggi seguita dalla Corte costituzionale. Le sentenze
4/74 e 272/97148 costituiscono esempio di un paradosso giurisprudenziale: mentre è
insindacabile la concessione della clemenza, non lo è affatto la scelta di escludere taluni
reati dal suo ambito. Con la prima, la Corte dichiarava illegittima una disposizione di
clemenza149 poiché, concedendo il beneficio a chi avesse commesso peculato, non
prevedeva l’estensione di esso al reato del peculato militare (previsto dall’art. 215
c.p.m.p.); con la seconda stabiliva l’annullamento di altra norma150 che riferiva la causa
estintiva all’ipotesi di truffa aggravata, ma non a quella di truffa militare aggravata.
Entrambe le decisioni invocano l’art. 3 non per restringere, ma per allargare una deroga
alla normale disciplina di illeciti e sanzioni, sicché appare condivisibile la tesi di chi151
afferma “che la Corte appare preoccupata di sindacare e censurare non l’eccesso (...),
bensì il difetto di clemenza, ritenendo che l’eguaglianza in questo campo appaia
sostanzialmente violata non qualora il legislatore conceda ingiustificatamente il
beneficio, ma allorché non lo estenda a determinate fattispecie”.
3. La controversia sulla natura dei provvedimenti di clemenza.
Un altro tema che ha largamente interessato la dottrina, soprattutto
costituzionalistica, impegnata in materia di potestà di clemenza, è quello del dibattito
intorno alla natura dei provvedimenti di amnistia, indulto e grazia.
Il primo scoglio da superare attiene all’individuazione della natura ‘sostanziale’
dei vari atti.
Per quanto riguarda il potere di amnistia e di indulto, è possibile ravvisare,
oggigiorno, un certo consenso: il dibattito dottrinale, che vede i suoi natali in seno alla
Assemblea Costituente152, risulta risolto, a parere della maggior parte degli Autori, nel
148
Rispettivamente Corte Cost., 14 gennaio 1974, n. 4, in Giurisprudenza costituzionale, 1974, p. 23 ss.,
e Corte Cost., 25 luglio 1997, n. 272, in Giurisprudenza costituzionale, 1997, p. 2482. Per maggiori
considerazioni in merito cfr. ZAGREBELSKY G., La Corte costituzionale e l’amnistia, op. cit., p. 528 ss.; e
GEMMA G., Principio di eguaglianza ed amnistia: la Corte sbaglia bersaglio, in Giurisprudenza
costituzionale, 1997, IV, p. 2485 ss.
149
Art. 5 lett. c), della legge n. 282/1970, e dell’art. 5 lett. c), del d.P.R. n. 283/1970.
150
Art. 1, comma 1, lett. c), n. 4, del d.P.R. n. 75/1990.
151
GEMMA G., nella nota di commento alla sentenza 272/97 (Principio di eguaglianza ed amnistia, op.
cit., p. 2487).
152
Nella seduta del 20 dicembre 1946 della Sottocommissione ha inizio la controversia. V. i successivi
29
senso della riconosciuta natura legislativa di tali provvedimenti153. Tuttavia, la
prospettata soluzione è tutt’altro che la conclusione del problema, considerato che si
registrano le tesi più disparate circa l’interpretazione di tale affermazione. Ci sono
Autori che l’hanno considerata “un particolare tipo di legge costituzionale”154, ed altri
che, in direzione diametralmente opposta, l’hanno configurata come “legge
ordinaria”155. Altri ancora, la cui posizione appare nettamente maggioritaria, si
collocano in una posizione, per così dire, intermedia, ai sensi della quale amnistia e
indulto andrebbero configurati fonti atipiche “a competenza limitata”156, ovvero “nuova
categoria di leggi”157.
Diversamente accade a proposito dalla natura sostanziale del potere di grazia, in
merito alla quale non vi è ancora un accordo158. Mentre non trova, oggi, sostenitori la
tesi della natura giurisdizionale, opinione che si ricollegava ad una reminiscenza storica,
“al principio che il sovrano fosse il detentore a titolo originario della funzione
giurisdizionale e che i giudici amministrassero la giustizia come funzione delegata”159,
ancora sono aperte le argomentazioni in favore della soluzione normativa,
amministrativa, ed infine politica. La prima tesi, definita anche legislativa, risulta
fondata sulla constatazione che la grazia introdurrebbe una sorta di eccezione-
interventi di Bozzi, a sostegno della natura legislativa, e contra di Tosato e Ghidini, i quali ravvisano una
natura essenzialmente politica; nella Commissione per la Costituzione v. invece Leone, a sostegno della
prima tesi. Cfr. MAZZINA P., Commento all’art. 79, op. cit., p. 1546.
153
Sul punto v. ZAGREBELSKY G., voce Indulto (dir. cost.), op. cit., p. 234, il quale sostiene che la
clemenza collettiva sia tale: a) perché opera sulle leggi penali sostanziali o processuali, sospendendole,
derogando ad esse o modificandole temporaneamente; b) perché ha il contenuto o la struttura tipica della
legge in senso sostanziale; c) perché è posto in essere attraverso un procedimento che è previsto dalla
Costituzione come idoneo a dar luogo ad atti di rango legislativo o, meglio, ad atti aventi valore di legge”.
154
Cfr. PIZZORUSSO A., Sulla modifica della disciplina costituzionale in tema di amnistia e indulto, in LA
GRECA G. (a cura di), L’amnistia del 1990, op. cit., p. 48, laddove sostiene che “le leggi di amnistia e/o di
indulto dovrebbero venire approvate mediante un procedimento corrispondente ad una delle due ipotesi
alternativamente previste dall’art. 138 Cost. (quella cioè che comporta l’approvazione a maggioranza dei
due terzi in ciascuna camera), ma con la differenza che non sarebbe richiesta la doppia approvazione a
distanza di tre mesi (...)”.
155
V. intervento del sen. Elia in sede di discussione ed approvazione della l. cost. 1/1992 citato da
GEMMA G., Amnistia ed indulto dopo la revisione dell’art. 79 Cost., op. cit., p. 365.
156
V. CICCONETTI S.M., Prime riflessioni sul nuovo testo dell’art. 79 della Costituzione, in
Giurisprudenza costituzionale, 1994, p. 3040 ss.
157
CRISAFULLI F, nell’edizione aggiornata di CRISAFULLI V., Lezioni di diritto costituzionale, Padova,
1993, p. 246.
158
Osservazione di ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), in Enciclopedia del diritto, XIX, Varese,
1970, p. 759.
159
Tale definizione è di SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), in Enciclopedia Giuridica, XV, Roma,
1989, p. 3. Aggiunge AMBROSINI G., voce Grazia, in Digesto delle discipline penalistiche, VI, Torino,
1987, p. 44, che tale tesi vada altresì respinta in considerazione del fatto che “la grazia estingue in tutto o
in parte la pena, mentre non fa venire meno gli altri effetti penali della condanna”.
30
sospensione all’esecuzione di sentenze penali di condanna, e, come tale, essa dovrebbe
avere la stessa natura dell’atto su cui incide160; opinione tuttavia non condivisibile
considerato che la deroga da essa introdotta non produce alterazione dell’ordinamento
giuridico positivo161, ma anzi costituisce attività prevista dalla legge stessa. La
prospettazione di una natura amministrativa è suffragata, invece, dal contenuto e dagli
effetti della grazia, che agisce solo sugli effetti della pena, nonché dal suo carattere
individuale e concreto. Per concludere, la terza opinione, oggi di maggioranza,
considera la grazia un atto di governo, attribuendole in tal modo natura politica. Si tratta
di un tesi sorretta da considerazioni anzitutto di carattere storico162, ma anche da altri
riscontri: l’assenza di limiti giuridici al loro esercizio, eccezion fatta per quelli
riguardanti esclusivamente la forma; l’impossibilità per il legislatore ordinario di
specificare le ipotesi di impiego e i contenuti di tali atti; infine l’esclusione di qualsiasi
controllo o sindacato giurisdizionale (tolto l’accertamento dei requisiti formali).
Il secondo aspetto della problematica sorta intorno alla natura delle potestà di
clemenza, concerne la qualificazione della natura cd. giuridica: in altre parole, si tratta
di individuare quale valore attribuire alla efficacia ‘estintiva’ propria dell’amnistia163.
Due scuole di pensiero si dibattono sul punto.
Da un lato si trovano coloro i quali, e sono la maggioranza164, dubitano
dell’esattezza della formula “causa di estinzione del reato” utilizzata nel codice
penale165. La principale motivazione che è stata posta a sostegno della tesi cd.
processuale, e che definisce i provvedimenti di clemenza ‘cause di improcedibilità
160
V. ad esempio MORTATI C., Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1967, p. 588.
Critica prospettata da SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 3, e condivisa da
ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 760.
162
Ricorda SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 3, come in “numerose occasioni, vigente lo
Statuto, venne ribadita tale caratteristica cui si ricollegava una precisa responsabilità politica del Governo
davanti al Parlamento”.
163
Problematica sorta solamente in riferimento al provvedimento di amnistia, al fine di differenziarlo
dall’indulto, successivamente alla distinzione introdotta dal Legislatore nel codice penale del 1930, tra
“cause estintive del reato” e “cause estintive della pena”.
164
Contra ANTONINI E., Contributo alla dommatica delle cause estintive del reato e della pena, Milano,
1990, p. 158, laddove afferma “nonostante i numerosi tentativi, di spiegare l’amnistia in una chiave
esclusivamente o prevalentemente processuale, va detto che la maggior parte della dottrina è ancora
legata alla concezione sostanziale”.
165
Tra gli altri, sostengono tale tesi: DELL’ANDRO R., voce Amnistia, in Enciclopedia del diritto, II,
Varese, 1958, p. 306; ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T.
(a cura di), Commentario sistematico del codice penale, III, Milano, 1994, p. 20; PADOVANI T., Diritto
penale, op. cit., p. 463. Nota a parte per PAGLIARO A., Profili dogmatici delle c.d. cause di estinzione del
reato, in Rivista italiana di diritto processuale penale, 1967, p. 472 ss., il quale configura l’amnistia quale
‘causa di improcedibilità’, con l’avvertenza, però, che tale qualificazione non poteva riguardare l’amnistia
impropria, cui toccava la definizione di ‘causa di estinzione di taluni effetti penali’.
161
31
sopravvenuta’, si basa sulla constatazione che, “quale fatto storico, il fatto di reato non
può mai essere cancellato una volta venuto in essere, con la conseguenza che non è il
fatto che si estingue, ma solo l’effetto che ne è derivato”166.
Sul fronte della tesi sostanziale, si trovano invece quegli Autori a parere dei
quali l’amnistia toglierebbe al fatto ogni rilevanza penale, sì da costituire una particolare
ipotesi di abolitio criminis; vale a dire un’ipotesi di abrogazione, temporanea e di solito
parziale, della legge penale167. Si afferma in particolare che essa, quando non vincolata
a condizioni sospensive o risolutive, toglie senz’altro ai fatti che essa prevede, in
relazione al tempo che abbraccia, il carattere di reati: “scriminando retroattivamente il
fatto, estingue il reato, ma non il fatto in sé”168.
Non solo la dottrina, ma anche la giurisprudenza costituzionale ha avuto
occasione di pronunciarsi sulla questione. La sentenza 27 maggio1968, n. 52169,
chiamata a pronunciarsi sul problema della rinunciabilità all’amnistia, ha finito per
accreditare la ricostruzione dommatica di essa in chiave processuale. La questione di
costituzionalità non investiva, infatti, la previsione normativa della facoltà di rinuncia
all’amnistia, quanto piuttosto la formulazione della norma stessa, la quale, secondo
l’interpretazione più diffusa, avrebbe attribuito alla rinuncia, e quindi all’istituto di
clemenza, la qualità di negozio di diritto di carattere sostanziale170. A parere del giudice
di rimessione, solo il riconoscimento di una efficacia strettamente processuale avrebbe
166
Cfr. BENUSSI C., Commento all’art.. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), Codice penale
commentato, I, Milanofiori, Assago, 2006, p. 1354 ss.
167
V. BETTIOL G. – PETTOELLO MANTOVANI L., Diritto penale, op. cit., p. 896; MARINI G., voce Amnistia
e indulto nel diritto penale, in Digesto delle discipline penalistiche, I, Torino, 1987, p. 142; D’ORAZIO G.,
voce Amnistia e indulto (dir. cost.), op. cit., p. 1; MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 450.
L’ultimo Autore si sofferma anche sulla differenza sussistente tra amnistia, intesa in senso sostanziale, e
legge abrogatrice : “l’amnistia riguarda il passato e non l’avvenire”. V. altresì la posizione di DIOTALLEVI
G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 145; Commento all’art. 151
c.p., in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), Codice Penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, II,
Milano, 2005, p. 305 ss.; definibile ‘temperata’ per il fatto che appare concorde nel ritenere che
all’amnistia consegua una abolito criminis, tuttavia interpreta tale locuzione in un senso appunto più
moderato: “il provvedimento di clemenza non cancella ogni rilevanza penale del fatto, ma preclude,
estinguendola, la punibilità di certi fatti penalmente rilevanti commessi anteriormente a un determinato
periodo di tempo”. Stante tale chiave di lettura, l’Autore interpreta lo scritto di DELL’ANDRO R., voce
Amnistia, op. cit., come coerente alla tesi della natura sostanziale, invece che processuale.
168
MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 452.
169
Corte Cost., sentenza 27 maggio1968, n. 52, in Giurisprudenza costituzionale, 1968, p. 789 ss., con
nota di SINISCALCO M., L’amnistia “rinunciabile” in relazione al principio di legalità e al diritto di
difesa, in Giurisprudenza costituzionale, 1968, I, p. 792 ss.; ed ancora in Rivista italiana di diritto e
procedura penale, 1968, p. 865 ss., con nota di FASSONE E., La cd. «rinuncia all’amnistia» al vaglio
della Corte costituzionale.
170
V. la ricostruzione operata da ANTONINI E., Contributo alla dommatica, op. cit., p. 160 ss.
32
potuto restituire legittimità alla norma. Pertanto, laddove la Corte afferma che l’amnistia
“non ha efficacia abrogatrice della norma incriminatrice, ma incide solo sulla
valutazione del fatto come punibile”, ci troviamo di fronte ad un chiaro accoglimento di
detta pretesa171.
In tempi successivi, la già citata sentenza 175/1971172 sembra ribadire quanto
sostenuto nella precedente occasione dai giudici costituzionali: non elimina l’astratta
previsione punitiva di taluni comportamenti, limitandosi ad arrestare la procedibilità dei
giudizi relativi a determinati reati, con riferimento al tempo in cui sono stati commessi.
Di conseguenza, essendo l’oggetto della rinuncia necessariamente correlato con l’offerta
prospettata alla parte (liberazione dalla soggezione processuale), il rifiuto dell’offertaamnistia deve necessariamente avere un contenuto omogeneo ad esso, e dunque
procedurale.
Nonostante la linearità con la quale viene svolta tale argomentazione, è proprio
in tale occasione che la dottrina ha prospettato una terza soluzione, che rappresenta una
sorta di compromesso che ha avuto in seguito successo anche tra coloro che vedevano
nella sentenza 175/71 un intervento decisivo sulla controversia in corso. Vi è infatti chi
prospetta una teoria denominata mista, la quale porta in evidenza come l’istituto
dell’amnistia presenti aspetti al contempo sostanziali e processuali dal momento che “un
dato effetto di diritto sostanziale si produce solo in conseguenza della preclusione
all’accertamento giudiziario destinato a constatare il reato”173.
Nemmeno la Corte costituzionale, per concludere, è rimasta ferma sulla propria
impostazione teorica originaria, che accentuava la processualità dell’istituto. Più di
recente, con la sentenza 369/1988174, ha infatti affermato che l’amnistia è una causa di
estinzione della “punibilità (astratta)”, ossia del “dover essere” della pena quale effetto
171
In realtà, v. ANTONINI E., Contributo alla dommatica, op. cit., p. 163 ss., vi è chi sottolinea il rischio
connaturato a tale tipo di interpretazione, vale a dire la possibilità che sia “il risultato della
sovrapposizione al ragionamento della Corte di scelte dommatiche personali che finiscono per
condizionarne gli sviluppi”. L’Autore presenta, a riprova della propria affermazione, la constatazione che
non tutti coloro i quali giungono a sostenere la natura processuale dell’amnistia, sono accomunati da una
stessa impostazione teorica in materia di cause estintive. D’altra parte, a tale argomentazione, può essere
opposta una speculare considerazione: chi ha continuato ad appoggiare la tesi della abolito criminis ha
generalmente prospettato, di conseguenza, la necessità del proscioglimento per amnistia anche del
rinunciante.
172
V. supra nota 127 e cfr. par. 2.
173
FASSONE E., La generalizzazione del diritto di rinuncia all’amnistia e i suoi riflessi sulla costruzione
giuridica dell’amnistia, in Giurisprudenza costituzionale, 1971, p. 2137 ss.
174
V. supra nota 141.
33
determinato dalle norme penali incriminatrici qualora si verifichino i fatti in esse
previsti175.
175
Cfr. ANTONINI E., Contributo alla dommatica, op. cit., p. 169.
34
CAPITOLO II
GLI ISTITUTI DELLA CLEMENZA COLLETTIVA
SOMMARIO: 1. Amnistia e indulto: nozione e funzione dei due istituti. – 2. Art. 79 Cost.:
la normativa costituzionale prima e dopo le modifiche ad opera della l. cost. 6 marzo
1992, n. 1. – 3. Amnistia. – 3.1 Effetti del provvedimento: la distinzione tra amnistia
propria e impropria. – 3.2 Il concorso con altre cause di estinzione del reato e di
proscioglimento. – 3.3 Il tempus commissi delicti ai fini dell’applicazione del beneficio
alle forme complesse di reato. – 3.4 Amnistia e successione di leggi penali. – 3.5
Amnistia condizionata. – 3.6 Rinunciabilità del beneficio. – 4. Indulto. – 4.1 Gli effetti
del provvedimento. – 4.2 Indulto e pluralità di condanne. – 4.3 Indulto condizionato e
revocabilità del beneficio. – 4.4 Ipotesi di mancata applicazione del beneficio e
giudicato in tema di indulto. – 5. Aspetti di disciplina comuni ai due istituti. – 5.1 La
selezione dei reati amnistiabili e condonabili e la questione del reato tentato e
circostanziato. – 5.2 Le esclusioni soggettive. – 5.3 La procedura applicativa. – 6. I
condoni atipici: in particolare il cd. “indultino”.
1. Amnistia e indulto: nozione e funzione dei due istituti.
Amnistia e indulto sono provvedimenti clemenziali collettivi. Ciò
significa che mediante tali strumenti, di carattere generale ed astratto, lo Stato rinuncia
alla propria potestà punitiva nei confronti di tutti i consociati ed in relazione a tutte le
tipologie di reato 1 e misure di pena indicati nei relativi provvedimenti di concessione.
La ragion d’essere di tutti gli istituti clemenziali viene generalmente ricondotta
ad un giudizio di inopportunità “in ordine alla concreta applicazione della legge penale
e alla esecuzione della pena inflitta” 2 . Tuttavia, questa categoria non si presenta
omogenea al suo interno, dal momento che le differenze riscontrabili tra tali strumenti
consentono di raggrupparli variamente tra loro, a seconda dell’aspetto alla luce del
quale si predilige considerarli.
Una prima classificazione, di immediata evidenza pratica, utilizza come criterio
la ‘destinazione’ del provvedimento 3 : amnistia e indulto hanno in comune la
caratteristica di essere applicabili ad un numero indeterminato di persone, poiché si
1
Perseguibili nell’ambito del territorio della Repubblica. Circa l’applicabilità dell’indulto a sentenze
straniere riconosciute in Italia, v. infra par. 4.1.
2
Così ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 11.
3
MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 431 ss., presenta due criteri di largo impiego in
dottrina: oltre alla ‘destinazione’, anche la ‘essenza giuridica’ del provvedimento. Secondo l’Autore,
l’amnistia sospenderebbe l’applicazione della legge penale (è “atto di legislazione delegata”), mentre
l’indulto e la grazia, essendo sempre posteriori all’applicazione della legge penale, non produrrebbero il
medesimo effetto.
35
riferiscono non a singoli reati ma a loro intere classi, distinguendosi, pertanto,
dall’istituto della grazia, la quale “si riferisce sempre a una o più persone determinate” 4
e viene concessa con riguardo alla situazione individuale del soggetto, o del gruppo di
soggetti, interessato. La tradizione dottrinale non si discosta da tale schema
classificatorio, considerato che la trattazione dell’istituto dell’indulto, da un punto di
vista tanto costituzionalistico quanto penalistico, solitamente non viene disgiunta da
quella dedicata all’amnistia 5 .
Il codice penale del 1930, invece, adotta un diverso canone distintivo, laddove
all’interno del Libro I, Titolo VI, colloca l’amnistia (art. 151 c.p.) nel Capo I “della
estinzione del reato”, mentre indulto e grazia (art. 174 c.p.) nel Capo II “della estinzione
della pena”. In tal modo il Legislatore ha dimostrato di privilegiare, quale criterio di
differenziazione, l’ampiezza dell’efficacia estintiva degli atti clemenziali, separando gli
istituti che comportano la completa rinuncia da parte dello Stato all’applicazione di
qualsiasi sanzione penale prevista per uno specifico reato, da quelli che, intervenendo
dopo la pronuncia della condanna e l’inflizione della pena, ne impediscono
semplicemente l’esecuzione 6 .
Quale premessa ad una trattazione più analitica nel corso del capitolo, ed in
4
Cfr. MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 432.
Risulta difficile, infatti, reperire opere enciclopediche o monografiche nelle quali l’indulto sia trattato
autonomamente e compiutamente, e non come mero rinvio a quanto detto in sede di analisi dell’amnistia.
Ne sono autorevoli esempi i contributi di ZAGREBELSKY G., voce Indulto (dir. cost.), op. cit., p. 233 ss.; e
di GIANZI G., voce Indulto (dir. pen. e proc. pen.), in Enciclopedia del diritto, XXI, Varese, 1971, p. 255
ss. Fedeli, invece, alla tradizione: tra le enciclopedie MARINI G., voce Amnistia e indulto nel diritto
penale, op. cit., p. 135 ss.; FASSONE E., voce Amnistia e indulto (profili processuali), in Digesto delle
discipline penalistiche, I, Torino, 1987, p. 149 ss.; D’ORAZIO G., voce Amnistia e indulto (dir. cost.), op.
cit., p. 10; MONTANINI G., voce Amnistia e indulto (dir. pen.), in Enciclopedia Giuridica, II, Roma, 1996;
POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 3 ss.; tra le monografie KOSTORIS S.,
Amnistia e indulto, op. cit.; MATERIA I. – SICILIANO G., Amnistia e indulto, op. cit.; recentemente
MAIELLO V., Clemenza e sistema penale, op. cit.
6
Il codice penale italiano, annovera tra le cause di estinzione della pena, oltre all’indulto e alla grazia, la
morte del reo avvenuta dopo la condanna (art. 171 c.p.) e la prescrizione della pena (reclusione e multa
art. 172 c.p.; arresto e ammenda art. 173 c.p.); tra le cause di estinzione del reato, oltre all’amnistia, la
morte del reo prima della condanna (art. 150 c.p.), la remissione della querela (art. 152 ss. c.p.), la
prescrizione del reato (art. 157 ss. c.p.), l’oblazione nelle contravvenzioni (art. 162 ss. c.p.), la
sospensione condizionale della pena conclusasi con esito positivo (art. 163 ss. c.p.), ed il perdono
giudiziale per i minori degli anni diciotto (art. 169 c.p.). Molti autori (per tutti ROMANO M., Commento
all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 21), tuttavia, auspicano
una riforma di tale ripartizione, in particolare dell’art. 151, co. 1, laddove individua entrambe le forme di
amnistia, propria e impropria, tra le cause di estinzione del reato, classificazione certamente errata tanto
che la manualistica (fra i tanti MARINUCCI G. – DOLCINI E., Manuale di diritto penale, op. cit.) è solita
trattarle separatamente, rispettivamente nel capitolo dedicato alla punibilità e in quello dedicato alle pene,
a fianco di indulto e grazia. In merito alle due tipologie di amnistia e alle problematiche connesse a tale
scissione, v. infra par. 3.1.
5
36
ossequio al contenuto delle disposizioni codicistiche, possiamo ora limitarci ad un
cenno circa la funzione dei due istituti in esame. L’amnistia, che “estingue il reato, e, se
vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e delle pene accessorie” 7 ,
blocca l’azione penale e l’accertamento processuale, e la sentenza è di non doversi
procedere 8 . L’indulto, invece, si presenta al contempo analogo all’amnistia da un punto
di vista strutturale, per il fatto che la clemenza copre i reati indicati nel provvedimento
di concessione commessi fino alla data ivi indicata, ma differente per ciò che riguarda
gli effetti: mentre la prima estingue la condanna, il secondo la presuppone e fa venire
meno solamente la pena, fino alla misura prevista nel provvedimento.
2. Art. 79 Cost.: la normativa costituzionale prima e dopo le modifiche ad opera
della l. cost. 6 marzo 1992, n. 1.
La materia della concessione di amnistia e di indulto è oggetto di una espressa
previsione costituzionale: l’art. 79 ne disciplina il procedimento, prevedendo quali
requisiti essenziali il raggiungimento della maggioranza qualificata dei due terzi dei
componenti di ciascuna camera, ed il rispetto del dies ad quem individuato nella data di
presentazione del disegno di legge.
L’attuale testo di tale norma è il risultato di una importante modificazione,
realizzata ad opera della legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1 9 , la quale ha innovato
il dettato originario ed ha portato il numero dei commi di cui si compone da due a tre.
In origine il legislatore, in esito all’ampio dibattito svoltosi in sede di Assemblea
Costituente, del quale ci siamo occupati nel precedente capitolo10 , ha optato per la
concessione da parte del Presidente della Repubblica su legge di delegazione delle
Camere, pertanto attribuendo “al Parlamento – quale unico legittimato all’esercizio
della funzione legislativa formale – la titolarità del potere di disporre in via generale
l’inoperatività della legge penale” 11 , ma stabilendo come necessario, ai fini della
7
Così recita l’art. 151, comma 1, c.p.
V. PULITANÒ D., Diritto penale, op. cit., p. 677. Circa le differenze sussistenti tra amnistia propria e
impropria, v. infra par. 3.1.
9
Pubblicata in GU 9 marzo 1992, n. 52.
10
V. supra cap. I, par. 1.1.
11
Cfr. MARINI G., voce Amnistia e indulto nel diritto penale, op. cit., p. 139; D’ORAZIO G., voce Amnistia
e indulto (dir. cost.), op. cit., p. 4. V. ampiamente DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 300:
l’Autore rifiuta di accogliere tanto la tesi che assume che la Costituzione abbia ripartito il potere
8
37
efficacia di tale legge, l’emissione della stessa da parte del Capo dello Stato. La
soluzione accolta dall’Assemblea prevedeva un procedimento articolato in due distinte
fasi. La prima, di competenza parlamentare, consisteva nella deliberazione di un testo di
legge (legge di delegazione) “quale atto necessario ma non sufficiente” 12 per la
concessione di clemenza; la seconda, invece, ne prevedeva l’adozione ad opera
dell’organo presidenziale 13 .
Come è stato autorevolmente affermato in dottrina 14 , dall’originario art. 79 Cost.
“si ricava con chiarezza – ed è l’unico punto su cui può dirsi esistente un’opinione
convergente – che il potere di amnistia ed indulto non può essere esercitato dal
Parlamento senza il concorso del Presidente della Repubblica, né da quest’ultimo senza
il concorso del primo. Ma a parte ciò, tutto il resto è incerto”. La norma in esame
appariva “particolarmente laconica e utilizzante termini tecnici”15 , tanto da alimentare
per oltre un quarantennio, sino alla riforma del 1992, un ampio dibattito dottrinale ed
una cospicua elaborazione giurisprudenziale della Corte costituzionale.
In primo luogo, controverso era il significato da attribuire alla ‘legge di
delegazione’ cui faceva riferimento il comma 1, con il conseguente dubbio circa
l’operatività dell’art. 76 Cost. anche in materia di clemenza (oggetti definiti, criteri
predeterminati, termini d’esercizio) ovvero il riconoscimento dell’autonomia di
quest’ultima per contenuti e disciplina 16 . Stante l’inesistenza in materia di clemenza
collettiva di una disposizione analoga a quella contenuta nell’art. 76 Cost., e considerato
d’amnistia tra il Parlamento ed il Presidente della Repubblica, quanto quella che ne ritiene titolare
solamente quest’ultimo, sulla base della considerazione che entrambe partono dal presupposto per il quale
“è incompatibile la titolarità del potere (d’amnistia) da parte di organi (Parlamento) incompetenti ad
esercitare direttamente lo stesso potere. Presupposto (...) fondato sulla comune opinione che configura la
legge di delegazione come trasferimento nel delegato d’una potestà propria degli organi legislativi”. Tesi,
questa, a Suo parere non sostenibile stante l’indisponibilità e l’intrasmissibiltà di tali poteri.
Contra PULITANÒ D., Diritto penale, op. cit., p. 676, laddove afferma che nel testo originario della
Costituzione amnistia, indulto e grazia erano compresi fra gli atti di competenza del Presidente della
Repubblica; v. altresì MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 414.
12
V. D’ORAZIO G., voce Amnistia e indulto (dir. cost.), op. cit., p. 2.
13
La motivazione di tale scelta è da individuarsi nell’ovvia esigenza di una rapida conclusione dell’iter di
concessione. Il Presidente della Repubblica, disponendo attraverso il governo di ogni opportuna
informazione e competenza tecnica, si trovava nella condizione ottimale per dare sollecita attuazione alla
delega ricevuta dalle Camere. Sul punto v. ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. –
GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 23.
14
Contributo di ZAGREBELSKY G., voce Indulto (dir. cost.), op. cit., p. 239.
15
In tali termini MARINI G., voce Amnistia e indulto nel diritto penale, op. cit., p. 137.
16
Questo problema comprende una ulteriore querelle: se la legge di delegazione ex art. 79 fosse
veramente tale, o piuttosto ‘di autorizzazione’ ma erroneamente qualificata dal Costituente. Sul punto v.
GEMMA G., voce Clemenza, op. cit., p. 238, nota 13.
38
che la disposizione di cui trattasi, in virtù del suo oggetto peculiare, appare “speciale” 17
rispetto ad essa, risulterebbe possibile propendere per la soluzione dottrinale che
contemplava come lecita la sussistenza di un limitato spazio ‘creativo’ per l’interprete 18 .
Tale conclusione era condivisa anche dalla giurisprudenza della Corte, la quale al
contempo prevedeva e limitava i possibili interventi del Presidente della Repubblica
affermando che dovesse consentirsi alla legge di delegazione di riservare “un qualche
potere di scelta” al Presidente, ma solo alla condizione che essa comportasse una
sufficiente “specificazione e delimitazione del potere delegato” 19 .
Una seconda questione riguardava l’individuazione del destinatario della delega.
A fronte del dettato costituzionale risultava essere, indubbiamente, il Presidente della
Repubblica, ma alla luce del combinato disposto con l’art. 89 Cost. 20 e ferma l’attività
propositiva del Governo, diffuso era il dubbio che il reale titolare della competenza
fosse invero quest’ultimo. Nella dottrina maggioritaria, tuttavia, tale ipotesi otteneva
scarsa considerazione, e gli Autori propendevano per la soluzione che riconosceva il
Presidente della Repubblica quale destinatario della legge delega 21 .
17
Così definita da MARINI G., voce Amnistia e indulto nel diritto penale, op. cit., p. 139. La specialità
della delegazione di cui all’art. 79 è rinvenibile nella parte in cui individua quale destinatario il Capo
dello Stato, e non il Governo, e fissa un ulteriore limite cronologico ai possibili contenuti del
provvedimento delegato. Si discosta da tale opinione DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 303, il
quale sostiene una totale autonomia della delega di cui all’art. 79 Cost., rispetto alla figura contemplata
nel precedente art. 76 Cost. Nonostante le premesse teoriche appaiano differenti, unanime è la soluzione
prospettata dagli Autori: l’inapplicabilità delle statuizioni contenute nell’art. 76 Cost.
18
Ad esempio ZAGREBELSKY G., voce Indulto (dir. cost.), op. cit., p. 241; e MARINI G., voce Amnistia e
indulto nel diritto penale, op. cit., p. 139. Contra D’ORAZIO G., voce Amnistia e indulto (dir. cost.), op.
cit., p. 4, il quale sostiene che nessuna modificazione potesse essere apportata a quanto stabilito dal
Legislatore. In caso contrario “sarebbe risultata vanificata la volontà del Parlamento stesso e il Presidente
sarebbe risultato contitolare di un potere attribuito invece, per il profilo in esame, alle Camere”. Unica
eccezione, prospettata dall’Autore, è l’ipotesi in cui un intervento del Capo dello Stato fosse necessario
per correggere eventuali disparità di trattamento, in ossequio al più generale potere presidenziale di
controllo e tutela di norme e principi costituzionali. In tal caso, risulterebbe operante anche in materia di
clemenza il potere di rinvio alle Camere, con messaggio motivato, previsto dall’art. 74 Cost.
19
Corte Cost. 20 dicembre 1962, n. 110, in Giurisprudenza costituzionale, 1962, p. 1481 ss. Degna di
nota è altresì la successiva sentenza 12 dicembre 1963, n. 171, in Giurisprudenza costituzionale, 1963, p.
1690 ss., in occasione della quale, pur non smentendo l’ammissibilità del limitato potere presidenziale, la
Corte affermava esplicitamente la legittimità di una legge di delegazione che prevedesse “con assoluta
puntualità” l’intero contenuto del provvedimento. Con tale ultima pronuncia veniva data risposta positiva
ad un altro importante quesito: se il decreto presidenziale potesse, in tali occasioni, risolversi in un atto
meramente confermativo.
20
Per il quale ogni atto del Capo dello Stato deve essere controfirmato dal ministro proponente.
21
A sostegno della tesi maggioritaria: MARINI G., voce Amnistia e indulto nel diritto penale, op. cit., p.
141, il quale afferma che al Governo “al massimo – in coerenza al principio dell’irresponsabilità del Capo
dello Stato e sulla conseguente ricaduta delle conseguenze politiche dei suoi atti sul Governo – può e deve
ritenersi attribuita una mera competenza propositiva; e nulla più”; differente l’argomentazione di
ZAGREBELSKY G., voce Indulto (dir. cost.), op. cit., p. 243, basata sulla constatazione che nella prassi “il
limitato potere discrezionale concesso talora per certi reati si è fondato su motivi di ossequio nei confronti
39
Terzo punto controverso, il preteso carattere di atto dovuto del decreto
presidenziale in conseguenza dell’emanazione della legge di delegazione. In altri
termini, se fosse configurabile una sorta di obbligatorietà dell’esercizio del relativo
potere da parte del Capo dello Stato. Le opinioni apparivano divise tra chi riconosceva
quel carattere 22 , e chi, invece, lo negava 23 , anche se – per usare le parole di Gustavo
Zagrebelsky – “per quanto attiene al potere di valutazione circa l’opportunità politica
del provvedimento di clemenza, la prassi è stata chiaramente nel senso di ritenerlo
attribuito al Parlamento, cosicché il Presidente ha sempre provveduto immediatamente
(con decreto recante la data del giorno successivo a quello della pubblicazione della
legge di delegazione) in conseguenza della delega ricevuta” 24 .
Le indicazioni critiche emerse nella prima fase della vigenza storica dell’art. 79,
avevano come obiettivo la modificazione della disciplina del procedimento e degli atti
previsti in quel precetto 25 . La revisione costituzionale del 1992 “si colloca, quindi, in un
del Presidente (e non del Governo), al quale quindi, secondo quella logica, si sarebbe dovuta ritenere
riservata la possibilità di autonoma scelta fra le alternative concesse dalla legge di delegazione” e dunque
anche la destinazione dell’atto stesso; infine DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 304, il quale
prende le mosse dal dato letterale dell’art. 79 Cost., norma che non lascerebbe luogo a dubbi laddove
afferma che “amnistia e indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica”.
22
V. DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 304, ad opinione del quale, l’essere la competenza del
Capo dello Stato esistente solo in quanto condizionata ad una manifestazione di volontà delle Camere,
comportava necessariamente un corrispondente dovere di esercitare i poteri conferiti con la delegazione.
23
Es. MARINI G., voce Amnistia e indulto nel diritto penale, op. cit., p. 140, e ZAGREBELSKY G., voce
Indulto (dir. cost.), op. cit., p. 244.
24
Cfr. ZAGREBELSKY G., voce Indulto (dir. cost.), op. cit., p. 246. Nella prassi, infatti, era assai frequente
assistere a quelli che i giuristi definivano ‘provvedimenti fotocopia’.
25
Degna di nota, in sede a questa indagine, è una proposta di legge costituzionale presentata il 1° giugno
1971 da un gruppo di deputati del PLI (poche settimane prima della citata sentenza della Corte
costituzionale 175/1971, nella quale vengono avanzati seri dubbi sulla “ragionevolezza” delle amnistie
concesse negli anni precedenti). La proposta era così formulata: “All’art. 79 della Costituzione della
Repubblica sono aggiunti i seguenti commi: la legge di delegazione deve essere approvata con la
maggioranza dei due terzi dei membri di ciascuna Camera. / Una proposta di legge di delegazione non
può essere presentata se non siano trascorsi almeno sette anni dall’approvazione della precedente legge di
delegazione”. Per un’analisi dettagliata v. GEMMA G., Amnistia e indulto, op. cit., p. 645 ss. L’Autore si
dichiara perplesso circa la validità di tale progetto da un punto di vista tecnico-costituzionale. Per quanto
riguarda la necessità del raggiungimento del quorum dei due terzi (si tratta, quindi, di una notazione oggi
più che mai attuale), viene evidenziato come amnistia e indulto non siano atti che ledono i diritti delle
minoranze, scoraggiando così il loro appoggio alla proposta, anzi, “al limite possono essere a vantaggio
delle opposizioni, poiché, particolarmente per quanto riguarda i reati in materia politica, saranno con
maggiore probabilità gli avversari della maggioranza e dell’attuale ordinamento legislativo, a beneficiare
di provvedimenti di clemenza” (op. cit., p. 647). Il vincolo temporale, previsto dal secondo comma, è a
Suo parere un limite più efficace di quello procedurale, ma presenta il difetto di essere “meccanicistico e
disancorato da un’organica valutazione politico-criminale” (op. cit., p. 648), con il risultato che amnistie e
indulti arbitrari ben potrebbero essere concessi anche a intervalli di sette anni. Il contributo di GEMMA G.
si conclude con tre controproposte: la prima via da seguire potrebbe consistere nell’abolizione della
clemenza collettiva; il secondo indirizzo, più moderato, nella configurazione di presupposti e vincoli a
tale potestà (“si può consentire la concessione di amnistia o indulto solo quando ricorrano determinati
40
ordine di valutazioni che ben può dirsi abbiano preparato” 26 tale riforma.
Nel corso della X Legislatura sono stati vari i progetti di riforma discussi in
Parlamento 27 , a partire da proposte che andavano nel senso di cancellare
definitivamente l’istituto dell’amnistia, attraverso l’abrogazione dell’art. 79 Cost. 28 ,
oppure di limitarne l’impiego ai soli casi di straordinaria necessità previa approvazione
di una legge a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera 29 , sino a quella
di iniziativa del governo 30 , presentata a firma degli allora Presidente del Consiglio
Andreotti e Ministro di Grazia e Giustizia Vassalli, che prevedeva l’introduzione di un
vincolo procedurale – il quorum della maggioranza dei due terzi – e l’estromissione del
Presidente della Repubblica dall’iter di concessione.
In sede di Commissione Affari Costituzionali alla Camera dei Deputati, risultò
prevalere quest’ultima soluzione, ed altrettanto avvenne presso la Commissione istituita
al Senato 31 , tanto che la votazione finale in Assemblea plenaria approvò un testo,
successivamente recepito dalla legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1, dal seguente
contenuto: “L’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza
dei due terzi di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. / La
legge che concede l’amnistia o l’indulto stabilisce il termine per la loro applicazione. /
In ogni caso l’amnistia e l’indulto non possono applicarsi ai reati commessi
successivamente alla presentazione del disegno di legge”.
Addentrandosi nell’analisi del dettato normativo 32 , emerge come la modifica
presupposti, vale a dire allorché i reati siano avvenuti in circostanze storiche non più, o meglio
difficilmente, ripetibili”, op. cit., p. 649); infine, si potrebbe imporre il carattere della condizionalità alla
clemenza collettiva (v. infra par. 3.6 e 4.3).
26
Così D’ORAZIO G., voce Amnistia e indulto (dir. cost.), op. cit., p. 7.
27
Sul processo di modificazione dell’art. 79 Cost., in vista della riforma del 1992, ampiamente GEMMA
G., Amnistia ed indulto dopo la revisione dell’art. 79 Cost., in Legislazione penale, 1992, p. 349 ss., e
MAZZINA P., Commento all’art. 79, op. cit., p. 1547.
28
P.d.l. cost. A. C. n. 3937, Biondi, in LA GRECA G. (a cura di), L’amnistia, p. 77 ss. Drastica soluzione
che non ha incontrato alcun consenso, poiché è apparsa “troppo radicale, in quanto possono invero
presentarsi situazioni eccezionali, tali da giustificare la concessione di un’amnistia ovvero di un indulto”
(Intervento dell’on. Galloni, relatore, nella seduta della Commissione Affari Costituzionali, Sede
referente, del 22 novembre 1989, in LA GRECA G. (a cura di), L’amnistia, p. 86).
29
P.d.l. cost. A.C. n. 4292, Finocchiaro Fidelbo ed altri, in LA GRECA G. (a cura di), L’amnistia, p. 78 ss.
30
P.d.l. cost. A.C. n. 4317, Andreotti e Vassalli. in LA GRECA G. (a cura di), L’amnistia, p. 80 ss.
31
La scelta di fondo circa il paradigma modificativo da seguire fu in linea di massima condiviso da
entrambe le Camere, tuttavia non mancarono modificazioni formali, tese per lo più alla chiarificazione del
dettato costituzionale, e svariate proposte di emendamenti. Per una digressione maggiormente dettagliata
circa le vicende che caratterizzarono l’iter modificativo dell’art. 79 Cost., si veda MAZZINA P., Commento
all’art. 79, op. cit., p. 1547 ss.
32
Commento in relazione alla modifica costituzionale del 1992 è contenuto non solamente nei
Commentari alla Carta costituzionale, come ovvio, ma anche in svariati Commentari al Codice Penale in
41
portatrice di una più dirompente forza innovativa sia la previsione, quale condizione di
necessità ai fini dell’emanazione, del raggiungimento del quorum dei due terzi dei
componenti di ciascuna Camera. Viene in tal modo introdotto un procedimento
legislativo particolarmente aggravato, idoneo a sradicare “una disdicevole prassi di
reiterazione a cadenza pressoché annuale dei provvedimenti di clemenza” 33 . L’iter così
innovato prevede particolari modalità per la concessione, che deve avvenire con
approvazione a maggioranza dei due terzi, presso ciascuna Camera, non solo nella
votazione finale ma, prima ancora, articolo per articolo 34 . Il procedimento di
concessione
di
amnistia
e
indulto,
pertanto,
costituisce
l’unico
esempio,
nell’ordinamento italiano, di legge ordinaria deliberata a maggioranza qualificata. Tale
scelta normativa rispondeva alla precisa esigenza di garantire un uso “più concorde e
più serio del potere in questione” 35 , in quanto una percentuale qualificata rendeva
verosimile la previsione di una diminuzione quantitativa dei futuri provvedimenti di
clemenza, ed allontanava l’eventualità che le cause estintive de qua venissero
seno all’analisi dedicata agli artt. 151 (prevalentemente) e 174 c.p. Tra i tanti: DOLCINI E. – MARINUCCI
G. (a cura di), op. cit., p. 1354 ss. e 1556 ss.; ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit.,
p. 20 ss. e 200 ss.; CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), Commentario breve al codice
penale, Padova, 2006, p. 586 ss. e 629 ss.;
33
In tali termini PALAZZO F., Corso di diritto penale, op. cit., p. 622. L’esigenza di porre un freno
all’emanazione di provvedimenti di clemenza non risulta essere, in verità, fine a sé stessa. La modifica
dell’art. 79 Cost. è stata messa in relazione, nei lavori preparatori e nella relazione sulla stessa legge, con
l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, avvenuta con il d.P.R. 22 settembre 1988, n.
447. Sul punto si veda l’opinione di MONTANINI G., voce Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 1,
secondo il quale: “ Con la nuova formulazione dell’art. 79 Cost. si è cercato, infatti, di porre un freno al
ricorso all’amnistia al fine di favorire il decollo dei riti alternativi previsti dal nuovo codice. Si è infatti
ritenuto che gli imputati, di fronte alla ragionevole prospettiva di poter usufruire a breve termine di
un’amnistia (data la scadenza quasi regolare con cui erano state approvate negli anni precedenti) non
avrebbero avuto alcun interesse ad avvalersi dei riti alternativi, considerati, invece, dal legislatore,
decisivi per il successo del nuovo codice di procedura penale”.
34
D’ORAZIO G., voce Amnistia e indulto (dir. cost.), op. cit., p. 7, opportunamente sottolinea come si
tratti di “quella stessa maggioranza con la quale la Costituzione prevede che possa aver luogo, in seconda
battuta, la deliberazione di proposte di legge costituzionale e di revisione costituzionale ex art. 138 co. 3,
con l’effetto di escludere l’eventuale richiesta di un referendum popolare confermativo”. Con maggiore
chiarezza si esprime sul punto PIZZORUSSO A., Sulla modifica della disciplina costituzionale, op. cit., p.
48, laddove afferma che “le leggi di amnistia e/o indulto dovrebbero venire approvate mediante un
procedimento corrispondente ad una della due ipotesi alternativamente previste dall’art. 138 Cost. (quella
cioè che comporta l’approvazione a maggioranza di due terzi in ciascuna Camera), ma con la differenza
che non sarebbe richiesta la doppia approvazione a distanza di tre mesi (mentre resterebbe completamente
esclusa l’ipotesi di approvazione a maggioranza assoluta, con facoltà di assoggettamento del progetto
approvato a referendum confermativo (...)).” Una adeguata motivazione di tale esclusione, peraltro fornita
dallo stesso Autore, poggia sul principio di ultrattività della legge penale più favorevole, che a suo tempo
aveva già indotto i costituenti a sottrarre le leggi di amnistia e indulto al referendum abrogativo di cui
all’art. 75 Cost.
35
BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1355.
42
strumentalizzate per ragioni di vario tipo 36 .
La recente riforma è altresì apparsa utile al fine di fugare gran parte dei dubbi
interpretativi e ricostruttivi che accompagnavano la precedente normativa, in quanto
imperniata sulla ripartizione di competenze tra Parlamento e Presidente della
Repubblica 37 . La seconda innovazione introdotta dalla riforma costituzionale prevede
l’eliminazione dal procedimento di concessione della delegazione obbligatoria a favore
di quest’ultimo 38 , né compare più alcun riferimento ad un decreto presidenziale di
adozione. In tal modo la titolarità del potere di amnistia e indulto è passata in capo al
Parlamento, adeguandosi il dato legislativo alla diffusa prassi 39 secondo la quale
l’intervento presidenziale “aveva già perso rilievo da tempo, finendo per porsi, il più
delle volte, come atto dovuto” 40 . La novella del 1992 sembra dunque aver semplificato
e razionalizzato gli aspetti formali dell’emanazione: al Capo dello Stato viene oggi
riconosciuto unicamente un generale potere-dovere di promulgazione delle leggi,
seppure con i correlati poteri di controllo ex art. 74 Cost 41 , e la garanzia originariamente
fornita dall’intervento di un organo super partes risulta sopperita da un verso dalla
partecipazione delle minoranze parlamentari, il cui concorso è necessario per conseguire
l’elevato quorum richiesto, dall’altro dall’affidamento in toto alla dialettica
parlamentare delle contingenti valutazioni di opportunità politica 42 .
36
Ad esempio: demagogiche, elettoralistiche, mero sfoltimento carcerario, ecc. Il quorum richiesto dal
novellato art. 79 Cost. comporta inevitabilmente l’impossibilità pratica, per la maggioranza al governo, di
pervenire alla concessione senza che siano coinvolti i partiti all’opposizione o in ogni caso esterni al
governo.
37
V. supra questo paragrafo.
38
Che la delegazione al Presidente della Repubblica costituisse oramai una anomalia interna all’iter di
concessione, in quanto per lo più disattesa nella prassi, era opinione condivisa in dottrina. Tale tesi è
ravvisabile in numerosi contributi, pubblicati a ridosso e non della avvenuta modifica costituzionale. Tra i
tanti: BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1355;
FIANDANCA G. - MUSCO E., Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2007, p. 776; GEMMA G., Amnistia e
indulto dopo la revisione dell’art. 79 Cost., op. cit., p. 354 ss.; voce Clemenza (profili costituzionali), in
Digesto delle discipline penalistiche, 2000, II, p. 52; D’ORAZIO G., voce Amnistia e indulto (dir. cost.),
op. cit., p. 7; MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 456; MAZZINA P.,
Commento all’art. 79, op. cit., p. 1551; PIZZORUSSO A., Sulla modifica della disciplina costituzionale, op.
cit., p. 47 ss.
39
Tendenza avallata anche dalla Corte costituzionale in due occasioni: sentenze 1962/110 e 1963/171, cit.
V. supra questo paragrafo: testo e nota 19.
40
Così BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1355.
41
Cfr. supra questo paragrafo nota 18. Appare utile ricordare che si tratta del potere di rinvio alle
Camere, con messaggio motivato.
42
Risulta opportuno un accenno al dibattito parlamentare e dottrinale, in verità non molto vivace,
sviluppatosi intorno a tale punto della riforma costituzionale. La ratio dell’originaria tripartizione, in capo
a diversi soggetti istituzionali, della procedura di formazione del provvedimento, era quella di potersi
avvalere dei vantaggi conferibili da ognuno di essi: il Parlamento avrebbe assicurato la partecipazione di
43
La riforma costituzionale ha circoscritto il potere di amnistia e di indulto non
solo sotto il profilo procedurale, mediante le innovazioni or ora esaminate, ma altresì
sotto il profilo contenutistico: il comma 2 stabilisce che la legge di concessione del
provvedimento di clemenza debba contestualmente prevedere il termine per la sua
applicazione 43 , ed il comma 3 aggiunge che in nessun caso amnistia e/o indulto possano
essere applicati a reati commessi successivamente alla data di presentazione del disegno
di legge 44 . La scelta di prevedere vincoli alla discrezionalità del Legislatore, nello
stabilire il periodo di efficacia temporale dell’atto 45 , trae origine dal soddisfacimento di
una esigenza di agevole comprensione: impedire che la prevedibilità di un
provvedimento di clemenza (se non persino la piena conoscenza di una tale proposta)
crei una sorta di “zona franca temporale” 46 , e conseguentemente costituisca “ovvio
tutte le forze politiche, l’intervento del Governo la competenza tecnica apportata tramite le dovute
informazioni al Presidente della Repubblica, e quest’ultimo la garanzia di “impedire che le scelte del
governo prevaricassero rispetto agli orientamenti parlamentari espressi nella legge di delegazione ed
evitare ogni abuso di tipo partigiano” (MAZZINA P., Commento all’art. 79, op. cit., p. 1550). Appare
pertanto comprensibile come una scelta di senso contrario, tesa alla ‘semplificazione’, generasse
preoccupazione e malcontento, sentimenti tuttavia debolmente argomentati. Per una esaustiva panoramica
delle motivazioni addotte contra la riforma si veda GEMMA G., Amnistia e indulto dopo la revisione
dell’art. 79 Cost., op. cit., p. 355: “Si è parlato di una competenza presidenziale che ribadirebbe «la
natura (dell’amnistia e dell’indulto) di strumento di pacificazione sociale», di una non ben definita
funzionalità dell’«atto, pur formale» del Presidente della Repubblica, di una «eccessiva riduzione dei
poteri del Capo dello Stato», che conseguirebbe alla revisione dell’art. 79. Ma il tutto costituito da
accenni di argomentazioni, senza l’esposizione di una precisa motivazione istituzionale in
contrapposizione a quella avanzata dai fautori dell’innovazione”. Per le dovute paternità delle citazioni di
cui sopra si faccia riferimento alle note 24, 25 e 26 poste a pagina 355 dell’opera testé citata.
43
Si tratta di una completa novità. Nell’originario art. 79 Cost. non veniva fatto alcun riferimento,
nemmeno indiretto, all’obbligo di statuire un vincolo temporale di efficacia.
44
In luogo della ‘proposta di delegazione’ che figurava nell’art. 79 Cost. abrogato, di conseguenza
“implicando verosimilmente (...) l’iniziativa legislativa del governo al riguardo” (Così ROMANO M.,
Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 24).
A titolo esemplificativo, riporto in questa sede una differente proposta di modificazione dell’art. 79 Cost.,
comma 2, d’iniziativa degli onorevoli Finocchiaro Fidelbo ed altri (p.d.l. cost. 4292, cit.). Tale soluzione
prefigurava il divieto di applicare il provvedimento di clemenza anche nell’anno antecedente la proposta
di legge. Triplice la ratio a sostegno del progetto: evitare il fallimento dei riti abbreviati introdotti dal
nuovo c.p.p., scoraggiare la commissione di reati per i quali si potesse sperare nell’impunità, ed infine la
“considerazione secondo cui solo il decorso almeno di un anno dalla commissione può rendere il reato
non più meritevole di sanzione”. Alla proposta, che non raggiunse molti consensi, si era genericamente
opposto che in futuro ben si sarebbero potute verificare circostanze eccezionali che avrebbero richiesto
“la concessione di clemenza anche per reati commessi nell’arco di tempo antecedente la data di
presentazione delle proposte e che non sarebbe stato conveniente irrigidire questo dies ad quem” (sul
punto GEMMA G., Amnistia e indulto dopo la revisione dell’art. 79 Cost., op. cit., p. 357).
45
Come si può notare, vincoli stringenti sono previsti espressamente per quanto riguarda il dies ad quem,
“oltre il quale, non dovendo più operare l’atto di clemenza, il giudice ordinario è legittimato a non
applicare la legge (come già il decreto) nei confronti dei reati commessi successivamente, senza neppure
sollevare questione di legittimità” (completa definizione ad opera di ROSSI P., Lineamenti di diritto
penale costituzionale, op. cit., p. 221).
46
Così CADOPPI A. – VENEZIANI P., Elementi di diritto penale. Parte generale, Padova, 2007, p. 504.
44
incentivo a violare con prospettive di impunità la norma penale” 47 .
Risulta palese come l’individuazione in concreto del termine in esame non
presenti difficoltà qualora una sola sia la proposta di legge. Viceversa, nella diversa e
non infrequente ipotesi di una pluralità di atti di iniziativa legislativa, occorre invece
stabilire a quale tra essi debba farsi riferimento per determinare la data e di conseguenza
il limite temporale di applicazione del provvedimento di clemenza.
Secondo un primo indirizzo dottrinale dovrebbe trattarsi della proposta che
risulti “successivamente approvata” 48 , ma vi è altresì chi ha sostenuto, fornendo in tal
modo criteri sempre meno certi ed univoci, ma utili come corollario alla tesi precedente
nel caso di situazioni più complesse, che il progetto da prendere in considerazione
debba essere quello che ha costituito oggetto diretto ed esclusivo di discussione
parlamentare, con irrilevanza di altre proposte che in occasione dell’esame del progettobase non siano state dal Parlamento in alcun modo considerate, neppure come
emendamento a questo, né a maggior ragione se mai discusse o ritirate 49 . Infine, in base
ad un terzo orientamento risulterebbe necessario “disarticolare i testi delle proposte, per
individuare in relazione ad ogni tipo di reato cui il provvedimento si riferisce (riferisca),
la prima proposta ad esso relativa” 50 .
La Corte Costituzionale ha avuto occasione di pronunciarsi sulla questione,
sebbene in epoca ormai risalente, una prima volta con la sentenza n. 171 del 1963, poi
con la n. 51 del 1968, ed infine con la n. 175 dell’anno 1971.
Con la prima venne ritenuto come limite valido la data del progetto approvato,
con la conseguenza che le proposte di amnistia presentate al Parlamento prima del
disegno di iniziativa governativa che condusse alla legge di amnistia erano da
considerarsi irrilevanti, nonostante buona parte dei reati effettivamente amnistiati
fossero già stati in esse ‘anticipati’, poiché “quelle proposte non confluirono affatto
nell’iter della legge, non essendo state né riunite al disegno governativo per procedere
ad un loro esame unitario né in alcun modo considerate, e non mai poste in
47
In tali termini: MAZZINA P., Commento all’art. 79, op. cit., p. 1552.
Dunque non al progetto prior tempore in quanto tale, v. CICCONETTI S.M., Riflessi sulla procedura
parlamentare del secondo comma dell’art. 79 della Costituzione, in Giurisprudenza costituzionale, 1968,
I, p. 782 ss., salvo, ovviamente, che tutti avessero identico contenuto, come puntualizzano PASSARELLI
A., Problemi costituzionali in materia di amnistia e indulto, in Scuola Positiva, 1964, p. 716, e MORTATI
C., Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., p. 588, p. 779 nota 1.
49
V. ROSSI P., Lineamenti di diritto penale costituzionale, Palermo, 1953, p. 221.
50
ZAGREBELSKY V., Commento all’art. 78, in BRANCA G. – PIZZORUSSO A. (a cura di), Commentario
della Costituzione, op. cit., p. 134 ss.
48
45
discussione” 51 . Sostanzialmente conforme è la seconda, che in esito ad un esame degli
atti parlamentari ritenne infondato il rilievo che la proposta approvata fosse un testo
unificato ed emendato di due progetti precedenti. Tale orientamento è stato
successivamente confermato mediante l’ultima delle sopraccitate pronunce, secondo la
quale una proposta di iniziativa parlamentare che non venga sottoposta a discussione, ed
anzi persino ritirata dai proponenti, rimanga inevitabilmente del tutto estranea al
procedimento da cui trae vita la legge di delegazione, seppure in parte di identico
contenuto.
La revisione dell’art. 79 Cost. non ha fornito chiarificazioni in merito a questo
punto, né risposte certe ad altri nodi interpretativi. Una prima questione riguarda
l’incompatibilità tra tale norma costituzionale ed il dettato dell’art. 151 co. 3 c.p., il
quale sancisce l’applicabilità del provvedimento di amnistia ai reati commessi “a tutto il
giorno precedente la data del decreto, salvo che questo stabilisca una data diversa”.
Questa disposizione, che non è stata corretta dalla l. cost. 1/1992, necessita pertanto di
essere modificata in via interpretativa alla luce della superiorità gerarchica dell’art. 79
Cost.: “in base al combinato disposto delle due norme, il diverso limite temporale
individuato nell’art. 151 può ritenersi operante solo nel caso in cui il legislatore abbia
individuato un momento anteriore a quello fissato dal comma 3 dell’art. 79 della
Costituzione, e cioè la presentazione del disegno di legge” 52 .
Un altro importante interrogativo riguarda invece la ‘portata’ dell’articolo 79. La
dottrina si è schierata su fronti diversi nello stabilire se il procedimento aggravato
descritto da tale norma dovesse applicarsi non solo ad amnistia ed indulto, ma anche ad
altre forme di clemenza, ossia agli atti di clemenza atipica oppure alla remissione di
sanzioni extrapenali. Gli Autori si sono divisi tra “coloro che seguono
un’interpretazione letterale e restrittiva della disposizione in esame, data anche la sua
natura derogatoria al regime sanzionatorio ordinario, e coloro che, ravvisando una ratio
comune al regime dei vari atti di clemenza propugnano un’interpretazione estensiva” 53 .
Sul problema tuttavia esiste una soluzione nell’ambito del c.d. diritto vivente dal
51
Estratto da Corte Cost., sentenza 12 dicembre 1963, n. 171.
In questi termini DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit.,
p. 144.
53
GEMMA G., voce Clemenza (profili costituzionali), op. cit., 2000, p. 53. L’Autore propone come
portavoce di questo secondo schieramento CHIARA, Gli istituti di “clemenza collettiva” nella revisione
dell’art. 79 della Costituzione, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1997, p. 71 ss.
52
46
momento che la giurisprudenza costituzionale 54 afferma che costituisca ambito di
operatività dell’art. 79 Cost. esclusivamente la clemenza cosiddetta ‘tipica’, e che
qualsiasi altra forma di clemenza collettiva rientri senza dubbio nel regime legislativo
ordinario.
3. Amnistia.
3.1 Effetti del provvedimento: la distinzione tra amnistia propria e impropria.
La disciplina dell’amnistia nel codice penale è dettata dall’art. 151. Tale norma
regola due diverse tipologie di questo strumento di clemenza: da un lato l’amnistia c.d.
‘propria’ (“l’amnistia estingue il reato”, co. 1, parte prima), dall’altro quella ‘impropria’
(“e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene
accessorie”, co. 1, parte seconda). Si ha l’una qualora la clemenza intervenga prima di
una condanna definitiva, l’altra laddove, invece, la legge di concessione entri in vigore
dopo una sentenza penale di condanna irrevocabile 55 .
54
V. prima della revisione costituzionale Corte Cost., sentenza 23-31 marzo 1988, n. 369, in
Giurisprudenza Costituzionale, 1988, I, p. 1559 ss., che fornisce una dettagliata spiegazione delle
distinzioni sussistenti tra clemenza tipica e atipica (nella specie il condono edilizio concesso con legge 28
febbraio 1985, n. 47), giustificanti la non applicazione dell’art. 79 Cost. in materia: “Il condono edilizio di
cui alle norme impugnate non integra gli estremi dell'istituto dell'amnistia. L'amnistia (come l'indulto) è,
invero, una particolarissima causa d'estinzione. Intanto, in ordine ad essa, una legge (il codice penale)
prevede il decreto d'amnistia (ed indulto) come estintivo (...) senza far riferimento ad alcuna fattispecie
concretamente estintiva. Dal fondamento dell'amnistia (misura di clemenza generalizzata) deriva un suo
specifico modo di funzionare, una particolare struttura che la diversifica dalle altre cause d'estinzione.
Mentre, in generale, le altre cause (ma si dovrebbero, poi, distinguere, una per una le "altre" cause)
operano, producono l'estinzione attraverso la mediazione d'un fatto, d'una fattispecie concreta, l'amnistia
produce, direttamente, l'effetto estintivo senza mediazione fattuale alcuna. Il codice penale, per le altre
cause d'estinzione, di cui agli artt. 150 e segg., indica specificamente i fatti, le fattispecie, poste in essere
le quali, in concreto si produce l'effetto estintivo (i fatti ad es. della morte del reo, del decorso del tempo
ecc.); per l'amnistia, invece, fa discendere (...) l'effetto estintivo direttamente, senza mediazioni di sorta,
dal decreto d'amnistia, quasi unanimemente riconosciuto di natura legislativa.” In caso di ‘condono’,
invece, come sottolinea MAZZINA P., Commento all’art. 79, op. cit., p. 1554, ci si trova dinnanzi ad una
“complessa fattispecie estintiva del rato, che viene ad essere, almeno di regola, costitutiva (di effetti
amministrativi) ed estintiva (di effetti penali) e nella quale la non punibilità si produce soltanto a seguito
delle manifestazioni di concrete volontà degli interessati e dell’autorità amministrativa”.
Sostanzialmente identica nel contenuto è una sentenza successiva alla riforma del 1992: Corte Cost.,
sentenza 6-12 settembre 1995, n. 427, in Giurisprudenza Costituzionale, 1995, p. 3320 ss.
Si veda infine una più recente pronuncia, Corte Cost. 24-28 giugno 2004, n. 196, in occasione della quale
la Corte ulteriormente nega che l’istituto del condono vada inteso come una forma di amnistia impropria,
e come tale da introdursi e disciplinarsi solo tramite una legge conforme alle rigide prescrizioni di cui
all’art. 79 Cost.
55
Come è noto, è tale la sentenza nei confronti della quale non sia più esperibile alcun mezzo ordinario di
impugnazione.
47
Il legislatore ha sistematicamente inserito l’amnistia nel Capo I rubricato ‘Della
estinzione del reato’, senza tuttavia dare peso alla distinzione ora accennata, “così
errando nella classificazione” 56 dal momento che risulterebbe più corretto, come
vedremo, considerare la ‘propria’ come causa di estinzione del reato, mentre
l’‘impropria’ quale causa di estinzione della pena.
L’amnistia propria risulta essere lo strumento di clemenza collettiva dotato dei
maggiori effetti estintivi 57 , che si producono sui reati compresi nel decreto di clemenza
“dal momento di entrata in vigore del provvedimento e precludono ogni possibilità di
pervenire all’accertamento” 58 sull’esistenza o meno del reato. In tale ipotesi, dunque, il
reato amnistiato si considera tamquam non fuisset (esset) ed il totale effetto estintivo del
provvedimento “viene ad impedire l’instaurazione o la prosecuzione del processo” 59 .
L’efficacia abolitiva completa di tale forma di clemenza collettiva deriva dal
fatto che essa viene ad estinguere tutte le conseguenze penali derivanti dal reato:
impedisce l’irrogazione della pena principale e l’inflizione delle pene accessorie e delle
misure di sicurezza.
Non vengono meno, invece, eventuali obbligazioni derivanti dal fatto che il reato
sia da considerarsi anche illecito civile 60 . Parimenti, non resta preclusa la valutazione
56
Così MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 457. Concorda sul punto anche
altra dottrina, dal più risalente DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 310, laddove afferma “è
tuttavia auspicabile de iure condendo che l’amnistia impropria sia legislativamente considerata causa
estintiva della pena”, sino ai più recenti ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G.
– PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 21, POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit.,
p. 4, BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1366.
Unica reminiscenza della volontà del legislatore si rinviene in riferimento all’art. 210 c.p., in materia di
misure di sicurezza. In dottrina, infatti, rileva genericamente il fatto che “l’amnistia estingue il reato”,
pertanto sia in caso di amnistia propria, sia in caso di amnistia impropria, va applicato il primo e non il
secondo comma dell’art. 210 (cfr. MONTANINI G., voce Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 2;
ovvero ANTONINI E., Contributo alla dommatica delle cause estintive del reato e della pena, Milano,
1990, p. 177), v. infra questo paragrafo.
57
I suoi effetti sono caratterizzati da un’ampiezza maggiore sia rispetto all’amnistia c.d. impropria che
rispetto all’indulto, v. infra questo paragrafo e par. 4.1.
58
V. DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 152.
Maggiormente dettagliato sul punto ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. –
PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 32, laddove afferma “L’art. 151, co. 1°, prima parte, secondo cui
l’amnistia estingue il reato, deve dunque intendersi nel senso che, postulando un dato reato (ovviamente
di quelli ricompresi nel beneficio), come realmente commesso da un determinato soggetto, l’amnistia
preclude comunque in radice una serie di conseguenze penali che altrimenti ne sarebbero derivate”.
59
Cfr. POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 4.
60
Tranne l’eventualità in cui si tratti di quelle previste dagli artt. 196 e 197 c.p., ossia obbligazione civile
per le multe e le ammende inflitte a persona dipendente e obbligazione civile delle persone giuridiche per
il pagamento delle multe e delle ammende.
Risulta ambigua sul punto la tesi di BELTRAME A.M. (GERMANI C.), Commento all’art. 151, in CRESPI A.
– STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), Commentario breve al codice penale, op. cit., p. 588, il quale, con
48
giuridica del fatto sul piano disciplinare, dal momento che risultano differenti le finalità
poste a monte del riconoscimento di una illiceità amministrativa piuttosto che di un
illecito penale 61 .
Regole particolari limitano l’efficacia dell’amnistia laddove applicata in seguito
ad una pronunzia di condanna non ancora divenuta definitiva. Il nuovo codice di
procedura penale, infatti, contiene una norma in tema di disciplina dell’azione civile
appositamente introdotta allo scopo di apportare una più efficace tutela delle aspettative
della parte civile. L’art. 578 c.p.p. dispone che, “pur in presenza di una causa estintiva
del reato, quando vi sia stata in primo grado una condanna dell’imputato al risarcimento
dei danni a favore della parte costituita, il giudice penale d’appello o di cassazione deve
decidere sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che
concernono gli interessi civili” 62 .
Caratteristica tipica della amnistia propria è la c.d. pregiudizialità, principio
rinvenibile nel nostro ordinamento durante la vigenza del codice di rito abrogato e
recepito compiutamente con la riforma del c.p.p. del 1988 63 . Il suo intervento toglie al
giudice “il potere di esaminare il merito dell’imputazione” 64 e “decidere ogni altra
questione relativa all’azione penale, quando il relativo esame non era (sia) necessario
parole che appaiono a sostegno di una posizione totalmente isolata nonché in palese contrasto con il
dettato dell’art. 198 c.p., afferma che “l’amnistia impropria fa cessare l’esecuzione della pena principale e
delle pene accessorie nonché l’esecuzione delle misure di sicurezza personali, ma – a differenza di quella
propria – non fa cessare gli effetti penali della condanna nonché le obbligazioni civili nascenti da reato,
ad eccezione di quelle previste dagli artt. 196 e197 c.p.”. Verosimilmente ci troviamo dinanzi ad una
banale imprecisione nell’organizzazione della sintassi.
61
Tuttavia, come sottolinea ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. –
PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 34, “ben può accadere, naturalmente, che provvedimenti di clemenza
coevi all’amnistia o anche ad essa dipendenti dispongano specificamente in ordine all’estinzione di
infrazioni disciplinari”.
62
In tali termini BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit.,
p. 1368. Tale norma è stata introdotta sulla scia dell’art. 12 l. 3 agosto 1978, n. 405, contenente delega al
Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia e di indulto, in seguito ad una sentenza della
Corte di Cassazione (10 gennaio 1985, n. 315) con la quale è stato stabilito che “ l’art. 12 (…) anche se
inserito occasionalmente nella legge delega per la concessione dell’amnistia dal d.P.R. 4 agosto 1978, n.
413, non si riferisce esclusivamente a tale provvedimento di clemenza, ma riveste natura di norma
autonoma e di carattere generale, valevole per ogni altro successivo provvedimento in materia”.
Si tenga presente che tale obbligo sussistente in capo al giudice, d’appello o di cassazione, non è
subordinato né alla presenza della parte civile né ad una sua esplicita richiesta. Ciò sulla scorta del
principio di immanenza della costituzione di parte civile, in base al quale la mancata comparizione della
stessa nel giudizio di impugnazione non equivale a revoca. Cfr. in giurisprudenza Cass., 17 agosto 1990,
Calderoni, C.E.D. Cass., n. 185129.
63
V. DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 156. La
disposizione contenuta nell’art. 152 c.p.p. abrogato è stata riprodotta nell’art. 129 del nuovo c.p.p.
64
Cfr. BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1366.
49
per l’applicazione del beneficio” 65 . Tale peculiarità, secondo la dottrina, “rappresenta
una delle più ampie espressioni del favor libertatis”, dal momento che “viene a
contemperare simultaneamente l’esigenza di economia processuale e l’interesse
dell’imputato alla più sollecita pronuncia di non punibilità” 66 . Le norme processuali che
disciplinano tale aspetto sono gli artt. 129 e 531 c.p.p.. Il primo, al comma 1, dispone
che il giudice, in ogni stato e grado del processo, laddove riconosca che il reato risulta
essere estinto lo dichiara d’ufficio con sentenza67 . L’art. 531, rubricato Dichiarazione di
estinzione del reato, precisa che tale pronuncia debba essere una sentenza di non doversi
procedere, nel cui dispositivo il giudice è tenuto ad enunciarne la causa. Il comma 2
aggiunge che il procedimento debba essere il medesimo altresì nell’eventualità in cui
sussista dubbio sull’esistenza di una causa di estinzione del reato 68 .
L’amnistia impropria, differentemente, dispiega un ambito di operatività più
limitato dal momento che il suo effetto estintivo si produce esclusivamente sulla pena
inflitta con sentenza di condanna. Con altre parole si può dire che “come in generale per
l’amnistia non può venire cancellato il fatto storico che rimane produttivo di taluni
effetti giuridici, così per l’amnistia impropria l’accertamento di responsabilità contenuto
nella sentenza di condanna viene annullato nei suoi effetti solo con riguardo alla
65
Ad esempio l’eventualità dell’eliminazione di una aggravante. V. DIOTALLEVI G., Commento all’art.
151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 153.
La giurisprudenza è rimasta costante nel ritenere che il giudice, nel dichiarare estinto il reato, non ha
l’obbligo di esaminare in modo specifico e approfondito tutte le emergenze processuali né di esporre
dettagliatamente le ragioni della mancata assoluzione nel merito, dal momento che, in tal caso, la
sentenza non è destinata ad acquisire autorità di giudicato ai fini di un giudizio di colpevolezza (v. Cass.,
19 settembre 1990, Colonna, C.E.D. Cass., n. 186546; Cass., 16 giugno 1981, Giovatti, Cassazione
Penale, 1983, p. 333 ss.; Cass., 11 marzo 1971, Cassazione Penale, 1972, p. 617 ss.).
66
Così POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 9.
67
Una eccezione all’operare di tale ‘pregiudizialità’ è prospettata dall’art. 129, comma 2 (ante riforma art.
152, comma 2), ai sensi del quale qualora dagli atti risulti evidente che il fatto non sussiste o l’imputato
non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che non è previsto dalla legge come reato, il
giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p. in sede dibattimentale, ovvero
sentenza di non doversi procedere ex art. 425 c.p.p. in sede di udienza preliminare, con la formula
prescritta.
Per un ulteriore limite all’operatività di tale principio, v. infra par. 3.6 e il rapporto sussistente tra
pregiudizialità e rinunziabilità dell’amnistia.
68
Sul punto, la giurisprudenza ha precisato che l’obbligo di declaratoria di sentenza di assoluzione
“postula che le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non
commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non
contestabile, sicché la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene più al concetto di
constatazione che di apprezzamento. Pertanto, quando le risultanze processuali siano tali da condurre a
diverse interpretazioni tutte logicamente corrette, l’omesso proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p.
non può venire in considerazione come violazione di legge, né l’eventuale vizio di difetto di motivazione
è deducibile in Cassazione poiché l’inevitabile rinvio al giudice di merito sarebbe incompatibile con
l’obbligo di declaratoria immediata della causa estintiva del reato”. Così Cass., 19 aprile 1995, Cardillo,
C.E.D. Cass., n. 201255.
50
pena” 69 , pene principali 70 e pene accessorie 71 , mentre restano impregiudicati gli altri
effetti penali della condanna.
In materia di pene detentive principali vi è da osservare in primo luogo che
qualora l’esecuzione della pena sia già iniziata, l’art. 672, comma 3, c.p.p. prevede che,
in attesa del provvedimento che applica l’amnistia, il p.m. competente per l’esecuzione
della sentenza “può disporre provvisoriamente la liberazione del condannato” 72 , ed in
secondo luogo che l’amnistia impropria può essere applicata anche in relazione ad una
pena interamente espiata, poiché spiega effetti anche su pene differenti da quella
principale; mentre in merito alle pene accessorie è da notare come risulti pacifico che si
estinguano tutte, siano esse previste dal codice penale (artt. 19, 20, 28 e ss. c.p.) ovvero
da leggi complementari 73 .
Come si osservava, l’amnistia impropria non estingue gli effetti penali della
69
Così MONTANINI G., voce Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 2.
Tanto la pena detentiva quanto quella pecuniaria eventualmente disposta in sostituzione della prima in
sede di sentenza di condanna, poiché siffatto obbligo al pagamento non può sopravvivere all’estinzione
del reato cui inerisce. Conseguentemente, l’omesso versamento della somma non costituisce reato.
71
In tema di pene accessorie si veda Cass., 15 giugno 1994, Boselli, C.E.D. Cass., 199849. Mediante tale
sentenza si precisa come “l’effetto abolitivo delle pene accessorie si produce contemporaneamente
all’effetto estintivo del reato, in coincidenza con l’entrata in vigore del provvedimento con il quale è
concessa l’amnistia, mentre la declaratoria di efficacia di questa ha efficacia ex tunc, indipendentemente
dal momento in cui essa interviene”. La medesima prosegue allegando un esempio chiarificatore:
“Pertanto, non commette il reato di cui all’art. 116 bis r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, colui che abbia
trasgredito al divieto di emissione di assegni bancari, impostogli come pena accessoria per il reato di
emissione di assegno senza provvista, dopo l’entrata in vigore di un provvedimento di amnistia incidente
su tale reato, essendo irrilevante l’epoca in cui è resa la declaratoria di applicazione dell’amnistia
impropria e di cessazione della pena accessoria”.
72
Ma, come opportunamente sottolineato ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO
G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 34, laddove ve ne siano i presupposti il p.m. dovrà farlo.
Doverosa una precisazione anche in tema di pene pecuniarie. Se al momento dell’entrata in vigore della
legge di concessione di amnistia le somme dovute non sono state ancora corrisposte, l’azione di
riscossione in capo allo Stato rimarrà sospesa sino alla declaratoria di amnistia di cui all’art. 672, comma
1, c.p.p.. Laddove, invece, la sanzione sia stata in tutto o in parte corrisposta, è consuetudine che non vi
sia ripetibilità per le somme già versate, ferma restando la sospensione dell’azione di riscossione per la
parte residua nel secondo caso. Tale tesi tuttavia, sebbene compatibile con il dato letterale dell’art. 151,
comma 1, ai sensi del quale viene fatta cessare l’esecuzione delle pene, introduce inevitabilmente una
ipotesi di disparità di trattamento tra coloro che, contestualmente condannati, abbiano o meno
tempestivamente pagato, discriminazione che non sembra trovare alcuna ragionevole giustificazione. Cfr.,
quali esempi, DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 308, e ROMANO M., Commento all’art. 151, in
ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 35.
73
Restano impregiudicabili, ponendosi dunque sul medesimo piano degli effetti penali della condanna,
solamente le conseguenze ‘atipiche’ di alcuni reati che non possono essere qualificate come pene
accessorie. Ad esempio, la sospensione e la revoca della patente di guida disposte a seguito della
violazione di talune norme in materia di circolazione stradale. In tema di pene accessorie risulta
opportuno sottolineare che l’amnistia impropria, pertanto, “è applicabile anche a quelle fattispecie penali
ove un precedente indulto sia stato causa di estinzione della sola pena principale e non della pena
accessoria” (v. BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 588).
Circa l’ampiezza degli effetti estintivi dell’indulto v. infra par. 4.1.
70
51
condanna, ossia “quelle conseguenze giuridiche di carattere affittivo e però diverse dagli
effetti civili od amministrativi e dalle misure di sicurezza” 74 , quali ad esempio
l’aumento di pena in caso di recidiva (art. 99 c.p.), la dichiarazione di abitualità e di
professionalità (art. 106 c.p.) 75 , l’impossibilità di ottenere la sospensione condizionale
della pena (art. 164, n. 1, c.p.) 76 . I minori effetti estintivi dell’amnistia impropria
possono dunque comportare tutta una serie di logiche conseguenze, dal momento che la
sentenza di condanna può costituire sia titolo per una futura dichiarazione di recidiva o
di abitualità o di professionalità del reato 77 , sia un ostacolo per il rilascio di una
successiva concessione della sospensione condizionale della pena 78 , ovvero legittima
causa di revoca dell’indulto condizionato 79 .
Come l’amnistia propria, anche quella impropria non elimina le eventuali
conseguenze del reato e della condanna sul terreno disciplinare, né le eventuali
74
Così BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 588.
In merito a tale effetto penale, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 c.p.,
per assunta violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede che, ai fini della recidiva, si debba tener
conto delle condanne per le quali sia intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena. Ciò
essendo stata rinvenuta una disparità di trattamento tra i colpevoli di uno stesso reato nel caso in cui per
alcuni l’amnistia sia intervenuta prima della condanna definitiva (trattandosi di amnistia propria non ha
dunque effetto la recidiva) e per altri, invece, sia intervenuta in sede di esecuzione della condanna (si
applica l’amnistia impropria, pertanto opera la recidiva). La Corte costituzionale, con sentenza 28
novembre 1972, n. 163 (in Foro Italiano, 1973, I, p. 335 ss.), ha tuttavia respinto la questione di
incostituzionalità, giustificando una tale disparità di trattamento sulla base della considerazione che, nel
caso dell’amnistia impropria, il riconoscimento del fatto commesso quale illecito penale non più
contestabile rende la situazione diversa rispetto a quella in cui manchi un definitivo accertamento di
colpevolezza, a causa dell’intervento dell’amnistia prima della condanna definitiva. Questo principio è
stato altresì ribadito da una successiva sentenza della Consulta in tema di dichiarazione di abitualità nel
reato: Corte cost., 25 marzo 1975, n. 69 (in Foro Italiano, 1975, I, p. 1053 ss.). Sul punto v. notazioni di
MONTANINI G., voce Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 2, e BENUSSI C., Commento all’art. 151, in
DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1367.
76
La manualistica, anche recente (ad es. BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a
cura di), op. cit., p. 588), è solita completare l’elenco con la citazione di un ulteriore norma, l’art. 541
c.p., che dispone la perdita di alcuni diritti nell’ambito di delitti commessi contro la moralità pubblica
(delitti compresi nel Libro II, Titolo IX, Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume). Tale
articolo, tuttavia, è stato abrogato dall’art. 1 della legge 15 febbraio 1996, n. 66.
77
V. Cass., 1 marzo 1993, Dalla Vecchia, Cassazione Penale, 1994, p. 1495 ss.; Cass. 7 luglio 1992,
Lanzellotti, Cassazione Penale, 1994, p. 295 ss.; Cass., 28 luglio 1988, Sanzone, Cassazione Penale,
1989, p. 2013 ss.
78
Nonché ostacolo per la possibilità di ottenere la reiterazione della sospensione condizionale per chi ne
abbia fruito già due volte anche se per una condanna sia intervenuta amnistia. Sul punto v. recentemente
Cass., 24 novembre 2004, V., C.E.D. Cass., n. 229820; oppure Cass., 11 marzo 1994, Romeo, C.E.D.
Cass., n. 196698.
79
Cfr. Cass., 19 gennaio 1993, Cassazione Penale, 1994, p. 1495 ss. La medesima sentenza, tuttavia, ci
ricorda come sia possibile che questi effetti penali, conservati da una amnistia impropria (oppure da un
indulto, come vedremo), cessino in un momento successivo qualora intervenga un’altra specifica causa
estintiva di maggiore portata. V. art. 183, comma 2, c.p., il quale dispone che in caso di concorso tra una
causa che estingue la pena ed una che estingue il reato, prevale quest’ultima anche se intervenuta
successivamente.
75
52
obbligazioni civili derivanti dal reato 80 . Pertanto, persiste l’obbligo al pagamento delle
spese processuali e non risulta esclusa la legittimità del recupero delle spese di
mantenimento in carcere per pena già espiata ovvero per custodia cautelare 81 , obbligo
previsto dall’art. 188 c.p. che è collocato nel Titolo VII, del medesimo Libro, dedicato
alle sanzioni civili derivanti da reato.
Ulteriore spunto di analisi è offerto dal rapporto sussistente tra l’efficacia
estintiva dell’amnistia e le misure di sicurezza. Come già anticipato 82 , in caso di
amnistia va applicato indifferentemente il comma 1 dell’art. 210 c.p., ai sensi del quale
l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare
l’esecuzione.
Unica espressa eccezione a tale regola risulta essere, ex art. 236, comma 2,
c.p. 83 , la confisca. Presupposto indefettibile di tale misura di sicurezza è che sussista
una sentenza irrevocabile di condanna del colpevole 84 . Pertanto, ne è pacifica
l’applicabilità in caso di amnistia impropria, strumento di clemenza che comporta una
condanna e quindi l’accertamento del fatto, mentre più articolata è la giustificazione
dottrinale posta a legittimazione dell’operatività della confisca nella circostanza di
un’amnistia propria, ove inevitabilmente difetta il prerequisito della condanna. Sono
state elaborate due differenti interpretazioni per ovviare a tale ostacolo, la prima delle
quali ritiene sempre applicabile la confisca, sia essa facoltativa o obbligatoria, in virtù
del combinato disposto degli artt. 210 e 236, comma 2, c.p. 85 . La seconda proposta,
invece, ritiene necessario distinguere tra ‘cose suscettibili di confisca facoltativa’ e
‘cose suscettibili di confisca obbligatoria’. Nel primo caso “l’amnistia propria ben può
estinguere la misura cautelare (pur) difettando l’imprescindibile requisito della sentenza
di condanna” 86 , mentre nel secondo caso “nella sola ipotesi di confisca obbligatoria
80
Sempre ad eccezione di quelle previste dagli artt. 196 e 197 c.p. L’art. 198 c.p., sottoposto al vaglio
della Corte costituzionale, è stato dichiarato legittimo con sentenza Corte Cost., 2 aprile 1964, n. 30, in
Giurisprudenza costituzionale, 1964, p. 250 ss.
81
Così in dottrina, a titolo di esempio, DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 310, e recentemente
POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 6; in giurisprudenza Cass., 3 marzo
1992, Zuccaro, C.E.D. Cass., n. 189238.
82
V. supra, nota 56.
83
In base al quale: “si applicano anche alle misure di sicurezza patrimoniali (…), salvo che si tratti di
confisca, le disposizioni (…) dell’articolo 210”.
84
Cfr. Cass., 10 ottobre 1985, Basile, in Cassazione Penale, 1986, p. 1073 ss.
85
Posizione oggi minoritaria. Tra i sostenitori v., ad esempio, FIANDANCA G. - MUSCO E., Diritto penale,
op. cit., p. 797, e BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 588; in
giurisprudenza Cass., 12 gennaio 1988, Palombo, C.E.D. Cass., n. 177374.
86
Così BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1368.
53
avente ad oggetto cose intrinsecamente ed obiettivamente criminose, ex art. 240, comma
2, n. 2, c.p. 87 , la confisca trova applicazione nonostante l’amnistia propria del reato,
poiché non è richiesta alcuna indagine di fatto del giudice” 88 .
Comune ad entrambe le tipologie di amnistia risulta essere la disciplina da
applicarsi nelle ipotesi di realizzazione plurisoggettiva. L’art. 182 c.p. dispone che le
cause estintive, tanto della pena quanto del reato, operano esclusivamente nei confronti
dei soggetti cui si riferiscono. Ne segue che gli effetti del provvedimento di clemenza
non si comunicano ad eventuali compartecipi, ed il reato (oppure la pena) ben può
venire dichiarato estinto nei confronti di taluno dei correi ma non degli altri 89 .
Per concludere, pare opportuno un cenno al fatto che la medesima dottrina che
abbraccia la distinzione tra amnistia propria e impropria, ed è solita avvalersene per
comodità classificatoria e chiarezza espositiva, tuttavia non si spinge mai sino ad
affermare l’esistenza di una reale distinzione funzionale tra le due tipologie 90 . A
conseguenza di ciò l’istituto dell’amnistia deve comunque considerarsi unitario, in virtù
“di una generale, anche se articolata, incidenza della causa estintiva sul piano delle
conseguenze giuridiche che ordinariamente dovrebbero seguire alla commissione di un
87
Ossia solamente in relazione alle cose delle quali sono vietate in modo assoluto la detenzione, la
fabbricazione, l’uso, il porto, o l’alienazione.
88
V. MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 457. In accordo su tale tesi:
MONTANINI G., voce Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 2; DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151,
in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 157; KOSTORIS S., Amnistia e indulto, op. cit., p. 51.
Posizione avallata in giurisprudenza dalle Sezioni unite con la sentenza 23 aprile 1993, Carlea, in
Cassazione Penale, 1993, p. 1670 ss.
89
Cfr. DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 306; MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p.
485; MARINI G., voce Amnistia e indulto nel diritto penale, op. cit., p. 146; BENUSSI C., Commento
all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1368; ed altri.
Contra BETTIOL G., Diritto penale, op. cit., p. 827, sulla base del rilievo per cui, considerata la natura
‘oggettiva’ della causa estintiva, l’effetto del provvedimento opererebbe sui reati, e non sulle persone.
Tali conclusioni, seppur poggianti su rilievi corretti, non risultano condivisibili stante la diversa volontà
legislativa desumibile dal combinato disposto degli artt. 182 e 151, commi 4 e 5, c.p., secondo i quali
“l’effetto estintivo viene limitato in funzione o delle qualità personali degli autori o dell’inottemperanza,
da parte di uno o più di essi, alle condizioni eventualmente imposte dal provvedimento di concessione”
(v. BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1368).
90
Tra i tanti, v. DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 309; POMANTI P., voce Amnistia e Indulto
(dir. processuale), op. cit., p. 6; BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a
cura di), op. cit., p. 1366; ANTONINI E., Contributo alla dommatica, op. cit., p. 179; I rapporti fra
l’amnistia e l’estinzione del reato per intervenuta applicazione di sanzioni sostitutive a richiesta
dell’imputato: nel D.P.R. 16 dicembre 1986 n. 865. Spunti per una riflessione sul fenomeno estintivo, in
Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1988, p. 175. In tale ultimo contributo l’Autore è
particolarmente preciso ed ampio sul punto, ad esempio laddove afferma che “la graduazione
dell’efficacia estintiva disposta dal legislatore a seconda del momento in cui l’amnistia interviene non è
stata considerata, però, tale da far confondere l’amnistia impropria con le cause di estinzione della pena,
rispetto alle quali avrebbe comunque una efficacia più ampia” (p. 175).
54
fatto preveduto dalla legge come reato” 91 . A favore di tale tesi si pone il fatto che
nessun rilievo di incostituzionalità è mai stato formulato dalla Corte costituzionale a
proposito della differente portata estintiva del duplice istituto dell’amnistia 92 .
3.2 Il concorso con altre cause di estinzione del reato e di proscioglimento.
La coesistenza nel nostro ordinamento penale di diverse cause di estinzione del
reato e della pena, dotate ciascuna di effetti estintivi di differente ampiezza, ha
comportato nel tempo la necessità di puntualizzare alcuni criteri per l’applicazione
prioritaria di esse 93 .
Si è stabilito anzitutto che “l’accertamento deve avere riguardo agli effetti che
comporta l’applicazione dell’una piuttosto che dell’altra, uniformando il giudizio al
principio del favor rei” 94 , ossia dando la preferenza alla causa estintiva in grado di
produrre effetti più vantaggiosi per l’imputato.
In secondo luogo, nell’eventualità in cui gli strumenti estintivi abbiano pari
efficacia interviene in via sussidiaria il criterio cronologico, ai sensi del quale è da
applicarsi la causa estintiva intervenuta per prima, così come sancito dall’art. 183,
comma 3, c.p. 95 .
91
Così ANTONINI E., Contributo alla dommatica, op. cit., p. 180.
Questione di legittimità in merito a tale distinzione è stata prospettata alla Corte in due occasioni, ed in
entrambi i casi è stata rigettata. La presunta ‘disparità di trattamento’ risulterebbe determinata dal fatto
che l’art. 151 fa riferimento, quale criterio per applicare l’una o l’altra forma di amnistia, al momento
della condanna anziché a quello della commissione del fatto, con la conseguenza che chi viene giudicato
prima risulterebbe penalizzato rispetto a chi viene giudicato dopo. Questione respinta, come anticipato,
sul presupposto che si tratta di situazioni oggettivamente diverse, e come tali implicanti una disciplina
differente.
93
Come sottolinea ANTONINI E., Contributo alla dommatica, op. cit., p. 188, “la possibilità che una causa
di estinzione possa operare anche quando il reato sia già dichiarato estinto non solo è riconosciuta dalla
legge quando disciplina il concorso di cause estintive, ma è insita nel sistema stesso, quale è disciplinato
dal codice, che raggruppa sotto una unica categoria fatti della più varia natura ai quali attribuisce una
particolare e diversa efficacia estintiva sulle conseguenze giuridiche del reato, talvolta limitata alla pena
principale, altre volte estesa alle pene accessorie o anche a tutti o ad alcuni degli effetti penali”.
94
Cfr. C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1373. In
giurisprudenza Cass., 12 ottobre 1978, Lombardo, in Cassazione Penale, 1980, p. 435 ss..
95
Il comma 3 si completa, nella sua seconda parte, con l’affermazione ai sensi della quale eventuali effetti
che siano sopravvissuti all’applicazione di una causa estintiva, possono cessare in seguito al successivo
intervento di una causa più favorevole. In ANTONINI E., I rapporti fra l’amnistia e l’estinzione del reato,
op. cit., p. 184 ss., l’Autore sottolinea come, generalmente, dottrina e giurisprudenza siano solite dare a
tale criterio della ‘priorità’ un differente significato: “è infatti ricorrente l’affermazione che, nell’ipotesi di
concorso in tempi diversi di cause estintiva omogenee, quella intervenuta per prima va applicata quando
abbia efficacia pari all’altra. Implicitamente si riconosce dunque la prevalenza della causa successiva
quando questa abbia una portata estintiva superiore, raffigurando un meccanismo operativo diverso da
92
55
Venendo al raffronto tra le singole cause estintive, l’amnistia propria risulta
essere la causa che produce i maggiori effetti estintivi, purché sia incondizionata96 . Essa
è sicuramente più favorevole al reo rispetto alla sospensione condizionale della pena
(art. 163 c.p.) ed alla remissione della querela (art. 152 c.p.), in quanto da tali cause
derivano comunque oneri di natura economica.
La giurisprudenza è inoltre costante nell’affermarne la prevalenza sulla
pronuncia di non luogo a procedere per difetto di imputabilità (ex art. 88 c.p.),
statuizione che presuppone la materiale riferibilità del fatto all’imputato poiché il reato
persiste non solo come fatto storico, ma anche negli elementi delle colpevolezza 97 . Ad
un accertamento processuale, infatti, generalmente consegue l’applicazione di una
misura di sicurezza detentiva 98 .
Sotto la vigenza del codice di rito datato 1930, tale forma di clemenza prevaleva
altresì sull’assoluzione per insufficienza di prove, pronunciata laddove mancasse
l’evidenza della prova circa l’insussistenza del fatto o l’incolpevolezza dell’imputato o
la mancata previsione del fatto come reato, ai sensi dell’art. 152 c.p.p. abrogato. Ciò
perché “il ricorso alla formula dubitativa di proscioglimento è pienamente giustificato
anche quando siano presenti elementi di prova a carico dell’imputato accanto ad
elementi contrari ma non idonei ad escludere la sussistenza del reato” 99 . Nonostante la
modifica del codice di rito, la dottrina odierna ritiene che detta opinione sia applicabile
anche all’ipotesi prevista dall’art. 530, comma 2, c.p.p., ove il giudice pronunzia
sentenza di assoluzione quando la prova che il fatto sussista o che l’imputato lo abbia
commesso è contraddittoria o insufficiente 100 .
quello previsto dall’art. 183 comma 3 c.p. per arrivare allo stesso risultato della estinzione del maggior
numero o della totalità di effetti prodotti dal reato.
Risulta necessaria una ulteriore precisazione. Con quanto stabilito all’art. 183 il legislatore si riferisce
esclusivamente agli effetti penali del reato, regolando quelli civili con altre disposizioni (artt. 198 c.p. e
2947 c.c.). Conseguentemente “è irrilevante, agli effetti civili, il verificarsi di una causa estintiva
successivamente alla data di amnistia onde il giudice penale dell’impugnazione è tenuto, in caso di
applicazione dell’amnistia a pronunziarsi sul gravame ai soli effetti civili”. Così BENUSSI C., Commento
all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1373.
96
Ove l’applicabilità del provvedimento di amnistia sia sottoposta a condizioni od obblighi (v. infra par.
3.6) essa appare, invece, meno favorevole per il reo.
97
V. Cass., 27 giugno 1991, Giordano, in Cassazione Penale, 1992, p. 3025 ss. Differentemente avviene
in caso di amnistia, dal momento che l’art. 129, comma 1, c.p. preclude qualsivoglia giudizio di merito (v.
supra par. 3.1).
98
In tal senso: DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p.
159 e BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1375.
99
Cfr. BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 589.
100
Divisa invece la giurisprudenza. Secondo un filone giurisprudenziale dovrebbe essere ritenuta
56
Allo stesso modo, la declaratoria di amnistia prevale sulla formula di
proscioglimento mediante concessione del perdono giudiziale (ex art. 169 c.p.), ritenuto
meno favorevole per l’imputato minorenne in quanto presuppone necessariamente un
giudizio di colpevolezza dello stesso ed inoltre non può essere concesso più di una
volta 101 .
Lo strumento di clemenza collettiva in esame è ritenuto ‘superiore’ anche in
rapporto ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione. La giurisprudenza
della Cassazione precisa come ciò sia pacifico in caso di “inammissibilità originaria del
gravame, mentre nel caso di inammissibilità sopravvenuta si ritiene che tale circostanza
non osti alla declaratoria di estinzione” 102 .
E’ stato ipotizzato, inoltre, un concorso tra l’amnistia e la causa estintiva
prevista dall’art. 77 della legge 689/1981 103 , discorso che oggigiorno risulta adattabile
all’istituto dell’applicazione della pena su richiesta, di cui all’art. 444 c.p.p. La
maggioranza
degli
Autori
sostiene
la
prevalenza
della
prima,
intervenuta
successivamente all’applicazione della seconda, sempre fedeli alla motivazione per cui
essa, comportando per il giudice l’obbligo di non procedere ulteriormente, risulta dotata
di un’efficacia abolitiva completa 104 , mentre l’altra pronuncia ha pur sempre natura di
prevalente la formula maggiormente liberatoria di assoluzione rispetto a quella di estinzione del reato (v.
Cass., 8 novembre 1991, Brendolan, in Cassazione Penale, 1993, p. 330 ss.); contra l’opposta tesi in base
alla quale prevalenza va data alla formula di proscioglimento per estinzione del reato (v. Cass., 27
febbraio 1990, Franza, in Archivio della nuova Procedura Penale, 1991, p. 265 ss.). Quest’ultima
conclusione ha ottenuto l’avallo della Corte costituzionale (v. Corte cost., ord. 26 giugno 1991, n. 300, in
Giurisprudenza costituzionale, 1991, p. 2337 ss.), la quale ha dichiarato infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 129, comma 2, c.p., “in relazione alla circostanza che a seguito del
provvedimento di clemenza, risulterebbe preclusa all’imputato l’assoluzione con la più favorevole
formula, mentre, nella stessa situazione probatoria di prova insufficiente, l’imputato di un più grave reato
non coperto da amnistia si gioverebbe della formula dell’insussistenza del reato” (cfr. DIOTALLEVI G.,
Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 158 ss.).
101
Dottrina tanto sintetica quanto unanime sul punto. La giurisprudenza risulta costante, da ultimo Cass.,
24 ottobre 1990, Antonutti, in Cassazione penale, 1992, p. 1028 ss.
102
DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 155.
Giurisprudenza non recente sul tema: v. Cass., 3 marzo 1971, Giunco, in Cassazione penale, 1972, p.
1315 ss.
103
Limitatamente alle ipotesi di sopravvivenza dell’istituto previste dall’art. 248, comma 4, delle norme
di attuazione del nuovo codice di procedura penale, ai sensi del quale continuano ad applicarsi le
disposizioni in materia di applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell’imputato, a norma della l.
689/1981, solo laddove la richiesta medesima sia stata formulata anteriormente all’entrata in vigore del
codice.
104
V. TRAPANI M., Le sanzioni penali sostitutive, Padova, 1985, p. 307; ANTONINI E., I rapporti fra
l’amnistia e l’estinzione del reato, op. cit., p. 166 ss.; BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. –
ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 589; BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI
G. (a cura di), op. cit., p. 1373. In giurisprudenza, fra le tante, Cass., 19 dicembre 1990, P.G., in Rivista
penale, 1991, p. 957 ss. Peraltro tale tesi ha trovato espressa conferma da parte del legislatore che, all’art.
57
sentenza di condanna e comporta comunque l’applicazione di una sanzione, per quanto
patteggiata. Una ulteriore argomentazione a sostegno della tesi esposta si appella al
rispetto del principio di uguaglianza: “l’inapplicabilità dell’amnistia susciterebbe infatti
legittimi dubbi di incostituzionalità perché finirebbe con l’essere favorito chi, non
avendo chiesto le sanzioni, fosse stato condannato a pena detentiva” 105 .
La legge 689/1981 viene in evidenza anche in una ulteriore ipotesi di concorso:
quello configurabile tra la declaratoria di amnistia e l’assoluzione con la formula
‘perché il fatto non è previsto dalla legge come reato’ a seguito di successiva
disposizione di depenalizzazione che abbia trasformato il reato in illecito
amministrativo, compresenza che dottrina e giurisprudenza risolvono in senso
favorevole alla prima 106 .
L’amnistia propria e la prescrizione sono invece considerate cause estintive del
reato dotate di pari efficacia, pertanto nell’eventualità in cui concorrano deve applicarsi
quella tra le due che sia intervenuta per prima 107 . Per determinare tale priorità si deve
1, lett. i), l. 861/1986, ha implicitamente dichiarato la priorità dell’amnistia laddove dispone che “Il
Presidente della Repubblica è delegato a concedere amnistia: (...) per i reati per i quali è stata
pronunciata sentenza estintiva del reato per intervenuta applicazione della sanzione sostitutiva a norma
dell’art. 77 della legge 24 novembre 1981, n. 689”.
Contra l’opinione di altri Autori, riportata da BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G.
(a cura di), op. cit., p. 589, v. ivi per i dovuti riferimenti bibliografici, i quali, attribuendo natura
amministrativa all’applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta, escludono conseguentemente la
possibilità che si configuri un concorso fra cause estintive ai sensi dell’art. 183 c.p..
La prevalenza dell’amnistia è stata sostenuta da TRAPANI M. anche ipotizzando un suo intervento dopo il
passaggio in giudicato della sentenza con la quale sia stata applicata la pena sostitutiva su richiesta della
parte, ciò allo scopo di far cessare l’esecuzione di detta sanzione. Resterebbero comunque fermi, in tale
ipotesi, gli effetti penali della condanna, dal momento che in questo caso l’amnistia dovrebbe essere
considerata impropria.
Ostacoli a tale soluzione sono stati prospettati, precedentemente all’entrata in vigore del nuovo codice di
rito, con riferimento pertanto al citato articolo 77, sulla base del fatto che l’amnistia impropria presuppone
una sentenza di condanna, statuizione che secondo alcuni Autori mancherebbe nell’ipotesi prevista da tale
norma, ai sensi della quale viene dichiarata con sentenza l’estinzione del reato (v. ANTONINI E., I rapporti
fra l’amnistia e l’estinzione del reato, op. cit., p. 191). Situazione di incertezza normativa che risulta oggi
superata, stante il contenuto dell’art. 445, comma 1 bis, c.p.p., in base al quale la sentenza prevista
dall’art. 444, comma 2, c.p.p., deve essere equiparata ad una sentenza di condanna. In tal senso in
giurisprudenza v. Cass., 18 ottobre 1988, Lupi.
105
In tali termini ed ampiamente sull’argomento: ANTONINI E., I rapporti fra l’amnistia e l’estinzione del
reato, op. cit., p. 187.
106
Ciò in quanto il fatto depenalizzato resta sempre perseguibile come illecito amministrativo, v. Cass.,
28 maggio 1985, Monaco, in Rivista penale, 1986, p. 302 ss.
107
La questione è stata caratterizzata per lungo tempo da contrasti giurisprudenziali. A sostegno della tesi
maggioritaria, ora esposta, si veda tra le più recenti Cass., 22 gennaio 1991, Bonzagni, in Rivista penale,
1992, p. 427 ss., contra Cass., 23 ottobre 1978, Scileona, in Giustizia penale, 1979, II, p. 409 ss., nella
quale si afferma che la prescrizione deve essere applicata in luogo dell’amnistia, anche se successiva, in
quanto determinerebbe effetti più favorevoli. Per un’analisi dettagliata del progredire della controversia v.
RAMAJOLI S., In tema di concorso di cause estintive del reato (amnistie e prescrizione): criteri
determinativi della priorità nell’applicazione, in Cassazione penale, 1987, II, p. 1908 ss. Per dirimere il
58
tenere conto, per la prescrizione, del momento in cui matura il termine stabilito dagli
artt. 157 e 160 c.p., mentre per l’amnistia è necessario fare riferimento alla data
dell’entrata in vigore del provvedimento che la concede 108 .
Le nullità, invece, non godono della certezza dell’applicazione di una regola
generale, dovendosi di volta in volta operare una distinzione tra quelle che siano tali da
inficiare in toto la validità dell’esercizio dell’azione penale da tutte le altre tipologie.
Unicamente nella prima ipotesi esse sono da considerarsi prevalenti sulle cause di
estinzione del reato 109 .
L’amnistia, differentemente, è sempre recessiva dinanzi all’esame di una
questione di legittimità costituzionale. La giurisprudenza, infatti, trovatasi a valutare il
rapporto di pregiudizialità sussistente tra le due opzioni, ha prevalentemente affermato
l’ammissibilità della questione 110 .
In conclusione, rimane da esaminare il contrasto giurisprudenziale sorto in
occasione della identificazione di un criterio idoneo a regolare ipotesi di compresenza
tra causa di estinzione del reato e causa di improcedibilità dell’azione penale. Le
Sezioni unite hanno affermato la prevalenza delle cause di improcedibilità 111
sostenendo che “la pretesa punitiva non può essere ammessa o non può essere
proseguita se facciano difetto le condizioni all’uopo richieste” 112 . Tuttavia, si consideri
che dal punto di vista del soddisfacimento del principio del favor rei le posizioni sono
ad oggi contrastanti. Un primo orientamento ritiene maggiormente favorevole il
provvedimento di clemenza, in base al quale il giudice ha l’obbligo di dichiarare
l’estinzione del reato senza esaminare ulteriori questioni 113 . In altre pronunce, invece, si
contrasto è intervenuta infine la Corte nella composizione a Sezioni unite, con sentenza 25 maggio 1982,
Pinna, in Cassazione penale, 1982, p. 1491 ss., abbracciando la prima tesi. La giurisprudenza successiva
si è uniformata.
108
Chiarificazioni necessarie alla corretta applicazione della regola enunciata, fornite da Cass., 1 marzo
1984, Cozzuto, in Rivista penale, 1984, p. 979 ss. Aggiunge Cass., 9 luglio 1993, Bambini, in Rivista
penale, 1994, p. 572 ss., che l’onere della prova circa l’epoca del reato non grava sull’imputato bensì
sull’accusa.
109
Cfr. Cass., 22 gennaio 1991, Bonzagni, cit..
110
V. Cass., 27 ottobre 1970, Franzi, in Giurisprudenza italiana, 1971, II, p. 531 ss.. Sul punto cfr.
DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 154.
111
Sentenza 1 marzo 1983, Di Giovanni, in Cassazione penale, 1984, p. 815 ss.
112
Ampiamente sulla questione BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a
cura di), op. cit., p. 1373 ss. L’Autore fornisce quale esempio la dichiarazione di improcedibilità per
difetto di querela. La tesi della prevalenza sull’amnistia risulta in tal caso sostenuta anche dalla
constatazione che un giudice che non è mai stato investito dell’azione penale non può certo pronunziarsi
sulla esistenza o meno della pretesa punitiva statuale.
113
V. Cass., 10 febbraio 1961, Conforti, in Giustizia penale, 1961, III, p. 438 ss.
59
afferma come “più favorevole una sentenza che dichiari che il fatto, in mancanza di
querela, non è neppure assurto a rilevanza penale” 114 . Più recentemente, assumendo
quale motivazione la conservazione dell’economia processuale, la giurisprudenza
sembra costante nel sostenere la prima tesi 115 .
3.3 Il tempus commissi delicti ai fini dell’applicazione del beneficio.
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 79 Cost. e 151, comma 3, c.p., la sfera
di efficacia dell’amnistia comprende esclusivamente quei reati che siano stati commessi
anteriormente alla presentazione del disegno di legge, fatta salva la possibilità, in capo
al legislatore, di fissare con la legge di concessione un limite temporale ancora più
arretrato 116 .
Per determinare se un reato sia suscettibile di essere investito dagli effetti del
provvedimento di clemenza occorre fare riferimento al tempus commissi delicti, la cui
determinazione non risulta sempre agevole.
Al fine di collocare nel tempo il fatto di reato, la dottrina ha elaborato differenti
canoni: criterio della condotta, “per cui si deve avere riguardo al momento in cui è stata
realizzata l’azione o l’omissione”; criterio dell’evento, “secondo cui è decisivo il
momento in cui si è prodotto il risultato lesivo e che sarà l’evento nei reati di evento e
l’atto di conclusione della condotta nei reati di mera condotta”; ed infine criterio misto,
“che guarda indifferentemente alla condotta e all’evento a seconda del risultato più
favorevole per il reo” 117 . Tra questi, tuttavia, è generalmente ritenuto preferibile quello
basato sulla condotta, in virtù del fatto che è proprio in tale istante temporale che “si
realizza la ribellione del soggetto alla legge e si esplica l’efficacia intimidatrice della
legge stessa” 118 , con la conseguenza che la formula ‘reato commesso’ è da considerarsi
114
BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1374. Il
riferimento corre, quale più recente esempio, a Cass. S.U., 24 giugno 1982, Agus, in Cassazione penale,
1982, p. 1729 ss.
115
V. Cass., 14 maggio 1985, Pratesi, in Rivista penale, 1986, p. 304 ss.; Cass., 19 novembre 1984,
Guarino, in C.E.D. Cass., n. 166772; e molte altre (per un elenco completo di sentenze e riferimenti
bibliografici sul tema delle cause di improcedibilità v. BENUSSI C., op. ult. cit.).
116
Argomento affrontato ed esaurito supra, par. 2.
117
Definizioni ad opera di BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di),
op. cit., p. 1355-56.
118
Di nuovo BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p.
1356. In accordo sul punto anche MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 458.
Contra, a sostegno della tesi che il tempus commissi delicti debba coincidere con l’integrale realizzazione
60
equivalente a quella di reato ‘consumato’ 119 .
Acquisiti i necessari presupposti metodologici risulta possibile individuare il
termine in questione, che nei fatti dolosi viene a coincidere con il momento di
realizzazione dell’ultimo atto della condotta assistito dal dolo, mentre nei fatti colposi
con la realizzazione dell’atto tipico, ossia dal primo comportamento idoneo a fare
configurare la colposità 120 .
La medesima applicazione del criterio scelto porta a concludere che, invece, nei
reati omissivi, il momento in cui considerare ‘commesso’ il fatto viene a coincidere con
il giorno in cui non si è compiuta l’azione dovuta 121 .
Un cenno anche alla disciplina dei reati istantanei e di quelli a condotta
frazionata, per i quali il termine coincide, rispettivamente, con il giorno in cui si è
compiuta l’azione e con l’ultimo atto rilevante ai fini dell’integrazione della fattispecie
tipica 122 , ed altresì ai reati cd. condizionati, considerati ‘commessi’ dal giorno del
verificarsi della condizione oggettiva di punibilità cui sono subordinati 123 .
Nei reati definiti ‘di durata’, invece, l’individuazione del tempus commissi
delicti si presenta meno immediata, a causa della estensione sulla linea temporale della
fase commissiva del fatto.
In tema di reato continuato 124 la giurisprudenza si è mantenuta fedele negli anni
al medesimo indirizzo in base al quale, ai fini dell’applicazione dell’amnistia, occorre
scindere i vari episodi criminosi di cui il reato si compone, e considerarli
singolarmente 125 . Pertanto una volta effettuata tale operazione, nell’ipotesi che alcuni
del fatto di reato (‘consumazione’), v. ad esempio MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 467;
ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p.
26. In BENUSSI C. è rinvenibile una critica a tale tesi, peraltro minoritaria, fondata sul fatto che “l’esigenza
di radicare nel tempo il fatto di reato non va confusa con quella di individuare le singole figure estinte dal
provvedimento di amnistia”.
119
V. BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 590. Difficoltà
sono sorte, pertanto, circa la disciplina dei tentativi di reato, per i quali v. infra par. 5.1.
120
Ipotesi analizzate da BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di),
op. cit., p. 1356; e MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 458.
121
Ossia il giorno successivo all’ultimo utile per compierla. Cfr. BENUSSI C., op. cit., p. 1356; e
MARZAGALLI C., op. cit., p. 458; ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. –
PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 26.
122
Quest’ultima regola risulta applicabile altresì alle ipotesi di tentativo, cfr. infra par. 5.1.
123
Così ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op.
cit., p. 26; FIANDANCA G. - MUSCO E., Diritto penale, op. cit., p. 778.
124
Che consiste essenzialmente in un concorso materiale di reati, unificati dal medesimo disegno
criminoso (MARINUCCI G. – DOLCINI E., Manuale di diritto penale, op. cit., p. 318).
125
V. tra le più recenti: Cass., 18 marzo 1988, Miliotti, in Rivista penale, 1989, p. 460 ss.; Cass., 19
dicembre 1983, Franciosi, in Giustizia penale, 1984, II, p. 484 ss.. Dottrina uniforme sul punto, in
61
reati siano stati commessi anteriormente alla data limite indicata nel provvedimento
mentre altri solo in momenti successivi, l’amnistia produrrà effetti estintivi
esclusivamente con riferimento ai primi 126 . La ratio di tale orientamento è la medesima
cui si ispira l’art. 81 c.p., nel quale la fictio iuris dell’unificazione delle condotte è volta
ad attenuare l’effetto del cumulo materiale delle pene, conseguentemente la medesima
unificazione non può risolversi in uno svantaggio per l’imputato laddove non consenta
l’applicazione di un provvedimento di clemenza 127 .
In tema di reato permanente, caratterizzato dal perdurare della condotta
antigiuridica dipendente dalla volontà del reo, il momento consumativo viene ravvisato
nel compimento dell’ultimo atto della condotta tipica, ossia quando cessa il
mantenimento dello stato antigiuridico128 . Caratteristica predominante del reato
accordo al consolidato filone giurisprudenziale, v. ad esempio: BENUSSI C., Commento all’art. 151, in
DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1358; DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in
LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 163; ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. –
GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 26; nonché i meno recenti DELL’ANDRO R., voce
Amnistia, op. cit., p. 310; KOSTORIS S., Amnistia e indulto, op. cit., p. 42.
126
Cfr. MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 458. Ovviamente il beneficio
verrà applicato solamente nel caso in cui tali reati superino la valutazione delle condizioni soggettive ed
oggettive di esclusione dal beneficio (Così KOSTORIS S., Amnistia e indulto, op. cit., p. 42), e tenendo in
considerazione il fatto che l’amnistia propria si applica in ogni caso, mentre quella impropria
esclusivamente ove non risulti impossibile la scissione della pena (Cfr. DELL’ANDRO R., voce Amnistia,
op. cit., p. 311).
127
Cfr. Cass., 15 marzo 1971, Strazzulla, in Guistizia penale, 1972, II, p. 447 ss.; Cass., 18 marzo 1974,
Evacuo, ivi, 1975, II, p. 217 ss.; Cass., 8 novembre 1971, Angeli, in Cassazione penale, 1973, p. 270 ss..
In dottrina DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 163;
KOSTORIS S., Amnistia e indulto, op. cit., p. 42.
Particolare applicazione delle regola generale si è avuta con i decreti di amnistia 4 agosto 1978, n. 413, e
18 dicembre 1981, n. 774, all’interno dell’art. 2, ultimo comma. Tale norma non prevede la semplice
scissione del reato in tanti ‘tempi’ quanti sono i reati che lo compongono, bensì che “non si applichi
l’amnistia quando il reato più grave e uno degli altri reati siano esclusi dall’amnistia stessa; che invece,
ove sia escluso dall’amnistia solo il reato più grave, il beneficio si applichi a tutti gli altri reati ed infine
che, ove siano esclusi uno o più dei reati che diano luogo all’aumento di pena, ma rientri nel beneficio il
reato più grave, l’amnistia si possa applicare solo a quest’ultimo”, v. MONTANINI G., voce Amnistia e
indulto (dir. pen.), op. cit., p. 5. Disposizione peraltro ritenuta applicabile solamente nell’ipotesi di
amnistia impropria, mentre per l’amnistia propria continua ad essere valido il principio generale. Cfr.
Cass. S.U., 21 aprile 1979, Chiampi, in Cassazione penale, 1979, p. 1483 ss.
128
Cfr. in questo senso, per la dottrina, anzitutto VASSALLI G., Amnistia, decorrenza del termine e
interruzione giudiziale della permanenza nei reati punibili a querela di parte, in Rivista italiana di diritto
e procedura penale, 1958, II, p. 1153 ss.. Sul punto anche DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in
LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 163; ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. –
GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 27; BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. –
MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1356; MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit.,
p. 458; POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 6; ed infine MONTANINI G.,
voce Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 5, il quale sottolinea come, in ottemperanza al principio del
favor rei, la prova del protrarsi della permanenza oltre il termine indicato nel decreto risulta essere a
carico dell’accusa e non può presumersi, mentre in mancanza di detta prova la permanenza si intende
cessata entro la data di applicabilità del provvedimento di amnistia (cfr. Cass., 3 maggio 1993, Bambini,
in Cassazione penale, 1994, p. 2084 ss.).
62
permanente è infatti l’unitarietà, che lo differenzia dal reato continuato del quale
emerge, invece, “l’intrinseca pluralità di reati che ne fanno parte” 129 . La giurisprudenza
in passato sosteneva invece una tesi differente, basata su una concezione del reato
permanente molto simile a quella del reato continuato, teoria ai sensi della quale era
considerata possibile e doverosa una “scissione del reato stesso in una pluralità di illeciti
autonomi”. Quale conseguenza logica, l’amnistia sarebbe applicabile a quella parte di
reati che risultino consumati prima del vincolo temporale130 . Oggigiorno prevale,
invece, l’orientamento opposto, secondo il quale non è possibile scomporre la condotta
al fine di dichiarare estinto almeno in parte il reato, cosicché le cause estintive possono
operare solamente laddove sia cessata la permanenza 131 dal momento che “uno e
identico, infatti, è il bene leso nel corso della durata dell’azione od omissione” 132 .
Difficoltà interpretative sono state riscontrate anche in merito ai reati cd.
abituali 133 , costituiti da una pluralità di condotte che, se singolarmente realizzate,
potrebbero godere di una loro rilevanza autonoma in relazione alla causa estintiva. La
dottrina è divisa sul punto, poiché a fronte di coloro che sostengono l’avvenuta perdita
di individualità delle condotte componenti il reato, con il conseguente sorgere di una
unica punibilità 134 , altri Autori propendono per l’identificazione del tempus commissi
delicti nel “momento di assunzione di autonoma rilevanza penale delle «parti» che lo
compongono” 135 . Tale seconda ipotesi, tuttavia, non risulta condivisibile alla luce della
129
V. ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op.
cit., p. 27.
130
In tal senso, per la giurisprudenza di legittimità, Cass., 27 maggio 1971, Mazza, in Rivista italiana di
diritto e procedura penale, 1971, p. 1260 ss.; Cass., 9 novembre 1972, Vanani, in Giustizia penale, 1973,
II, p. 279 ss.; Cass., 2 marzo 1973, Trifirò, in Giustizia penale, 1973, II, p. 737 ss.
131
Occorre precisare che, a tal fine, la cessazione naturale della permanenza è stata equiparata a quella
giudiziale, prodotta con la sentenza di primo grado, anche non irrevocabile, oppure dal decreto di
citazione a giudizio nel quale venga determinato con certezza il momento di cessazione, ciò benché in
realtà la condotta antigiuridica si sia protratta “oltre il momento finale risultante dalla contestazione e
oltre la data stabilita dal decreto di amnistia” (DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. –
LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 164).
132
BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1359. Per la
giurisprudenza prevalente: Cass., 17 novembre 1988, Militotti, in Cassazione penale, 1989, p. 2203 ss.;
oppure Cass., 19 ottobre 1988, Mammone, ivi, 1989, p. 2012 ss.. Così, a titolo esemplificativo, in ipotesi
di violazione degli obblighi di assistenza familiare, tanto di natura morale che materiale, la condotta non
può essere frazionata al fine di applicare l’amnistia ad uno dei comportamenti singolarmente considerati
(Cass., 23 febbraio 1985, Truffo, in Cassazione penale, 1986, p. 928 ss.).
133
Reati complessi, che esigono la reiterazione, anche ad apprezzabile distanza di tempo, di una pluralità
di atti (MARINUCCI G. – DOLCINI E., Manuale di diritto penale, op. cit., p. 308).
134
Ad esempio MARINI G., voce Amnistia e indulto nel diritto penale, op. cit., p. 146; BENUSSI C.,
Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1359.
135
Così ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op.
cit., p. 28; ed altresì DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 311, il quale però esamina separatamente
63
“avvenuta unificazione dei fatti (e non solo della sanzione loro applicabile)” 136 che
comporta una inevitabile differenziazione tra reato abituale e continuato, a
giustificazione della distinzione tra le due fattispecie riscontrabile anche sul piano
definitorio e classificatorio. Conseguentemente, l’effetto estintivo non si verifica se il
reato non risulta consumato in ogni sua parte entro il limite indicato nel provvedimento
di concessione.
Veniamo ora ai reati c.d. complessi 137 , il cui esame risulta semplificato
dall’esistenza di una espressa disciplina delle loro vicende estintive contenuta nell’art.
170, comma 2, c.p. Ai sensi di tale norma, gli effetti estintivi prodotti da una causa di
estinzione del reato non si applicano al reato semplice che sia elemento costitutivo o
circostanza aggravante di un reato complesso. Conseguentemente, non ne è possibile
l’estensione al reato complesso considerato nel suo insieme 138 . Evidente è la ratio della
previsione legislativa, mediante la quale si è voluto evitare che l’estinzione di un reato
semplice potesse paralizzare la nascita e la sanzionabilità di un reato (complesso) non
compreso tra quelli amnistiabili 139 .
L’art. 170 c.p. si occupa altresì di reato presupposto (comma 1), la cui estinzione
non si comunica all’altro reato (accessorio) 140 , e di reato connesso (comma 3), la
estinzione del quale opera autonomamente pur non estendendosi all’aggravamento di
pena previsto in caso di connessione dall’art. 61, n. 2, c.p. 141 .
Nell’ipotesi di concorso di reati l’art. 151, comma 2, c.p. dispone che, l’amnistia
i due tipi di reato abituale. Da un lato il reato abituale di prima specie, ossia più azioni non
autonomamente punibili, caratterizzato da una unica punibilità e pertanto beneficiario dell’amnistia
solamente laddove questa sia realmente sorta entro il termine perentorio. Dall’altro lato il reato abituale di
seconda specie, costituito da più azioni autonomamente punibili, che stante la sua forte somiglianza con il
reato continuato dovrebbe seguire il regime di quest’ultimo.
136
V. BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1359.
137
Sussistenti laddove la legge consideri come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un
solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato (cfr. art. 84 c.p.).
138
Quale esempio, nell’ipotesi in cui un provvedimento di amnistia annoveri tra i reati estinguibili quello
di violenza privata, non ne consegue l’estinzione del reato complesso di rapina (FIANDANCA G. - MUSCO
E., Diritto penale, op. cit., p. 778).
139
Il fine di evitare una eccessiva, e non legittima, estensione dell’ambito di applicazione del beneficio,
risulta pacifico in dottrina. V. DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 311; FIANDANCA G. - MUSCO
E., Diritto penale, op. cit., p. 778; BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a
cura di), op. cit., p. 1357.
140
Ossia estintosi per amnistia il reato di furto non può considerarsi estinta la ricettazione. V. BENUSSI C.,
Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1357; DELL’ANDRO R.,
voce Amnistia, op. cit., p. 312; KOSTORIS S., Amnistia e indulto, op. cit., p. 43.
141
MONTANINI G., voce Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 5; DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op.
cit., p. 312.
64
venga applicata ai singoli reati per cui è concessa 142 , vale a dire avuto riguardo a
ciascun tempo del commesso reato, stante l’adesione del legislatore penale alla
concezione definita ‘pluralista’ del concorso di reati. La regola enunciata risulta valida
tanto nell’ipotesi di amnistia propria quanto impropria, e sia nel caso di concorso
materiale che in quello di concorso formale di reati 143 .
Infine, laddove persista dubbio sull’individuazione della data di consumazione
del reato, ai fini della concessione dell’amnistia, la giurisprudenza è costante
nell’affermare che il giudice debba sempre attenersi all’ipotesi che risulti essere la più
favorevole per il reo 144 .
3.4 Amnistia e successione di leggi penali.
Uno tra i principi cardine del sistema penale italiano prevede che nel caso di
successione di leggi penali che disciplinino in maniera diversa il reato commesso, si
applichi quella che preveda un trattamento più favorevole al reo145 . L’efficacia
retroattiva della lex mitior si estende anche alle ipotesi di applicazione di amnistia,
nonostante non vi sia accordo in dottrina sugli eventuali limiti di tale trasposizione, né
la giurisprudenza sia lineare sul punto.
Il nodo centrale della discussione concerne l’attuazione del principio di cui sopra
nell’occasione di una successiva diversa qualificazione giuridica del fatto reato rispetto
a quella contenuta nel decreto di amnistia.
142
Cfr. Cass., 21 febbraio 1983, Guarnotta, in C.E.D. Cass., n. 157509, che nell’ipotesi di morte e lesioni
di una o più persone ex art. 589, comma 3, c.p., ha ritenuto applicabile l’amnistia alle lesioni colpose
considerandole autonome rispetto all’omicidio colposo.
143
Ossia commissione di più reati mediante più azioni od omissioni, e commissione di più reati con una
sola azione od omissione.
Annotasi che tale norma si applica anche alle ipotesi ‘minori’ di concorso di reato, ossia aberratio ictus
(art. 82 c.p.) e delicti (art. 83 c.p.), considerati come un caso peculiare di concorso formale: si applica
l’amnistia ai singoli reati che compongono la fattispecie. Sul punto v. DELL’ANDRO R., voce Amnistia,
op. cit., p. 312; BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 591;
BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1358.
In tutti i casi di concorso apparente di norme, invece, trattandosi di un solo reato, l’amnistia è
dichiarabile per il reato assorbente, mentre non è applicabile quella che copra solamente il reato assorbito,
dal momento che la punibilità per il reato assorbito è esclusa dalla punibilità per il reato assorbente. Al
reato progressivo è applicabile la medesima disciplina. Così DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p.
312.
144
Così Cass., 23 aprile 1994, Liaci, in Cassazione penale, 1995, p. 1856 ss.; Cass., 9 luglio 1993,
Bambini, cit.; Cass., 25 luglio 1991, Giordano, ivi, 1992, p. 3025 ss.. Tale principio risulta applicabile
anche alle altre cause estintive in forza del disposto dell’art. 531 c.p.p., così Cass., 23 aprile 1994, Liaci,
cit.; Cass., 9 luglio 1993, Bambini, cit..
145
Salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (art. 2, comma 3, c.p.).
65
In passato, la Cassazione era solita consentire l’applicazione retroattiva della
legge più favorevole solamente nell’eventualità in cui le innovazioni in mitius
concernessero il nomen iuris e non solamente i limiti quantitativi di pena 146 .
Diversamente accade in tempi più recenti, laddove risulta sufficiente una
modificazione del rapporto di punibilità che riguardi il solo tetto massimo di pena
condonabile per estendere l’ambito di efficacia del provvedimento a quei reati che
originariamente ne erano esclusi 147 .
Esempio eclatante del rapporto sussistente tra amnistia e successione di leggi
penali è ravvisabile in tema di disciplina del reato circostanziato. Anteriormente alla
riforma attuata con la legge 7 giugno 1974, n. 220, che ha conferito nuova formulazione
all’art. 69 c.p., e dunque in occasione del d.P.R. 283/1970 recante concessione di
amnistia e di indulto, non risultava ammesso il giudizio di comparazione tra attenuanti
comuni ed aggravanti specifiche. La Cassazione 148 , in attuazione del principio di cui
all’art. 2 c.p., ha giudicato corretta l’applicazione, in grado di appello, di tale giudizio
146
Cfr. Cass., 6 marzo 195, Belluomini, in Giustizia penale, 1951, II, p. 738 ss., ai sensi della quale “la
modificazione in mitius della legge penale successiva alla emanazione di un decreto di amnistia, giova per
l’applicazione di quest’ultimo, se importa la degradazione del nomen iuris del reato, ma non se riduce
semplicemente i limiti di pena”; ed altresì la successiva Cass., 2 luglio 1976, Salutini, in Rivista italiana
di diritto processuale penale, 1980, p. 492 ss..
In dottrina v. MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 432, il quale, al fine di giustificare tale
indirizzo parzialmente negativo, pare ricollegarsi all’art. 183 c.p. e alla ivi richiesta immediatezza
nell’applicazione delle cause estintive, regola che ostacolerebbe l’intervento di successive modificazioni.
147
Ad esempio Cass., 27 giugno 1990, Di Giuseppe, in Cassazione penale, 1990, p. 2095 ss.; Cass., 2
marzo 1988, De Benedettis, ivi, 1989, p. 1753 ss..
Quale punto di svolta per il fiorire di una critica dottrinale di tale orientamento della Suprema Corte:
Cass., 2 luglio 1976, in Rivista italiana di diritto processuale penale, 1980, p. 491 ss., con nota di
FIORELLA A., L’efficacia retroattiva della lex mitior sull’estensione dell’amnistia. L’Autore presenta
apertamente il proprio dissenso nei confronti della citata pronuncia, che viene definita dallo stesso “frutto
di insostenibile compromesso teorico”, in quanto basata su una distinzione “meramente concettualistica”
(tra l’efficacia di una modificazione che riguardi la qualificazione del reato ed una che, invece, riguardi la
cornice edittale prevista per esso), nonché “sentenza priva di esplicita motivazione”. Il commento, dopo
aver constatato che tale povertà di argomenti caratterizza indistintamente tanto sentenze contrarie,
totalmente o parzialmente, all’applicazione retroattiva di una successiva lex mitior, quanto sentenze
favorevoli, si addentra in una approfondita disanima della problematica. In conclusione, viene ribadito il
sostegno alla tesi pienamente favorevole all’operatività dell’art. 2 c.p. nei confronti dei provvedimenti di
amnistia. Tre le motivazioni principali: in primo luogo l’esigenza di ‘immediatezza’ di cui all’art. 183 c.p.
non significa necessariamente esigenza di ‘definitività’degli effetti non-estintivi dell’amnistia; in secondo
luogo l’assenza di contrasti con il principio costituzionale di uguaglianza, ipotizzabili unicamente per la
disparità di trattamento ravvisabile tra coloro che al tempo del sopravvenire della legge successiva siano
già condannati in via definitiva e coloro che invece non lo siano, ma non in conseguenza della
equiparazione tra nomen iuris e cornice edittale quali criteri identificativi dei reati; infine l’indefinitezza
del concetto di nomen iuris nel linguaggio giuridico, che conflige con la volontà di connettervi un peso di
tanto rilievo, al punto da “impostarvi su una distinzione sulla cui base ammettere o negare l’efficacia
retroattiva della disposizione più favorevole sull’estensione dell’amnistia”.
148
Sentenza Cass., 9 dicembre 1975, in Cassazione penale massimario annuale, 1977, p. 48 ss.
66
nonché la conseguente concessione di amnistia sulla base del nuovo ammontare della
pena.
3.5 Amnistia condizionata.
Il codice penale, all’art. 151, comma 4, c.p., prevede espressamente la possibilità
che il legislatore, a propria discrezione, disponga di sottoporre l’applicazione del
decreto di amnistia al verificarsi di condizioni ovvero all’adempimento di obblighi, che
ritenga utili al fine del conseguimento di scopi politici e sociali 149 .
Le condizioni di punibilità apposte all’operatività del provvedimento di
clemenza, costituiscono “un quid pluris che presuppone (presuppongono) un reato già
perfetto in tutti i suoi tradizionali elementi costitutivi, ma che non può ancora essere
assoggettato a pena”
150
, il decreto, infatti, potrà essere applicato solamente dopo il
verificarsi della condizione, con la conseguenza che quale del tempo del commesso
reato verrà in rilievo quest’ultimo 151 .
Tale facoltà accorda al legislatore ampia libertà decisionale nello stabilire le
condizioni, con l’unico limite che tale potere sia esercitato “ragionevolmente e trovi
giustificazione nella necessità tecnica di regolamentare in modo pratico la concreta
attuazione dell’istituto” 152 . Eccettuata questa restrizione, infatti, la Corte costituzionale
ha dichiarato pienamente legittimo subordinare l’operatività dell’amnistia a condizioni e
149
Ad esempio, l’adempimento delle obbligazioni civili nascenti da reato. Si tratta comunque di obblighi
imposti dalla legge, mai dal giudice. V. BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI
G. (a cura di), op. cit., p. 1369; MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 458.
Aggiunge ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di),
op. cit., p. 32, che tale previsione, contenuta in una norma che erroneamente mette insieme amnistia
propria e impropria, risulta certamente da applicarsi ad entrambe le tipologie. A dimostrazione di ciò
viene richiamato l’art. 596, comma 1, c.p.p. abrogato, ai sensi del quale l’amnistia condizionata aveva per
effetto di “sospendere i procedimenti in corso o l’esecuzione della sentenza di condanna”. Diversamente
l’attuale art. 672 c.p.p., che non accenna più alla sospensione dei provvedimenti, disciplinando così
solamente l’amnistia impropria. Ciò nonostante la dottrina, ed anche la prassi, sono unanimi nel ritenere
le condizioni e gli obblighi configurabili in entrambe le ipotesi.
150
Così KOSTORIS S., Amnistia e indulto, op. cit., p. 52 ss.. L’Autore prosegue con una ulteriore
precisazione di carattere definitorio in merito alla distinzione esistente tra elemento costitutivo del reato e
condizione obiettiva di punibilità: “la prima ipotesi ricorre per lo più nei reati c.d. tipici o a condotta
vincolata, laddove, vale a dire, il legislatore descrive la fattispecie incriminatrice in modo dettagliato, in
relazione alla modalità della condotta” (p. 55).
151
A differenza dell’amnistia incondizionata, la quale estingue il provvedimento dal giorno dell’entrata in
vigore del provvedimento (v. supra par. 3.1).
152
Cfr. BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1369.
67
adempimenti 153 .
Gli effetti estintivi dell’amnistia condizionata si differenziano profondamente a
seconda che la condizione cui risulta subordinata sia di tipo sospensivo ovvero
risolutivo.
La prima tipologia è la sola espressamente prevista dal codice di procedura
penale, all’art. 672, comma 5, c.p.p., e comporta che il giudice non disponga
l’immediata applicazione del beneficio ma ne sospenda la concessione definitiva,
appunto, fintanto che non si sia verificata la condizione sospensiva imposta154 . Tutto ciò
entro un termine stabilito ad hoc nel decreto, oppure, in mancanza di detto limite
temporale, entro quattro mesi dalla data di pubblicazione del decreto.
L’ipotesi opposta, invece, consiste nella previsione di una condizione risolutiva,
ossia un evento futuro, di regola un reato, il cui verificarsi entro un determinato termine
comporta la decadenza dal beneficio155 . In aggiunta a ciò, la decadenza opera altresì sul
153
Al riguardo la Corte si è espressa la prima volta con sentenza n. 5 del 1964, in materia di amnistia
riguardante i reati finanziari, in occasione della quale ha stabilito che non è costituzionalmente illegittimo
un decreto di amnistia finanziaria le cui applicazione sia subordinata al pagamento del contributo evaso, a
sostegno della considerazione legislativa della prevalenza dell’interesse pubblico alla riscossione dei
tributi evasi sull’interesse a dar corso all’applicazione del provvedimento di clemenza. Orientamento
confermato dalle successive sentenza n. 154/1974 e ordinanza n. 340/1987.
Importante altresì la già citata sentenza n. 32 del 1976 (v. supra cap. I, par. 2), mediante la quale la Corte
ha affermato che è legittimo prevedere la condizione che le pendenze tributarie siano regolarizzate
secondo particolari disposizioni di legge ed entro un termine, e contemporaneamente escludere
dall’applicazione dell’amnistia i reati in relazione ai quali le pendenze siano già state sistemate, ancorché
siano pendenti i processi penali in relazione alle violazioni commesse. Si legge che “la disparità di
trattamento, in ordine alla possibilità di beneficiare dell’amnistia, tra i contribuenti le cui posizioni
tributarie sino già state definite in base all’originario regime e che restano quindi escluse dall’amnistia, e
contribuenti ammessi al beneficio per aver soddisfatto la condizione di aver definito la loro posizioni
avvalendosi del condono, non appare razionalmente ingiustificata, se rapportata alla finalità perseguita dal
legislatore”. Sul punto FELICETTI F., L’amnistia nella giurisprudenza costituzionale, in LA GRECA G. (a
cura di), L’amnistia del 1990, op. cit., p. 33 ss.
154
Si noti che: anzitutto deve trattarsi di fatti che al momento della concessione si presentano come futuri
e incerti, e non di fattori dei quali il giudice debba solo verificare la già avvenuta, o meno, realizzazione;
in secondo luogo, il realizzarsi di detta condizione non implica necessariamente una condotta del soggetto
interessato, ben potendo consistere in un evento il cui verificarsi non dipenda affatto dal soggetto
beneficiario.
Ovviamente, il mancato realizzarsi della condizione-obbligo comporta la disposizione della prosecuzione
del provvedimento ovvero dell’applicazione della sentenza o decreto penale di condanna.
155
Cfr. BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 591; BENUSSI
C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1358; MARZAGALLI C., I
provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 459; DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI
G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 160. Particolarmente ampio il contributo di DELL’ANDRO R., voce
Amnistia, op. cit., p. 308, laddove affronta un quesito centrale: “Come mai la punibilità già estinta può
tornare a vivere nel caso di verificazione dell’evento cosiddetto risolutivo previsto dal decreto
d’amnistia?”. La fattispecie estintiva, paradossalmente, finisce per avere efficacia costitutiva, dal
momento che la punibilità viene inizialmente prodotta dalla norma incriminatrice, poi cancellata
dall’amnistia, ed infine ricostituita dall’evento risolutivo. L’Autore afferma semplicemente, in risposta,
68
piano processuale, in quanto comporta la totale “reviviscenza del procedimento a partire
dalla fase processuale sospesa dall’applicazione condizionale dell’amnistia propria” 156 .
Tale vincolo risolutivo non è previsto dal codice, ciò nonostante è stato impiegato in
passato in alcuni decreti di concessione di clemenza, acquisendo in tal modo sufficiente
legittimazione al fine di equipararla alla codicistica condizione sospensiva 157 .
La prova dell’adempimento delle condizioni, tanto sospensive che risolutive,
spetta in ogni caso all’imputato o al condannato.
3.6 Rinunciabilità del beneficio
Il primo provvedimento di amnistia a prevedere una norma dedicata alla
rinunciabilità 158 del beneficio risale all’anno 1946159 ; tuttavia a partire da allora sino
alla sentenza della Corte costituzionale 175/1971 l’istituto in questione ha avuto vita
tutt’altro che pacifica.
Le motivazioni mosse a discapito della sopravvivenza della possibilità di
rinuncia risultano fondate sulle basi più varie. Tale facoltà non risultava (e non lo è
tutt’ora) prevista né a livello costituzionale, né a livello codicistico, tanto che ne veniva
presunta illegittimità per contrasto con gli artt. 76 e 79 Cost. ma soprattutto con gli artt.
592 e 152, comma 2, c.p.p. abrogato che disponevano l’immediata applicazione
dell’amnistia ovvero, nelle sole ipotesi prescritte, la pronuncia di una sentenza di
assoluzione o di non luogo a procedere 160 . Una ulteriore argomentazione era fondata
che “ciò peraltro avviene perché è la legge di amnistia che, nel prevedere il cosiddetto evento risolutivo,
attribuisce al medesimo un’efficacia (nuovamente) costitutiva della punibilità”.
156
Così DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 161.
157
V. r.d. 25 settembre 1934, n. 1511; r.d. 18 ottobre 1934, n. 2134; e r.d. 5 dicembre 1935, n. 2147.
Contra ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op.
cit., p. 32 ss.; POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 6. Le condizioni a cui
allude l’art. 151, comma 4, c.p., sarebbero soltanto quelle sospensive, ciò sulla scorta di una mancata
previsione codicistica in merito, ma soprattutto partendo dalla considerazione che “l’obbligo di non
commettere reati – generalmente apposto a tutti i provvedimenti di clemenza – non può considerarsi
condizione vera e propria, quanto piuttosto una prescrizione ovvero un più generale obbligo a cui il
beneficiario deve attenersi e la cui violazione comporta la revoca del provvedimento” (POMANTI P.). Di
conseguenza, la conclusione cui perviene questa parte della dottrina è che le c.d. condizioni risolutive non
siano altro che semplici “cause di revoca”.
158
Come sottolinea FASSONE E., voce Amnistia e indulto (profili processuali), in Digesto delle discipline
penalistiche, op. cit., p. 153, la ‘rinuncia’ dovrebbe essere meglio qualificata come ‘rifiuto’, dal momento
che non rappresenta la dismissione di un diritto già presente nel patrimonio giuridico del rinunziante, ma
piuttosto l’opposizione ad una conclusione anticipata del procedimento penale.
159
D.lgt. 23 marzo 1946, n. 132.
160
Cfr. ordinanza 6 giugno 1966, Pretura di Padova, in Giurisprudenza costituzionale, 1968, p. 1751 ss.,
69
sull’asserita indisponibilità, da parte del soggetto privato, della potestà di clemenza e
del diritto di azione, stante la valutazione dell’amnistia quale manifestazione di un
potere sovrano 161 . Veniva, inoltre, lamentata una importante lesione del diritto di difesa,
ex art. 24 Cost., partendo dal presupposto che nell’ipotesi in cui l’accertamento
giudiziale successivo alla rinuncia fosse risultato sfavorevole per l’imputato,
quest’ultimo non avrebbe più potuto beneficiare del provvedimento con la conseguenza
che tale diritto sarebbe risultato “compresso o mortificato” 162 .
La citata sentenza 14 luglio 1971, n. 175 163 ha risolto l’annosa questione
dichiarando l’illegittimità del primo comma dell’art. 151 c.p., nella parte in cui esclude
che l’imputato possa rinunziare all’applicazione dell’amnistia ottenendo così di essere
giudicato
nel
merito.
Ad
oggi,
dunque,
risulta
espressamente
riconosciuta
all’imputato 164 la facoltà di opporre rinuncia all’amnistia, prima che sia pronunciata
sentenza di non luogo a procedere o proscioglimento per estinzione del reato, chiedendo
che si proceda ad accertare se egli è responsabile o meno del reato in questione.
Il punto saliente della pronuncia si fonda su una estensione del normale concetto
di diritto di difesa, che non comprende solamente “la pretesa al regolare svolgimento di
un giudizio che consenta libertà di dedurre ogni prova a discolpa e garantisca piena
esplicazione del contraddittorio, ma anche quella ad ottenere il riconoscimento della
completa innocenza, da considerare il bene della vita costituente l’ultimo e vero oggetto
mediante la quale è stata sollevata questione costituzionale dell’art. 14 del d.P.R. 4 giugno 1966, n. 332.
161
Così CAMERINI G., Amnistia e indulto, Padova, 1971; nonché MANZINI V., Trattato di diritto penale,
op. cit., p. 407 ss., il quale riteneva la non rinunciabilità del beneficio quale regola, salvo espressa
previsione.
162
V. MARINI G., voce Amnistia e indulto nel diritto penale, op. cit., p. 142. Di medesima paternità
l’affermazione secondo la quale lo stabilire come egualmente alternative l’applicazione della rinuncia o
dell’amnistia, con le relative conseguenze, contrasterebbe totalmente con una delle motivazioni portate a
sostegno dell’esistenza stessa dei provvedimenti di clemenza nel sistema penale italiano, vale a dire la
“valutazione, da parte dell’ordinamento, dell’avvenuta obbiettiva cessazione dell’interesse a reprimere
determinati fatti commessi in periodi dati di tempo”.
163
Sentenza che si colloca in un panorama di malcontento generale, come sottolinea FASSONE E., La
generalizzazione del diritto di rinuncia all’amnistia, op. cit., p. 2117 ss., laddove elenca diciassette
ordinanze che, prima di tale sentenza, avevano sollevato diverse questioni di legittimità dell’istituto.
164
Si noti che la titolarità del diritto di rinuncia è propria dell’imputato ma non dell’indagato, poiché è
richiesta la sussistenza di un processo e non della semplice notizia di reato, cfr. Cass., 23 settembre 1988,
Cantoni, in Rivista penale, 1989, p. 848. Sul punto BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. –
ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 587, sottolinea come la facoltà di rinuncia sia totalmente compressa
in caso di archiviazione, alternativa all’esercizio dell’azione penale. Infatti, qualora durante lo
svolgimento di indagini preliminari, sconosciute all’indagato, si prospetti una causa di estinzione del reato
quale l’amnistia, queste si concluderanno con una richiesta di archiviazione ai sensi dell’art. 411 c.p.p.,
precludendo al soggetto la possibilità di esercitare la facoltà di rinuncia, in contrasto con il diritto di
difesa.
70
della difesa, rispetto al quale le altre pretese al giusto procedimento assumono valore
strumentale” 165 . Pertanto, non solo risulta da scartare l’ipotesi, più volte sollevata, che
la facoltà di rinuncia costituisca violazione del diritto di difesa, ma anzi tale diritto
“trova proprio nella c.d. rinunciabilità alla amnistia una precisa e compiuta
attuazione” 166 . Di qui l’incostituzionalità dell’art. 151, comma 1, c.p. motivata dalla
violazione dell’art. 24 Cost., per il fatto che mentre l’amnistia si limita ad arrestare la
procedibilità dei giudizi lasciando “senza protezione il diritto alla piena integrità
dell’onore e della reputazione” 167 , la possibilità di rinuncia lascia spazio alla possibilità
di raggiungere una piena assoluzione nel merito.
Conseguentemente, risulta di immediata comprensione la necessità di temperare
l’obbligo esistente in capo al giudice di dichiarare con immediatezza l’amnistia, ogni
qualvolta ne siano soddisfatti i requisiti, con la lecita pretesa dell’imputato di addurre e
far valutare le prove da cui crede potersi argomentare la propria irresponsabilità penale.
Gli artt. 152 e 529 c.p.p. abr., pertanto, vanno interpretati alla luce delle nuove direttive
costituzionali, e dunque nel senso che l’obbligo in essi stabilito della immediata
dichiarazione dell’amnistia non è da far valere quando risulti l’avvenuta rinunzia al
provvedimento di clemenza.
Quale prima conseguenza dell’esercizio della facoltà del rifiuto, si ha il normale
proseguimento del processo, con l’assunzione delle prove, sino alla pronuncia nel
merito. Laddove sia riconosciuto innocente, nulla questio, mentre nel caso in cui la
sentenza sia di condanna, l’inoperatività dell’amnistia comporta inevitabilmente
l’applicazione della sanzione penale a carico del rinunziante risultato colpevole, dal
momento che una volta intervenuta la dichiarazione espressa di rifiuto, la non
operatività dell’amnistia è da considerarsi definitiva 168 .
165
Così D’ORAZIO G., voce Amnistia e indulto (dir. cost.), op. cit., p. 12. Ripreso da molti altri, tra cui:
BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 587; FELICETTI F.,
L’amnistia nella giurisprudenza costituzionale, op. cit., p. 37.
166
Cfr. SINISCALCO M., L’amnistia “rinunciabile”, op. cit., p. 798.
167
Corte cost. 175/1971. Con l’applicazione dell’amnistia, infatti, si vincola “l’imputato a soggiacere, in
tutta passività, ad una pronuncia di proscioglimento che né accerta, né deliba la fondatezza dell’accusa, né
soddisfa il connesso interesse patrimoniale dell’imputato ad ottenere una pronuncia che renda
improponibile l’azione civile”, v. D’ORAZIO G., voce Amnistia e indulto (dir. cost.), op. cit., p. 12.
168
La rinunzia preclude di invocare l’amnistia una volta che il giudice abbia accertato la responsabilità
del soggetto; viceversa, la mancata rinunzia funziona come presupposto dell’operatività dell’amnistia.
Contra MARINI G., voce Amnistia e indulto nel diritto penale, op. cit., p. 137; KOSTORIS S., Amnistia e
indulto, op. cit., p. 137; DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 315, i quali, sulla base della ormai
intervenuta estinzione della punibilità ad opera della amnistia, e contemporaneamente dell’incapacità
della rinuncia di modificare nuovamente tale rapporto, sostengono che l’imputato non possa più essere
71
Risulta necessario distinguere tra quello che è il sancito diritto alla rinuncia che
astrattamente il singolo può rivendicare in ogni stato e grado del procedimento, da
quello che invece è l’onere dell’esercizio di tale facoltà 169 . L’imputato che intenda
avvalersene, infatti, è tenuto a chiedere all’autorità giudiziaria, volta per volta, che nei
suoi confronti sia proseguito il giudizio, dal momento che la rinuncia vale per il singolo
provvedimento e non si estende a quelli che, eventualmente, venissero successivamente
emanati 170 .
Condizione necessaria e sufficiente per la rinuncia è la conoscenza, da parte
dell’imputato, dell’esistenza del procedimento a suo carico. Per dichiarare l’amnistia il
giudice non è tenuto ad interpellare l’imputato 171 , tuttavia, il soggetto deve essere messo
in condizione di poter esercitare il suo diritto 172 . Pertanto, ove dopo la sentenza di
proscioglimento che applica l’amnistia venga dimostrata la mancata conoscenza
dell’esistenza del procedimento, deve essere riconosciuto il diritto potestativo di
rinunciare al beneficio da parte del soggetto interessato 173 .
Mentre è pacifico che la rinunzia debba essere effettuata personalmente
dall’imputato, ovvero dal suo difensore munito di procura speciale 174 , e che non sia
tollerata l’apposizione ad essa di condizioni 175 , si discute in giurisprudenza circa la
condannato.
169
Cfr. D’ORAZIO G., voce Amnistia e indulto (dir. cost.), op. cit., p. 13.
170
Con la conseguenza che è invalida la rinuncia ad amnistia futura, v. BENUSSI C., Commento all’art.
151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1371.
171
V. Cass., 20 dicembre 2993, Nevoso, in C.E.D. Cass., n. 197058.
E’ stato altresì affermato che tale obbligo di interpello non sussiste nemmeno nel caso in cui, a seguito di
istruttoria dibattimentale, il reato originariamente contestato sia stato modificato in modo tale da venire
ricompreso nell’ambito di operatività del beneficio, v. Cass., 18 maggio 1982, Di Santo, in Cassazione
penale, 1984, p. 856 ss. In dottrina cfr. DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E.
(a cura di), op. cit., p. 167.
Regole medesime segue la simile ipotesi in cui l’amnistia diventi applicabile a seguito di un favorevole
giudizio di comparazione tra circostanza aggravanti e attenuanti, v. Cass., 18 giugno 1975, Tambari, in
Cassazione penale, 1976, p. 1004 ss. In dottrina v. BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. –
MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1371; ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. –
GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 37.
Contra, in contrasto con gli ultimi due orientamenti citati, Cass., 28 febbraio 1977, De Rossi, la quale
afferma che in queste ipotesi la rinuncia possa essere espressa mediante l’impugnazione della sentenza
che applica il beneficio.
172
In difetto la sentenza dichiarativa è nulla, ai sensi di Cass., 27 giugno 1984, Tavoni, in Rivista penale,
1985, p. 183 ss.
173
Cfr. Cass., 30 aprile1984, De Novellis, in Rivista penale, 1985, p. 56 ss.. Sul punto DIOTALLEVI G.,
Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 167; D’ORAZIO G., voce
Amnistia e indulto (dir. cost.), op. cit., p. 13.
174
V. Cass., 16 ottobre 1982, Fradiani, in C.E.D. Cass., n. 155630.
175
E ciò in quanto l’atto di rinunzia è da considerarsi un negozio di diritto pubblico, e come tale non è
sottoponibile a condizioni, ove non espressamente consentite, a pena di nullità. V. Cass., 13 aprile 1989,
72
forma in cui detto rifiuto debba essere proposto. Si è ritenuto che l’eventuale scrittura
privata presentata in udienza dal difensore dovesse essere autenticata da notaio o
pubblico ufficiale autorizzato, ai sensi dell’art. 2703 c.c. 176 , tuttavia oggi sembra
prevalere un diverso orientamento, che giudica sufficiente che la stessa non sia
equivoca, provenga da un soggetto legittimato ad emetterla e sia rivolta all’organo cui
l’ordinamento devolve in via generale la ricezione delle manifestazioni di volontà delle
parti 177 .
L’atto di rinuncia presenta un’ulteriore fondamentale caratteristica: si tratta,
infatti, di una dichiarazione irrevocabile in quanto atto unilaterale recettizio “che si
esaurisce nella manifestazione espressa della volontà” 178 . Dal momento in cui perviene
all’autorità giudiziaria procedente la revoca diviene inammissibile, poiché “il negozio
giuridico si è perfezionato in tutti i suoi elementi” 179
4. Indulto.
4.1 Gli effetti del provvedimento.
A proposito dell’indulto, si afferma in dottrina che esso sia un mixtum
compositum 180 , in considerazione del fatto che, indipendentemente dallo schema
classificatorio che si intenda utilizzare, tale istituto si pone inesorabilmente a metà
strada tra l’amnistia e la grazia, ripetendo dalla prima le proprie generalità ed
astrattezza, e dalla seconda il proprio operare limitato alla pena concretamente inflitta
Mulser, in Cassazione penale, 1990, p. 1023 ss.
176
V. Cass., 17 aprile 1980, Filasto.
177
Così Cass., 20 marzo 1992, Giglio, in Giustizia penale, 1992, II, p. 596 ss. In dottrina BENUSSI C.,
Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1372, il quale aggiunge che
la rinuncia debba essere ‘esplicita’, vale a dire, ad esempio, che non può valere quale equivalente la
richiesta di assoluzione con formula piena.
178
V. Cass. S.U., 9 luglio 1960, Maina, in Giurisprudenza penale, 1961, II, p. 208 ss.
179
In tali termini DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit.,
p. 169. V. altresì BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit.,
p. 1372, e MONTANINI G., voce Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p.3.
Contra parzialmente BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p.
588. L’Autore sostiene che un soggetto che abbia rinunciato all’amnistia nella fase delle indagini
preliminari, oppure in sede di udienza preliminare, possa revocare detta rinuncia e chiedere, nel
dibattimento, l’applicazione dell’amnistia. A sostegno Cass., 25 maggio 1986, in Cassazione penale,
1987, p. 178 ss. Tale libertà trova un unico limite di carattere temporale nella pronuncia della sentenza di
primo grado, avendo la revoca come scopo tipico quello di impedire il giudizio di merito.
180
Espressione tratta da MARINI G., voce Amnistia e indulto nel diritto penale, op. cit., p. 148.
73
dal giudice.
In qualità di causa di estinzione della pena, l’indulto viene disciplinato, insieme
alla grazia, dall’art. 174 c.p., collocato nel Libro I del codice penale, al Capo II del
Titolo VI 181 . A norma di tale disposizione codicistica esso condona in tutto o in parte la
pena principale 182 , nella misura stabilita dalla legge di concessione, ovvero la commuta
in un’altra specie di pena stabilita dalla legge di concessione 183 .
Come nel caso dell’amnistia la dottrina è solita distinguere, sulla base del
momento applicativo, tra un indulto proprio ed uno improprio, con la differenza
fondamentale che la causa di estinzione del reato presuppone in entrambi i casi una
sentenza di condanna irrevocabile 184 . La prima ipotesi, che si verifica nel caso in cui il
condono sia applicato dal giudice dell’esecuzione, è quella tipica, prevista dal codice di
procedura penale all’art. 672, comma 1. L’indulto improprio, invece, generalmente
sospinto da motivazioni di economia processuale, si configura laddove intervenga al
momento della sentenza, ad opera del giudice di cognizione. Quale conseguenza diretta
181
Abbiamo a suo tempo sottolineato (v. supra par. 1) come a livello dottrinale raramente l’indulto venga
trattato autonomamente, considerato che gran parte della sua disciplina penale e processualistica risulta
mutuata da quella prevista per l’amnistia. Pertanto, questo paragrafo e quelli immediatamente successivi
sono dedicati unicamente all’indagine dei profili peculiari dell’indulto, avendo cura di operare gli
opportuni rimandi a quanto già esaminato onde evitare superflue ripetizioni.
182
Possono essere condonate o commutate tutte le pene principali, dall’ammenda all’ergastolo. MANZINI
V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 506; MARINUCCI G. – DOLCINI E., Manuale di diritto penale, op.
cit., 2006, p. 543; POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 7; MARZAGALLI C.,
I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 460; GIANZI G., voce Indulto (dir. pen. e proc. pen.), op.
cit., p. 252.
Contra, ex Cass., 22 marzo 2000, Araniti, in Cassazione penale, 2001, p. 1483 ss., l’indulto previsto in
via generale solo per le pene detentive temporanee, in assenza di specifiche disposizioni del legislatore,
non può essere applicato all’ergastolo, attesa la sua natura perpetua, v. ROTA F., Commento all’art. 174,
in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), Codice penale commentato, I, Milanofiori, Assago, 2006, p.
1556 ss.. In accordo con la tesi giurisprudenziale VESSICHELLI M., Commento all’art. 174, in LATTANZI
G. – LUPO E. (a cura di), Codice Penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, IV, Milano, 2000, p.
380, laddove afferma l’incompatibilità del condono con l’ergastolo, che non può essere equiparato ad una
pena temporanea.
183
Quanto alla commutazione delle pene, essa deve consistere nella sostituzione della sanzione applicata
con una di specie diversa e meno grave (ad esempio: l’ergastolo con la reclusione per anni trenta, la pena
detentiva con la pena pecuniaria), inoltre, non sembra ammissibile la commutazione della pena principale
con una pena accessoria, atteso che quest’ultima presuppone l’esistenza della prima, né la sostituzione
della pena detentiva con una di natura diversa (ad esempio: una misura di sicurezza o di prevenzione). Sul
punto: GIANZI G., voce Indulto (dir. pen. e proc. pen.), op. cit., p. 252; POMANTI P., voce Amnistia e
Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 7.
Un cenno merita anche il condono della pena. Molti decreti di indulto, infatti, prevedono ipotesi di
‘condono in misura ridotta’, generalmente nei confronti di reati ritenuti molto gravi ovvero in relazione a
soggetti che in passato abbiano già usufruito di cause di estinzione della pena o del reato (v. sul punto
VESSICHELLI M., Commento all’art. 174, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 383).
184
La distinzione operata in seno all’indulto non comporta conseguenze tanto pregnanti quanto quella a
proposito dell’amnistia. Le due tipologie di indulto non solo sono entrambe ‘causa di estinzione della
pena’, ma sono altresì caratterizzate dalla medesima capacità estintiva.
74
di questo iter ‘anticipato’, l’applicazione dell’indulto è da intendersi come “provvisoria
e condizionata alla situazione definitiva risultante dal cumulo delle pene in sede di
esecuzione, laddove viene riesaminato tutto il complesso rapporto punitivo” 185 , e gli
effetti estintivi si producono comunque al momento del passaggio in giudicato della
sentenza 186 .
L’indulto limita i suoi effetti alla pena principale, non estinguendo né le pene
accessorie, né tantomeno gli effetti penali della condanna.
Quanto alle pene accessorie, la regola fissata dal codice all’art. 174 comma 1
parte seconda è nel senso che l’effetto estintivo-commutativo non si estenda ad esse 187 ,
fatta salva, tuttavia, la possibilità che il provvedimento di concessione disponga in senso
contrario. Per contro, una tale eventualità non è prevista per quanto riguarda gli effetti
penali della condanna 188 , conseguentemente la sanzione dovrà essere presa in
185
Cass., 9 aprile 1987, Montanari, in Rivista penale, 1988, p. 889 ss. In dottrina cfr. ROTA F., Commento
all’art. 174, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), p. 1558; MARINUCCI G. – DOLCINI E., Manuale di
diritto penale, op. cit., 2006, p. 543.
186
V. ROTA F., Commento all’art. 174, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), p. 1558.
187
Necessarie alcune precisazioni. In primo luogo se la pena accessoria presuppone l’eseguibilità della
pena principale (es. l’interdizione legale), venendo meno quest’ultima per effetto dell’indulto cessa anche
la pena accessoria, pur se non espressamente previsto dalla legge. Diversamente, in ipotesi di condono
parziale, si è sostenuto che l’eventuale condono della pena accessoria sia legato in modo proporzionale a
quello della pena principale (v. Cass., 10 luglio 1981, Giosuè, in C.E.D. Cass., n. 150698), mentre altra
più recente giurisprudenza ha affermato la sua totale estinzione (v. Cass., 10 luglio 2000, Dell’Utri, in
Cassazione penale, 2001, p. 495 ss.). Questa ultima pronuncia ha segnato un netto revirement rispetto al
dominante orientamento giurisprudenziale. Viene riconosciuta la legittimità dell’estinzione in toto delle
pene accessorie, comminate in sede di condanna per la commissione di reati legati dal vincolo della
continuità, anche laddove alcuni dei fatti cui tali sanzioni si riferiscano siano stati commessi
successivamente alla data limite prevista nella legge di indulto. Motiva la sentenza che lo scioglimento
del cumulo potrebbe “aver luogo solo quando da esso derivi un vantaggio per l’interessato”. Si veda in
proposito la nota di CARCANO D., Condonate le pene accessorie per reati futuri purché ideati entro il
termine di applicazione dell’indulto: è proprio così?, in Cassazione penale, 2001, II, p. 497 ss., a parere
del quale è palesemente discriminatorio mantenere la pena accessoria in capo a chi abbia violato la legge
un’unica volta, ma successivamente alla data di riferimento dell’indulto, ed invece estinguerla a chi abbia
cominciato le frodi prima e continuato anche dopo. Come viene definita da PULITANÒ D. Diritto penale,
op. cit., p. 677, la sentenza in esame costituisce “una sorta di premio per la tempestiva programmazione
dell’illecito”.
188
Al pari dell’amnistia. Così MARINUCCI G. – DOLCINI E., Manuale di diritto penale, op. cit., 2006, p.
543; CADOPPI A. – VENEZIANI P., Elementi di diritto penale, op. cit., p. 505; PADOVANI T., Commento
all’art. 174, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), Commentario sistematico del codice
penale, III, Milano, 1994, p. 202; ROTA F., Commento all’art. 174, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura
di), p. 1558; ed altri. Poco chiare le posizioni di quegli Autori che riportano nel testo la norma penale così
modificata: “l’indulto (...) non estingue né le pene accessorie né gli effetti penali della condanna, salvo
che il decreto disponga altrimenti”. V. FIANDANCA G. - MUSCO E., Diritto penale, op. cit., p. 799; ed
altresì KOSTORIS S., Amnistia e indulto, op. cit., p. 56; TURLON F. (BORGOGNO R.), Commento all’art.
174, in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), Commentario breve al codice penale, Padova,
2006, p. 629 ss.
Al pari degli effetti penali della condanna, l’indulto non estingue l’obbligo del pagamento all’erario dello
Stato delle spese processuali, “ciò perché esso non incide né sull’esistenza del reato, né sulla legittimità
75
considerazione ogni qualvolta la legge faccia discendere ope legis da una sentenza di
condanna conseguenze negative.
Al pari di ogni altra causa di estinzione della pena, l’indulto può impedire
l’applicazione delle misure di sicurezza, ai sensi dell’art. 210, comma 2, c.p., e senza
dubbio ciò si verifica nei confronti di quelle non ancora disposte dal giudice al
momento dell’applicazione del beneficio, eccezion fatta per quelle applicabili in ogni
tempo e per la confisca 189 . Più complessa si presenta l’ipotesi in cui l’indulto intervenga
laddove vi siano misure di sicurezza già applicate. In tal caso, dottrina e giurisprudenza
accordano efficacia estintiva esclusivamente
al
provvedimento
che
condoni
integralmente la pena inflitta, sanzione che deve consistere in una condanna alla
reclusione non superiore agli anni dieci oppure in una pena diversa e meno grave 190 . Per
concludere, il comma 2, parte seconda, dell’art. 210 c.p. prevede che venga disposta la
libertà vigilata per un periodo non inferiore a tre anni nel caso in cui, per effetto del
condono, non debba essere eseguito l’ergastolo.
Incertezze circa gli effetti del provvedimento si sono riscontrate in
giurisprudenza qualora l’indulto interessasse reati unificati dal vincolo della
continuazione, dei quali, tuttavia, solamente alcuni rientrassero nella sfera del
beneficio 191 .
La giurisprudenza più risalente, basandosi sul presupposto che l’istituto
dell’indulto non si riferiva ai singoli fatti, ma all’unica pena in concreto inflitta 192 ,
ritiene che non sia possibile procedere alla scissione dei reati, escludendo in tal modo
l’applicabilità del beneficio persino a quella parte di pena che si riferiva alle violazioni
del suo accertamento”. Così GIANZI G., voce Indulto (dir. pen. e proc. pen.), op. cit., p. 254.
189
Artt. 219 primo cpv. e 236 c.p.
190
Viceversa, in tal caso, nessuna efficacia abolitiva viene accordata ad un indulto parziale, oppure ad un
indulto anche totale che tuttavia si rapporti ad una condanna alla reclusione superiore agli anni dieci.
Tuttavia, ex art. 210 comma 2, la colonia agricola (o casa di lavoro) è sostituita di diritto con la libertà
vigilata. Sostanzialmente la ratio del legislatore è nel senso di mantenere l’applicabilità delle misure di
sicurezza esclusivamente nei casi in cui, nonostante l’estinzione del rapporto punitivo, si presume la
permanenza della pericolosità dell’imputato. Si osservi che permane in ogni caso la competenza del
magistrato di sorveglianza a revocare anticipatamente la misura di sicurezza laddove sia accertata la
scomparsa della pericolosità sociale del soggetto, ai sensi dell’art. 69, comma 4, della legge 354/1975. V.
sul punto REALI R., voce Grazia (dir. pen.), in Enciclopedia Giuridica, XV, Roma, 1989, p. 2.
191
Problematica che si è posta tanto nel caso di reati non compresi poiché commessi successivamente alla
data ultima di cui all’art. 79, comma 3, Cost., quanto nell’ipotesi di reati oggettivamente esclusi.
192
Cfr. TURLON F., Commento all’art. 174, in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit.,
p. 630.
76
in linea teorica condonabili 193 .
Successivamente alla modificazione dell’art. 81 c.p., ad opera della legge 7
giugno 1974, n. 220, è stato affermato a larga maggioranza “il carattere di fictio iuris del
reato continuato” 194 , ed è stata riconosciuta la possibilità di frazionamento della pena
unica inflitta per reati uniti dal vincolo della continuazione. Conseguentemente, la
prevalente giurisprudenza oggi riconosce la scindibilità del reato continuato, al fine di
consentire l’applicazione dell’indulto ai soli reati inclusi nel provvedimento di
clemenza 195 . Il procedimento applicativo, in tale ipotesi, prevede che, dopo aver scisso
il reato continuato nelle singole fattispecie, si cumulino le pene inflitte per le violazioni
comprese nel provvedimento di clemenza e si applichi l’indulto. Infine, “sulla eventuale
pena residua si opera un nuovo cumulo con le pene escluse dal condono” 196 .
In tema di concorso con altre cause estintive la giurisprudenza ha escluso
l’incompatibilità tra la sospensione condizionale della pena e l’indulto, in ossequio al
principio del favor rei. La motivazione addotta si basa sulla constatazione che mentre la
prima estingue il reato al compimento del termine stabilito, sempre che il condannato
adempia agli obblighi impostigli e non commetta un reato della stessa indole, il secondo
estingue immediatamente la pena inflitta197 . Ne deriva che i due benefici possono essere
“applicati congiuntamente per assicurare al condannato l’estinzione delle pene, anche
se, allo spirare del termine stabilito dall’art. 163 c.p. non si verificassero le condizioni
previste dall’art. 168 c.p. per la revoca della sospensione condizionale” 198 .
Nella medesima prospettiva la Cassazione sostiene che non sia nemmeno
ravvisabile alcuna “incompatibilità logico-giuridica, ai sensi e per gli effetti di cui
193
V. Cass., 21 febbraio 1969, Palermo, in Cassazione penale, 1970, p. 445 ss., in merito all’ipotesi di
reati inclusi ed altri oggettivamente esclusi; inoltre Cass., 20 giugno 1972, Indelicato, ivi, 1973, p. 1244
ss., in tema violazioni escluse poiché commesse tardivamente. Giova peraltro sottolineare che già
all’epoca era comunque considerato irrevocabile il provvedimento di indulto applicato ad un reato con
sentenza passata in giudicato, quando quest’ultimo, con una successiva pronuncia, fosse stato ritenuto in
continuazione con altro reato oggettivamente escluso (v. Cass., 30 novembre 1971, Magi, ivi, 1973, p.
252 ss.).
La dottrina era, in prevalenza, di opinione conforme, cfr. MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit.,
p. 506; KOSTORIS S., Amnistia e indulto, op. cit., p. 56.
194
Cfr. VESSICHELLI M., Commento all’art. 174, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 393.
195
Così Cass., 29 ottobre 2004, P., in C.E.D. Cass., n. 230059.
196
V. ROTA F., Commento all’art. 174, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), p. 1562.
197
Giurisprudenza assai ampia sul punto, tra le più recenti v. Cass., 27 novembre 1998, Milea, in C.E.D.
Cass., 212827; Cass., 30 aprile 1992, Carnevale, in Mass. Cassazione penale, 1992, VIII, p. 89 ss.
198
Così BARBIERI A., In tema di concorso tra sospensione condizionale della pena e indulto, in Rassegna
della giustizia militare, 2001, IV-VI, p. 109. Similmente v. altresì FELICI E., Alcune osservazioni sul
recente indulto e sui suoi profili applicativi, in Giurisprudenza di merito, 2007, I, p. 246.
77
all’art. 183, 2° comma c.p.” 199 . Tale norma, affermando la prevalenza della causa che
estingue il reato, anche laddove sia intervenuta successivamente, postula che vi sia
concomitanza temporale tra la causa che estingue il reato e quella che estingue la pena;
in altre parole, che siano entrambe immediatamente operativa seppure intervenute in
tempi diversi. Tale condizione certamente non si verifica nell’ipotesi in esame, dal
momento che, come già ricordato, mentre l’indulto è causa di estinzione attualmente
operante, la sospensione condizionale della pena “è causa di estinzione in fieri” 200 ,
posto che il reato cui si riferisce non viene estinto al momento della concessione del
beneficio, ma solamente in futuro e per effetto dell’utile decorso del tempo 201 .
Non diversamente dall’amnistia è rinunciabile l’indulto. Controversie in
proposito sembrano potersi considerare risolte alla luce della sentenza della Corte
costituzionale 154/1974, che ha esaminato la questione in rapporto agli artt. 3 e 27 Cost.
Quando, ad esempio, la concessione sia condizionata al tempestivo pagamento di diritti
e tributi evasi, all’interessato è lasciata “la libera scelta di procedere al pagamento per
assicurarsi il beneficio del condono della pena che potrà essergli irrevocabilmente
inflitta, ovvero rinunciare all’applicazione dell’indulto, confidando nella definitiva
assoluzione” 202 .
L’ampiezza dell’indulto risulta oramai ampliata dalla regola sancita dall’art. 672,
comma 4 c.p.p., ai sensi del quale esso deve essere applicato ad una pena o parte di pena
199
Cfr. BARBIERI A., In tema di concorso tra sospensione condizionale della pena e indulto, op. cit., p.
109.
200
V. COGNETTA G., L’amnistia del 1978 negli orientamenti della giurisprudenza, in Legislazione
penale, 1981, p. 141 ss.
201
Tuttavia, dal combinato disposto degli artt. 183 c.p. e 672, comma 4, c.p.p., discende una importante
limitazione all’utilizzo dell’indulto in rapporto alla sospensione condizionale della pena. La prevalenza
della causa estintiva del reato sancita dalla prima norma va letta nella prospettiva che “in sede di
esecuzione non è consentito al condannato, decorso il termine per l’estinzione del reato, richiedere la
revoca della sospensione condizionale e optare per l’applicazione dell’indulto e quindi per l’estinzione
della pena”, e nel contempo la norma del codice di rito va interpretata nel senso che “ai fini della
possibilità di richiedere l’applicazione dell’indulto, sono ininfluenti gli eventi che riguardano la pena, ma
non quelli, più radicali, che hanno come effetto l’estinzione del reato e dai quali discende la carenza di
interesse all’applicazione del condono”. Così BARBIERI A., op. cit., in riferimento a Cass., 1 febbraio
1996, Lodigiani, in C.E.D. Cass., n. 6388. Il contributo dell’Autore consiste in un commento alla recente
Cass., 21 dicembre 2000, in C.E.D. Cass., n. 13315, che respinge il ricorso, diretto ad ottenere
l’applicazione dell’indulto, avanzato dall’imputato cui era stato concesso il beneficio della sospensione
condizionale. Tale sentenza si riallaccia ad un minoritario orientamento della giurisprudenza, sostenitore
della prevalenza della sospensione condizionale sulla scorta del dettato dell’art. 183, comma 2, c.p.
202
Corte cost., cit., in D’ORAZIO G., voce Amnistia e indulto (dir. cost.), op. cit., p. 13.
Contra POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 8, il quale afferma
l’impossibilità di rinunziare all’indulto (ed altresì alla amnistia impropria) dal momento che tale causa
estintiva presuppone una condanna irrevocabile in relazione alla quale il condannato non ha alcun potere
dispositivo.
78
già espiata, qualora vi sia richiesta da parte del condannato. Tale norma, infatti,
consente che l’imputato possa godere di tutte le conseguenze per le quali abbia concreto
interesse, derivanti dall’effetto estintivo dell’indulto 203 . Inoltre, dall’art. 657, comma 2,
c.p.p., si deduce una ulteriore estensione di tale capacità estintiva: il periodo di pena
espiato in ragione di un commesso reato per il quale successivamente sia stato concesso
indulto va computato al fine della “determinazione della pena da espiare in relazione a
reato diverso, ove commesso antecedentemente” 204 .
Infine, ha rilevato la Cassazione che l’indulto non risulta applicabile alle
sentenze di condanna straniere, riconosciute in Italia ed ivi in esecuzione. Ciò
accadrebbe per effetto della Convenzione di Strasburgo del 21 maggio 1983 in tema di
trasferimento delle persone condannate, la quale indica, senza possibilità di applicazione
analogica o comunque estensiva, i benefici accordabili da ciascun Paese, e tra questi
non compare l’indulto 205 . Le varie decisioni in merito sembrano basarsi essenzialmente
sul brocardo ubi dixit voluit, ubi taquit noluit, senza concessione alcuna di sconti,
nonostante tale orientamento non trovi ad oggi consensi unanimi 206 .
203
Ad esempio al fine di impedire o fare cessare una misura di sicurezza a norma dell’art. 210 c.p. Per la
giurisprudenza favorevole, anteriormente alla introduzione del nuovo codice di procedura penale, v.
Cass., 30 gennaio 1981, Natale, in Cassazione penale, 1982, p. 1330 ss.
Contra un altro indirizzo giurisprudenziale, fondato su una interpretazione dell’art. 183 c.p. ai sensi del
quale operando l’indulto al momento in cui interviene non può far ritenere retroattivamente ingiusta una
pena già espiata in forza di un titolo legittimo, v. Cass., 27 maggio 1982, Scaringella, in Cassazione
penale, 1984, p. 532 ss., con nota favorevole di GIUNTOLI G., A proposito dei limiti di operatività
dell’indulto, con particolare riferimento alla conversione di pene pecuniarie, in Cassazione penale, 1984,
I, p. 534 ss. Afferma l’Autore che l’indulto non può “infirmare la validità del titolo esecutivo (...);
diversamente, cioè considerandosi senza causa giustificativa la sentenza di condanna (e quindi l’avvenuta
esecuzione della pena), si determinerebbe la sua inaccettabile ed illogica equiparazione ad una sentenza di
proscioglimento”. Di conseguenza, “l’eventuale sacrificio dello status libertatis, non essendo subito
ingiustamente, non poteva quindi essere imputato all’espiazione di una pena detentiva riportata per
condanna a reato precedente”.
La citata sentenza affronta altresì una seconda rilevante questione, giungendo ad un risultato assai meno
osteggiato. Il problema concerne l’operatività dell’indulto in caso di conversione di pena pecuniaria in
pena detentiva. Afferma la pronuncia che, dovendosi applicare il condono dopo la conversione, si debba
comunque far riferimenti ai limiti previsti per la pena pecuniaria. Ciò in quanto “non verificandosi alcuna
modificazione del titolo esecutivo, ne consegue che la condanna rimane sempre a pena pecuniaria, e di
ciò occorre tenere conto in sede di applicazione del condono, dovendosi avere riguardo alle pene
originarie e non a quelle derivanti dalla conversione” (GIUNTOLI G., op. cit., p. 537).
204
Cfr. VESSICHELLI M., Commento all’art. 174, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 382.
Parimenti, va detratto dalla durata complessiva della pena detentiva temporanea inflitta anche l’eventuale
periodo di custodia cautelare sofferto, v. Cass., 10 marzo 1989, Angiulli, in C.E.D. Cass., n. 185634.
205
Cfr. Cass., 7 ottobre 1994, Falci, in C.E.D. Cass., n. 199937. Le espressioni che nella traduzione
italiana sono “grazia, amnistia e commutazione della condanna”, risultano nel testo ufficiale, redatto nelle
lingue inglese e francese, le sole facenti fede, “pardon, amnesty, commutation” e “grace, amnistie,
commutation”.
206
V. Il commento alla recentissima sentenza Cass., 14 marzo 2007, Poma, contenuto in SELVAGGI E.,
L’interpretazione di disposizioni di altri ordinamenti e la questione dell’applicabilità dell’indulto alle
79
4.2 Indulto e pluralità di condanne.
Nell’ipotesi di concorso di reati, tanto nel caso di unificazione di pene inflitte
per reati diversi con un’unica sentenza, quanto in quello di più condanne contenute in
pronunce diverse, il comma 2 dell’art. 174 c.p. dispone che il giudice dell’esecuzione
debba applicare l’indulto “una sola volta, dopo cumulate le pene, secondo le norme sul
concorso di reati” 207 .
Viene in tal modo sancito il principio della “unitarietà dell’indulto” 208 , con la
correlativa ripartizione ideale del beneficio su tutte le pene comprese nel cumulo 209 . La
ratio della norma risiede nella necessità di evitare che mediante la reiterata applicazione
il beneficio sia concesso in misura eccedente a quella consentita dalla legge, e che
frequenti decurtazioni riducano eccessivamente cumuli anche considerevoli 210 .
Conseguentemente, è da escludersi una reiterata e distinta applicazione del
condanne straniere, in Cassazione penale, 2007, V, p. 1870 ss. Ai sensi della pronuncia “ la modifica
della durata della pena in senso favorevole al condannato può avvenire, in base all’articolo 12 della
Convenzione, solo per effetto della concessione della grazia, dell’amnistia e della commutazione della
pena, ma non certo per effetto dell’indulto, istituto giuridico diverso ed autonomo che la Convenzione
non menziona espressamente tra le possibili cause modificatrici della durata della pena in esecuzione” (p.
1873). L’Autore, tuttavia, si dimostra perplesso circa l’eccessiva importanza conferita al dato formale, a
discapito di quel minimo di flessibilità interpretativa che consentirebbe una maggiore rispondenza alle
singole realtà nazionali.
In giurisprudenza, favorevole all’applicazione dell’indulto alle sentenze straniere riconosciute in Italia, v.
l’altrettanto recente App. Roma, 21-26 settembre, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2006,
p. 1683 ss.
207
Orientamento costante della giurisprudenza, dalla risalente Cass. S.U., 10 dicembre 1957, Spanò, in
Foro italiano, 1958, II, p. 193 ss., sino alle più recenti, a titolo di esempio, Cass., 11 ottobre 1983,
Talami, in Cassazione penale, 1985, p. 882 ss.; e Cass., 16 febbraio 1987, Ventura, in Giurisprudenza
italiana, 1988, p. 53 ss.
208
Cfr. SAU S., Pluralità di sentenze ed unicità dell’indulto: problemi di competenza, in Giurisprudenza
italiana, 1988, II, p. 53 ss.
209
Quanto al concetto di ‘cumulo’, VESSICHELLI M., Commento all’art. 174, in LATTANZI G. – LUPO E. (a
cura di), op. cit., p. 386, rileva che mentre parte della giurisprudenza intende che il condono operi sul
cumulo materiale e non su quello giuridico previsto dall’art. 78 c.p. (v. Cass., 18 maggio 1993, Galdo, in
C.E.D. Cass., n. 194617), opposto orientamento afferma che “la detrazione (...) incide sul cumulo di esse
(...) eventualmente ridotte per effetto dei limiti stabiliti dall’art. 78 c.p.” (Cass., 21 dicembre 1994, Tocco,
in Cassazione penale, 1996, p. 500 ss.).
Inoltre, nel calcolo del cumulo, vanno computate anche le pene già espiate o eventualmente condonate. In
senso positivo TURLON F., Commento all’art. 174, in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di),
op. cit., p. 630, “per il principio che l’indulto nel concorso di più reati debba essere applicato una sola
volta dopo cumulate le pene” (cfr. sentenza Cass. n. 2072, anno 1980, in C.E.D. Cass., n. 146904).
Risultano invece da escludere le pene estinte per amnistia, v. PACILEO V., Applicazione di indulto e
cumulo di pene, in Cassazione penale, 1989, I, p. 323.
210
Sul punto: PACILEO V., Applicazione di indulto e cumulo di pene, op. cit., p. 305; PADOVANI T.,
Commento all’art. 174, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 205.
80
beneficio alle singole condanne concorrenti 211 , dal momento che il verificarsi di tale
circostanza, e la conseguente necessità di correzione, comporterebbe un problema di
intangibilità del giudicato 212 . La questione in realtà è risolta da tempo 213 , considerato
che, tanto in giurisprudenza quanto in dottrina, costituisce oramai “ius receptum il
principio secondo cui eventuali errori derivanti da plurime applicazioni dell’indulto
devono essere corretti in sede di esecuzione” 214 , senza disporre la revoca del beneficio
ma piuttosto ridimensionandone la misura, rispettando in tal modo il giudicato
formatosi 215 . Spetta pertanto al pubblico ministero, d’ufficio, procedere al cumulo di cui
all’art. 174, comma 2, c.p. al fine di ridurre l’ammontare del beneficio e ricondurlo
entro i limiti massimi previsti dalla legge di concessione.
La regola generale che prevede l’applicazione del beneficio a seguito del cumulo
di tutte le pene concorrenti, necessita tuttavia di una precisazione di non poco conto.
Essa, infatti, può operare solamente nell’ipotesi che tutte le sanzioni da cumulare
siano condonabili, e lo siano nella stessa misura, mentre in tutti i casi in cui, a ragione
del titolo del reato o per altra causa, il condono non risulti applicabile a tutti gli illeciti si
dovrà procedere allo scioglimento del cumulo. Dal punto di vista del procedimento ciò
comporterà anzitutto la separazione delle pene condonabili da quelle non condonabili,
nonché l’unione delle prime in un cumulo autonomo. Successivamente sarà possibile
procedere, nei confronti di questo, all’applicazione della riduzione ad opera dell’indulto,
ed infine addizionare la pena così ottenuta con quelle non cumulabili in modo che ne
211
Così Cass., 4 dicembre 1991, Navali, in C.E.D. Cass., n. 188968.
In altri termini, ciò avviene qualora un imputato, condannato da giudici diversi all’insaputa l’uno
dell’altro, sia stato ammesso a beneficiare del medesimo indulto in misura eccessiva e con statuizioni non
più soggette ad impugnazione.
213
Sin da Cass. S.U., 10 dicembre 1957, Spanò, in Giustizia penale, 1959, III, p. 130 ss.. Recentemente
cfr. Cass., 4 dicembre 2003, C., in C.E.D. Cass., n. 227109; e Cass., 29 ottobre 2004, M, in C.E.D. Cass.,
n. 23061.
214
Cfr. SAU S., Pluralità di sentenze ed unicità dell’indulto, op. cit., p. 54. Si tenga presente che la
riduzione del beneficio in sede esecutiva è legittima solamente quando l’errore dei giudici sia derivato da
difetto di informazione circa la rispettiva attività, ma non quando abbia origini diverse (ad esempio
inosservanza della normativa che regola il condono). In tale ultima ipotesi è “da ritenersi che, qualora
l’errore non sia stato emendato attraverso i rimedi appositamente predisposti dalla legge processuale, i
predetti provvedimenti siano intangibili perché coperti da giudicato” (cfr. VESSICHELLI M., Commento
all’art. 174, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 391; in giurisprudenza Cass., 15 marzo
1994, Cellini, in C.E.D. Cass., n. 197528).
215
Precisa infatti SAU S., op. cit., che “l’assunto contenuto nella citata sentenza si basa sulla constatazione
che il provvedimento applicativo del beneficio costituisce titolo esecutivo provvisorio, condizionato al
complessivo riesame della posizione del condannato in sede esecutiva, previa formazione del cumulo
delle pene (...) poiché, in materia di indulto, il giudicato si forma sull’applicabilità del beneficio, e non
sulla misura dello stesso” (p. 54).
212
81
risulti la sanzione che il condannato dovrà in definitiva espiare 216 .
4.3 Indulto condizionato e revocabilità del beneficio.
Il provvedimento di concessione dell’indulto può disporre la subordinazione
dello stesso al verificarsi di condizioni, così come sancito dall’ultimo comma dell’art.
174 c.p.
Come in caso di amnistia, tali presupposti possono essere di natura sia
sospensiva sia risolutiva, con le dovute conseguenze in materia di efficacia del
beneficio. Nel primo caso l’indulto consente di sospendere l’esecuzione della condanna
sino al decorso del termine stabilito dalla legge 217 , ma l’applicazione del condono,
inizialmente provvisoria, diventa definitiva solamente al raggiungimento di tale data,
qualora sia dimostrato l’adempimento delle condizioni o degli obblighi prescritti 218 .
Nella seconda ipotesi l’applicazione è immediata, esattamente come accadrebbe
se l’indulto fosse incondizionato 219 , ma in caso di inosservanza della condizione
apposta il giudice dispone la revoca di diritto del beneficio. Di regola, la condizione
risolutiva apposta consiste nel divieto di commettere reati entro un certo termine dalla
data della legge di concessione 220 . In tal caso il giudice competente a dichiarare la
revoca sarà quello che pronuncia la sentenza di condanna per il nuovo reato, ed in caso
di omissione vi provvederà il giudice d’appello 221 .
216
Ben delineata nei singoli passaggi la ricostruzione procedurale ad opera di PACILEO V., Applicazione
di indulto e cumulo di pene, op. cit., p. 305. Molto simili le regole da applicare nell’eventualità in cui non
tutte le pene siano condonabili nella stessa misura: “occorre formare un cumulo parziale di quelle
condonabili in misura ridotta, applicando su di esse l’indulto nella misura corrispondente; e procedere
separatamente al cumulo delle altre, applicando a queste il condono nella misura della differenza tra
quella normale e quelle ridotta, ossia nella misura ancora disponibile” (PACILEO V., cit., p. 305; in
giurisprudenza v. Cass., 5 ottobre 1973, Bordin, in Cassazione penale, 1974, p. 1102 ss.).
217
In mancanza di detto limite temporale, entro quattro mesi dalla data di pubblicazione del decreto, v.
supra par. 3.5.
218
Sull’ammissibilità delle condizioni sospensive, cfr. Cass., 15 dicembre 1983, Caracciolo, in Giustizia
penale, 1984, II, p. 482 ss.
219
Cfr. Cass., 9 dicembre 1983, Zitoli, in Cassazione penale, 1984, p. 614 ss.
220
A seguito di un tormentato andamento giurisprudenziale, le Sezioni unite della corte di Cassazione
hanno affermato che la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., a dispetto di quanto sancito dall’art.
445, comma 2, c.p.p., non può costituire titolo idoneo per la revoca di indulto sottoposto a condizione
risolutiva (Cass., 26 febbraio 1997, Bahrouni, in Cassazione penale, 1997, p. 2666 ss.). Orientamento
successivamente ripreso dalle sezioni semplici, ad esempio Cass., 20 marzo 1997, D’Agata, in C.E.D.
Cass., n. 207322, nonostante non abbia incontrato il favore della dottrina (v. per tutti la nota alla citata
sentenza delle Sezioni unite da parte di CARCANO D., La sentenza di patteggiamento non è titolo per la
revoca di una precedente sospensione condizionale della pena: una soluzione da rimeditare, ivi).
221
Ex art. 674 c.p.p., la revoca può essere disposta dal giudice dell’esecuzione, mediante il procedimento
82
Il provvedimento di revoca ha natura dichiarativa, e non costitutiva, poiché ha ad
oggetto una decadenza che “si verifica ope legis al momento del passaggio in giudicato
della sentenza di condanna inflitta per il nuovo reato” 222 , con la conseguenza che il
giudice dell’impugnazione non incorrerà nel divieto di reformatio in peius 223 .
4.4 Ipotesi di mancata applicazione del beneficio e giudicato in tema di indulto.
In tema di profili processuali, emerge quale prima problematica la mancata
applicazione dell’indulto in fase di cognizione.
Si ritiene generalmente che l’omissione di tale pronuncia non costituisca causa
di nullità della sentenza né, correlativamente, possa costituire oggetto di ricorso per
Cassazione 224 . La via del ricorso di legittimità risulta esperibile solamente nell’ipotesi
in cui il giudice, dopo aver preso in considerazione la questione, abbia erroneamente
negato la concessione del beneficio 225 .
Risulta tuttavia da segnalare un orientamento contrario della Cassazione che,
seppure minoritario, ottiene tuttora consensi a livello dottrinale 226 . Tale indirizzo
sostiene la rinviabilità dell’applicazione del beneficio in sede esecutiva esclusivamente
di cui all’art. 666 c.p.p., v. ROTA F., Commento all’art. 174, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), p.
1558; per la giurisprudenza Cass., 30 settembre 1992, Leto, in C.E.D. Cass., n. 192355. E’ stato altresì
rilevato che la causa di revoca del condono deve essere necessariamente accertata dal giudice, il quale è
tenuto semplicemente a verificarne la sussistenza dei presupposti. Pertanto, prima di siffatta decisione il
pubblico ministero non può porre in esecuzione la pena condizionalmente condonata semplicemente
presupponendo l’esistenza di un motivo di revoca.
222
Cfr. ad esempio Cass., 16 dicembre 1998, Pelle, in Cassazione penale, 2000, p. 947 ss.
223
Ampiamente sul punto VESSICHELLI M., Commento all’art. 174, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di),
op. cit., p. 415. L’Autore ricorda che, ex Cass., 1 febbraio 1989, Gervasoni, in C.E.D. Cass., n. 183744,
tale divieto non si estende ai meccanismi automatici, quale quello in esame, astrattamente fissati dalla
legge sulla base di parametri oggettivi e soggettivi predeterminati. Per approfondimenti sul punto, cfr.
par. successivo.
224
Infatti, tra i poteri del giudice di cognizione è compreso quello di rinviare l’applicazione al giudice
dell’esecuzione. Cfr. in dottrina ROTA F., Commento all’art. 174, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura
di), p. 1564; VESSICHELLI M., Commento all’art. 174, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p.
389. In giurisprudenza, ad esempio, Cass., 19 marzo 1990, Diglio, in Rivista penale, 1991, p. 529 ss.;
Cass., 19 gennaio 1983, Riva, in Giurisprudenza penale, 1983, III, p. 725 ss.; Cass., 26 giugno 1981,
Tardivo, in Rivista penale, 1982, p. 415 ss.
225
Ben potendo la parte, negli altri casi, riproporre la questione in sede di esecuzione, cfr. Cass., 20
novembre 1989, Sitzia, in C.E.D. Cass., n. 183813.
Si aggiunga che nell’ipotesi in esame la Cassazione, laddove sussistano i requisiti, può procedere
direttamente all’applicazione dell’indulto (v. Cass., 25 gennaio 1983, Guarnieri, in Giustizia penale,
1984, III, p. 472 ss.; Cass., 2 aprile 1981, Traversa, in Rivista penale, 1982, p. 290 ss.), ed infine che
l’applicazione dello stesso non può essere chiesta per la prima volta in Cassazione (cfr. Cass., 5 maggio
2004, B., in C.E.D. Cass., n. 229297; 27 ottobre 1998, Di Meo, in Giustizia penale, 1999, III, p. 726 ss.).
226
PADOVANI T., Commento all’art. 174, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit.,
p. 208, sostiene la correttezza di tale ultimo orientamento.
83
nell’ipotesi in cui il provvedimento di clemenza sia intervenuto successivamente alla
sentenza, nonché la sussistenza in capo al giudice dell’obbligo di provvedervi, anche
d’ufficio, in tutta la fase di cognizione, tanto di merito quanto di legittimità 227 . In
corrispondenza, andrebbero riconosciuti all’imputato, lungo tale lasso di tempo, il
perdurare dell’interesse in ordine all’applicazione del beneficio, e la relativa
legittimazione a ricorrere in Cassazione non solo in caso di erroneo rifiuto, ma anche
contro la sentenza nella quale fosse stata omessa per errore la pronuncia su una specifica
istanza dell’interessato 228 .
Minori questioni, sempre legate all’an e al quantum del sindacato sui
provvedimenti applicativi dell’indulto, emergono in relazione alle ipotesi in cui, invece,
il provvedimento venga sì concesso, ma risulti viziato.
In proposito, la giurisprudenza è solita operare una distinzione, all’interno del
contenuto di una qualsivoglia pronuncia applicativa di indulto, tra i capi ed i punti che
concedono o negano il beneficio e quelli che concernono esclusivamente la misura di
esso. Sotto il primo profilo la sentenza è da ritenersi “impugnabile nei termini e con le
modalità di legge, nonché soggetta a giudicato” 229 , mentre nella seconda parte essa
rimane provvisoria, con la conseguenza che risulta sempre possibile, in sede esecutiva,
eliminare gli errori in essa contenuti 230 . In altre parole, “la pronuncia in materia di
indulto (...) presenta un contenuto bifronte: accerta la ricorrenza dei requisiti previsti dal
decreto; poi, alla stregua di quest’ultimo, decurta la pena di una certa misura. Orbene,
dei due contenuti soltanto il primo è genuino prodotto di attività giurisdizionale, con
227
In tal senso v. per tutte Cass., 12 luglio 1985, in Cassazione penale, 1986, p. 1792 ss.
A parere di PADOVANI T., op. cit., p. 208, la condivisibilità di tale orientamento deriva dal fatto che
“non vi è ragione di non applicare una legge in vigore al momento della pronuncia della condanna e
relativa al reato sub iudice”.
Le Sezioni unite, con la sentenza 3 febbraio 1995, Aversa, in Cassazione penale, 1995, p. 1493 ss., sono
intervenute avallando il primo orientamento e sottolineando che allorché l’applicazione dell’indulto non
risulta richiesta nelle fasi di merito, la questione non è deducibile in Cassazione.
229
V. VESSICHELLI M., Commento all’art. 174, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 389.
Contra un’unica pronuncia: Cass., 7 dicembre 1995, Foti, in C.E.D. Cass., n. 203749, secondo la quale il
provvedimento che in sede di cognizione applica l’indulto, pur in presenza di una causa di revoca del
beneficio non diventa definitivo, anche se non impugnato, a meno che non venga fornita la prova che la
causa di revoca fosse nota al giudice.
230
Generalmente errori di calcolo. Sul punto v. Cass., 12 marzo 1990, Salomone, in Cassazione penale,
1991, p. 1069 ss. Ipotesi tipica risulta essere quella, peraltro già esaminata (v. supra par. 4.2), del
medesimo indulto applicato nei confronti di un imputato da parte più giudici, all’insaputa l’uno dell’altro,
in occasione di diverse sentenze di condanna passate in giudicato. In aggiunta a quanto detto a suo tempo,
si riporta il contenuto di una ulteriore sentenza, la quale sottolinea che i provvedimenti applicativi di
indulto adottati in relazione a singole condanne hanno carattere provvisorio e sono destinati ad essere
assorbiti e superati dalla applicazione unitaria del beneficio in sede di cumulo ex art. 174 c.p. (v. Cass., 24
aprile 1990, Casini, in C.E.D. Cass., n. 184212).
228
84
tutte le implicazioni che il termine comporta; l’altro si riduce ad un’appendice
spuria” 231 .
5. Aspetti di disciplina comuni ai due istituti.
5.1 La selezione dei reati amnistiabili e condonabili e la questione del reato
tentato e circostanziato.
Il codice penale non pone alcun limite di carattere oggettivo all’applicabilità dei
provvedimenti di clemenza 232 , demandando al legislatore la determinazione, volta per
volta, dei reati in essi ricompresi. I decreti, pertanto, saranno dotati di un efficacia
estintiva più o meno ampia a seconda di quanto stabilito in sede di legiferazione.
I criteri di norma utilizzati al fine di selezionare i reati amnistiabili e/o
condonabili operano con riferimento al nomen iuris del reato, oppure all’articolo di
parte speciale ad esso dedicato, ovvero genericamente alla specificazione di un tetto
massimo di pena, quantitativamente prefissato.
Negli ultimi decenni, raramente il legislatore ha dimostrato preferenze nei
confronti dell’uno o dell’altro criterio, optando quasi sempre per una applicazione
congiunta di essi. Generalmente, infatti, i reati ai quali il beneficio si estende sono
indicati mediante l’impiego del criterio quantitativo, successivamente dettagliato dalla
elencazione, con riferimento al titolo o all’articolo, dei singoli reati nei confronti dei
quali venga operata una eccezione alla regola base, al fine di includerli od escluderli
dall’applicazione di clemenza 233 .
Si noti come la scelta dell’uno piuttosto che dell’altro metodo di selezione dei
reati risulta, come vedremo, tutt’altro che scevra da conseguenze sul piano pratico,
generando negli anni non poche problematiche a livello dottrinale e giurisprudenziale.
231
Assai dettagliata la ‘digressione’ di CORDERO F., Digressione sul giudicato in tema d’indulto, in
Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1959, I, p. 305. L’Autore sembra sostenere l’orientamento
prevalente della giurisprudenza, seppur criticando il fatto che “a tale soluzione ineccepibile (...) si è
pervenuti ragionando sillogisticamente sulla base di una premessa indimostrata” (p. 306), con la
conseguenza che, inevitabilmente, “il risultato dell’argomentazione vada a parare nell’arbitrario” (p. 309).
232
Come sottolinea, a proposito dell’indulto, GIANZI G., voce Indulto (dir. pen. e proc. pen.), op. cit., p.
254, “la natura di atto di clemenza implica, invero, che il potere di condono o di commutazione non trovi
ostacolo né nella specie, né nell’entità della pena inflitta”, principio generale che tuttavia non osta alla
previsione, nella prassi, di determinate esclusioni e inclusioni.
233
Cfr. MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 458; altresì MONTANINI G., voce
Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 3.
85
Sembra costituire eccezione a quanto appena affermato il criterio quantitativo,
dal momento che, in riferimento al computo della pena, la giurisprudenza è costante
nell’affermare la necessità di avere riguardo alla pena edittale, ossia alla pena massima
in astratto comminabile, e non a quella che il giudice abbia irrogato o possa irrogare in
concreto 234 .
Tuttavia, difficoltà non di poco conto sorgono laddove si debba definire in quale
modo disciplinare il reato circostanziato, nell’ipotesi in cui il singolo decreto non
contenga norme particolari in tema di determinazione della pena, da assumere come
linea guida per l’applicazione del beneficio. L’orientamento prevalente della Suprema
Corte è nel senso di tenere conto di eventuali circostanze attenuanti o aggravanti,
sempre che si siano effettivamente verificate entro il periodo coperto da beneficio 235 . Le
prime si devono calcolare nel loro massimo, ossia un terzo, mentre le seconde nel loro
minimo, e cioè in un solo giorno di reclusione per ciascuna di esse 236 . In caso di
concorso eterogeneo di circostanze il giudice deve procedere al giudizio di
234
V. Cass., 9 novembre 1978, Pitacco, in Cassazione penale, 1979, p. 1092 ss. Dottrina altrettanto
unanime circa la prevalenza del criterio c.d. di valutazione in astratto della pena: MANZINI V., Trattato di
diritto penale, op. cit., p. 484; MARINI G., voce Amnistia e indulto nel diritto penale, op. cit., p. 145;
DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 159; ROMANO
M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 29;
BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1360;
MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 458.
235
Cfr. tra le tante Cass., 8 aprile 1978, Sansoni, in Rivista penale, 1978, p. 673 ss. In dottrina
DELL’ANDRO R., voce Amnistia, op. cit., p. 311; BELTRAME A.M., in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’
G. (a cura di), op. cit., p. 589; BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura
di), op. cit., p. 1360; DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op.
cit., p. 160.
Contra, a dimostrazione della complessità della questione, tre differenti orientamenti. In primo luogo vi è
che sostiene che vadano prese in considerazione solamente le circostanze c.d. comuni, escludendo in toto
quelle che comportano pene differenti o indipendenti e quelle previste da disposizioni della parte speciale
non previste dal decreto (v. per tutti MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 458).
Altri ritengono che si debba tenere conto delle sole circostanze aggravanti speciali, v. PASSARELLI A.,
Competenza del giudice istruttore ad applicare l’amnistia quando questa è subordinata al concorso
dell’attenuante prevista dall’art. 62, n. 4, del codice penale, ovvero al giudizio di prevalenza o di
equivalenza delle circostanze attenuanti rispetto alle aggravanti, in Giurisprudenza penale, 1967, III, p.
697 ss.
Terzo, vi è chi nega la rilevanza delle circostanze “anzitutto per una particolare esigenza di «puntualità
formale» nella determinazione legale dei limiti del beneficio, inoltre per ridurre al minimo qui le
valutazioni giudiziali (...), infine in base ad un argomento «a contrario» desumibile dalla diversa
soluzione accolta espressamente dal codice in tema di prescrizione del reato” (ROMANO M., Commento
all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 29).
236
V. la recente Cass., 21 marzo 2000, in Cassazione penale, 2001, p. 1466 ss. Anche per la diminuente
della minore età vale la regola che la circostanza vada valutata nel minimo. Pertanto, la pena massima
edittale dovrà essere diminuita di un giorno, cfr. Cass., 29 novembre 1971, Visconti, in Giurisprudenza
italiana, 1972, II, p. 550 ss. Secondo altra pronuncia (Cass., 15 marzo 1993, Fazio, in Cassazione penale,
1994, p. 1496 ss.), invece, la diminuzione dovrebbe essere operata nella misura massima di un terzo, nel
rilievo che la riduzione di un solo giorno non consentirebbe mai l’applicazione del beneficio ai minori.
86
comparazione di cui all’art. 69 c.p., al termine del quale, laddove la conseguente misura
della pena consenta l’applicazione del provvedimento, il beneficio deve essere
concesso 237 .
Differentemente, quando la legge richiama il nomen iuris, e sempre in assenza di
diverse indicazioni nel testo, è pacifico che siano incluse nel beneficio tutte le figure
minori dello stesso reato nonché le forme aggravate che non comportino mutamenti del
titolo 238 .
Tale criterio, se non genera particolari difficoltà in ordine all’applicazione del
beneficio al reato circostanziato, pone interessanti problemi interpretativi laddove la
fattispecie da valutare sia quella di reato tentato.
In particolare, mentre é oramai assodato che quando il beneficio è concesso nei
confronti di un determinato reato, quest’ultimo è da ritenersi ricompreso tanto nella sua
237
V. ad esempio Cass., 20 maggio 1980, Noce, in Rivista penale, 1980, p. 865 ss. Interessante sul punto
la posizione di DALL’ORA A., Giudizio di prevalenza o equivalenza fra circostanze aggravanti e
attenuanti, e pena edittale, ai fini dell’applicabilità dell’amnistia, in Rivista italiana di diritto e
procedura penale, 1950, p. 381 ss., laddove afferma che mentre nel caso di prevalenza delle attenuanti
sulle aggravanti, queste ultime non avranno più alcuna influenza sull’applicabilità del provvedimento, ciò
non si verifica nell’ipotesi di equivalenza. Il fatto che la circostanza aggravante non si ripercuota sul
momento di applicazione della pena non significa “che non sussista, e che non possa spiegare ogni altra
efficacia”. A parere dell’autore, “non è assurdo”, come sostiene invece la sentenza all’occasione
commentata (Tribunale di Milano, 26 ottobre 1949, Intra, ivi, p. 865 ss.), “che il giudice, dopo aver
«eliminato» obbligatoriamente, con il giudizio di prevalenza o equivalenza (cioè dopo non averne tenuto
conto quoad poenam), debba tenerne conto ai fini dell’applicabilità dell’amnistia. Non è assurdo perché i
giudizi non sono sullo stesso piano. Il primo è assimilabile al giudizio per stabilire la misura della pena,
(...) il secondo, sull’applicabilità del beneficio, è sostanzialmente un puro giudizio di merito” (p. 382 ss.).
Concordano VESSICHELLI M., Commento all’art. 174, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p.
409; PADOVANI T., Commento all’art. 174, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op.
cit., p. 204.
Il giudizio di comparazione prevede inevitabilmente una valutazione di merito. La Cassazione, sul punto,
ha precisato che ciò non comporta il previo accertamento del reato e della colpevolezza, in conformità al
principio della pregiudizialità previsto per l’amnistia, e che tale limitata indagine “trova il suo
fondamento nelle disposizioni speciali che la giustificano, come indagine preliminare assolutamente
necessaria ai fini dell’applicabilità dell’amnistia” (Cass., 13 giugno 1973, n. 1270, in Cassazione penale,
1975, p. 463 ss.).
Controversie sono sorte in merito alla titolarità del potere di applicare l’amnistia, per effetto di tale
giudizio di comparazione. La tesi prevalente è nel senso di ritenere che non sia riservato al giudice del
dibattimento, ma altresì al p.m. e al g.i.p. (v. PASSARELLI A., op. ult. cit., p. 967; BELTRAME A.M., in
CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 590; BENUSSI C., Commento all’art. 151, in
DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1362).
238
Cfr. MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 458; MARINI G., voce Amnistia e indulto nel
diritto penale, op. cit., p. 145; ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. –
PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 29; PADOVANI T., Commento all’art. 174, in ROMANO M. – GRASSO
G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 204.
Similmente avviene nell’ipotesi di reato individuato in base all’articolo del codice penale che lo prevede.
Generalmente si ritiene che siano comunque comprese all’interno del beneficio solamente quelle previste
dal medesimo articolo (v. MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 458).
87
forma consumata quanto in quella conata 239 , rilevanti questioni sono state sollevate
nell’opposta circostanza, vale a dire laddove la legge preveda una espressa esclusione 240
dall’applicazione dell’amnistia o dell’indulto.
Le Sezioni Unite della Cassazione 241 hanno “risolto in senso negativo il
problema relativo all’estensione anche alle fattispecie di reato tentato delle esclusioni
oggettive dall’amnistia, previste per determinati reati” 242 , pertanto, eccezion fatta per
l’ipotesi in cui sia espressamente prevista una regola dal diverso contenuto, non pare
proprio che il tentativo possa intendersi escluso a sua volta243 . Il principio posto a
fondamento di tale pronuncia mira ad esaltare l’autonomia della figura delittuosa tentata
che “è dotata di una propria oggettività e di una propria struttura” 244 , ed in quanto tale
239
V. ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op.
cit., p. 29. Tale tesi, sebbene non sempre espressa, risulta inevitabilmente condivisa in dottrina, dal
momento che costituisce il necessario punto di partenza per l’affermazione della tesi maggioritaria che
ora andremo ad analizzare.
240
Indifferentemente mediante l’indicazione del titolo di reato o dell’articolo.
241
Cfr. Cass. S.U., 23 febbraio1980, Iovinella, in Giustizia penale, 1980, II, p. 289 ss.
242
V. DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 151.
Abbracciano la medesima teoria MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 465; MARINI G., voce
Amnistia e indulto nel diritto penale, op. cit., p. 145, seppur con riserva di verifica del singolo
provvedimento; BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p.
1363; BELTRAME A.M., Commento all’art. 151, in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op.
cit., p. 590; ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di),
op. cit., p. 30; PADOVANI T., Commento all’art. 174, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura
di), op. cit., p. 204; Quale critica sull’opposto orientamento assunto sul punto dal legislatore del d.P.R. 4
agosto 1978, n. 413, v. SPIZUOCO R., Nuove questioni in tema di amnistia e indulto, in AA. VV., Scritti in
memoria di Ugo Pioletti, Milano, 1982, p. 599 ss.
Contra FROSALI R.A., Sistema penale italiano, II, Torino, 1958, p. 365, il quale accomuna nell’esclusione
la figura realizzata e quella meramente tentata; KOSTORIS S., Amnistia e indulto, op. cit., p. 42, secondo il
quale la risposta “non può che essere positiva, seppure con riserva, e ciò proprio per la struttura tipica del
reato che abbiamo visto non dover essere considerato un minus rispetto a quello consumato”. Medesima
argomentazione addotta dall’orientamento prevalente (v. infra nel testo), per giungere tuttavia ad una
soluzione diametralmente opposta.
243
Le norme di sfavore che si riferiscono al reato consumato non si estendono a quello tentato, salvo che
il decreto di clemenza disponga diversamente (V. Cass. 17 giugno 1991, Valpondi, in C.E.D. Cass., n.
187686).
244
Cfr. BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1363.
Assai varie le argomentazioni a sostegno di questa tesi. CARTONI MOSCATELLI P., Esclusioni oggettive
dall’amnistia e dall’indulto e tentativo, in Rivista penale, 1979, p. 977 ss., ricorda anzitutto il brocardo
cogitationes poenam nemo patitur, ai sensi del quale “la violazione di un precetto penale che non fosse
pervenuta a quell’effetto non sarebbe punibile se un’altra norma penale non incriminasse tale incompleta
violazione”; funzione che nel codice penale italiano è svolta dall’art. 56 c.p., il quale “dispone per il
tentativo una riduzione di pena rispetto al delitto consumato creando un appostito e generale titolo di
reato”. Seconda motivazione, ulteriore brocardo: il principio generale del favor rei, per cui in caso di
dubbio deve essere applicata la normativa maggiormente favorevole all’imputato, risulta certamente
applicabile anche in tale circostanza (p. 978).
Si veda altresì GAITO A., Reato tentato, amnistia ed indulto, in Giurisprudenza italiana, 1980, II, p. 289
ss., il quale, alle due precedenti motivazioni, aggiunge in primo luogo una implicita conferma fornita a
livello normativo dall’art. 157 c.p., il quale dispone che, per determinare il tempo necessario a prescrivere
si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato. “Orbene, se
88
non è né assimilabile ad una circostanza attenuante 245 , né valutabile quale una semplice
‘degradazione’ del reato consumato 246 .
Per nulla controversa la soluzione prospettata laddove tale ipotesi, invece, si
verifichi in sede di applicazione di un provvedimento la cui ampiezza estintiva risulti
definita dalla previsione di un tetto massimo di pena. Procedimento assai semplice, ma
sufficiente in vista dello scopo, risulta essere quello di verificare se la pena ottenuta
diminuendo della misura minima 247 la pena massima in astratto comminabile per il
reato consumato, sia inferiore al limite edittale previsto dalla legge 248 .
La giurisprudenza nel tempo ha affrontato il delicato argomento delle esclusioni
oggettive dal provvedimento anche in una differente prospettiva. Al fine di prevenire
applicazioni contrastanti dei medesimi, o semplicemente il proliferare di successive
impugnazioni dei provvedimenti, ha fornito una sorta di ‘linee guida’ per
l’interpretazione dei provvedimenti di clemenza 249 . Principio fondamentale è quello
della “tipicità e tassatività dei reati amnistiabili” 250 , la cui validità emerge soprattutto
laddove i reati esclusi dal beneficio siano indicati mediante il loro nomen iuris, ai sensi
del quale le norme che prevedono la non applicabilità del provvedimento a taluni reati
hanno carattere eccezionale e non possono, pertanto, essere interpretate al di là della
reato consumato e reato tentato non costituissero due diverse figure giuridiche, tale distinzione
terminologica sarebbe priva di senso” (p. 295). In secondo luogo, è da ritenere che le ipotesi di esclusione
dall’ambito operativo di amnistia o indulto, “in quanto alterano la disciplina generale del provvedimento
di clemenza, necessariamente e tipicamente ricadono nell’orbita dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge
in generale” (p. 296), in base al quale “le leggi che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non
si applicano oltre i casi e i tempi in essa considerati”. Ad opera del medesimo Autore, una dettagliata
digressione sugli orientamenti della Corte di Cassazione dagli anni ’20 sino alla citata sentenza, datata 23
febbraio 1980.
245
Una tale tesi “sarebbe in contrasto con la natura stessa delle circostanze che, rappresentandone un
elemento accidentale straordinario ed accessorio, presuppongono una ipotesi delittuosa tipica già
autonomamente perfetta nella sua struttura. Nel tentativo, invece, manca il reato base cui la circostanza
dovrebbe aggiungersi” (cfr. GAITO A., Reato tentato, amnistia ed indulto, op. cit., p. 294).
246
Come afferma CARTONI MOSCATELLI P., Esclusioni oggettive dall’amnistia e dall’indulto e tentativo,
op. cit., p. 977, il tentativo non può essere considerato semplice “degradazione del delitto consumato, dal
quale si differenzierebbe unicamente per la sanzione”, quanto piuttosto un ‘grado’ o una ‘fase’ di esso,
poiché ciò che li differenzia è semplicemente il fatto che in quest’ultimo si ha il successo dell’azione
criminosa.
247
Normalmente di un terzo, ex art. 56, comma 2, c.p.
248
Dottrina unanime. Per tutti v. MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 436, il quale in tema di
amnistia afferma: “essa si applica così al delitto consumato come al delitto tentato, se la pena comminata
dalla legge lo consente”.
249
Assai dettagliato sul punto DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura
di), op. cit., p. 147 ss.
250
Così DIOTALLEVI G., Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 147.
89
loro espressione letterale 251 . Successivamente la corte di Cassazione ha fornito anche
una serie di esempi di applicazione pratica, traendo spunto dai singoli decreti di
clemenza di volta in volta emanati, allo scopo di guidare i singolo giudici ad una
corretta ed uniforme applicazione del beneficio 252 .
5.2 Le esclusioni soggettive.
Nel sistema penale italiano, la godibilità dei benefici clemenziali collettivi può
essere subordinata, oltre che a presupposti e condizioni di ordine oggettivo, anche a
situazioni soggettive inerenti la persona del condannato. Salvo che la legge di
concessione disponga diversamente, infatti, ai sensi dell’art. 151, comma 5, c.p.
l’amnistia e l’indulto 253 non si applicano ai recidivi nei casi di cui all’art. 99, comma 2,
c.p., né ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Risulta quindi possibile
affermare che, di regola, amnistia e indulto si applicano solamente nei confronti di
persone incensurate e dei recidivi ‘semplici’ 254 .
Tale esclusione, delineata nei confronti di specifiche categorie di soggetti, risulta
motivata dall’esigenza, viva a livello sociale, di affiancare un istituto clemenziale con
251
V. quali esempi Cass., 16 dicembre 1969, Pino, in Giustizia penale, 1971, II, p. 125 ss.; Cass., 24
ottobre 1978, Greco, ivi, 1979, II, p. 468 ss.; ed anche Cass., 10 novembre 1978, De Rosa, in Cassazione
penale massimario annuale, 1980, p. 1152 ss., ai sensi della quale le norme in esame vanno ritenute di
stretta interpretazione e non possono, perciò, estendersi ai casi diversi da quelli espressamente
considerati.
252
A titolo esemplificativo si riporta la sentenza Cass., 12 giugno 1991, Gazzera, in C.E.D. Cass., n.
188687, in merito all’esclusione dall’amnistia, prevista dall’art. 3, comma 1, lett. c), n. 23 del d.P.R. n. 75
del 1990, per i delitti di lesioni colpose commessi con violazione delle norme sulla prevenzione degli
infortuni sul lavoro. La Cassazione in tale occasione ha precisato che, in tale circostanza, per ‘lesioni
colpose’ si debba intendere esclusivamente lesioni gravi o gravissime, ossia che abbiano prodotto
l’indebolimento permanente di un senso o di un organo. La corte ha aggiunto inoltre che tra queste ultime
non rientrano le lesioni che abbiano prodotto un indebolimento permanente della funzione “estetica” della
cute, in quanto essa può essere considerata organo “funzionale” solo laddove si faccia riferimento alla sua
funzione fisiologica di difesa, termoregolatoria e secretoria. Come è possibile constatare, si tratta di
precisazioni assai dettagliate, che negli anni hanno riguardato i più diversi argomenti, dai reati in materia
urbanistica ai reati tributari sino alle violazioni delle disposizioni per il controllo delle armi. V. quali
esempi, rispettivamente, Cass., 28 luglio 1992, Cecoro, in C.E.D. Cass., n. 191677; Cass., 24 febbraio
1999, Cassina, in C.E.D. Cass., n. 213513; Cass., 16 ottobre 1992, Iamonte, in C.E.D. Cass., n. 192393.
253
Il comma 3 dell’art. 174 contiene un esplicito rimando a quanto sancito dagli ultimi tre commi dell’art.
151 c.p. Si noti che tale richiamo ha valore esclusivamente per l’indulto, ma non per la grazia.
254
In merito alla distinzione tra recidivi ‘semplici’ e ‘aggravati’ o ‘reiterati’, cfr. infra questo paragrafo.
Da aggiungere la nota di FIANDANCA G. - MUSCO E., Diritto penale, op. cit., p. 779, il quale afferma che
“l’art. 151 limita la sua sfera di efficacia ai «delinquenti», con conseguente esclusione dei
«contravventori» qualificati, per i quali l’amnistia è applicabile”, ed ovviamente lo è anche l’indulto.
90
previsioni comunque in grado di “operare una forma di prevenzione dei reati” 255 , fatta
salva, per espressa disposizione del legislatore all’interno del comma citato, la
possibilità di una diversa regolamentazione in occasione di ogni singolo decreto 256 .
Per quanto attiene alla recidiva, essa rileva unicamente in due forme: aggravata e
reiterata, mentre rimane priva di importanza, a questi fini, laddove si tratti di recidiva
semplice 257 . In argomento, la giurisprudenza ha ritenuto che questa “costituisca motivo
ostativo alla concessione del beneficio, anche se non risultante da precedenti sentenze di
condanna, ove sussistano le condizioni per la sua dichiarazione” 258 . Diversamente, la
dottrina si è schierata all’unanimità a sostegno della tesi che sostiene la necessarietà
dell’avvenuta pronuncia giudiziaria dello stato recidivo, ciò sia in quanto lo stesso
costituisce uno “status soggettivo che trova riconoscimento costitutivo nella
condanna” 259 , sia in quanto “rappresenta una circostanza aggravante del reato” 260 .
Conseguentemente, non risulterebbe possibile negare l’applicazione del beneficio al
255
A parere di GIANZI G., voce Indulto (dir. pen. e proc. pen.), op. cit., p. 257, è dunque una motivazione
di opportunità e di politica legislativa quella che giustifica tali esclusioni.
Tale ratio, tuttavia, spesso non è parsa giustificazione sufficiente all’inevitabile crearsi di situazioni di
disparità tra soggetti la cui possibilità di usufruire di tali benefici non risulti sottoposta a condizioni certe
ed oggettive, quanto piuttosto “alla variabile durata dei processi penali, determinata vuoi dall’esercizio
del diritto di impugnazione, vuoi dalla maggiore o minore celerità degli uffici giudiziari”, fattori dunque
non necessariamente determinabili dalla volontà delle parti. E’ questo il caso, ad esempio dell’art. 4 del
d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, con il quale si dispone che l’amnistia non si applichi nei confronti di coloro
che nei cinque anni precedenti la data di entrata in vigore del decreto hanno riportato una o più condanne.
V. sul punto il contributo, dall’eloquente titolo, di SEVERINI G., Pericolosità sociale ed inconvenienti
necessari in tema di amnistia e indulto, in Legislazione penale, 1984, p. 583 ss. L’Autore affronta
ampiamente il tema della assunta incostituzionalità delle esclusioni fondate su matrice soggettiva. Otto le
questioni di costituzionalità sollevate da altrettanti giudici di merito tra il 1978 e il 1982, respinte in toto
con la sentenza Corte Cost., 10 maggio 1984, n. 141, in Legislazione penale, 1984, p. 497 ss. Le
ordinanze di rimessione sottolineavano che le disparità di trattamento non si sarebbero verificate se la
legge, anziché fare riferimento alla data della condanna, avesse fatto riferimento al tempus commissi
delicti. La Corte, in risposta, rilevava le altrettante “disparità non meno inique” che si sarebbero venute a
creare con il criterio alternativo, conseguentemente dichiarando l’inammissibilità delle istanze “per
difetto di motivazione sulla rilevanza”.
256
Evenienza che si è verificata, ad esempio nell’indulto da ultimo concesso con la legge 31 luglio 2006,
n. 241.
257
Si ricorda, che si ha recidiva semplice (art. 99, comma 1, c.p.) quando l’agente, dopo aver riportato
condanna per un reato, ne commette un altro ad oltre cinque anni dalla condanna precedente. La forma
aggravata (comma 2) presuppone, invece, il verificarsi di una o più fra tre circostanze elencate: che il
nuovo reato sia della stessa indole del precedente; che sia stato commesso entro cinque anni dalla
precedente condanna; che sia stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il
tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente alla esecuzione della pena. Infine, può aversi
recidiva reiterata (comma 4) qualora chi risulti già recidivo commetta un nuovo reato.
258
V. MONTANINI G., voce Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 4.
259
Cfr. GIANZI G., voce Indulto (dir. pen. e proc. pen.), op. cit., p. 257. V. altresì MONTANINI G., voce
Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 4; BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. –
MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1364; ROMANO M., Commento all’art. 151, in ROMANO M. –
GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 31.
260
V. BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1364.
91
soggetto che non abbia ancora ricevuto la qualifica di ‘recidivo’, pur trovandosi nella
condizione di poter essere dichiarato tale 261 .
Si noti tuttavia coma la modifica della disciplina penalistica della recidiva, con
l’ampliarsi della discrezionalità giudiziale in ordine alla sua applicazione, ha relegato in
secondo piano tale questione, facendone emergere una ulteriore concernente i limiti
all’esercizio di detta facoltà 262 . Ove si sposi la tesi ai sensi della quale tale
discrezionalità verte esclusivamente sulla opportunità di apportare o meno gli aumenti
di pena previsti dall’art. 99 c.p., ferme restando la sussistenza dell’aggravante e la
necessità della sua contestazione, sarebbe lecito affermare che, “esistendo le condizioni
per la dichiarazione della qualità di recidivo (...), tale dichiarazione dovrebbe essere di
ostacolo alla concessione del beneficio” 263 . Viceversa, ove si acceda alla tesi in base
alla quale è facoltà del giudicante applicare o meno non solo l’aumento di pena ma
anche l’aggravante, allora la precedente condanna potrebbe non costituire causa
ostativa 264 .
Medesime conclusioni di livello generale possono essere formulate in
riferimento alle condizioni di delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Tuttavia, risulta necessaria anche in questa sede una precisazione al fine del corretto
261
In tal senso: Cass., 5 marzo 1986, Pisanu, in Giurisprudenza penale, 1987, II, p. 58 ss.
Sul punto v. ampiamente BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura
di), op. cit., p. 1364; e MONTANINI G., voce Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 4.
263
Così BENUSSI C., Commento all’art. 151, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1364.
In giurisprudenza v. Cass., 5 settembre 1974, Mele, in Cassazione penale, 1976, p. 163 ss.; Cass., 29
settembre 1978, Vinciguerra, in Cassazione penale Massimario, 1980, p. 745 ss.
264
Cfr. Cass., 15 aprile 1976, Tosto, in Cassazione penale, 1979, p. 339 ss. Comunque, come sottolinea
MONTANINI G., voce Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 4, “gli ultimi decreti di clemenza, non
facendo riferimento generico alla condizione di recidivo, ma indicando specificatamente quali condanne
precedenti (a quale pena, ed in quali termini di tempo riportate) siano ostative alla concessione del
beneficio, superano praticamente il problema posto”. Problema che, tuttavia, si ripropone in una
differente prospettiva, vale a dire dinanzi alle difficoltà pratiche riscontrate nell’individuazione del
“momento discriminante in materia di esclusione delle precedenti condanne” (DIOTALLEVI G., Commento
all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 161; v. altresì PADOVANI T., Commento
all’art. 174, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 207). In primo luogo è
stato affermato che non rilevano solamente le condanne divenute irrevocabili anteriormente alla data della
commissione del reato rispetto al quale viene invocato il beneficio, ma altresì quelle che lo siano divenute
successivamente sino alla data di entrata in vigore del provvedimento di clemenza (v. Cass., 24 gennaio
1978, Di Mauro, in Giustizia penale, 1978, II, p. 488 ss.; Cass. S.U., 12 febbraio 1981, in Giustizia
penale, 1982, II, p. 193 ss.). In senso contrario e più favorevole per il condannato, è stato ritenuto che
fosse necessario computare solamente le sentenze cronologicamente precedenti alla condanna di cui si
vuole verificare l’amnistiabilità, ancorché anteriori al provvedimento di clemenza (Cass., 19 novembre
1975, Magno, in Cassazione penale, 1977, p. 50 ss.). Infine, l’ulteriore indirizzo in base al quale data
limite entro cui prendere in considerazione le condanne inflitte al soggetto coincide con la data di
commissione del reato, e non con quella della condanna per lo stesso ovvero dell’entrata in vigore del
beneficio (Cass., 10 novembre 1975, Giantin, in Giustizia penale, 1976, II, p. 495 ss.).
262
92
prodursi di tali forme di esclusione dal beneficio. Occorrerà operare una precisa
distinzione tra la dichiarazione di abitualità presunta dalla legge e quella invece ritenuta
dal giudice 265 . Nella prima ipotesi, la giurisprudenza ritiene che, avendo tale
dichiarazione efficacia ex tunc, i suoi effetti necessariamente si producano sin dalla data
di consumazione del reato, a nulla rilevando il momento del passaggio in giudicato della
sentenza contenente tale declaratoria. L’unico dato rilevante ai fini dell’applicazione del
beneficio risulta quindi essere la data del commesso reato, che deve essere anteriore alla
data fissata dalla legge di concessione 266 . Per quanto riguarda la dichiarazione ritenuta
dal giudice, invece, è pacifica tanto in dottrina quanto in giurisprudenza la sua natura
costitutiva, a conseguenza della quale la declaratoria risulta ostativa all’applicazione di
un provvedimento di clemenza solamente nel caso in cui sia contenuta in un
provvedimento irrevocabile di data anteriore all’entrata in vigore del decreto di
clemenza 267 .
L’effetto impeditivo rispetto alla fruibilità del beneficio, tipico delle
dichiarazioni di abitualità, professionalità e tendenza a delinquere, può tuttavia venire
meno per effetto della riabilitazione 268 , per la revoca o estinzione di dette
265
L’art. 102 c.p., nel primo caso, prevede che venga automaticamente dichiarato delinquente abituale
chi, dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per
tre delitti non colposi, della stessa indole, commessi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta
un’altra condanna per un delitto, non colposo, della stessa indole, e commesso entro i dieci anni
successivi all’ultimo dei delitti precedenti. Con la precisazione, al comma 2, che nel calcolo del termine
dei dieci anni non si computa il tempo in cui il condannato abbia eventualmente scontato pene detentive o
sia stato sottoposto a misure di sicurezza detentive.
Nella seconda ipotesi, l’art. 103 c.p. stabilisce che la dichiarazione di abitualità possa essere dichiarata
anche contro chi, dopo essere stato condannato per due delitti non colposi, riporta un’altra condanna per
delitto non colposo, laddove il giudice ritenga che sia ‘dedito al delitto’, tenuto conto della specie e della
gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del
colpevole.
Un cenno anche alle altre due ipotesi di delinquenza qualificata previste dal codice penale. Dichiarazione
di professionalità nel reato, ai sensi dell’art. 105 c.p., può essere pronunciata nei confronti di chi,
possedendo già i requisiti per la forma ‘minore’ della abitualità nel reato, commette altro reato, ed è
possibile ritenere, avendo riguardo alla natura dei reati, alla condotta e al genere di vita del colpevole, che
egli viva abitualmente dei proventi del reato. Infine, a norma dell’art. 108 c.p., può essere dichiarato
delinquente per tendenza chi, in occasione della commissione di un reato non colposo contro la vita o
l’incolumità individuale, per la gravità oggettiva e soggettiva del reato commesso, riveli una speciale
inclinazione al delitto, che trovi sua causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole.
266
Così Cass., 7 luglio 1981, Benvenuti, in Cassazione penale, 1983, p. 42 ss.
267
Cfr. Cass., 16 gennaio 1980, Iallarida, in Rivista penale, 1980, p. 761 ss., la quale afferma altresì che
l’amnistia (nel caso di specie, ma anche l’indulto) sarà applicabile anche in caso di sentenza, contenente
la declaratoria, impugnata e quindi non ancora passata in giudicato. In dottrina v. DIOTALLEVI G.,
Commento all’art. 151, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 162; ROMANO M., Commento
all’art. 151, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 31
268
Tuttavia, poiché la riabilitazione opera ex nunc, con effetto costitutivo e non meramente dichiarativo,
“la pronuncia di estinzione degli effetti penali non ha rilievo ai fini dell’applicazione del condono quando
93
dichiarazioni 269 , ovvero per intervento di una causa di estinzione del reato o della pena
che abbia estinto anche gli effetti penali della condanna.
5.3 La procedura applicativa.
Sotto il profilo processuale, l’applicazione dell’amnistia e dell’indulto viene
disciplinata in un’unica soluzione dall’art. 672 del codice di procedura penale, che
prevede una generale competenza per l’emanazione 270
in capo al giudice
dell’esecuzione.
Tuttavia, come già rilevato nel momento in cui sono state presentate le
distinzioni sussistenti tra amnistia propria e impropria, nonché tra indulto improprio e
proprio, va ricordato come i provvedimenti clemenziali siano suscettibili di applicazione
non solo in sede di esecuzione, ma anche in sentenza, “trattandosi di un potere e dovere
del giudice da esercitarsi ex officio” 271 . Pertanto, nonostante la citata norma richiami
genericamente gli istituti in esame, risulta evidente il fatto che essa disciplini
esclusivamente la loro applicazione nella fase esecutiva, e dunque vada riferita
solamente all’amnistia impropria ed all’indulto proprio 272 . Per quanto riguarda
l’amnistia propria e l’indulto improprio, invece, occorre affrontare un discorso separato,
atteso che essi vengono di regola applicati con sentenza dal giudice procedente con
sentenza di condanna 273 .
intervenga dopo l’entrata in vigore del relativo decreto” (v. GIANZI G., voce Indulto (dir. pen. e proc.
pen.), op. cit., p. 257). Per la giurisprudenza v. Cass., 22 ottobre 1962, Lombardo, in Cassazione penale
Massimario, 1963, p. 305 ss.
269
Cfr. ad esempio art. 7 d.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865.
270
Ai sensi del combinato disposto del comma 5 dell’art. 672 e dell’art. 674 c.p.p. il giudice
dell’esecuzione risulta competente non solo all’applicazione del provvedimento, ma anche alla sua revoca
in caso di inadempimento delle condizioni e/o obblighi imposti al beneficiario dalla legge di concessione
del provvedimento.
271
Cfr. GIANZI G., voce Indulto (dir. pen. e proc. pen.), op. cit., p. 259. Sul punto v. TURLON F.,
Commento all’art. 174, in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 630.
272
La dottrina è concorde nel ritenere l’indulto e l’amnistia come istituti non esclusivi della fase
esecutiva, v. FASSONE E., voce Amnistia e indulto (profili processuali), in Digesto delle discipline
penalistiche, op. cit., p. 156; GIANZI G., voce Indulto (dir. pen. e proc. pen.), op. cit., p. 259; per la
dottrina più recente si veda l’ampio contributo di POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale),
op. cit., p. 9 ss.
273
Vari sono gli esiti della fase di merito che possono condurre all’applicazione di questi due
provvedimenti di clemenza. L’amnistia impropria può essere applicata con decisione adottata a norma
dell’art. 129 c.p.p.; con il provvedimento di cui all’art. 469 c.p.p. (proscioglimento prima del
dibattimento); con la sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato, oppure del processo ordinario
94
Ai sensi del comma 1 dell’art. 672 c.p.p., il giudice competente, vale a dire il
giudice dell’esecuzione 274 , procede a norma dell’art. 667, comma 4, c.p.p., senza
formalità con ordinanza 275 comunicata al pubblico ministero e notificata all’interessato.
“L’ordinanza che applica l’amnistia o l’indulto è immediatamente esecutiva in
quanto viene ad incidere sullo stato di libertà del condannato” 276 . Ciò significa in primo
luogo che, laddove non residui pena detentiva, debba essere disposta la liberazione del
condannato ristretto; in secondo luogo che, come stabilito al comma 2 dell’art. 672
c.p.p., qualora occorra applicare o modificare una misura di sicurezza a norma dell’art.
210 c.p. spetti sempre al giudice dell’esecuzione disporre la trasmissione degli atti al
magistrato di sorveglianza competente.
Il comma 3 contempla altresì l’ipotesi di una liberazione ‘provvisoria’, disposta
con decreto dal pubblico ministero prima che l’amnistia o l’indulto siano
definitivamente concessi con l’ordinanza del giudice, in considerazione degli eventuali
pregiudizi in cui il soggetto potrebbe incorrere in attesa del compimento dei tempi
tecnici necessari per l’applicazione definitiva del provvedimento 277 .
Ai fini dell’applicazione dei provvedimenti non è necessaria alcuna domanda da
parte dell’interessato, eccezion fatta per l’ipotesi, di cui al comma 4, di concessione in
caso di pena interamente espiata.
Per concludere, un cenno va ai rimedi esperibili nei confronti dei provvedimenti
emessi in esito alla procedura ora esaminata. Come previsto dall’art. 667, comma 4,
dibattimentale; con la sentenza di secondo grado; ovvero, infine, con la decisione della Cassazione in caso
di specifica doglianza sul punto o nel caso di sopravvenienza del provvedimento di clemenza. L’indulto
improprio, invece, può applicarsi in caso di condanna a conclusione della normale fase dibattimentale
nonché in conclusione del giudizio di impugnazione; in esito a giudizio abbreviato; con sentenza di
patteggiamento; ed infine con decreto penale di condanna.
Per i dovuti approfondimenti di natura prettamente processualpenalistica, v. POMANTI P., voce Amnistia e
Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 9 ss.
274
Si badi che nel caso in cui sia stato operato un cumulo delle pene, competente tanto per l’applicazione
quanto per la revoca del beneficio è il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto revocabile per
ultimo. Altrettanto avviene nell’ipotesi in cui il soggetto abbia riportato più condanne emesse da giudici
diversi. V. PADOVANI T., Commento all’art. 174, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di),
op. cit., p. 209; POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 11.
275
Si tratta di una ordinanza non revocabile poiché, come vedremo, è ammissibile nei confronti della
stessa l’opposizione delle parti.
276
In tali termini ancora POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 11.
277
Disposizione che, per consolidata giurisprudenza, si applica anche all’imputato, non solo al
condannato definitivo. V. Cass., 3 giugno 1960, Barbini, in Giustizia penale, 1961, III, p. 3 ss.; Cass., 25
novembre 1963, Ucciero, ivi, 1964, III, p. 206 ss. Per ‘liberazione del condannato’ non è da intendersi
esclusivamente la sua liberazione, qualora detenuto, poiché allo stesso modo può essere disposta la
cessazione di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi o misure alternative, onde non limitare
ulteriormente la libertà personale del beneficiario del provvedimento.
95
c.p.p., avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione è possibile per il pubblico
ministero, l’interessato e il difensore proporre opposizione entro il termine perentorio di
quindici giorni dalla comunicazione o notificazione dell’ordinanza 278 . Nell’eventualità
che ciò avvenga il procedimento di esecuzione segue le forme del procedimento
camerale ex art. 666 c.p.p., vale a dire che viene fissata una udienza in camera di
consiglio che si svolge nel pieno contraddittorio delle parti. E’ richiesta, infatti, la
partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero e l’audizione personale
dell’interessato che ne abbia fatta richiesta. Viceversa, ove non opposta, tale ordinanza
acquista forza di giudicato “limitatamente alle questioni in fatto ed in diritto dedotte” 279 .
6. I condoni atipici: in particolare il cd. “indultino”.
Qualità specifica delle forme atipiche di rinuncia alla pena, così definite in
dottrina accertata la mancanza di una specifica disciplina delle stesse all’interno del
codice penale, è la loro strutturazione “sul modello del sinallagma negoziale” 280 . Esse,
infatti, si caratterizzano per il fatto di subordinare sempre l’esclusione della punibilità al
compimento di determinate prestazioni da parte del reo, una sorta di scambio realizzato
al fine di recare vantaggi ad ambedue le parti del rapporto, definibile oramai
contrattuale 281 . Più esplicitamente, è stato reso possibile regolarizzare determinate
situazioni dietro il pagamento di somme di denaro, entro limiti temporali perentori, al
fine di ottenere l’impunità per gli illeciti penali compresi nel condono 282 .
Materie madri di questa differente forma di clemenza penale ed amministrativa,
che si pone al limite con il diritto strettamente premiale 283 , sono storicamente quelle
278
In caso di amnistia propria oppure indulto improprio, invece, è possibile impiegare i consueti mezzi di
impugnazione delle sentenze previsti dal codice di procedura penale. Per le impugnazioni di motivate da
erronea o mancata applicazione dell’amnistia propria vale quanto detto a proposito dell’indulto. V. supra
par. 4.4.
279
Così POMANTI P., voce Amnistia e Indulto (dir. processuale), op. cit., p. 11.
280
Cfr. MAIELLO V., La politica delle amnistie, in VIOLANTE L. (a cura di), Storia d’Italia. Annali 12. La
criminalità, Torino, 1997, p. 977.
281
V. ancora MAIELLO V., op. cit., p. 976, il quale individua due ipotesi di condoni atipici. Da un lato
l’ipotesi nella quale la condizione sospensiva prevista “partecipa al medesimo progetto di tutela espresso
dalle norme incriminatrici cui si riferisce” (es. i condoni tributari), dall’altro il caso in cui la prestazione
richiesta non risponde ad un disegno generalpreventivo, ma anzi “tradisce l’immiserimento della ‘non
punibilità’ e la sua trasformazione a ‘merce di scambio’ per conseguire fini che non rispecchiano le
ragioni delle incriminazioni” (es. i condoni edilizi).
282
V. PULITANÒ D., Diritto penale, op. cit., p. 678.
283
Per un quadro d’insieme sul diritto premiale v. FEBBRAJO A., Pene e ricompense come problemi di
96
urbanistica e tributaria. In tali ambiti, infatti, è stato fatto largo impiego di tali
strumenti 284 , considerato il minor allarme sociale connesso a tali illeciti ed il vantaggio,
valutabile in termini di guadagno statuale, derivante dal versamento delle somme
pattuite quale corrispettivo per la non punibilità. Nonostante ciò, è innegabile che i
condoni si trovino in un “campo problematico” 285 dal momento che impiegano il
meccanismo tipico dei provvedimenti di clemenza 286 senza tuttavia rispettarne i vincoli
procedurali per la concessione.
La Corte costituzionale è intervenuta sul punto in diverse occasioni, in primis
con la sentenza n. 369 del 1988, per decidere in ordine alla sollevata incostituzionalità
di alcune norme della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo
dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie). Le
ordinanze di rimessione lamentavano, generalmente, l’inammissibilità di “un
provvedimento non emesso con le garanzie di cui all’art. 79 Cost.” 287 , e come tale
lesivo del principio ex art. 3 Cost. La Corte, tuttavia, ha salvato il provvedimento in
esame giustificandolo alla luce dei criteri statuali di finalità ed opportunità della pena,
vale a dire “ribadendo che la non punibilità o non procedibilità, collegata a situazioni
sopravvenute al commesso reato, deve essere valutata in relazione agli scopi propri
della pena” 288 . L’impiego della clemenza, infatti, non volendo porsi in conflitto con
l’ordinamento penale vigente, deve necessariamente fondarsi su “particolari, stringenti
condizioni”, ed “entro una disciplina che abbia a che fare con la tutela dei medesimi
interessi tutelati dalla legge penale” 289 .
politica legislativa, in AA. VV., Diritto premiale e sistema legale. Atti del VII simposio di studi di diritto e
procedura penali promosso dalla fondazione Angelo Luzzani, Milano, 1983, p. 97 ss.
284
Si veda sul punto la fondamentale analisi di PADOVANI T., Il traffico delle indulgenze, in Rivista
italiana di diritto e procedura penale, 1986, p.398 ss.
285
Cfr. PULITANÒ D., Diritto penale, op. cit., p. 679.
286
V. le ipotesi di amnistia e indulto condizionati.
287
V. testo Corte cost. 23-31 marzo 1988, n. 369, cit., laddove si contesta l’emanazione, mediante tale
procedura, di amnistie e indulti ‘mascherati’: il provvedimento in questione, infatti, “opera soltanto come
causa soggettiva d'estinzione del reato al pari dell'amnistia, che presuppone l'accettazione dell'imputato”,
ma “non determina automaticamente il rientro nella legalità dell'opera abusiva” al pari di una reale
‘sanatoria’. Sulla sentenza 369/1988, v. supra par. 2, nota 54.
288
Così PULITANÒ D., Diritto penale, op. cit., p. 679. Nella sentenza: “tutte le volte in cui si rompe il
nesso tra reato e punibilità e quest’ultima viene utilizzata per fini estranei a quelli relativi alla difesa dei
beni tutelati attraverso l’incriminazione penale, tale uso, nell’incidere negativamente sul principio di
uguaglianza ex art. 3, deve trovare la sua giustificazione nel quadro costituzionale che determina il
fondamento ed i limiti dell’intervento punitivo dello Stato”.
289
V. PULITANÒ D., op. cit., p. 680.
97
In relazione a successivi condoni 290 la questione è stata riproposta negli anni
novanta, ancora sulla base delle medesime doglianze, caratterizzate tuttavia da una
maggiore gravità a causa della avvenuta violazione della procedura rafforzata prevista
dal novellato art. 79 Cost. Con sentenza n. 427 del 1995 291 la Corte ha nuovamente
dichiarato infondata la censura di illegittimità costituzionale, richiamandosi
espressamente a quanto statuito con la precedente pronuncia 292 .
La legge 1 agosto 2003, n. 207, ha introdotto nel sistema penale italiano un
nuovo istituto atipico, la sospensione condizionata della pena detentiva nel limite di due
anni, il quale al pari dei suoi predecessori, come vedremo, non è rimasto immune da
dubbi interpretativi e censure di legittimità.
La sospensione condizionata, meglio conosciuta con il termine giornalistico di
‘indultino’, è una causa estintiva della pena che interviene nella fase esecutiva della
stessa, caratterizzata da espressi richiami alla normativa sull’ordinamento penitenziario,
e la cui competenza all’applicazione rimane affidata in toto al magistrato di
sorveglianza 293 .
Per quanto concerne i potenziali beneficiari della misura, l’art. 7 della citata
legge stabilisce che la sospensione è destinata ad applicarsi ai soli soggetti che,
condannati, si trovavano “in stato di detenzione 294 ovvero in attesa di esecuzione della
290
Legge 28 febbraio 1985 (norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni,
recupero e sanatoria delle opere edilizie) e legge 23 dicembre 1994, n. 724 (misure di razionalizzazione
della finanza pubblica).
291
Corte cost. 6-12 settembre 1995, n. 427, cit., v. supra par. 2, nota 54.
292
Per quanto concerne la violazione dell’art. 79 Cost., la Corte ribadisce la non assimilabilità del
condono tanto all’amnistia quanto all’indulto. In primo luogo l’amnistia produce “l’effetto immediato
della estinzione del reato senza mediazione fattuale”, mentre il condono costituisce una “complessa e
varia fattispecie produttiva di effetti estintivi, che si compone di una serie di fasi, (...) ed i cui effetti
estintivi del reato sono, quindi, rimessi alla volontà, per quanto condizionata, degli interessati”. In
secondo luogo, all’immediata declaratoria in caso di amnistia si contrappone l’obbligo, per il giudice,
della sospensione del processo penale in attesa dell’esaurimento dell’intero procedimento amministrativo
di sanatoria. A rigetto della presunta lesione del principio di uguaglianza, la Corte si avvale nuovamente,
quale causa di giustificazione, del canone di ragionevolezza: “la non punibilità conseguente al condono
(...) va usata negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale” (sent. 427/1995).
293
Si noti che originariamente, nel corso dei lavori preparatori alla l. 207/2003, era previsto che la
disposizione della sospensione condizionata spettasse al pubblico ministero competente per l’esecuzione,
prima del suo inizio, e dal tribunale di sorveglianza competente, in corso di esecuzione. Il Senato, invece,
ha modificato tale previsione trasferendo ogni competenza al magistrato di sorveglianza. Molto
dettagliato circa i lavori parlamentari precedenti all’emanazione della legge il contributo di COLOGNESE
L.L., “Indultino”: rilievi critici e primi risvolti applicativi, in Diritto penale e processo, 2004, VIII, p.
1020 ss. L’Autore ritiene tale ultima modifica una scelta in realtà poco felice, considerato il carico di
adempimenti che di norma incombono su tale organo giudiziario.
294
Tale condizione è stata ritenuta sussistente tanto nel caso del detenuto autorizzato a recarsi
quotidianamente all’esterno per motivi lavorativi, ex art. 21 ord. penit., oppure per occuparsi della cura e
98
pena 295 ” alla data di entrata in vigore della legge (22 agosto 2003).
Oltre al limite temporale di cui sopra, la legge pone due ulteriori condizioni per
accedere alla sospensione, vale a dire l’avvenuta espiazione di almeno metà della pena,
quali che siano state le modalità esecutive, la parte rimanente della quale non sia
superiore a due anni. All’art. 1 si legge, infatti, che la sanzione viene sospesa per la
parte residua nel limite di due anni, laddove il condannato abbia già scontato almeno la
metà della pena 296 . Da subito è stato puntualizzato come tale istituto sia “suscettibile di
applicazione dilatata nel tempo” 297 , sulla base del fatto che tali requisiti devono
sussistere solamente nel momento in cui il magistrato di sorveglianza è chiamato a
decidere circa la concessione del beneficio, non rilevando in alcun modo che non siano
ancora stati soddisfatti al momento della presentazione della richiesta da parte del
dell’assistenza dei figli, ex art. 21-bis ord. penit., quanto nell’ipotesi del soggetto sottoposto a
semidetenzione (v. FILIPPI L., “Indultino”: sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva
nel limite massimo di due anni, in Diritto penale e processo, 2003, XII, p. 1472 ss.). Differentemente, non
rientra in tale categoria di potenziali beneficiari colui che sia stato condannato alla permanenza
domiciliare, dal momento che, ai sensi dell’art. 53, comma 2, del decreto legislativo 274/2000, costui non
è considerato in stato di detenzione.
295
Rientrano in tale categoria i soggetti che sono in attesa di esecuzione nonostante la sentenza di
condanna sia già divenuta irrevocabile. Si tratta di una “locuzione dal significato molto ampio, che non è
stata delimitata in alcun modo”, e come tale suscettibile di ricomprendere una molteplicità di situazioni,
v. DELLA CASA F., Commento all’art. 69, in GREVI V. – GIOSTRA G. – DELLA CASA F., Ordinamento
penitenziario. Commento articolo per articolo, Padova, 2006, p. 859. L’Autore esclude con certezza dal
gruppo solamente quei soggetti nei confronti dei quali “era ancora pendente il ricorso in cassazione, non
rilevando che tale ricorso sia stato successivamente dichiarato inammissibile per causa originaria”.
Si aggiunga in questa sede che oggetto di sospensione può essere soltanto una pena detentiva, alla quale
la dottrina unanimemente equipara la reclusione militare, la semidetenzione, e la pena che il condannato
deve espiare in regime di arresti domiciliari ex art. 656, comma 10, c.p.p. Ovviamente, la pena detentiva
che può essere sospesa è quella dell’arresto o della reclusione, escluso l’ergastolo risultando impossibile
calcolare tanto la metà della pena quanto il residuo biennale. Per la motivazione già vista, è esclusa la
qualifica di pena detentiva alla permanenza domiciliare.
296
Il comma 2 dell’art. 1 della legge di concessione, oltre a stabilire il generale divieto di applicare più di
una volta il beneficio nei confronti di ciascun condannato, afferma che, ai fini della determinazione della
metà della pena e del residuo di due anni, occorre tenere conto di quanto previsto dall’art. 663 c.p.p. in
tema di esecuzione di pene concorrenti (osservanza delle norme sul concorso di pene), decurtando la pena
così determinata della parte per la quale sia stato già concesso il beneficio della liberazione anticipata ex
art. 54, legge 354/1975. Per le relative opinioni in dottrina, v. DELLA CASA F., Commento all’art. 69, in
GREVI V. – GIOSTRA G. – DELLA CASA F., op. cit., p. 860.
297
V. CANEPA M. – MERLO S., Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2006, p. 378.L’Autore ricorda
che all’istituto della sospensione condizionata si applica, tra gli altri, l’art. 51-bis ord. penit., il quale
stabilisce che, nel caso di sopravvenienza di una nuova pena nel corso di una misura alternativa, ove
permangano i limiti di ammissibilità della misura, essa viene a dover essere estesa alla pena sopravvenuta.
Ne consegue che, se la sospensione non può essere concessa più di una volta, può tuttavia essere estesa
alle pene sopravvenute con un provvedimento del magistrato di sorveglianza.
Il medesimo Autore opera un’altra puntualizzazione. Alla lettera, la norma non prevede che la
sospensione si applichi limitatamente alla pena in esecuzione in quel momento. Soluzione, questa, che
tuttavia condurrebbe a risultati assurdi poiché i soggetti detenuti o in attesa di esecuzione alla data di
entrata in vigore del provvedimento “costituirebbero per sempre una categoria privilegiata (...). Si avrebbe
una sorta di credito penitenziario per il futuro”.
99
condannato 298 .
Il legislatore 299 individua altresì tutta una serie di condizioni soggettive ostative,
in conseguenza delle quali la sospensione condizionata non si applica in primo luogo
nei confronti di soggetti condannati per reati di particolare gravità, indicati nella
medesima legge 300 . Parimenti risultano esclusi i soggetti nei confronti dei quali sia
intervenuta dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza 301 ,
ovvero che siano sottoposti al regime di sorveglianza particolare 302 . Esclusi a priori
dalla possibilità di usufruire del provvedimento sono gli extracomunitari sprovvisti di
regolare permesso di soggiorno, in base a quanto stabilito all’art. 3 della l. 207/2003 303 .
Anteriormente alla sentenza Corte cost. 278/2005 304 , all’art. 1, comma 3, lett.
d), era possibile leggere una ulteriore preclusione: la sospensione non si applica quando
la persona condannata è stata ammessa alle misure alternative alla detenzione.
Immediata la prospettazione di incostituzionalità di tale disposizione per violazione del
disposto degli artt. 3 e 27 comma 3 Cost. 305 . La Corte costituzionale ha accolto le
298
Essa infatti rimane applicabile in qualsiasi momento successivo ricorrano le condizioni previste dalla
legge. Il magistrato di sorveglianza, dinanzi a tale legittima richiesta ‘anticipata, avrà due alternative:
accogliere la domanda e rinviare la scarcerazione al raggiungimento della quantità di pena sospendibile,
oppure riservarsi di decidere al raggiungimento di tale limite. Considerato che gli adempimenti richiesti
per la concessione sono “numerosi e particolarmente dispendiosi”, una richiesta anticipata è l’unica via
che consente di evitare che i vantaggi derivanti dalla stessa vadano sprecati. “Richiedere il provvedimento
quando manchino due anni al termine della pena detentiva, significherebbe beneficiare delle medesima
per un periodo limitato”, cfr. COLOGNESE L.L., “Indultino”: rilievi critici e primi risvolti applicativi, op.
cit., p. 1020 ss.
299
Art. 1, comma 3.
300
A titolo esemplificativo: delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine
democratico mediante il compimento di atti di violenza; delitti contro la personalità individuale;
associazione di tipo mafioso; e molti altri delitti indicativi di una spiccata pericolosità del condannato
oppure considerati particolarmente odiosi dalla società. Si tenga presente che l’esclusione riguarda solo i
reati consumati, non anche quelli tentati, e che tale preclusione non è derogabile in alcun modo, nemmeno
in caso di collaborazione con la giustizia o di interruzione di ogni legame con la criminalità organizzata
(cfr. art. 58-ter ord. penit.).
301
Rispetto alle quali valga quanto già sottolineato, v. supra par. 5.2. Con un’unica precisazione: la
norma rimanda esclusivamente agli artt. 102, 105 e 108 c.p., non rilevando in tale circostanza l’ipotesi,
prevista dall’art. 103 c.p., di abitualità nel delitto ritenuta dal giudice.
302
Quest’ultima preclusione è stata ritenuta, in dottrina, non del tutto giustificata. La considerazione
muove dal fatto che il regime di sorveglianza particolare mira a neutralizzare la ‘pericolosità
penitenziaria’ dell’individuo, che è cosa ben diversa dalla ‘pericolosità sociale’, e che non sempre
caratterizza i detenuti più pericolosi. V. DELLA CASA F., Commento all’art. 69, in GREVI V. – GIOSTRA G.
– DELLA CASA F., op. cit., p. 861.
303
Non mancano sul punto forti perplessità in dottrina, soprattutto laddove si consideri che raramente tali
soggetti risultano ammessi a beneficiare di misure alternative alla detenzione, in quanto generalmente
privi dei punti di riferimento necessari per la concessione delle stesse (ad esempio domicilio, regolare
lavoro, ecc.). Tutto ciò in evidente contrasto con il principio di uguaglianza. Cfr. COLOGNESE L.L.,
“Indultino”: rilievi critici e primi risvolti applicativi, op. cit., p. 1020 ss.
304
Corte cost., 15 luglio 2005, n. 278, in Giurisprudenza costituzionale, 2005, p. 2791 ss.
305
La dottrina precedente la citata sentenza, pur ravvisando essa stessa l’incostituzionalità di una tale
100
censure, ravvisando una irragionevole disparità di trattamento tra il condannato che,
fruendo in quanto meritevole di una misura alternativa, non può godere dei benefici
della sospensione e il condannato che invece vi è ammesso in seguito al rigetto della sua
richiesta di misura alternativa, o perché immeritevole o perché non in possesso dei
requisiti oggettivi richiesti 306 . In tal modo, tuttavia, è venuto meno il fondamento
normativo di una prassi giurisprudenziale che, nel tentativo di ovviare a conseguenze
illogiche ampliava, contro la lettera della legge, tale preclusione. La Cassazione 307 ,
infatti, riteneva tali soggetti esclusi dal provvedimento anche “nell’ipotesi in cui la pena
detentiva fosse il risultato di una misura alternativa (concessa, ma poi) revocata per
demerito” 308 . La lacuna interpretativa venutasi a creare ha indotto la Corte ad
intervenire, a breve distanza, con una successiva pronuncia.
Con la sentenza n. 255 del 2006 309 la Corte ha affermato che l’automatismo di
cui all’art. 1, comma 1, è sicuramente in contrasto tanto con il principio di uguaglianza
quanto con quelli di proporzionalità ed individualizzazione della pena, conseguendone
l’illegittimità “nella parte in cui non prevede che il giudice di sorveglianza possa negare
la sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva al condannato quando
ritiene il beneficio non adeguato alle finalità previste dall’art. 27 comma 3 Cost.”.
Al comma 3, lett e), dell’art. 1, il legislatore ha previsto quale ulteriore causa
ostativa alla sospensione condizionata la rinuncia da parte dell’interessato. Si tratta in
verità di una ipotesi abbastanza remota ed altresì definita ‘superflua’ in dottrina 310 ,
statuizione di incompatibilità, per ovviare ai primi inconveniente pratici posti dall’applicazione affermava
che sono da considerarsi misure alternative alla detenzione l’affidamento in prova (ordinario o per tossico
o per alcooldipendenti), la detenzione domiciliare (ordinaria e speciale), e gli arresti domiciliari di cui
all’art. 656, comma 10, c.p.p. Non risultano ostativi il regime della semilibertà né quello della
semidetenzione, atteso il loro carattere, sia pure parzialmente, detentivo. Sul punto v. DELLA CASA F.,
Commento all’art. 69, in GREVI V. – GIOSTRA G. – DELLA CASA F., op. cit., p. 861; FILIPPI L.,
“Indultino”, op. cit., p. 1472 ss.
306
Accolta la questione concernente la violazione dell’art. 3 Cost., la Corte ha dichiarata assorbita la
seconda, secondo la quale vi sarebbe un contrasto con il principio di rieducazione della pena, “non
essendo rimessa al giudice alcuna valutazione discrezionale sulla meritevolezza del condannato a
beneficiare alla sospensione della pena”. Così AVOLA FARACI R., Giustizia costituzionale e diritto penale,
in Legislazione penale, 2005, p. 315.
307
V. Cass., 21 settembre 2004, Bongiorno, in Rivista penale, 2005, p. 1394 ss.; Cass., 21 settembre
2004, ibidem.
308
Cfr. DELLA CASA F., Commento all’art. 69, in GREVI V. – GIOSTRA G. – DELLA CASA F., op. cit., p.
862. Come puntualizza CANEPA M. – MERLO S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 380, si tratta
in realtà di una interpretazione della norma ancora insoddisfacente, poiché in tal modo si preclude la
sospensione anche a chi abbia nel frattempo cessato la misura senza colpa.
309
Corte cost. 4 luglio 2006, n. 255.
310
Cfr. DELLA CASA F., Commento all’art. 69, in GREVI V. – GIOSTRA G. – DELLA CASA F., op. cit., p.
862. Differente la notazione di POMANTI P., I provvedimenti di clemenza. Amnistia, indulto e grazia,
101
atteso che, come vedremo, il beneficio è concedibile “solo su istanza del soggetto
condannato, istanza che, come tutte le altre, è revocabile” 311 .
L’art. 2, dedicato all’iter della concessione, riserva l’iniziativa del procedimento
all’interessato 312 che può presentare istanza per l’applicazione al magistrato di
sorveglianza competente 313 . Quest’ultimo procede osservando le disposizioni di cui
all’art. 69-bis ord. penit. 314 , per le quali decide con procedimento de plano, vale a dire
in camera di consiglio senza la presenza delle parti. La decisione, assunta con la forma
dell’ordinanza, è immediatamente esecutiva, e l’esecuzione è affidata al pubblico
ministero a norma dell’art. 659 c.p.p. Entro il termine di dieci giorni decorrenti dalla
data di comunicazione o notificazione della decisione, il pubblico ministero e
l’interessato possono proporre reclamo, avverso l’ordinanza di accoglimento o di
rigetto, al tribunale di sorveglianza competente per territorio 315 .
A norma dell’art. 2, comma 4, del provvedimento che accoglie l’istanza
dell’interessato deve essere data immediata comunicazione all’autorità di polizia
competente, la quale dovrà vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni che
necessariamente vengono imposte allo scarcerato. L’art. 4, infatti, prescrive al
magistrato di sorveglianza di applicare al condannato, congiuntamente, tre obblighi
perduranti sino al termine della pena sospesa316 : presentarsi all’ufficio di polizia
Milano, 2008, p. 194, a parere dal quale, considerata la necessaria istanza dell’interessato, è da ritenere
che “tale previsione di rinunzia riguardi la fase successiva alla sospensione: in sintesi, una volta sospesa
la pena, il condannato potrebbe sempre rinunziare alla sospensione stessa”.
311
In tali termini COLOGNESE L.L., “Indultino”: rilievi critici e primi risvolti applicativi, op. cit., p. 1020
ss.
312
Escluse pertanto sia la procedibilità d’ufficio o a richiesta del pubblico ministero, sia la richiesta dei
congiunti o del consiglio di disciplina, ex art. 57 ord. penit. Il difensore vi è legittimato solo se munito di
espressa nomina per il procedimento da instaurare davanti al magistrato di sorveglianza.
313
Per l’individuazione del magistrato di sorveglianza territorialmente competente va applicato l’art. 677
c.p.p., in base al quale se si tratta di condannato detenuto è quello che ha giurisdizione sull’istituto
penitenziario in cui è ristretto l’interessato (comma 1), mentre per i condannati in attesa di esecuzione è
quello competente sul luogo di residenza o domicilio dell’interessato. Così FILIPPI L., “Indultino”, op.
cit., p. 1472 ss.
314
La legge richiama esclusivamente, di tale norma, i commi 1, 3 e 4, con la conseguenza che non trova
applicazione il particolare procedimento, previsto per la concessione della liberazione anticipata, in base
al quale la decisione può essere presa non prima di quindici giorni dalla richiesta del parere al pubblico
ministero ed anche in assenza di esso.
315
Sul punto v. FILIPPI L., “Indultino”, op. cit., p. 1472 ss., il quale aggiunge che il tribunale decide ai
sensi dell’art. 678 c.p.p., vale a dire osservando le disposizioni del procedimento tipico di sorveglianza. Si
applicano in tal caso le disposizioni per cui il magistrato di sorveglianza non può far parte del collegio
che decide sul reclamo avverso il provvedimento da lui emesso (art. 30-bis, commi 5 e 6, ord. penit.), e
laddove ciò comporti l’impossibilità di comporre il tribunale con i magistrati del distretto si procede
all’integrazione ex art. 68, commi 3 e 4, ord. penit.
316
Tale vincolo temporale ha portato parte della dottrina a ritenere che non si tratti di una vera e propria
102
giudiziaria indicato dallo stesso magistrato 317 ; non allontanarsi dal territorio del comune
di dimora abituale o dove svolge la propria attività lavorativa 318 ; non espatriare 319 .
Nell’eventualità della violazione di tali prescrizioni, ovvero della commissione,
entro cinque anni dall’applicazione del beneficio, di un delitto non colposo in relazione
al quale venga irrogata una pena detentiva non inferiore ai sei mesi, può essere disposta
la revoca del beneficio 320 . Il tribunale decide in proposito applicando il procedimento di
sorveglianza e determinando la residua pena detentiva da scontare, tenuto conto della
durata e dell’intensità delle prescrizioni patite e della condotta del soggetto durante il
periodo di sospensione (art. 2, comma 7).
Trascorso il termine di cinque anni dall’applicazione del beneficio, senza che si
verifichino circostanze tali da comportarne la revoca, la condizione sospensiva è da
considerarsi verificata, con la conseguenza che la pena originariamente inflitta si
estingue 321 .
Accennavamo ad inizio paragrafo alle difficoltà riscontrate a livello dottrinale in
tema di sospensione condizionata della pena. Problema fondamentale è quello della
difficile “collocazione (della stessa) sul piano sistematico” 322 , considerato il fatto che in
sospensione, quanto piuttosto di una esecuzione in forma alternativa del tutto simile all’affidamento in
prova al servizio sociale. V. ad esempio FILIPPI L., “Indultino”, op. cit., p. 1472 ss.; e CANEPA M. –
MERLO S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 381. Posizione avallata dal richiamo, contenuto al
comma 2, alle disposizioni dell’art. 47, commi 5-10, ord. penit., che in materia di affidamento in prova
stabiliscono la redazione di un verbale in cui sono dettate tutte le prescrizioni che il condannato dovrà
eseguire, nonché le modalità pattuite per il loro adempimento quotidiano.
317
Il magistrato stabilisce altresì i giorni e l’orario di presentazione, ovviamente in compatibilità con le
condizioni di salute, l’attività lavorativa e il luogo di dimora del condannato.
318
Prescrizione modificabile nel senso della disposizione dell’obbligo di dimora in un differente comune,
allorché, per la personalità del soggetto o per le avverse condizioni ambientali, la permanenza in tali
luoghi non garantisca adeguatamente le esigenze di sorveglianza e sicurezza.
319
Divieto di espatrio corredato da tutte le misure necessarie per impedire l’utilizzazione del passaporto e
degli altri documenti validi per l’espatrio. Ferma restando la possibilità per il magistrato di sorveglianza
di prevedere una deroga, dalla durata circoscritta, in ordine al soddisfacimento di esigenze familiari o
lavorative del condannato.
320
Si noti come la revoca non intervenga automaticamente ma sia subordinata alla valutazione in merito
da parte del giudice.
321
Automaticamente, senza che sia necessario un provvedimento ad hoc analogo a quello richiesto al
termine dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Si consideri tuttavia che “cinque anni di esperimento
positivo sono veramente tanti per quei condannati che, tornati in libertà ed inseritisi nel tessuto sociale,
ma tuttavia esposti per cinque anni all’obbligo di osservare le prescrizioni, vivono nel terrore che un
accadimento anche banale, possano vedersi revocare il beneficio e ritornare in carcere per riprendere e
completare l’espiazione interrotta. Più equo sarebbe stato un periodo di esperimento pari alla quantità di
pena in concreto sospesa” (MONTONE I., Indultino, breve riassunto delle istruzioni per l’uso, in Diritto e
giustizia, 2007, 37, p. 8 ss.).
322
Così POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 190. A proposito della comparazione della
figura dell’indultino con altri istituti si vedano ADORNO R., La Corte costituzionale “riconosce” la
funzione educativa del c.d. “indultino”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2007, II-III, p.
103
seno a tale istituto sono ravvisabili modelli diversi ed eterogenei.
La misura in esame, in primo luogo, è stata assimilata all’indulto, dati la portata
generale, l’effetto estintivo coinvolgente solamente la pena principale e l’assenza totale
di margini di apprezzamento discrezionale in capo al giudice circa la concessione.
Differenze, invece, sono individuabili ad esempio nel limite temporale di vigenza, nella
competenza a disporne l’applicazione e la revoca, ecc. Differenze che possono portare,
al massimo, ad una qualificazione dell’indultino come “species del genus indulto” 323 .
Rispetto alla sospensione condizionale della pena molti sono gli elementi in
comune tra i due istituti, tra i quali rilevano soprattutto l’obbligo di prescrizioni in capo
al condannato e la previsione di revoca del beneficio al verificarsi di condizioni
prestabilite 324 . Tuttavia un dato fondamentale separa definitivamente le due misure:
caratteristica pregnante della sospensione condizionale è l’essere subordinata ad una
prognosi personologica rivolta all’accertamento della meritevolezza del beneficio,
mentre l’indulto si disinteressa completamente di ogni vicenda concreta riguardante la
persona del condannato.
Secondo un diverso orientamento dottrinale, invece, ci si troverebbe di fronte ad
una misura alternativa 325 , considerate le numerose affinità con l’affidamento in prova al
servizio sociale, quali l’esecuzione della pena con modalità diverse da quelle ordinarie e
la non automaticità delle ipotesi di revoca, e tenuto presente il continuo richiamo
operato dalla legge n. 207 del 2003 a svariate norme dell’ordinamento penitenziario in
tema, appunto, di misure alternative 326 . Ciò nonostante, risulta impossibile conciliare un
provvedimento dall’anima generale ed astratta, quale l’indultino, con le misure
alternative, “concepibili solo come momenti del percorso trattamentale-rieducativo
proprio di un’ottica special-preventiva, che muove dalla vicenda criminale del
1168 ss.; CONSULICH F., La difficile appartenenza dogmatica del c.d. “indultino”, in Diritto penale e
processo, 2004, VI, p. 729 ss.; DELLA CASA F., Commento all’art. 69, in GREVI V. – GIOSTRA G. – DELLA
CASA F., op. cit., p. 858.
323
Cfr. CONSULICH F., La difficile appartenenza dogmatica del c.d. “indultino”, op. cit., p. 729 ss.
324
V. ADORNO R., La Corte costituzionale “riconosce” la funzione educativa del c.d. “indultino”, op.
cit., p. 1171., il quale aggiunge all’elenco anche: la denominazione tecnica dell’istituto; il limite di pena
richiesto per la relativa concessione; il divieto di una nuova concessione; il differimento nel tempo
dell’effetto estintivo.
325
V. ad esempio CANEPA M. – MERLO S., Manuale di diritto penitenziario, op. cit., p. 381. Il recente
orientamento della Corte costituzionale è stato interpretato nel senso di collocare tale istituto “senza
indugi tra le misure rieducative”, vale a dire nel vasto gruppo delle misure alternative alla detenzione. Cfr.
ADORNO R., La Corte costituzionale “riconosce” la funzione educativa del c.d. “indultino”, op. cit., p.
1181, a proposito della sentenza Corte cost. n. 225 del 2006.
326
Ad esempio il richiamo all’art. 51-bis, oppure ai commi 5-10 dell’art. 47 ord. penit.
104
condannato per pronosticare la capacità risocializzatrice dell’applicazione” 327 di tali
strumenti.
Infine, non resta che citare un’ultima tesi, per la quale la sospensione
condizionata è piuttosto una misura ibrida 328 , uno strumento di clemenza a sé stante che
rielabora in modo nuovo le caratteristiche peculiari di differenti istituti. In altre parole,
una parte della dottrina ha scelto di intraprendere una via intermedia tra le tante,
superando i punti di critica mossi alle tesi precedenti mediante la riunione, in un unico –
nuovo – strumento di clemenza, di tutte le caratteristiche considerate ‘comuni’ tra
l’indultino e l’istituto di volta in volta preso in considerazione.
327
Così CONSULICH F., La difficile appartenenza dogmatica del c.d. “indultino”, in Diritto penale e
processo, 2004, VI, p. 729 ss.
328
Cfr. PALAZZO F., «Indultino»: sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel
limite massimo di due anni, in Diritto penale e processo, 2003, XII, p. 1471, laddove l’Autore definisce
l’istituto “spia di un ibridismo nuovo”, che mutua dall’indulto il carattere generalizzato in quanto
svincolato da un giudizio sulla personalità del reo, mentre dai benefici penitenziari “la coessenzialità,
l’integrazione stabile e definitiva con la disciplina dell’esecuzione penitenziaria e la componente
rieducativa affiorante nei contenuti prescrittivi”.
105
CAPITOLO III
LA GRAZIA: PROVVEDIMENTO DI CLEMENZA A CARATTERE
INDIVIDUALE
SOMMARIO: 1. Fondamento, finalità ed effetti della potestà di grazia. – 2. La titolarità
del potere di clemenza individuale. – 2.1 Conflitti tra poteri: la questione circa la
necessarietà della controfirma ministeriale prevista dall’art. 89 Cost. – 3. Profili
procedurali: i soggetti legittimati. – 3.1 (Segue) i provvedimenti relativi alla grazia. – 4.
La grazia condizionata.
1. Fondamento, finalità ed effetti della potestà di grazia.
La grazia, quale causa di estinzione della pena, viene considerata dalla dottrina
tradizionale “espressione tipica della potestà di clemenza” 1 . La facoltà di concedere
grazia ad un singolo individuo, ovvero ad un gruppo di persone determinate, è stata
persino considerata “l’espressione più completa e più propria, se non addirittura
l’unica” 2 , del potere di indulgenza, dal momento che solamente essa, a differenza dei
provvedimenti collettivi, amnistia e indulto, é “di esclusiva prerogativa del Capo dello
Stato e non necessita di legge di delegazione” 3 .
In realtà, una tale posizione risulta oggigiorno non totalmente sostenibile, nella
misura in cui appare modificato il sistema politico e costituzionale rispetto all’epoca
delle monarchie assolute in cui la grazia si è delineata nella sua accezione moderna 4 . Il
progressivo ridursi della natura e dell’ampiezza degli atti di prerogativa regia5 , tra i
quali essa è storicamente ricompresa, ha portato inevitabilmente l’istituto ad assumere
“diverso significato e diverso fondamento” 6 .
Superata la fase della grazia quale espressione più completa dell’indulgentia
principis, attualmente essa trova fondamento nella propria tendenziale polivalenza 7 .
V. POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 197.
Così GIANZI G., voce Grazia (dir. proc. pen.), in Enciclopedia del diritto, XIX, Varese, 1970, p. 771.
3
Ancora GIANZI G., p. 771.
4
“Il dispensare dalle pene è una potestà da sempre attribuita al detentore del potere sovrano; ne deriva
che essa ha seguito la storica evoluzione di questo”, v. SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p.
1. Per una rapida panoramica storica v. supra cap. I, par. 1.
5
Per una analisi di tale evoluzione cfr. i contributi di ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), op. cit.,
p. 758, e SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 1 ss.
6
Cfr. ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 759.
7
Tale è l’opinione più diffusa e autorevole in dottrina, secondo la quale è possibile una coesistenza di
diverse funzioni del potere di grazia. V. ad esempio SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 2;
1
2
106
In primo luogo, infatti, si ritiene che tale strumento consenta la “realizzazione
della giustizia nel rapporto penale” 8 , laddove si assuma che l’applicazione della legge
penale e processuale possa essere fonte di ingiustizia. In tale ipotesi, la giustificazione
dell’impiego di un provvedimento di clemenza individuale viene desunta da “un
giudizio di inopportunità politica circa l’applicazione in concreto della legge”, ovvero
“un giudizio di ingiustizia-inopportunità su una condanna (...) o, ancora, un giudizio di
inopportunità circa l’esecuzione di una pena in concreto” 9 ; oppure dalla constatazione
che “il processo di risocializzazione del condannato sia inequivocabilmente
compiuto” 10 prima del termine del prescritto periodo di carcerazione.
Operando come “correttivo al rigore della legge ovvero come momento
integrativo di essa” 11 , la grazia consentirebbe di porre rimedio ad una serie di
circostanze sfavorevoli per il condannato, che spaziano dal più tipico – ed estremo –
esempio dell’ipotesi di correzione in limine di errori giudiziari, ai quali non sia possibile
porre rimedio in sede giurisdizionale 12 ; sino alla impossibilità, se non mediante uno
strumento duttile quale la grazia, di riservare il dovuto riguardo ad aspetti personali
della vicenda del condannato, quali un particolare contesto familiare 13 o un precario
stato di salute 14 ; ed infine a quelle situazioni che “sembrano porsi in contrasto con il
comune senso della giustizia” 15 , come l’ipotesi di una pena elevata inflitta per un fatto
divenuto, con il passare del tempo, di scarso allarme sociale. Inoltre, essa si presenta in
ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 11 ss.
Contra, nel senso della configurazione di una unica funzione della potestà di grazia, nella specie una
funzione di stampo prettamente politico, v. GEMMA G., Il potere di grazia: un’opinione controcorrente, in
AA. VV., La grazia contesa: titolarità ed esercizio del potere di clemenza individuale, in BIN R. [ET AL.]
(a cura di), Torino, 2006, p. 152.
8
V. GEMMA G., Il potere di grazia: un’opinione controcorrente, in AA. VV., La grazia contesa, op. cit.,
p. 152.
9
Cfr. SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 2.
10
Così PALAZZO F., Corso di diritto penale, op. cit., p. 624.
11
V. SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 2
12
PALAZZO F., Corso di diritto penale, op. cit., p. 623; AMBROSINI G., voce Grazia, op. cit., p. 45. V.
altresì GIANZI G., voce Grazia (dir. proc. pen.), op. cit., p. 778, a parere del quale “di fronte alla carenza
di rimedi giuridico-processuali idonei, nella fase esecutiva, ad ovviare agli inconvenienti che dalla rigida
applicazione della legge possono conseguire, la Costituzione ed il codice penale hanno ritenuto di
mantenere questo strumento tradizionalmente efficace, per la sua ampiezza ed elasticità”.
Contra GEMMA G., Il potere di grazia: un’opinione controcorrente, in AA. VV., La grazia contesa, op.
cit., p. 155. L’Autore rileva che “il riconoscimento, in capo ad organi extragiudiziari, di un potere di
derogare all’applicazione della legge per finalità di giustizia costituisce un’incongruenza, che stranamente
non viene colta dai giuristi”.
13
V. MANTOVANI F., Diritto penale, op. cit., p. 806.
14
Motivazione, come è noto, da sempre ampiamente addotta a sostegno di domande di grazia.
15
Sul punto v. POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 207.
107
perfetta armonia con la finalità costituzionale di cui all’art. 27, comma 3 Cost. della
rieducazione del condannato, in quanto tesa non esclusivamente al perdono del
soggetto, ma soprattutto “a favorire l’emenda del reo ed il suo reinserimento nel tessuto
sociale” 16 .
Oltre che in qualità di strumento “di giustizia astratta” nonché “di
personalizzazione della pena” 17 , l’esercizio del potere di grazia sembra poter essere
orientato anche verso un utilizzo politico sic et simpliciter 18 . In tal caso risulterebbe
impossibile determinare preventivamente e nominatamente una casistica delle finalità,
le quali andrebbero ricomprese uniformemente sotto l’insegna dell’esigenza di
“realizzare interessi pubblici, la cui realizzazione è impedita dalla pur corretta e giusta
applicazione della normativa penale”19 .
Tuttavia l’odierna concezione della grazia, soprattutto nella sua accezione di
“provvedimento di premio in relazione all’emenda del reo” 20 , risulta passibile di almeno
16
Cfr. sentenza Corte Cost., 26 maggio 1986, n. 134; nonché ordinanza n. 338 del 1987, in
Giurisprudenza costituzionale, 1987, I, p. 2783 ss., con la quale si sottolinea l’esigenza di rendere la
grazia un istituto “in armonia con l’ordinamento costituzionale, e particolarmente con il principio di cui
all’art. 27 Cost., in quanto tende a favorire la risocializzazione del condannato”, e se ne rifiuta la
semplicistica ricostruzione quale “atto di pura e gratuita clemenza”. Insiste particolarmente sul ruolo
rieducativo della grazia POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 197 ss., laddove afferma che
al giorno d’oggi risulta corretto e preferibile “parlare di grazia come atto non giurisdizionale finalizzato al
reinserimento sociale del condannato che viene ad incidere nella sfera della giustizia penale (o meglio
dell’esecuzione della pena) e che trova riconoscimento espresso nei precetti costituzionali”. Cfr. altresì la
Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale datato 1988: “(la grazia) assolve una
funzione correttiva, equitativa dei rigori della legge, ma anche, e sempre più, il ruolo di strumento di
risocializzazione alla luce dei risultati del trattamento rieducativo”.
17
Così SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 2.
18
Si veda in proposito la tripartizione indicata da ZAGREBELSKY G., tra grazie giustificate: a) da ragioni
‘politiche’; b) da motivi di ‘giustizia’ sostanziale; c) dal principio della funzione rieducativa della pena.
19
V. GEMMA G., Il potere di grazia: un’opinione controcorrente, in AA. VV., La grazia contesa, op. cit.,
p. 152. L’Autore, seppur in posizione minoritaria, come già anticipato (v. supra nota 7), contesta la
plurifunzionalità della grazia in quanto sarebbe incompatibile con i diversi ruoli ricoperti nel nostro
ordinamento dai due organi, Capo dello Stato e Ministro della giustizia, che intervengono nella sua
emanazione. Tre le motivazioni addotte alla prevalenza della funzione ‘politica’: a) una considerazione di
fondo risalente al periodo illuminista e al pensiero di giuristi quali il Filangieri e il Beccaria (v. supra cap.
I, nota 9), a parere dei quali una concezione razionale del diritto implica che esclusivamente gli organi
giudiziari provvedano a dare esecuzione alla legge, in modo non arbitrario e senza deroghe; b) organi
incompetenti quali il Capo dello Stato e il Ministro di grazia e giustizia sono inidonei a correggere
presunti errori di organi invece competenti, pertanto altri giudici saranno competenti ad intervenire sul
punto (v. supra nota 12); c) laddove fosse ammesso tale intervento correttivo extragiurisdizionale,
automaticamente bisognerebbe ritenere ammissibile codesta prassi anche nell’ambito della giustizia non
penale; “ebbene, nessuno penserebbe mai di proporre l’introduzione di un potere correttivo di una
sentenza, o dei suoi effetti, nell’ambito privatistico (nonché in altri ambiti)” (p. 154 ss.).
20
Così REALI R., voce Grazia (dir. pen.), op. cit., p. 3. Funzione sottolineata anche dalla Suprema Corte,
v. Cass., 16 giugno 1956, in Rassegna penitenziaria, 1957, p. 92 ss., ai sensi della quale la grazia si
presenta come giuridicamente giustificata poiché risulta diretta a premiare l’emenda del reo, quando sia
lecito ritenere che si sia verificato il suo riadattamento sociale.
108
una critica 21 non potendo non rilevarsi che essa “non costituisce più (...) l’unico rimedio
di carattere individuale per rimuovere i limiti di un giudicato irrevocabile” 22 . Tale
aspetto del provvedimento di clemenza, inizialmente valorizzato poiché consentiva di
“sopperire alle disfunzioni e alle carenze di un sistema carcerario ancora disciplinato dal
r.d. 18 giugno 1931, n. 787” 23 , allo stato attuale ha perso parte del proprio originario
significato.
Ciò in seguito a tutta una serie di innovazioni ed ammodernamenti
dell’ordinamento penale, apportati soprattutto con l’entrata in vigore del nuovo
ordinamento penitenziario e consistenti nell’introduzione di istituti progettati per
intervenire nella fase di esecuzione della pena. La legge 26 luglio 1975, n. 354, con
l’introduzione delle misure alternative alla detenzione, ha “giurisdizionalizzato
l’esecuzione penale” affidando al magistrato “l’attuazione di una pena variabile in corso
di esecuzione” 24 . Le misure alternative alla detenzione 25 , infatti, rivestono “in sostanza
natura di atti di clemenza individuali, sia pure condizionali o parziali” 26 , dal momento
che rendono incerta la durata della pena in relazione al comportamento del condannato.
Alla luce di tali modifiche sono sorti legittimi “dubbi sulla sopravvivenza e sulla
conservazione nel nostro sistema di un tale istituto” 27 la cui concessione, a differenza di
quanto avviene per quelli posteriormente introdotti, prescinde non solo da dati oggettivi
quali il titolo di reato e la pena inflitta o espiata, ma anche da una qualità prettamente
soggettiva quale il percorso trattamentale e rieducativo del condannato 28 . Ciò non porti,
tuttavia, a considerare la grazia quale provvedimento di clemenza privo oramai di ogni
21
In aggiunta alle critiche di più ampio respiro che riguardano l’opportunità stessa dell’esistenza dei
provvedimenti di clemenza, per le quali si rimanda a quanto scritto al capitolo I.
22
Cfr. CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e processuali), in Digesto delle discipline penalistiche,
VI, Torino, 1987, p. 48.
23
Dal momento che nella seconda metà del XX secolo ancora non operavano rimedi di tale tipo in fase
esecutiva. In tali termini CESARIS L., Quale futuro per la grazia?, in AA. VV., La grazia contesa:
titolarità ed esercizio del potere di clemenza individuale, in BIN R. [ET AL.] (a cura di), Torino, 2006, p.
82 ss.
24
V. REALI R., voce Grazia (dir. pen.), op. cit., p. 3.
25
Nella specie l’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47), la detenzione domiciliare (art. 47-ter),
la semilibertà (art. 48) e la liberazione anticipata (art. 54). A queste, si aggiungano le sanzioni sostitutive
delle pene detentive brevi, introdotte con legge 24 novembre 1981, n. 689, che “seppure attengono alla
fase decisionale e non a quella esecutiva, disincentivano il condannato, che ne abbia beneficiato, a
presentare domanda di grazia” (v. CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e processuali), op. cit., p. 49).
26
Così CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e processuali), op. cit., p. 48.
27
Cfr. CESARIS L., Quale futuro per la grazia?, in AA. VV., La grazia contesa, op. cit., p. 83.
28
Valutazione che nell’ipotesi di concessione della grazia non manca in toto, ma risulta operata senza
l’ausilio di criteri certi e prestabiliti. Circostanza, questa, che ne ha comportato l’etichettamento quale
“estremo rimedio ad imprevedibili effetti perversi del sistema penale che gli istituti vigenti (...) non
riescono ad evitare” (cfr. REALI R., voce Grazia (dir. pen.), op. cit., p. 3).
109
giustificazione, considerato che “il potere di grazia è affidato al supremo organo dello
Stato e che i controlli sull’esercizio di tale potere e quindi sulle ragioni del
provvedimento, che restano nella fase interna dell’atto, sono pur sempre attuabili in sede
parlamentare attraverso la responsabilità politica del ministro competente” 29 . Pertanto,
accantonate queste possibili istanze di illegittimità, risulta agevole affermare che
l’attuale stato del sistema comporta unicamente una significativa riduzione del campo di
azione della grazia 30 .
Venendo ora ad esaminare in concreto le caratteristiche dell’istituto, occorre
anzitutto precisare che laddove si classifica la grazia quale provvedimento di clemenza
‘individuale’ tale ultimo termine è da interpretarsi nella sua accezione più ampia, quale
contrario di ‘generale’. In altri termini, non implica necessariamente che destinatario del
provvedimento dovrà essere un singolo individuo, quanto piuttosto che esso sia
‘individuato’ sulla base di caratteristiche proprie del soggetto, e non a seguito di
operazioni di computo di pena applicate nei confronti della totalità dei potenziali
beneficiari, con la conseguenza che la grazia può essere concessa anche nei confronti di
più soggetti qualora accomunati dalle caratteristiche soggettive (ragioni di equità e
giustizia) di volta in volta ritenute rilevanti e meritorie del provvedimento 31 .
La grazia, come l’indulto, è istituto compreso nella categoria legislativa delle
cause di estinzione della pena 32 . Come tale, può intervenire esclusivamente su di una
V. QUINTAVALLE R., Il potere di grazia secondo prassi e consuetudini costituzionali. La sua attualità
nel vigente sistema penale, in Cassazione penale, 2001, X, p. 3000 ss. Al riguardo, in merito alla dibattuta
questione del contenuto dei poteri del Presidente della Repubblica nonché della controfirma ministeriale,
v. infra par. 2.1.
30
V. sul punto in dottrina ad esempio CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e processuali), op. cit., p.
49, il quale afferma che “essa rimane pur sempre un mezzo insostituibile per conciliare diritto ed equità in
quei casi in cui i succitati provvedimenti individuali a favore dei condannati non possono operare per
difetto delle condizioni previste dalla legge, o, se applicati, risultano inidonei, per la loro relativa
limitatezza, alle necessità peculiari del singolo condannato”.
31
Al di fuori, quindi, sia di quelle esigenze generali che in altro modo possono essere soddisfatte, vale a
dire attraverso amnistie e/o indulti, sia di quelle esigenze delle quali risultano possibili previsione e
valutazione in un momento anticipato rispetto alla sentenza di condanna.
32
Nel codice penale: art. 174, collocato nel Libro I, Titolo VI, Capo II “Della estinzione della pena”.
Come nota ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 1982, p. 658, sarebbe
meglio classificare la grazia quale ‘causa di estinzione della punibilità in concreto’, almeno nell’ipotesi in
cui venga con essa condonata l’intera pena inflitta ovvero la parte residua ancora da eseguirsi, dal
momento che il condannato non sarà più il soggetto passivo all’interno di un rapporto punitivo e
parimenti non sussisterà alcuna condizione concreta di punibilità. Nelle restanti ipotesi, la grazia
costituirà, invece, provvedimento di ‘mutamento della pena’ (condono di parte della pena da eseguirsi
ovvero commutazione di essa in altro tipo di pena). In linea con tale opinione cfr. POMANTI P., I
provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 202. L’Autore afferma, infatti, che la grazia “è un atto privo di
natura giurisdizionale che viene ad incidere non sul giudicato penale, quanto piuttosto sulla sfera di
efficacia del titolo esecutivo, estinguendo la punibilità un concreto”.
29
110
pena che sia stata inflitta con una sentenza divenuta irrevocabile33 , ma al contempo si
discosta da questa categoria per alcuni caratteri distintivi, ravvisabili soprattutto nella
appena citata specialità/singolarità dell’istituto, nell’organo competente ad emettere il
provvedimento, e nella “mancanza di predeterminazione legislativa del grado e
dell’entità degli effetti” 34 .
Ai sensi dell’art. 87 Cost., competente a concedere la grazia è il Presidente della
Repubblica, e non il legislatore come nel caso dell’indulto e dell’amnistia, a conferma
della persistenza, almeno in una certa misura, delle “ragioni storiche dell’istituto” e
della particolarità delle motivazioni ‘personalistiche’ poste a fondamento e
giustificazione di esso 35 .
Quanto agli effetti, in linea generale la grazia risulta analoga all’indulto, tanto
che il legislatore ne fornisce contestuale disciplina all’art. 174 c.p. in base al quale essa
“condona, in tutto o in parte, la pena o la commuta in un’altra specie di pena stabilita
dalla legge” 36 . Di regola la grazia non estingue le pene accessorie, salvo che il decreto
33
Dottrina concorde in merito, sulla base della considerazione che fino a tale momento la pena resta
sempre passibile di modifiche totali o parziali mediante i normali mezzi di impugnazione. Interessante il
contributo di CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e processuali), op. cit., p. 48, il quale prende in
considerazione anche l’ipotesi in cui “per deprecabile errore, la grazia sia stata concessa nei confronti di
una sentenza di condanna non divenuta irrevocabile”. Al verificarsi di questa eventualità il giudice
sarebbe tenuto prima ad esaminare i motivi di impugnazione, successivamente ad applicare la grazia
laddove la condanna venisse confermata. V., per l’unico caso in cui tale situazione si sia verificata, Cass.,
8 aprile 1918, in La procedura penale italiana, supplemento di Giustizia penale, 1919, p. 309 ss. Cfr.
altresì REALI R., voce Grazia (dir. pen.), op. cit., p. 2, il quale aggiunge una ulteriore considerazione:
laddove sia pendente un incidente di esecuzione, “dovrà essere preliminarmente applicata la grazia in
quanto fatto estinguente il presupposto (esecuzione della pena) sul quale si basa il giudizio”.
Contra POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 203, a parere del quale “una domanda di
grazia formulata prima dell’irrevocabilità di una condanna (...) non potrebbe che ritenersi inammissibile”,
con ciò non condividendo la tesi ai sensi della quale sia ipotizzabile una grazia impropria.
Diversa l’ipotesi, sempre rinvenibile in CAMERINI G., op. cit., nella quale siano state avanzate
contemporaneamente domanda di grazia ed istanza di revisione. L’Autore ritiene che “salvo che motivi di
opportunità lo sconsiglino, nulla vieta che nelle more del giudizio di revisione venga applicato il
beneficio della grazia, tanto più che per il disposto dell’art. 629 c.p.p., il giudizio di revisione è
ammissibile anche se la pena sia già stata eseguita o sia estinta, sicché nessun nocumento può derivare al
condannato dall’applicazione del beneficio” (p. 48).
34
Cfr. GIANZI G., voce Grazia (dir. proc. pen.), op. cit., p. 771.
35
Cfr. GIANZI G., voce Grazia (dir. proc. pen.), op. cit., p. 772. Circa la titolarità della potestà di grazia,
v. infra par. 2.
36
A questo proposito, si potrebbe osservare che il legislatore costituente, sancendo all’art. 87 Cost. che il
Presidente della Repubblica può “concedere la grazia e commutare le pene”, volesse operare una
distinzione tra un potere di grazia in senso stretto, comportante l’estinzione in toto della pena, ed un
generico potere di commutazione (v. sul punto GIANZI G., voce Grazia (dir. proc. pen.), op. cit., p. 772).
Una tale “dicotomia” (cfr. SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 1) risulta tuttavia priva di
senso, considerato che in entrambi i casi siamo di fronte ad una completa espressione del medesimo
potere di clemenza la cui delimitazione non è rinvenibile nella legge. V. altresì POMANTI P., I
provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 198; PADOVANI T., Commento all’art. 174, in ROMANO M. –
GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit., p. 210. A parere di quest’ultimo “la discrasia appare
111
di concessione disponga altrimenti 37 , ed in ogni caso non dispiega alcuna efficacia
abolitiva sugli effetti penali della condanna 38 .
Il comma 2 dell’art. 210 c.p., in quanto riferito genericamente alle cause di
estinzione della pena, regolamenta l’applicazione o meno delle misure di sicurezza
anche nelle ipotesi di concessione di grazia. Rinviando a quanto affermato in tema di
indulto 39 , ci limitiamo a ricordare in questa sede che solamente “l’estinzione totale della
pena, ai sensi e nei limiti dell’art. 210 c.p., importa (...) l’inapplicazione delle misure di
sicurezza o la cessazione dell’esecuzione delle stesse” 40 , e non anche la mera
commutazione di essa in altra specie.
Una non trascurabile differenza con l’indulto è nondimeno ravvisabile
nell’accennata ‘indeterminatezza’ che caratterizza l’estensione dell’efficacia della
grazia. La mancanza di una predeterminazione normativa degli effetti di essa, infatti,
comporta che la pena inflitta per un determinato reato venga estinta in misura maggiore
o minore in rispondenza alla volontà in merito del Presidente della Repubblica41 . Un
semplice accorgimento consente di regolare il rapporto sussistente tra i due istituti, i cui
effetti appaiono simili, e di distinguere “i casi in cui si può provvedere con la grazia da
singolare, ma priva di pratiche conseguenze: è noto, del resto, che l’art. 87, comma 11, Cost. ripete
testualmente la corrispondente dizione dello Statuto albertino (art. 8) e ciò può autorizzare a ritenere che,
unificata col c.p. 1930 la disciplina di rango legislativo ordinario per tutte le ipotesi di esercizio del potere
di clemenza, la formulazione della disposizione costituzionale esprima non più che un’endiadi di valore
formale”.
Vale la considerazione di fondo svolta in occasione dell’analisi dell’efficacia commutativa propria
dell’indulto (v. supra cap. I, par. 4.1, in particolare nota 183) in base alla quale la pena inflitta può essere
sostituita esclusivamente con una meno grave, in conformità con l’assunto del favor rei che si pone alla
base dell’esistenza dell’istituto stesso. In aggiunta alle considerazioni già svolte, si veda, in tema di
grazia, il contributo di REALI R., voce Grazia (dir. pen.), op. cit., p. 1.
37
Oppure che si tratti di quelle pene accessorie i cui effetti sono limitati al periodo di tempo nel quale si
esegue la pena principale, quali l’interdizione legale (art. 32 c.p.) e la sospensione dall’impiego (art. 30
c.p. mil. p.), qualora col provvedimento di grazia si estingua la situazione di punibilità del condannato.
38
Al pari di amnistia impropria e indulto, ai quali si rimanda per le dovute specificazioni (v. supra cap. II,
paragrafi 3.1 e 4.1).
39
Cfr. supra cap. I, par. 4.1.
40
Così GIANZI G., voce Grazia (dir. proc. pen.), op. cit., p. 772. Si ritiene inopportuno riprendere le
considerazioni sopra svolte a margine del comma 2 della citata norma, del quale, ai fini di una più
agevole lettura, si riporta il testo: “L’estinzione della pena impedisce l’applicazione delle misure di
sicurezza, eccetto quelle per le quali la legge stabilisce che possono essere ordinate in ogni tempo, ma non
impedisce l’esecuzione delle misure di sicurezza che sono state già ordinate dal giudice come misure
accessorie di una condanna alla pena della reclusione superiore a dieci anni”. In giurisprudenza v. Cass.,
11 aprile 1983, Cigala, in Giustizia penale, II, 1984, p. 223 ss.
41
Ciò conferisce alla grazia una ‘flessibilità’ tale da distinguere definitivamente questo istituto dagli altri
provvedimenti di clemenza, ed al contempo tale da giustificarne essa sola la persistenza nel nostro
ordinamento penale, dal momento che la rende elastica al punto da essere perfettamente modellabile e
plasmabile, non solo quanto ad opportunità ma altresì quanto a forza estintiva, superando così, in ogni
caso concreto, le distanze che non risultano colmabili tra legislatore e imputato/condannato nelle ipotesi
di amnistia e indulto.
112
quelli in cui si deve provvedere con l’indulto” 42 . Occorre scindere dall’insieme delle
motivazioni che giustificano l’applicazione di clemenza quelle strettamente individuali
e soggettive, “che attengono cioè ad un singolo condannato e sono quindi insuscettibili,
ragionevolmente e secondo un giudizio ex ante, di costituire criteri per l’individuazione
di classi di condannati o condannabili beneficiari” 43 .
La dottrina unanimemente esclude che il provvedimento di grazia possa essere
rifiutato dal beneficiario in quanto questi non ha il diritto ma l’obbligo di scontare la
pena 44 e “non può quindi rinunciare al beneficio in nome di un diritto all’esecuzione che
non possiede” 45 .
Per concludere, è stata oggetto di discussione la possibilità di concedere grazia
anche in relazione ad una sentenza penale straniera riconosciuta dallo Stato italiano ex
art. 12 c.p. Assodato il fatto che tali pronunce possono dare luogo, nel nostro
ordinamento, all’applicazione di pene accessorie, ne consegue che “in relazione a tale
pena non sembra sussistere dubbio alcuno del fatto che (la sentenza straniera) possa
essere oggetto di un provvedimento di clemenza quale la grazia”46 . La corte di
Cassazione 47 , in accordo all’orientamento dottrinale, ha ritenuto che essa debba ritenersi
applicabile nei confronti delle sentenza riconosciute “limitatamente agli effetti
Cfr. ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 204.
In tali termini VESSICHELLI M., Commento all’art. 174, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit.,
p. 421. V. altresì ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 206. Non si dimentichi,
tuttavia, che grazia e indulto ben possono concorrere ed applicarsi al medesimo rapporto punitivo, dal
momento che, in base a quanto stabilito all’art. 183 c.p., nel caso in cui ad una grazia con commutazione
della pena dovesse seguire la concessione di un indulto, quest’ultimo andrebbe applicato sulla pena
commutata, e non su quella originaria (v. Trib. Mil. Terr., La Spezia, 14 ottobre 1959, Pierotti, in
Giustizia penale, 1960, II, p. 723 ss.).
44
Dottrina uniformemente schierata: MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 434; CAMERINI G.,
voce Grazia (profili penali e processuali), op. cit., p. 48; MARINUCCI G. – DOLCINI E., Manuale di diritto
penale, op. cit., 2006, p. 545, il quale afferma, senza tuttavia specificare ulteriormente, come ciò avvenga
“nel caso in cui la domanda di grazia non sia stata presentata dall’interessato”; ROTA F., Commento
all’art. 174, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), p. 1565; POMANTI P., I provvedimenti di
clemenza, op. cit., p. 220.
45
Cfr. CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e processuali), op. cit., p. 48. Ciò significa che non possa
essere ripercorsa la medesima via che ha portato la Corte costituzionale, con sentenza 14 luglio 1971, n.
175 (v. supra cap. I, par. 3.6), a riconoscere la rinunciabilità dell’amnistia, dal momento che si trattava, in
quell’ipotesi, dell’innegabile diritto dell’imputato alla prosecuzione del giudicato ove lo stesso si
proclamasse innocente del reato contestatogli. Il paragone regge, invece, con quanto stabilito da quella
parte di dottrina (v. supra cap. I, par. 4.1, nota 202) la quale sostiene l’irrinunciabilità dell’indulto sulla
base della considerazione che esso sia una causa di estinzione della pena, e non del reato.
46
Cfr. REALI R., voce Grazia (dir. pen.), op. cit., p. 3. Quale esempio di dottrina più risalente nel tempo,
v. MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., 1961, p. 413.
47
Sentenza Cass., 14 luglio 1937, in Giustizia penale, 1938, II, p. 29 ss.
42
43
113
pregiudizievoli per il condannato” 48 che derivino dal riconoscimento stesso. Tesi
confermata, in tempi più recenti, dal dettato della Convenzione di Strasburgo del 1983,
ai sensi della quale ciascuno Stato può “accordare la grazia, l’amnistia o la
commutazione della condanna conformemente alla propria Costituzione o ad altre
leggi” 49 .
2. La titolarità del potere di clemenza individuale.
Nella Costituzione italiana, il potere di concedere grazia e commutare le pene
spetta, ex art. 87, comma 11 Cost., al Presidente della Repubblica 50 .
Nell’attribuire la titolarità del potere di clemenza individuale alla somma carica
dello Stato, i Costituenti non si sono discostati da quanto costituiva già al tempo una
prassi consolidata 51 : l’art. 8 dello Statuto albertino, infatti, affermava che “ il Re può far
grazia e commutare le pene”.
Unica eccezione che l’ordinamento italiano riconosce a tale competenza
esclusiva è quella contenuta nell’art. 28 c.p.mil.g., norma che dispone che dopo la
proclamazione dello stato di guerra il comandante supremo 52 detiene il potere di
emettere provvedimenti di clemenza individuali rispetto a punizioni inflitte dai tribunali
militari di guerra. Si tratta in verità di una facoltà limitata, in quanto applicabile
solamente in relazione alle pene meno gravi: le pene detentive non superiori ad un anno
e le pene pecuniarie 53 .
V. CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e processuali), op. cit., p. 48.
Così recita l’art. 12 della legge 334/1988 di ratifica della Convenzione, annoverando espressamente lo
strumento di clemenza individuale tra i provvedimenti applicabili alla sentenza neo riconosciuta. Cfr.
altresì la citata sentenza Cass., 7 ottobre 1994, Falci, v. supra cap. I, par. 4.1, nota 205.
50
Titolarità ribadita anche nel codice di procedura penale all’art. 681: “La domanda di grazia, diretta al
Presidente della Repubblica (...)”.
51
Come sottolinea CODUTI D., «Far grazia»: dalla monarchia assoluta alla Repubblica parlamentare, in
AA. VV., La grazia contesa, op. cit., p. 93 ss., il dibattito in sede costituente fu pressoché nullo poiché non
solo la grazia, storicamente, è sempre stata ricompresa tra gli atti di prerogativa regia, ma in epoca
statutaria si era anche affermata, gradualmente, la convinzione che il sovrano non avesse nessun potere
personale, con ciò preparando il terreno per un trasferimento della potestà di clemenza in capo ad un
organo elettivo quale il Presidente: “tutti i suoi (del Re) poteri erano esercitati in quanto rappresentante
dello Stato”. Tale digressione storica, insieme ad altre motivazioni, è stata impiegata anche dalla Corte
costituzionale nella sentenza 200/2006 (v. infra par. 2.1) al fine di dimostrare la competenza esclusiva
presidenziale in materia di grazia.
52
Ovvero il comandante di un corpo di spedizione all’estero per operazioni militari in regioni fuori
Europa.
53
Differente l’ipotesi prospettata dall’art. 291 c.p.mil.g. che consente al comandante dell’unità presso cui
è costituito il tribunale che ha inflitto la pena di morte di sospenderne l’esecuzione e rimettere la proposta
48
49
114
Tale deroga al principio fondamentale per cui la grazia spetta unicamente al
Capo dello Stato ha sollevato perplessità per l’assunta violazione di una previsione di
rango costituzionale, tuttavia mai sollevata nella dovuta sede. Il punto, infatti, è stato
affrontato e superato in sede dottrinale. Secondo taluni l’incompatibilità potrebbe essere
ovviata sostenendo che il potere del comandante supremo sarebbe costituito da una sorta
di delegazione dello stesso da parte del Capo dello Stato 54 ; mentre secondo altri 55 si
tratta invece di “diretta attribuzione da parte della legge di una competenza eccezionale
giustificata dalle superiori esigenze militari”56 .
Come abbiamo detto, la potestà di grazia è attribuita ad un organo costituzionale.
Tuttavia, dal dettato dell’art. 681 c.p.p., norma che il legislatore dedica al procedimento
applicativo di essa, emerge a chiare lettere come il suo esercizio investa in realtà un
rapporto tra organi costituzionali: il Presidente della Repubblica ed il Ministro di grazia
e giustizia. Conseguentemente assume importanza rilevante “il reciproco atteggiarsi
degli organi interessati che, come è noto, è influenzato dalla situazione politicocostituzionale esistente in un dato momento storico” 57 .
La natura del provvedimento di concessione subisce di riflesso tale avvicendarsi
di rapporti, venendo considerato ora atto formalmente presidenziale ma sostanzialmente
ministeriale, ora atto esclusivamente presidenziale, altre volte ancora atto ‘misto’.
La prima tesi configura la concessione della clemenza individuale quale atto
governativo con la motivazione che trattasi di un mero “residuo del potere una volta
detenuto dai monarchi assoluti” 58 , vale a dire di una attribuzione più vasta di quella che
compete oggigiorno al Capo dello Stato, il quale, a differenza del sovrano, non detiene
alcuna funzione esecutiva. Pertanto, una concezione dell’istituto diversa rispetto a
di commutazione della pena al comandante supremo competente ad applicarla.
54
Cfr. CAMERINI G., La grazia, la liberazione condizionale e la revoca anticipata delle misure di
sicurezza, Padova, 1967, p. 21.
Contra ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 765, a parere del quale, “a parte i dubbi
sulla correttezza di tale ricostruzione, resterebbe da dimostrare l’ammissibilità delle delega dei poteri
presidenziali, nel silenzio della Costituzione”.
55
V. ad esempio MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 480
56
Così SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 5. In argomento v. altresì ZAGREBELSKY G., voce
Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 765, a parere del quale la costituzionalità della norma del c.p.mil.g. è da
rinvenirsi in un’altra disposizione costituzionale: ai sensi dell’art. 78 Cost., infatti, in caso di guerra le
Camere conferiscono al Governo i poteri necessari.
57
In tali termini ancora SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 5. L’Autore aggiunge che, come
ha evidenziato con chiarezza la storia recente della nostra Repubblica, “il ruolo del Capo dello Stato è
strettamente proporzionale al quadro politico generale, risultando qualitativamente più incisivo quanto più
fragile è la maggioranza parlamentare e più debole è il Governo”.
58
Cfr. SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 5.
115
quella ora prospettata, e sostanzialmente presidenziale, non risulterebbe compatibile con
i principi posti a fondamento dell’attuale ordinamento costituzionale 59 .
A favore di una ricostruzione presidenziale del potere sono state poste, invece,
motivazioni fondate su “caratteristiche intrinseche della grazia, la quale richiederebbe,
per sua natura, l’intervento dello Stato nella sua unità” 60 , intervento che non può che
essere quello del Presidente della Repubblica, il quale, a norma dell’art. 87, comma 1,
Cost., è il rappresentante dell’unità nazionale. La grazia, anzitutto, consentendo una
eccezionale deroga all’esecuzione della pena inflitta, risulta connotata da una “ratio
eminentemente umanitaria ed equitativa” 61 , in quanto ispirata all’esigenza di “attenuare
l’applicazione della legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa viene a
confliggere con il più alto sentimento della giustizia sostanziale”62 . In secondo luogo, il
Ministro non parteciperebbe al procedimento decisionale poiché la clemenza
individuale “è un potere che interferisce con la giurisdizione” 63 , e una diversa soluzione
comporterebbe una sorta di violazione all’indipendenza costituzionalmente garantita
all’ordine giudiziario dall’art. 101 Cost. Inoltre, il Capo dello Stato è organo per
definizione imparziale, e conseguentemente adatto a gestire il potere di grazia nelle
ipotesi in cui la clemenza riguardi “reati in largo senso politici, in relazione ai quali
sarebbe pericoloso attribuirne la competenza (...) al Governo” 64 .
A sostegno di tale tesi, minoritaria, v. GEMMA G., Il potere di grazia: un’opinione controcorrente, in
AA. VV., La grazia contesa, op. cit., p. 156, il quale ritiene che, “data la valutazione politica e la cura di
interessi diversi da quelli propri dell’applicazione della legge penale, spetti al Governo, e non al Capo
dello Stato, il potere di clemenza individuale”, relegando il Presidente ad un ruolo di controllo
costituzionale, il medesimo che, come osserva l’Autore, egli “esercita su tutti gli atti formalmente
presidenziali ma sostanzialmente governativi”. Come precisa ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.),
op. cit., p. 763, “venuta meno la ragione che lo giustificava, tale potere va atrofizzandosi, mentre la prassi
formatasi circa l’emanazione del decreto fa del Ministro il vero arbitro dell’esercizio di tale competenza”.
60
Così ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 763.
61
ROMBOLI R., in nota all’ordinanza Corte cost. 28 settembre 2005, n. 354, in Foro italiano, 2005, pt. I,
vol. II, p. 2915. La natura eccezionale del potere di grazia, ritenuta “presupponendone la funzione
correttiva-equitativa nei confronti del rigore della legge”, risulta essere la motivazione posta a sostegno
della tesi ‘presidenziale’ anche da BENELLI F., A favore della natura presidenziale del potere di grazia, in
AA. VV., La grazia contesa, op. cit., p. 28. Sulla finalità umanitaria della grazia si vedano per tutte la
sentenza Corte Cost., 26 maggio 1976, n. 134, in Giurisprudenza costituzionale, 1976, I, p. 938 ss., e la
citata ordinanza n. 388 del 1987, in Giurisprudenza costituzionale, 1987, I, p. 2783 ss.
62
Ibidem.
63
Cfr. ZANON N., Un’opinione (vagamente) dissenziente sul potere di grazia, in Quaderni costituzionali,
2004, p. 601.
64
V. ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 763. Come nota ROMBOLI R., op. cit., p.
2915, la concessione della grazia esula, infatti, da qualsiasi valutazione di natura politica, e tantomeno
deve, o per lo meno dovrebbe, essere riconducibile all’indirizzo politico della maggioranza di governo.
Conseguentemente, appare allora naturale che “l’esercizio di un potere di tale elevata e delicata portata
venga riservato in via esclusiva al Capo dello Stato, quale organo super partes (...), unico in grado di
59
116
Unico ostacolo a tale ricostruzione dottrinale sarebbe rinvenibile nella necessaria
controfirma ministeriale, richiesta dall’art. 89 Cost. per la validità di tutti gli atti
presidenziali che assumono forma scritta. In dottrina, tuttavia, è stato da tempo superato
tale impedimento, sostenendo che l’espressione “ministri proponenti” sia stata
impiegata in modo improprio, al posto della più corretta “ministri competenti” 65 , ciò
soprattutto sulla scorta della constatazione che, come oggi codificato dal comma 4
dell’art. 681 c.p.p., l’iniziativa ai fini della concezione del beneficio ben può partire dal
Capo dello Stato.
La terza opinione, condivisa dalla maggioranza della dottrina 66 , qualifica
l’istituto della grazia come “atto a partecipazione eguale”67 , “frutto di una
collaborazione tra gli organi coinvolti” 68 . A fondamento della tesi è posta la
considerazione che, nell’ordinamento giuridico attuale, la maggior parte delle ragioni
che possono giustificare il ricorso a tale istituto sarebbero di ordine eminentemente
politico. Per questo motivo, e considerate da un lato l’irresponsabilità tipica del Capo
dello Stato, e dall’altro la complessità della fase decisionale, non risulterebbe
“ammissibile che al Presidente della Repubblica (...) venga riconosciuta la competenza
di assumere in solitudine decisioni politiche, le quali sono attratte nell’orbita
offrire la garanzia di un esercizio imparziale” (POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 213).
65
Così ROMBOLI R., op. cit., p. 2915; POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 213. La stessa
Corte costituzionale ha fatto propria questa teoria: nella citata ordinanza 388/1987, parafrasando il dettato
dell’art. 89 Cost. in relazione al provvedimento di grazia, ha fatto riferimento al “ministro competente”
anziché al “ministro proponente”.
Contra BIN R., π. Le ragioni esoteriche di un match nullo, in AA. VV., La grazia contesa, op. cit., p. 47, il
quale pur condividendo le ragioni di opportunità poste a fondamento della interpretazione esposta,
afferma che “sarebbe stato comunque preferibile agire sul piano della legislazione costituzionale,
piuttosto che attraverso un’interpretazione svalutativa del testo vigente”. Richiamandosi alla assodata
irresponsabilità politica del Presidente, l’Autore avanza l’ipotesi che quel ‘proponente’ stia ad indicare
che il Ministro “risponde come se fosse stato lui a formulare la proposta, e non può esimersi dal
rispondere dell’atto presidenziale celandosi dietro alle presunte prerogative del Presidente”.
66
Questo era l’orientamento dottrinale più accreditato prima della sentenza emessa dalla Corte
costituzionale in data 18 maggio 2006, n. 200, a proposito della quale v. infra paragrafo 2.1.
67
Cfr. ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 763.
68
PETTINARI C., La titolarità sostanziale del potere di grazia nell’ordinamento repubblicano.
Considerazioni a margine dell’Ord. n. 345 del 2005 della Corte Costituzionale, in Giurisprudenza
Costituzionale, 2005, V, p. 4036. Di “leale cooperazione” e della impossibilità di una “reductio ad unum”
del potere di concedere grazia parla anche BIN R., π. Le ragioni esoteriche di un match nullo, in AA. VV.,
La grazia contesa, op. cit., p. 49. Si consideri in tal senso una conclusione di autorevole dottrina: “la
grazia è atto del Presidente della Repubblica emesso con la collaborazione del Ministro, senza che ci si
possa domandare a quale volontà sia da attribuirsi il peso prevalente, perché, qualora uno dei due soggetti
non concordi con l’altro sull’opportunità dell’emanazione dell’atto o del suo contenuto, la mancanza,
rispettivamente, della firma o della controfirma non ne consentirà il perfezionamento” (ZAGREBELSKY G.,
voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 764).
117
governativa” 69 . Inoltre, vi è chi ha sostenuto che il necessario convergere di due volontà
possa essere utile anche per impedire trattamenti diseguali tra i condannati aspiranti
beneficiari, poiché l’intervento del Ministro e del suo apparato amministrativo,
coadiuvando il Presidente nella valutazione della posizione complessiva del condannato,
potrebbe risultare utile al fine di evitare che “il Presidente della Repubblica possa essere
indotto a concedere la grazia a condannati «eccellenti», semplicemente a causa del
clamore sollevato dai media o dalle pressioni della politica” 70 .
Altri elementi idonei ad indirizzare la questione sembra possano trarsi dalla
prassi venutasi a consolidare nei sessant’anni di vigenza della Costituzione. Nella
assoluta maggioranza dei casi di domanda di grazia, infatti, l’adozione del decreto è
conseguita ad un’iniziativa in tal senso del Ministro proponente 71 , nonché in tutte le
ipotesi in cui sia stato opposto un rifiuto da parte di costui, è sempre derivata la
preclusione, di fatto, dell’esito positivo dell’istanza appoggiata dal Capo dello Stato72 .
Ciò considerato, sembrerebbe lecito dare definitiva conferma alla tesi che ritiene la
concessione della grazia un atto duale, caratterizzato da una partecipazione assorbente
del Ministro che va ben oltre lo svolgimento di una “attività esclusivamente servente al
processo decisionale presidenziale” 73 .
V. BELFIORE G., Chi può essere clemente?, in AA. VV., La grazia contesa, op. cit., p. 25. Si veda altresì
BETZU M., Mitologie del finalismo rieducativo ed esercizio del potere di grazia, in AA. VV., La grazia
contesa, op. cit., p. 43, il quale sconsiglia l’attribuzione del potere ad un unico soggetto, prevalentemente
a causa del pericolo di “derive arbitrarie nella concessione della grazia”; nonché GORLANI M.,
Irresponsabilità del Capo dello Stato e valenza politica della grazia: il necessario coinvolgimento del
governo, in AA. VV., La grazia contesa, op. cit., p. 175, a parere del quale tale conclusione è l’unica in
grado di evitare il problema derivante dal possibile impatto politico di talune decisioni, “che possono
registrare un’opposizione e un rifiuto più o meno ampio da parte di strati dell’opinione pubblica, e che
possono perciò radicare una responsabilità politica, se non giuridica, che il Presidente della Repubblica
non può assumere per il ruolo istituzionale che ricopre”.
70
Così CODUTI D., Il “caso Sofri” ed il potere di grazia, in Rassegna parlamentare, 2005, p. 200.
71
V. sul punto PETTINARI C., La titolarità sostanziale del potere di grazia nell’ordinamento
repubblicano, op. cit., p. 4036; SELVAGGI E., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 5; ed il più recente La
grazia: da Curcio a Sofri un potere in discussione, in Cassazione penale, 2003, IX, p. 2541.
72
Si veda, quale esempio recente, la vicenda verificatasi intorno alla domanda di grazia in favore di
Renato Curcio, conclusasi con la presa d’atto, da parte del Presidente della Repubblica, della decisione
ministeriale negativa. Sull’argomento, v. infra par. 2.1.
73
V. BENELLI F., A favore della natura presidenziale del potere di grazia, in AA. VV., La grazia contesa,
op. cit., p. 30.
Contra PETTINARI C., La titolarità sostanziale del potere di grazia nell’ordinamento repubblicano, op.
cit., p. 4036 il quale aggiunge come ad una più approfondita analisi non manchino di emergere casi in cui
il Presidente abbia provveduto motu proprio all’instaurazione del provvedimento per la concessione della
grazia. L’Autore, di conseguenza, critica il peso assegnato da altra dottrina ad una pratica che, per quanto
frequente, non è altro che una mera prassi, “richiedendo il formarsi d’una consuetudine la diuturnitas e
l’opinio juris ac necessitatis”.
69
118
2.1 Conflitti tra poteri: la questione circa la necessarietà della controfirma
ministeriale prevista dall’art. 89 Cost.
Un secondo risvolto della questione riguardante la natura del provvedimento di
grazia concerne le possibili determinazioni della figura e del ruolo ricoperto dal
Ministro di grazia e giustizia, nonché il valore attribuito all’atto della controfirma
prevista dall’art. 89 Cost.
Sposando una concezione dell’atto quale formalmente e sostanzialmente
presidenziale, si giungerebbe inevitabilmente ad affermare che la controfirma null’altro
sarebbe che un “atto dovuto” 74 , in quanto avrebbe il solo significato di “attestare
l’effettiva paternità dell’atto e la conseguente assunzione di responsabilità politica da
parte del Ministro” 75 nonché “la regolarità formale” 76 dell’avvenuta concessione.
Ciò nonostante, considerato il maggiore consenso ottenuto in dottrina
dall’opposta tesi 77 , nonché l’aderenza ad essa dimostrata nella prassi, pare opportuno
assumerla come propria anche ai fini della presente indagine. Pertanto, ai sensi della
concezione che esalta l’equa collaborazione tra i due organi, risulta possibile definire
‘determinante’ l’apporto di volontà del soggetto governativo, essendo la controfirma
necessaria non solo per il dovuto trasferimento di responsabilità in capo al Ministro, ma
anche per il vero e proprio perfezionamento dell’atto. Allorché la carta costituzionale
dispone che nessun atto del Presidente è valido se non è controfirmato, infatti,
“l’aggettivo ‘valido’ deve intendersi nel senso di ‘efficace’, ‘esecutorio’” 78 .
ZANON N., Un’opinione (vagamente) dissenziente sul potere di grazia, op. cit., p. 601.
Cfr. POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 215.
76
Ibidem.
77
V. supra paragrafo precedente.
78
Così PANTANI C., Amnistia – Indulto – Grazia, in Lo Stato civile italiano, 2005, VII, p. 550. L’Autore,
considerata la delicatezza che da sempre accompagna la tematica della concessione di clemenza, non
solamente individuale ma anche collettiva, affronta all’interno del Suo contributo un ulteriore
interrogativo: se sia giuridicamente giustificato applicare il principio della irresponsabilità, e la
conseguente necessarietà della controfirma, solamente alla grazia e non all’amnistia e all’indulto. La
soluzione affermativa risulta argomentata a partire dalla originaria formulazione dell’art. 79 Cost in tema
di clemenza collettiva: dopo che una legge delle Camere aveva autorizzato il Presidente della Repubblica
ad esercitare i detti poteri, la richiesta di una controfirma come condizione di efficacia sembrava una
“sovrapposizione eccessivamente limitativa del potere” di costui. Controfirma non necessaria, dunque,
alla luce di un preventivo controllo operato dal Parlamento. Analogamente si veda BIN R., π. Le ragioni
esoteriche di un match nullo, in AA. VV., La grazia contesa, op. cit., p. 48, il quale auspica un intervento
del Parlamento, quale organo di controllo, anche in occasione della concessione di grazia, al fine di
superare il conflitto di attribuzioni tra Presidente e Ministro. L’apporto delle Camere, e degli elettori con
esse, che sanzionino politicamente gli atti del ministro, consentirebbe di realizzare quello che l’Autore
definisce “il circuito ideale della democrazia parlamentare”.
74
75
119
Punto rilevante della conclusione, di conseguenza, è che la grazia non possa in
alcun caso concedersi con provvedimento privo della controfirma ministeriale,
riconoscendo in capo al Ministro la facoltà di decidere se “paralizzare o meno l’iter di
concessione” 79 , in quanto da ciò direttamente deriva il suo respingere o accollarsi la
responsabilità del beneficio.
Proprio a causa di una tale presa di coscienza dello stato dei fatti 80 , l’istituto
della grazia è stato oggetto recentemente di diverse proposte di riforma, la più
importante delle quali presentata alla Camera dei deputati il 30 luglio 2003, a firma
dell’on. Boato 81 .
Il primo comma dell’art. 1 della proposta di legge prevedeva da un lato la
possibilità della concessione della grazia, da parte del Presidente della Repubblica,
anche in assenza di proposta o domanda, sulla falsariga di quanto già stabilito al comma
4 dell’art. 681 c.p.p.; dall’altro andava ad incidere sulla titolarità del potere di
controfirma del provvedimento di concessione della grazia: esso non sarebbe più stato
riservato al Ministro di grazia e giustizia, bensì al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il Ministro (comma 2) doveva invece limitarsi a trasmettere, in forma riservata,
al Presidente della Repubblica le informazioni richieste da quest’ultimo per l’esercizio
del potere di grazia.
L’art. 2, infine, disponeva l’abrogazione in toto dell’art. 681 c.p.p. 82 .
POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 211.
Un primo ed importante caso di ‘conflitto tra poteri’ risale all’episodio delle controversie circa la
concessione della grazia a Renato Curcio. Il Presidente della Repubblica (Cossiga) si dichiara favorevole
alla concessione ed assume formalmente l’iniziativa del procedimento. Problemi sorgono allorquando il
Presidente del Consiglio dei Ministri (Andreotti), favorevole alla grazia, comunicava al Ministro
(Martelli) di ritenere la materia delle grazie e dei provvedimenti correttivi delle linee seguite in ordine al
terrorismo di competenza dell’intero Consiglio e, di conseguenza, ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. c),
legge n. 400 del 1988, sospendeva ogni decisione ministeriale. Il Ministro di grazia e giustizia presenta
allora ricorso alla Corte costituzionale per conflitto tra poteri dello Stato. Questa iniziativa, tuttavia,
spinge il Presidente del Consiglio a riconoscergli competenza esclusiva in materia di grazia e giustizia. Il
Ministro rinuncia al ricorso e conferma, in una nota ministeriale, il suo rifiuto di controfirmare gli schemi
di decreto inviatigli dal Capo dello Stato, il quale prende atto della decisione ministeriale (25 settembre
1991). Situazione delicata e assai controversa, che si ripete anni dopo in occasione del dibattito vertente
sulla opportunità di concedere la grazia ad Adriano Sofri. Discussione aperta nel 1997, ed acuitasi proprio
nel luglio 2003, tanto che può essere ritenuta la diretta causa della presentazione della proposta di legge in
esame, al fine di superare il contrasto di opinioni venutosi a creare tra il Presidente della Repubblica e il
Presidente del Consiglio da un lato (favorevoli), e il Ministro di grazia e giustizia dall’altro (contrario).
81
Proposta di legge A.C. 4237, XIV Legislatura, recante la rubrica: “ Norme di attuazione dell’art. 87
Cost., in materia di concessione della grazia”.
82
In tempi successivi, sono state presentate ulteriori proposte per la riforma della disciplina dell’istituto,
anche se nessuna ha suscitato l’interesse della proposta Boato, nonostante l’avvenuta bocciatura. In primo
luogo la proposta dell’on. Perrotta, datata 31 dicembre 2003, il cui esame è stato tuttavia unificato a
quello della precedente stante l’identità dei contenuti. Si ricorda poi il disegno di legge Cossiga (19 aprile
79
80
120
Il progetto, durante le varie fasi di discussione, è stato criticato per svariate
ragioni. In primo luogo per il “radicale ed insuperabile contrasto con l’art. 89 Cost.” 83 ,
ai sensi del quale l’organo proponente e quello della controfirma devono essere il
medesimo 84 ; poi per l’estromissione dal procedimento di altri soggetti, tra cui il
magistrato di sorveglianza, il cui apporto all’istruttoria risultava fondamentale 85 ; ed
infine l’addebito di costituire “un esempio tipico di legge ad personam” 86 . Quale
conseguenza di tale clima di ostilità venutosi a creare, e nonostante gli innumerevoli
emendamenti occorsi per rimediare a tale situazione, il progetto è stato respinto in data
17 aprile 2004.
Una ulteriore situazione conflittuale si instaura a poca distanza dalla precedente
nel momento in cui il Presidente della Repubblica, dopo aver richiesto il fascicolo
concernente l’istruttoria condotta sulle istanze di grazia presentate da Ovidio
2004) che prevedeva, in modo del tutto originale, la possibilità di applicare la grazia anche prima
dell’emanazione di una sentenza di condanna irrevocabile; il disegno di legge Calvi (24 marzo 2004) che
modificava il testo dell’art. 681 c.p.p. mediante l’inserimento, dopo le parole”al Ministro di grazia e
giustizia”, delle seguenti: “che, al termine dell’istruttoria di propria competenza, la trasmette entro e non
oltre sessanta giorni dal ricevimento, insieme, se lo ritiene, con il proprio parere non vincolante”, con ciò
risolvendo la questione della proposta e dell’impulso dell’istruttoria, ma non anche quella della
controfirma; infine, il progetto di riforma dell’art. 89 Cost. (marzo 2004), la cui modifica prevedeva che
alcuni tra gli atti presidenziali, e tra essi quello di concessione della grazia, non dovessero essere né
proposti né controfirmati, proposta in verità non condivisibile, e pertanto bocciata, sulla base della
constatazione della situazione paradossale che si verrebbe a creare eliminando la causa di assunzione
della responsabilità da parte del Ministro, senza la contemporanea previsione di riformare anche l’art. 90
Cost., in direzione della creazione di una qualche responsabilità in capo al Presidente. Informazioni
aggiuntive circa tali proposte e progetti rinvenibili in POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p.
241 ss.; CODUTI D., Il “caso Sofri” ed il potere di grazia, op. cit., p. 193 ss.
Interessante in tal senso il contributo di CHIAVARIO M., L’esercizio del potere di grazia: considerazioni
“a prima lettura” su una proposta di legge, in Legislazione penale, 2004, p. 80 ss. L’Autore presenta
alcuni spunti per future riforme, tratti dalle carte costituzionali di altri Stati europei. Ad esempio, le
Costituzioni belga, olandese e greca che condizionano la concessione della grazia a ministri e/o altri
rappresentanti istituzionali all’assenso di organi parlamentari; la Costituzione francese, che pur
riconoscendo ancora più apertamente la titolarità presidenziale del potere di grazia (“Le Président de la
Republique a le droit de faire grace”), prevede in capo al Ministro della giustizia un vero e proprio potere
di selezionare le domande di grazia; la Costituzione portoghese che classifica la grazia tra gli atti di
competenza propria del Presidente della Repubblica, ma con la precisazione che al riguardo debba
necessariamente essere udito il Governo; infine le Costituzioni di Francia, Grecia e Paesi Bassi, che
dispongono che non venga trascurato il ruolo degli organi giudiziari nell’iter della concessione della
grazia, come l’Autore auspica possa accadere in Italia con la magistratura di sorveglianza.
83
Motivazione addotta da POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 240.
84
Contrasto che ha portato, successivamente, ad un emendamento del contenuto del comma 1,
attribuendo nuovamente il potere di controfirma al Ministro della giustizia.
85
Poiché consente l’acquisizione e l’approfondimento di dati e informazioni, soprattutto sotto il profilo
dei risultati del trattamento penitenziario del detenuto. V. sul punto POMANTI P., I provvedimenti di
clemenza, op. cit., p. 240.
86
Così CODUTI D., Il “caso Sofri” ed il potere di grazia, op. cit., p. 191, il quale successivamente precisa
tale affermazione: “si è avuta l’impressione, cioè, di trovarsi di fronte ad un tentativo di conferire la
potestà di graziare Adriano Sofri a quelle persone che si erano espresse in favore di tale – specifico – atto
di clemenza”.
121
Bompressi 87 , ottiene da parte del Ministro di grazia e giustizia la conferma della sua
posizione contraria alla concessione del beneficio.
I due soggetti cui sono demandate l’istruzione e la decisione in tema di grazia si
trovano nuovamente schierati su fronti opposti, con la conseguenza che l’insistere il
Ministro su una posizione contraria all’emissione del decreto, comporta inevitabilmente
l’arresto dell’intera procedura 88 . Al fine di dirimere il conflitto, il Presidente propone
ricorso alla Corte costituzionale 89 .
Con ordinanza numero 354, datata 28 settembre 2005, la Consulta dichiara
“ammissibile, ai sensi dell’art. 37 l. 87/1953, il conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato proposto nei confronti della nota del 24 novembre 2004 con la quale il Ministro
della giustizia ha dichiarato di non dare corso alla determinazione del Presidente della
Repubblica di concedere la grazia della pena detentiva residua ad Ovidio Bompressi” 90 .
87
Meglio sarebbe dire che le diverse situazioni di contrasto si svolgono ‘in assoluta continuità temporale’,
considerato il fatto che la questione Sofri, pur rimasta in sospeso perdurante il parere negativo del
Ministro, risulta essere connessa alla vicenda di Ovidio Bompressi.
88
Il rifiuto si sostanzia, come dedotto nel ricorso del Presidente e ripreso dall’ordinanza di ammissione
(v. infra), nella “rivendicazione del potere di interdire con la sua decisione (o addirittura con la sua
inerzia) l’esercizio del potere presidenziale di concessione della grazia”, e quindi nella “attribuzione di un
sostanziale potere di codecisione che è, viceversa, assente nel vigente ordinamento costituzionale”.
89
In data 10 giugno 2005, a differenza di quanto accaduto, più di un decennio prima, in epilogo al
dibattito svoltosi a proposito della concessione della grazia a Renato Curcio. La questione, risoltasi con
una mera presa d’atto del rifiuto del Ministro da parte del Presidente, risale al 1991, v. supra nota 80. Il
testo del ricorso è rinvenibile in Rassegna dell’Avvocatura di Stato, 2006, I, p. 123 ss. Sul punto
GIUPPONI T.F., Il potere di grazia e la sua (ir)responsabilità. Le possibili ragioni di inammissibilità del
conflitto, tra leale collaborazione e controfirma ministeriale, in AA. VV., La grazia contesa, op. cit., p.
166. L’Autore sottolinea come il ricorso presentato alla Corte costituzionale sia in realtà contraddittorio e
dunque passibile di essere dichiarato inammissibile. Il motivo di maggiore perplessità riguarda la scelta di
ricostruire il potere di grazia ed il suo esercizio quali espressioni di una “esclusiva attribuzione
presidenziale, in questo sconfessando la prassi in materia”, mentre il comportamento tenuto dal Capo
dello Stato nel caso concreto sembra in qualche modo fondato sulla medesima prassi, “riconoscendo al
Ministro della giustizia un ruolo rilevante”.
90
Ordinanza 354/2005, in Foro italiano, 2005, pt. I, vol. II, p. 2913. Anzitutto viene dalla Corte respinta
l’opinione per cui non sarebbe ammissibile un conflitto di attribuzione fra il Presidente e un Ministro
perché entrambi espressione del medesimo potere dello Stato, l’esecutivo, e ancor di più perché al
secondo competerebbe il ruolo di fungere da consigliere-determinatore delle scelte del primo. Affermano
i giudici che il conflitto risulta essere ammissibile sia sotto il profilo soggettivo, “atteso che la
qualificazione del Presidente della Repubblica come potere dello Stato sarebbe del tutto pacifica”, sia
sotto quello oggettivo, dato che “non potrebbe negarsi la lesione delle attribuzioni che la Costituzione
attribuisce al Capo dello Stato «nell’esercizio del potere di concessione della grazia»”, assumendosi
violati gli artt. 87 e 89 Cost. Come osserva PUGIOTTO A., Grazia: Ciampi, Castelli e la resa dei conti –
Quell’atto di clemenza fra equità e politica, in Diritto & Giustizia, 2005, 37, p. 52 ss., l’ordinanza sembra
preludere alla qualificazione della grazia quale prerogativa esclusivamente presidenziale, con ciò
esulando dal suo carattere di decisione meramente interlocutoria, laddove afferma che essa “mira a
soddisfare un’esigenza correttivo-equitativa dei rigori della legge”, non implicando di conseguenza
alcuna valutazione di tipo politico; che il ministro della giustizia “è soltanto il ministro ‘competente’ che
collabora con il Capo dello Stato nelle varie fasi del procedimento”, contribuendo con “contributi
istruttori, valutativi ed esecutivi, fermo restando che (...) devono comunque prevalere le istanze di cui è
122
La Corte costituzionale fa luce sulla questione, enunciando alcuni importanti ma
soprattutto innovativi principi interpretativi, con la sentenza del 18 maggio 2006, n.
200 91 .
Dopo aver precisato che la querelle sottoposta al suo esame concerneva non già
la titolarità del potere di grazia, espressamente conferita dall’art. 87 Cost. al Presidente
della Repubblica, bensì “le concrete modalità del suo esercizio”, la Consulta ha accolto
il ricorso proposto dal Capo dello Stato. In sintesi, questi i punti salienti della decisione.
In primo luogo, individuata quale finalità unica della concessione di grazia
quella ‘umanitaria’, “da apprezzare in rapporto ad una serie di circostanze (non sempre
astrattamente tipizzabili), inerenti alla persona del condannato o comunque involgenti
apprezzamenti di carattere equitativo”, vale a dire la funzione di “attuare i valori
costituzionali, consacrati nel terzo comma dell’art. 27 Cost.”, la Corte fa conseguire la
necessità di “riconoscere nell’esercizio di un tale potere – conformemente anche alla
lettera dell’art. 87, undicesimo comma, Cost. – una potestà decisionale del Capo dello
Stato, quale organo super partes, (...) estraneo a quello che viene definito il ‘circuito’
dell’indirizzo politico-governativo” 92 .
In secondo luogo, i giudici costituzionali affrontano il problema nel suo nodo
centrale: il rapporto intercorrente tra il Presidente ed il Ministro, definito dai compiti e
portatore il Presidente della Repubblica quale titolare del potere di grazia”; e che “il riconoscimento di
poteri di natura sostanziale spettanti (...) al Ministro della giustizia non potrebbe (...) fondarsi sul disposto
dell’art. 89 Cost.”. L’Autore considera, inoltre, la scelta della Corte di non chiamare in causa il Governo,
rimasto in tal modo estraneo al contraddittorio. Tale decisione avrebbe una duplice valenza, da un lato
quella di esaltare il ruolo nella prassi assunto dal Ministro, vale a dire quello di portatore di una autonoma
scelta politica, dall’altro, invece, l’implicito “riconoscimento dell’estraneità del potere di clemenza
individuale alla sfera dell’indirizzo politico governativo”, con la conseguente qualificazione della grazia
come prerogativa esclusivamente presidenziale.
91
Testo della pronuncia in Rassegna dell’Avvocatura di Stato, 2006, I, p. 109 ss. La Corte, come
vedremo, si allontana notevolmente dal comune sentire del panorama dottrinale.
92
Molti Autori si sono schierati contro tale ricostruzione della funzione svolta mediante la concessione di
grazia. Le perplessità nascono dalla constatazione che, nella prassi, la grazia ha spesso assolto anche a
funzioni eminentemente politiche, sovente di pacificazione nazionale. Afferma TIMIANI M., Il potere di
grazia: scomparendo le ragioni politiche, rischia di scomparire anche la responsabilità, in Quaderni
costituzionali, 2006, p. 792, come “al contrario di quanto traspare dalla pronuncia, il valore e l’impatto
politico intrinseci all’atto di grazia sono innegabili”, supportando tale affermazione con l’elenco di tutta
una serie di provvedimenti di clemenza concessi, negli anni, ‘innegabilmente’ per motivazioni politiche.
LUCIANI M., Sulla titolarità sostanziale del potere di grazia del Presidente della Repubblica, in Corriere
giuridico, 2007, II, p. 194, insiste, invece, sulla correlazione esistente, nel nostro ordinamento, tra
l’emanazione del beneficio in questione e gli strumenti tipici previsti dall’ordinamento penale,
processuale-penale e penitenziario. “Se le esigenze ‘ordinarie’ possono essere soddisfatte dall’impiego
degli strumenti processuali da parte della magistratura, vuol dire che la valutazione di un’esigenza come
‘straordinaria’ (...) è logicamente di natura politica”, e dunque colmabile solamente mediante un istituto
diverso, quale appunto la grazia. Ancora sul punto, v. GEMMA G., Il conflitto tra Capo dello Stato e
Ministro della giustizia in tema di grazia, in Cassazione penale, 2007, II, p. 570 ss.
123
dai ruoli da attribuirsi ai due soggetti. Quale conseguenza del punto precedente, il
Ministro rimane escluso dalla decisione sostanziale, “perché, in nome del principio di
separazione dei poteri, gli è preclusa qualsiasi ingerenza nella fase di esecuzione delle
pene, e perché esso è per definizione portatore di quella politicità che la Corte ha cura di
bandire dai motivi che possono ispirare la concessione dei provvedimenti di grazia” 93 .
A conclusione dell’istruttoria, sempre di sua competenza, il Ministro decide se
formulare la proposta di grazia al Presidente, oppure adottare un provvedimento di
archiviazione.
Nella prima ipotesi spetta al Presidente compiere le proprie autonome
valutazioni, le quali, laddove positive, dovranno essere seguite dalla controfirma
validante del Guardasigilli, alla quale, pertanto, “deve essere riconosciuto valore
soltanto formale” 94 .
Qualora, invece, egli valuti negativamente i risultati dell’istruttoria condotta, la
Corte ha disposto una rilevante innovazione: su sollecitazione del Capo dello Stato, il
Ministro ha l’obbligo di iniziare e concludere la propria attività di indagine, nonché di
formulare la relativa proposta, potendo solamente “rendere note le ragioni di legittimità
o di merito che, a suo parere, si oppongono alla concessione del provvedimento”. Come
sostiene la Corte, infatti, “ammettere che il Ministro possa o rifiutarsi di compiere la
necessaria istruttoria o tenere comunque un comportamento inerte, equivarrebbe ad
affermare che egli disponga di un inammissibile potere inibitorio”, con la conseguente
“menomazione di una attribuzione che la Costituzione conferisce (...) al Capo dello
Stato”. Il Presidente, dal canto suo, ove non condivida le osservazioni (negative)
sottopostegli, “adotta direttamente il decreto concessorio, esternando nell’atto le ragioni
per le quali ritiene di dover concedere ugualmente la grazia.
Da ciò consegue una ultima e conclusiva osservazione della Corte: considerata
non solo la rilevante riduzione del peso decisionale originariamente attribuito al
Così GORLANI M., Una nuova dimensione costituzionale per il capo dello Stato?, in Quaderni
costituzionali, 2007, I, p. 133.
94
In altre parole, si limita ad attestare la completezza e la regolarità dell’istruttoria e del procedimento
seguito. I giudici costituzionali si richiamano alla tradizionale ripartizione, operata a livello dottrinale, tra
gli atti di matrice presidenziale. La controfirma, si legge nella sentenza, assume “un diverso valore a
seconda del tipo di atto di cui rappresenta il completamento o, più esattamente, un requisito di validità”.
In altri termini, alla controfirma andrà attribuito carattere sostanziale nell’ipotesi in cui l’atto sottoposto
alla firma del Capo dello Stato sia di tipo governativo, cioè espressione delle potestà proprie
dell’Esecutivo; mentre avrà valore esclusivamente formale quando l’atto sia espressione di poteri propri
del Presidente, tra i quali, al pari dell’invio di messaggi alle Camere e della nomina dei senatori a vita o
dei giudici costituzionali, rientra anche quello della concessione di grazia.
93
124
Guardasigilli, ma anche la contemporanea conservazione dello strumento della
controfirma quale mezzo di attribuzione di efficacia al provvedimento, “l’assunzione
della responsabilità politica e giuridica del Ministro controfirmante, a norma dell’art. 89
della Costituzione, trova il suo naturale limite nel livello di partecipazione del
medesimo al procedimento di concessione dell’atto di clemenza” 95 .
3. Profili procedurali: i soggetti legittimati.
L’art. 681 c.p.p. enumera tassativamente i soggetti legittimati a richiedere la
grazia. Il comma 1 stabilisce cha la domanda possa essere sottoscritta non solo
dall’interessato, ma altresì, con o senza il consenso di costui 96 , da un suo prossimo
congiunto, nozione che trova esatta determinazione nella definizione di cui all’art. 307,
comma 4, c.p. 97 , oppure dal convivente 98 , dalla persona che esercita sul condannato la
tutela o la cura, ovvero, infine, dall’avvocato 99 o dal procuratore legale.
95
In tali ipotesi, stando alla decisione della Corte, devono intervenire in via sussidiaria diversi strumenti
di ‘controllo’. In primis l’inedito ‘onere di motivazione’ cui è tenuto il Presidente nella compilazione del
decreto di grazia, qualora si trovi in contrasto di opinioni con il Ministro, ed in seconda battuta
l’eventuale sindacato da parte della Corte costituzionale in caso di motivazione insufficiente o
contraddittoria. Il Capo dello Stato, dunque, “ne risponderebbe politicamente, assoggettandosi alle
valutazioni dell’opinione pubblica (cosiddetta responsabilità politica diffusa), ma anche giuridicamente
nei limiti di quanto previsto dall’art. 90 Cost.”, v. VIGIANI M. (La sentenza sulla grazia: un’importante
pronuncia che trascende la mera risoluzione del conflitto tra il Quirinale ed il Ministero di via Arenula,
in Giurisprudenza italiana, 2007, VII), Autore che, schierandosi controcorrente, ritiene la sentenza in
esame “pienamente condivisibile”.
Contra, tra i tanti LUCIANI M., Sulla titolarità sostanziale del potere di grazia del Presidente della
Repubblica, op. cit., p. 196 ss.; GIUPPONI T.F., Grazia e controfirma ministeriale: là dove (non) c’è la
responsabilità, là c’è il potere…, in Quaderni costituzionali, 2007, I, p. 140 ss. A parere di entrambi tali
strumenti di controllo comporterebbero tutta una serie di problemi pratici, primo fra tutti l’individuazione
del soggetto legittimato ad adire il menzionato ricorso costituzionale.
96
Come ipotizza POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 221, può verificarsi l’eventualità in
cui la domanda venga presentata contro il volere del soggetto beneficiario. Afferma l’Autore, ed è
opinione condivisibile, che “l’istanza di clemenza sia comunque valida, salva la facoltà per il condannato
di presentare una formale rinunzia alla domanda (non alla grazia)”. Tesi fondata sulla considerazione che
essendo la grazia concedibile anche d’ufficio, tanto la domanda quanto la proposta di clemenza non
risultano essere condizioni necessarie né tantomeno sufficienti alla concessione della stessa.
97
Vale a dire che, agli effetti della legge penale, sono da considerarsi ‘prossimi congiunti’ gli ascendenti,
i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii ed i nipoti. Gli affini,
tuttavia, sono da escludere da tale elenco nell’ipotesi in cui sia morto il coniuge e non vi sia prole.
98
E’ questa la prima innovazione apportata al procedimento per l’applicazione della grazia dal nuovo
codice di rito. L’art. 595 c.p.p. abrogato escludeva, infatti, dall’elenco una tale possibilità.
99
Due gli orientamenti dottrinali sul punto. Da un lato, l’impostazione tradizionale non ritiene necessario
che essi siano i medesimi che hanno difeso o assistito il condannato durante il procedimento conclusosi
con sentenza di condanna. V. ad esempio GIANZI G., voce Grazia (dir. proc. pen.), op. cit., p. 774, a
parere del quale “la legge più che alla regolarità dell’investitura ha avuto riguardo alla determinata
qualifica di certi soggetti ai quali si è data la legittimazione a richiedere, nell’interesse del condannato, il
beneficio della grazia”. Parimenti REALI R., voce Grazia (dir. pen.), op. cit., p. 4; MANZINI V., Trattato di
125
Considerata la forza vincolante dell’elenco di cui al comma 1, la dottrina ritiene
che eventuali domande presentate da soggetti all’uopo non legittimati abbiano valore di
“semplice segnalazione” 100 , come tali passibili di essere prese in considerazione dalla
autorità cui sono dirette ma non in grado di vincolare le stesse a procedere all’istruttoria
della pratica.
Opportuna l’analisi di una non remota eventualità. L’autorizzazione di una
pluralità di soggetti alla presentazione di una richiesta di grazia implica inevitabilmente
la possibilità di una corrispondente pluralità di domande, da parte di persone diverse, a
beneficio del medesimo condannato. In assenza di una decisione, domande dall’identico
contenuto verrebbero riunite, mentre laddove sia già intercorsa pronuncia negativa nei
confronti di una prima domanda, qualunque ad essa successiva non sarebbe seguita da
alcuna proposta del Ministro tranne nel caso in cui “la seconda domanda dovesse
risultare fondata su elementi diversi e mai considerati” 101 .
Entrambe le problematiche ora affrontate risultano oramai di scarso rilievo posto
che, successivamente all’introduzione del nuovo codice di procedura penale, l’articolo
dedicato alla concessione della grazia è caratterizzato da una importante innovazione: il
comma 4, infatti, prevede che il provvedimento possa essere concesso anche d’ufficio,
vale a dire in assenza di una domanda espressa oppure di una proposta, nell’ipotesi in
cui il Ministro proponente o il Presidente stesso abbiano avuto aliunde notizia di un
caso che si prospetti degno di istruzione 102 .
In ultima analisi, equivalente alla domanda di grazia è la ‘proposta’ che il
comma 3 della citata norma prevede possa pervenire da parte del Consiglio di
diritto penale, op. cit., p. 514.
La seconda tesi, invece, ritiene che solamente l’avvocato nominato in sede di esecuzione ovvero
specificatamente nominato ai fini della domanda di grazia, possa presentare l’istanza. Ciò al fine di
evitare che un avvocato, privo di rituale nomina, possa non solo richiedere clemenza per un condannato
che addirittura potrebbe non conoscere, ma anche “formulare una domanda di grazia nei confronti di
qualunque soggetto e per le ragioni più disparate, anche solo per fama o retribuzione”, così il recentissimo
POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 221.
100
Così CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e processuali), op. cit., p. 49.
101
Sul punto POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 220.
102
Tale possibilità era già sostenuta vigente il codice del 1930 da parte della dottrina (v. per tutti MANZINI
V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 513), la quale sosteneva fermamente la teoria che nulla potesse
portare a pensare, sulla base del già citato principio che il condannato ha solo l’obbligo e non il diritto di
scontare la pena, che sussistesse un qualsiasi divieto a che la pratica potesse essere istruita e decisa senza
alcuna istanza o proposta. Tesi avallata per la prima volta proprio in quegli anni dal Presidente Saragat
con d.P.R. 26 marzo 1965, vale a dire più di un ventennio precedentemente all’accoglimento normativo di
tale teoria.
126
Disciplina dell’Istituto di Pena 103 , a favore dei condannati ivi detenuti ed internati. La
proposta risulta essere una sorta di “ricompensa” 104 che può essere concessa a soggetti
detenuti, od internati, che si presentino particolarmente meritevoli in virtù della loro
condotta all’interno dell’istituto 105 , e che, come tale, “al pari del provvedimento stesso
di clemenza, appare finalizzata all’emenda e rieducazione del reo” 106 .
3.1 (Segue) i provvedimenti relativi alla grazia.
La domanda o proposta di grazia non sono soggette a particolari vincoli di
forma 107 o di bollo, emergendo dall’art. 681 c.p.p. un unico requisito formale, vale a
dire la sottoscrizione da parte del richiedente, sia esso l’interessato stesso ovvero un
qualsiasi soggetto tra quelli indicati al comma 1, oppure, ex comma 3, il presidente del
Consiglio di Disciplina.
Nell’iter formativo 108 di un provvedimento di grazia sono da distinguere una
103
Composta dal direttore che lo presiede, dal sanitario e dall’educatore.
In tal senso v. REALI R., voce Grazia (dir. pen.), op. cit., p. 4; TURLON F., Commento all’art. 174, in
CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 631;
105
Questa ipotesi non era prevista dall’art. 595 c.p.p. del 1930, manchevolezza alla quale suppliva,
invece, il regolamento per l’esecuzione della legge 26 luglio 1975, n. 354, riguardante il nuovo
ordinamento penitenziario, che ottenne approvazione con il d.P.R. 29 aprile 1976, n. 431, il cui art. 71
conteneva un dettagliato elenco dei comportamenti tali da consentire agli aspiranti beneficiari di meritarsi
questo compenso. La norma in questione è stata recentemente riprodotta dall’art. 76 del d.P.R. 30 giugno
2000, n. 230, ai sensi del quale la grazia può essere concessa su proposta del direttore a quei soggetti che
si siano “distinti per: a) particolare impegno nello svolgimento del lavoro; b) particolare impegno e
profitto nei corsi scolastici e di addestramento professionale; c) attiva collaborazione nell’organizzazione
e nello svolgimento delle attività culturali, ricreative e sportive; d) particolare sensibilità e disponibilità
nell’offrire aiuto ad altri detenuti od internati, per sostenerli moralmente nei momenti di difficoltà di
fronte a loro problemi personali; e) responsabile comportamento in situazioni di turbamento della vita
dell’istituto, diretto a favorire atteggiamenti collettivi di ragionevolezza; f) atti meritevoli di valore
civile”.
106
Cfr. POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 223.
107
Il Ministero di grazia e giustizia, tuttavia, per agevolare la presentazione di domande il più possibile
complete e uniformate, sin dal 1989 mette a disposizioni presso gli uffici del pubblico ministero gli
“specchietti per la grazia”, dei moduli prestampati da compilare nei campi vuoti con tutte le informazioni
ivi richieste, vale a dire non solamente i dati anagrafici del soggetto ed un sunto dei motivi posti a
sostegno della domanda, ma anche l’esatta indicazione del titolo di reato e della sentenza di condanna (o
decreto penale), lo stato di esecuzione della stessa, l’eventuale perdono concesso dalla persona offesa.
ecc. Una copia di tale specchietto, c.d. Mod. 499 M.G., è consultabile in PISANI M., Grazia e giustizia,
Milano, 2007, p. 45 ss. L’utilizzo di tali strumenti risulta comprovato già dal testo della circolare datata 3
dicembre 1989, a firma del Ministro Finocchiaro Aprile (rinvenibile in Digesto italiano, XII, 1900-1904,
p. 998), contenente raccomandazioni alla compilazione degli stessi.
108
Per una analisi dell’evoluzione di tale procedimento, a partire dal primo progetto preliminare del
codice di procedura penale datato 1978, cfr. PISANI M., Grazia e giustizia, op. cit., p. 30 ss. Nella
Medesima opera, p. 6 ss., alla quale si rimanda per eventuali approfondimenti, l’Autore illustra altresì la
disciplina dell’istruttoria per la grazia nei codici del 1865, 1913 e 1930.
104
127
prima fase, di istruttoria, ed una seconda, conclusiva, dedicata alla decisione 109 .
Quella istruttoria ha inizio con la presentazione della domanda (o proposta)
diretta al Presidente della Repubblica all’autorità competente a riceverla. La regola
generale prevede che entrambe vadano dirette indifferentemente al Ministro di Grazia e
Giustizia. Quale semplificazione a tale norma, invece, il comma 2 consente che nel caso
di condannato detenuto od internato la domanda (o proposta) possa essere depositata
anche al magistrato di sorveglianza; se, viceversa, riguarda un condannato che si trova
in stato di libertà la domanda può essere depositata anche al Procuratore generale presso
la Corte di appello competente 110 .
Quanto alle modalità dell’istruttoria l’art. 681, comma 2, si limita a statuire che
nel caso in cui si tratti di domanda presentata a beneficio di soggetto detenuto, il
procedimento è condotto dal magistrato di sorveglianza, il quale “acquisiti tutti gli
elementi di giudizio utili e le osservazioni del Procuratore generale”, rimette la pratica
al Ministero con il proprio parere motivato.
Differentemente, nell’ipotesi di condannato a piede libero, l’istruttoria è affidata
integralmente al Procuratore generale 111 il quale, “acquisite le opportune informazioni
la trasmette al ministro con le proprie osservazioni” 112 .
Particolarmente esaustiva l’esposizione in tema di procedimento concessorio ad opera di POMANTI P., I
provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 223 ss.
110
Ultima innovazione contenuta nell’art. 681 c.p.p. L’originaria disciplina disponeva che l’istruttoria
fosse demandata, in qualsiasi ipotesi, al Procuratore generale del distretto ove avesse sede il giudice
dell’esecuzione indicato dall’art. 665 c.p.p. V. sul punto CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e
processuali), op. cit., p. 50. Per una panoramica circa il sistema operante vigente il codice di procedura
penale datato 1930, v. REALI R., voce Grazia (dir. pen.), op. cit., p. 4; in alternativa GIANZI G., voce
Grazia (dir. proc. pen.), op. cit., p. 774 ss.
111
Dal confronto delle due ipotesi, condannato detenuto o libero, si potrebbe sottolineare come
l’istruttoria prevista nel primo caso sia più penetrante in quanto composta anche dal parere del magistrato
di sorveglianza, successivo alle osservazioni del Procuratore generale, ed inoltre ‘elementi di giudizio’ ed
‘osservazioni’ appaiono nozioni di differente ampiezza. Una tale differenziazione ben potrebbe essere
giustificata dalla considerazione che in relazione a domande di grazia per condannati detenuti vi è da
considerare, inevitabilmente, anche l’osservazione in carcere. Tuttavia in dottrina si afferma che “il
legislatore, pur utilizzando termini diversi (ma in fondo simili), non abbia inteso differenziare la qualità e
la consistenza dell’istruttoria. Non ve ne sarebbe ragione alcuna” (POMANTI P., I provvedimenti di
clemenza, op. cit., p. 225).
112
Trattasi in entrambi i casi di formulazioni assai sintetiche che non specificano affatto in che cosa
consistano, in un caso concreto, le ‘opportune informazioni’ e gli ‘elementi utili al giudizio’, né
tantomeno le ‘osservazioni’ che devono essere raccolte nella fase istruttoria, con ciò ricalcando in tutto e
per tutto l’art. 595 c.p.p. abrogato. In via sussidiaria è intervenuta nel tempo tutta una serie di circolari
emesse dal Ministero, e poiché “il testo dell’art. 681 c.p.p. non ha apportato apprezzabili modifiche in
materia di istruttoria, salvo quella parziale sulla competenza, le disposizioni impartite con le precedenti
circolari devono ritenersi tuttora valide” (cfr. CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e processuali), op.
cit., p. 50; v. altresì, quale esempio di dottrina più recente, PISANI M., Grazia e giustizia, op. cit., p. 34).
Pertanto, sono richieste: copia integrale della sentenza di condanna con l’indicazione della data in cui è
109
128
In aggiunta a tale prassi ordinaria, si è già detto come la grazia possa venire
concessa altresì al termine di un iter ex officio, nella duplice ipotesi in cui l’iniziativa sia
assunta dal Capo dello Stato ovvero dal Ministro. Nel primo caso il Presidente dovrà
invitare il Ministero ad istruire la pratica, rivolgendosi, a seconda del caso concreto, al
magistrato di sorveglianza 113 oppure al Procuratore generale. Se, invece, la domanda di
grazia è presentata direttamente al Ministro di Grazia e Giustizia, quest’ultimo in ogni
caso la rimette al magistrato di sorveglianza oppure alla Procura generale,
rispettivamente nelle ipotesi di condannato detenuto e di condannato libero.
Nella fase decisionale, invece, il Ministro, ricevuta la domanda, le informazioni,
le osservazioni ed i pareri, e sentita a sua volta l’opinione dei magistrati addetti
all’Ufficio Grazie del Ministero, decide se formulare o meno la proposta di grazia al
Presidente della Repubblica 114 . Questi, se ritiene di dover accogliere la proposta, emette
divenuta irrevocabile; il certificato penale e i certificati di eventuali carichi pendenti; le dichiarazioni
delle parti offese, in ordine al perdono o al risarcimento del danno; rapporti informativi delle autorità di
polizia, in ordine allo stato di famiglia, alle condizioni economiche, alla condotta antecedente al reato,
nonché all’impatto sociale che avrebbe un gesto di clemenza; indicazione dei correi per garantire
unitarietà nella trattazione e per evitare inutili duplicazioni di istruttoria; per i condannati detenuti, inoltre,
si richiedono l’estratto della cartella personale relativa al periodo di detenzione e il rapporto sulla
condotta tenuta nell’istituto penitenziario; qualora vengano dedotte infermità risulta necessaria altresì la
documentazione sanitaria proveniente dalla amministrazione penitenziaria. Tra le tante, si veda
soprattutto la circolare in tema di istruttoria delle pratiche di grazia emessa nel marzo 1977 dalla
Direzione generale affari penali del Ministero di grazia e giustizia, ufficio IV grazie, finalizzata a
semplificare ed accelerare i procedimenti di grazia (cfr. POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit.,
p. 226).
Per determinati reati, inoltre, la pratica va completata con ulteriori documenti e pareri, peraltro non
vincolanti, come ad esempio avviene nel caso di condanne inflitte per reati finanziari, v. in proposito
CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e processuali), op. cit., p. 50.
113
Circa il conferimento a tale figura giurisdizionale di attività istruttoria, sono state sollevate questioni di
legittimità costituzionale, risoltesi successivamente in senso negativo. Si veda, ad esempio, Corte Cost.,
10 ottobre 1991, n. 382, in Cassazione penale, 1992, p. 1439 ss., occasione nella quale era stato eccepito
come il conferimento di attività istruttoria al magistrato di sorveglianza e la formulazione di un parere
motivato da parte di costui, ponessero tale soggetto in una posizione di subordinazione funzionale rispetto
al Ministro, determinando in tal modo una certa confusione in seno alla normale divisione dei poteri.
Questione dichiarata, tuttavia, inammissibile in forza alla considerazione che, nel procedimento per la
concessione della grazia, non spetti al magistrato di sorveglianza alcun potere decisorio, ma solamente
una mera attività di acquisizione degli elementi di giudizio utili, con manifestazione di un parere
strumentale alla decisione che altra autorità adotta nell’esercizio di una funzione non giurisdizionale. V.
sul punto POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 228.
114
Quanto all’individuazione degli elementi utili al buon esito del provvedimento, occorre fare
riferimento alla prassi ministeriale sul punto. In particolare si veda, recentemente, l’Audizione del
Ministro della Giustizia, Commissione I, Affari costituzionali, Camera dei deputati, seduta del 3 febbraio
2004 (rinvenibile in www.unife.it/amicuscuriae), stando al contenuto della quale presupposti favorevoli
sono “la scarsa gravità del reato, la situazione familiare del condannato, la giovane età del condannato
stesso all’epoca dei fatti, il perdono dei parenti delle vittime, il risarcimento dei danni arrecati nonché
l’errore giudiziario non altrimenti rimediabile e l’irrogazione di una pena particolarmente severa rispetto
alle pene applicate in casi analoghi”; tra quelli ostativi si segnalano, invece, “la pendenza in capo al
soggetto beneficiando di un altro procedimento penale, il suo essersi reso irreperibile, la gravità del reato
129
il relativo decreto di grazia 115 ; nell’ipotesi opposta, restituisce la proposta al
Guardasigilli stesso. Tale frazione del procedimento, dunque, non segue regole
particolari, rilevando esclusivamente la necessarietà di una generica proposta da parte
dell’organo di governo competente, nonché, in caso di esito negativo 116 , una altrettanto
generica pronuncia di rigetto da parte del Presidente.
Emesso il decreto di grazia, il pubblico ministero presso il giudice indicato
dall’art. 665 c.p.p. quale competente all’esecuzione procede ordinando, se del caso 117 , la
liberazione del condannato ed adotta i provvedimenti conseguenti 118 .
Altro aspetto procedimentale circa la concessione della grazia risulta disciplinato
dal combinato disposto degli artt. 684 c.p.p. e 147 c.p., ai sensi dei quali, ogni qualvolta
venga presentata una domanda o proposta di grazia, il tribunale di sorveglianza detiene
la facoltà di differire l’esecuzione della pena per un periodo non superiore a sei mesi,
decorrenti dal giorno in cui diviene irrevocabile la sentenza di condanna. Tale
differimento viene concesso da parte del magistrato di sorveglianza 119 con
commesso, il mancato perdono da parte dei parenti delle vittime, nonché il mancato risarcimento dei
danni arrecati dal condannato”. Tuttavia, come sottolinea BETZU M., Mitologie del finalismo rieducativo
ed esercizio del potere di grazia, in AA. VV., La grazia contesa, op. cit., p. 42 ss., risulta passibile di
critica “l’uso distorto che di quei criteri viene fatto nella prassi applicativa”, laddove, ad esempio, la
grazia sia stata adottata pur in presenza di reati particolarmente gravi ovvero in mancanza del perdono dei
familiari della vittima. Prosegue l’Autore affermando che, “se è pure vero che gli elementi di valutazione
non possono essere intesi in maniera rigida (...), è innegabile che un’applicazione ondivaga degli stessi,
aggravata dalla segretezza del procedimento, rende nei fatti incontrollabile ed arbitrario il potere
esercitato”. In tema di segretezza caratterizzante la fase decisionale dei procedimenti di concessione di
grazia, v. altresì il capitolo che ad esso dedica PISANI M., Dossier sul potere di grazia, Padova, 2006, p.
91 ss.
115
Che, come già visto, deve successivamente essere controfirmato dal Ministro proponente al fine di
acquisire efficacia (v. supra par. 2.1).
116
La forma del decreto presidenziale è, infatti, da ritenersi richiesta esclusivamente nel caso di
accoglimento della proposta, in quanto contenente la vera e propria concessione del provvedimento.
Formalità che giustifica altresì la possibilità, espressamente prevista da POMANTI P., I provvedimenti di
clemenza, op. cit., p. 228, nella quale il Presidente abbia sì optato per la concessione della clemenza, ma
attraverso una modifica della proposta governativa, vale a dire ampliando o riducendo l’ampiezza del
beneficio.
117
In altre parole, unicamente nel caso in cui la grazia non sia sottoposta a condizioni, eventualità nella
quale è da seguirsi il procedimento descritto nel paragrafo successivo (infra par. 4).
118
Ad esempio, ex art. 192 norme att., coord., trans. e reg. c.p.p., l’annotazione del decreto di grazia
sull’originale della sentenza o del decreto di condanna. Oppure, si veda l’art. 29 reg. esecuzione c.p.p. che
dispone che nel fascicolo formato dalla segreteria del pubblico ministero per l’esecuzione delle sentenze e
dei decreti di condanna, vada inserita copia degli atti del procedimento di grazia e dei provvedimenti
emessi dall’autorità giudiziaria in sede di esecuzione. Si noti che l’art. 681 nulla dice circa la fase
d’avvio, in sede ministeriale, dell’esecuzione del decreto, la quale sarà “necessariamente rappresentata
dall’inoltro del medesimo ai competenti organi giudiziari” (PISANI M., Grazia e giustizia, op. cit., p. 145).
119
In origine ogni decisione in tema di differimento spettava al Ministro di grazia e giustizia.
Successivamente, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 648 c.p.p. nella parte in cui
attribuiva la competenza al Ministero (sent. Corte Cost., 31 maggio 1990, n. 274). Tenendo in
considerazione il dato letterale della norma in questione, si ricava che solamente nell’ipotesi di
130
provvedimento non revocabile né ricorribile ai sensi dell’art. 111 Cost. e 586, comma 2,
c.p.p. stante il suo carattere meramente interlocutorio.
La ratio della previsione normativa è quella, duplice, di impedire qualsiasi
attività dilatoria mediante “una puntuale e ragionevole determinazione di un periodo di
sospensione valido in ogni caso e senza alcun riferimento all’eventuale decisione sulla
grazia, la cui eventuale tempestività è assolutamente rilevante” 120 , nonché di evitare, in
particolar modo per le pene detentive di breve durata, che la grazia sia concessa invano
poiché tardiva, a pena già espiata.
4. La grazia condizionata.
Il beneficio della grazia può essere incondizionato ovvero sottoposto a
condizioni da parte del Presidente della Repubblica 121 . Tale eventualità risulta essere
espressamente prevista al comma 5 dell’art. 681 c.p.p., che opera un rimando all’art.
672, comma 5, c.p.p. il quale testualmente prevede che l’apposizione della condizione
produce l’effetto di “sospendere l’esecuzione della sentenza o del decreto penale di
condanna fino alla scadenza del termine stabilito (...) o, se non fu stabilito termine, fino
alla scadenza del quarto mese dal giorno della pubblicazione del decreto”, ed inoltre che
il provvedimento si applichi “definitivamente se, alla scadenza del termine, è dimostrato
l’adempimento delle condizioni o degli obblighi ai quali le concessione del beneficio è
subordinata” 122 .
La incostituzionalità della norma in esame, peraltro, risulta da escludere
considerato che “l’apposizione di condizioni alla grazia risponde ad una fondamentale
esigenza di natura equitativa” 123 , tanto più che loro spiccata caratteristica risulta essere
presentazione di una domanda, ma non di una proposta, è possibile tale differimento. Inoltre, in dottrina si
è discusso se il differimento sia possibile anche nell’ipotesi di esecuzione già iniziata. Questione risolta in
senso negativo considerato il fatto che si tratta, propriamente, di differimento e non di sospensione
dell’esecuzione della pena.
120
Così Cass., 9 gennaio 2004, Durastanti, in C.E.D. Cass., n. 227642.
121
L’uso di apporre condizioni al beneficio è stato introdotto la prima volta con r.d. 7 ottobre 1900,
preceduto da una relazione al Re sulle grazie condizionali pubblicato nel B.U. del Ministero di grazia e
giustizia dell’11 ottobre 1900, in cui il Guardasigilli faceva presente l’opportunità di sottoporre i
provvedimenti alla condizione che i beneficiari non commettessero altri reati nel quinquennio successivo,
dal momento che si era rilevato che alcuni graziati avevano commesso, recidivando, altri reati.
122
Norma che si riferisce all’amnistia e all’indulto, pertanto, per una ulteriore specificazione del
contenuto, v. supra cap. II, par. 3.5 e 4.1.
123
Così POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 229.
131
quella di tendere alla rieducazione ed emenda del reo, in perfetta armonia con le finalità
perseguite dall’ordinamento costituzionale. La Corte costituzionale, infatti, nel
dichiarare non fondata la questione ha affermato che tale prassi “consente
l’individualizzazione del provvedimento di clemenza in senso logicamente parallelo
all’individualizzazione della pena” 124 .
Si è dibattuto in dottrina circa la natura di tali condizioni, dal momento che esse
non risultano in alcun modo predefinite dal legislatore e, di conseguenza, sono
suscettibili di assumere contenuti differenti.
Secondo un primo orientamento, le condizioni non potrebbero che essere
risolutive, ciò sulla base della considerazione che il provvedimento di grazia comincia
ad operare sin dal momento della sua emissione 125 ed inoltre che in caso di mancato o
tardivo adempimento è previsto un meccanismo di revoca che presuppone, in quanto
tale, un provvedimento già operante.
Altra dottrina 126 , invece, interpretando la norma nel senso diametralmente
opposto sostiene che esse non possano che essere di tipo sospensivo: il provvedimento
acquisterebbe definitività solamente al realizzarsi delle condizioni, mentre l’ipotesi di
revoca andrebbe interpretata come “accertamento che i requisiti per l’applicazione del
provvedimento non si sono realizzati” 127 .
Ulteriore motivazione, ritenuta preferibile da alcuni Autori 128 poiché supportata
da una argomentazione che va oltre un differente punto di vista su cui basare
l’interpretazione della norma, è quella che rileva l’inopportunità di certe condizioni
Cfr. sentenza Corte Cost., 26 maggio 1976, n. 134, cit., in Giurisprudenza costituzionale, 1976, I, p.
938 ss. La grazia condizionata e la sua eventuale revoca, dunque, non contrastano né con il principio di
stretta legalità di cui all’art. 25 Cost., né con quello della riserva assoluta di giurisdizione in materia di
libertà personale desumibile dagli artt. 13, 102, 110 Cost. V. sul punto TURLON F., Commento all’art.
174, in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a cura di), op. cit., p. 631; VESSICHELLI M., Commento
all’art. 174, in LATTANZI G. – LUPO E. (a cura di), op. cit., p. 421.
125
V. ad esempio ALOISI U., Manuale pratico di procedura penale, IV, Milano, 1943, p. 146. Parimenti la
giurisprudenza, v. la recente Cass., 17 novembre 2003, Panizzari ed altro, in C.E.D. Cass., n. 226905.
126
Per i dovuti riferimenti agli Autori che appoggiano tale tesi, cfr. supra cap. II, par. 3.5, nota 157. In
aggiunta, si consideri la peculiare posizione di POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 232.
L’Autore, infatti, afferma che “nel provvedimento di grazia vi potrebbero essere condizioni ed obblighi:
le prime opererebbero sospensivamente, i secondi come cause di revoca”. In altri termini, sostiene una
tesi in base alla quale condizioni vere e proprie sarebbero esclusivamente quelle sospensive, mentre negli
altri casi “più che di condizioni sarebbe opportuno parlare di prescrizioni o semplicemente di obblighi
fissati nel provvedimento di grazia”. A conseguenza di ciò, obblighi quali quello di non commettere reati,
di non frequentare un determinato luogo oppure determinate persone, non sarebbero altro che “cause di
revoca del provvedimento e non condizioni risolutive (in senso stretto) dell’atto di clemenza”.
127
PADOVANI T., Commento all’art. 174, in ROMANO M. – GRASSO G. – PADOVANI T. (a cura di), op. cit.,
p. 21
128
V. REALI R., voce Grazia (dir. pen.), op. cit., p. 2;
124
132
risolutive, quale il pagamento di una somma alla cassa delle ammende, che non possono
essere in nessun caso indice di emenda del reo né, in caso di mancato adempimento, del
persistere della sua pericolosità sociale 129 .
Infine, in posizione intermedia, la tesi 130 che rimanda al caso concreto la
decisione circa la natura di tali obblighi che sarebbero, pertanto, talvolta sospensive,
altre volte risolutive. Nel primo gruppo, a titolo d’esempio, rientrerebbero l’obbligo del
risarcimento in favore dei parenti della persona offesa, e quello di versare una somma di
denaro in favore della cassa delle ammende 131 ; nel secondo, invece, la condizione che
impone al condannato di non commettere ulteriori reati per un termine prestabilito 132 ,
oppure il divieto di risiedere per un certo periodo nel comune in cui commise il reato o
in quello in cui risiedono i parenti della vittima.
Quale che sia la natura delle condizioni apposte ai provvedimenti di grazia, ad
ogni modo, la dottrina è unanime nel ritenere che “una volta che la condizione risulti
adempiuta il provvedimento risulterà operativo ad ogni effetto dalla data del decreto e
non da quella in cui si è verificata la condizione apposta allo stesso” 133 .
Viceversa, l’opposta ipotesi di avveramento della condizione risolutiva oppure
di inadempimento della condizione sospensiva, cui è parificato il caso di adempimento
oltre il termine fissato nel decreto134 , comporta la revoca della grazia 135 . Si procede ai
Cfr. ampiamente ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 182 ss.
Ritenuta oggigiorno maggioritaria in POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 231.
131
Con ordinanza 12 novembre 1987, n. 388, cit., in Giurisprudenza costituzionale, 1987, I, p. 2783 ss..,
la Corte costituzionale ha escluso l’incostituzionalità della citata condizione sospensiva. Il versamento di
una somma di denaro, infatti, non ha “carattere sanzionatorio nemmeno di natura amministrativa”, ma
rappresenta piuttosto un semplice onere imposto quale contributo per aver goduto dei benefici emessi da
un ente che garantisce “opere di solidarietà nell’ambito dell’amministrazione della giustizia penale”.
Condizione che, di conseguenza, risulta finalizzata anch’essa alla risocializzazione del condannato in
quanto evita “di fare della grazia un atto di pura e gratuita clemenza”.
132
Generalmente cinque anni in caso di condanna a pena detentiva temporanea e dieci anni in caso di
condanna all’ergastolo. Tale condizione risulta apposta indistintamente a tutti i decreti di grazia, eccezion
fatta per quelli concessi in riparazione di errori giudiziari.
133
Così CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e processuali), op. cit., p. 51. V. altresì POMANTI P., I
provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 232; ROTA F., Commento all’art. 174, in DOLCINI E. – MARINUCCI
G. (a cura di), p. 1565; TURLON F., Commento all’art. 174, in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALA’ G. (a
cura di), op. cit., p. 631, il quale aggiunge che, pertanto, “il termine per la riabilitazione decorre dalla data
del decreto di grazia, una volta adempiute le condizioni previste nel decreto stesso”. Sul punto la
giurisprudenza è risalente, v. Cass. S.U., 14 marzo 1959, Chiesa, in Giustizia penale, 1959, II, p. 983 ss.
134
Cfr. Cass., 25 novembre 1983, Barone, in Giustizia penale, 1984, II, p. 482 ss.
135
Pur se comunemente si parla di ‘revoca della grazia’, e tale perifrasi è contenuta letteralmente anche
nell’art. 674 ad essa dedicata, è da ritenersi che a poter essere revocato dal giudice dell’esecuzione è
solamente il provvedimento del pubblico ministero – generalmente in forma di decreto – mediante il
quale viene data applicazione alla grazia presidenziale. Sul punto cfr. PISANI M., Grazia e giustizia, op.
cit., p. 152 ss.
129
130
133
sensi dell’art. 674 c.p.p., il quale stabilisce la competenza del giudice dell’esecuzione
“qualora non sia stata disposta con la sentenza di condanna per un altro reato”. Una
volta che il provvedimento di revoca sia divenuto definitivo la grazia “si ha come mai
concessa” 136 , pertanto il soggetto condannato si troverà a dover espiare la pena, o la
parte di essa, a suo tempo condonata 137 , completa di misure di sicurezza e pene
accessorie eventualmente caducate per effetto del beneficio.
La grazia incondizionata, invece, in nessuna ipotesi risulta essere revocabile
stante la sua natura di provvedimento di clemenza con il quale lo Stato rinuncia
totalmente alla propria pretesa punitiva, in funzione dell’emenda del reo 138 .
Così CAMERINI G., voce Grazia (profili penali e processuali), op. cit., p. 52.
Vale a dire la pena condonata oppure quella in origine inflitta al posto di quella commutata. Si noti che
l’effetto ‘punitivo’ della revoca non risulta essere totale, dal momento che non può impedire che per la
stessa condanna venga successivamente accolta una seconda domanda/proposta di grazia. mancando in
materia di grazia una norma analoga all’art. 177 c.p. che vieta la riammissione alla liberazione
condizionale del condannato cui sia stato revocato il beneficio. Sottolinea CAMERINI G., op. cit., p. 52,
come tale eccezione si verifichi solamente a patto che “i motivi dell’inadempienza risultino
particolarmente apprezzabili ed escluso, per prassi consolidata, il caso di revoca per commissione di altro
reato”.
138
Considerato che “una volta che se ne sia fatto uso essa esaurisce la propria funzione” (CAMERINI G.,
op. cit., p. 52), ne deriva non solo che la grazia incondizionata una volta concessa non può più essere
revocata, ma altresì che, allo stesso, modo non può più essere revocata la grazia condizionata una volta
che la condizione risulti adempiuta.
136
137
134
CAPITOLO IV
L’IMPIEGO DEI PROVVEDIMENTI CLEMENZIALI: LA PRASSI ITALIANA
DAL SECONDO DOPOGUERRA AD OGGI
SOMMARIO: 1. Uso ed abuso dei provvedimenti di clemenza dall’entrata in vigore della
Costituzione ad oggi. – 2. La clemenza in dati e linee di tendenza. – 2.1 La clemenza
collettiva dal 1948 agli anni ’90. – 2.2 (Segue) dalla legge costituzionale 6 marzo 1992,
n°1, ad oggi. In particolare: obiettivi, cifre e risultati dell’indulto concesso con legge 31
luglio 2006, n. 241. – 2.3 L’utilizzo del beneficio della grazia. – 3. Clemenza e
recidivismo.
1. Uso ed abuso dei provvediment i di clemenza dall’entrata in vigore della
Costituzione ad oggi.
E’ stato a suo tempo affrontato e – diremmo – risolto, quantomeno a livello
dottrinale, l’annoso problema circa l’individuazione di un fondamento giustificativo
della clemenza individuale e collettiva1. Il ricorso, prima, ad una interpretazione
‘dinamica’ del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione2 e
l’evoluzione, poi, di detta teoria in senso ‘teleologicamente orientato’3, hanno
consentito di attribuire ad amnistia, indulto e grazia un ruolo ben definito
nell’ordinamento penale italiano, in qualità di strumenti che in circostanze ‘eccezionali
ed irripetibili’ consentono in ogni caso il rispetto del cardine di uguaglianza ed
intervengono, in via sussidiaria, laddove la commisurazione di una pena non risulti
idonea al raggiungimento dei fini primari perseguiti dal sistema penale.
Alla luce di tali canoni interpretativi, dunque, l’uso della clemenza certamente
1
V. supra cap. I, par. 1, 1.1, 1.2, e l’analisi in tal senso svolta dagli ivi citati Autori, con particolare
riguardo alle conclusioni tratte in argomento da Gustavo Zagrebelsky e, successivamente, da Gladio
Gemma. Teorie, lo ricordiamo, sviluppatesi in seguito all’abuso compiutosi nei primi decenni del periodo
repubblicano della scelta, operata in seno alla Assemblea costituente, di non espungere dall’ordinamento
penale italiano né l’istituto dell’amnistia né quello dell’indulto.
2
Cfr. il pensiero di G. Zagrebelsky, v. supra cap. I, par. 1.2, laddove l’Autore afferma che seguire il
principio di eguaglianza non significa “divieto di dettare norme di specie o norme di eccezione nei
confronti di categorie di interessati”, ma “divieto di dettare norme diverse per situazioni oggettivamente
eguali, con il corollario reciproco (...) che norme diverse siano dettate per situazioni oggettivamente e
ragionevolmente diverse”, le quali sussistono ogni qualvolta sia possibile articolare prognosi di
‘inopportunità’ e di ‘non ripetibilità’ (Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 83).
3
Ad opera del successivo studio di G. Gemma, v. supra cap. I, par. 1.2. In sintesi questa la tesi, altresì
detta ‘costruttivistica’, dell’Autore: i provvedimenti di clemenza devono non solo soddisfare la citata
caratteristica della ‘eccezionalità’ prospettata da Zagrebelsky, ma anche, e soprattutto, perseguire i
medesimi scopi della normativa generale derogata.
135
risulta non solo legittimo in riferimento all’apparato normativo e giudiziario, ma altresì
funzionale ad una ottimale efficienza dello stesso.
La prassi italiana del periodo repubblicano4, tuttavia, è risultata non limitarsi ad
un semplice impiego della clemenza, in quanto la concessione di provvedimenti con una
cadenza addirittura biennale 5 è stata da molti, teorici e pratici del diritto, definita più
propriamente un abuso di essa. In tale lasso di tempo è riscontrabile una prassi di
amnistie ed indulti che si svolge con regolarità quasi ciclica, sino a raggiungere una
cifra totale di ventitré provvedimenti6, ai quali vanno sommati l’indultino dell’anno
2003 ed il recente indulto datato luglio 20067.
4
Se non altro dal 1° gennaio 1948, data di entrata in vigore della Costituzione italiana, alla riforma
dell’art. 79 Cost. in essa compreso, avvenuta con l. cost. 1/1992.
5
Media calcolata da GUARDATA M., I provvedimenti di amnistia dal 1948 ad oggi, in LA GRECA G. (a
cura di), L’amnistia del 1990, op. cit., p. 55. Chi scrive ha scelto di conferire maggiore risalto a tale
computo, dal momento che risulta confermato altresì da MAIELLO V., La politica delle amnistie, in
VIOLANTE L. (a cura di), op. cit., p. 967. Differente il risultato che si può desumere dal contributo di
PULITANÒ D.: dal 1953 al 1990 un provvedimento in media ogni quattro anni, con punte minime di due
anni, e punte massime di sei (“Seduzioni” e costi della clemenza, in Diritto penale e processo, 2006, II, p.
1061). In posizione intermedia si colloca, invece, DEL RE M.C., Limiti costituzionali e di ragione ai
provvedimenti di amnistia, in Indice penale, 1986, p. 735, il quale conteggia un provvedimento ogni tre
anni, peccando, tuttavia, della mancata elencazione dei dovuti riferimenti normativi posti a sostegno di
tale calcolo.
Ad un esame posteriore, emerge come differenti siano i risultati di ciascuno, poiché differenti risultano
essere i parametri di valutazione adottati: nell’ultimo caso, si presume che l’Autore abbia computato
solamente i provvedimenti concessivi sia amnistia che indulto, concessi a decorrere dal 1948
(quattordici); nel secondo caso, verosimilmente, l’Autore ha sì considerato esclusivamente le ipotesi in
cui siano stati concessi congiuntamente amnistia e indulto, ma omettendo la cospicua clemenza concessa
anteriormente all’anno 1953, in quanto legata soprattutto allo status quo del dopoguerra; nel primo caso,
invece, sono stati aggiunti al cumulo dei provvedimenti emanati a partire dal 1948 e sino al 1990 anche
quelli che prevedevano esclusivamente l’indulto (tre) ovvero soltanto l’amnistia (quattro). Appare cosa di
poco conto, in realtà, giungere ad un risultato univoco, dal momento che, in ogni caso, risulta palese
l’eccessiva frequenza che ha connotato la prassi di clemenza sino all’inizio degli anni novanta.
6
La cifra che si legge in GUARDATA M., I provvedimenti di amnistia dal 1948 ad oggi, op. cit., p. 55, è in
realtà di 21 provvedimenti, ai quali sono però da aggiungere l’indulto concesso nel mese di dicembre
dell’anno 1990 – dunque posteriormente alla stampa di tale contributo – e l’amnistia concessa con d.P.R.
1 luglio 1980, n. 392, limitatamente ai reati previsti nei capi I, II, III e VII del titolo III del libro II del
c.p.m.p. commessi da militari. Diversamente BRIZIOLI A., Il codice degli atti di clemenza, Piacenza, 1982,
il quale fornisce un elenco più dettagliato, nel quale sono compresi anche i provvedimenti emanati ad
integrazione di precedenti decreti di amnistia ed indulto (ad esempio la legge 13 luglio 1948, n. 1100,
recante modificazioni al D.Lgs. 31 gennaio 1948, n. 109, concernente il condono di sopratasse e pene
pecuniarie in materia tributaria), ovvero ipotesi completamente nuove quale la L. 22 marzo 1951, n. 337,
condono di sanzioni per infrazioni alle leggi sul matrimonio dei militari. Analogamente ampio il catalogo
dei provvedimenti di clemenza concessi dal 1944 al 1992 stilato da BENUSSI C., Commento all’art. 151,
in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), op. cit., p. 1381, il quale, tuttavia, opera delle omissioni
rispetto al citato Codice, sulla base di non meglio identificati criteri.
7
Concessi successivamente alla modifica dell’art. 79 Cost., riforma voluta fortemente anche per smorzare
tale prassi di abuso (dal punto di vista della frequenza cui vi si è fatto ricorso) dei provvedimenti collettivi
di clemenza. Come si vedrà (v. infra, par. 2.2), l’innovazione ha dato in tal senso buoni frutti: due
provvedimenti in sedici anni, con una media, dunque, nettamente differente da quella appena indicata nel
testo. Questo il motivo per cui, al fine di parlare correttamente di ‘abuso’, il periodo storico cui gli Autori
fanno riferimento è propriamente quello che decorre dal 1° gennaio 1948 sino all’entrata in vigore della
136
Ad ogni modo, qualsiasi sia l’ammontare esatto da valutare, e nonostante il loro
utilizzo sia certamente diminuito rispetto al periodo monarchico8, la prassi di decreti
tanto frequenti è sempre apparsa discutibile, non potendo la dottrina sorvolare sul fatto
che le misure clemenziali costituiscono, né più né meno, una “rottura dell’uguaglianza
nella applicazione della legge” 9.
Analogo approccio di stampo quantitativo può essere utilizzato al fine di
analizzare l’esercizio del potere di clemenza individuale nel medesimo periodo storico.
Il mutamento dallo statuto alla Repubblica ha comportato un calo nella concessione
delle grazie con il passaggio da cifre del calibro di quattromila o cinquemila
concessioni, ad altre che, per quanto elevate, non hanno mai oltrepassato il limite delle
tremila 10. Nonostante il trend, negli anni, si sia dimostrato recessivo, si può comunque
sostenere che “l’ammontare (anche) ad alcune centinaia degli atti di grazia costituisce
pur sempre un superamento dei limiti entro cui deve contenersi la deroga alla legalità e
l’eccezionalità”11.
In misura direttamente proporzionale all’acuirsi delle critiche provenienti dal
pressoché unanime panorama giuridico e sociale, si è evoluta tutta una serie di
motivazioni e finalità12 poste a giustificazione dell’emanando provvedimento di turno, e
legge cost. n. 1/1992.
8
Nel periodo intercorrente tra il 1861 e il 1943 è stato calcolato che sono stati emanati oltre 220
provvedimenti di clemenza, v. PERSEO T., Il codice degli atti di clemenza, Piacenza, 1963, p. 137 ss.
Si discosta, seppure non di molto, la cifra che si legge in MELE V., I provvedimenti di generale clemenza
in Italia: dati storici e linee di tendenza, in AA. VV., Benefici di clemenza e il recidivismo, Roma, 1978, p.
14, il quale sostiene che ne siano stati emessi 58 tra il 1865 e il 1899, e 148 dal 1900 al 1943 (per un
totale di 206 provvedimenti). Un elenco dei benefici concessi dal 1862 al 1943 è pubblicato altresì in
appendice a CAMERINI G., Amnistia e indulto, op. cit.
9
Così PULITANÒ D., “Seduzioni” e costi della clemenza, op. cit., p. 1061. Parimenti, v. DEL RE M.C.,
Limiti costituzionali e di ragione ai provvedimenti di amnistia, p. 735, il quale denuncia il “frequente,
troppo frequente, ricorso a provvedimenti di amnistia”; MANTOVANI F., Diritto penale, op. cit., p. 803,
“nel nostro paese si è fatto e si continua a fare un grande abuso dell’amnistia e dell’indulto”;
MARZAGALLI C., I provvedimenti penali di clemenza, op. cit., p. 456, laddove afferma che “al contrario
dell’eccezionalità che dovrebbe contraddistinguere i provvedimenti clemenziali, in Italia si è fatto largo
ricorso ad amnistia e indulto per soddisfare svariate esigenze”; meno recentemente, ad evidenza del fatto
che tale situazione di disagio permane da lungo tempo, v. MANZINI V.: “l’esercizio della potestà di
clemenza, in tutte le sue forme, è stato in Italia troppo largo e frequente. Numerosissimi furono gli atti
d’amnistia-indulto, divenuti caro ricordo e dolce speranza d’ogni provetto malfattore italiano” (Trattato di
diritto penale, op. cit., p. 449).
10
V. ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 767, testo e nota 44.
11
Così GEMMA G., voce Clemenza, op. cit., p. 242. Per un maggiore approfondimento dell’argomento, v.
infra par. 2.3.
12
Come afferma MAZZACUVA N., L’uso della clemenza in materia penale e la “nuova” politica
criminale, op. cit., p. 475, sarebbe errato “assumere come termine di riferimento (...) un concetto unitario
di clemenza posto che essa acquista, invero, un significato diverso a seconda delle peculiari circostanze in
cui viene impiegata”: si tratta della cosiddetta ‘polivalenza’ caratterizzante l’istituto dell’amnistia, e
137
di volta in volta illustrate nella debita Relazione di accompagnamento.
Storicamente, la clemenza è anzitutto intervenuta quale forma di pacificazione13
sociale, vale a dire quale “valido strumento di pacificazione, di ricomposizione della
società”, in seguito a periodi di “eccezionali conflitti politico-sociali”14. In una tale
eventualità, infatti, la clemenza interverrebbe quale conclusione di un momento storico
nel corso del quale le violazioni della legge penale sono state talmente numerose, ma
soprattutto fomentate da un anomalo contesto, da rendere ovvio come “non è con
punizioni di massa che può ripristinarsi e farsi accettare un ordine civile”15.
Le prime concessioni di clemenza rispondenti a tale tipologia risalgono al
ventennio fascista16. Emblematico risulta essere il regio decreto n. 1641 del 22 dicembre
1922, mediante il quale viene concessa clemenza per i reati commessi per un ‘fine
nazionale’, finanche nelle ipotesi in cui tale scopo concorra con altri di carattere
personale17. Tale episodio assurge ad esempio paradigmatico di “uso fazioso del potere
di clemenza”, il cui carattere spiccatamente discriminatorio risiede nella “marcata
selettività politico-ideologica”18 del criterio prescelto.
dell’indulto con essa.
13
In tema di amnistia pacificatrice, interessante è la ricostruzione di essa operata da QUARITSCH H.,
Giustizia politica, Milano, 1995. Dal XVI al XVIII secolo, la pace dopo la guerra veniva ottenuta a partire
dalla applicazione della massima “in amnesia consistit substantia pacis”. Successivamente, con
l’affermarsi sulla scena sociale della figura del common man, non solo come elettore ma anche come
membro attivo di quella che oggi viene definita ‘opinione pubblica’ (e della quale oggigiorno ben si
conoscono le potenzialità), ogni “conflitto di fini non può più essere riconosciuto e risolto solo nelle
stanze di governo” (p. 96). Nel 1919, con i Trattati di Versailles, la clausola di amnistia viene
definitivamente “relegata nel limbo della storia del diritto”, finché, nel 1949, le quattro convenzioni di
Ginevra sottraggono formalmente agli stati che abbiano partecipato ad una guerra persino la possibilità
giuridica di amnistiare i crimini di guerra e contro l’umanità. In realtà, prosegue l’Autore, “nelle guerre
verificatesi a partire dal 1949 le convenzioni sono state spesso violate in maniera grave, mentre solo di
rado e poco severamente si sono puniti i colpevoli di tali violazioni” (p. 97).
14
Cfr. il fondamentale contributo di PULITANÒ D., Il significato della clemenza, op. cit., p. 109. Sulla
funzione pacificatrice della clemenza vedi anche MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit., p. 406, a
parere del quale la amnistia è “un utile espediente di pacificazione e di concordia pubblica”.
15
Ancora PULITANÒ D., op. cit., p. 109. Sul punto v. altresì MAZZACUVA N., L’uso della clemenza in
materia penale e la “nuova” politica criminale, op. cit., p. 476, il quale ritiene doveroso distinguere,
allorché considera la clemenza in funzione di pacificazione sociale, “se essa interviene a seguito di un
periodo di lotte sociali che hanno determinato un mutamento nell’assetto politico-economico di uno Stato
o se interviene a seguito di un periodo di conflitti sociali che non determinano alcun mutamento
sostanziale nell’assetto politico preesistente”. Nel primo caso la clemenza risulta diretta a “suscitare il
consenso dei cittadini verso il nuovo sistema politico”, nella seconda ipotesi, invece, viene impiegata “al
fine di riorganizzare il consenso dei ‘governati’ verso quella stessa gerarchia di valori che le lotte sociali
avevano posto in discussione”.
16
Approfondiscono l’argomento MAIELLO V., La politica delle amnistie, in VIOLANTE L. (a cura di), op.
cit., p. 960 ss.; MAZZACUVA N., Il diritto penale come strumento di pacificazione e di risoluzione del
conflitto sociale, op. cit., p. 20 ss.
17
All’art. 1 veniva ammesso il concorso, purché non prevalente, di motivi personali.
18
Così MAIELLO V., La politica delle amnistie, in VIOLANTE L. (a cura di), op. cit., p. 961.
138
Ugualmente contestabili appaiono essere le prime amnistie ‘partigiane’ concesse
nel periodo immediatamente successivo alla conclusione del secondo conflitto bellico
mondiale. Il perdono concesso nell’aprile 1944 e nel novembre 1945, infatti, concerne
esclusivamente i reati commessi “al fine di liberare la Patria dall’occupazione tedesca,
ovvero di ridare al popolo italiano le libertà soppresse e conculcate dal regime fascista o
per difendersi dalle persecuzioni del fascismo o per sottrarsi ad esse”. Diversamente
accade in occasione del decreto emanato nel giugno 1946, noto come ‘amnistia
Togliatti’, il quale ha ad oggetto delitti politici a prescindere dalla finalità ‘antifascista’
dell’Autore, in conformità con la constatazione, valida super partes, che “con la guerra
si verifica la sostanziale eclissi di una fondamentale condizione di validità del ‘patto
sociale’, cioè una situazione di pace collettiva, a sua volta costituente un ‘a priori’ per il
funzionamento di un ‘diritto penale normale’”, a prescindere dalla quale non
risulterebbe possibile l’operare di un diritto penale privo della propria basilare fonte di
legittimazione19.
A distanza di alcuni decenni il paradigma della ‘amnistia come pacificazione’ è
stato impiegato per legittimare altri due provvedimenti di clemenza collettiva che, al
pari dei loro citati illustri antesignani, risultano “fondati sull’eccezionalità della
situazione che ha dato luogo all’applicazione delle norme incriminatrici cu cui opera
l’estinzione”20. Si ricordano in tal modo i provvedimenti concessivi di amnistia e di
indulto emanati negli anni 1968 e 1970, rispettivamente collegati alla protesta
studentesca ed operaia ed alle manifestazioni sindacali del cosiddetto ‘autunno caldo’.
Circostanze, queste, ritenute dal legislatore non destinate a durare nel tempo né
tantomeno a ripetersi con una frequenza non consona alla prescritta ‘eccezionalità’21,
19
Opportuna osservazione svolta da MAIELLO V., La politica delle amnistie, in VIOLANTE L. (a cura di),
op. cit., p. 963, ed adeguatamente citata da MAZZACUVA N., Il diritto penale come strumento di
pacificazione e di risoluzione del conflitto sociale, op. cit., p. 23. Come sottolinea DEL RE M.C., Limiti
costituzionali e di ragione ai provvedimenti di amnistia, op. cit., p. 736, questa amnistia risponde
compiutamente al desiderio di pacificazione della popolazione, in quanto espressione della volontà di
“oblio dei fatti e dei misfatti di guerra”.
20
In tali termini indicate da PALAZZO F., Tempo d’amnistia, in Diritto penale e processo, 2000, VII, p.
797.
21
Precisa MAIELLO V., La politica delle amnistie, in VIOLANTE L. (a cura di), op. cit., p. 973, come i citati
provvedimenti diano “risposte ad esigenze ‘non seriali’”. Sul punto anche MAZZACUVA N., L’uso della
clemenza in materia penale e la “nuova” politica criminale, op. cit., p. 486, che classifica quale sottotipo
del genere di clemenza appena descritto i provvedimenti che impediscano o interrompano l’irrogazione di
una sanzione penale qualora “per i più diversi motivi, il trattamento sanzionatorio astrattamente previsto
non risulti più (...) adeguato al concreto disvalore dei fatti commessi”, il che può verificarsi, come
specifica ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 20, “per certi reati commessi in
139
pertanto non ritenute sufficienti al fine di consentire un legittimo ricorso all’istituto
dell’abrogazione, “poiché la situazione che ha determinato i difetti della legislazione
penale vigente si rivela del tutto contingente e mal si provvederebbe, pertanto, con una
modifica definitiva del sistema normativo”22.
Una seconda tipologia di clemenza è quella dei provvedimenti celebrativi,
caratterizzati dalla finalità di “recar beneficio ai cittadini in occasione di fausti
avvenimenti o di particolari ricorrenze”23, così provenendo la legittimazione alla scelta
di concedere clemenza generale, ancora una volta, dall’esterno del diritto penale24.
Alcuni decreti, infatti, sono stati posti in relazione con accadimenti straordinari e di
assunta importanza sociale, occasioni “tutte ‘onorate’ con la concessione di amnistie e
indulti”25, ma che, per contro, ben poca attinenza possono avere con la sfera della
politica criminale, tanto in funzione di accadimenti ‘criminogeni’ quanto, all’opposto, di
circostanze in grado di ridurre la spinta alla commissione dei reati. E’ questo il caso dei
provvedimenti del 1959, del 1963, del 1966 e del 1970, ciascuno dei quali è sorretto da
situazioni di emergenza, come ad esempio calamità naturali, tensioni sociali o crisi economiche”.
22
Cfr. MAZZACUVA N., L’uso della clemenza in materia penale e la “nuova” politica criminale, op. cit.,
p. 487. Quale esempio si veda, ancora, il decreto 1084/1968, applicabile non solamente a reati connessi ad
accadimenti politico-sociali ma anche ad una calamità naturale: il crollo della diga del Vajont.
23
Così MAZZACUVA N., L’uso della clemenza in materia penale e la “nuova” politica criminale, op. cit.,
p. 489, ed ivi, nota 33, la citazione di CAVALLO V., Diritto penale, Napoli, 1955, p. 925, il quale si
esprime in questi termini: “altre volte (l’amnistia) è emanata in occasione di fausti eventi nazionali per far
partecipare ad essi anche i traviati che hanno compiuto reati”.
24
Con ciò disattendendo quanto stabilito dalla Corte costituzionale con sentenza 369/1988, cit., v. supra
cap. I, par. 2, ai sensi della quale perché il potere di clemenza generale sia legittimo deve essere esercitato
in modo coerente e coordinato coi fini della pena, in altre parole trovando la sua giustificazione
all’interno del sistema punitivo. Sull’argomento v. l’analisi svolta da PALAZZO F., Tempo d’amnistia, op.
cit., p. 797 ss. Appare utile ricordare almeno sinteticamente, a tale stadio del nostro discorso, il percorso
giurisprudenziale della Consulta in tema di limiti e controlli all’esercizio della potestà di clemenza
(esaminato supra cap. I, par. 2). La Corte ha avuto occasione più volte di affermare che, quali che siano
gli inconvenienti dei provvedimenti di clemenza, essi non possono considerarsi in contrasto con la
Costituzione, nella quale sono previsti (sent. n. 171/1963 e n. 175/1971); in secondo luogo, considerata
tale previsione esplicita, ha ritenuto che il controllo operato dall’organo di vigilanza costituzionale non
possa entrare nel merito, dal momento che “una indagine volta a sindacare l’ampiezza dell’uso fatto dal
Parlamento della sua discrezionalità in materia eccederebbe i limiti entro cui deve rimanere racchiuso il
sindacato della mera legittimità della legge ad essa assegnato. Infatti, il sindacato non potrebbe operarsi se
non con il ricorso ad accertamenti assai più penetranti di quelli consentiti” (sent. n. 175/1971). La Corte,
tuttavia, ha varie volte sottolineato il carattere eccezionale che deve possedere ogni atto di clemenza, e la
conseguente esigenza di contenere nei più ristretti limiti l’esercizio della relativa potestà conferita dall’art.
79 Cost. (ad esempio sent. n. 32/1976). In breve, “la Corte constata ‘l’eccessiva frequenza’ del
provvedimento, ma afferma che l’uso del potere di indulgenza è un fatto politico e, in quanto tale,
riservato ad una valutazione di opportunità nella quale rientrano elementi non sindacabili dalla Corte
medesima, perché esigerebbero una autentica supplenza nel potere di compiere le scelte di politica
sociale” (così DEL RE M.C., Limiti costituzionali e di ragione ai provvedimenti di amnistia, op. cit., p.
738).
25
Cfr. MAIELLO V., La politica delle amnistie, in VIOLANTE L. (a cura di), op. cit., p. 960.
140
giustificazioni anche celebrative: contengono il richiamo, rispettivamente, al
quarantesimo anniversario di Vittorio Veneto, allo svolgimento del Concilio Vaticano
II, al ventesimo anniversario della Repubblica, nonché alla ricorrenza del
venticinquennale della Liberazione e del centenario di Roma capitale d’Italia26.
La palese inconsistenza di tali motivazioni è stata regolarmente commentata e
criticata da qualsiasi Autore abbia scritto in materia. Punto centrale del fronte di
denuncia risulta essere la definizione della clemenza come mistificazione27, dalla cui
mannaia paiono sfuggire solamente i provvedimenti ‘pacificatori’ del dopoguerra28 ed
un unico altro episodio: l’amnistia concessa nel 1990 al dichiarato fine di ridurre il
carico di pendenze processuali in occasione dell’entrata in vigore del nuovo codice di
procedura penale29. Clemenza, dunque, come sinonimo di raggiro e di falsificazione
delle reali motivazioni poste a fondamento della decisione di concedere i benefici:
alleggerimento della macchina giudiziaria, sfoltimento delle carceri sovraffollate,
posticipazione di riforme del codice penale ormai indubbiamente necessarie30. E’
innegabile la portata sminuente di un tale giudizio, a seguito del quale la clemenza
appare come “un palliativo per i casi più urgenti, non certo una soluzione”31, oppure
26
Origini storiche anche per questa tipologia di clemenza, che conosce precedenti in epoca monarchica
ma soprattutto nel corso del ventennio fascista. Evidente la natura celebrativa di avvenimenti quali “il
venticinquesimo anniversario del regno di Vittorio Emanuele II, le nozze del principe di Piemonte, il
primo decennale del regime fascista (...), e i quattro ‘lieti eventi’ di casa Savoia” (sul punto v. MAIELLO
V., La politica delle amnistie, in VIOLANTE L. (a cura di), op. cit., p. 960).
27
Così PULITANÒ D., Il significato della clemenza, op. cit., p. 111 ss.
28
Criticabili, invece, i decreti del 1968 e del 1970, dal momento che i conflitti sindacali, per quanto duri e
destabilizzanti, non hanno certamente avuto una forza tale da distruggere la sicurezza sociale del paese, a
differenza di un conflitto bellico di estensione mondiale, e, soprattutto, siano suscettibili di ripetersi in
futuro.
29
V. ad esempio MAIELLO V., La politica delle amnistie, in VIOLANTE L. (a cura di), op. cit., p. 974. Lo
scopo perseguito non risulta essere quello, semplicistico, della non applicazione del diritto penale vigente,
quanto quello di “abbattere soprattutto il numero dei procedimenti pendenti negli uffici di pretura, in
considerazione del fatto che, a seguito dell’ampliamento della competenza, saranno proprio questi ultimi
a sostenere il peso maggiore del nuovo processo” (cfr. LA GRECA G. (a cura di), L’amnistia del 1990, op.
cit., p. 127 ss, in cui sono pubblicati il testo ed i lavori preparatori del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75). In
argomento, v. altresì FLORA G., I recenti provvedimenti di amnistia e indulto: la prospettiva strumentale
ed i condizionamenti politico-criminali, in Legislazione penale, 1991, p. 185 ss., il quale individua due
necessità sottese all’emanazione di tale amnistia: consentire una maggiore concentrazione degli uffici
giudiziari sui processi da svolgersi col nuovo rito, ed evitare un troppo lungo perpetuarsi della convivenza
di due diverse procedure, spesso comportante l’attribuzione allo stesso magistrato di due diverse funzioni
(es. giudice istruttore e g.i.p.).
30
Cfr. CHIAVARIO M., Premessa al commento del D.P.R. 18/12/1981. Concessione di amnistia e di
indulto, in Legislazione penale, 1982, p. 141, il quale sostiene che l’uso della clemenza sia “uno
strumento surrogatorio, al fine di conseguire, in definitiva, quello stesso obiettivo che non si riesce a
raggiungere per la via normale e diretta”; GUARDATA M., I provvedimenti di amnistia dal 1948 ad oggi,
in LA GRECA G. (a cura di), L’amnistia del 1990, op. cit., p. 62.
31
Ancora PULITANÒ D., Il significato della clemenza, op. cit., p. 111.
141
come espressione della “cattiva coscienza del legislatore”32, ed infine risulta essere il
“riconoscimento ufficiale, addirittura normativo, che allo stato né gli uffici giudiziari né
le istituzioni penitenziarie sono in grado di tenere testa ai loro compiti: per mantenerli in
grado di funzionare, occorre ogni tanto interrompere il ciclo, con i noti effetti di
discriminazione e di sfiducia”33. Ulteriore corollario è la confessione implicita
dell’inadeguatezza della vigente legislazione: se successivamente ad eccezionali
vicende, oppure in occasione di solenni anniversari, “può presentarsi come appropriata
una particolare clemenza piuttosto che la normale giustizia”, allora si può
legittimamente desumere che “c’è un problema di leggi superate”34.
La frequenza con cui sono stati emanati tali provvedimenti, a parere di unanime
dottrina, è la causa diretta di altri mali che affliggono, o quantomeno hanno afflitto, la
nostra società.
In primo luogo, la sempiterna questione della discriminazione tra soggetti che
delinquono a ridosso della concessione di qualsivoglia clemenza, determinato dalla
necessaria fissazione di un limite temporale oltre il quale il beneficio non possa più
essere applicato35, risulta moltiplicato in proporzione al numero di provvedimenti
concessi, dato che è, questa, una problematica destinata a ripetersi contestualmente ad
ogni concessione36. La paventata violazione del sommo principio sancito all’art. 3 della
Costituzione, tuttavia, sebbene puntualmente contestata, non è mai stata accertata
32
Espressione coniata da MAIELLO V., La politica delle amnistie, in VIOLANTE L. (a cura di), op. cit., p.
967.
33
Cfr. PULITANÒ D., Il significato della clemenza, op. cit., p. 113.
34
Ibidem p. 111. L’Autore approfondisce adeguatamente l’argomento, con ciò confermando la ritenuta
centralità del proprio contributo all’interno del filone critico dottrinale. Pertanto, per i dovuti dettagli
dell’analisi ivi condotta si rimanda al citato scritto, limitandoci in questa sede ad una ultima citazione in
grado di sintetizzare il punto fondamentale della discussione: “In breve, il mantenimento di ‘questa’
giustizia, con la sua attuale organizzazione e i suoi fini attuali, non sarebbe possibile se non a prezzo della
sua periodica negazione. Se questa prospettiva è esatta, la periodica ‘clemenza’ si rivela, in tutta la sua
estensione, come copertura e surroga di mancate riforme: quelle riforme, appunto, che dovrebbero
consentire alla giustizia penale di adempiere regolarmente alla sua funzione” (p. 113).
35
Si considera invece superata, a tale punto della nostra analisi, la critica fondata su una ulteriore presunta
violazione dell’art. 3 Cost: la clemenza sarebbe da abolire in quanto ‘parziale’, dal momento che si
rivolge solamente a coloro che siano responsabili di un fatto costituente reato, “ad evidente discapito,
quindi, dei cittadini più meritevoli che, non avendo commesso alcun illecito penale, non godono dei
benefici concessi” (così MAZZACUVA N., L’uso della clemenza in materia penale e la “nuova” politica
criminale, op. cit., p. 482). Il riferimento corre all’opera di VITALE N., Contro l’amnistia, op. cit., p. 1055,
che intervenne nella vivace polemica sulla clemenza sorta anteriormente alla stesura della attuale Carta
costituzionale, v. supra cap. I, p. 1.1.
36
Come afferma PULITANÒ D., Il significato della clemenza, op. cit., p. 111, “la rottura dell’uguaglianza
non è più rimedio eccezionale per emergenze eccezionali, ma diviene quasi prevedibile nei suoi ricorsi”.
142
giudizialmente, in ossequio alla scelta di ‘non ingerenza’ operata dalla Corte stessa37.
In diretta relazione a quella appena esposta, si pone un’altra conseguenza
dell’abuso di clemenza: “un artificioso prolungamento dei processi penali in attesa del
(prevedibile) arrivo del provvedimento clemenziale”, realizzato ad opera di avvocati
comprensibilmente alla ricerca della soluzione più favorevole per il proprio assistito38.
Inoltre, ed è questa una denuncia non da poco, si lamenta spesso che una tale
proliferazione integri un “arretramento nella politica della legalità”39, che si manifesta
sotto duplice forma: da un lato lo svilimento dell’autorità dello Stato, dall’altro, su un
versante più propriamente penalistico, la squalificazione dell’intero sistema punitivo.
Come dedotto già da Cesare Beccaria, del resto, “la certezza di un castigo benché
moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più
terribile, unito colla speranza della impunità”40, tanto che, certamente, nella
ponderazione rischi-benefici effettuata prima di delinquere troverà luogo anche la
constatazione dell’avvenuto “dissolvimento degli assi portanti una politica criminale
avente funzione orientativa della condotta sociale, vale a dire i requisiti della coerenza e
della stabilità delle scelte sanzionatorie e, di conseguenza, il principio della
(tendenziale) certezza della pena”41.
A ciò si aggiungano la puntuale vanificazione del lavoro delle forze dell’ordine e
della magistratura, comprensibilmente disorientate qualora si cominci a parlare di una
probabile amnistia, “che promette di gettare nel nulla questo lavoro”42, ma soprattutto
37
V. supra questo paragrafo, testo e nota 24. Per tutte, v. sentenza n. 175/1971, cit.
Si precisa come tale constatazione sia assolutamente priva di qualsiasi critica nei confronti della citata
figura professionale, la cui condotta risulta necessitata, d’altronde, dalla concreta efficacia difensiva
prescritta dalla deontologia. In tema di aspettative che si creano puntualmente intorno alla ciclica riconcessione di amnistie ed indulti, v. MANTOVANI F., Diritto penale, op. cit., p. 803; FIANDANCA G. –
MUSCO E., Diritto penale, op. cit., p. 775; ampiamente, ed in posizione meno neutrale, v. DEL RE M.C.,
Limiti costituzionali e di ragione ai provvedimenti di amnistia, op. cit., p. 744, il quale prosegue: “Così, il
compito dialettico di antitesi e controllo in cui si sostanzia la collaborazione alla giustizia dell’avvocato,
si snatura, diventa la caccia all’amnistia. E i mezzi sono quelli che tutti sanno: rinvii, impugnative tirate
per i capelli ed altre utilizzazioni improprie dei meccanismi processuali”.
39
Così PULITANÒ D., “Seduzioni” e costi della clemenza, op. cit., p. 1063. Senza mezze misure anche il
commento di KOSTORIS S., Amnistia e indulto, op. cit., p. 18, il quale definisce la prassi italiana in materia
di clemenza una “ricorrente declaratoria di bancarotta della giustizia penale”.
40
BECCARIA C., in VENTURI F. (a cura di), Dei delitti e delle pene, op. cit., p. 20.
41
Cfr. MAIELLO V., La politica delle amnistie, in VIOLANTE L. (a cura di), op. cit., p. 970.
Sull’argomento, del medesimo Autore, v. altresì La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit.,
p. 1083.
42
V. DEL RE M.C., Limiti costituzionali e di ragione ai provvedimenti di amnistia, op. cit., p. 744, il quale
analizza la posizione tanto di polizia quanto di giudici penali e magistrati. L’Autore difende a chiare
lettere la scelta, operata soprattutto in magistratura, di ‘accumulare i fascicoli’ in attesa che giunga la
preannunciata amnistia: “E non è pigrizia della burocrazia. E’ effetto naturale della ingiustizia del
38
143
l’ostacolo in tal modo opposto ad una “razionale e civile riforma della legislazione
penale” 43, in quanto l’uso della clemenza “nasce dal mantenimento di una legislazione
penale severa e superata e dalla disapplicazione di essa”44.
Altra faccia del constatato ‘calo di autorevolezza’ degli organi statali deputati
alla produzione ed alla applicazione della legislazione in materia penale, risulta essere
un affievolimento della ‘fiducia istituzionale’, e con esso il diffondersi di un sentimento
di ‘insicurezza sociale’, basato sul riscontro che la “serietà della promessa di punire (...)
non può dirsi sussistente ove il sistema affianchi all’opzione incriminatrice la previsione
di una sospensione temporanea e retroattiva della medesima, il cui avverarsi sia legato a
decisioni vuote di considerazioni politico-criminali”45.
Sommando questa nuova percezione dell’efficacia dell’ordinamento penale
italiano all’inevitabile effetto dell’aumento del numero dei delinquenti in libertà, si
ottiene l’ultimo, e certamente il più ‘scottante’, problema posto dalla prassi in materia di
clemenza: amnistia ed indulto vengono puntualmente accusati di possedere effetti
criminogeni46. Sennonché, appare utile una distinzione tra due aspetti del medesimo
problema: la preoccupazione di chi afferma che proprio l’aspettativa di clemenza possa
avere effetti ‘criminogeni’, piuttosto che l’avvenuta concessione47, e la paura del
recidivismo, vale a dire il timore che colui che abbia già commesso reato torni a
provvedimento, che rende inutile tutta la preziosa attività preparatoria e di collaborazione al giudizio, dei
cancellieri e degli altri coadiutori della giustizia”.
43
Cfr. GEMMA G., Amnistia e indulto: revisione costituzionale o nuova giurisprudenza, op. cit., p. 646.
44
Ibidem. V. altresì il paragrafo dedicato alla ‘clemenza come mistificazione’ in PULITANÒ D., Il
significato della clemenza, op. cit., p. 111 ss.
45
Così MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1083.
46
Vedasi, al riguardo, GEMMA G., Amnistia e indulto: revisione costituzionale o nuova giurisprudenza,
op. cit., p. 646. L’Autore sostiene che la concessione di indulto generi necessariamente una pluralità di
effetti negativi, primo tra i quali una espansione della criminalità. Ciò sulla base della legittima
presunzione che “la minore efficacia della legge penale (e non solamente di questa) sia avvertita, più o
meno consciamente, e che il freno costituito dal timore (più o meno consapevole) della stessa sia
allentato”. In secondo luogo, l’assunto aumento di criminalità “dà comunque origine, per reazione, ad un
bisogno e ad una domanda di autoritarismo, di governanti provvidenziali che diano al popolo quella
sicurezza che dà il padre al figlio. Quindi la clemenza non solo è fonte di criminalità, ma soprattutto di
autoritarismo e di instabilità democratica”.
47
In tal senso PULITANÒ D., Il significato della clemenza, op. cit., p. 111. Effetti devianti che si
producono, dunque, non solo nei confronti dei soggetti liberati in occasione del provvedimento, ma
anche, ed è questo il dato di maggiore allarme, nei confronti dei comuni cittadini il cui senso di legalità
viene gradualmente frantumato dalla ciclicità della prassi di clemenza. Si veda inoltre l’interessante
posizione di MAZZACUVA N., L’uso della clemenza in materia penale e la “nuova” politica criminale, op.
cit., p. 483, il quale, sposando l’opinione dell’Autore appena citato, afferma che “quando ci si trova di
fronte a leggi penali comunemente ritenute superate, non è tanto la clemenza che ha effetti criminogeni,
quanto – a ben vedere – il sistema normativo vigente”.
144
delinquere una volta libero48. Prescindendo ora da una verifica fattuale di tali ipotesi,
risulta essere quest’ultima quella alla quale viene solitamente conferito maggiore peso,
inizialmente
in
seno
all’opinione
pubblica49.
Partendo
dalla
considerazione
fondamentale per la quale, attualmente, alla pena viene riconosciuta una importante
funzione preventiva, generale e speciale, in quanto ex art. 27 Cost. l’esecuzione della
sanzione deve tendere alla rieducazione del condannato, una scarcerazione anticipata
(ovvero la totale mancanza di essa) comporta l’inevitabile interruzione del percorso
risocializzante del reo50.
Non si dimentichi inoltre che il continuo ricorso alla clemenza, fuori dei casi
eccezionali, porta ineluttabilmente con sé una eccessiva e mortificante violazione della
tutela della vittima del reato, altrimenti accettata dall’ordinamento in vista di circostanze
oggettivamente straordinarie. Una posizione che viene notevolmente scalfita non
solamente su un piano umano, ma anche su quello processualpenalistico, dal momento
che la prova dell’eventuale colpa dell’imputato risulta ora rimessa al giudizio civile, con
tutto ciò che questo comporta, soprattutto in tema di differenti oneri processuali.
2. La clemenza in dati e linee di tendenza.
L’obiettivo di tale paragrafo vuole essere quello di analizzare i provvedimenti
concessi a decorrere dalla data di entrata in vigore della Costituzione sino alla sua
modifica intervenuta nell’anno 1992, e da tale data sino all’indulto concesso con legge
31 luglio 2006, n. 241, al fine di individuare – qualora sussistente – una sorta di linea di
tendenza conformemente alla quale si sia dispiegato l’utilizzo della clemenza
48
V. MAIELLO V., La clemenza tra dommatica e politica criminale, op. cit., p. 1084; nonché La politica
delle amnistie, in VIOLANTE L. (a cura di), op. cit., p. 971; ed altresì MARZAGALLI C., I provvedimenti
penali di clemenza, op. cit., p. 456. Tematica meritevole di trattazione autonoma, stante la rilevanza che
generalmente assume nei dibattiti circa l’opportunità di nuove concessioni, e considerato il peso in tal
senso rivestito dall’opinione pubblica. Pertanto, v. infra par. 3.
49
Si pensi alla influenza posseduta in questo campo dai media. Sull’argomento, si veda quale esempio
quanto verificatosi in occasione della concessione dell’ultimo indulto, v. infra, par. 2.2.
50
Senza contare poi che, come sostiene DEL RE M.C., Limiti costituzionali e di ragione ai provvedimenti
di amnistia, op. cit., p. 740, l’amnistia “non solo riduce l’efficacia intimidatoria, ma (...) esclude ogni
senso rieducativo nella pena, perché – se si può rinunziare ad essa – il valore rieducativo non è ad essa
connaturale”. Sul punto v. altresì PONTI G., Compendio di criminologia, Milano, 1999, p. 567, a parere
del quale è possibile notare “uno stridente contrasto tra una concezione della pena cui è attribuita una
prioritaria, e quasi esclusiva, finalità rieducativa e fra una prassi giudiziaria indulgenzialistica e la realtà:
oggi dominata dalla sempre maggiore invadenza della criminalità”.
145
collettiva51.
Successivamente, procedere con un esame delle concessioni di clemenza
individuale allo scopo, similare, di valutare l’esistenza di eventuali direttrici evolutive
ovvero di connessioni con l’emanazione di amnistie ed indulti.
2.1 La clemenza collettiva dal 1948 agli anni ’90.
A tale fine, consideriamo diciotto tra i provvedimenti di clemenza collettiva
concessi in questo lasso di tempo52.
Tra questi, i primi sei – emanati nel giro di soli due anni: 1948 e 194953 –
risultano dotati di una innegabile matrice storica, una motivazione pacificatrice, resa
nota dalle Relazioni parlamentari che li accompagnano. Quale conseguenza, l’ambito
oggettivo di tali amnistie ed indulti risulta circoscritto a tipologie di reati il cui numero
di commissioni comprensibilmente lievita in periodi storici caratterizzati da profondi
conflitti, non solo bellici ma anche sociali. Pertanto, si concede clemenza per reati
annonari54 ed in materia di consumi, ammassi e contingentamenti55, elettorali e
politici56, ed in materia di detenzione abusiva di armi57.
Considerata la ristrettezza oggettiva di questi decreti, nonché l’unicità della
motivazione che ha portato alla loro emanazione, essi difficilmente potrebbero fornire
un valido contributo all’interno di una analisi comparativa. Pertanto, la nostra indagine
verterà esclusivamente sui benefici concessi negli anni successivi.
51
Quale spunto e modello per la realizzazione di tale intento, si veda l’analisi condotta in materia di
amnistia da parte di GUARDATA M., I provvedimenti di amnistia dal 1948 ad oggi, in LA GRECA G. (a
cura di), L’amnistia del 1990, op. cit., p. 60 ss.
52
Questi i criteri che consentono di giungere ad una tale cifra: sono stati inclusi tanto i provvedimenti
concessivi congiuntamente amnistia ed indulto, quanto le sole amnistie ed i soli indulti; esclusi dal
computo sono invece i condoni in materia finanziaria (d.P.R. 28 febbraio 1948, n. 511; d.P.R. 22
dicembre 1973, n. 834) e tributaria (d.lg. 31 gennaio 1948, n. 109; d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525; d.P.R. 22
febbraio 1983, n. 43), nonché l’integrazione dell’amnistia concessa con d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75
(d.P.R. 24 luglio 1990, n. 203) e la liberazione condizionale dei condannati per reati politici concessa con
legge 18 dicembre 1953, n. 921, le quali non erano comunque comprese nell’iniziale computo di 23
provvedimenti totali prospettato ad inizio capitolo (v. supra par. 1).
53
Si tratta dei d.P.R. 9 febbraio 1948, n. 32 (amnistia e indulto); d.P.R. 14 aprile 1948, n. 511 (indulto);
d.P.R. 27 dicembre 1948, n. 1464 (amnistia e indulto); d.P.R. 26 agosto 1949, n. 602 (amnistia e indulto);
d.P.R. 23 dicembre 1949, n. 929 (amnistia e indulto); d.P.R. 23 dicembre 930 (indulto).
54
Così d.P.R. 32/1948 e d.P.R. 929/1949.
55
D.P.R. 929/1949.
56
Ad esempio d.P.R. 32/1948 oppure d.P.R. 602/1949.
57
D.P.R. 1464/1948.
146
A partire dall’anno 1953 la struttura dei provvedimenti cambia da ‘particolare’58
a ‘generale’, forma peraltro impiegata costantemente59 sino ad oggi. Il beneficio si
applica in via generale a tutti i reati60 non espressamente esclusi e – per quanto concerne
l’amnistia – puniti con pena pecuniaria e/o con pena detentiva il cui massimo edittale
non superi il limite indicato nel decreto.
Un secondo spunto di analisi viene offerto proprio dal tetto massimo di pena
detentiva previsto quale condicio sine qua non per la concessione di amnistia. Il d.P.R.
18 dicembre 1953, n. 921, fissando detto limite in quattro anni di reclusione, stabilisce
un tetto molto ampio che sarà eguagliato solamente dall’ultimo provvedimento
emanato, vale a dire il decreto datato 12 aprile 199061, e superato in due sole occasioni:
d.P.R. 1084/1968 e d.P.R. 283/1970 che concedono amnistia per reati punibili con pena
detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione62. Nel mezzo, invece, si
collocano sei amnistie che lo individuano costantemente in tre anni: 1959, 1963, 1966,
1978, 1981, 198663.
58
Provvedimenti di carattere non generale, vale a dire dispieganti effetti solamente su nominate categorie
di reati, e non sulla generalità di essi (pur considerate le dovute esclusioni di carattere oggettivo).
59
Ad eccezione del d.P.R. 392/1980 che concede amnistia limitatamente ai reati previsti nei capi I, II, III
e VII del titolo III del libro II del c.p.m.p. commessi da militari.
60
Disciplina particolare per i reati tributari e finanziari, ai quali sono spesso dedicati interi provvedimenti
separati, tanto che tradizionalmente “l’oggetto dei provvedimenti che si definiscono ‘generali’ è in realtà
ristretto ai reati ‘non finanziari’”. In altri casi, invece, all’interno dei provvedimenti vi sono articoli
contenenti una diversa regolamentazione (ad esempio i decreti 460/1959, 332/1966, 283/1970). I reati
militari sono rimasti esclusi dai provvedimenti generali sino al decreto 5/1963, a partire dal quale hanno
ricevuto un trattamento sostanzialmente identico a quello dei reati definibili ‘comuni’.
61
Risulta possibile offrire una valida spiegazione a questa variazione rispetto al trend generale che
stabilisce il limite in questione pari a tre anni. La ratio sottesa all’amnistia del 1990 è quella di agevolare,
tramite una drastica riduzione delle pendenze processuali che continuavano a seguire il vecchio rito,
l’ingresso del nuovo codice di procedura penale. La scelta dei quattro anni, alla luce di ciò, acquista
significato laddove si noti che quattro anni è altresì il limite massimo di pena che determina la
competenza pretorile ai sensi del mutato art. 7 c.p.p.
62
Soglia molto elevata, giustificabile solamente laddove si consideri che si tratta di due provvedimenti
concessi con finalità pacificatrici e limitati dal punto di vista oggettivo ai soli reati commessi, “anche con
finalità politiche, a causa e in occasione di agitazioni o manifestazioni attinenti a problemi del lavoro,
dell’occupazione, della casa e della sicurezza sociale, e infine in occasione ed a causa di manifestazioni
ed agitazioni determinate da eventi di calamità naturali” (art. 1, d.P.R. 283/1970; similmente il d.P.R.
1084/1968, artt. 1 e 7).
63
Si consideri, tuttavia, che l’amnistia concessa con d.P.R. 283/1970 consta di due parti: una amnistia
‘particolare’ (accadimenti politico-sociali e calamità naturali in genere) in relazione alla quale il massimo
edittale è, appunto, di cinque anni, ed una amnistia ‘generale’ che, conformandosi all’orientamento
generale, fissa un limite di tre anni di reclusione.
Ad ogni modo, ogni provvedimento prevede una eccezione nel caso in cui vada applicato a particolari
categorie di reati (ad esempio, ex art. 1 d.P.R. 460/1959, i reati commessi con il mezzo della stampa
risultano amnistiabili anche se punibili in astratto con pena, al massimo, pari a sei anni, a fronte di un
generale limite di quattro anni) o di persone. In questo ultimo caso, ogni provvedimento prevede un
innalzamento del limite nell’ipotesi in cui il reato sia stato commesso da soggetto minorenne ovvero
ultrasettantenne (ultrasessantacinquenne nel caso del d.P.R. 865/1986): da quattro a sei anni, e da tre a
147
In tema di indulto, un limite similare è individuabile nel quantum di pena il
legislatore abbia scelto di condonare dal complessivo ammontare della condanna inflitta
al reo. Se si escludono una punta massima di tre anni, in occasione del d.P.R. 921/1953,
ed una minima di un anno, avuta con il d.P.R. 5/1963, i restanti otto provvedimenti di
indulto condonano la pena sino ad un massimo di due anni64.
Il dato che appare quale il più significativo è quello riguardante l’evoluzione e la
modificazione dell’insieme dei reati coperti dalla clemenza. La selezione dei reati
amnistiabili e condonabili viene puntualmente affinata mediante tutta una serie di
inclusioni, individuanti per titolo una serie di reati che in assenza di specifica previsione
risulterebbero non ammessi, e di esclusioni, che consentono la non applicazione del
provvedimento a quei reati che per ragioni di pena edittale o limiti temporali ne
sarebbero inclusi.
Negli anni cinquanta le operazioni di inclusione riflettono la volontà di un
legislatore che, per un verso, tramite l’emanazione di provvedimenti a carattere
generale, intende incidere sulla criminalità quotidiana del Paese, e per un altro,
includendo i “reati politici” ed i “reati inerenti a fatti bellici” commessi tra l’8 settembre
1943 ed il 18 giugno 194665, oppure i reati di “assenza dal servizio”66, si dimostra
ancora fortemente legato al periodo storico appena conclusosi. Sempre esclusi, invece, i
reati considerati come particolarmente ‘gravi’ dalla società67. A partire dagli anni
quattro anni (tranne il decreto 460/1959 che lo innalza da tre a cinque). Eccezione alla regola è costituita
dal decreto del 1990, nella cui Relazione è detto che l’estensione del limite generale della pena da tre a
quattro anni ha sconsigliato la contemporanea previsione di una disciplina differenziata per i minori e gli
anziani.
64
Più complesse le eccezioni di volta in volta stabilite rispetto alla quantità di pena da condonare prevista
dal decreto. La già vista modifica stabilita per ragioni di età non viene applicata con costanza come
avviene in materia di amnistia: nel 1953 si condonano, invece che tre anni, cinque per i minori di diciotto
anni e quattro per gli over settanta; nel 1959 tre anni, invece di due, solamente per coloro che abbiano
varcato la soglia dei settanta; nel 1963 due anni, e non uno, per i minorenni; nel 1986, al posto di due, tre
anni per chi ha compiuto sessantacinque anni o per chi sia stato riconosciuto affetto da invalidità
permanente superiore al 71 percento. Dal testo degli altri decreti, invece, non risulta alcuna agevolazione
in tal senso. I decreti dispongono, per contro, una serie di restrizioni: negli anni 1966, 1970, 1978, 1981 e
1986 nelle ipotesi di commissione di particolari reati lo sconto concesso è pari ad un solo anno di
reclusione; nella differente ipotesi in cui il soggetto abbia già beneficiato di un precedente indulto, il
condono viene ridotto della metà (1 anno nel 1959, 1966, 1970, 1978, 1981, 1986, e 6 mesi nel 1963).
65
Cfr. d.P.R. indulto n. 922/1953 ed amnistia n. 460/1959 (anche se relativamente ai reati commessi a
partire dal 25 luglio 1943).
66
Ex artt. 146, 147 e 151 c.p.m.g., v. d.P.R. amnistia n. 922/1953 ed amnistia n. 460/1959.
67
Risultano esclusi dall’amnistia del 1953, ad esempio, l’istigazione alla prostituzione, la tratta di donne
o di minori, gli atti di libidine violenti o la corruzione di minori; ma altresì reati ‘non violenti’ quali il
falso giuramento, la falsa testimonianza, e varie ipotesi di vilipendio. Nessuna esclusione espressa nel
contemporaneo indulto, né nell’amnistia datata 1959. L’indulto del medesimo anno, invece, non si applica
alla violenza carnale, all’omicidio, alla rapina, all’estorsione, al sequestro di persona, ecc.
148
sessanta i decreti si presentano via via come strutturalmente più complessi, caratterizzati
da una notevole crescita tanto dell’elenco delle inclusioni, quanto di quello delle
esclusioni68, che non si limitano più a riferimenti al codice penale, ma rimandano altresì
a leggi speciali emanate in quegli anni in tema, a titolo esemplificativo, di stampa,
affissione, stupefacenti, prostituzione, ed altre ancora, sino ad arrivare, nel 1978, alla
comparsa nelle liste delle esclusioni di alcuni reati commessi in materia urbanistica,
valutaria, e persino di inquinamento ambientale. Direttrice di crescita confermata
definitivamente dall’ultima amnistia concessa, il cui elevato tetto massimo di pena ha
comportato, quale conseguenza, una corrispondente estensione nelle esclusioni che in
tale occasione comprendevano reati con pena edittale massima fra i tre ed i quattro
anni69. Una tendenza che negli anni è data rilevare è quella alla ‘consolidazione’ delle
eccezioni operate rispetto ai metodi canonici di scelta dei reati. Il culmine è stato
raggiunto dalle ultime quattro amnistie generali concesse70, nelle quali si assiste ad un
puntuale copia-incolla di tali elenchi.
Entro certi limiti il ricorso ad una tale flessibilità “è da ritenersi fisiologico in
quanto consente di meglio adeguare gli effetti del beneficio alle specifiche esigenze e
alla rilevanza degli interessi protetti in un dato momento storico”71; ciò nonostante è
consistente la preoccupazione che l’ampia discrezionalità concessa al legislatore possa
sfociare nel già lamentato continuo rinvio di riforme al codice penale 72.
68
A tal punto che risulta complicato riportare in questa sede le complete elencazioni. Basti pensare che
l’indulto concesso nell’anno 1963, mentre non presenta alcuna inclusione, passa da 12 esclusioni, quelle
citate nel beneficio precedentemente emesso, al numero di 16 alle quali sono da aggiungere altri reati
previsti dal c.p.m.g. (titolo II e titolo IV del libro III, e art. 115) e dal c.p.m.p. (titolo I del libro II, capo IV
del titolo II del libro II, ed art. 174), ed in alcune leggi speciali (l. n. 1041/1954 e l. n. 75/1958,
rispettivamente in materia di stupefacenti e prostituzione); e che con il d.P.R. 332/1966 entrambe le liste
si allungano ulteriormente.
69
Tra tali reati ‘nuovi’ si vedano l’attentato agli impianti di pubblica utilità (art. 420 c.p.), oppure la
falsità materiale (art. 478 c.p.).
Non prevedono in genere esclusioni oggettive i provvedimenti che non hanno portata generale ma
contemplano solo alcune categorie di reati (detenzione di armi, reati elettorali, annonari,...), oppure i reati
commessi a causa ed in occasione di particolari e determinati avvenimenti. E’ quanto avvenuto con il
decreto n. 1084/1968 e con la sezione particolare del decreto ‘misto’ n. 283/1970.
70
Cioè, escluso il d.P.R. 392/1980 poiché a contenuto particolare, i decreti 413/1978, 744/1981, 685/1986
e 75/1990. Quest’ultimo, in realtà, aggiunge all’elenco anzidetto altre dodici norme del codice penale, e
tutta una serie di riferimenti a leggi speciali, per i motivi già visti.
71
Cfr. GUARDATA M., I provvedimenti di amnistia dal 1948 ad oggi, in LA GRECA G. (a cura di),
L’amnistia del 1990, op. cit., p. 62.
72
V. supra par. 1. La tecnica di riprodurre le eccezioni nei decreti successivi, anche se è verosimilmente
venuta meno la attualità delle circostanze che le avevano originate, più che ‘adeguamento’ della
legislazione alla società contemporanea appare essere una mera alterazione della scala di disvalore
“operata sotto la pressione di spinte emotive e moralistiche o di interessi settoriali” (GUARDATA M., op.
cit., p. 63).
149
Meno complessa risulta essere l’applicazione data in concreto al terzo comma
dell’art. 151 c.p. (e dell’art. 174 c.p.), il quale prevede, come è noto, una serie di
limitazioni di carattere soggettivo all’applicazione dell’amnistia (e dell’indulto)73,
affiancate, tuttavia, dalla possibilità “che il decreto disponga diversamente”. Di fatto, i
provvedimenti di clemenza derogano costantemente alla disciplina codicistica74,
regolando compiutamente la materia all’interno del decreto stesso. I decreti contengono
generalmente una unica norma che disciplina – in tempi meno recenti in modo identico
– le esclusioni soggettive sia in materia di amnistia che in materia di indulto75 nel senso
di attenuare la portata della norma penalistica. Per ciò che concerne l’amnistia, gli
effetti della recidiva appaiono fortemente limitati in relazione all’entità delle pene
inflitte con le precedenti condanne76, e dal 1978 scompare il riferimento ai delinquenti
per tendenza, sostituito dalla sottoposizione alle misure di prevenzione del divieto e
dell’obbligo di soggiorno. Nonostante la linea di tendenza sia nettamente nella direzione
dell’abbandono di questo metodo di selezione dei beneficiari, la disciplina dei decreti
datati 1990 costituisce comunque una novità, escludendo in toto l’applicabilità
dell’ultimo comma dell’art. 151 c.p., rendendo del tutto irrilevanti le condizioni
soggettive77. Come è stato osservato, tuttavia, la scelta di applicare entrambi i
provvedimenti anche ai plurirecidivi potrebbe rivelarsi densa di conseguenze,
soprattutto laddove si considerino anche la tradizionale periodicità nelle concessioni e
l’elevato tetto di pena stabilito per la concessione dell’amnistia, e con essi il fatto che
“la prospettiva di impunità che ne risulta costituirebbe un incentivo alla
73
Ne sono esclusi i recidivi (fatta salva l’ipotesi della recidiva semplice), e i delinquenti abituali,
professionali e per tendenza.
74
Eccezion fatta per i decreti aventi ad oggetto i reati finanziari, v. GUARDATA M., I provvedimenti di
amnistia dal 1948 ad oggi, in LA GRECA G. (a cura di), L’amnistia del 1990, op. cit., p. 68.
75
Si intende, ovviamente, nelle ipotesi in cui detti benefici siano concessi congiuntamente. Qualora la
disciplina non sia la medesima – come avviene a partire dal 1968 – l’indulto risulta persino maggiormente
benevolo della contestuale amnistia. Quali esempi, si vedano il d.P.R. 1084/1968 ed i successivi 283/1970
e 744/1981, che includono i recidivi, oppure il d.P.R. 413/1978 e 685/1986 i quali prevedono una
esclusione completa per i delinquenti abituali, professionali, oppure sottoposti alle misure di prevenzione
del divieto e dell’obbligo di soggiorno, ma che applicano ugualmente il condono ai soggetti recidivi,
seppure nella misura ridotta della metà (1 anno).
76
Punta massima di quattro anni con il d.P.R. 921/1953, e minima di un anno nel 1963.
77
Questa scelta risulterebbe dovuta ad esigenze di funzionalità, e “precisamente all’intento di evitare
nell’applicazione del beneficio, gli onerosi adempimenti connessi all’acquisizione (o all’aggiornamento)
dei certificati penali e alla verifica dei precedenti”, così GUARDATA M., I provvedimenti di amnistia dal
1948 ad oggi, in LA GRECA G. (a cura di), L’amnistia del 1990, op. cit., p. 70. Del medesimo Autore è
altresì l’osservazione per cui “in futuro, cessata la situazione di emergenza che caratterizza in particolare
l’organizzazione delle neocostituite procure circondariali (...), venga dato adeguato rilievo ai
procedimenti penali”, puntualmente disattesa, tuttavia, dalle disposizioni dettate in materia dall’indulto
del 2006 (sul quale v. infra par. 2.2).
150
‘professionalizzazione’ di determinate attività delittuose”78.
Per quanto riguarda la sottoposizione a condizioni, ciascun provvedimento di
clemenza concesso in materia tributaria o finanziaria contiene un elemento vincolante di
natura sospensiva79; mentre all’interno dei decreti concessivi indulto – aventi tuttavia ad
oggetto differenti reati – è spesso dato ritrovare una condizione risolutiva, vale a dire “la
disposizione che subordina il mantenimento del beneficio alla non commissione di
determinati illeciti, in genere delitti non colposi per i quali sia irrogata condanna a pena
detentiva superiore o non inferiore a mesi sei, entro un lasso di tempo di cinque anni”80.
Ultimo punto, la facoltà di rinuncia all’amnistia. Inizialmente prevista solo
saltuariamente81, a partire dalla sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 1971, che
la ha ritenuta costituzionalmente necessaria, è espressamente riconosciuta in ogni
decreto82 con un articolo ad essa dedicato.
2.2 (Segue) dalla legge costituzionale 6 marzo 1992, n°1, ad oggi. In particolare:
obiettivi, cifre e risultati dell’indulto concesso con legge 31 luglio 2006, n. 241.
La citata variazione costituzionale, come già espresso83, si è resa necessaria dopo
oltre quarant’anni di ampio utilizzo degli strumenti di clemenza collettiva, con il noto
clima di disapprovazione che li ha accompagnati, ed i tempi per una riforma sono
risultati maturi nel momento dell’amara constatazione che le modifiche apportate negli
78
V. GUARDATA M., op. cit., p. 70.
Come è noto, una condizione di tipo sospensivo può configurarsi solamente in tipi di provvedimenti di
clemenza relativi ad illeciti costituiti da una mancata prestazione e quindi la regola della sussistenza della
condizione sospensiva non opera frequentemente, nonostante una tale limitazione all’applicazione dei
benefici sia da più parti auspicata. Per tutti v. GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit.,
p. 430. Quale eccezione alla regola si veda il d.P.R. 685/1986, il cui art. 10 prevede un indulto
condizionato sospensivamente seppure in relazione a reati di tipo commissivo: nelle ipotesi di reati contro
il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, il beneficio è concesso a condizione che il
condannato provi di essere stato tossicodipendente al momento del fatto, di avere commesso il fatto a
causa della sua condizione di tossicodipendente, e di non essere tossicodipendente al momento della
presentazione dell’istanza per l’applicazione dell’indulto.
80
Così GEMMA G., Principio costituzionale di eguaglianza, op. cit., p. 430. Diversamente previsto nei
d.P.R. 922/1953 e 685/1986 che prevedono una soglia di revocabilità pari ad un anno, nonché nel d.P.R.
394/1990, ancora più indulgenzialista, che considera rilevante ai fini della revoca solamente la
commissione di reati la cui pena superi gli anni due. Costante, invece, la previsione di un lasso temporale
fissato in anni cinque.
81
Per l’esattezza solamente nei decreti 460/1959 e 332/1966.
82
Tranne che nel d.P.R. 1 luglio 1980, n. 392, che concede amnistia limitatamente ai reati previsti nei
capi I, II, III e VII del titolo III del libro II del c.p.m.p., commessi da militari a causa ed in occasione di
iniziative intese a sollecitare la riforma dei servizi di assistenza al volo.
83
V. supra cap. II, par. 2.
79
151
anni all’ordinamento ben poco giovamento avevano arrecato alla difficoltosa situazione
in cui versava il sistema esecutivo penale.
In primis il riferimento è alla riforma del sistema penitenziario, iniziata con
l’approvazione della legge 26 luglio 1975, n. 34584, che ha reso effettivo il passaggio
“da una concezione meramente retributiva della pena, ad un sistema punitivo di stampo
democratico, fondato sulla finalità rieducativa e risocializzante della pena”85 – mediante
l’introduzione delle misure alternative alla carcerazione – la quale si è tuttavia scontrata
con difficoltà concrete quali, ad esempio, “l’assenza di strutture di accoglienza” ovvero
la previsione di “pene marcatamente espiative”86.
In secondo luogo, la delusione per il non completo successo del nuovo codice di
procedura penale, almeno nella parte in cui aveva “creato aspettative di tempi più rapidi
per la definizione dei processi”87.
Volendo sintetizzare, dapprima la rottura di “quell’argine alla proliferazione di
amnistie ed indulto che il Costituente volle costruire con l’art. 79 Cost.”88, poi il
perdurare del malcontento, pressoché generale, a proposito non della clemenza in sé e
per sé, quanto piuttosto del malsano utilizzo che di essa era stato fatto negli anni, ed
infine la condizione di imperterrita stasi in cui versava il sistema processuale penale
italiano89. Queste, essenzialmente, le motivazioni che hanno portato alla riscrittura della
norma costituzionale disciplinante la clemenza collettiva90.
Il proponimento di ricorrere assai più di rado ai benefici clemenziali risulta
senza alcun dubbio mantenuto, ma ciò non porti a pensare che una tale inversione di
84
E successivamente perfezionata sino all’attuale assetto dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, nota come
‘legge Gozzini’, e dalla legge 27 maggio 1998, n. 165, c.d. ‘legge Simeone-Saraceni’.
85
Circa il rapporto esistente tra TAFURI S., Alcune considerazioni sulle misure alternative alla
carcerazione tra sanzioni penali e indulto, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza,
2007, I, p. 54. Sul punto v. altresì il commento a tale contributo, ad opera di PEDACI V., ivi, p. 53 ss.
86
TAFURI S., Alcune considerazioni sulle misure alternative alla carcerazione tra sanzioni penali e
indulto, op. cit., p. 57.
87
Così FRIGO G., Un mezzo eccezionale in attesa delle riforme, in Guida al diritto, n. 32, 2006, p. 27.
88
Cfr. GEMMA G., Profili costituzionali dell’amnistia e dell’indulto nelle riflessioni della cultura
giuridica italiana, in LA GRECA G. (a cura di), op. cit., p. 28.
89
Si noti che vi è chi ha affermato che è proprio la consueta pratica di tali istituti di clemenza, così come
effettuata in Italia, una delle cause principali del ‘successo inferiore alle aspettative’ del nuovo c.p.p.,
stante la loro incompatibilità “con un minimo di funzionalità del processo penale” (v. PIZZORUSSO A.,
Sulla modifica della disciplina costituzionale in tema di amnistia e indulto, in LA GRECA G. (a cura di),
op. cit., p. 47. Uno dei timori più diffusi riguardava soprattutto l’inappetibilità dei neo introdotti strumenti
di deflazione del dibattimento dinanzi alla ciclicità della concessione di amnistie ed indulti, cfr.
MONTANINI G., voce Amnistia e indulto (dir. pen.), op. cit., p. 1; GEMMA G., Amnistia ed indulto dopo la
revisione dell’art. 79 Cost., op. cit., p. 353.
90
Per una analisi più approfondita, v. supra cap. II, par. 2, prettamente dedicato a tale riforma
costituzionale.
152
tendenza sia dovuta ad “una ‘folgorante’ resipiscenza razionalistica del legislatore”,
ovvero a “raggiunti livelli di maturità sistematica delle sue strategie di politica
criminale”, quanto piuttosto alla pura e semplice “difficoltà, storico-parlamentare, di
comporre la maggioranza richiesta dal nuovo testo dell’art. 79 della Costituzione”91.
Negli anni novanta si registrano due opposte tendenze. Da un lato si assiste ad
una netta battuta d’arresto nella concessione di amnistie ad indulti, risalendo l’ultimo
atto di remissione collettiva di sanzioni penali al 199092, dall’altro non conosce sosta la
produzione di condoni in materia fiscale od edilizia93. Mentre quest’ultima parrebbe
giustificabile considerando il beneficio da essi derivante in tema di “risanamento della
finanza pubblica”, nell’ottica dell’azione a tal fine intrapresa da Governo e Parlamento
in quegli anni94, la prima ha destato qualche preoccupazione nella misura in cui la
recente riforma appariva presentarsi come “impraticabile”95.
Se per un verso, infatti, risulta incontestabile non solo la scelta di “riservare alla
sovranità del parlamento” ogni valutazione in tema di “un atto normativo di efficacia
generale in materia di estinzione di pene, quale è quello che concede indulto” (oppure
amnistia), ma altresì la richiesta che trovino all’interno tale organo “un consenso ben
superiore a quello ordinariamente consegnato alla dialettica tra maggioranza ed
opposizione”96, per contro l’effetto della riforma si presenta nientemeno che
“paralizzante”97 – considerata anche “l’introduzione del sistema maggioritario, che
91
Questo, a posteriori, l’autorevole giudizio di MAIELLO V., La politica delle amnistie, in VIOLANTE L. (a
cura di), op. cit., p. 978.
92
D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394. Ed inoltre, come sottolinea GEMMA G., voce Clemenza (profili
costituzionali), op. cit., p. 51, non bisogna dimenticare che tale provvedimento “si colloca in un contesto
diverso da quello in cui si sono trovate le precedenti amnistie” (il discorso vale anche per i precedenti
indulti), in quanto “ha seguito immediatamente l’approvazione del nuovo codice di procedura penale,
venendo a configurarsi come funzionale all’applicazione di quest’ultimo”, e conseguentemente dovrebbe
essere considerato, in buona parte, giustificato.
93
A titolo di esempio v. in materia di clemenza fiscale gli artt. 32 ss. della legge 30 dicembre 1991, n.
413, il d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23, l’art. 3, n. 204, della legge 23 dicembre 1996, n. 662; in tema di
remissione per commesse violazioni edilizie, invece, il d.l. 267/1994, n. 468, e la legge 23 dicembre 1994,
n. 724.
94
Sul punto GEMMA G., voce Clemenza (profili costituzionali), op. cit., p. 52, il quale ricorda che se in un
tale contesto la clemenza atipica ha suscitato minori reazioni critiche nella opinione pubblica, nondimeno
ha sempre incontrato lo sfavore della prevalente dottrina. V. altresì MAIELLO V., La politica delle
amnistie, in VIOLANTE L. (a cura di), op. cit., p. 976 ss.
95
Così definita, pare con assoluta certezza di opinioni, in EDITORIALE, in Rassegna parlamentare, 2003,
p. 894.
96
“(Segue) trattandosi di intervenire o a modificare gli effetti di sentenza di condanna (nel caso di
indulto) ovvero a paralizzare l’esercizio dell’azione e della giurisdizione penale (nel caso di amnistia)”.
Così FRIGO G., Un mezzo eccezionale in attesa delle riforme, op. cit., p. 27.
97
EDITORIALE, in Rassegna parlamentare, 2003, p. 894.
153
allontana ulteriormente la possibilità di accordi legislativi tra maggioranza ed
opposizione”98 – contro il quale nulla hanno potuto nemmeno i segni di disponibilità
manifestati in occasione di pur autorevolissimi appelli99.
La vicenda del c.d. indultino, concesso nel 2003 a distanza di ben tredici anni
dall’ultimo provvedimento di carattere collettivo, costituisce “il coagulo di diverse
esigenze di cui si è fatto carico il legislatore”100. In primo luogo ha agito quale valvola
di sfogo per le difficili condizioni in cui versava il sistema carcerario italiano,
consentendo la dismissione anticipata e pressoché automatica di un certo numero di
condannati. In secondo luogo, in quanto emanato con legge ordinaria, ha consentito di
superare l’ostacolo, allora evidentemente insormontabile, della necessaria formazione di
una maggioranza tanto elevata.
Appare opportuno precisare, tuttavia, come “i risultati siano stati inferiori alle
attese”101, considerato che al momento della entrata in vigore della legge si era
preventivato che circa novemila condannati sarebbero stati rimessi in libertà102, mentre
in base ad un bilancio effettuato a gennaio 2004 si segnalano 3 mila 941 scarcerazioni
determinate dalla nuova legge103, risultato che appare di poco conforto a distanza di sei
mesi dall’emanazione di una ‘misura d’emergenza’104.
98
Ibidem.
V. l’intervento di Papa Giovanni Paolo II, in occasione della sua visita parlamentare in data 14
novembre 2002, in occasione del quale, durante un più ampio discorso sul tema della solidarietà, il
Pontefice ha affermato: “in tale prospettiva, e senza compromettere la necessaria sicurezza dei cittadini,
merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso
sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe
una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolarne l’impegno di personale
recupero”.
100
Così DELLA CASA F., Commento all’art. 69, in GREVI V. – GIOSTRA G. – DELLA CASA F., op. cit., p.
858.
101
Ancora DELLA CASA F., op. cit., p. 858.
102
Cfr. COLOGNESE L.L., “Indultino”: rilievi critici e primi risvolti applicativi, op. cit., p. 1020 ss.,
DELLA CASA F., Commento all’art. 69, in GREVI V. – GIOSTRA G. – DELLA CASA F., op. cit., p. 858. Ad
ogni modo una cifra che poco avrebbe inciso sull’indice di sovraffollamento delle carceri italiane, che nel
giugno 2003 ospitavano 14 mila ristretti in più rispetto alla capienza regolamentare. Dati del
DIPARTIMENTO DI AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA (D.A.P.), Ufficio per lo Sviluppo e la Gestione del
Sistema Informativo Automatizzato - Sezione statistica, Dati statistici sulla popolazione penitenziaria,
Giugno 2003 (consultabili all’indirizzo www.giustizia.it).
103
Intervento del Ministro della giustizia, sen. Roberto Castelli, in occasione della inaugurazione
dell’anno giudiziario 2004 (in www.giustizia.it).
104
Sul punto COLOGNESE L.L., “Indultino”: rilievi critici e primi risvolti applicativi, op. cit., p. 1020 ss.,
la quale analizza le prime applicazioni del provvedimento, a partire dalla data di entrata in vigore e per i
sei mesi successivi, sulla base di dati tratti da il Sole 24-Ore nelle date 23 agosto, 7 settembre, 26
settembre, 8 ottobre, e 14 novembre 2003. L’Autore, inoltre, sostiene che il numero complessivo degli
scarcerati non potrà in alcun modo superare le 5 mila unità, e che per molti di essi risulterà necessario
attendere almeno due anni, affinché maturino i diversi presupposti stabiliti dalla legge.
99
154
Trascorsi nemmeno tre anni dalla sospensione condizionata della pena, il
problema del sovraffollamento delle carceri – che come abbiamo visto l’indultino ha
lasciato irrisolto105 – si ripresenta in tutta la sua urgenza: alla data del 30 giugno 2006 le
presenze dei detenuti in case di reclusione, case circondariali ed istituti per le misure di
sicurezza ammontano a 61.264106, a fronte di una regolare capienza di 43.219 unità107,
di un Corpo di Polizia Penitenziaria costituito da 45.126 poliziotti108, e di 563
educatori109.
Come risulta agevole comprendere, una tale condizione-limite di esecuzione
della pena rende molto difficile che la permanenza all’interno di un carcere possa in
qualche modo “sfuggire alla dimensione della mera custodia e neutralizzazione”110, con
ciò discostandosi palesemente dal dettato della Costituzione111, ripetutamente
richiamato anche dalla Corte costituzionale. Ugualmente disattesa anche la legge
penitenziaria n. 345/1975112, mentre risultano ancora in attesa di piena attuazione le
Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e
limitative della libertà113, nonché le Regole minime per il trattamento dei detenuti
redatte dal Consiglio d’Europa114. Inoltre, la condizione di ‘sovraffollamento’115 è stata
105
In base ai dati forniti dal Ministero della Giustizia, infatti, bisogna risalire all’inizio dell’anno 1992 per
rinvenire una situazione penitenziaria nella quale il numero di detenuti presenti non superi la capienza
degli istituti di pena. Ciò significa che in un lasso di tempo di circa quindici anni la popolazione
carceraria è cresciuta complessivamente di 30.000 persone. Fonte dati D.A.P., aggiornati al 31 dicembre
1991.
106
Così suddivisi: 9.259 nelle case di reclusione, 50.602 nelle case circondariali, 1.403 negli istituti per le
misure di sicurezza. Dati D.A.P., giugno 2006.
107
Con un tasso di affollamento, pertanto, pari al 140,4% (fonte Audizione del ministro della Giustizia
Clemente Mastella davanti alle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia sull’applicazione e gli effetti
della legge sull’indulto, Senato della Repubblica, 21 novembre 2006, in www. giustizia.it).
108
Cfr. www.polizia-penitenziaria.it/chisiamo/personale.htm.
109
Su un organico previsto di 1.376. Analogo sottodimensionamento riguarda assistenti sociali, psicologi,
personale amministrativo ed infermieristico (cfr. sen. Bulgarelli, Senato, seduta del 29 luglio 2006, n. 29).
Viste le cifre, è evidente che l’attività rieducativa assegnata alle pena dalla Costituzione è notevolmente
lontana dall’ottenere risorse adeguate alla sua piena attuazione.
110
Così CASELLA A. – MASSARI L., Indulto 2006. Una ragionevole speranza per una ragionata clemenza,
in Aggiornamenti Sociali, 2007, III, p. 175 ss.
111
Non solamente il pluricitato art. 27, comma 3, ma altresì i basilari artt. 2 e 3 Cost.
112
In particolare per quanto riguarda il disposto di cui agli artt. 1, 13 e 15, che regolamentano le
necessarie attività trattamentali e di assistenza che per essere in grado di assicurare il pieno svolgimento
del percorso di rieducazione, recupero e reinserimento nella società, deve essere il più possibile
personalizzato.
113
D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle
misure privative e limitative della libertà.
114
Raccomandazione R (87) 3 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, 12 febbraio 1987.
115
La scelta di tale termine ha ricevuto plausi per la propria precisione semantica, nel suo essere la
risultante del “superlativo di un superlativo”. L’osservazione è di SOFRI A., A favore dell’indulto in nome
dell’umanità, in la Repubblica, 25 luglio 2006.
155
oggetto di innumerevoli denunce per le inevitabili conseguenze, negative, che implica
non solamente nei confronti dello svolgimento dei previsti programmi trattamentali, ma
altresì delle più basilari esigenze igienico-sanitarie116 ed umanitarie117, che producono
livelli terribili di autolesionismo e suicidio 118.
Queste le fondamentali motivazioni, peraltro apertamente dichiarate, poste a
fondamento della emanazione della legge n. 241/2006, approvata grazie ai voti
favorevoli di quasi tutte le forze politiche presenti in Parlamento119.
L’indulto entrato in vigore il 1° agosto 2006, che insolitamente si compone di un
solo articolo, prevede uno sconto di pena detentiva pari a tre anni, ed un abbuono fino a
10 mila euro per le pene pecuniarie, sole o congiunte con pene detentive, per i reati
commessi entro tutto il 2 maggio 2006.
Il condono di tre anni di detenzione potrebbe apparire come una esagerazione,
soprattutto nell’ipotesi in cui si consideri che l’unico indulto altrettanto esteso risale
all’anno 1953120. A fondamento di tale critica si porrebbe la ricorrente preoccupazione
circa gli effetti che una scarcerazione di massa avrebbe sulla sicurezza della società,
nonché sul paradigma della certezza della pena121. Contra, una semplice constatazione
116
Particolarmente dettagliato sul punto il contributo di PUGIOTTO A., Dopo l’indulto del 2006: tornare a
riformare l’art. 79 della Costituzione, in Quaderni costituzionali, 2007, III, p. 288, il quale riporta che al
termine dell’anno 2005 il 7, 5 % dei detenuti era sieropositivo all’HIV; il 36% era positivo all’epatite C;
l’8% era affetto da epatite B; il 27% era a rischio di tubercolosi ed 1 detenuto su 2 manifestava disagio
psichico. Si veda altresì CASELLA A. – MASSARI L., Indulto 2006. Una ragionevole speranza per una
ragionata clemenza, op. cit., p. 181, a parere del quale “il carcere destruttura e altera l’intera sfera
sensoriale, producendo una particolare fragilità psico-fisica”, ed il contestuale riferimento alle c.d.
“malattie dell’ombra” (così definite dall’ivi citato GONIN D., Il corpo incarcerato, Torino, 1994) che
attraversano le aree della psichiatria, dell’infettivologia e della tossicologia.
117
Una realtà carceraria che risulta “scandita da 22 ore di cella al giorno” (cfr. PUGIOTTO A., Dopo
l’indulto del 2006: tornare a riformare l’art. 79 della Costituzione, op. cit., p. 288), e che rende quasi
impossibile una corretta distinzione tra detenuti per entità della pena e pericolosità sociale, con il
problema delle conseguenze che possa avere, in tema di criminogenia, una tale commistione (v.
Comunicazione del Ministro dell’Interno Amato e del Ministro della Giustizia Mastella sull’applicazione
della legge 31 luglio 2006, n. 241, Senato della Repubblica, 21 novembre 2006, in www.giustizia.it).
118
I suicidi in carcere sono quasi 18 volte quelli registrati tra la popolazione nazionale, cfr. MANCONI L. –
BORASCHI A., «Quando hanno aperto la cella era già tardi perché... Suicidio e autolesionismo in carcere
(2002-2004)», in Rassegna italiana di sociologia, 2006, p. 117 ss. Sull’argomento v. altresì
www.ristretti.it, la sezione ‘Morire di carcere’ sempre aggiornata.
119
Per un totale di 705 voti favorevoli. Voto contrario da parte dei gruppi politici di Alleanza Nazionale,
Lega Nord, ed Italia dei Valori.
120
D.P.R. n. 922/1953. Si ricordi che, eccezion fatta per un unico provvedimento che stabiliva un solo
anno di sconto, tutti gli indulti concessi dagli anni cinquanta ad oggi fissavano il limite massimo di
condono a due anni di pena detentiva (v. supra par. 2.1).
121
Cfr. l’ipotesi di critica prospettata da PUGIOTTO A., Dopo l’indulto del 2006: tornare a riformare l’art.
79 della Costituzione, op. cit., p. 295, secondo la quale una volta cancellata integralmente la pena per i
reati puniti con il massimo edittale di tre anni, la sanzione vedrebbe azzerata qualunque sua funzione.
Quanto ai reati più gravi, l’indulto aprirebbe le porte del carcere a soggetti che non hanno ancora
156
in merito alla necessità del provvedimento in discussione: emanato a sedici anni di
distanza dal precedente, deve fare i conti con una realtà carceraria ancora più grave e
che desta, se possibile, maggiore allarme sociale122.
Il provvedimento ha generato discussioni anche in merito alla contestuale
previsione di un condono per le pene pecuniarie, dividendo la dottrina fra coloro che
lamentano come a fronte dell’ampiezza della clemenza per le pene detentive vi sarebbe
per le altre un ‘limitato’ indulto123, e coloro che – e sono la maggioranza – ritengono
una tale inclusione totalmente “non coerente con l’impostazione della legge soprattutto
finalizzata a deflazionare la densità carceraria”124.
Il Legislatore ha optato per la soluzione che garantisse all’indulto la massima
estensione temporale possibile. In ossequio a quanto stabilito dal rinnovato art. 79,
comma 3, Cost., l’art. 1, comma 1, dispone che l’indulto non si applichi ai reati
commessi successivamente al giorno del 2 maggio 2006, considerato che la prima
proposta legislativa in materia riporta la data del 3 maggio125. Nonostante l’assoluta
legalità di tale opzione, risulta pienamente condivisibile l’opinione di coloro che
ritengono sarebbe stato meglio limitare gli effetti temporali di questo indulto,
soprattutto a motivo del fatto che “il provvedimento di clemenza era atteso e
programmato da data ampiamente antecedente e, per l’ovvia opportunità di evitare
effetti criminogeni, sarebbe stato esempio di buona legislazione limitare gli effetti
completato il proprio percorso rieducativo.
122
L’indulto concesso con d.P.R. n. 394/1990, interveniva a breve distanza (solamente quattro anni) dal
precedente provvedimento di clemenza collettiva, che concedeva congiuntamente amnistia e indulto, ed
era stato preceduto da una amnistia solamente da qualche mese. V. PUGIOTTO A., Dopo l’indulto del
2006: tornare a riformare l’art. 79 della Costituzione, op. cit., p. 294. Sul punto altresì ANASTASIA S.,
Considerazioni in margine all’approvazione dell’indulto e alla sua contestata applicazione, in Antigone,
2006, III, p. 33, che si domanda quale sia la soluzione peggiore: “uno sconto di tre anni dopo sedici anni
di regolare esecuzione delle pene o il ripetuto sconto di due anni ogni due anni e mezzo”. Differente
l’opinione in merito di Onida, in JOCTEAU G., Intervista a Valerio Onida, ivi, p. 89, il quale ravvisa quale
logica sottesa alla previsione dei tre anni l’analogia tra tale ‘tetto massimo’ ed il “limite di pena al di sotto
del quale la nostra legge attuale prevede che normalmente la pena non venga scontata in carcere ma si
adottino misure alternative”. L’Autore, tuttavia, prosegue precisando che sarebbe forse stato opportuno
“limitare l’indulto alle sole pene detentive brevi, escludendo le pene residue di condanne
complessivamente più elevate”.
123
E ciò nonostante la soglia stabilita (10 mila euro) sia esattamente il doppio di quella prevista dal
medesimo decreto del 1990 (10 milioni di lire). Cfr. FRIGO G., Un mezzo eccezionale in attesa delle
riforme, op. cit., p. 29, il quale al contempo critica e giustifica tale scelta alla luce della dimostrata
coerenza con il fine primario che è quello deflativo della densità carceraria.
124
Così SCOGNAMIGLIO P., L’indulto, Napoli, 1996. Del medesimo parere POMANTI P., I provvedimenti di
clemenza, op. cit., p. 180.
125
Per la cronaca: A.C. n. 372, Jannone, 3 maggio 2006.
157
estintivi ai fatti antecedenti l’annuncio del provvedimento”126. Una giustificazione di
stampo ‘politico’ potrebbe derivare dalla necessità costituzionale del raggiungimento di
un quorum elevato. E’ stato infatti ipotizzato che proprio il bisogno di accordare una
tale percentuale di aventi diritto al voto abbia spinto ad ampliare al massimo la
‘appetibilità’ del provvedimento, misurata sotto forma di capacità estintiva dello
stesso127.
L’ampiezza dell’indulto è stata in qualche modo ridimensionata mediante la
stesura di un lungo elenco di reati nei cui confronti esso non trova applicazione.
Rinviando alla legge per la completa lista degli articoli del codice penale contenenti le
fattispecie non oggetto di condono, si prospetta in questa sede un pratico riassunto. Il
beneficio non si applica ai delitti di terrorismo 128, di associazione mafiosa o aggravati da
tale finalità, strage, associazione a delinquere finalizzata alla schiavitù, ai delitti
aggravati dalla finalità di discriminazione razziale, etnica o religiosa, né ai delitti odiosi
contro minori129, o alle più gravi aggressioni sessuali130. E’ altresì escluso nelle ipotesi
di sequestri di persona a scopo di estorsione, usura, riciclaggio di proventi di delitti di
sequestro di persona a scopo di estorsione o di delitti concernenti la produzione o il
traffico di sostanze stupefacenti, traffico di stupefacenti aggravato, associazione a
delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti131.
Questo lungo elenco, nondimeno, risulta stilato senza alcun riferimento ad un
qualsiasi criterio di ragionevolezza. In primo luogo non appare applicabile il canone
della esclusione dei reati percepiti come ‘odiosi per il loro particolare disvalore
sociale’132, considerato che a fronte dell’inclusione – già di per sé criticabile – del
delitto di omicidio, il legislatore non nega il condono nemmeno in presenza di
126
Così MARCHESELLI A., Con lo sconto automatico per i recidivi un’inversione di rotta dalla ex Cirielli,
in Guida al Diritto, 2006, n. 32, p. 22. V. anche PUGIOTTO A., «Crash»: sullo scontro frontale tra leggi
manifesto, in Quaderni costituzionali, 2007, I, p. 123, e Dopo l’indulto del 2006: tornare a riformare
l’art. 79 della Costituzione, op. cit., p. 296.
127
Cfr. PUGIOTTO A., op. ult. cit., p. 297.
128
Associazioni sovversive o con finalità terroristiche, arruolamento con finalità di terrorismo,
addestramento ad attività con finalità di terrorismo, attentato per finalità terroristiche o di eversione, atto
di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi, devastazione, saccheggio e strage, sequestro di persona a
scopo di terrorismo, banda armata e delitti aggravati dalla finalità di terrorismo.
129
Pornografia minorile, detenzione di materiale pedopornografico, iniziative di turismo sessuale.
130
Violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne, violenza sessuale di gruppo.
131
Precisamente, i reati previsti dal d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, all’art. 73 (aggravati ai sensi dell’art.
80, comma1, lett. a), e comma 2 del medesimo d.P.R.) e all’art. 74, commi 1, 4 e 5.
132
E’ di tale opinione, invece, FRIGO G., Un mezzo eccezionale in attesa delle riforme, op. cit., p. 29.
158
aggravanti come le sevizie133. Parimenti, non appaiono esaustive né la classificazione
delle esclusioni sotto l’etichetta di ‘reati che suscitano il maggiore allarme sociale’,
stante l’inclusione di tutte le “condotte criminose in materia di sicurezza e salute sul
lavoro, ovvero in materia ambientale o contro l’amministrazione della giustizia”134, né
tantomeno l’opposta ratio omnicomprensiva e generica della ‘generosa ed umanitaria
indulgenza’, poiché la alquanto estesa elencazione di cui al comma 2 dell’art. 1 non può
affatto essere sintomo di ‘indulgenza’. Pertanto, una critica che allo stato dei fatti si
presenta come insuperabile, è quella che denuncia “una grave superficialità del
legislatore nella individuazione dei reati sottratti al provvedimento di clemenza”135.
Una ulteriore obiezione, fonte di vivaci polemiche di carattere soprattutto
politico, riguarda la scelta di non escludere dal provvedimento i reati economici e
finanziari, pur essendo questi ultimi “reati che difficilmente vengono accertati, e per i
quali difficilmente vengono scontate le pene”136, con la conseguenza che essi poco o
nulla hanno a che fare con la primaria esigenza di sfollare gli istituti penitenziari137.
Palesemente a scopo deflazionistico è la scelta di derogare alla previsione
codicistica di cui all’art. 174, comma 3, e di applicare l’indulto anche ai soggetti
recidivi ex art. 99 c.p., ai delinquenti abituali, professionali e per tendenza138; mentre di
segno contrario139 risulta essere la previsione di cui al comma 3, ai sensi della quale
133
Così POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 182, il quale aggiunge all’elenco delle
mancate esclusioni anche la rapina aggravata, il sequestro di persona non aggravato, la corruzione, oppure
la concussione; e PUGIOTTO A., Dopo l’indulto del 2006: tornare a riformare l’art. 79 della Costituzione,
op. cit., p. 298.
134
Ancora PUGIOTTO A., Dopo l’indulto del 2006: tornare a riformare l’art. 79 della Costituzione, op.
cit., p. 298.
135
Cfr. POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 183.
136
V. JOCTEAU G., Intervista a Valerio Onida, op. cit., p. 89. L’intervistato, tuttavia, precisa come, a suo
parere, sia questo l’inconveniente meno grave tra gli altri causati da tale provvedimento.
137
Risulta difficoltoso affrontare adeguatamente l’analisi di questo provvedimento mantenendosi, al
contempo, ad adeguata distanza da valutazioni più o meno velatamente politiche, considerate l’attualità
dell’argomento, seppure lo si affronta a più di due anni di distanza, e le accese polemiche sollevatesi
contestualmente alla sua emanazione, ancora vive nei ricordi di chi scrive. A ragione di ciò, si è scelto di
sorvolare sulle varie (e variopinte) dichiarazioni delle parti in causa, e di presentare unicamente una
osservazione, sempre in tema di esclusioni ed inclusioni, ma tratta da un punto di vista più ‘esterno’: “il
sistema penale conosce una sola, legittima, scala di gravità dei reati, quella determinata dalla entità delle
pene. Giusta o sbagliata che sia, quella è. Al di fuori di essa vi sono infinite valutazioni soggettive,
mutevoli e legittime, ma nessuna depositaria di alcuna verità, nemmeno se strillata da tutta la stampa
nazionale. Rispetto a quella scala di gravità dei reati, l’indulto agisce in maniera apparentemente
equanime: taglia un tot di pena a tutti” (così ANASTASIA S., Considerazioni in margine all’approvazione
dell’indulto e alla sua contestata applicazione, op. cit., p. 32).
138
In linea con il d.P.R. n. 394/1990, v. supra par. 2.1.
139
Ma “assolutamente in linea con l’indirizzo di politica criminale che ha portato alla concessione
dell’indulto senza un analogo provvedimento di amnistia” (così POMANTI P., I provvedimenti di clemenza,
159
l’indulto è revocato di diritto nell’ipotesi in cui “chi ne ha usufruito commette, entro
cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un delitto colposo per il
quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni”.
Una particolare considerazione merita la circostanza che tale provvedimento di
indulto sia stato emesso senza la contemporanea concessione di una amnistia140.
Malgrado la finalità della recente concessione di clemenza consista unicamente nella
declamata volontà di migliorare le condizioni di detenzione negli istituti presenti sul
territorio nazionale, vi è chi a fatica comprende la ragione per cui nulla è stato fatto per
evitare di “appesantire inutilmente il carico dei processi sugli uffici giudiziari”141.
Vero è che, sul piano strettamente giuridico, i due istituti di clemenza collettiva
hanno una propria autosufficienza in ragione della diversità dei loro effetti estintivi142.
Ciò nonostante, raramente143 essi sono stati impiegati separatamente, a motivo della loro
“complementarietà strategica, che, viceversa, entra in cortocircuito quando manca una
loro contestuale approvazione parlamentare”144. Gli uffici inquirenti e giudicanti, infatti,
non ricevono alcun giovamento dall’indulto, ed al contrario si trovano a celebrare una
immensa quantità di processi 145 che non porteranno comunque ad una pena in concreto
da espiare146; inoltre, si determina inevitabilmente un ritardo di tutti i processi, e in
particolare di quelli per cui la pena dovrebbe effettivamente essere scontata, con il
op. cit., p. 188), su cui v. infra questo paragrafo. In verità, prosegue l’Autore, l’ammonimento insito in
tale disposizione vacilla laddove si consideri la posizione degli stranieri privi di permesso di soggiorno:
una volta usciti dal carcere difficilmente potranno essere rintracciati in caso di ulteriore violazione della
legge penale, senza il loro arresto in flagranza.
140
Gli articoli ad essa dedicati non riescono a raggiungere il quorum necessario all’emanazione.
Conseguentemente, ne viene deliberato lo stralcio in Assemblea, nella seduta pomeridiana del 18 luglio
2006.
141
POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 186.
142
Su tale considerazione si fonda la non necessarietà dell’amnistia sostenuta da Onida in JOCTEAU G.,
Intervista a Valerio Onida, op. cit., p. 93.
143
Cfr., in tempi relativamente recenti, il d.P.R. n. 392/1980 concessivo della sola amnistia. Nel 1990,
seppure contestuali, i provvedimenti di amnistia ed indulto sono stati emessi a distanza l’uno dall’altro di
soli otto mesi.
144
V. PUGIOTTO A., Dopo l’indulto del 2006: tornare a riformare l’art. 79 della Costituzione, op. cit., p.
302.
145
Stimata nell’80-90% del totale, poiché a tale percentuale solitamente ammontano le condanne
comportanti una pena inferiore ai tre anni di reclusione, e pertanto interamente coperte dall’indulto (v.
COZZI F., Concessione di indulto: le novità della legge, in Rivista italiana di diritto e procedura penale,
2007, I, p. 31). Sul punto v. altresì CHIAVARIO M., Un ritorno alla vera politica della giustizia contro la
tentazione di misure tampone, in Guida al diritto, 2006, n. 46, p. 11. Parimenti motivata la richiesta di
una concessione di amnistia proveniente dal Consiglio Superiore della Magistratura, v. la Risoluzione in
tema di indulto, adottata dall’Assemblea plenaria del CSM nella seduta del 9 novembre 2006, e
consultabile in www. csm.it, oppure in Guida al Diritto, 2006, n. 45, p. 82 ss.
146
Se non nelle ipotesi di successiva revoca dell’indulto.
160
rischio concreto di “consegnare i processi alla estinzione del reato per prescrizione
prima ancora che alla estinzione della pena per indulto”147.
A questi rilievi, si è tuttavia replicato che i processi comunque celebrati
manterrebbero uno scopo di prim’ordine: l’irrogazione delle pene accessorie148, il
risarcimento del danno, e – più importante fra tutti da un punto di vista sociale –
l’accertamento della responsabilità penale intorno a fatti che sarebbero invece coperti
dall’effetto fulminante dell’amnistia149.
Veniamo ora a trattare del delicato aspetto dell’impatto dell’indulto, da un punto
di vista quantitativo, sulla realtà carceraria150.
Nel corso del mese di agosto 2006, in soli trenta giorni di applicazione del
beneficio, sono state scarcerate per effetto dell’indulto 16.568 persone, cifra che al 21
novembre 2006 risulta essere cresciuta sino a 17.455151. Risulta necessaria a tale punto
una precisazione in merito a tali dati, poiché risultano palesemente discordanti da quelli,
pur esatti, desumibili da altre fonti, inscenando così quello che è stato definito “il
balletto dei numeri”152.
Una prima contestazione riguarda la stima governativa che accompagna l’iter
parlamentare della legge, e che fissa a 12.756 il numero degli scarcerati per effetto della
applicazione “immediata e diretta”153 dell’atto di clemenza, discostandosi dalla
previsione, stilata al momento della concessione del provvedimento, pari a 15.470 unità.
Comprensibile, considerata la rilevante differenza, la reazione di coloro che hanno visto
in tale discrasia la copertura di una menzogna al fine di ottenere i voti necessari
all’emanazione. Molto meno suggestiva la spiegazione in cifre di tale differenza: 2.714
è l’esatto numero di soggetti detenuti in espiazione di pena che hanno maturato il
147
A maggior ragione se considerato il concomitante dispiegarsi della riduzione dei termini della
prescrizione apportati dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. legge ex-Cirielli), v. COZZI F.,
Concessione di indulto: le novità della legge, op. cit., p. 31.
148
Che la legge n. 241/2006 non intacca.
149
Come sottolinea Onida, “l’accertamento penale ha una sua funzione sociale importante e anche un
aspetto repressivo e preventivo, poiché la sentenza di condanna rimane, anche qualora la pena non venga
scontata” (in JOCTEAU G., Intervista, op. cit., p. 93).
150
Tutte le cifre che compaiono nel testo da questo momento in poi, sono da ritenersi tratte, salvo diversa
precisazione, dalle statistiche ufficiali D.A.P., direttamente o tramite l’elaborazione di esse fornita in
occasione della citata audizione del Ministro Mastella davanti alle commissioni Affari Costituzionali e
Giustizia, in data 21 novembre 2006.
151
Così suddivisi: 514 nel mese di settembre, 292, nel mese di ottobre, 81 dal 1° al 15 di novembre.
152
V. PUGIOTTO A., Dopo l’indulto del 2006: tornare a riformare l’art. 79 della Costituzione, op. cit., p.
290.
153
La citazione è del Sottosegretario Manconi, in occasione della seduta del Senato in data 28 luglio
2006, n. 21.
161
requisito necessario alla scarcerazione nel periodo compreso tra la prima formulazione
del dato e l’ultima. Nessun tentativo da parte del Governo, dunque, di indurre in errore
il Parlamento, solamente la difficoltà di reperire dati precisi intorno ad una cifra, quella
delle presenze in carcere, tutt’altro che stabile.
Una seconda querelle viene inscenata a metà del mese di novembre: a dispetto
della cifra di 24.543 scarcerati riferita dalla Sottosegretaria Melchiorre, 17.455 è il dato
ufficialmente comunicato dal Ministro in data 21 novembre 2006. Come si vedrà, i conti
tornano, rivelando “la natura strumentale delle polemiche”154. E’ lo stesso Mastella a
fornire le dovute delucidazioni in merito alla questione, affermando di essersi “sempre
riferito alle stime concernenti il numero di coloro che sarebbero usciti dal carcere
immediatamente dopo l’applicazione della legge, puramente e semplicemente per
diretta applicazione dell’indulto”155. Ciò significa che, tanto nelle stime ufficiali
iniziali, quanto in quelle successive, non sono stati considerati due importanti fattori: in
primo luogo il fatto che le Procure avrebbero applicato l’indulto anche a detenuti in
stato di custodia cautelare e ad appellanti o ricorrenti; in secondo luogo il numero di
coloro che grazie alla riduzione di pena hanno raggiunto la soglia necessaria per
accedere ad una misura alternativa che consentisse loro di lasciare il carcere156. Se si
considera, dunque, che dal 1° agosto al 14 novembre sono stati scarcerati essendo in
custodia cautelare 7.178 persone, si ottiene una cifra che si avvicina di molto all’altra157.
Successivamente alla data del 21 novembre 2006 non disponiamo di dati
ufficiali158 circa il numero esatto dei soggetti scarcerati per effetto diretto del
provvedimento di indulto, ma risulta comunque possibile effettuare una panoramica
sulla successiva situazione carceraria italiana, alla luce dei dati forniti dal Ministero
della Giustizia circa le presenze registrate nei vari istituti.
Alla data del 31 novembre 2006, gli istituti carcerari italiani contano
complessivamente 39.354 detenuti, che a fine anno calano a 39.005, per poi
154
Dettagliato il rendiconto presentato da PUGIOTTO A., Dopo l’indulto del 2006: tornare a riformare
l’art. 79 della Costituzione, op. cit., p. 290 ss.
155
Audizione del ministro della Giustizia Clemente Mastella davanti alle commissioni Affari
Costituzionali e Giustizia sull’applicazione e gli effetti della legge sull’indulto, Senato della Repubblica,
21 novembre 2006, cit.
156
Ampiamente sul punto v. GONNELLA P., Gli effetti dell’indulto, in Italia Oggi, 5 settembre 2006.
157
Come sottolinea PUGIOTTO A., Dopo l’indulto del 2006: tornare a riformare l’art. 79 della
Costituzione, op. cit., p. 291, è pressoché impossibile ottenere una coincidenza aritmetica di tali calcoli,
considerato l’inevitabile variare dei soggetti conteggiati.
158
L’Associazione Antigone afferma che alla data del 31 gennaio 2007 il numero complessivo degli
indultati ammonta a 25.563 unità.
162
intraprendere nell’anno 2007 un definitivo trend di crescita. Al 30 giugno 2007 si
contano 43.957, una cifra di già superiore, seppure di poco, alla regolare capienza degli
edifici159. La situazione, come è naturale, procede in tale direzione, e se nel mese di
dicembre il dato riferisce di 48.693 detenuti, alla fine di giugno 2008160 le carceri
registrano la presenza di ben 55.057 persone.
Si può pertanto affermare che a distanza di due anni esatti dall’ultimo atto di
clemenza, sebbene la situazione non sia tornata esattamente al punto di partenza, la
condizione di sovraffollamento che da sola aveva determinato la concessione di indulto
è prossima a ripresentarsi in tutta la sua urgenza. Mentre “gli effetti dell’indulto
dureranno almeno 25 anni”161, una soluzione al problema della capienza delle carceri va
necessariamente cercata in un futuro più prossimo.
In conclusione di paragrafo, uno sguardo generale alle opinioni suscitate prima e
dopo la concessione dell’indulto con legge n. 241/2006, in primo luogo tra i comuni
cittadini, e successivamente in seno alla dottrina.
Le conoscenze della popolazione, relative all’area della penalità e della giustizia,
derivano per la quasi totalità dal sistema di informazione, e sebbene non sia questa la
sede più idonea per indagare a fondo il rapporto esistente tra il fenomeno criminoso e la
percezione di esso, che può risultare mediata dai più diversi fattori, ci concediamo di
aderire alla affermazione per cui “il sistema mediatico (...) ha un enorme potere di
condizionamento delle scelte sociali e delle decisioni politiche”162. Quale dato tangibile
dell’efficacia di una tale influenza si vedano, in stretto rapporto di correlazione causaeffetto, gli articoli di giornale pubblicati sui vari aspetti dell’argomento163 ed il risultato
della indagine condotta dal CENSIS in tema di gradimento del provvedimento di
indulto: la consolidata tendenza dei media a presentare l’indulto quale fonte di
turbamento dell’ordine pubblico e di aumento della criminalità ha avuto quale esito che,
a gennaio 2007, solamente il 14% dei cittadini condivideva il provvedimento nella
forma in cui è stato realizzato164.
159
Limite superato, per l’esattezza, tra il 31 marzo (41.995 unità), ed il 30 aprile (42.533 unità).
Ultimo dato ufficiale attualmente disponibile.
161
V. le previsioni effettuate da MARIETTI S., I numeri dell’indulto, in Antigone, 2006, III, p. 13 ss.
162
Cfr. CASELLA A. – MASSARI L., Indulto 2006. Una ragionevole speranza per una ragionata clemenza,
op. cit., p. 179, e l’ivi citata bibliografia di stampo sociologico e criminologico.
163
Per una efficace rassegna stampa, v. BLENGINO C. – TORRENTE G., “La banda degli indultati”: una
ricerca sulla stampa quotidiana, in Antigone, 2006, III, p. 66 ss.
164
Mentre il 66% è contrario. V. CENSIS, 40° Rapporto annuale sulla situazione del Paese 2006,
160
163
La dottrina fornisce un giudizio unanime sul recente indulto, che viene
variamente definito con formule che variano da “provvedimento tappabuchi”165, a
“rimedio una tantum, che cura i sintomi senza però toccare le cause della malattia”166.
In realtà una tale introduzione potrebbe risultare fuorviante, considerato che non viene
sindacata la legittimità di un provvedimento che ha superato, dopo oltre tre lustri,
l’elevato sbarramento introdotto nel 1992, né viene in alcun modo minimizzata la
problematica del sovraffollamento carcerario che ha condotto all’emanazione del
beneficio.
Allo stato dei fatti, l’indulto era certamente inevitabile, tanto che le critiche
sollevate in questi ultimi due anni vertono non sul provvedimento in sé e per sé, quanto
sull’utilizzo che di esso è stato e sarà fatto nella cornice dell’attuale sistema penale e
penitenziario. Ciò nonostante, la constatazione che di fronte ad una problematica non
nuova quale quella delle carceri che “scoppiano” si prediliga una misura emergenziale
quale la clemenza, piuttosto che ricorrere ad “una politica davvero globale della
giustizia”167, ha portato vari esponenti del panorama giuridico italiano a rendere nota la
loro opinione in merito al presente e le loro proposte riguardo al futuro.
In primo luogo, i provvedimenti di amnistia ed indulto, e parimenti la grazia,
non sono “una reale alternativa a leggi e a politiche di repressione oltranzista, ma un
ritaglio occasionale (e discriminatorio) di spazi di non applicazione di un sistema
repressivo che non si sa o non si vuole modificare”168. Di conseguenza, vi è chi ha
sostenuto che la primaria soluzione consista in una generale rivisitazione del codice
penale del 1930, alla volta del “mitico traguardo del diritto penale minimo”169, vale a
dire al fine di restringere il più possibile il campo d’applicazione e la misura delle pene
detentive170.
Milano, 2007, p. 632.
165
V. CHIAVARIO M., Un ritorno alla vera politica della giustizia contro la tentazione di misure tampone,
op. cit., p. 11.
166
Così FELICI E., Alcune osservazioni sul recente indulto e sui suoi profili applicativi, op. cit., p. 243 ss.
167
In tali termini CHIAVARIO M., Un ritorno alla vera politica della giustizia contro la tentazione di
misure tampone, op. cit., p. 11. Sul punto v. altresì il contributo di PULITANÒ D., “Seduzioni” e costi della
clemenza, op. cit., p. 1063, il quale afferma che “affrontare i problemi della giustizia penale e del carcere,
in un’ottica puramente emergenziale, significa acconciarsi al diritto vigente e alla situazione esistente,
così come sono, con tutte le loro storture”.
168
V. PULITANÒ D., “Seduzioni” e costi della clemenza, op. cit., p. 1063.
169
Così FRIGO G., Un mezzo eccezionale in attesa delle riforme, op. cit., p. 29.
170
Cfr. PULITANÒ D., “Seduzioni” e costi della clemenza, op. cit., p. 1065; di medesimo avviso FIORIO C.,
Variazioni sull’indulto: alibi per parlar d’altro, in Antigone, 2006, III, p. 58, laddove sostiene la
necessarietà di “una drastica riduzione d’incidenza del penale”, circoscrivendo l’ambito della pena
164
Oggetto di necessaria – o quanto meno desiderata – riforma risultano essere
provvedimenti notevolmente più recenti, quali la legge Bossi-Fini171, n tema di
immigrazione, e la Giovanardi172, in materia di stupefacenti, che comportano un
“eccesso di carcerazione” che ben potrebbe essere sostituito dalla adeguata applicazione
di misure alternative alla detenzione: “per chi delinque in modo occasionale e non grave
è sicuramente preferibile il ricorso alle misure alternativa alla detenzione”173.
In terzo luogo, risultano da potenziare le misure alternative alla detenzione e
sostitutive delle pene detentive brevi, che seppure apportano un effetto deflattivo
solamente parziale e temporaneo, nondimeno sono più accettabili, poiché meno radicali
negli effetti, di una misura clemenziale174.
Ultima proposta, in realtà meno fortunata delle precedenti, è la via dell’edilizia
carceraria, la creazione ‘fisica’ di nuovi posti all’interno delle carceri. Tale soluzione è
stata ampiamente criticata, dapprima per il fatto che necessita, inevitabilmente, di tempi
lunghi, ed inoltre per la diffusa convinzione che “l’attivazione di nuovi posti, nel brevemedio temine, lungi dal produrre un decremento dello stato di sovraffollamento, induce
un incremento della popolazione reclusa, con il conseguente mantenimento, o
addirittura con un peggioramento, degli standard di sovraffollamento”175.
2.3 L’utilizzo del beneficio della grazia.
Appare corretto qualificare la grazia quale strumento di clemenza di carattere
detentiva ad un nocciolo duro di fatti lesivi di beni giuridici primari; v. inoltre Onida, in JOCTEAU G.,
Intervista, op. cit., p. 92, laddove auspica la depenalizzazione di condotte che non meritano di essere
represse con la sanzione penale; ed ancora quanto la formula utilizzata da Giuliano Pisapia in una
intervista comparsa ne Il Giornale, in data 11 settembre 2006, “meno reati e meno carcere”.
171
Legge 30 luglio 2002, n. 189, che da sola nel corso dell’anno 2005 ha provocato l’ingresso in carcere
di 13.650 persone, ad 11.519 delle quali è stata contestata, come unico reato, la violazione della
disposizioni sull’obbligo di espulsione. Sul punto v. TAFURI S., Alcune considerazioni sulle misure
alternative alla carcerazione tra sanzioni penali e indulto, op. cit., p. 55; CASELLA A. – MASSARI L.,
Indulto 2006. Una ragionevole speranza per una ragionata clemenza, op. cit., p. 182.
172
Legge 21 febbraio 2006, n. 49, che in quanto a sovraccarichi penitenziari non si discosta dalla BossiFini.
173
Così CASELLA A. – MASSARI L., Indulto 2006. Una ragionevole speranza per una ragionata clemenza,
op. cit., p. 182.
174
Ampiamente sul tema DURIGATO L., Deflazione carceraria e adozione di misure alternative:
opportunità e aporie di un difficile rapporto, in Indice penale, 2002, II, p. 1019 ss. Concordano altresì
FRIGO G., Un mezzo eccezionale in attesa delle riforme, op. cit., p. 29; MARCHESELLI A., Con lo sconto
automatico per i recidivi un’inversione di rotta dalla ex Cirielli, op. cit., p. 26.
175
Così Audizione del ministro della Giustizia Clemente Mastella davanti alle commissioni Affari
Costituzionali e Giustizia sull’applicazione e gli effetti della legge sull’indulto, Senato della Repubblica,
21 novembre 2006, in www. giustizia.it.
165
“assolutamente eccezionale”176, considerata la sua attitudine ad introdurre “una sorta di
eccezione singolare” rispetto alle norme di legge che regolano l’esecuzione delle
sentenze penali di condanna177. Tale deroga alla normale operatività del sistema
giuridico deve essere motivata dalla tutela o perseguimento di “valori che l’ordinamento
assume come superiori addirittura al principio di legalità, e quindi come suscettibili di
operare un superamento in casi singoli della portata generale della legge”178.
Ciò che tuttavia colpisce nella prassi italiana di concessione del provvedimento,
è l’altissimo numero degli atti di clemenza individuali raggiunto annualmente.
Negli anni 1908 e 1909, ad esempio, la cifra totale è di 4000 grazie concesse,
mentre nel successivo 1910 si raggiunge il numero record di più di 5000 provvedimenti.
Successivamente alla instaurazione della Repubblica, come abbiamo anticipato179, tali
cifre si assestano intorno a soglie meno preoccupanti, seppure ancora elevate. Le
quantità massime si registrano nell’anno 1961 (2489) e 1962 (2475), mentre negli altri
anni raramente è stata superata la soglia dei 2000 decreti180. E’ stato calcolato che dal
1950 al 2004 sono stati concessi circa 47.800 provvedimenti di grazia, vale a dire, in
media, circa 900 provvedimenti annui181.
Cifre quali quelle appena presentate dipingono un quadro in cui il ricorso alla
clemenza è assai frequente, e tutt’altro che eccezionale, sino a diventare “uno strumento
di impiego comune, tale da incidere profondamente sull’amministrazione stessa della
giustizia penale”182. Al punto che una parte della dottrina è giunta, addirittura, ad
affermare che un tale ripetersi sia da un lato “sintomo della disfunzione della legge
penale e processuale, dall’altro dello snaturamento dell’istituto stesso, assimilabile, per
176
Cfr. AMBROSINI G., voce Grazia, op. cit., p. 45.
Così ZAGREBELSKY G., Amnistia, indulto e grazia, op. cit., p. 178.
178
ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 767. Le esigenze in tal modo perseguite
possono consistere nello scopo di “eliminare le conseguenze ritenute chiaramente contrastanti con il
comune senso della giustizia”, oppure di “perseguire la pace sociale” che sia stata straordinariamente
messa in pericolo dalla esecuzione di una sentenza di condanna.
179
Valga quale introduzione generale quanto affermato supra, par. 1.
180
Per tali cifre v. ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 767, testo e nota 44. Sebbene la
concessione della grazia sia assolutamente discrezionale e facoltativa, ciò non significa che il maggiore o
minore ricorso ad essa sia avulso da una qualsiasi logica o riferimento agli accadimenti sociali. E’ ciò che
sostiene ZAGREBELSKY G., op. cit., p. 767, il quale rileva come le rilevanti flessioni rilevabili in
determinati anni non siano l’espressione di una tendenza restrittiva, quanto piuttosto siano da imputare
alla applicazione prossima o concomitante di provvedimenti generali di indulto.
181
Sul punto ROMBOLI R., op. cit., p. 2919. Degna di nota è la flessione nella concessione cui si assiste a
partire dagli anni ottanta, sino ad arrivare al Presidente Ciampi (ultimo dato rilevato dall’Autore) che alla
data del 31 dicembre 2004, nonostante in carica dal 18 maggio 1999, ha firmato solamente 85
provvedimenti.
182
In tali termini ZAGREBELSKY G., voce Grazia (dir. cost.), op. cit., p. 767.
177
166
certi versi, ad una sorta di «quarto grado» del giudizio”183.
Inoltre, mentre altri Autori obiettavano come la frequenza del ricorso alla grazia
sia, invece, “prova dell’effettiva funzionalità della stessa non solo quale strumento di
perdono e di recupero del reo, ma anche di ricomposizione sociale”184, è stato altresì
considerato che una tale assiduità nelle concessioni avrebbe potuto “dare luogo ad un
aggiramento di fatto dell’art. 79 Cost.”, che, è risaputo, prevede un procedimento di
emanazione aggravato, calibrato sulle conseguenze tipiche – teoricamente maggiori –
prodotte dagli istituti di clemenza collettiva. L’emanazione ripetuta di atti individuali
può dare luogo ad una situazione analoga a quella dell’emanazione di un atto a
contenuto generale, pur avendo saltato a piè pari le fasi obbligatorie del procedimento
previsto dalla Carta costituzionale.
Una preoccupazione, questa, in realtà secondaria rispetto alle tematiche a suo
tempo affrontate in tema di clemenza collettiva, considerato anche il minore interesse
generalmente suscitato da tali atti presidenziali. Eccezion fatta per alcune concessioni
nei confronti di destinatari ‘autorevoli’, la grazia definibile ‘comune’ passa
quotidianamente inosservata. Basti pensare che nel 2002, nel pieno del dibattito per la
concessione del beneficio ad Adriano Sofri, sono state istruite altre 1066 pratiche di
grazia185, delle quali, tuttavia, non resta memoria.
Risulta evidente come, a fronte di un numero complessivo di provvedimenti che
si aggira intorno ai 50.000, una adeguata analisi di essi186 si riveli impossibile. Allo
stato dei fatti, pertanto, si è scelto di limitarsi ad una presentazione di alcuni decreti, più
o meno noti al pubblico, allo scopo di ricondurli alle tre categorie generali nelle quali è
stato suddiviso l’esercizio del potere di grazia187.
Così, sembrano rientrare tra le grazie concesse per ragioni politiche quella
concessa ai terroristi libici, quelle sollecitate dal Ministro Adolfo Sarti al fine di
risolvere i problemi di sovraffollamento delle carcere, quelle concesse sulla base del
titolo di reato, anziché dei profili soggettivi degli autori, e quelle concesse perché in
183
Di tale parere AMBROSINI G., voce Grazia, op. cit., p. 45.
Per tutti POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 207, il quale valuta una “forzatura”
l’affermazione appena riportata circa il presunto ‘snaturamento’: “non v’è dubbio che il ricorso alla grazia
sia frequente, ma tale frequenza non sembra stravolgere o anche solo modificare la natura o l’ambito di
operatività dell’istituto”.
185
Dato tratto da POMANTI P., I provvedimenti di clemenza, op. cit., p. 207.
186
Al pari di quella a suo tempo condotta in tema di amnistia ed indulto.
187
V. supra cap. III, par. 1, testo e nota 18.
184
167
linea con i progetti di legge presentati dal governo188.
E’ invece da considerarsi retta da motivi di giustizia sostanziale la grazia
concessa a Mario Caruso (Presidenza Pertini), un giovane condannato nel dicembre
1979 per l’omicidio del ‘padre-padrone’. Allo stesso modo vanno classificate la
concessione
del
beneficio
a
Cinzia
Merlonghi
(Presidenza
Scalfaro),
ex
tossicodipendente condannata a cinque anni e sette mesi di reclusione per spaccio e
rapine, quale riconoscimento dell’attività prestata quale operatore in un gruppo di
sostegno per il recupero di chi si droga, ed il caso Spinelli (Presidenza Saragat), che ha
visto la concessione della grazia ad un padre di famiglia, incarcerato poiché non ritenuta
valida una precedente grazia concessagli in Jugoslavia da Tito, su richiesta della figlia
incontrata dal Presidente in occasione di una inaugurazione. Ancora, altro caso già noto,
la concessione di grazia a Giordana Michelini (Presidenza Leone) che, per evitare una
condanna di otto mesi di reclusione inflitta per bancarotta, faceva un figlio ad ogni
istanza di grazia, ripetendo l’insolita, ma efficace, “procedura” quando la domanda
veniva respinta.
Sotto l’egida del principio della funzione rieducativa della pena, infine, può
rientrare il maggior numero delle ipotesi, quelle più anonime, il cui più eclatante
esempio sono le grazie ‘necessarie’189 concesse durante la Presidenza Einaudi. Tali
provvedimenti risultano unificati dal fatto che sono fondati “su un motivo serio, che i
giuristi chiamano della par condicio”190, del quale paradigmatico esempio si è verificato
nelle ipotesi di reati commessi da tedeschi e camicie nere nel periodo della guerra
partigiana. Il “compagno d’eccidio”, colpevole anche di atrocità maggiori di quelle
commesse dal graziando, spesso si trovava già in libertà, per effetto di amnistie, di
ricorsi tempestivi, o di una più abile difesa, con il risultato che la permanenza in carcere
del correo si sarebbe rivelata una ingiustizia, priva di qualsivoglia efficacia rieducativa
o risocializzante191.
188
Sul punto v. ROMBOLI R., op. cit., p. 2921.
Così definite da PISANI M., Dossier sul potere di grazia, p. 98. All’opera di tale Autore si rimanda
altresì per una più ampia casistica in tema di concessioni della grazia, ivi ricostruita mediante una sorta di
collage di fonti, tra le quali compaiono brani della dottrina penalistica o giuspubblicistica, documenti
ministeriali, commenti apparsi sulla stampa e resoconti parlamentari.
190
EINAUDI L., Di alcune usanze non protocollari attinenti alla presidenza della Repubblica italiana, cit.
in PISANI M., Dossier sul potere di grazia, p. 99.
191
Si veda altresì l’esempio, sempre prospettato da EINAUDI L., in PISANI M., Dossier sul potere di
grazia, p. 98, l’ipotesi della conversione in pena detentiva della inflitta pena pecuniaria laddove il
condannato si trovi nella impossibilità di pagare tale somma. Oltre ad essere causa di un inutile
189
168
3. Clemenza e recidivismo.
La maggiore preoccupazione che da sempre accompagna l’emanazione di
provvedimenti di clemenza, riguarda il loro presunto effetto criminogeno, che
rappresenterebbe un fattore di rischio per la sicurezza dei cittadini. Nonostante la
prospettazione di questa accusa si verifichi regolarmente, emerge sin da una analisi
superficiale come “tale rappresentazione non sia suffragata da alcun dato scientifico
relativo all’impatto” del provvedimento di clemenza192.
Abbiamo già accennato alle potenzialità proprie degli organi di informazione in
tema di influenza dell’opinione pubblica, che si realizza mediante l’imposizione di
questioni che, attraverso il passaggio ripetuto nel circuito mediatico, finiscono con
l’assumere carattere di ‘realtà’. Se a tale constatazione aggiungiamo quanto verificatosi
in occasione dell’ultimo indulto, vale a dire “l’enfatizzazione dei fatti di cronaca che
hanno avuto come protagonisti soggetti che hanno usufruito del provvedimento”193, si
ottiene quale risultato la diffusa convinzione che gran parte delle persone scarcerate
avrebbe nel giro di poco tempo ripreso a commettere reati e sarebbe tornata ad affollare
i penitenziari italiani.
Risulta quanto mai opportuno, pertanto, un giudizio espresso in cifre. I dati
ufficiali forniti dal Ministero rendono noto che alla data del 15 novembre 2006 sono
rientrate in carcere 1.715 persone tra quelle scarcerate a seguito del provvedimento194,
dato che espresso in percentuale si aggirerebbe intorno al 7% del totale. La sterilità di
tale dato risulta tuttavia evidente, poiché senza un opportuno inquadramento di esso
all’interno di una prospettiva più ampia non ci è dato sapere se sia nella norma oppure
affollamento delle carceri, una tale soluzione si presenta ugualmente contraria al fondamentale principio
di cui sopra.
192
Così JOCTEAU G. – TORRENTE G., Indulto e recidiva. Uno studio dopo sei mesi dall’approvazione del
provvedimento, in Antigone. Quadrimestrale di critica del sistema penale e penitenziario, 2007, I, p. 3.
193
Così JOCTEAU G. – TORRENTE G., Indulto e recidiva, op. cit., p. 2.
194
Provvedimento che, lo ricordiamo, è condizionato. La legge contiene infatti la previsione
dell’obbligatoria revoca del beneficio, e del reingresso in carcere, laddove entro il termine di cinque anni,
chi ne ha usufruito commetta un delitto colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non
inferiore a due anni. Tale dato ministeriale andrebbe in realtà ridimensionato, poiché il numero di coloro
che risultano arrestati in flagranza di reato è pari a ‘soli’ 1.421. Gli altri soggetti sono rientrati in carcere a
seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria riguardanti reati commessi prima della concessione
dell’indulto, e conseguentemente non attestano una recidiva rispetto alla data di concessione dell’indulto.
Cfr. PUGIOTTO A., Dopo l’indulto del 2006: tornare a riformare l’art. 79 della Costituzione, op. cit., p.
293.
169
no, ed in tale ultimo caso se sia una cifra positiva oppure negativa195.
Constatata la mancanza di pubblicazioni ufficiali sull’argomento, facciamo
ricorso ai risultati della ricerca in tema di indulto e recidiva196 condotta dalla
Associazione Antigone a distanza di sei mesi dall’approvazione del provvedimento197,
la quale, in parte, fonda il proprio studio sulla ricerca effettuata quasi trent’anni prima
dal Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale198.
Nell’oggetto di quest’ultima ricerca rientrano solamente i soggetti beneficiari di
amnistia impropria199, indulto e grazia; le ipotesi formulate nel campo di indagine,
destinate ad essere verificate, sono: a) se l’applicazione dei benefici di clemenza
generalizzati riduca la disponibilità dei condannati alla recidiva; b) se, al contrario, essa
abbia effetti negativi, con il risultato della formazione dell’opinione di un diminuito
rischio del delitto; c) se gli effetti siano, invece, irrilevanti; d) quale influenza abbia, tra
quelle prospettate, la concessione della grazia; e) se vi siano diversità di effetti tra
l’applicazione dei benefici collettivi e quella dei benefici individuali200.
Accantonata momentaneamente la questione della grazia201, il punto da subito
chiarito dal Centro Nazionale riguarda l’accertata influenza dei provvedimenti sul
numero dei reati denunciati nel periodo immediatamente successivo alla loro
concessione.
195
Anche se pare possibile un azzardo, pur da profani, in direzione della lettura della citata percentuale in
chiave positiva, poiché la ritroviamo in dottrina presentata con toni che esprimono soddisfazione. V. ad
esempio CASELLA A. – MASSARI L., Indulto 2006. Una ragionevole speranza per una ragionata
clemenza, op. cit., p. 185; PUGIOTTO A., Dopo l’indulto del 2006: tornare a riformare l’art. 79 della
Costituzione, op. cit., p. 293.
196
Occorre naturalmente precisare che nel parlare di recidiva non si intende fare riferimento al concetto
tecnico di declaratoria di recidiva, la quale presuppone una sentenza di condanna nei confronti delle
persone arrestate, quanto piuttosto il semplice reingresso in carcere di soggetti che hanno usufruito del
provvedimento di clemenza.
197
JOCTEAU G. – TORRENTE G., Indulto e recidiva, op. cit.
198
AA. VV., Benefici di clemenza e il recidivismo. Risultati della ricerca sul tema: «Effetti dell’amnistia,
del condono e della grazia in relazione al recidivismo», Roma, 1978. I lavori concernenti analisi
quantitative sul tema della recidiva sono estremamente esigui, e tale volume rappresenta probabilmente lo
studio più dettagliato effettuato in Italia sull’argomento.
199
La ricerca non è stata estesa all’amnistia impropria per non incorrere in una violazione della
fondamentale presunzione di non colpevolezza, ex art. 27 Cost., considerato che tale tipologia di amnistia
interviene anteriormente alla pronuncia di sentenza, ed il mancato esaurimento dell’iter processuale di
cognizione impedisce di acquisire un dato essenziale quale l’accertamento della colpevolezza del
soggetto. Cfr. Benefici di clemenza e il recidivismo, op. cit., p. 2.
200
In sintesi, quanto prospettato in Benefici di clemenza e il recidivismo, op. cit., p. 133.
201
Dal momento che “l’incidenza statistica delle grazie è di gran lunga inferiore a quella delle concessioni
di amnistie ed indulti” (op. ult. cit., p. 3), e che i provvedimenti di clemenza individuali vengono concessi
continuativamente, ogni anno, ogni mese, e persino, in media, ogni giorno (v. supra par 2.3: dal 1950 al
2004 circa 900 atti all’anno).
170
Dati alla mano202, nel periodo compreso tra il 1951 ed il 1973 si registrano due
tendenze di segno contrario: ad una iniziale flessione di tale cifra, registrata sino al
1955, eccezion fatta per l’anno 1954 in cui si verifica una brusca impennata del 12. 4%,
in corrispondenza del d.P.R. n. 922/1953, si contrappone un aumento quasi costante
negli anni a venire, intervallato da rare flessioni che hanno riguardato gli anni 1962,
1965, 1968. Una interpretazione possibile di tali cifre è la seguente: “il confronto fra i
valori toccati negli anni in cui hanno operato i decreti di amnistia ed indulto e gli indici
di tendenza sopra indicati dimostra che alla emanazione di ciascun provvedimento
segue quasi fatalmente un aumento della criminalità”203.
I provvedimenti di clemenza sembrerebbero, dunque, avere un effetto realmente
criminogeno, sennonché, una volta addentratosi nello studio delle ipotesi enunciate,
mediante l’analisi, prima, di un campione di soggetti – selezionato casualmente –
beneficiari di provvedimenti collettivi, in relazione a fattori quali il sesso, l’età, i
precedenti penali, il titolo di reato indicato nella sentenza di condanna, e la diversa
sottoposizione all’amnistia ovvero all’indulto; e poi di soggetti graziati, svolta in
relazione pressoché ai medesimi fattori, il risultato cui si perviene è differente. Tanto la
grazia, quanto l’amnistia e l’indulto esercitano indubbiamente una certa influenza sul
recidivismo, nel senso di “potenziare la criminoresistenza di coloro che avevano una
scarsa predisposizione a delinquere ed erano caduti nel reato in situazioni occasionali e
di ridurre l’efficacia deterrente della comminatoria penale nei confronti di coloro che
invece avevano acquisito, attraverso le loro esperienze di vita, l’assuefazione ai
comportamenti illeciti”204.
Conclusione, questa, che in realtà dice al contempo tutto e niente, in quanto non
risulta in grado né di dare per certa la sussistenza di una correlazione causa-effetto tra i
benefici e la recidiva, né di escluderla completamente.
La ricerca condotta dall’Associazione Antigone muove proprio da questa nonsoluzione, e si propone di verificare l’ipotesi secondo la quale la ‘ondata di criminalità’
verificatasi nei mesi successivi all’indulto 2006 sia da imputarsi non al provvedimento
stesso, quanto alla “incapacità del sistema penitenziario di interrompere i percorsi
202
Annuari di statistica giudiziaria ISTAT, annate dal 1951 al 1973.
Benefici di clemenza e il recidivismo, op. cit., p. 25.
204
Op. ult. cit., p. 153. Per i risultati delle statistiche stilate in relazione ai singoli fattori d’indagine, si
rimanda al testo citato. Amnistia, indulto e recidivismo, p. 135 ss; Grazia e recidivazione, p. 149 ss.
203
171
criminali dei soggetti che entrano a contatto con la giustizia penale”205.
Lo studio si dilunga in tutta una serie di comparazioni di dati, seguendo lo
schema della precedente ricerca, ed analizza il fenomeno dei reingressi in carcere
utilizzando vari ‘filtri’, tra i quali l’età dei soggetti, il sesso, gli eventuali precedenti
penali, la nazionalità, le modalità di reingresso in carcere, i titoli di reato contestati, la
regione di provenienza e quella di reingresso, e così via206.
Alcuni dei dati emersi durante la ricerca “contribuiscono a sfatare molti dei
luoghi comuni relativi alla criminalità post indulto. In primo luogo risulta che la
popolazione immigrata non sia la maggiore protagonista degli episodi di recidiva
(10,59%), ma anzi vi sia, seppur lieve, una maggiore tendenza al reingresso da parte
degli italiani (12,28%)207. I reati commessi dagli indultati sono in molte occasioni “lo
specchio di situazioni di marginalità sociale piuttosto che di una vera attitudine
criminale”208, testimoniato dal fatto che tra le tipologie di reato di cui sono accusati i
rientrati in carcere primeggiano i reati contro il patrimonio (46,86%), seguiti dai reati
connessi al consumo e alla cessione di sostanze stupefacenti (14,48%).
Ciò che a noi maggiormente interessa, tuttavia, è la scelta operata dagli Autori di
raffrontare il tasso di recidiva calcolato alla data del 16 febbraio 2007, con il tasso di
recidiva ordinario all’interno delle aule giudiziarie del nostro Paese.
Utilizzando come fonte le statistiche giudiziarie ISTAT, che riportano il numero
totale dei condannati in procedimenti penali per ogni anno, e tra questi quanti hanno già
subito una precedente condanna. Dall’ultimo rapporto disponibile, relativo all’anno
205
JOCTEAU G. – TORRENTE G., Indulto e recidiva, op. cit., p. 15.
Anche in questo caso non riportiamo in questa sede ogni singolo risultato, operando un rimando in toto
alla relazione pubblicata sul periodico Antigone, a p. 15 ss.
207
Interessanti sono le istantanee scattate dagli Autori al tipo ‘recidivo italiano’ e al tipo ‘recidivo
straniero’. La prima immagine viene definita dell’italiano marginale: uomo, con età compresa fra i 20 ed
i 44 anni, con diversi precedenti penali alle spalle; i reati commessi non sono di eccessiva gravità, e sono
riconducibili al disagio di cui soffre, pertanto ci tratta di reati contro il patrimonio, oppure di reati
connessi allo stato di tossicodipendenza. Alla luce di ciò il reingresso in carcere non acquista alcun nuovo
significato, e si rivela essere “l’ennesimo fallimento di un’esistenza caratterizzata da un progressivo
degrado”. Il secondo soggetto-tipo è lo straniero privo di permesso di soggiorno: uomo, spesso di
giovane età, non necessariamente con alle spalle una lunga serie di precedenti penali; vive un’esistenza
marginale, aggravata dalla mancanza del permesso di soggiorno; l’ingresso ed il reingresso in carcere
sono dovuti a tale situazione di esclusione, che ne relega “l’esistenza all’interno di circuiti marginali dove
l’adozione di comportamenti devianti costituisca una modalità di sopravvivenza per molti versi
obbligata”. Paradossale l’ipotesi per cui, una volta scarcerato e ricevuto l’ordine di espatrio, venga
arrestato per non aver ottemperato a tale ordine: “il suo reingresso in carcere (...) non si fonda sulla
lesione di diritti altrui, ma semplicemente sulla mancanza di un lavoro regolare dimostrabile” (JOCTEAU
G. – TORRENTE G., Indulto e recidiva, op. cit., p. 38 ss.).
208
JOCTEAU G. – TORRENTE G., Indulto e recidiva, op. cit., p. 38.
206
172
2004209, risulta che circa il 60% dei condannati aveva precedenti penali, mentre “il
numero di persone che ha commesso reati dopo i primi sei mesi dall’approvazione del
provvedimento è relativamente basso e si attesta su di una percentuale assai ridotta”210:
10,16%211.
A ciò si aggiunga il risultato cui si giunge mediante la valutazione delle
statistiche sulla delittuosità relative ai periodi luglio-dicembre 2005 e luglio-dicembre
2006212. Si nota una sostanziale stabilità dei valori, considerato che il numero totale dei
reati subisce un incremento tra i due periodi di riferimento pari allo 0,21%213, rendendo
in tal modo palesemente ingiustificata la reazione dell’opinione pubblica e dei massmedia nel relativo periodo, nel corso del quale è stato puntualmente denunciato un
aumento dei reati nel nostro paese.
209
ISTAT, Annuario di statistiche giudiziarie penali anno 2004, Roma, 2006, p. 265 ss. Si noti quanto sia
variato negli anni il numero di condannati con precedenti: fino al 1985 la percentuale era fissa intorno al
50-55%; nel decennio 1986-1995, nel quale tra l’altro sono stati concessi due provvedimenti di indulto, la
percentuale è diminuita sino al 47%; negli ultimi anni, invece, è sensibilmente aumentata e si aggira
intorno al 60%.
210
JOCTEAU G. – TORRENTE G., Indulto e recidiva, op. cit., p. 37.
211
JOCTEAU G. – TORRENTE G., op. Cit., p. 18, elaborazione su dati ISTAT. La citata percentuale è il
risultato della media tra il tasso di recidiva proprio dei soggetti scarcerati (11, 11%), e quello dei soggetti
che già si trovavano in misura alternativa (6%), ad ulteriore conferma della scarsa funzione risocializzante
che, allo stato dei fatti, è portata a termine dal sistema penitenziario italiano.
212
Numero di denunce per le quali l’autorità giudiziaria ha intrapreso ogni anno l’azione penale. Dati
forniti agli Autori dalla Direzione centrale della Polizia criminale.
213
Nell’ultimo semestre del 2005, i reati ammontano a 1.308.113, mentre negli stessi mesi del 2006 a
1.310.888. Aumenta il numero di omicidi, seppure non significativamente, da 310 a 323. Cresce altresì il
numero di furti e rapine, rispettivamente del 5, 36% e del 14, 66%. Per contro, diminuiscono i reati di
violenza sessuale, associazione per delinquere, sfruttamento della prostituzione, truffa e violazione della
legge sugli stupefacenti.
173
CONCLUSIONI
Questo elaborato è stato concepito e strutturato al fine di fornire una panoramica,
quanto il più possibile completa, sugli strumenti di clemenza previsti dall’ordinamento
penale italiano, vale a dire amnistia, indulto e grazia.
La materia d'esame è stata osservata, al principio, da una prospettiva ‘esterna’,
generale ed astratta, che tenesse in debito conto l’evoluzione storica degli istituti, dagli
albori in epoca romana sino al raggiungimento di quella che risulta essere l'attuale e
comune concezione di essi, nonché l’evoluzione critico-interpretativa del pensiero
giuridico che negli anni si è ad essi dedicato, con un occhio di riguardo al fondamentale
contributo in tal senso apportato da parte del filone costituzionalistico, tanto dottrinale
quanto giurisprudenziale.
In seconda battuta si è lasciato spazio ad una visione di stampo 'codicistico',
mirata a fare luce sulle prescritte modalità di concessione dei suddetti benefici, che ha
prodotto quale risultato una panoramica sulle funzioni e sugli effetti dei singoli istituti,
sulle procedure applicative, e sulle questioni giurisprudenziali emerse negli anni.
Infine, si è rivolto lo sguardo alla prassi italiana di concessione della clemenza.
Più in particolare, selezionato un numero di provvedimenti collettivi ed individuali, si è
cercato di ricavarne matrici comuni, simboli di svolta e linee di sviluppo, al fine di
verificare la rispondenza – o meno – dei canoni qualificanti l’utilizzo concreto degli
istituti con le direttrici generali ed astratte fornite dalla dottrina. E’ questa l’anima, il filo
conduttore dell’intero lavoro che, constatata la legittimità della previsione costituzionale
e codicistica dei provvedimenti, si è soffermato sullo studio dell’uso-abuso che di essi è
stato fatto nel tempo.
A tal fine si è scelto di porre in secondo piano l’analisi della prassi in tema di
grazia, considerata la minore problematicità generalmente connessa ad essa, e di
intraprendere la nostra indagine dall’essenziale problema che riguarda la compatibilità
tra disposizioni incriminatici e disposizioni, invece, sospensive della loro efficacia. In
tema di provvedimenti ad efficacia generale, come abbiamo avuto modo di osservare,
autorevoli costituzionalisti hanno fornito risposta positiva a tale quesito. In sintesi, la
clemenza collettiva risulterebbe legittima unicamente laddove concessa in conformità ai
principi di uguaglianza e ragionevolezza, vale a dire in circostanze eccezionali ed
174
irripetibili (Zagrebelsky) e nel pieno rispetto dei fini perseguiti dall’ordinamento penale
(Gemma).
Dall’analisi successivamente condotta è risultato nondimeno evidente come il
limite così individuato sia stato violato in plurime occasioni, principalmente a causa
della eccessiva frequenza nelle emanazioni – dal 1948 al 1992, lo ricordiamo, un
provvedimento in media ogni due anni – e della scarsa valenza argomentativa delle
motivazioni poste a loro sostegno.
In un tale contesto di generale malcontento interviene, nell’anno 1992, una
importante riforma della Costituzione: la riscrittura dell’art. 79. Ciò allo scopo di
ottenere un utilizzo degli istituti ragionato ed in equilibrio con i requisiti di legittimità
individuati nel ventennio precedente. L’indulto concesso con legge n° 241/2006
rappresenta il primo atto di clemenza collettiva concesso successivamente a tale
innovazione, ed è pertanto parso opportuno trascurare un approccio che riguardasse
entrambe le tipologie di clemenza generale ed incentrare la nostra analisi su tale recente
provvedimento, valutandone non solo il contenuto dispositivo-normativo, ma anche
l’impatto avuto in seno ad una società divenuta negli anni – ben sedici – di astinenza
forzata ad indulti ed amnistie poco avvezza all’indulgenza.
Nel corso del nostro studio sono stati individuati simultaneamente profili positivi
e negativi caratterizzanti vari aspetti di questa ultima scelta compiuta dal legislatore.
Nonostante, infatti, il pieno superamento del prescritto quorum della maggioranza dei
due terzi, il lungo lasso temporale che separa tale provvedimento dal precedente, ed una
motivazione, quella dello sfoltimento delle carceri, che denuncia le pessime condizioni
di vita all’interno dei penitenziari facendosi forte dell’efficacia persuasiva dei numeri
ufficiali forniti dal D.A.P. (61.264 ristretti, a fronte di una regolare capienza di 43.219
unità), è comunque innegabile come in questa occasione sia stata perpetrata l’ennesima
violazione delle condizioni di legittimità individuate da dottrina e giurisprudenza.
Anzitutto, invero, la situazione critica delle carceri italiane non appare assolutamente
eccezionale ed irripetibile, essendo – anzi – addirittura matematicamente prevedibile:
considerando le attuali presenze (55.057 persone), e stimando una crescita annua di
circa mille unità (questa la crescita media annua anteriormente al 2006), in cinque anni
si potrà tornare alla cifra raggiunta nel giugno 2006. Inoltre, nelle circostanze in cui
l’indulto è stato emanato, la legge penale si presentava tutt’altro che inefficace o
175
inidonea, e come tale bisognosa di una momentanea sospensione operata mediante uno
strumento di politica criminale che fosse, invece, teleologicamente orientato. Nelle
circostanze dell’emanazione del recente indulto, difatti, non sussistevano condizioni
sociali tali da giustificare una momentanea sospensione dell’applicazione della legge
penale, con la conseguenza che l’atto di clemenza è risultato non perseguire affatto i
medesimi scopi della normativa generale derogata.
Oltre a ciò, si consideri come in un eventuale elenco dei contra, stilato
relativamente all’indulto del 2006, verrebbero certamente ricompresi tutti gli svantaggi
tipicamente attribuiti ai provvedimenti di clemenza: l’arretramento della legalità causato
da un legislatore ritenuto eccessivamente lassista; una ulteriore scalfittura al paradigma
della pena; la nota discriminazione temporale fra coloro che delinquono entro il limite
temporale fissato dalla legge, e chi dopo; l’ennesima posticipazione di una riforma del
sistema penale, in grado di produrre i medesimi effetti (in termini numerici) di un
indulto sull’ammontare della popolazione carceraria; la vanificazione dell’operato di
forze dell’ordine e magistratura; il puntuale svilimento di tutte le vittime di reato che
vedono rilasciato il ‘proprio’ colpevole.
In seno al dibattito che ha accompagnato dapprima la fase di approvazione, e poi
le prime applicazioni del provvedimento, sono emerse nuove e mirate critiche, da
aggiungersi all’elenco ‘standard’ di giudizi negativi appena presentato. In primo luogo
sono da commentare la fretta con la quale si è proceduto alla stesura del testo, passato
da progetto a legge in soli tre mesi – con il risultato della previsione di esclusioni ed
inclusioni ‘fotocopiate’ dai precedenti decreti, oppure a volte ben lontani dall’essere
comprensibili – nonché l’estensione temporale dell’ambito di applicazione dell’indulto,
il quale comprende tutti i reati commessi sino all’ultimo giorno consentito ex art. 79,
comma 3, Cost., con ciò sminuendo la ratio stessa della norma, che consiste nell’evitare
una sorta di pianificazione del crimine in vista di un ormai certo beneficio.
Questo indulto, inoltre, risulta emanato nonostante la grande maggioranza
dell’opinione pubblica remasse in senso contrario, tra cittadini vivamente preoccupati
per la sicurezza sociale e mass-media che quotidianamente portavano alla ribalta storie
di violenza familiare o crimini violenti cui solo la detenzione aveva posto fine, e che la
scarcerazione, invece, avrebbe reso nuovamente possibili. In verità – seppur dando
credito a dati ufficiali ma elaborati da una unica fonte – riteniamo sia da sfatare il
176
“mito” secondo il quale clemenza significhi meramente indulgenza, ed inoltre porti
necessariamente con sé aumenti di criminalità e metta in libertà soggetti il cui unico
destino è la recidiva. Ciò nonostante, siamo altresì dell’opinione che una tale ‘mossa’
del legislatore avrebbe dovuto essere preceduta ed accompagnata da una adeguata
preparazione delle reazioni dei cittadini – mediante la continuità di un fronte politico
compatto tanto nel momento dell’emanazione quanto in quello della applicazione; una
adeguata illustrazione da parte del governo dei pro e dei contra della concessione; una
presentazione ufficiale della situazione carceraria italiana, in dati e statistiche; la
progettazione di straordinarie misure di accoglienza e reintroduzione nella società dei
neo scarcerati; ecc. – onde evitare, come invece si è verificato, un clima più consono ad
una caccia alla streghe che non alla legittima applicazione di una norma di rango
costituzionale.
Per concludere, è stato da molti sottolineato come la mancata congiunta
concessione di amnistia si proietti inesorabilmente sul futuro della giurisdizione, poiché
– stando alle previsioni del C.S.M. rese note in quel periodo – oltre il 90% dei
procedimenti da celebrarsi alla data del 31 luglio 2006 si potrebbero concludere con
sentenza di condanna destinata ad essere interamente coperta dal condono. Un lavoro di
circa due anni destinato ad essere, almeno in parte, vanificato.
Le critiche ora prospettate, seppure da noi certamente condivise, non sono a
nostro parere sufficienti al fine di condurci tra le fila di coloro che hanno osteggiato il
provvedimento nella sua globalità. I diritti alla dignità ed alla vita ripristinati con
l’indulto sono propriamente diritti fondamentali dell’uomo, ed in quanto tali prioritari di
fronte ad altri. In uno stato emergenziale quale quello dei primi mesi del 2006,
allorquando non residuava il tempo necessario per ricorrere ad altre soluzioni, riteniamo
corretto affermare che l’indulto non solo sia stato una scelta legittima, ma anche –
considerate le cifre – idoneo al raggiungimento del fine preposto.
Per contro, ciò non porti il lettore a credere che ci sentiamo pronti a difendere in
toto il provvedimento, dal momento che, ed è questa la nostra tesi, crediamo che
l’alternativa pro o contro l’indulto banalizzi fortemente il problema, e sia peraltro
impraticabile in quanto, come abbiamo avuto modo di precisare, ci troviamo
inesorabilmente dinnanzi ad una commistione di esiti positivi e negativi. Nelle nostre
conclusioni, dunque, è inevitabile un ‘ma’: il provvedimento ultimo concesso è stato
177
necessario, legittimo ed efficace ma ingiusto. Ciò principalmente a causa del fatto che
un indulto non può essere una seria e definitiva soluzione ai problemi che affliggono i
penitenziari della penisola. Correttamente è stata definita una “misura tampone”, in
quanto scelta dettata unicamente dal poco tempo a disposizione e dalle ottime – seppure
temporanee – garanzie di riuscita. Nonostante gli effetti del provvedimento nel lungo
periodo si produrranno per almeno un ventennio, già attualmente le carceri superano la
regolamentare capienza, e prima che un nuovo indulto si riveli necessario, sarebbe
auspicabile porre rimedio seguendo altre vie.
A tale proposito, sono varie le soluzioni prospettate nel panorama giuridico, e tra
esse scegliamo di sostenere quelle che prevedono una riforma – se non la totale
abrogazione – di leggi quali la cd. Bossi-Fini, riguardante gli immigrati, o la cd.
Giovanardi, in tema di stupefacenti, in modo da ridurne la propensione detentiva ed
aumentare il ricorso a misure alternative al carcere o sostitutive delle pene detentive
brevi. Di pari passo andrebbe condotta una minuziosa revisione del vigente codice
penale, ponendosi come fine ultimo la depenalizzazione di certi reati, l’abbassamento
del massimo edittale per altri, ed in ogni caso un incremento dell’utilizzo di sanzioni
che siano diverse dalla carcerazione, con il correlativo adeguamento di risorse e
strutture ad esse destinate. Una tale scelta consentirebbe di confinare la detenzione alle
sole ipotesi delittuose ad oggi ritenute maggiormente meritevoli di pena, in tal modo
individuando una strategia che risulti valida sul lungo periodo nell’opporsi al fenomeno
della continua crescita delle presenze negli istituti di pena.
Ad ogni modo, si è scelto di non trascurare l’innegabile importanza storica
rivestita dalla clemenza collettiva, con il relativo corollario dell’impossibilità di
immaginare un futuro completamente privo di essa. Amnistia ed indulto sono strumenti
di politica criminale previsti costituzionalmente, ciò significa che il legislatore del 1948,
e recentemente quello del 1992, li hanno ritenuti indispensabili per la realizzazione dei
fini del sistema penale. Alla luce di ciò sarebbe quindi necessaria una ulteriore riforma
del dettato costituzionale, che all’occorrenza renda più agevole il ricorso agli istituti
clemenziali. Duplice l’intervento: un abbassamento del quorum dei due terzi,
accompagnato ad ogni buon conto dalla specificazione – nei limiti del possibile – delle
‘condizioni eccezionali ed irripetibili’, in modo da aumentare le chanches di
concessione dei provvedimenti, ma al contempo di diminuire le ipotesi di clemenza
178
irragionevole.
Questo consentirebbe, per gli anni a venire, un giusto equilibrio tra gli strumenti
messi a disposizione per l’esercizio della giustizia – legiferazione, da un lato, e deroga
ad essa, dall’altro – in grado di evitare il verificarsi, in futuro, di analoghe situazioni che
richiedano frettolosi appianamenti. Una tale opzione verosimilmente consentirebbe da
un lato di eliminare il pericolo di uno snaturamento della grazia, strumentalizzabile –
mediante una assidua concessione – al fine di colmare le lacune causate dalla mancata
emanazione di amnistie o indulti, ed eventuali manovre ‘scaltre’ da parte delle forze
parlamentari, incidenti sul diritto sostanziale o sulle regole del diritto penale, nel
tentativo di ottenere i medesimi effetti raggiungibili tramite clemenza.
179
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