\LA ZOOANTROPOLOGIA Nel suo libro “ Il concetto di soglia “ (1996) Marchesini esordisce con un riferimento che ci piace ricordare , tratto dal “ Dostoevskij “ di Michail Bachtin “L’essere dell’uomo è una comunicazione profonda .Essere significa comunicare. Essere significa, per l’altro, e, attraverso l’altro, per sé. L’uomo non possiede un territorio ”interno” sovrano. Egli è integralmente e sempre su una frontiera; guardando dentro di sé, guarda negli occhi altrui. Non posso fare a meno dell’altro, non posso divenire me stesso senza l’altro “. Il testo di Marchesini prosegue poi spiegando come da qualche tempo a questa parte si è cominciato a capire che l’analisi e la conoscenza del rapporto uomo-animale poteva essere un modo conveniente per studiare molti aspetti della nostra storia e della vita quotidiana. Se è vero che sempre di più ci si accorge che l’uomo non riesce a vivere lontano dal contatto con gli animali, pena una innumerevole serie di patologie neurovegetative, cardiocircolatorie, depressive e via dicendo, a ragione si può parlare di una incipiente rivoluzione zooantropologica. Il rapporto uomo-animale inizia così ad arricchirsi di valenze inesplorate: si comincia ad ipotizzare la presenza in corsia per malati cardiaci, si parla di pet –therapy per bambini con problemi psicologici, per curare l’insonnia, per prevenire alcune forme di demenza senile, per migliorare la salute degli anziani. L’uomo scopre che quattro carezze al proprio gatto gli risparmiano la pressione alta, la necessità di ricorre alle benzodiazepine per poter prendere sonno, il bisogno di regressioni edipiche per via alimentare, lo sviluppo di alterazioni psicosomatiche. Avere un animale domestico aiuta nelle emergenze cardiache, nell’evitare ulteriori infarti miocardici, nel tenere desta l’attività intellettuale. L’amore per gli animali si rivela perciò tutt’altro che un eccesso di bontà da parte dell’uomo, bensì mostra il suo pieno carattere di utilità. Un’utilità, l’avevamo presagito, che l’uomo ha sempre sfruttato per poter vivere meglio. Già si cominciava ad immaginarlo osservando la differente vitalità degli anziani che accudiscono gli animali, rispetto a quelli che, soffrendo di zoofobie e zoo-intolleranze, sono condannati alla solipsia e alla demenza senile. I primi manifestano dei tratti inconfondibili; li possiamo sempre veder indaffarati, pieni di vita, responsabili e quindi pronti a fare di ogni giorno un momento di attività. I secondi al contrario sono condannati a marcire nella passività di un talk show televisivo e in breve divengono delle vere e proprie larve abbandonate e demotivate. I bambini che crescono con un animale si dimostrano molto più pronti da un punto di vista intellettuale, hanno un minor numero di paure, molta fantasia, sono più sereni e hanno una grande capacità di confrontarsi con la diversità e con le situazioni nuove. La pet therapy è stata utilizzata con successo in molti casi di disturbi psicologici, in particolare ha dato ottimi risultati in situazioni di autismo. La valenza educativa del rapporto uomo-animale si esplica soprattutto in questa grande apertura empatica verso la diversità, una disposizione che evidentemente calma molte delle paure irrazionali verso l’alterità, paure che sono alla base dei disturbi psicologici nella comunicazione. La rivoluzione zooantropologica di questi anni ha investito una pluralità di campi; nell’animale infatti, l’uomo ha scoperto se stesso, la sua continuità e integrazione con l’universo vivo, un referente in grado di fungere da interprete nel leggere correttamente i fenomeni naturali, un compagno prezioso o un punto di riferimento per surrogare le più disparate mancanze. La zooantropologia, disciplina nuovissima nelle finalità, antica come l’uomo nei contenuti, cerca di fornire un piano di analisi alle componenti e agli ambiti di questo rapporto, che da sempre ha avuto profonde ricadute nella storia biologica e culturale dell’uomo. Uno dei fenomeni che caratterizzano il nostro tempo è l’utilizzo di piccoli animali domestici come animali da compagnia, quelli che vengono comunemente definiti pet. Da una indagine effettuata negli Stati Uniti, che analizzava le motivazioni psicologiche ed affettive che inducevano a tenere un animale da compagnia, si è potuto tracciare un quadro variegato, ma preciso, sull’importanza sociale dei pet. Le risposte hanno evidenziato un netto orientamento nell’individuare nel pet una fonte di amore, affetto, compagnia, protezione, diletto. Uno studio condotto in Svezia evidenziò che il 66% dei possessori di cani sentiva il bisogno di essere fisicamente protetto dal proprio cane. Ma quali sono le caratteristiche del cosiddetto animale da salotto, il pet di tradizione anglosassone? E’ un animale che presenta una forte repressione delle pulsioni fisiologiche, è in pratica la caricatura dell’animale originario e presenta molti aspetti di antropomorfismo. Esistono poi alcune caratteristiche che sanno parlare all’interlocutore umano: ad esempio le caratteristiche neoteniche, ovvero un bel musetto paffuto, occhi grandi, brachimorfismo, zampe corte, andamento un po’ scoordinato. Con l’esplodere delle mode di animali di pezza o di peluche, ecco che viene premiato anche una sorta di immobilità, l’essere un batuffolo di peli, il colore bianco, la dipendenza. L’animale di casa deve rinunciare a molte delle sue prerogative di specie, e diventare una quasipersona che serve a vicariare o a surrogare alcune mancanze del padrone. I padroni dei pet si ritrovano ai giardinetti per parlare del loro animale, l’animale diventa motivo di dialogo tra persone che altrimenti avrebbero ben poco da dirsi. L’animale domestico diventa un centro di interesse all’interno della famiglia e un argomento per connettersi al gruppo extra-familiare. L’isolamento sempre più parossistico dell’uomo, la tendenza alla famiglia mononucleare, con perdita della continuità nonno-genitore-figlio, l’aumento dei casi di separazione coniugale, provocano quello che psicologi e sociologi sempre più concordano nel definire “sindrome del nido vuoto”. Secondo Voith e Quackenbush (1987) spesso i proprietari fanno in modo che il proprio animale viva in continuo contatto con loro. Molti animali da compagnia hanno il permesso di dormire sui letti, o comunque nella stanza da letto, hanno il libero accesso in ambienti in cui la famiglia trascorre la maggior parte del tempo, quali la cucina o il salotto ed accompagnano spesso il PO in vacanza per periodi più o meno lunghi. Gli animali diventano oggetto di particolari attenzioni in occasione di celebrazioni come il Natale, compleanni, e vengono spesso inclusi nelle fotografie di famiglia. Per esaminare gli atteggiamenti rivolti ai cani ed il ruolo con cui la gente interagisce con i propri animali tra il 1981 e il 1982 sono stati consegnati dei questionari a tutti i clienti del Veterinary Hospital dell’Università di Pennsylvania. I questionari richiedevano circa 15-30 minuti per essere completati e invitavano a rispondere in merito alla frequenza di specifici comportamenti ed atteggiamenti rivolti dal proprietario all’animale e le reazioni di quest’ultimo. Sono stati dati più di 700 questionari. Lo studio coinvolgeva anche i gatti. Considerando solo le risposte che riguardano i cani, i risultati dell’indagine sono riportati nel seguito. PERCENTUALE DELLE RISPOSTE AFFERMATIVE ALLE SEGUENTI DOMANDE: -Lo si considera un membro della famiglia 98% -Dorme sui letti 56% -Lo porta con sé in gita 72% -Si condivide con esso il cibo della tavola 64% -Si condivide con esso degli spuntini 86% -Si parla con l’animale almeno una volta al giorno 97% -Si parla con esso di questioni importanti almeno una volta al mese 45% -Si ritiene di conoscere gli umori dell’animale 99% -Si ritiene che l’animale capisca i propri stati d’animo 98% -Si tengono fotografie del proprio animale 91% -Si celebra il suo compleanno 54% Si è notata una notevole somiglianza nel modo in cui le persone che hanno risposto interagivano con i propri animali e per il tipo di sentimenti che essi provavano nei loro riguardi. Esse consideravano i propri animali come membri della famiglia, riferivano di parlare con essi anche di questioni importanti, condividevano il cibo, avevano loro fotografie e ritenevano di conoscere gli umori e gli stati d’animo dei loro animali che a loro volta, erano sensibili a quelli del loro proprietario. Perché le persone provano per i propri animali sentimenti analoghi a quelli che sentono per un figlio? Lo si può capire forse esaminando il fenomeno dell’attaccamento. L’attaccamento può essere definito in diversi modi. Il termine può essere utilizzato per descrivere uno stato o un “sentimento” emotivo, oppure esso si riferisce ai comportamenti che un individuo umano o non umano manifesta nei confronti di un altro con cui vive in stretta intimità. Tutti gli animali sociali ovvero quelli che vivono in gruppi, manifestano una grande varietà di comportamenti improntati all’attaccamento. Alcuni dei fattori che probabilmente svolgono un importante ruolo nell’attaccamento degli individui agli altri sono la vicinanza, la durata del tempo passato insieme, la condivisione di esperienze (soprattutto la felicità ed i sentimenti di cameratismo nell’eccitamento dello sport o dell’avventura) e naturalmente i segnali visivi e tattili. Molti degli stessi attributi riconosciuti ai bambini vengono condivisi dagli animali da compagnia. Un altro studio, condotto presso la clinica degli animali da compagnia dell’Università di Pennsylvania ha verificato che il 98% dei possessori di pet parlano ai loro animali, che per l’80% si rivolgono loro “ come a persone “ e non “ come animali” che per il 28% fa loro delle confidenze e con loro discorre dei fatti del giorno (Harris, 1986). Gli animali di casa sono diventati “ i nuovi figli “ e come tali vengono avvertiti; da una indagine di “Psycology Today” il 99% dei possessori di pet suole parlare loro usando un linguaggio e modi di tipo infantile. L’animale è per l’uomo un centro di interesse, soprattutto se risponde a determinate caratteristiche: la rarità, l’esoticità, la capacità di indurre identificazione. Fatto sta che l’esercito dei pet sta diventando sempre più numeroso ed è comunque curioso il fatto che, a fronte del grande massacro che si sta perpetuando nelle aree selvatiche, a fronte della diffusa zoo-intolleranza sempre più presente nelle città, parallelamente si sviluppi questa tendenza alla pettherapy, che si sta diffondendo dalle case degli uomini alle corsie degli ospedali. Un primo caso di pet-therapy lo riporta Plinio il Vecchio: “ Per quanto riguarda quei piccoli cagnolini che le nostre matrone amano moltissimo, se vengono tenuti di tanto in tanto vicino allo stomaco, calmano i dolori che possono colpire questa parte del corpo.” Oggi tuttavia è risaputo che tenere un animale in casa significa guadagnarci in salute e non in piccola misura. Oggi siamo di fronte ad un processo di portata unica nella storia dell’uomo; gli animali sono distinti in due categorie: quelli domestici da difendere e quelli selvatici da sterminare.