Anno 2009 2010 2011 - Fondazione Roma Europea

Fondazione Roma Europea
Quaderni
2009 - 2010 - 2011
FONDAZIONE
ROMA EUROPEA
Comitato esecutivo
Presidente Onorario: Giuseppe De Rita
Presidente: Natalino Irti
Segretario Generale: Cesare San Mauro
Componenti: Luigi De Simone Niquesa, Anna Fendi, Angelo Maria Petroni, Marco
Ravaglioli
Componente di diritto in qualità di Presidente dell’Associazione Amici di Roma
Europea: Carlo Pellegrini
Consiglio d’Amministrazione:
Componenti: Giuseppe De Rita, Natalino Irti, Luigi De Simone Niquesa, Anna Fendi,
Umberto Mucci, Marco Ravaglioli, Angelo Maria Petroni, Carlo Pellegrini, Luca
Ricciardi, Paolo Spaziani.
Componenti di diritto in qualità di rappresentanti delle aziende per il 2009: Federico
Grazioli per AGRICONSULTING; Franco Renzetti per ALMAVIVA; Marco Daniele
Clarke per AMA; Carlo Pellegrini per ANTICO CAFFE’ GRECO; Simonetta
Giordani Alati per AUTOSTRADE; Monica Cerroni per CO.LA.RI.; Bruno
D’Onghia per EDF; Francesco Giorgianni per ENEL; Stefano Lucchini per ENI;
Daniela Carosio per FERROVIE DELLO STATO; Francesco Butini per
FINMECCANICA; Carlo Andrea Bollino per GSE; Antongiulio Lombardi per H3G;
Alessandro Zapponini per JAZ INVESTMENT GROUP; Pier Angelo Masselli per
KERSELF; Andrea De Angelis per MATER DEI; Sandro Parnasi per PARSITALIA;
Luigi De Simone Niquesa per ROYAL DEMEURE; Giovanni Centurelli per SABA
ITALIA; Massimo D’Aiuto per SIMEST; Luigi Lardone per STM ITALIA; Franco
Bandini per TREVI AMBIENTE; Cesare Paladino per UN.E.AL.; Alessandro Picardi
per WIND; Sergio Fumagalli per ZERO PIU’.
Comitato scientifico
Presidente: Marcello Foschini
Componenti: Andrea Di Porto, Gianpiero Gamaleri, Fabio Pistella
Collegio dei Revisori dei Conti
Presidente: Antonio Bertani
Componenti: Maurizio De Magistris, Paola Iannarelli
INDICE
Roma Capitale: prospettive e criticità
Gianni Alemanno
pg. 6
Roma città sicura
Giuseppe Pecoraro
pg. 25
La giustizia amministrativa
Pasquale De Lise
pg. 39
Il futuro di Roma Capitale
Antonio Marzano
pg. 55
Il futuro delle infrastrutture in Italia
Giovanni Castellucci
pg. 61
Efficienza ed efficacia dell’azione della
pubblica amministrazione
Renato Brunetta
pg. 69
La Cassa Depositi e Prestiti
Franco Bassanini
pg. 77
Roma e l’imprenditoria sportiva
Claudio Lotito
pg. 89
La sfida dell’AS ROMA
Thomas Di Benedetto
pg.101
Presentazione
La Fondazione Roma Europea è nata nel dicembre 2001, su impulso e per volontà di Cesare San Mauro, sulla scia dell’esperienza dell’omonima associazione
che, nell’arco dello scorso decennio, ha operato da protagonista sul territorio
romano in ambito politico e culturale.
L’obiettivo della Fondazione Roma Europea è quello di valorizzare, promuovere e implementare il ruolo di Roma sulla scena europea, valutandone i suoi
pregi e i suoi difetti. Il professor Cesare San Mauro, nel suo ruolo di Segretario
Generale, è affiancato ai vertici della Fondazione, dal professor Giuseppe De
Rita, uno tra i più autorevoli studiosi e osservatori dei fenomeni sociali del
Paese.
Il bagaglio di esperienza sviluppato nel corso degli anni Novanta, ha contribuito, indubbiamente, alla maturazione degli obiettivi della Fondazione pur
lasciando immutato lo spirito che ne ha caratterizzato la nascita: guardare la
città di Roma con occhio critico e costruttivo attraverso iniziative capaci di stimolare la riflessione e il confronto per contribuire alla crescita socio-culturale
della Capitale.
La Fondazione Roma Europea coinvolge alcune tra le più importanti realtà
imprenditoriali romane e nazionali: aziende operanti in diversi settori, private,
municipalizzate e public companies che hanno scommesso sul progetto dei
fondatori, arricchito poi dai componenti della Fondazione.
Le attività della Fondazione Roma Europea, nel corso degli ultimi anni, sono
state numerose ed eterogenee: organizzazione di convegni, dibattiti, tavole rotonde e incontri su questioni complesse ed attuali come lo stato delle reti e
delle infrastrutture romane, il disagevole quadro dei trasporti pubblici e privati
della “città eterna”, i luoghi della ricerca scientifica e tecnologica di Roma, il
dialogo tra le religioni, Internet e Roma virtuale o, ancora, il delicato tema
della gestione del ciclo dei rifiuti. Senza tralasciare i temi della promozione
culturale, dell’economia, dell’attualità e della politica. Il leit motiv è, come nella
musica, ascoltare. Per poi elaborare e crescere. Insieme.
Se la Fondazione Roma Europea è aperta alla partecipazione delle persone giuridiche, l’omonima Associazione Amici di Roma Europea è invece destinata
ad accogliere le persone fisiche. Si tratta di un circolo a numero chiuso che si
riunisce abitualmente nei prestigiosi saloni del Caffè Greco di Via dei Condotti,
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di solito, una volta al mese. Le riunioni dell’Associazione prevedono l’intervento di un interlocutore scelto tra i principali protagonisti della vita istituzionale del Paese, del mondo della cultura, della politica, dell’informazione,
dell’industria romana e nazionale. Gli interventi degli speakers sono seguiti da
un dibattito con la platea di Roma Europea.
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GIANNI ALEMANNO
Roma Capitale: prospettive e criticità
Cesare San Mauro
Apriamo alla grandissima l’anno 2009 della Fondazione Roma Europea. Ringrazio tutti quelli che conoscono l’attività della Fondazione. Ringrazio tutte le
32 aziende che compongono la Fondazione e i 185 amici che costituiscono
questo club e rendono attivi questi incontri a porte chiuse che ormai realizziamo da alcuni anni e di cui diamo testimonianza attraverso i “Quaderni di
Roma Europea”, pubblicando tutti gli interventi dei nostri ospiti e relatori.
Ringrazio sin d’ora il Sindaco di Roma per la Sua disponibilità, preannuncio,
peraltro, che il prossimo nove febbraio sarà nostro ospite il Prefetto di Roma,
Giuseppe Pecoraro e volevo sottolineare, in modo particolare al Sindaco, l’attività di studi e ricerche della Fondazione che, in collaborazione con le undici
università romane presenti, comprese quelle telematiche, elabora su tematiche
sia giuridiche che istituzionali e culturali. L’idea che si ha, all’interno della
Fondazione Roma Europea, è quella di un luogo che non sostenga una bandiera, ma di un luogo di scambio di informazioni, di analisi e di proposte per
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GIANNI ALEMANNO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
alcune tematiche. (Come, ad esempio, il documento sul tema della federalismo
di Roma Capitale. Mi piacerebbe molto concentrare il 2009 attorno alle questioni sull’assetto istituzionale della città di Roma).
Ringrazio tutte le autorità presenti, ma soprattutto gli ambasciatori: Sua Eccellenza Jean De Bock, Ambasciatore del Belgio, Mohammed Nabil, Ambasciatore del Marocco, Michael Steiner, Ambasciatore della Repubblica Federale
tedesca e Jean Louis Wolzfeld, Ambasciatore del Lussemburgo
Mi rimane un po’ difficile presentare il Sindaco di Roma, ma ci proverò!
Gianni Alemanno è nato a Bari ma vive, lavora e fa politica a Roma dal 1970.
E’ sposato, ha un figlio di 13 anni. Laureato in Ingegneria per l’ambiente e il
territorio, è iscritto all’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, settore
civile ed ambientale. Giornalista pubblicista, ha fondato il mensile “Area” ed
ha pubblicato il libro “Intervista sulla destra sociale” (Marsilio, 2002).
Dal 2006, è Presidente della Fondazione Nuova Italia, da anni attiva nel campo
dell’elaborazione culturale e dell’iniziativa sociale, ed è socio e membro del
consiglio generale dell’Aspen Institute Italia.
Nel corso degli anni, il suo impegno nella società civile ha contribuito a promuovere numerose iniziative no-profit operanti in campo sociale, culturale e
ambientale, tra cui l’associazione culturale Area, il gruppo ambientalista Fare
Verde, l’ONG per la cooperazione internazionale Movimento comunità, l’associazione di volontariato Modavi.
Militante politico fin da giovanissimo, ha fatto politica nelle scuole e nelle università romane, diventando nel 1982 Segretario provinciale del Fronte della
Gioventù di Roma e poi, nel 1988, successore di Gianfranco Fini alla carica di
Segretario nazionale dell’organizzazione giovanile dell’Msi.
E’ componente della Direzione e dell’Esecutivo politico di Alleanza Nazionale
dalla fondazione del partito, in cui ha ricoperto le cariche di Coordinatore nazionale delle politiche economiche e sociali e di Vice Presidente nazionale.
Nel 1990, viene eletto nel Consiglio regionale del Lazio, dove ha ricoperto la
carica di Vice Presidente della Commissione Industria, Commercio e Artigianato. Nel 1994, viene eletto deputato di Roma, per essere poi riconfermato
nel 1996, nel 2001 e nel 2006. Alla Camera dei Deputati è stato componente
della Commissione Ambiente e Lavori Pubblici e della Commissione Lavoro
Pubblico e Privato. Oggi fa parte della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione.
Dal 2001 al 2006, è stato Ministro delle Politiche Agricole e Forestali del Governo Berlusconi. Durante il Semestre di Presidenza italiana del 2003, è stato
Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura dell’Unione europea. Nel
novembre 2003, è stato promotore e Presidente della I Conferenza euro-mediterranea sulla Pesca e sull’Agricoltura. Nell’ambito del suo mandato mini8
Roma Capitale: prospettive e criticità
steriale ha assunto l’incarico di Presidente del Comitato FAO, Comitato per il
collegamento tra il Governo italiano e l’Organizzazione delle Nazioni Unite
per l’Alimentazione e l’Agricoltura, partecipando attivamente a tutte le iniziative internazionali per la lotta contro la fame e la povertà nel mondo. E’ socio
onorario di Kadima World Italia.
Alle ultime elezioni europee, nel giugno 2004, è stato eletto nella Circoscrizione Italia Meridionale con 279.618 voti, arrivando secondo dopo Gianfranco
Fini e risultando uno dei candidati più votati tra tutti i partiti a livello nazionale.
Alle elezioni comunali di Roma del 2006, candidato del centrodestra alla carica
di Sindaco, ha ottenuto, nella sfida contro Walter Veltroni, 555.928 voti pari
al 37,1%, ovvero 76.907 voti e lo 0,1% in più rispetto all’insieme delle liste
che lo sostenevano. A seguito di queste elezioni è entrato a far parte del Consiglio comunale di Roma ed è stato nominato Commissario straordinario della
Federazione di Roma di Alleanza Nazionale. Da marzo 2007, è Presidente della
Federazione di Roma di Alleanza Nazionale, eletto dal Congresso degli iscritti
romani al Partito con il 75% dei voti.
Nel 2008, il Popolo della Libertà lo candida nuovamente a Sindaco di Roma,
avendo come sfidante Francesco Rutelli, per il Partito Democratico. Al primo
turno ottiene poco più del 40% dei voti, andando al ballottaggio, dal quale risulta vincitore con 783.225 voti, pari al 53,66% dei voti. Il suo sfidante ottiene
676.472 voti pari al 46,34%. Nello spoglio delle 2.600 sezioni sono state registrate 6.752 schede bianche e 15.053 schede nulle.
Con un grande e caloroso applauso, salutiamo il Sindaco di Roma.
Gianni Alemanno
Vi ringrazio innanzitutto dell’invito e per la presenza di altissime cariche. Questa sera spero di riuscire a dare un’immagine di ciò che stiamo cercando di fare
per la nostra città di Roma.
Vorrei dire, senza enfatizzare alcuni passaggi, che il momento più difficile e
più critico da cui siamo partiti è stato pochi giorni fa, quando, subito dopo
l’elezione, abbiamo avuto una notizia un po’ drammatica. Mi corre l’obbligo
di dire questo, non per fare polemiche o creare difficoltà, ma perché è la prospettiva storica giusta.
Mi ricordo che, pochi giorni dopo il mio insediamento, il Segretario Generale
del Comune di Roma e il Ragioniere del Comune mi dissero di essere impossibilitati a pagare gli stipendi del mese di maggio perché ci trovavamo in una
situazione finanziaria prossima al dissesto.
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GIANNI ALEMANNO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
Dal quel momento, grazie all’aiuto del governo Berlusconi, siamo riusciti a risalire la china, creando una gestione commissariale e un piano di rientro che
ha permesso di finanziare integralmente nove miliardi e seicento milioni di
euro fuori bilancio di debito, ereditato dal passato, attraverso un contributo
di cinquecentomilioni all’anno che ci permette di fronteggiare questa situazione; in più, recentemente, siamo riusciti a completare questa operazione
avendo la possibilità di derogare, per due anni, al patto di stabilità delle regioni
e degli enti locali.
Queste scelte hanno creato, soprattutto in questi giorni, un po’ di polemica,
nel senso che molti comuni italiani, che hanno grandi difficoltà finanziarie rispetto al patto di stabilità, hanno detto: «Perché Roma ha questi diritti? Perché
Roma ha ottenuto questi risultati? ». Bene, io vi dico con molta franchezza che
non si è trattato di una forzatura, di una prepotenza territoriale, ma si è trattato
di una necessità assoluta, sia per quella premessa che vi ho fatto, sia perché la
conseguenza, in mancanza di questo intervento, sarebbe stata quella del dissesto
finanziario della capitale d’Italia. Dopo le immagini terribili dei rifiuti a Napoli,
non potevamo permetterci di dare, a livello internazionale, l’immagine di una
capitale dissestata.
Oggi, possiamo dire che le agenzie di rating hanno apprezzato l’operazione e
hanno dato una visione prospettica positiva; siamo in attesa della sua rivalutazione in termini complessivi e possiamo dire che abbiamo ormai alle spalle
questa problematica finanziaria: si apre una fase nuova che è immediata perché,
proprio in questi giorni, è in discussione in aula, alla Camera e al Senato, il
provvedimento sul federalismo fiscale che contiene al proprio interno l’articolo
13, dedicato ai poteri speciali di Roma capitale.
Sono convinto che senza i poteri speciali – tra l’altro vedo qui proprio una vostra pubblicazione su questo tema – per Roma Capitale sia difficile gestire una
città come Roma.
Roma è l’unica capitale europea che non ha uno status privilegiato, diverso rispetto agli altri comuni. Noi siamo, dal punto di vista statutario, governati
dagli stessi principi di un qualsiasi comune della nostra Repubblica: questo
non è possibile. Dopo una difficile mediazione, siamo riusciti a far passare il
principio che, proprio dentro al provvedimento del federalismo fiscale, ci sia
un riconoscimento di questo status di Roma, che cessa, di fatto, di essere un
comune normale e diventa un ente locale speciale, appunto Roma Capitale.
Cambia anche la formazione del Consiglio Comunale, si acquisiscono dei poteri oggi affidati dallo Stato alle Regioni, sono poteri amministrativi che permettono di gestire questa città, complessa e difficile, con un approccio
completamente diverso. Ci sono ancora dei confronti, con la Regione Lazio e
con gli altri livelli istituzionali, per trovare il testo più idoneo di questo articolo,
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Roma Capitale: prospettive e criticità
però, il fatto che le commissioni parlamentari abbiano già votato questo articolo, ci rende fiduciosi che entro il mese di febbraio riusciremo a fare un passaggio atteso da vent’anni.
Qual è l’idea che ci muove in questa fase difficile, anche dal punto di vista internazionale, per il ruolo di Roma? Ritengo che Roma debba riuscire ad interpretare compiutamente un equilibrio, che non è soltanto di carattere nazionale
- non si tratta, cioè, di interpretare il ruolo di una grande capitale nazionale
all’interno il contesto europeo - bensì comprende una vocazione internazionale
che, senza nessuna esagerazione o enfasi, debba poter esprimere fino in fondo.
Quale città, se non Roma, può svolgere, infatti, quel ruolo di punto di riferimento di un network internazionale in cui si ritrovano le grandi metropoli europee e internazionali, attraverso le quali passa lo sviluppo globale? All’interno
delle aree metropolitane, infatti, si ritrova quel concentrato di innovazione, di
ricerca e di economia che permette di fare dei salti in avanti nell’economia globale, soprattutto in una fase come questa che è di crisi. È un modo questo di
vedere la globalizzazione, non nell’ottica del puro e semplice incontro dei mercati, ma nell’ottica di valori universali che possono trovare in Roma un punto
di riferimento importante, benché non esclusivo. Nessuno, ovviamente, pretende primazie, si tratta di inserirsi in questo livello importante, legando la
questione anche alla problematica mediterranea, dove Roma può e deve avere
un ruolo importante.
Però, per fare questo è necessario realizzare una riunificazione della città. Questa città, infatti, è una città scissa, è una città che ha il centro storico più bello
del mondo e le periferie urbane forse tra le più degradate d’Europa. È una città
che ospita ambasciate, istituzioni internazionali, come la Fao, il Polo Agroalimentare dell’Onu, e, contemporaneamente, ha dei grandi problemi di carattere
sociale. Questa città ha le favelas, cresciute ai bordi della periferia, dove tante
persone senza fissa dimora hanno costruito le loro baracche, vivendo in un
contesto abusivo. Si tratta, sostanzialmente, di creare una città che faccia di
nuovo incontrare questi due poli; si tratta di risolvere i problemi profondi di
carattere sociale e territoriale. Occorrono risposte adeguate a una crescita che
è sempre stata, in qualche modo, distorsiva.
Roma è impressionante! Basta scorrerne la storia, per vedere che, dall’unità nazionale in poi, i piani urbanistici sono sempre stati scritti e redatti dopo l’espansione, non prima.
Tutti questi passaggi e queste distorsioni di fondo hanno creato una città con
grandi problemi infrastrutturali e di mobilità. Una città che, in alcune aree,
non è dotata neanche di servizi di urbanizzazione primaria e questo si traduce
nell’impossibilità di gestire emergenze varie!
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GIANNI ALEMANNO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
Stando così le cose, come ci si può muovere? Cosa si può fare?
Il primo aspetto fondamentale è di rimettere in ordine la spesa corrente. Esiste,
infatti, uno sbilanciamento strutturale tra le entrate e le uscite. Abbiamo crediti
immensi che non sono stati recuperati a causa dell’evasione, strutturale nella
città: delle entrate che devono essere rimesse in movimento. Ci sono delle situazioni di spesa che devono essere profondamente ristrutturate. È necessario
che la spesa corrente sia sotto controllo in modo da recuperare un margine credibile per gli investimenti, affinché possiamo realizzare quelle grandi opere infrastrutturali che possono dare un’immagine diversa della città. Da questo
punto di vista, però, non bastano solo gli interventi di carattere pubblico, bisogna creare un clima accogliente e positivo per l’imprenditoria in questa città,
un clima aperto. Dobbiamo fare in modo che in questa città qualsiasi impresa
e qualunque investitore, ovviamente anche internazionale, possa trovare un
ambiente, dal punto di vista burocratico, fiscale e organizzativo, favorevole per
i loro investimenti. Questo è un dato decisivo, perché molte potenzialità non
sono espresse, a cominciare da quelle culturali. La cosa incredibile è che Roma
non ha, per esempio, un museo che ne commemori la storia in quanto città:
quando un visitatore o un turista viene a Roma trova poli museali molto significativi, a cominciare da quello del Vaticano, ma non ha un museo che spieghi tutta la storia della città, con il risultato che un turista o un viaggiatore
scopre delle realtà limitate ad alcuni monumenti, noti in tutto il mondo, ma
non conosce l’enorme stratificazione culturale di questa città. Dal punto di
vista culturale, è doveroso valorizzare le differenti potenzialità per fare in modo
che Roma diventi una città dei creativi. Abbiamo bisogno di moltiplicare il
volano di carattere turistico: Roma deve offrire un altro polo turistico, oltre a
quello consueto di carattere storico-culturale. Ecco perché bisogna ragionare
anche sulle potenzialità che ruotano attorno all’Aeroporto di Fiumicino, che
speriamo di salvare nella dialettica della nuova Alitalia e di mantenere la sua
natura di scalo internazionale; – proprio domani abbiamo un incontro con i
vertici della CAI per confrontarci su questo punto di vista – è nostra intenzione
costruire, proprio in quest’ultima zona, un parco tematico paragonabile a EuroDisney a Parigi. Vogliamo valorizzare il waterfront di Ostia, perché non è
opportuno che, l’unica grande capitale europea, abbia un litorale che non venga
valorizzato, non avendo, peraltro, nulla da invidiare a quello di Rimini. L’idea,
infatti, sarebbe quella di realizzare un grande polo turistico che si allarghi fino
all’EUR dove, con la realizzazione della famosa Nuvola di Fuksas, si potrà costruire un centro internazionale che permetta di convogliare a Roma il turismo
congressuale.
La nostra città ha tredici università, tra le quali figurano punte di eccellenza
significative. Non è, allora, soltanto un fatto quantitativo e numerico, ma anche
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Roma Capitale: prospettive e criticità
qualitativo. Questo ci spinge a investire per creare una sinergia vera fra le filiere
produttive esistenti. Roma è anche una città industriale dotata di poli di ricerca
significativi: bisogna connettere questi fattori!
Siamo sede, come accennavo prima, della FAO, del Polo Agroalimentare dell’Onu: tale cognizione rende Roma, di fatto, la capitale internazionale dell’alimentazione, dell’agricoltura. Tutto questo deve essere profondamente
valorizzato. Ma, ripeto, per farlo bisogna risolvere problemi infrastrutturali ingenti che costituiscono la grande complessità della città.
In questo momento, sono in costruzione su Roma due grandi metropolitane.
Ogni giorno che passa le talpe scavano 25-28 metri. Bisogna far partire la terza
metropolitana, la linea D, per la quale non ci sono finanziamenti. Dovremmo
cercare di reperirli attraverso il CIPE o coinvolgendo, in qualche modo, l’imprenditoria privata.
E’ necessario intervenire su cose apparentemente minimali, come, ad esempio,
le buche sulla strada che sono, in realtà, uno dei grandi flagelli di questa città.
Le condizioni di maltempo di questi ultimi mesi hanno condotto ad un sostanziale peggioramento della situazione, producendo l’apertura di altre buche
e creando dissesti stradali sui quali bisogna intervenire al più presto.
Abbiamo cancellato, come sapete, il Global Service sulle strade attribuito alla
Romeo e abbiamo riaperto questo versante ad un sistema imprenditoriale
molto più articolato. Ma da questo punto di vista, occorre fare un grande investimento perché ci sono milioni di chilometri di strade che devono essere riparate. A Roma ci sono 450.000 cavi nei quali scorre l’acqua; di questi,
dall’inizio dell’anno, siamo riusciti a fare la manutenzione di 15.000, a fronte
di un’incuria che si protraeva da anni.
Cose grandi e cose piccole, dunque. Bisogna riuscire a collegare insieme queste
realtà e queste dimensioni. E’ necessario fare in modo che, l’operazione finanziaria fatta e connessa ai poteri speciali di Roma Capitale, ci permetta di avviare
una fase diversa, ossia di equilibrio e di bilancio. Non si può pensare, infatti,
di ripercorrere la vecchia strada, né realizzare iniziative che non abbiano copertura finanziaria. Ci vuole una solidità di bilancio per avviare una fase di
progettualità profonda che ci permetta di mettere insieme tutti i ragionamenti
per rilanciare questa città su tutti i fronti.
La Commissione di Marzano sta lavorando su questi temi. A marzo si concluderanno i lavori e riusciremo a produrre il piano strategico e di sviluppo della
città che non è mai stato realizzato. L’unico data nel 2001 e si fermò agli studi
preliminari.
Se noi diamo questa spinta alla città, sono convinto che Roma possa realmente
mettere le ali, perché è una città non solo unica al mondo, come spesso si ripete,
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GIANNI ALEMANNO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
ma è una città che più di ogni altra è disposta ad aprirsi alle potenzialità della
globalizzazione. Per fare questo, bisogna operare uno sforzo di riunificazione
profonda, legare insieme fattori diversi e non lasciare indietro pezzi di città.
Da ultimo, vorrei accennare alla questione relativa ai campi nomadi. Tra pochi
giorni, il 23 gennaio, si concluderà l’interpello fatto dal Prefetto di Roma –
che voi incontrerete nella prossima riunione – che indica la necessità di individuare nuovi campi attrezzati, che mettano fine alla piaga dei campi abusivi.
Ci siamo posti quest’anno - e mi sono impegnato personalmente anche davanti
al Santo Padre nell’udienza che ho avuto il 12 gennaio - l’obiettivo di fare
scomparire i campi abusivi da questa città e costruire solo campi autorizzati
che siano controllati, all’interno dei quali ci sia un processo di integrazione e
di solidarietà strettamente connesso a un processo di legalità chiaro e definito.
Tutto questo, anche al fine di allontanare dalla mentalità comune dei cittadini
la percezione negativa che si ha dei campi nomadi.
Questi passaggi fondamentali da fronteggiare devono segnare l’avvenire di una
città che vuole risollevarsi da problemi profondi. Che vuole consentire a un
turista, che scelga Fiumicino e poi prenda la macchina, e vada verso il Colosseo
o San Pietro, di non attraversare le periferie più degradate del mondo, o i campi
nomadi più squallidi. Vorrei che, dal momento in cui si mette piede a Roma,
si avesse la sensazione netta di arrivare nella capitale nazionale e vera della nostra Repubblica.
Cesare San Mauro
Ringraziamo il Sindaco per le sue parole. Desidero, inoltre, ringraziare, per la
sua presenza, il Dott. Franco Panzironi, amministratore delegato dell’AMA.
Diamo inizio, come di consueto, alle domande.
Prima di dimenticarmene, desidero porgervi i saluti del Presidente della Fondazione, Prof. Natalino Irti, e del Vice Presidente, Prof. Giuseppe De Rita,
assenti per influenza.
Mi sono permesso di rammentare che uno dei dati emersi all’ultima tornata
elettorale nel Comune di Roma è relativo al fatto che oggi la scelta non è più
sugli schieramenti, ma sugli uomini, sulla qualità.
È questa una grande politica! Evidentemente tu, Sindaco, rappresenti questo
elemento di discontinuità, e ci hai dato oggi un primo spaccato della realtà di
Roma. Io vorrei farti una domanda che mi ha suggerito il Sen. Salvatore Lauro.
A Milano si pensa ad un collegamento ferroviario diretto con il capoluogo piemontese, si parla, a Roma, di farne uno con la città di Napoli, una sorta di
“Romaneapolis”? Volevo chiederti che cos’è nello specifico questa tua idea e
come intendi portarla avanti. Oggi per coprire la distanza tra Roma e Napoli
14
Roma Capitale: prospettive e criticità
è sufficiente un’ora con la linea di Alta Velocità, una distanza nettamente inferiore a quella che impiegano gli abitanti delle zone limitrofe di New York,
che devono raggiungere ogni giorno per lavoro il centro di Manhattan.
Nel mio quesito mi preme sottolineare i contenuti istituzionali e mi permetto
di chiederti una posizione precisa, sempre che sia stata maturata all’interno del
percorso che è stato fatto. Volendo immaginare un modello di poteri particolari
per questa Roma Capitale, deve coincidere con gli attuali confini della provincia, del comune di Roma o sennò di quali comuni? Quelli che interagiscono,
come ad esempio Guidonia, e non Subiaco? Fiumicino sì e Civitavecchia no?
Quali sono i limiti e quali dovrebbero essere i poteri attribuiti?
Luigi Lucarelli
Buonasera, sono venuto molto volentieri ad ascoltare il Sindaco e lo ringrazio
per l’esposizione perché dovevo istruirmi, in quanto ho anche l’onere di essere
uno dei consulenti tecnici istituzionali della commissione per il futuro di
Roma. Volevo fare una domanda precisa al Sindaco a questo proposito. Personalmente, proprio oggi, ho presentato un progetto sulla sussidiarietà. A Roma,
infatti, come in tante altre città italiane, esistono moltissimi servizi, alla persona, alle imprese, che sono pubblici e che sono quasi sempre gestiti in forma
soggettivamente pubblica. Il fatto che siano gestiti da enti pubblici, o a livello
di municipi o a livello di aziende, porta inevitabilmente a sprechi ed inefficienze. Il Sindaco ha caratterizzato tutta la sua vita politica, per quello che conosco, su un’impronta fortemente sociale. Non sarebbe il caso – o forse c’è già
qualcosa in corso – di porre mano a politiche che trasferiscono a cooperative,
a volontariato, a soggetti privati in forma associata, funzioni come i servizi alle
persone e alle imprese, oggi gestiti in forma soggettivamente pubblica?
Gianni Alemanno
Innanzitutto, a proposito di Roma Capitale, c’è un dibattito che vede me da
una parte e il Presidente della Provincia Zingaretti, dall’altra. È evidente, infatti,
che se noi consideriamo una realtà come Roma è difficile dire che le funzioni
della capitale siano legate solo a quella che è la dimensione comunale. Nel
corso del tempo, c’è stato anche un passaggio, a mio avviso, sbagliato: quello
di promuovere Fiumicino, da circoscrizione di Roma, a Comune. Non è stata
una decisione felice anche perché questo nuovo comune continua a vivere in
una stretta connessione con Roma. C’è, tuttavia, un problema di fondo di natura costituzionale: i comuni hanno un’autonomia garantita dalla Costituzione
ed è quindi molto difficile convincerli a ridurre o a fare una cessione di sovranità nei confronti di un’area metropolitana. Il grande rischio è che se noi im15
GIANNI ALEMANNO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
maginiamo Roma Capitale come un’area metropolitana possiamo vederla
come una sorta di confederazione di comuni – con Roma al centro che irradia,
secondo connessioni funzionali, i comuni che le ruotano intorno. Ma senza
cessione di sovranità all’area metropolitana, da parte di quest’ultimi, si rischia
di trasformare l’area metropolitana in un ente locale molto debole; non solo,
si rischia di avere un potere emulativo nei municipi, che vorrebbero anche loro
un aumento di autonomia. Il risultato che, a mio avviso andrebbe evitato, è
quello di far scomparire il comune di Roma per farlo diventare un’area metropolitana composta da tanti piccoli comuni che, invece di dare più decisione,
più potere, più determinazione alle risorse di Roma, la andrebbero a infiacchire.
Quindi la mia risposta a questa domanda è: “partiamo dal Comune di Roma”.
Il testo predisposto dal Ministro Calderoli ruota attorno alla mia esclamazione;
partiamo con il dare i poteri speciali al comune di Roma, e apriamo un processo di aggregazione con gli altri comuni per vedere chi ci sta seriamente, altrimenti è meglio fare degli accordi e delle convenzioni, stabilire dei rapporti
con questi municipi o con altri comuni importanti, come Fiumicino e Civitavecchia, e quindi costruire integrazioni funzionali che sono necessarie alla città
di Roma. Il dato fondamentale è che noi dobbiamo creare un ente locale che
sia più decisionista del passato e che possa condensare in sé le decisioni che
oggi passano per livelli troppo spezzettati. Si passa da consultazioni di municipi,
alle decisioni comunali; dalle partecipazioni provinciali alle decisioni regionali,
fino ad arrivare alle decisioni statali. Si capisce bene come il processo decisionale ne sia rallentato.
Un’esperienza negativa, che ho avuto nei primi mesi della mia amministrazione, è stata quella di consegnare le chiavi di una casa pubblica a una coppia,
in base ad una convenzione firmata e datata 1988. Dopo 20 anni ho consegnato loro le chiavi di una casa, progettata e convenzionata 20 anni prima! Da
questo punto di vista, è necessario avere dei tempi di decisione, dei passaggi
che siano più responsabilizzanti, più verticali, che, seppure in un quadro di
partecipazione, impegnino direttamente l’amministrazione in termini più precisi.
Per quanto riguarda il tema, molto complesso, che tu hai evocato bisogna vedere diversi casi e diverse situazioni. Abbiamo dei servizi pubblici essenziali
che in larga parte sono gestiti da realtà pubbliche o municipalizzate; pensiamo
all’AMA, di cui il Dott. Panzironi è l’Amministratore Delegato, che è integralmente pubblica; pensiamo all’ACEA, che è al 51% pubblica e per il 49% privata. Esistono realtà diverse e potremmo consegnare tutto al mercato, seguendo
l’esempio realizzato dalla capitale spagnola dieci anni fa. Ma è credibile questo
progetto ed è realmente virtuoso? Cosa ne facciamo di questa realtà di 6.500
addetti (riferendomi all’AMA, evidentemente)? La verità è che dobbiamo fare
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Roma Capitale: prospettive e criticità
uno sforzo perché il pubblico venga ben amministrato. Non sta scritto da nessuna parte che il pubblico deve essere male amministrato. Operiamo secondo
criteri di rigore e di serietà e dobbiamo fare in modo che anche le realtà pubbliche possano essere ben amministrate, anche in un regime di concorrenza,
perché, ad esempio, anche nel trasporto pubblico locale c’è una parte che è
privatizzata (circa il 15/20%), c’è una parte di lotti che vengono messi a gara,
quindi non è tutto pubblico. Sono convinto che se c’è un criterio serio e rigoroso, l’amministrazione pubblica può dare risposte.
Sul versante sociale, invece, un principio di sussidiarietà che ci permetta di
coinvolgere cooperative, associazioni, imprese versate nel terzo settore è il nostro riferimento primario. Il problema fondamentale è – per evitare una serie
di equivoci – quello di restituire i poteri di scelta alle famiglie. Il dato centrale,
che ci permetterà di avere un nuovo welfare comunale e nazionale, sarà quando
riusciremo a raggiungere l’obiettivo in cui siano le famiglie a scegliere i soggetti
erogatori di servizi, in maniera tale che non sia il comune a scegliere attraverso
le proprie convenzioni questa o quella cooperativa/associazione. Solo così, infatti, si ottiene un doppio effetto negativo: da un lato di subordinare queste
associazioni alle scelte burocratiche, e dall’altro di scaricare in maniera impropria dei costi. Quindi lo sforzo che stiamo facendo, nel piano regolatore sociale
in elaborazione in queste settimane, è quello di fare in modo di trasferire e trasformare i servizi nel cosiddetto voucher, ossia un buono da spendere per poter
scegliere da chi farsi erogare quel servizio; può essere per gli invalidi, per i minori o per altre difficoltà che abbiamo di fronte.
Il principio di sussidiarietà avviene non quando scarichiamo sulle associazioni
o sulle cooperative queste scelte, ma quando diamo e restituiamo alle famiglie
la libertà di scegliere tra diverse possibilità di offerta di questi servizi.
Giuseppe Faberi
Ringrazio il Sindaco per essere qui con noi questa sera e per la sua bella esposizione. Mi piacerebbe condividere con voi un rumor che ho sentito in giro e
volevo, se possibile, un’opinione in merito. Qualche Sindaco dei comuni limitrofi dice che Roma è la città amministrata nel modo peggiore per quanto
riguarda il patrimonio immobiliare, sia quello demaniale che quello proprio.
Ci si interroga sulla motivazione per cui taluni comuni dovrebbero confluire
in una eventuale entità chiamata Roma Capitale. Qual è l’idea di fondo, il programma del nostro sindaco su questo argomento in particolare, che è un po’
croce e delizia della città di Roma?
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GIANNI ALEMANNO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
Cesare San Mauro
A quanto pare i problemi sono sempre gli stessi, sin dai tempi in cui ero consigliere comunale io…
Bruno Salsedo
Buonasera a tutti. In qualità di direttore dell’Agenzia per l’energia e lo sviluppo
sostenibile del comune di Roma, la mia domanda è sul settore energetico e
ambientale. Ci sono degli esempi in Europa che dimostrano come lo strumento
città sia molto efficace nel contrastare e nel risolvere i problemi ambientali e,
in particolare, quelli energetico-ambientali. Per fare due nomi, correndo il rischio di essere filo-tedesco, direi Friburgo, tra le città medie, e Berlino, tra le
grandi città. Le città si candidano, all’interno dell’Unione Europea, a svolgere
un ruolo autonomo e a offrire un contributo decisivo a fianco degli Stati membri. Sul tema centrale della politica energetica e ambientale europea, il 10 di
febbraio un gruppo di parecchie decine di città europee sottoscriverà a Bruxelles
il Patto dei Sindaci, quello che in Europa viene chiamato Governant of Majors,
che impegna le città sottoscrittrici ad andare oltre gli obiettivi del 20-20-20.
Roma può far parte di questo gruppo che significa non solo eccellenza in
campo ambientale, ma anche eccellenza nel campo dell’innovazione tecnologica e dello sviluppo economico?
Sandro Amorosino
Come finirà, nell’ambito di Roma Capitale, la questione del possibile trasferimento alla nuova città dei poteri in materia di beni culturali e di paesaggio?
Glielo chiedo perché su questo punto si rischia di fare una battaglia persa. Non
sarebbe meglio procedere con i moduli di collaborazione che la Costituzione
prevede e che hanno dato, mi pare, buona prova nel caso del Pincio?
Gianni Alemanno
A proposito del patrimonio, non so quale comune possa considerarsi tanto innocente da scagliare la prima pietra. Certamente Roma ha un problema che
ha radici antiche nel census e fronteggia situazioni, più recenti, di gestione di
una parte del patrimonio immobiliare affidato allo stesso consorzio che lo amministra a Napoli. Ci troviamo di fronte a una situazione complicata che, tra
l’altro, spingerà, con molta probabilità, il Consiglio comunale a creare una
commissione interna d’inchiesta proprio sulla gestione del patrimonio immobiliare nell’arco degli ultimi quindici anni. Così facendo, inoltre, si accoglierebbe un desiderata dell’opposizione.
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Roma Capitale: prospettive e criticità
Credo che la strada principale, più moderna e più valida, sia quella di creare
un fondo immobiliare, fatto in collaborazione con la Cassa Depositi e Prestiti.
A Venezia e in altri enti locali importanti, mi pare siano già allo studio ipotesi
di questo genere. La Cassa Depositi e Prestiti sta cercando di creare questi fondi
che permettono agli enti locali di operare un conferimento che unisca, da un
lato la possibilità di mantenere un abito pubblico alle proprietà immobiliari,
dall’altro, di avere delle gestioni più trasparenti e più incisive. Si tratta, sostanzialmente, di conferire, non solo il patrimonio immobiliare, fatto di case e stabili costruiti, ma anche le aree da valorizzare, in modo che queste ultime escano
fuori da procedure urbanistiche, di volta in volta definite, per volgere verso
una gestione complessiva secondo criteri confrontabili.
Un passaggio molto importante per il futuro, non solo di Roma, ma anche di
tutta la riforma fiscale, è quello legato al patrimonio demaniale che non è utilizzato; nel caso di Roma rimanda, ad esempio, alle caserme non utilizzate dallo
Stato. Si tratta di un patrimonio significativo che deve trovare una destinazione
e che può essere uno strumento urbanistico di grandissimo valore per poter risolvere tanti problemi.
Per quanto riguarda l’ambiente, credo che la scelta delle energie alternative sia
decisiva perché si tratta di arrivare a utilizzare tutto il potenziale del fotovoltaico. Dobbiamo riuscire a rilanciare un progetto, che abbiamo definito Roma
città solare, che ci permetta di valorizzare tutte le possibilità inespresse che costituiscono la base per realizzare un grande investimento sui pannelli fotovoltaici e sull’energia solare. Per fare un esempio, pensiamo a tutte le superfici, a
tutti i tetti degli edifici pubblici, scuole, ministeri, che possono diventare subito
le basi per collocare pannelli solari che diventano un volano di produzione
energetica alternativa in grado di dare risposte anche a quelle che sono le necessità del Protocollo di Kyoto. Da questo punto di vista, credo che abbiamo
già stanziato fondi e risorse per l’assestamento del bilancio 2008, questo ci consentirà di muoverci rapidamente nella direzione indicata.
Quella dei beni culturali è una vexata quaestio che ha condotto a un incontro
pacificatore, tra me e il Ministro Sandro Bondi, al fine di risolvere il problema.
Abbiamo eliminato, dall’elenco dei poteri che venivano trasferiti a Roma, la
tutela e abbiamo lasciato soltanto la valorizzazione dei beni culturali in collaborazione, previa intesa, col Ministro dei Beni Culturali.
Pier Giorgio Romiti
Caro Sindaco, l’ho seguita con attenzione e favore quando ha detto che prima
bisogna mettere in sesto i conti e poi si pensa agli investimenti. Mi sono perso
sull’argomento dei servizi, dove avrei voluto ascoltare un ragionamento simile
19
GIANNI ALEMANNO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
che privilegiasse, alla fine, la concorrenza nell’erogazione dei servizi ai cittadini.
Questo perché, al di là di quello che possa essere l’interesse di un potenziale
investitore, vedo con molta più preoccupazione i problemi dei 3,5 milioni di
cittadini che ricevono eventualmente dei servizi non adeguati. Volevo il suo
parere sull’equazione: qualità dei servizi/tariffe/concorrenza/privatizzazione.
Cesare San Mauro
Se posso, Sindaco, dovresti sempre rispondermi sull’asse Roma-Napoli, se esiste
già o se è un progetto in cantiere.
Gianni Alemanno
Credo che ci debba essere un rapporto di collaborazione e di amicizia con tutte
le grandi capitali mondiali. Nella mia introduzione ho accennato all’idea di
entrare nel network internazionale che lega insieme le grandi aree metropolitane del pianeta. Rispetto a quella che è la crescita impressionante della realtà
cinese, per esempio, bisogna sviluppare un relazione di cultura e di turismo,
nonché di un rapporto che comprenda gli scambi economici. Mi auguro vivamente che l’Ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese possa venire presto
in Campidoglio per fare una riflessione su queste opportunità con la massima
disponibilità e con il massimo rispetto. Anche in considerazione del fatto che
la comunità cinese è presente a Roma e si tratta, in larghissima parte, di persone
molto attive e di grandi lavoratori.
Per quanto riguarda la questione dei servizi - che è il tema più delicato - penso
che il meccanismo di concorrenza sia quello che ci permetta di dare le risposte
migliori. Bisogna, tuttavia, distinguere sempre due processi diversi, ossia il processo di privatizzazione e quello di liberalizzazione, perché credo che sia possibile rendere compatibile la concorrenza con soggetti pubblici che siano forti,
imprenditoriali e ben gestiti e che, comunque, si misurino sul mercato per vedere se sono in grado di competere oppure no. Facciamo un esempio concreto.
Nell’ambito del trasporto pubblico locale è stato fatto, negli anni passati, il cosiddetto spezzatino, ossia si sono moltiplicate le aziende che presiedono il trasporto pubblico locale; da un lato c’è ATAC, dall’altro lato c’è TRAMBUS,
dall’altro ancora c’è METRO. Queste varie realtà coesistono contemporaneamente e spesso creano anche dei problemi fiscali nel trasferimento di beni e
valori dall’una all’altra. Il dato fondamentale è che queste realtà sono state segmentate, probabilmente con un’idea di privatizzazione, cioè con l’idea di venderne pezzi di volta in volta - per prima quelli più pregiati - lasciando in capo
al pubblico i pezzi meno pregiati, che non hanno mercato. Ritengo che bisogna
muoversi su un’altra strada: quella del riaccorpamento in un’unica società del
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Roma Capitale: prospettive e criticità
trasporto pubblico locale, anche in un’ottica di risparmio in relazione ai costi
derivanti da consigli di amministrazione e burocrazia. Questa società sarebbe
più forte e in grado di operare e competere sul mercato dell’Unione Europea,
che ci impone un’apertura a standard internazionali. Come accennavo, abbiamo già una parte di beni e servizi del trasporto pubblico locale che viene
messa a gara, dovremo soltanto essere in condizioni di avere un soggetto pubblico forte che sia in grado di affrontare le gare che l’Unione Europea ci costringerà a fare nei prossimi anni. Credo che questa sia la strada più seria,
perché, diversamente da ciò, dovremmo affrontare problemi molto più complessi dal punto di vista sociale. Basti solo pensare al fatto che abbiamo visto
ingenerarsi processi di privatizzazione senza un vero lavoro di liberalizzazione
che hanno operato solo un trasferimento da monopoli pubblici a monopoli
privati. Se prendessimo l’AMA e la vendessimo domani ad un soggetto privato,
probabilmente quest’ultimo, per essere convinto, anche in un regime di gara,
a partecipare dovrebbe avere una tale serie di garanzie ed avrebbe un tale potere
di interdizione, se avesse soltanto questa realtà come unico monopolio della
raccolta dei rifiuti, che creerebbe una situazione ancora più negativa e distorsiva
di quella cui assistiamo oggi. La chiave principale per avere un rapporto con
gli enti municipalizzati è che sia scritto bene il contratto di servizio, perché abbiamo ereditato o contratti di servizio scaduti da anni, oppure astratti, cioè
privi di un riscontro preciso tra tariffa che viene pagata e tariffa del servizio
che viene erogato. Fatte tutte queste premesse, il 1 gennaio di quest’anno ho
inaugurato, insieme al Dott. Panzironi il primo turno dell’AMA, quello delle
4 del mattino. Abbiamo guidato con gli operatori dell’AMA e, in quell’occasione, ho detto agli operatori di quest’azienda che hanno un anno di tempo
per mettere Roma in condizioni di pulizia paragonabili a quelle delle altre capitali europee.
Perché abbiamo erogato più risorse all’AMA, anche se abbiamo problemi di
ricapitalizzazione, ed in particolare al contratto di servizio? Perché vogliamo
che l’AMA accetti ed affronti questa sfida, altrimenti se non ci riesce, si prefigura solo la strada della privatizzazione massiccia.
Infine, per quanto riguarda il rapporto Roma-Napoli, questo è segnato dall’alta
velocità. Nel momento in cui l’alta velocità funzionerà pienamente, saremo in
condizioni di poter passare dal centro di Roma al centro di Napoli in 40 minuti: lo stesso tempo che s’impiega per attraversare Roma. Questo vuol dire
che non avremo due aree metropolitane distinte, ma avremo due aree metropolitane potenzialmente integrate. Questo è un discorso che ha preso piede a
partire dagli anni ’80, da quando si iniziò a parlare di alta velocità, e che nell’area metropolitana di Torino e Milano aveva condotto a parlare del progetto
MI-TO. È questo un dato sul quale dobbiamo confrontarci, perché vuol dire
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GIANNI ALEMANNO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
che si cercherà di rendere servizi e funzioni in grande scala complementari, in
modo tale che si stabilisca un equilibrio sulla base della reciprocità. Il mio augurio è che, nel frattempo, si risolvano altri problemi che assillano il capoluogo
campano; lo stesso auspico per Roma. Sono queste le dimensioni sulle quali
bisogna ragionare, anche e soprattutto in relazione alle aree metropolitane europee ed extraeuropee.
Cesare San Mauro
Giorgia Petrini, Vicepresidente degli Amici di Roma Europea e componente
alla Giunta dei Giovani alla Confindustria del Lazio, ti chiede quale sia la visione sulle imprese piccole e medie di Roma tra l’anno corrente e quelli futuri.
Agevolazioni, sviluppo sul territorio, quali modalità?
Gianni Alemanno
Il primo dato fondamentale sulle piccole e medie imprese è relativo al modo
in cui si fanno gli appalti. È chiaro che, se gli appalti vengono fatti in una
logica di maxi appalti, di global service, di realtà estremamente concentrate, si
crea un meccanismo di soffocamento del tessuto delle piccole e medie imprese.
Prima accennavo al fatto che il maxi appalto per la gestione delle strade è stato
firmato, poi è stato revocato; da parte nostra l’intenzione non è quella di fare
un altro maxi appalto, ma di dividere la città in 4 o 5 lotti che permettano di
avere una realtà più diffusa, mantenendo una centrale di governo e controllo
nelle mani della pubblica amministrazione. Ciò nella consapevolezza che un
altro aspetto che non funzionava di quell’appalto era il controllo decentralizzato. Ossia, lo stesso consorzio che gestiva le strade, doveva controllare e garantire la manutenzione delle strade stesse. Il fattore fondamentale è la gestione
intelligente degli appalti, che ha anche un altro risvolto, quello della sicurezza
sul lavoro. Dobbiamo fare in modo che nella definizione degli appalti non si
ricorra in maniera troppo semplificata al massimo ribasso, ma che ci sia un
controllo e una verifica dei costi industriali che includano anche la sicurezza
del lavoro, perché spesso il massimo ribasso conduce alla presenza di condizioni
di lavoro assolutamente insostenibili e molto pericolose. Il secondo elemento
è connesso al tema delle municipalizzate. Non ho sottolineato un fatto, ossia
che ci deve essere una contrazione della presenza delle municipalizzate del comune nelle varie sfere di attività. Oggi, ci sono circa ottanta società del gruppo
Comune di Roma impegnate in più settori, dalla cultura ai servizi di assistenza;
ebbene, credo che, nella ristrutturazione che stiamo facendo, molte di queste
realtà debbano essere dismesse per lasciare più spazio alle piccole e medie imprese di varia natura ed evitare una concorrenza sleale da parte delle nostre so22
Roma Capitale: prospettive e criticità
cietà che intervengono e sottraggono al mercato vari comparti.
Il terzo elemento riguarda la creazione di un diverso approccio con la burocrazia. L’Assessore Bordoni, che è Assessore alle Attività Produttive, ha il compito
di realizzare lo sportello unico per le imprese laziali. Questo, innanzitutto per
i nostri servizi, per avere un luogo unico in cui si va con tempi certi e con il silenzio-assenso, come sanzione finale per la risoluzione di tutti quei problemi
burocratici. In accordo con la Camera di Commercio, questo sportello unico,
per quanto riguarda i mercati comunali, dovrà valere per tutte le autorizzazioni
che sono necessarie per aprire un’impresa. Inoltre stiamo cercando di informatizzare molti processi, soprattutto quelli di carattere urbanistico, in maniera
tale da smaltire tutte le pratiche arretrate.
Quarto elemento, quello relativo ad alcuni interventi, è quello dal carattere
più economico. In questo caso, è indispensabile la collaborazione della regione,
perché è la regione ad avere la competenza, almeno fino all’approvazione dei
poteri su Roma Capitale, sullo sviluppo economico. Abbiamo ragionato con
il Presidente Marrazzo e con il Presidente Zingaretti per fare una cabina di
regia unica per quanto riguarda la gestione della situazione di crisi; in particolare, proprio oggi, abbiamo rappresentato alla consulta delle imprese, la creazione di un fondo di garanzia e credito per Roma che deve aiutare le piccole e
medie imprese, soprattutto quelle in difficoltà, ad avere un accesso al credito
secondo i criteri di Basilea. In sintesi, si tratta di creare delle condizioni che
permettano di avere un accesso diretto al credito e di garantire condizioni migliori sul versante burocratico e sulle realtà di concorrenza in modo da sviluppare le piccole e medie imprese romane.
Concludo questo mio intervento dicendo che c’è un tessuto molto vitale, da
questo punto di vista, che può e deve crescere perché quando una realtà economica è forte e grande deve dimostrarlo sul campo. Non deve, cioè, considerarsi forte e grande perché ha il privilegio di essere un grande gruppo, bensì
deve dimostrare la propria forza con la capacità di stare sul mercato bene e lasciare spazio alla crescita delle piccole e medie imprese. Il tessuto imprenditoriale romano, infatti, ha grandi potenzialità che devono andare avanti e si
devono differenziare, senza considerare solo gli aspetti edilizi, bensì pensando
a forme diverse ed innovative, ad un rapporto con l’università, ad esempio, per
far crescere questo tessuto. Roma non è più soltanto la città dei Ministeri, delle
burocrazie, ma è anche una città dal punto di vista del settore terziario e del
settore industriale molto forte a livello imprenditoriale: dobbiamo farla crescere
e sviluppare, perché questa è la prospettiva che ci consentirà di dare lavoro ai
nostri giovani e fare in modo che i cervelli migliori rimangano a Roma per costruire insieme una realtà solida.
23
GIUSEPPE PECORARO
Roma città sicura
Cesare San Mauro
Buonasera, come sempre saluto e ringrazio le società che sostengono l’impegno
della Fondazione Roma Europea, soprattutto in questo particolare periodo di
crisi, in cui si è spesso costretti a forti tagli aziendali. Ringrazio le 32 imprese
che non hanno tagliato il budget destinato alla Fondazione e le hanno così permesso di andare avanti. Ringrazio allo stesso modo, gli Amici di Roma Europea
che ad oggi sono 117. Un numero che ci auguriamo possa crescere sempre di
più ed è per questo che mi permetto di sollecitare, chi ancora non lo avesse
fatto, a iscriversi. Come sempre uomini delle istituzioni, della politica, della
cultura qui al Caffè Greco si confrontano, senza reti, visto che non c’è una posizione predeterminata della Fondazione Roma Europea, ma c’è un contributo
culturale e scientifico al quale crediamo molto e che ci ha consentito, in questi
25
GIUSEPPE PECORARO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
anni, di redigere una serie di pubblicazioni importanti su Roma, dal punto di
vista dell’analisi sia storica sia urbanistica, della logica politica ed istituzionale,
nonché economico e finanziario. Dopo il sindaco di Roma, Gianni Alemanno,
questa sera è con noi il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro.
Giuseppe Pecoraro è nato a Palma, in Campania. Si è laureato in giurisprudenza all’Università di Napoli. Ha iniziato la sua brillante carriera nel 1973.
Nel 1994, viene nominato prefetto della città di Prato e, dal dicembre 2001,
diventa capo del gabinetto del Capo della Polizia; dal 2007, è vice direttore
generale della pubblica sicurezza. Il 3 agosto 2007 viene nominato capo del
dipartimento dei vigili del fuoco, del servizio pubblico e della difesa civile. Dal
30 novembre 2008 è prefetto di Roma. Questa di stasera è la sua prima uscita
pubblica: ti ringrazio, in modo particolare, di averci fatto questo onore.
Giuseppe Pecoraro
Buonasera a tutti, sono davvero onorato di essere in questo “salotto” di fronte
a tante splendide persone e in compagnia del caro amico Cesare San Mauro,
cui sono legato da una profonda amicizia. (I nostri genitori erano compagni
di collegio al Bianchi di Napoli). Stasera vi parlerò di sicurezza: Roma è una
città sicura. Stando ai dati, si è registrato un calo dei reati predatori, a fronte
dei 6000 che si registravano in precedenza nella Capitale. Ciò che voglio sottolineare è il modo in cui è cambiato il concetto di sicurezza nel nostro Paese.
Antonio Marini, che è stato in prima fila durante gli anni ’70-’80, insieme all’allora Capo della Polizia, Coronas, nella lotta al terrorismo, ci dice che, in
quegli anni, il terrorismo era quello che veramente faceva paura a tutti e rendeva la vita triste. La criminalità organizzata, con le varie vicende di mafia e di
camorra, creava delle situazioni incredibili che, oggi, fortunatamente, non ci
sono più, grazie alle forze dell’ordine e alla magistratura. Tuttavia, permane
una percezione di insicurezza che ci pervade tutti. Perché questa percezione di
insicurezza? Non voglio fare il sociologo, non lo sono, faccio semplicemente il
prefetto. Ma questa sensazione, che tra l’altro è aumentata tantissimo negli
anni 2000 - le stime parlano di una percentuale del 30% tra le famiglie italiane
che soffrono di insicurezza - trova le sue cause nella società, che è cambiata.
Quella di oggi è una società diversa. L’urbanizzazione, l’immigrazione, il degrado urbano sono tutti fattori che hanno contribuito a creare questa insicurezza. Sono divenuti portavoce del pensiero della collettività, in tal senso, i
Sindaci, perché, dopo la legge 241 che prevede la loro elezione diretta dal popolo, ne diventano i punti di riferimento. Mentre prima questo senso di insicurezza si diffondeva in tutti i partiti, e se ne perdeva anche contezza e quindi
le autorità centrali non erano in grado di percepirlo, oggi, attraverso i Sindaci,
26
Roma città sicura
questa percezione è diventata più forte ed è arrivata alle autorità centrali e alle
istituzioni locali anche di pubblica sicurezza. Negli ultimi due governi, attraverso i patti per le aree metropolitane, si è cercato di far fronte a tutto questo.
I patti per le aree metropolitane hanno costituito uno strumento valido per
mettere insieme le esigenze delle popolazioni attraverso i sindaci e le risorse
dello stato. Con queste misure è iniziata una nuova politica sulla sicurezza, che
ha dato dei risultati importanti, come dimostrano i dati in calo relativi ai reati
commessi negli ultimi due anni. Roma è una città che ha avuto ben due patti
per migliorare la prevenzione e la realizzazione dell’ordine della sicurezza pubblica; i patti hanno riguardato soprattutto un argomento, quello dei nomadi.
Mentre da altre parti, a Prato per esempio, dove sono stato 5 anni, i reati diminuivano, ma c’era paura. Non riuscivo a capire perché; parlavo con il Sindaco e con i magistrati. Camminando per le vie di Prato, mi sono reso conto
che c’era una zona, anzi alcune zone, completamente occupate da cinesi. Negozi cinesi, insegne scritte in cinese, si parlava in cinese, ma reati lì non c’erano,
quindi mi sono detto che doveva trattarsi di qualcosa di diverso. L’insicurezza
aveva creato una sorta di crisi di identità, come se i cittadini si sentissero estranei, fuori dalla propria Nazione. A Roma è sorto il problema dei nomadi.
Molto spesso, chiamiamo “nomadi” quelli che nomadi non sono. Pensiamo
che chi è rom è romeno, e chi è romeno è nomade. Tuttavia, la maggior parte
dei nomadi proviene dall’Ex Jugoslavia. Insieme ai prefetti di Milano e Napoli,
sono stato nominato commissario per il superamento dell’emergenza nomadi,
perché a Roma questa è l’emergenza che è stata individuata. Ci stiamo muovendo, con il Presidente della Provincia, il Presidente della Regione e il Sindaco
Alemanno su 6 obiettivi in particolare: 1) l’eliminazione degli insediamenti
abusivi, per espellere tutti coloro che non hanno diritto a rimanere sul territorio
italiano e per trasferire presso campi autorizzati coloro che, invece, hanno questo diritto; 2) l’avviamento delle operazioni per la chiusura del campo Casilino
900; 3) la redazione di un nuovo regolamento per disciplinare la vita nell’ambito dei campi; 4) l’avviamento immediato di un’azione in tutti i villaggi autorizzati per la ricognizione di coloro che hanno diritto a rimanere presso tali
strutture; 5) il monitoraggio dei vari campi autorizzati - la comunità ebraica si
è offerta di fare da tutor presso i campi autorizzati; 6) la possibilità, da parte
di alcune famiglie, di ospitare dei nuclei familiari per avviarli all’integrazione,
progetto che sono riuscito a portare avanti grazie alla collaborazione degli altri
prefetti e alla buona volontà di molti comuni limitrofi. Dunque, da un lato
c’è la volontà di costruire nuovi campi attrezzati o di ampliare quelli già esistenti; dall’altro, di trasferire, in altri comuni del Lazio, nuclei familiari che intendono lasciare Roma e tentare l’inserimento in altri contesti italiani. I comuni
disponibili sono circa 60 e appartengono alla provincia di Frosinone, di Latina,
27
GIUSEPPE PECORARO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
di Rieti; qualcuno si è fatto avanti anche nella provincia di Roma. Se questo
progetto riuscisse ad andare avanti, 1.200 persone potrebbero lasciare la città
di Roma. Quanti nomadi ci sono a Roma? Il primo censimento fatto dal mio
predecessore, Carlo Mosca, attraverso la Croce Rossa, ne attestava circa 6.000;
poi è stato necessario rivederlo perché ci si accorse che i numeri in alcuni campi
erano aumentati. Con polizia e carabinieri, abbiamo fatto non solo un nuovo
monitoraggio, ma abbiamo cercato di capire chi c’è in questi campi e abbiamo
avuto un po’ di sorprese. Per esempio, sul numero dei bambini, a Casilino 900,
su 626 presenze ben 300 sono dei minori; nel campo di Baiardo, su 176 presenze ben 63 sono minori; alla Monachina, su 99 presenze, 30 sono bambini,
alla Martora, su 203 presenze, i bambini sono 76; a Tor de’ Cenci, su 319, 179
sono bambini. Un numero incredibile di bambini, dunque. Purtroppo, a volte,
anche sfruttati. All’interno dei campi, abbiamo trovato macchine rubate, tra
cui una Porsche; abbiamo emesso un mandato di cattura internazionale, oltre
a vari arresti; ma il dato più significativo riguarda la presenza dei bambini e
delle donne. Ovviamente, il processo di inserimento sarà un processo lungo e
difficile, che prima o poi bisognava iniziare. E’ inutile dirvi che la situazione
di questi campi non è da paese civile; già solo le semplici fotografie sono impressionanti, i bambini vivono in una realtà da quarto mondo. Tutto questo ci
impone, come paese e società civile, di fare qualcosa. C’è una forte volontà politica di riuscire a portare avanti questo disegno principalmente per due motivi:
1) per un discorso di prevenzione, di sicurezza pubblica, poiché non tutte le
persone che vivono in questi campi sono persone per bene; 2) per l’esigenza di
dare un futuro ai bambini e ai giovani. In caso contrario, tra 10 anni ci troveremo nella stessa condizione, cosa che vorremmo evitare, visto che negli altri
paesi europei non ci risulta che ci sia una situazione del genere. Per i nuovi
campi, abbiamo preso come base per il progetto un campo nomadi tedesco
che è in possesso degli standard europei, articolato in tante casette che possono
essere prefabbricate o permanenti, decisamente più dignitoso. Per i campi già
esistenti, intendo redigere un regolamento attraverso il quale disciplinare la
vita all’interno dei campi stessi, stabilire diritti e doveri e assicurare la sorveglianza, grazie al contributo della polizia municipale e della Croce Rossa. Sicuramente, è una situazione difficile, un progetto sul quale scommettere. In
quanto paese civile, abbiamo il dovere di portarlo avanti in maniera vincente.
Le risorse messe a disposizione dallo stato e dagli enti locali sono pari a tre milioni di euro. Ci auguriamo di proseguire nel modo migliore. Come ho avuto
modo di dichiarare, dopo un primo periodo di assistenza, chiederemo a coloro
che abiteranno nei campi di pagare le utenze come tutti i cittadini italiani;
quando saranno avviati al lavoro, sarà richiesto loro di pagare anche le tasse.
Ovviamente, chi non si integrerà uscirà dal piano di assistenza. Ecco perché
28
Roma città sicura
dico che è un piano particolarmente complesso, perché i costumi sono certamente diversi dai nostri, anche se la Croce Rossa è molto fiduciosa. I nuclei
familiari, che intendono essere destinati al lavoro, sono stati già individuati e
nutriamo buone speranze sulla riuscita del progetto. Sempre per questo mese,
abbiamo in programma un piano di vaccinazione di tutti i bambini in modo
da evitare che ci siano malattie e che, eventualmente, queste si propaghino; ci
stiamo preparando, contemporaneamente, all’avvio di un processo di scolarizzazione. A seguire i bambini, ci sono i servizi sociali del comune e delle istituzioni locali insieme alle associazioni che intendono adottare il campo che sarà
attrezzato. Tornando al tema della sicurezza, più in generale, i reati a Roma
sono scesi da 19.876 nel 2006, a 12.900 oggi. Si tratta di circa 6.000 reati in
meno. Se prendiamo in considerazione i reati predatori, si tratta di un dato
molto rilevante: passiamo dai 18.000 del 2006 ai 10.000 del 2008. Sono dati
che ci confortano e che danno anche l’idea dell’azione di prevenzione messa
in atto dalle forze dell’ordine e dall’autorità giudiziaria.
Cesare San Mauro
I dati si riferiscono alle denunce o ai reati?
Giuseppe Pecoraro
Si tratta dei reati effettivi. Il problema delle denunce esiste sempre: la loro non
obbligatorietà!
Ciò che maggiormente ci preoccupa in questo momento, non sono tanto i
reati predatori, quanto i cosiddetti “reati da sballo”. Definiamo così quei reati
che sono commessi in stato di ubriachezza o dopo aver preso della droga; ad
esempio, gli stupri che si sono registrati, in quest’ultimo periodo, sono stati
tutti determinati, o comunque sono avvenuti, da parte di persone ubriache o
drogate. È notizia di questi giorni che, anche gli incidenti stradali o gli omicidi
colposi, sono stati determinati da persone che erano in stato di ebbrezza. Ci
preoccupa non poco, a tal riguardo, quello che succede nel centro storico, soprattutto nella zona di Piazza Farnese e Campo de’ Fiori, dove spesso abbiamo
registrato situazioni incresciose. Non si trattava di reati di particolare gravità,
ma abbiamo potuto constatare questo fenomeno per cui ragazzi giovani si
ubriacano in mezzo alla strada dando luogo a risse e conseguenti accoltellamenti. Recentemente, un ragazzo americano è stato accoltellato: è scattata subito l’ordinanza di divieto delle bevande alcoliche e del trasporto anche del
vetro. Sono provvedimenti provvisori, che comunque costituiscono, sia pur legittimati da questioni di sicurezza pubblica, una limitazione della libertà di
commercio. Infatti, proprio per questa ragione, abbiamo avuto diverse proteste,
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GIUSEPPE PECORARO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
ma data la provvisorietà dei provvedimenti per adesso siamo riusciti a mantenere in vigore tali ordinanze. Sempre in relazione a questo aspetto, abbiamo
avuto molte richieste di maggiore controllo del territorio, ma è inutile dirvi
che è impossibile moltiplicare gli uomini che oggi ci sono. Chi si interessa di
sicurezza pubblica e chi lavora nella pubblica amministrazione sa che ci sono
forze dell’ordine a Roma per un totale di circa 10.000 uomini tra Polizia e Carabinieri; sono uomini che riescono ad avere un accurato controllo del territorio. La mancanza di assunzioni per carenza di fondi, dovuta alla crisi; la
mancanza degli ausiliari di cui disponevamo una volta e che erano utilissimi,
data l’abolizione della leva militare, sta determinando una sempre più crescente
insufficienza di personale. Speriamo, in futuro, di poter assumere, ma nel frattempo dobbiamo fare qualcosa, vale a dire sfruttare ed incrementare i servizi a
disposizione, come incentivare l’uso della tecnologia il più possibile, implementare la videosorveglianza. E’ ovvio, il prof. Chiaravalloti lo sa bene, la videosorveglianza crea una serie di problemi sul piano della privacy. Per questo
cercheremo, compatibilmente con le norme sulla tutela della privacy, di poter
attivare la rete di videosorveglianza nel centro storico, perché l’unico strumento
è questo per poter meglio seguire e prevenire; inoltre, costituisce un deterrente
soprattutto per i reati da sballo o predatori, cui accennavo prima. Per fare tutto
questo, le risorse ci sono, anche se limitate, nella consapevolezza di realizzare,
comunque, un provvedimento tampone, visto che serve qualcosa di strategico.
Oggi, strategica può essere la videosorveglianza, in attesa di un progetto più
ampio di assunzioni di personale o di altra natura. Spesso, mi hanno interrogato sulle ragioni profonde della criminalità organizzata. Tutti se ne preoccupano a Roma. Devo dire, anche alla luce dell’operazione di stanotte, ossia di
40 arresti per associazione a delinquere di stampo mafioso. Una fortunata coincidenza che indica la presenza di una costante e forte attenzione delle forze
dell’ordine e dell’autorità giudiziaria. Certamente, tentativi di infiltrazione a
Roma ce ne sono, è inutile negarlo, però l’attenzione che c’è, da parte soprattutto di Guardia di Finanza, Polizia e Carabinieri, ci permette di non avanzare
una grossa preoccupazione.
Mi soffermo, infine, su un punto che immagino voi, come cittadini, avrete
particolarmente a cuore: quello dei cortei. Se n’è parlato tanto ed è un problema in cui mi sono imbattuto non appena ho avuto l’incarico di Prefetto di
Roma. Una soluzione l’abbiamo trovata; ci siamo già incontrati con i sindacati
dei partiti politici ed abbiamo, sostanzialmente, affrontato un problema di natura costituzionale: limitare il diritto di manifestazione, significa violare l’articolo 17 della Costituzione, anche perché la limitazione può avvenire solo per
motivi di ordine pubblico o per ragioni di sanità pubblica. Ebbene, abbiamo
trovato una soluzione, che è quella di contemperare i due diritti: l’articolo 16
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Roma città sicura
della Costituzione, che prevede il diritto alla libera circolazione e l’articolo 17,
che assicura il diritto di manifestare. Deve esserci un equilibrio tra questi due
diritti, in quanto il ripetuto utilizzo degli stessi percorsi costituisce una limitazione al diritto di circolazione. Abbiamo pensato di disciplinare il diritto di
manifestare. Ci rendiamo conto che non è il massimo, però, penso che poter
rendere più vivibile la città di Roma, soprattutto per quei cittadini che abitano
nelle strade più volte interessate dai cortei, e facilitare il raggiungimento del
posto di lavoro di coloro che sono obbligati a transitare in tali vie, sia un dovere
delle istituzioni locali. Per questo abbiamo previsto che i cortei raggiungano 3
piazze attraverso 6 itinerari che possono essere percorsi alternativamente; 2 itinerari per ciascuna piazza, per cui diventerebbero 6 cortei al mese. Sono i sindacati a scegliere le piazze e i percorsi, in modo che non sia un’imposizione da
parte dell’autorità: dunque, c’è una convergenza tra partiti politici, sindacati e
prefettura. Inoltre, abbiamo previsto 2 piazze per manifestazioni statiche, visto
che i sindacati ci tengono molto, soprattutto a quella dei Santissimi Apostoli,
con l’impegno di non intralciare il traffico lungo Via Nazionale. E’ stato duro,
ma ci auguriamo di poter pervenire, la prossima settimana, alla firma dell’accordo e di poter disciplinare questa materia, sperando che poi la gestione successiva sia serena e non ci obblighi a ricorrere al testo unico di sicurezza. Vi
ringrazio per l’attenzione e sono disponibile ad ogni vostra domanda.
Cesare San Mauro
Innanzitutto ringrazio l’Eccellenza in qualità di amico. Il ricordo dei nostri genitori è stato particolarmente toccante. Come da consuetudine vorrei ringraziare, inoltre, i nostri ospiti internazionali, gli ambasciatori delle varie
rappresentanze estere a Roma. Come sapete è una nostra consolidata volontà
quella di coinvolgere, nelle nostre serate, i corpi diplomatici delle varie ambasciate a Roma che spesso costituiscono un elemento di informazione e confronto. La Fondazione Roma Europea, in questi anni, ha condotto varie
ricerche e studi su Roma, sul fiume Tevere, ma anche su internet, sul dialogo
religioso e sugli ambasciatori che vivono a Roma, sui loro stili di vita. Bene,
siamo pronti per le dare inizio alle domande. Visto che hai parlato dei cortei,
vorrei farti quattro domande brevi. I rapporti con le province: lungi da me
porti una domanda di carattere meramente politico, ma si tratta di un dibattito
che in questa sala ha visto contrapposti istituzioni molto forti. Tra Zingaretti
e Alemanno c’è stato un dibattito molto acceso sui confini di Roma Capitale;
oltre al tema di Roma Capitale e la sua previsione costituzionale e legislativa
ormai, c’è il tema della ripartizione delle funzioni in materia specificatamente
di ordine pubblico. In un Paese con un modello profondamente centralizzato,
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GIUSEPPE PECORARO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
come quello francese, si riconoscono al Sindaco di Parigi delle peculiarità. In
prospettiva, che tipo di relazione ci può essere, quale può essere l’impatto, del
fenomeno istituzionale di Roma Capitale rispetto alle competenze della prefettura? Seconda domanda: gli uffici territoriali del governo. Volevo capire il
grado di resistenza che hai notato nelle amministrazioni decentrate dello Stato
a farsi coordinare, perché questo è un tema centrale; non so quanto sia necessario un rilancio della funzione prefettizia come momento di coordinamento.
Terza domanda: ci avevi preannunciato qualcosa sulla nazionalità dei rom e
sull’atteggiamento antirumeno che sembra basato su un pregiudizio infondato,
visto che non esistono dati che attestino che i rumeni siano più o meno insidiosi a livello criminale degli immigrati provenienti, per esempio, dalla Serbia
o dall’Albania. Quarta domanda: le denunce. Da cittadino italiano, ex amministratore pubblico, presiedo un’agenzia amministrativa per il controllo agricolo, noto che va sempre più scemando la fiducia nelle istituzioni. Consentimi
di raccontare un breve aneddoto; come Agecontrol, ci siamo ritrovati con due
ispettori che lavorano presso il mercato della Vucciria a Palermo, condannati
in 1° e 2° grado per concorso in associazione mafiosa, concorso per associazione
a delinquere, concussione aggravata e continuata. Sulla base della presunzione
di innocenza, il giudice di Palermo ne ha disposto la reintegrazione nel posto
di lavoro. In seguito a un consiglio di amministrazione, ne abbiamo disposto
il trasferimento presso il mercato di Padova. Il giudice, non solo ha stabilito il
reintegro nel mercato della Vucciria, ma ha anche iniziato un provvedimento
per comportamento antisindacale nei miei confronti. Alla luce di un’esperienza
del genere, viene meno la fiducia nel potere della denuncia e la sfiducia finisce
per serpeggiare ed incontrare plausi crescenti nelle nostre istituzioni.
Giuseppe Pecoraro
Il fatto che i cittadini italiani, almeno secondo i sondaggi, apprezzino, in primo
luogo, i Vigili del Fuoco, poi i Carabinieri e quindi la Polizia di Stato, dimostra
che ci sia sufficiente fiducia nei confronti delle forze dell’ordine. Non credo
che, da parte dei cittadini, non ci sia la fiducia, ma manca la fiducia nell’effetto
che una denuncia può avere, quindi la domanda va rivolta ad altri.
Per quanto riguarda le altre domande, siamo davvero in un clima di cambiamento. Già da quando le regioni furono istituite c’è stato un cambiamento.
Però a una cosa penso che gli italiani non rinunceranno mai: alla municipalità,
ai comuni, perché l’Italia è il Paese dei comuni. La nostra tradizione è quella
dei comuni; possiamo rinunciare alle prefetture, alle province, alle regioni, ma
ai comuni mai. Per questo penso che il comune debba rimanere il centro della
vita del nostro Paese; di qui il successo dei sindaci, di qui le funzioni che sono
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Roma città sicura
state conferite ai sindaci, per cui se la provincia dovesse venir meno, credo che
si potrebbero benissimo ampliare le funzioni dei comuni. Ovviamente, la Provincia ha le sue funzioni, però, lo ripeto, il centro è il comune. Si è detto tanto
delle prefetture; eppure, ancora, non si sa bene cosa facciano i prefetti; le prefetture ormai vivono da oltre 100 anni, sono state istituite da Napoleone; rappresentano 200 anni della nostra storia, un vecchio istituto che si è rinnovato
nel tempo riuscendo ad adeguarsi alla realtà attuale. Penso che, la prefettura
come istituzione, sia stata molto utile soprattutto al tempo del terrorismo, perché i prefetti hanno tenuto duro quando era facile aver paura; le questure, le
forze di Polizia, come anche la magistratura, sono stati dei riferimenti per i cittadini; i prefetti sono scesi in mezzo alla gente insieme ai magistrati e ai questori
cercando di dare fiducia e ottimismo. L’istituzione, in quel preciso momento
storico, è stata di significativa importanza per il nostro Paese. Allora, come
anche nell’affrontare la criminalità organizzata, le prefetture hanno continuato
a fare il loro lavoro con grande dedizione e competenza. Sono tre le competenze
cui noi non possiamo rinunciare, se non attraverso un cambiamento radicale
del nostro ordinamento: 1) l’ordine per la sicurezza pubblica; 2) la garanzia
dei diritti, ossia diritto elettorale, diritto di immigrazione, diritto di cittadinanza; 3) assicurare il regolare funzionamento degli uffici statali, che si collega
agli uffici territoriali di governo. Oggi, nel momento in cui, le funzioni delle
Regioni sono esaltate, è ovvio che ci devono essere anche dei riferimenti dello
Stato nelle Regioni, tenendo conto che alcune funzioni sono e rimarranno statali, fino a quando non si cambia la Costituzione. Ci deve essere, tuttavia, un
riferimento statale nella Regione, e chi meglio del prefetto può avere questo
ruolo di riferimento? Il prefetto è un rappresentante del Governo, dello Stato
per tutti i cittadini e per gli uffici statali. Siamo convinti che debbano continuare ad esistere circoscrizioni provinciali. A partire dal 1992, predisposi un
progetto di prefetto regionale, che fu chiesto all’allora capo della polizia Parisi,
che prevedeva funzioni prefettizie in qualità di rappresentante dello Stato nella
regione - e questa era la criticità - con delle sottoprefetture circoscrizionali. Distretto e Corte d’Appello potrebbero coincidere, così come prefettura e sottoprefettura, l’importante è che ci sia un presidio dello Stato sul territorio, una
funzione piena del prefetto regionale e delle articolazioni sempre a livello territoriale. Credo che una riforma in questa direzione non danneggerebbe i prefetti, anzi potrebbe essere utile per dare atto a questa funzione che può e deve
ampliarsi in relazione a quelli che sono gli interessi del Paese. A proposito degli
uffici territoriali del governo: si sono rivelati un mezzo fallimento, perché non
tutte le amministrazioni hanno accettato di essere coordinate dai prefetti. Il
Ministro Maroni intende rilanciare il progetto con le nuove Province, dove
nascerebbe l’ufficio territoriale del governo anche con le funzioni degli altri
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GIUSEPPE PECORARO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
uffici statali presenti sul territorio. Vuole fare questo tentativo e penso che sia
importante perché così si stabilisce meglio il riferimento nella regione, nell’organo statale e, soprattutto, si assicura, attraverso il coordinamento, il miglior funzionamento degli uffici statali. Oggi, è necessario che si faccia qualcosa in più perché
il prefetto possa veramente garantire il regolare funzionamento degli uffici.
Da ultimo, rispondo al quesito sulle nazionalità, fornendo qualche dato. Al
Casilino 900, la comunità bosniaca costituisce la maggioranza con 246 presenze, seguita da quella proveniente dal Montenegro con 220 presenze, 91 kosovari, 56 macedoni, 11 serbi, 1 rumeno e 1 italiano. Al Baiardo, ci sono 90
rumeni, 60 macedoni, 21 serbi e via di seguito. La Monachina ospita 90 bosniaci, 7 italiani, 2 rumeni. Alla Martora, ci sono 132 serbi, 39 rumeni, 12
francesi, 9 italiani, 7 bosniaci, 3 croati e 1 turco. A Tor de’ Cenci, sono presenti,
maggiormente, bosniaci e macedoni. Queste sono le nazionalità. Quando diciamo “rom”, diciamo romeni ma questa è la conferma che ai rom non corrispondono i romeni come popolazione.
Andrea Bollino
Mi rivolgo al prefetto come membro della commissione Marzano, perché sono
contento di vedere che il futuro di Roma e di noi romani si poggia su solide
basi. Con persone come lei, Roma riuscirà ad uscire dal degrado e potrà essere
rilanciata verso un futuro migliore. La mia domanda è su una parola che lei ha
detto, ossia sulla scolarizzazione. Come facciamo a mandare a scuola questi ragazzi? Come facciamo a strapparli all’influenza negativa che in quell’età subiscono dalle loro famiglie e da quella situazione di degrado?
Giuseppe Faberi
Tra le varie esperienze che ho avuto nella mia vita, sono stato anche funzionario
di prefettura. Dal 1967 a oggi, mi sembra che le cose non siano molto cambiate. Per quanto riguarda i cortei, sono d’accordo sul bilanciamento tra diritti
costituzionalmente garantiti: è una cosa assolutamente legittima. Per quanto
riguarda la prevenzione dei reati in genere, la mia domanda è questa: per gli
stranieri che delinquono e che, negli ultimi anni, sono drammaticamente alla ribalta, perché bisogna fare ancora questa distinzione arcaica fra espulsione senza accompagnamento alla frontiera ed espulsione con accompagnamento coattivo?
Attilio Romita
Eccellenza, l’ho ascoltata con molta attenzione. Ci ha fatto sapere che i reati a
Roma sono diminuiti, gli interventi che, con il Sindaco Gianni Alemanno,
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Roma città sicura
avete fatto sui campi nomadi sono evidenti. Lavoro in Rai e avevo davanti agli
occhi uno scenario davvero avvilente in quel parcheggio, davanti alla nostra
sede, pieno di Porsche, Mercedes e Ferrari accanto alle roulotte. Abbiamo visto
che la condizione delle strade è migliorata e non sono più invase da travestiti
che mettevano in imbarazzo, mentre si percorrevano in compagnia dei propri
figli. Tutto questo concorre a dare sostanza visiva alla notizia che Roma è una
città più sicura; però esiste una percezione di insicurezza tra i romani che è
fuori discussione. Allora mi chiedo se anche Lei pensa che questa percezione
di insicurezza sia colpa dei giornalisti, ossia che ruolo hanno, dal suo punto di
vista, i mass media nella creazione di una percezione del genere?
Gerardo Lancia
Parlando delle partite di coppa di calcio, non penso che ricorrano gli stessi elementi che lei ha citato per i cortei; ora è vero che, da un lato bisogna dare il
diritto di manifestare e, dall’altro, bisogna dare il diritto di partecipare alle partite di calcio all’Olimpico; ma nello stesso tempo, come poter alleviare maggiormente il disagio della zona? Un suggerimento e una proposta: da cittadino,
non ho constatato, e potrebbe essere una proposta, che vengano messe, sia sulla
televisione regionale sia sulle testate giornalistiche regionali, sia su internet, informative aggiornate in tempo reale, in modo da evitare di transitare in certe
zone; la seconda proposta è un po’ più istituzionale, parlando di azioni di infomobilità. In qualità di dirigente FILAS, posso testimoniare che attiviamo e sosteniamo progetti di tal genere. Da questo punto vista, mi trovo d’accordo con
la prefettura di Roma, nel senso che gli investimenti e i progetti relativi all’info-mobilità potrebbero essere un’opportunità.
Salvatore Bonadonna
Parlo in qualità di ex-assessore all’urbanistica. Intanto, le auguro di realizzare
il progetto su cui si è pronunciato e mi auguro che ci si riesca anche insieme
al Sindaco Alemanno, perché è un progetto che va nella direzione su cui fallii
io insieme al suo predecessore, il prefetto Mosino, e al Sindaco Rutelli. Voglio
dire che lei, e i prefetti in generale, da questo punto di vista, avete un privilegio
che, purtroppo, la politica ha perso: quello di affrontare le questioni per quello
che sono e non per la lettura di parte che se ne dà nella battaglia politica. Per
cui abbiamo potuto liberare Casilino 700 da quelle condizioni. Adesso, mi auguro che possiate farlo con Casilino 900, così come mi auguro, per gli altri villaggi, che si superi la logica del campo, perché è la logica del ghetto e nel ghetto
i violenti e i delinquenti sopraffanno la gente per bene, che c’è anche nei campi
rom. All’epoca, stanziai il 5% dei fondi per l’edilizia residenziale pubblica, per
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GIUSEPPE PECORARO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
un villaggio, quello di Via Gorghiani, sulla base di un censimento fatto dagli
anziani del villaggio e di una dichiarazione di lealtà sottoscritta dagli stessi.
Quel progetto sarebbe costato 12 miliardi delle vecchie lire; se penso che il
campo, all’interno dell’area naturale protetta della Pontina, a Castelromano, è
costato finora 12 milioni di euro l’anno, registro uno sperpero di denaro pubblico nella direzione del perpetuarsi di una condizione di emergenza. Invece,
sulla strada dell’accoglienza e dell’integrazione, e quindi della selezione tra la
delinquenza, la devianza e la volontà di inserimento, esiste uno spazio molto
ampio. D’altra parte vorrei ricordare che il 60% dei rom sono di nazionalità
italiana e che più del 50% sono minori. Francamente non temerei così tanto
un’invasione di minori italiani, anzi, credo che sarebbe meglio se i rom nati in
Italia, ne avessero subito la cittadinanza.
Giuseppe Pecoraro
Rispondo velocemente che, di certo, è una scommessa e che, certamente, i
campi attrezzati devono essere superati, tanto è vero che nella mia relazione,
come avrete notato, ho insistito sui nuclei familiari, proprio perché è da lì che
si deve partire per risolvere il problema. Dobbiamo assolutamente superare la
logica del campo. Soprattutto lavorando sui bambini e sui giovani, potremo
riuscirci. Parlando anche della scolarizzazione, penso che se lavorassimo di più
sui bambini potremmo ricevere, proprio da loro, quella forza necessaria per
poter convincere i grandi. Intendiamo avviare il processo di scolarizzazione
proprio all’interno dei campi; portare i docenti dentro queste realtà, in modo
tale che non ci sarebbe il problema delle navette per una serie di speculazioni
che molti sanno che ci sono. Quindi, soprattutto per le prime classi elementari,
portare direttamente gli insegnanti sul posto ci farebbe ottenere rapidamente
dei risultati. I bambini e i giovani saranno il nostro investimento per il futuro.
A proposito dei giornalisti e del loro ruolo nella creazione di questa percezione
di insicurezza, voglio farvi un esempio. Quando c’è stato lo stupro a Primavalle,
se n’è parlato per qualche giorno, ma maggiore enfasi si è data a quello di Guidonia, perché c’erano 5 romeni e certamente perché è stato più feroce. Mentre
su quelli di Primavalle e della Fiera di Roma c’è stata molta meno enfasi perché,
probabilmente, erano stati commessi da italiani. Ai reati commessi da un immigrato si dà maggiore rilievo. Questo accade anche a causa di alcuni politici
che, spesso, concorrono a sviluppare discorsi di “lotta all’immigrato, al diverso”. Il problema della percezione dell’insicurezza è legato anche al fatto che,
10 anni fa, quando c’era una stazione senza luce nessuno aveva paura; oggi si
vede un marocchino nei pressi di una stazione poco illuminata e si ha paura
perché c’è un clima diverso. In questo, probabilmente, i giornalisti danno da
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Roma città sicura
pensare; certamente la maggior parte dei reati sono commessi da immigrati,
ma anche molti italiani hanno colpe pesanti. Nello stesso tempo, devo dare
atto ai giornalisti che promuovono trasmissioni molto utili favorendo dibattiti
sull’attualità per meglio delineare certi aspetti e anche per esaltare l’opera della
forze dell’ordine e per distinguere tra criminali e persone per bene. Non è per
fare retorica, ma in Italia ci sono moltissimi romeni che lavorano e vivono onestamente quindi non dobbiamo criminalizzare il popolo. Le espulsioni sono
un argomento dolente soprattutto perché non sempre gli altri Paesi accettano
le persone che vengono espulse. Nonostante i vari trattati bilaterali, non sempre
si trova una soluzione. Per esempio, con il governo tunisino abbiamo stabilito
che rimpatriamo 7 espulsi al giorno. Di espulsioni, comunque, se ne stanno
facendo tante. Non che debba difendere l’operato del governo, però rimane
un fenomeno difficile da arginare e da gestire. C’è una richiesta di immigrati
che, in particolare, viene dal centro nord, ma abbiamo grosse difficoltà nel governare questo fenomeno; le stesse difficoltà le incontrano Spagna e Grecia,
che hanno, tra l’altro, tante piccole isolette che gli immigrati facilmente raggiungono.
Perdonatemi se non ho risposto a tutti in maniera completa ed esaustiva.
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PASQUALE DE LISE
La giustizia amministrativa
Natalino Irti
La Fondazione Roma Europea ha il piacere di presentare, questa sera, Pasquale
De Lise, Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato. Non vorrei che l’elegante
participio passato “aggiunto” traesse in inganno: si tratta, infatti, del vertice
della magistratura amministrativa.
Mi riesce difficile parlare di un amico che conosco da 45 anni; ricorderò soltanto che De Lise si è laureato all’Università di Napoli, alla scuola di un luminare del diritto commerciale, Alessandro Graziani - un grande studioso, che
era stato allontanato dalle leggi razziali del 1938 - ed ebbe compagni di corso
Francesco Almirante, oggi Presidente della Corte Costituzionale, e Vincenzo
Carbone, oggi Presidente della Corte di Cassazione. La formazione giuridica di De
Lise è stata rigorosa e, tuttavia, credo che la sua natura si caratterizzi non per sapere
tecnico, facilmente conseguibile, ma per saggezza ed equilibrio delle soluzioni.
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PASQUALE DE LISE
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
Ha presieduto per molti anni il TAR del Lazio, il tribunale più importante e
autorevole del nostro Paese. Tutte le controversie di grande entità economica
sono sottoposte alla cognizione e decisione del TAR del Lazio. Applicare il diritto al TAR del Lazio è molto diverso che altrove; significa non compiere servizi logici, ma piuttosto amministrare con saggezza civile quanto è in gioco.
Credo che De Lise abbia dato una grande misura di sé al TAR, proprio per
questo suo equilibrio, per questa sua saggia commisurazione degli interessi in
gioco. E’ una figura importante del paesaggio giuridico italiano, a tal punto
che egli ha dato un nome a un codice.
Ringrazio di nuovo Pasquale de Lise per il suo gesto d’amicizia nei confronti
della Fondazione Roma Europea.
Pasquale De Lise
Ringrazio vivamente l’amico, Cesare San Mauro, per avermi invitato a calcare
questo palcoscenico sul quale tanti illustri personaggi sono saliti e poi, ringrazio
il Prof. Natalino Irti, che è il mio maestro. Non è facile, in un periodo di impoverimento dell’etica collettiva e della cultura dei doveri civili, in cui siamo
tutti costretti a sperimentare una legalità difficile, parlare di giustizia; non lo è
soprattutto per la giustizia penale, che è sempre più nel mirino dei media e
dell’opinione pubblica; non lo è neanche per la giustizia civile, particolarmente
per i tempi troppo lunghi del suo processo che confliggono apertamente con
il principio, oggi sancito a livello costituzionale, della ragionevole durata del
processo, con la conseguente perdita di fiducia da parte dei cittadini nei confronti dell’intero apparato giudiziario: il che produce un effetto di diffuso scetticismo verso lo Stato di diritto e la stessa democrazia. Questo è un fenomeno
molto grave e molto negativo. Forse è un po’ meno pericoloso parlare di giustizia amministrativa, perciò con San Mauro abbiamo scelto questo tema, consapevoli delle deboli forze di chi è chiamato a trattarlo ma che, tuttavia, si trova
in una posizione privilegiata, dal momento che, da quasi cinquant’anni, esercita
il non facile mestiere del giudice ed ha attraversato tutte le magistrature: da
quella ordinaria, civile e penale, a quella contabile della Corte dei Conti, a
quella amministrativa, ossia Consiglio di Stato e TAR; fino a quelle “complementari”, che sono la giustizia militare, quella tributaria e così via, passando
per la giustizia sportiva.
Proverò ad analizzare, brevemente e insieme a voi, le esperienze maturate durante la mia quarantennale permanenza nel Consiglio di Stato. Esperienze che
sono sorrette da chi vive con entusiasmo questo lavoro, come se ogni giorno
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La giustizia amministrativa
fosse il primo, da chi non si fa sopraffare dalla routine quotidiana, da chi si fa
affascinare dai profili di novità della fattispecie sottoposte al suo esame, da chi
spera di poter continuare ad apportare un contributo innovativo nelle decisioni
e nell’organizzazione del proprio lavoro e di quello dell’ufficio giudiziario che
dirige. I tempi attuali sono di profondi mutamenti: nell’assetto delle istituzioni,
nei rapporti tra Stato e Società e nelle relazioni tra cittadini e potere pubblico.
Questi cambiamenti si inseriscono nel processo di trasformazione delle nostre
istituzioni verso un modello di multi level governance. La sovranità dello Stato,
che una volta era piena, assoluta, ha subito una forte erosione: innanzitutto
verso l’alto, vale a dire in relazione e in conseguenza all’appartenenza del nostro
Paese all’Unione Europea. Tutto questo si verifica ogni giorno, nel campo della
legislazione con il primato, ormai accertato, acquisito e incontestato, del diritto
comunitario sul diritto interno; poi, nel campo della giurisdizione con l’influenza delle decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulla nostra giurisprudenza, ma anche su
quella costituzionale; quindi nel campo dell’amministrazione, con l’obbligo di
osservare le determinazioni della Commissione Europea. La sovranità dello
Stato, non dico che non esiste più, ma ha subito una forte erosione. Del pari,
l’ha subita verso il basso per effetto del trasferimento di un sempre maggior
numero di funzioni verso le regioni e al sistema delle autonomie locali: mi riferisco al federalismo che si va sempre più accentuando.
Il sistema è fisiologicamente e, purtroppo, patologicamente complesso. I campi
in cui la patologia particolarmente si manifesta, sono quelli della legislazione,
dell’amministrazione e della politica. Parlo con franchezza e posso non essere
condiviso, ma la legislazione dello Stato ha perduto la funzione strategica di
indirizzo, che sarebbe, invece, indispensabile soprattutto a seguito della riforma
del Titolo V della Costituzione.
Tempo fa, ho ascoltato, in un convegno di giuristi europei a Venezia, il Sindaco
Cacciari, che ha detto una cosa che mi è rimasta impressa. Cacciari affermava
che l’attuale società tende a favorire la domanda di diritti, inflazionandola; la
politica tende a corrispondere a questa esigenza, e inflaziona, a sua volta, la
normativa. Quindi, la risposta politica alla domanda sociale di diritti consiste
nella produzione di norme occasionali rivolte a replicare alle istanze particolaristiche della domanda sociale. Si assiste alla produzione di leggi omnibus, disordinate nei contenuti e nella scelta di orientamento del sistema, o per
converso di leggi-provvedimento che intervengono direttamente su singoli atti
o rapporti giuridici per stravolgerli in nome della sovranità del legislatore. Per non
parlare delle legge finanziaria del 2007 che, in tal senso, è stata il massimo: 1364
commi in un solo articolo. Un numero abnorme, come ha affermato il Presidente
della Repubblica, che rende più difficile il rapporto tra i cittadini e la legge.
41
PASQUALE DE LISE
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
La parcellizzazione della normativa finisce per provocare un vulnus all’effettività. Le innumerevoli disposizioni sono sempre meno conosciute, applicate,
osservate e sanzionate. La complessità del sistema legislativo si ripercuote su
quello amministrativo con due ulteriori fattori di complicazioni: uno fisiologico in tutte le democrazie moderne; un altro patologico, specifico della situazione italiana.
L’elemento di complessità fisiologica è la dimensione multi-livello degli interessi pubblici, cui si accompagna la frammentazione e spesso la contrapposizione degli stessi, anche all’interno dello medesimo livello di governo, vale a
dire statale o regionale.
Oggi, non vi è più un unico interesse pubblico, ma vi sono diversi interessi
pubblici, tutti meritevoli di tutela: la salute, l’ambiente, lo sviluppo economico,
l’occupazione, l’iniziativa privata. Sono questi interessi che vanno contemperati
ed equilibrati: tutto questo, evidentemente, non è semplice.
L’elemento patologico, invece, è la condizione in cui versa la nostra pubblica
amministrazione. Il problema di fondo, a mio avviso, è dato da una cultura
amministrativa che si evolve molto meno rapidamente di quanto sia necessario
e che quindi andrebbe rimodernata.
Siamo di fronte ad una scarsa diffusione di una cultura dei risultati, al mancato
apprezzamento dei valori di merito rispetto a quelli della mera anzianità, ai ritardi nella digitalizzazione, ad un’amministrazione che continua, troppo spesso,
a rifugiarsi nel porto sicuro del non agire.
L’ultimo aspetto riguarda la politica e, credo sia sotto gli occhi di tutti, l’insofferenza che il potere politico dimostra verso il controllo giurisdizionale sui
propri atti. Questo è un atteggiamento rigorosamente bipartisan che investe
tutti, di cui sono autori tutti, a prescindere dalle parti politiche e direi che si
conclude, banalmente, con questa frase: “Se il giudice ci dà ragione, è bravo,
se al contrario, ci dà torto, allora non ha capito nulla”.
Desidero richiamare l’opinione di un apprezzato giurista ed esponente politico,
di sinistra tra l’altro, secondo il quale si può affermare che, un sistema politico
istituzionale si mantiene in equilibrio e in buona salute solo se l’esercizio del
potere è assoggettato a uno scrutinio continuo ed efficace.
Vale a dire, i controlli sono elementi essenziali di un sistema democratico e,
più in generale, dell’efficienza delle pubbliche amministrazioni.
Il nostro sistema istituzionale è fatto di pesi e contrappesi: se un peso si sbilancia troppo, inevitabilmente provoca una reazione a catena sugli altri e allora,
correggere come fa il giudice, quando viene richiesto, questi sbilanciamenti,
non significa intromettersi nella politica, ma soltanto garantire che essa non
fuoriesca dal proprio alveo; significa evitare che vengano alterati i rapporti che
dovrebbero essere regolati dal diritto e non da scelte politiche, le quali impli42
Roma città sicura
cano l’assenza di criteri oggettivi di valutazione che possono condurre all’arbitrio.
Ecco, questo è il sistema nel quale si trova ad operare il giudice amministrativo.
Un sistema, come dicevo, fisiologicamente e patologicamente complesso.
Il giudice amministrativo, nell’esercizio del suo sindacato giurisdizionale, è a
tutela dei privati nei confronti della pubblica amministrazione. In questo sistema, suo malgrado, finisce per essere uno dei protagonisti, vale a dire che,
con i modi e con i tempi del suo processo, il giudice può aggiungere ulteriori
elementi di complessità: può ridurre la portata innovativa delle riforme, privilegiando interpretazioni restrittive o formalistiche; può costituire un fattore di
rallentamento, se non di arresto della crescita, o, al contrario, può portare un
contributo di semplificazione; può favorire l’attuazione e l’accelerazione delle
riforme; può indurre direttamente o indirettamente alla loro correzione; può
costituire un fattore di sviluppo e di competitività, considerata la ricaduta sociale ed economica delle proprie decisioni.
E allora, se il nostro ruolo è quello di interpretare un sistema complesso, il nostro servizio principale è quello di fornire, con le nostre pronunce, con il nostro
processo, un punto di riferimento, di coerenza e chiarezza. Occorre, cioè, che
le nostre pronunce, nel loro insieme, assicurino indirizzi giurisprudenziali univoci, operino una semplificazione giurisprudenziale della complicazione legislativa, valorizzino il tradizionale ruolo di guida e di impulso del giudice nei
confronti di una pubblica amministrazione complessa e lenta a modernizzarsi.
Ora, come può agire il giudice amministrativo nei confronti della legislazione
dell’amministrazione della politica delle quali prima ho posto in luce le carenze?
Nei confronti della legislazione, non voglio riprendere le dispute risalenti alla
fine dell’ottocento tra il volontarismo del legislatore ed il volontarismo del giudice.
Vorrei soltanto dire che, fermi i pilastri dello Stato di diritto - ossia divisione
dei poteri, principio di legalità, indipendenza dei giudici - vista la crisi della
generalità delle regole, assicurare il rispetto effettivo di questi principi è particolarmente difficile nel senso che è richiesto equilibrio, saggezza, ma anche
fermezza, forza e coraggio. E qui, il ruolo del giudice, nei confronti della legislazione, viene in rilievo sotto almeno tre profili: il primo è quello della creatività del giudice. Il giudice è soggetto soltanto alla legge. Tuttavia, in un
sistema come il nostro, il giudice, pur non essendo creatore delle regole, talvolta
finisce per divenirlo, anche contro la sua volontà; perché nell’applicare la legge,
il giudice deve risolvere antinomie, capire le ambiguità, applicare a casi concreti
norme che contengano solo proclami programmatici, far funzionare nella vita
reale affermazioni normative che sono spesso adottate nel contesto di un di43
PASQUALE DE LISE
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
battito politico o mediatico. Il giudice deve trasformare una disposizione sulla
carta in un precetto giuridico: questo è un modo per avvicinare la legge ai cittadini. Il secondo aspetto è quello del policentrismo normativo, che è uno degli
aspetti della multi level governance, cui accennavo prima. Oggi, le leggi che noi
siamo costretti ad applicare, vengono dall’Europa, dalle regioni, dal sistema
delle autonomie locali, dalle autorità indipendenti e s’indentificano come atti
normativi. Derivano, altresì, dagli organi di autogoverno delle magistrature,
dagli ordini professionali; il compito del giudice, quindi, è quello di combinare,
nel suo ambito di giurisdizione, tutti i livelli di regole che ricadono su un unico
destinatario: il singolo cittadino, la singola impresa, la società civile nel suo
complesso. Il terzo profilo, invece, è quello della semplificazione interpretativa
di una normazione che pesa sulla competitività del Paese. Qui si fuoriesce,
forse, dal campo strettamente giuridico perché le regole costano, soprattutto
quelle di cattiva qualità e quelle particolarmente complesse e finiscono per incidere proprio sullo sviluppo e sulla competitività del Paese. Ci si deve rendere
conto che, oggi, la dimensione giuridica non è più sufficiente per la produzione
e per l’applicazione delle norme; occorre che i giuristi lavorino insieme, a stretto
contatto con chi misura l’impatto delle leggi anche nella vita reale; vale a dire
con economisti, statistici e così via. Il giudice, anche a questo riguardo, può
dare il suo contributo, acquisendo la consapevolezza dell’impatto, anche sociale
ed economico del suo lavoro, cercando di migliorare il servizio anche aldilà
del singolo caso.
Questo è tutto quello che il giudice deve fare. Il mestiere del giudice è un mestiere difficile, perché da un lato deve dar luogo a una giurisprudenza moderna,
al passo con i tempi, anche a costo di ribaltare indirizzi consolidati; ma, dall’altro, occorre che la libertà piena di ogni giudice si concili con le esigenze di
chiarezza e di coerenza degli indirizzi della giurisprudenza come garanzia dell’uniforme applicazione della legge. È necessario fuggire da quelle che, proprio
un magistrato, ha chiamato sentenze corsare, quelle, cioè, che si pongono in
modo palese e immotivato in contrasto con consolidati indirizzi giurisprudenziali.
Nei confronti della pubblica amministrazione, il giudice non ha una responsabilità diretta al fine di migliorare la pubblica amministrazione, però questa
responsabilità se la può assumere, soprattutto, il giudice amministrativo. Questa figura dovrebbe monitorare la pubblica amministrazione, nel senso che la
deve ammonire, la deve orientare, deve fare in modo che la pubblica amministrazione possa trarre un insegnamento cha vada aldilà del caso concreto.
Gli effetti tipici delle nostre sentenze sono quelli annullatori, risarcitori. Ma
c’è anche un effetto conformativo: vale a dire quello che conferisce all’amministrazione l’indirizzo su come comportarsi sul caso specifico sottoposto al44
Roma città sicura
l’esame del giudice. Questo effetto conformativo può essere esteso ad altri casi,
ai casi futuri in situazioni analoghe, ed in questa maniera, l’annullamento di
un atto legittimo può servire ad aiutare e a rendere legittimi altri analoghi atti.
Questa è un’attività quasi maieutica della giurisprudenza nei confronti dell’amministrazione.
Avendo presente, poi, che si deve fare attenzione, non soltanto alla correttezza
puramente formale, ma anche, e forse soprattutto, alla bontà sostanziale delle
sue pronunce; cioè, alla concreta capacità delle proprie sentenze dell’attività
amministrativa in modo da realizzare, con efficienza e trasparenza, l’economicità dei fini di pubblica utilità.
Il giudice amministrativo deve intendere il suo sindacato sulla discrezionalità
in senso moderno e sostanzialistico. Nelle democrazie moderne, i cittadini non
si accontentano più di atti soltanto formalmente o di leggi e regolamenti, si
chiedono se questi siano davvero utili, rispondenti allo scopo o se invece impongono oneri non necessari e, in questa maniera, si giunge alla prevalenza
della legalità sostanziale su quella formale.
A questo si deve conformare la discrezionalità di un’amministrazione moderna;
a questo la deve indirizzare il sindacato di un giudice amministrativo moderno,
avendo presente il ruolo che l’amministrazione è destinata a svolgere nel contesto socio-economico.
Quando presiedevo il TAR del Lazio, ho letto su un importante quotidiano
nazionale, che il TAR, a proposito di vicende relative alla revoca di importanti
incarichi, aveva sentenziato in modo anti-istituzionale, in palese distorsione di
un principio essenziale dello Stato di diritto e della divisione dei poteri. Questo
perché la debolezza politica dei governi ha incoraggiato il tribunale amministrativo a proclamare la propria competenza sugli atti politici.
Ritengo che sia vero il contrario, vale a dire che la debolezza sta proprio nella
tendenza a trasformare in politici, atti che hanno la natura di provvedimenti
amministrativi, sia pure di alta amministrazione.
Il giudice amministrativo si accosta a questi temi con rispetto e cautela. Ne
tratta perché vi è una specifica richiesta di giustizia in tal senso, perché non ha
poteri di iniziativa come il giudice penale o quello contabile, che può agire
d’ufficio.
E’ un giudice che non si lascia coinvolgere da processi mediatici, da forme di
personalizzazione o di narcisismo auto-referenziale. A questo riguardo, vorrei
sottolineare, che se noi abbiamo il compito di difendere, di riconoscere e di
concedere la nostra tutela a chiunque, anche al più semplice degli impiegati
delle categorie su cui abbiamo giurisdizione, la stessa tutela non può e non
deve essere negata alle cariche più elevate.
Quando una violazione è evidente, noi siamo tenuti a rendere giustizia perché
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PASQUALE DE LISE
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
ce lo richiede l’articolo 113 della Costituzione, e, perché altrimenti la stessa
civiltà giuridica sarebbe a rischio; aprirebbe, cioè, la strada a quell’arbitrio contro il quale proprio il giudice amministrativo ha fatto da argine nel nostro Paese
in diverse epoche storiche.
D’altra parte, non posso non rilevare la tendenza, che è indice di disagio istituzionale, a giurisdizionalizzare conflitti che hanno un’alta valenza politicosociale e per la cui soluzione sarebbero più appropriate sedi diverse da quelle
giudiziarie.
Una delle caratteristiche più recenti e più significative del giudice amministrativo è quella di essere il giudice a nova economia, e questo per due ragioni: da
un lato, in un sistema economico sempre più aperto e globalizzato, la dimensione degli interessi, soprattutto quelli finanziari, è divenuta così ampia che le
regole dell’autonomia privata non bastano più per difendere valori come la
concorrenza del mercato. Valori antichi che sono concepiti e tutelati oggi in
maniera nuova, in maniera più pregnante, anche in una dimensione europea.
Da un altro lato, i processi di liberalizzazione e di privatizzazione, che sono
nati timidamente, si sono progressivamente trasformati in una leva forte di politica economica fino al punto di costituire uno dei fattori più importanti del
processo di trasformazione dello Stato.
Il nuovo assetto richiede il parallelo rafforzamento dei sistemi di regolazione e
di garanzia proprio per impedire ai poteri privati di abusare del loro potere di
mercato e, al potere statale, di espropriare l’investimento dei privati. E in questo
contesto, il giudice amministrativo, la cui presenza in queste vicende, è stata
ormai riconosciuta, finisce per porsi come il garante dei garanti della concorrenza, della regolazione economica, dei settori produttivi fondamentali. Questo
vale, a maggior ragione, in presenza dell’attuale crisi economico-finanziaria,
per effetto della quale, per porre rimedio ad essa, aumenterà sicuramente il
tasso di statalismo: il compito dei pubblici poteri, infatti, sarà quello di prevedere una buona regolazione, severa anche se non intrusiva, con regole più
stringenti, con sempre maggiore attenzione, da parte delle autorità di vigilanza,
e conseguentemente da parte del giudice competente in materia.
L’abuso del processo
La tutela giurisdizionale è un bene garantito a tutti dalla Costituzione, dalla
normativa comunitaria e dalla normativa internazionale. Io stesso mi sono battuto contro i tentativi diretti ad escluderla o almeno a limitarne la portata,
come è avvenuto, di recente, in maniera di opere pubbliche.
Detto questo, si deve porre rilievo sul modo in cui la giurisdizione sia considerata una vera e propria risorsa e, come tale, non illimitata, ma da riservare
alle questioni più rilevanti sul piano sociale, istituzionale ed economico.
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Roma città sicura
Quando ero al TAR del Lazio, mi sono occupato di diversi ricorsi abbastanza
delicati. Ho dovuto decidere in merito a ricorsi e provvedimenti di autorità
indipendenti, quelli concernenti magistrati ordinari fino alle nomine più elevate, quelli in materia di protezione civile, quelli in materia di opere pubbliche.
Insieme a questi ricorsi, decidevo anche in merito all’allontanamento dei pittori
di strada da Piazza Navona, oppure contro l’allontanamento e il divieto di tenere i tavolini del bar sul marciapiede. Questa è la nostra realtà.
E allora? Tutti i ricorsi sono importanti, perché ad esempio, il ricorso del bar
è un ricorso che ha una valenza economica, sociale, istituzionale fortissima.
A questo punto, non è che si deve escludere la tutela giurisdizionale. E’ necessario prevedere, accanto a forme di tutela caratterizzate dall’intervento del giudice, delle alternative e delle tecniche di risoluzione extragiudiziale e delle
controversie, le cosiddette ADR, quali: la mediazione, la conciliazione. Se lo
facessero, molti casi si potrebbero risolvere in tempi più brevi, con minore dispendio in questa materia e, soprattutto, non ci sentiremmo svalutati se si rafforzassero queste alternative alla nostra attività; ci sentiremmo trattati come
una risorsa preziosa da preservare.
In un sistema di democrazia avanzata, la nostra giustizia deve essere sempre
più intesa come prestazione di un servizio e non come esercizio di un potere.
L’ho detto più volte e lo ha ribadito, all’inaugurazione dell’anno giudiziario,
il Presidente del Consiglio di Stato dinanzi al Presidente della Repubblica. Un
servizio inteso nel senso più elevato dell’espressione, al quale si chiede, in primo
luogo, funzionalità ed efficienza; un servizio indispensabile da erogare ai cittadini in tempi compatibili con le esigenze dei singoli e dell’intera società; un
servizio che, oggi, si arricchisce dei riflessi della nuova stagione che sta vivendo
la tutela del cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione; tutela che
deve essere sempre più effettiva, rapida, piena e soddisfattiva. Un servizio, insomma, che costituisca uno strumento di giustizia e di libertà alla luce dei principi della nostra carta costituzionale. Le parti dei nostri processi non sono dei
semplici utenti, ma sono titolari di un diritto costituzionalmente garantito,
consacrato nell’art. 24 e nel principio del giusto processo, di cui al rinnovato
art.111. Il punto centrale dell’assetto attuale è costituito dallo stretto collegamento della giurisdizione amministrativa con il potere pubblico. Il giudice amministrativo è giudice del potere pubblico che esercita le diverse tecniche di
tutela necessarie, il che vuol dire, da un lato, che noi giudici dobbiamo tutelare
i cittadini e le imprese dal non corretto esercizio di strumenti forti e capaci di
penetrare la sfera di libertà dei privati; ma dall’altro, significa che noi siamo i
giudici che, laddove quei ricorsi dei privati siano privi di fondamento, devono
garantire la rapida e sicura prosecuzione del perseguimento dell’interesse pubblico attraverso l’esercizio del potere, nella consapevolezza che tale funzione
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PASQUALE DE LISE
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
sia collegata con quella dell’organizzazione e dell’efficienza. In un sistema democratico, in cui il prestigio non è più correlato all’esercizio della funzione,
ma al modo con il quale essa si è svolta, sento l’orgoglio di poter affermare
che, le pronunce del giudice amministrativo, hanno contribuito, talvolta al di
là del dettato legislativo, a modificare la concezione del potere pubblico, a rafforzare la tutela del cittadino, ad evitare alcune eresie normative, con un impatto che forse è più rilevante dei principi degli istituti giuridici che noi
applichiamo tutti i giorni e che tocca l’essenza dell’economia, della vita sociale
e della democrazia.
Cesare San Mauro
Più che un intervento, questa è stata una lectio magistralis e ringrazio di cuore
il Presidente De Lise per tutto quello che ha detto. Voglio ringraziare anche i
presidenti delle autorità che hanno partecipato in precedenza come relatori,
in particolare il Presidente dell’Antitrust Catricalà; il Presidente dell’Autorità
per le Garanzie nelle Comunicazioni, Calabrò; il Presidente della Consob, Cardia e il Presidente dell’Isvap, Giannini, con la speranza che ci possano concedere nei prossimi mesi un bis. La mia domanda, in merito all’intervento del
Presidente De Lise, è relativa alla consapevolezza per cui la certezza del diritto
è più che mai legata al concetto di certezza dei tempi del processo, e che una
giustizia è più giusta rispetto a una giustizia che ha tempi incerti. A suo tempo,
il Prof. Diliberto, disse che, se noi consideriamo che, tra il contenzioso previdenziale e quello condominiale, superiamo le 200.000 cause davanti ai tribunali italiani, potremmo modificare questa tendenza, dando luogo a un atto
costituzionale. Potremmo prevedere quali settori, come quello previdenziale e
quello condominiale, vengano affidati a forme diverse da quelle della tutela
giurisdizionale. Sentiremo, in merito, il Guardasigilli attuale e poi il Presidente
De Lise. Detto ciò, lascio la prima domanda al Presidente Lamberto Cardia.
Lamberto Cardia
La mia domanda si lega inconsapevolmente a quanto ha detto Cesare San
Mauro, ma secondo un’altra prospettiva. L’altro giorno, all’inaugurazione dell’anno giudiziario del TAR del Lazio, il Presidente Giovannini ha detto che
esistono, malgrado un momento consistente di soluzioni e di decisioni apportate, circa 160.000 ricorsi sul tappeto. Allora, mi sono chiesto se ci fosse una
condanna ai danni, alle spese consistenti, forse moltissimi di quei ricorsi, non
avrebbero luogo. A volte, infatti, vedo che, nei confronti degli atti disposti da
un’autorità, ci sono ricorsi che hanno un contenuto minimo. La loro sostanza
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Roma città sicura
è che, alla fine, si compensano le spese. Da questo punto di vista, credo che,
se tutti noi magistrati nella responsabilità che possiamo aver occupato o che
dovremo occupare, dedicassimo l’attenzione alla condanna alle spese, potremmo ridurre la possibilità di un ricorso straordinariamente ampio a tutela
giurisdizionale che, comunque, rimane un principio che non si può negare a
nessuno.
Marcello Molè
Buonasera a tutti! Volevo dire che il Presidente De Lise ci ha illustrato in modo
brillante ciò che noi in parte conosciamo; abbiamo ascoltato un’elaborazione
generale, una lectio magistralis. La giustizia amministrativa è in effetti quella
che una volta si sarebbe detta la funzione del diritto pretorio ed effettivamente
svolge delle funzioni conformative di indirizzo, anche della legislazione, che
sono estremamente valide. Volevo limitarmi a una questione cui accennava
anche il Presidente De Lise, ossia questo policentrismo della legislazione non
si accompagna, talvolta, a un policentrismo delle decisioni dei giudici amministrativi? Lo dico non per spezzare una lancia in favore della competenza funzionale, che dovrebbe ancora ampliarsi, del TAR del Lazio. In effetti, questi
pericoli, non sono solo di limitazione della quantità e della qualità dei ricorsi,
che a volte avviene in alcuni tribunali amministrativi periferici, ma derivano
dal fatto che il pericolo del localismo risulta normale. Non voglio fare esempi
specifici, ma a volte, anche in qualche tribunale amministrativo “piccolo” si
avvertono delle posizioni e delle decisioni di tipo politico-localistico che, per
esempio, manifestano un’avversione con quella che oggi è considerata “Roma
ladrona” e i grandi enti, gli ex monopolisti, le società multinazionali. Tutto
questo per dire che il piccolo è bello, il locale è bello, con la conseguenza che,
in quei TAR, o anche in altri, possa prevalere il “subappalto comunitario”. Proprio oggi, mi divertivo a guardare il numero di ricorsi che ci sono in alcuni
TAR; per esempio, sono 99 al TAR di Aosta; mentre il TAR del Trentino arriva
a 299. Pensavo, poi, che ci sono dei TAR sovraffollati, come quello della Campania, senza contare quello della città di Roma, che credo abbia 11.000 ricorsi
l’anno divisi in 8 sezioni. Allora, non solamente l’affollamento, ma anche il timore del localismo, possono giocare, a volte, brutti scherzi. Quanto al ritardo
e al sovraffollamento, Roma ha già un numero spaventoso di ricorsi. Ho trovato un po’ pessimistica la relazione del Presidente Giovannini perché stiamo
parlando di 56.000 ricorsi e 96.000 decisioni in pendenza. Devo dire, da questo punto di vista, che la durata del processo amministrativo non impedisce
anche di concentrare la funzione del TAR del Lazio; certamente non si può
parlare male della durata dei processi amministrativi. Quanto alle spese, come
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PASQUALE DE LISE
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
diceva il Presidente Cardia, cominciamo a caricarle anche nelle fasi cautelari
in cui, generalmente, non sono mai caricate; forse ci sarebbe un risultato positivo.
Giuseppe Faberi
Ringrazio anch’io il Presidente De Lise per averci lucidamente illustrato la situazione e anticipo che la domanda che voglio porre ho già avuto l’onore di
farla a Sua Santità Giovanni Paolo II ed è la seguente: se tu potessi tornare indietro nella tua attività pubblica di brillantissimo magistrato, c’è qualcosa che
cambieresti oppure rifaresti esattamente tutto quello che hai fatto? Ti ringrazio.
Pietrangelo Jaricci
Eccellenza, l’ho ascoltata con grandissima attenzione e vivissimo interesse. Lei
ha, giustamente, puntualizzato che la giustizia penale è sicuramente in caduta
libera; la giustizia civile ormai recita in de profundis. D’altra parte, il cattivo
esempio viene dall’alto: è sufficiente leggere taluni provvedimenti del Consiglio
Superiore della Magistratura per rendersi conto di quello che sta accadendo.
Mi rivolgo a lei che si accinge a diventare l’autorevolissimo Presidente del Consiglio di Stato: come si risolverà il problema dell’arretrato? L’attuale Presidente
del Consiglio di Stato ha parlato di situazione drammatica in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario e il Presidente del nostro TAR ha detto
che la situazione è allarmante. Sembra che non ci siano rimedi a portata di
mano che possano prontamente ovviare a questo gravissimo inconveniente.
Quindi, se la giustizia civile è in crisi per la tempistica, credo che la stessa cosa
si possa dire per la giustizia amministrativa; inoltre, bisogna tenere presente
un particolare, che è stato annotato recentemente dai politici e, cioè, che molte
sospensive, specie in materia di appalto, non sono seguite dal merito; quindi,
una volta ottenuta la sospensiva, molti la portano al mercato e la mettono in
vendita. Succede anche questo, ed è un fatto gravissimo che incide sulla tutela
effettiva delle situazioni soggettive del cittadino, che siano esse imprese o persone singole. In questo panorama incidono anche i mutamenti di giurisprudenza, che accadono in una notte. Voglio ricordare, perché l’ho vissuto sulla
mia pelle, il cosiddetto “problema dei servizi disagiati degli agenti di polizia dello
Stato”. Dopo un quinquennio, in una notte, le sezioni hanno cambiato giurisprudenza. Mi auguro che quando lei diventerà Presidente del Consiglio di
Stato saprà tenere a bada la situazione. Evidentemente, su questi aspetti ci sono
anche dei profili di intervento governativo che, purtroppo, non dovrebbero
esserci e che una magistratura davvero indipendente dovrebbe respingere. C’è
il problema del rispetto eccessivo di taluni pronunce della Corte di Cassazione.
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Roma città sicura
Vorrei ricordare un caso per tutti: la notifica alle università dei ricorsi introduttivi. In materia, il Consiglio di Stato aveva prodotto delle sentenze illuminanti. Dopo le terribili e farraginose decisioni della Corte di Cassazione, il
Consiglio ha dovuto modificarle fornendo delle motivazioni metagiuridiche,
o, se volete, contra legem.
Questi sono i problemi che io le sottopongo. Lei conosce la passione di cui
sono capace e il grande rispetto che nutro nei suoi riguardi. Credo che, per il
periodo abbastanza lungo in cui siederà sullo scranno massimo del Consiglio
di Stato, possa cercare di dare un indirizzo. Questo anche alla luce del fatto
che, molte decisioni che provengono dal nostro TAR, denotano una notevole
impreparazione da parte di alcuni magistrati: me lo lasci dire perché, proprio
a questo proposito, sto preparando un dossier di come certe sentenze vengono
emanate. In alcuni casi, ho dovuto, mio malgrado, registrare la negazione dello
ius superveniens !
Ernesto Sticchi Damiani
Alla luce di tutto quello che è stato detto, mi domandavo se, secondo lei, la
sentenza in forma semplificata, introdotta dalla recente riforma del processo
amministrativo, che vi consente, già nella fase cautelare, di decidere sulle vicende manifestamente fondate e infondate nella fase di merito, con un semplice
riferimento a una sola questione di diritto, sia uno strumento sufficientemente
utilizzato. Non pensa che questo possa essere un volano fortissimo di riduzione
dell’arretrato se ci fosse un po’ più coraggio nell’utilizzarlo?
Pasquale De Lise
Voglio ringraziare tutti perché le domande che avete posto dimostrano che
questa conversazione ha stimolato una certa curiosità. Il problema di fondo
che è stato affrontato, ossia quello della rapidità, o, per dirla con le parole di
Lopez de Onate, di “prontezza della giustizia”, dovrebbe essere sempre così,
purtroppo invece non lo è quasi mai. Abbiamo soltanto l’orgoglio di essere
forse tra i più celeri nel senso che sovente ci riusciamo. I presidenti delle authorities hanno visto che, nel giro di qualche mese, si riesce ad avere la decisione
in merito, però dovrebbero cooperare tutti. Abbiamo per determinati ricorsi questo è stato attaccato da alcuni colleghi con espressioni come “giustizia dei
ricchi e giustizia dei poveri” - una corsia privilegiata, che consente, per ricorsi
e controversie di rilievo economico, sociale, istituzionale e per le nomine del
Presidente del Consiglio, di operare rapidamente. Occorre che gli avvocati facciano subito il ricorso, che, appena uscita la sentenza, venga pubblicata in
modo che, alla sentenza di I grado, si faccia subito appello.
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PASQUALE DE LISE
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
Ogni TAR è diverso da un altro. Il TAR del Lazio registra 12.000 e rotti ricorsi
all’anno, quindi è un poco più complesso. Al Consiglio di Stato, tuttavia, non
vi sono domande di prelievo inevase (per i non addetti ai lavori, le domande
di prelievo inevase, sono quelle richieste di trattazione urgente degli affari, che
chiunque può fare, per situazioni tipizzate dall’urgenza). Di fronte alle domande di prelievo fissiamo il ricorso. Ai TAR è un po’ diverso perché il numero
è maggiore, quindi occorre buona volontà da parte di tutti; tra i 600.000 ricorsi
che pendono presso i TAR di tutta Italia, quelli vivi e vitali sono meno di
100.000. Lo Stato italiano paga gli indennizzi alla legge Pinto, che è la legge
sul ritardo nelle decisioni (la legge Pinto, stabilisce la durata ragionevole del
processo e l’equa riparazione), ritardo anche per chi ha torto; in ambito penale,
anche per chi è condannato, se è condannato dopo un certo numero di anni,
ha diritto a un indennizzo, anche se colpevole. Questa è la giustizia europea
della Corte dei diritti civili dell’uomo. Abbiamo fatto dei calcoli e ne è emerso
che, se noi utilizzassimo una parte degli indennizzi alla legge Pinto per assumere
a contratto o anche per fare dei progetti finalizzati, risparmieremmo e smaltiremmo i ricorsi. Non è difficile. Si tratta di avere una base normativa, che non
è complicata da impostare, unita ad una certa capacità organizzativa e ad una
digitalizzazione spinta e un poco di manovra di spesa. Quando respingiamo il
ricorso di una persona poco abbiente nei confronti dell’amministrazione, diciamo “e che gli diamo pure le spese?”. Già ha perso. Dunque, cerchiamo di
non accollargli le spese”. Non voglio fare discorsi qualunquistici, ma in Italia
quante centinaia di migliaia di avvocati ci sono? Quando sono stato al TAR
del Lazio, mi sembrava di essere tornato indietro di quarant’anni, a quando
facevo il Pretore di Rieti e incontravo quello che mi chiamava “Vostro onore
della corte”. Sono sorti studi legali per gli extracomunitari, altri per la legge
Pinto, e ovviamente questi al ricorso non rinunziano mai, neanche se vengono
condannati alle spese, perché nel momento in cui, per un ricorso collettivo
prendono 200,00 Euro da mille persone, un’eventuale condanna alle spese risulta irrisoria.
Più delicata è la domanda del Prof. Molè. Abbiamo avuto una Costituzione, a
partire dal 1948, che ha previsto gli organi locali di giustizia poiché ha voluto
avvicinare la giustizia amministrativa al territorio. Il che, sotto certi aspetti, è
anche una cosa positiva, perché, quando sono entrato nel Consiglio di Stato
nel 1971, sembrava di far parte di club ristretto, e la giustizia amministrativa
era un esercizio veramente costoso. Eravamo circa 80 persone, gli avvocati amministrativi risiedevano quasi prevalentemente a Roma, a Napoli ce ne saranno
stati al massimo 2 o 3, altrettanti a Milano. Adesso, la giustizia amministrativa
è esplosa, ma direi che è un dato positivo. Perciò, questa giustizia non può essere allontanata più di tanto dal territorio; esiste sicuramente, ed è stata sod52
Roma città sicura
disfatta l’esigenza, per determinate controversie, di scindere questo rapporto.
In cambio, esistono delle controversie, come quelle in materia economica, in
cui proprio la governance dell’economia richiede che vi sia uniformità di indirizzi fin dal I grado: non solo, nell’ambito della medesima autorità, ma anche
tra varie autorità; quindi, che l’Autorità dell’Energia, che è l’unica che non è
trattata dal TAR del Lazio bensì dal TAR della Lombardia, venga a Roma forse
è giusto, al di là delle noie che ne avrebbero i Leghisti. Questo non significa
che il TAR del Lazio sia più bravo- anche se lo è più bravo, proprio per questa
uniformità fin dal I grado- ma solo che è espressione di un’opera di contemperamento. La Corte Costituzionale, che nel 2007 si è pronunciata sul piano
di Roma della Protezione Civile che demandava tutto al TAR del Lazio, ha
ammesso la legittimità battendo in breccia tesi sostenute delle varie ordinanze
di emissione dei vari TAR d’Italia, Napoli, Sicilia, Veneto eccetera, però l’ha
fatto con grande prudenza, quindi non si può neppure esagerare.
Rispondendo a Faberi: cosa ti ha risposto il Papa?! Posso dire che, tutto sommato avendo una bella famiglia e un lavoro gratificante, mi sento in ampio
debito verso il Padre Eterno, lo dico quasi al termine della vita. Molte cose
non le cambierei.
A proposito della Cassazione, le sentenze possono essere giuste o sbagliate, nessuno è infallibile. Si cerca di dare il meglio. Io insisterei più che sui contenuti,
sull’efficienza del servizio. Le sentenze semplificate sono un fatto culturale purtroppo, anche se io ci credo. In generale, si deve cercare di evitare forme di esibizionismo. I saggi, gli studi li scrivono i giuristi. Noi siamo degli artigiani del
diritto, dobbiamo dare un prodotto finito nel più breve tempo possibile, cercando di soddisfare queste esigenze.
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ANTONIO MARZANO
Metropoli e competitività
Cesare San Mauro
Il Ministro Marzano, in qualità di Ministro dell’Industria e delle Attività Produttive, è stato un punto di riferimento importante per tutta una serie di iniziative. Immagino che molti di voi, che sono interessati a tematiche
economiche, giuridiche e imprenditoriali, saranno curiosi di fare domande.
Mi piacerebbe che l’On. Prof. Marzano ci parlasse anche della sua esperienza
alla presidenza della Commissione per il Futuro di Roma Capitale, di cui, alcuni dei presenti sono stati già collaboratori nell’ambito del progetto “Roma
Porta dei Tempi”.
Natalino Irti
Desidero salutare Antonio Marzano che, nel lontano 1967, incontrai, già professore, all’Università abruzzese, che allora aveva sede sulla spiaggia del Mare
Adriatico. Il professore ha tenuto alto il prestigio della cattedra di Economia
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ANTONIO MARZANO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
Politica e Finanziaria dell’Università La Sapienza di Roma ed oggi presiede il
CNEL. Non ha voluto scegliere il tema del CNEL per la conversazione di questa sera, ce ne parlerà un’altra volta, perché è un tema di particolare importanza,
specie alla vigilia di riforme costituzionali. Il CNEL è una figura ambigua e
soddisfa un problema irrisolto degli Stati europei, ossia la rappresentanza degli
interessi, che si fa strada tra la rappresentanza politica e la rappresentanza territoriale e che si esprimerà nel Senato delle Regioni. Rinviamo questo tema a
altro incontro; questa sera, invece, Antonio Marzano ci parlerà dell’esperienza
che ha compiuto presiedendo, autorevolmente, una commissione istituita dal
sindaco di Roma, dal nome Competitività e Metropoli.
Antonio Marzano
Spero di potervi parlare di un po’ di cose in libertà dal punto di vista tematico,
perché sebbene abbiamo esperienze diverse nella vita, a pensarci bene sono
quasi tutte accomunate da un filo invisibile che le unisce l’una all’altra.
Quando mi è stato proposto, da parte del sindaco di Roma, di presiedere la
Commissione per il futuro di Roma Capitale, ho accolto questa responsabilità
pensando a quella che avevo avuto in precedenza in qualità di Ministro delle
Attività Produttive. Il problema principale, che avevo già affrontato in veste
di ministro, credo fosse la competitività dell’economia italiana. A questo riguardo vorrei segnalarvi che, per un Paese come l’Italia, la competitività nei
confronti dell’estero è veramente importante, rispetto ad altri Paesi, perché da
essa dipendono le esportazioni. Se un Paese è competitivo riesce ad esportare,
a vendere all’estero quello che produce; se non è competitivo, non ci riesce.
Secondo molti economisti questo dimostra l’importanza della competitività
dal punto di vista della domanda di beni, perché le esportazioni costituiscono
una domanda; c’è la domanda interna, ossia consumi e investimenti interni; e
poi c’è la domanda che proviene dall’estero e che corrisponde all’esportazione.
I cronisti di stampo keynesiano vedono la competitività in rapporto alla domanda: è importante essere competitivi perché questo aiuta a esportare ed
esportare significa riuscire a smaltire la produzione. E questo è il primo motivo
per cui, effettivamente, la competitività è importante, perché riesce ad assicurarci un’importante domanda complessiva che si rivolge alle nostre imprese.
Se non ci fosse una domanda sostenuta, le nostre imprese, come sta accadendo
in questo periodo, non riuscirebbero a produrre granché. Vi è anche un secondo motivo per cui la competitività è importante per l’Italia, ed è rappresentato dal fatto che l’Italia non ha materie prime. In questo caso, la questione
si sposta dal lato dell’offerta e diventa importante per ciò che riguarda la produzione. Se non abbiamo le materie prime ce le dobbiamo procurare e per
56
Il futuro di Roma Capitale
procurarcele le dobbiamo pagare e per pagarle dobbiamo esportare. Quindi
per un Paese privo di materie prime, la competitività è importante due volte;
mentre per un Paese che le materie prime ce le ha, la competitività è importante
una volta sola. L’Italia se non è competitiva risente di una carenza di domanda
e al tempo stesso di una carenza della produzione. Ci sono, tuttavia, altre soluzioni; ad esempio, riuscire a produrre cose o servizi che dipendano in parte
ridotta dalle materie prime. Un Paese che non possiede materie prime cerca di
specializzarsi verso produzioni che non richiedono tanto petrolio o acciaio.
L’Inghilterra, il Paese della rivoluzione industriale, lo ha fatto. Solo che adesso
non è più industriale, si è data alla finanza. Mentre la Germania è al primo
posto nel settore manifatturiero, seguita dall’Italia. L’altra strada che bisognerebbe battere è l’accrescimento del potere contrattuale nei confronti dei Paesi
che hanno le materie prime e, in particolare, nei confronti dei Paesi petroliferi.
Una cosa, infatti, è quando l’Italia si presenta da sola sul mercato per acquistare,
un’altra sarebbe ove lo fosse l’Europa. L’Europa non si decide ancora ad organizzarsi in questo senso, bisognerebbe promuovere una politica comune europea sul fronte della domanda di petrolio e di energia in generale: lavorare in
questa direzione è uno degli obiettivi che si stanno perseguendo.
La competitività dipende da un sacco di fattori e sono quelli di cui ogni tanto
noi parliamo per chiedere delle riforme. Sappiamo che, ad esempio, la mancanza di competitività dipende dalle infrastrutture, che, rispetto all’agone internazionale, nel nostro Paese difettano; dagli investimenti in genere (se
un’impresa fa investimenti ha più capitale e dunque è più competitiva); dalla
formazione: esiste il capitale d’istruzione, lo so che non è elegante auto citarsi,
ma nel 1958 il mio primo articolo di economia si intitolava “Analisi dell’istituzione come capitale”.
Dicevo che la competitività viene dalla ricerca, dall’innovazione, ma anche
dall’organizzazione complessiva della società. Conta l’organizzazione così come
contano le imprese. Si dice sempre che l’organizzatore è quello che organizza,
ma anche la società conta come organizzazione più o meno efficiente, quindi
conta che la pubblica amministrazione sia efficiente o inefficiente, così come
la società che sia meritocratica oppure no. I meccanismi di organizzazione della
società contano molto nel decidere la competitività di un Paese e anche le città,
che sono un modo di organizzare la società.
Quando ero ministro e andavo in missione in giro per il mondo, in alcuni
Paesi, mi sentivo dire dal ministro omologo “potrebbe esportare qui qualche
distretto?”, dal momento che in Italia è fiorente un siffatto tipo di organizzazione industriale. La mia risposta era che ancora non si era inventato un container capace di includere un distretto. Il distretto, in definitiva, è
quell’invenzione italiana in cui si sfruttano le economie di aggregazione. Una
57
ANTONIO MARZANO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
città ben organizzata è una specie di distretto, anzi quasi tutte le città italiane
in fondo sono distretti, più o meno grandi, più o meno piccoli. Le economie
di aggregazione sono alla base di una buona organizzazione di una metropoli.
Nel fare questo mi sono esercitato su Roma. Siamo consapevoli, naturalmente,
che c’è un altro aspetto della faccenda, ossia le diseconomie di aggregazione e,
quanto più cresce la dimensione della città, tanto più crescono le economie di
aggregazione, ma anche maggiori sono le probabilità di diseconomia. Nel caso
di Roma, l’approccio è stato di pensare al futuro; sarebbe bello che si facesse
così per tutte le città, anzi devo dire che sarebbe una svolta nella politica di
competitività dell’Italia se si considerasse, come strumento, la città.
Una volta si diceva che l’Italia era il Paese dei 100 comuni; oggi i comuni sono
più numerosi e anche le città e in numero maggiore rispetto agli altri Paesi.
Ecco perché mi piace dire che l’Italia sia il Paese delle città!
Per andare avanti, credo che siano necessari alcuni aspetti metodologici. Il
primo approccio che muove una commissione, come quella che io presiedo, è
relativo ad una procedura di studi che voglia porsi il problema di accrescere
l’efficienza di una metropoli che riguardi Roma, Napoli, Bari e Milano. È bene
che la commissione sia bipartisan, per quanto possibile; e questo lo dico perché
mi sono accorto di una cosa triste del nostro Paese: quando cambia il governo
o il sindaco e viene un rappresentante di un’altra impostazione politica, una
delle prime cose che fa è cercare di annullare tutto quello che è stato fatto
prima. Se ci pensate, attraverso questo gioco, si resta sempre allo stesso punto.
Un governo, quale che sia, cerca di migliorare le cose, poi viene un altro governo, di diverso colore, che quasi per un pregiudizio generale dice “è tutto
sbagliato, ricominciamo”. Questa è una delle cause della stazionarietà e dello
scarso dinamismo dell’economia. L’altro criterio metodologico importante è
dato dal lungo periodo. È necessario proiettare il futuro di Roma Capitale in
un arco temporale lungo, come minimo di quindici anni. Questo criterio metodologico e temporale si scontra con il principio del breve periodo della classe
politica italiana, ossia la necessità di massimizzare il consenso, ossia i voti. Un
traguardo che si ottiene, facilmente, in un quinquennio.
Un altro punto fondamentale è la capacità di individuare i punti di forza e,
subito dopo, le criticità; il compito della commissione è quello di massimizzare
i punti di forza, valorizzarli e cercare di lenire o minimizzare le criticità. Questo
è il metodo proprio degli economisti. Quando si parla di Roma, di obiettivi
da raggiungere per la nostra Capitale, si usa una terminologia divisa in ambizioni, obiettivi e decisioni. Le decisioni erano circa 160; le ambizioni, 5, di
queste ultime, la prima ambizione è la mobilità. Ci sono molte persone che
lavorano qui e che impiegano due ore per andare da casa al lavoro e altrettante
per tornare dal lavoro a casa; è duro fare questa spola ogni giorno: si diventa
58
Il futuro di Roma Capitale
stanchi prima di iniziare a lavorare. E poi la produttività e la competitività di
prodotto per ora, se circa 4 ore se ne vanno così, diminuiscono. Ogni giorno
a Roma giungono 800.000 persone dall’hinterland: è come se a una città se
ne aggiungesse un’altra! Sempre a Roma, ci sono 740 auto ogni 1.000 abitanti,
il che vuol dire traffico elevato. Da tutta questa serie di cose deriva che a Roma
ci si muove male. Uno dei modi per migliorare la mobilità è accrescere i nodi
di trasporto pubblico rispetto al trasporto privato, cominciando dalle ferrovie
e continuando con la metropolitana leggera. Ma, soprattutto, si dovrebbe trasformare Roma, da città che ha un centro, a città multicentrica, ossia in una
città che gravita attorno a vari centri, selezionati da una commissione, e dunque
più indipendente. La seconda ambizione forte che ci siamo prefissati è quella
di vedere, nel futuro, Roma come città del sapere, delle conoscenze. A Roma
ci sono ben 17 università, che fanno di tutto e che, nell’ottica di valorizzare i
punti di forza, dovrebbero essere, non solo specializzate singolarmente rispetto
al tutto, ma soprattutto collegate in un network internazionale. Bisognerebbe
occuparsi anche della parte residenziale, perché tutti gli studenti e i professori
che verrebbero a Roma avrebbero bisogno di trovare una città ben organizzata
da questo punto di vista.
Terzo punto: la città del turismo, del tempo libero e dell’audiovisivo. Queste
sono tre specialità importanti in cui Roma ha un grande potenziale. I dati relativi al turismo sono chiari: ogni anno vengono a Roma 2 milioni di persone.
In questo periodo il turismo italiano si è un po’ ridotto anche a causa del fatto
che oggi è possibile andare in Paesi che una volta erano proibiti o da un punto
di vista politico, o perché erano molto pericolosi. Quando si è prospettato ad
un americano, che per esempio era già stato 2-3 volte a Roma, di andare a conoscere un posto mai visto prima, come la Cina, ovviamente ci è andato; ma
poi torna qui perché, secondo me, si rende conto che la nostra situazione migliora.
La quarta ambizione riguarda Roma Città coesa; se non esiste un minimo di
coesione, c’è conflitto e se c’è conflitto, non c’è competitività. Quest’anno ho
indicato, come coordinate all’attività del CNEL, competitività, coesione sociale
e sviluppo. Credo che lo sviluppo derivi dalla competitività ma anche dalla
coesione sociale; sono convinto che senza l’uno o l’altro ingrediente non possa
esserci sviluppo. L’individuo deve essere in grado di fare anche questo: social
housing per esempio, quale segno di concreta azione verso la condizione dei
giovani che, nella migliore delle ipotesi, o stanno davanti ad un computer, oppure ricorrono a ulteriori espedienti per migliorare, apparentemente, la qualità
della loro vita. Stare davanti a un computer significa stare davanti a una realtà
immaginaria che non esiste, non si guarda negli occhi. Secondo noi è molto
importante lo sport, perché chi lo pratica si sente parte di una squadra e, so59
ANTONIO MARZANO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
prattutto, perché lo sport offre un traguardo da raggiungere, che è esattamente
quello che in genere manca ai giovani.
Per gli anziani c’è tutta una serie di iniziative dedicata ai mercati diretti, ossia
senza alcuna intermediazione, il che conduce a una riduzione dei prezzi dal
momento che la merce è venduta direttamente dal produttore.
Vado verso la conclusione affrontando la quinta ambizione che ci siamo posti
all’interno della commissione che presiedo, ossia Roma Internazionale. Non
che non lo sia già, visto che è capitale di un Paese importante come il nostro,
ma la commissione ritiene che Roma possa fare di più soprattutto in termini
di politica euro-mediterranea. Non siamo la capitale euro-mediterranea, è toccato a un’altra città peraltro molto importante, ma Roma può fare molto di
più in questa direzione.
Ecco, una città che riuscisse ad avvicinare queste ambizioni, sempre arrivando
agli obiettivi e alle decisioni intermedie, potrebbe essere una città più competitiva di quanto non sia oggi e con una migliore qualità della vita. Questo sarebbe un elemento importante per la coesione, perché se si vive male si guarda
agli altri con avversione, si sgomita per cercare di conquistare qualcosa di meglio, mentre vivere bene è importante come ricchezza in sé. Nella teoria economica è stato constatato che il PIL è importante, ma non è tutto. Si può avere
un PIL che cresce a discapito della qualità della vita, per esempio sfruttando il
lavoro, oppure rovinando l’ambiente. Quindi la qualità della vita conta insieme
al PIL. In generale, è un po’ forzato e azzardato affermare che una città che
migliora la qualità della vita diventa più competitiva.
Cesare San Mauro
Grazie di cuore al Presidente Marzano. Ho avuto l’occasione di essere Presidente della Commissione Bilancio e Patrimonio del Comune di Roma per 4
anni e i dati che avevo allora, nel 1993, sono praticamente gli stessi di adesso,
rispetto al patrimonio immobiliare. Il Comune di Roma possiede più o meno
27.000 unità immobiliari, in queste vanno ricomprese anche quelle delle exIPAB trasferite ai comuni da parte della regione. Da queste 27.000 unità immobiliari, il comune inscrive in ruolo circa 80 miliardi di lire, quindi circa 40
milioni di euro, ne riscuote circa il 50%, quindi 80 miliardi di ruolo, 40 miliardi di incassi. Per la manutenzione ordinaria e straordinaria di questi immobili il Comune di Roma spende circa 90 miliardi di lire l’anno. Per le attività
istituzionali, affitta da terzi immobili per circa 60 miliardi. La storia alla fine
è questa: il sultano del Brunei ha circa 25.000 unità immobiliari ed è il più
grande proprietario immobiliare privato del mondo; il Comune di Roma,
avendo 2.000 unità immobiliari in più, perde 110 miliardi l’anno.
60
GIOVANNI CASTELLUCCI
Il futuro delle infrastrutture in Italia
Cesare San Mauro
Il tema da otto anni è sempre lo stesso a Roma Europea, ovvero in che modo
si vive quest’apparente dualità tra l’essere romani e l’essere europei: il nostro
desiderio è che questa non sia una dicotomia, ma una sinergia, una prospettiva
unificante. Questa sera è con noi l’Ing. Castellucci, dal 2005 amministratore
delegato di Autostrade per l’Italia, nonché direttore generale e amministratore
delegato di Autostrade Spa.
Giovanni Castellucci
Innanzitutto, per me è un onore essere qui, invitato dall’amico Cesare San
Mauro, per parlare con voi che siete un pubblico altamente qualificato. Mi
rendo conto che sarà difficile, in soli venti minuti, dare una risposta sul futuro
delle infrastrutture in Italia e, in particolare, di Autostrade per l’Italia, volendo
cercare di rispettare i canoni del discorso tipico di Roma Europea, operando
un confronto tra la situazione nazionale e quella europea. Partirei dal punto
61
GIOVANNI CASTELLUCCI
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
in cui ci troviamo con il sistema economico aereo. La crisi mondiale finanziaria
è ormai un fatto noto e sono evidenti anche i motivi della gravità di questa
crisi: quando si cerca di pompare il mercato, ciclo dopo ciclo, cercando di perseguire la crescita a tutti i costi, è evidente che, prima o poi, questa bolla largamente creata, a partire dai mercati anglosassoni e da alcuni mercati europei,
cominci a creare un effetto a valanga negativo. Questo effetto domino ha portato una reazione emotiva di paura e di blocco da parte dei consumatori in
molti Paesi, in particolare Stati Uniti, Spagna e Inghilterra. Reazione emotiva
che in Italia sembra già essersi esaurita, anche perché gli italiani non amano
vivere al di sopra delle loro possibilità e, in maniera un po’ più strutturata, non
hanno quel livello di indebitamento individuale che hanno i cittadini americani, spagnoli o inglesi. Gli Italiani, ad esempio, non hanno ancora investito
nel settore immobiliare, già in forte crisi. Di fatto, vediamo che, a settembre,
sia gli italiani che vanno in vacanza, sia quelli che vanno a lavorare, hanno un
trend positivo rispetto all’anno scorso. Quindi la crisi di reazione dei consumi
associata alla crisi finanziaria, in Italia, è in fase di assorbimento, mentre in
altri Paesi purtroppo ancora no. E tuttavia, aver assorbito la crisi negativa, non
vuol dire aver assorbito la crisi economica poiché questo è tutto un altro discorso. Il traffico pesante in Italia continua ad essere a pari al - 5/7% rispetto
all’anno scorso ed è evidente come l’Italia sarà probabilmente uno degli ultimi
Paesi ad avere una parvenza di ripresa economica, intesa come ripresa da una
crisi finanziaria. Non mi riferisco al PIL pubblico, perché in un Paese in cui il
50% del PIL è usato dalla spesa pubblica, è abbastanza facile, tutto sommato,
ammortizzare dei cali produttivi. Sto parlando della produzione vera, quella
che genera valore e che genera esportazione, che avrà una ripresa molto più
lunga con una fase intermedia molto più dolorosa. La domanda che ci dobbiamo porre è: alla fine di questo ciclo, dove si posizionerà l’Italia nella crisi
mondiale della competitività? Quante imprese avranno chiuso nel frattempo
e quante competenze si saranno perse? Quanti disoccupati avremo? È questo
lo scenario in cui oggi viviamo: consumi stabili e solidi, famiglie che hanno
superato la fase critica, economia che ancora offre tantissimo. Per cui la domanda è relativa a individuare quegli strumenti che ci possono aiutare a superare la crisi economica e la crisi dei consumi. Anche rileggendo o usando alcune
esperienze della Grande Depressione - come il New Deal di Roosevelt, i progetti nella valle del Tennessee - anche se erano anni diversi, in cui l’intensità di
lavoro delle infrastrutture era molto superiore, in cui i tempi di approvazione,
di esecuzione e di avvio di un’opera erano nettamente più corti. Ricordo che
i miei, che hanno avuto la possibilità di partecipare all’avvio della costruzione
della Firenze-Bologna, mi dicevano che, presa la decisione di fare la FirenzeBologna, il grande progettista che la ideò fece tre o quattro volte avanti e in62
Il futuro delle infrastrutture in Italia
dietro nel giro di poche settimane, poi andò lì con le imprese che proprio lui
aveva selezionato per fare le opere, faceva un segno per terra, dove doveva essere
costruita la pila, faceva un segno dall’altra parte e diceva: “tu devi fare un ponte
da qua a là e fallo con la tecnologia che vuoi”. Ora, come sapete, la FirenzeBologna ha almeno 10-15 tipologie differenti di ponti; in quegli anni, si poteva
pensare di avviare un ciclo di investimenti di grande intensità di manodopera
con grande velocità di attivazione (parliamo del 1956). Oggi, non è più così.
E non si tratta di un problema legato a chi governa, ma di un problema di
complessità, perché, quando si tratta di costruire una via e presentare il progetto
a una commissione di impatto ambientale con 50 componenti che devono
produrre qualche decina di chili di carta, è evidente che non si può più operare
in quel modo. Questo per dire che, pensare che le infrastrutture possano essere
uno strumento anticiclico per superare la crisi, è forse un po’ ottimistico e un
po’ illusorio. Già sarebbe tanto riuscire a non bloccare i lavori in corso e cercare
di accelerare quelli che, tutto sommato, stanno andando avanti, sebbene non
così velocemente. D’altro canto, pensare di attivare quello strumento anticiclico
legato alle infrastrutture con tanti piccoli investimenti a pioggia per far ripartire
l’economia, sarebbe sicuramente positivo per l’economia, ma si produrrebbero
debiti in più, che poi andrebbero restituiti. Quindi la vera domanda è: infrastrutture come strumento anticiclico o infrastrutture come strumento per migliorare la competitività del sistema-paese per contrastare un declino che, negli
ultimi 10-15, è divenuto consistente? A mio avviso, le infrastrutture servono
di più per questo secondo obiettivo: non tanto spendere per spendere, perché
serve al ciclo, ma cercare di spendere bene per migliorare la competitività di
un Paese. Il vero tema diventa la selettività delle decisioni di investimento, il
ritorno economico e i costi-benefici di un investimento.
Quando si ha a che fare con le risorse finanziarie dei privati questo problema
è già risolto, perché se un privato mette i soldi, grava su lui il rischio di recuperare l’investimento con i pedaggi, ad esempio. È un meccanismo automatico
per cui quell’opera, comunque, renda un ritorno economico; se così non accade, il problema rimane dell’investitore privato. La questione nasce quando è
necessario creare un sistema di garanzie incrociate da parte dello Stato a supporto dell’iniziativa privata. In questo caso, le garanzie sono sempre benvenute
se non si supera una fase di patologia per cui, alla fine, il privato si prende il
profitto e lo Stato tutti i rischi associati, un po’ come succede nel mondo bancario. Quindi, il settore privato è già di per sé una garanzia dell’utilità dell’opera: se questa non può essere finanziata da privati o è troppo articolata per
essere finanziata da un solo progetto bisogna centrare il sistema dell’efficienza
delle decisioni. In Italia, purtroppo, manca una cosa fondamentale: una pia63
GIOVANNI CASTELLUCCI
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
nificazione a lungo termine dello sviluppo infrastrutturale, così come avviene
in tutti i Paesi, i quali programmano a dieci, venti, anche trent’anni, assumendo
anche la programmazione dei costi per costruire i corridoi delle autostrade.
Nel nostro Paese questo non si verifica. Dobbiamo buttare giù le case laddove
si rende necessario costruire delle autostrade che, in realtà, si dovevano fare da
venti, se non trent’anni prima. Prendiamo il caso della Pedemontana Lombarda, che è un progetto di fatto partito negli anni Settanta. In quarant’anni
non si è stati capaci di creare un corridoio libero da case per poter costruire
questa autostrada.
In sintesi, la chiave fondamentale è la pianificazione; la seconda, l’efficienza
della spesa, quindi, il costo delle opere.
L’Italia è il Paese in cui mediamente le opere costano tre volte tanto rispetto al
costo in Paesi come la Francia o la Spagna e non perché in Italia il costruttore
guadagni di più, anzi il metro cubo di cemento armato viene fatto pagare, in
Italia, circa un 15-20 % in meno rispetto a quello che viene fatto pagare in
Francia e Spagna. Non a caso le imprese di costruzione francesi e spagnole
sono diventate dei giganti; hanno acquistato concessioni. In Italia, le imprese
di costruzione sono sempre un po’ al di sopra e un po’ al di sotto del break
even point, il punto di pareggio. Quando scendono al di sotto del punto di pareggio, le imprese saltano. In Italia si riscontra un tasso di mortalità delle imprese di costruzione micidiale. Non sono solo le imprese di costruzione che
speculano, ma è tutto il sistema delle autorizzazioni ad esserne inficiato. Qual
è quell’amministratore che può sentirsi a posto con la coscienza? Quello che,
avendo avuto un potere di veto, non l’abbia esercitato per ricevere in cambio
una palestra o una scuola?
La seconda questione riguarda le norme geometriche, che, nel nostro Paese,
sono tra le più restrittive del mondo. Norme geometriche significa il raggio di
curvatura, l’immissione delle corsie di emergenza, perché spesso la regola è che
queste norme vengono elaborate da professori che le definiscono in un mondo
irreale, in cui non esiste il costo, e che poi devono essere applicate in un mondo
reale, in cui un metro in più di corsia di emergenza vuol dire, per esempio,
dover buttar giù fabbricati e case o rifare tutte le gallerie. Strettamente legato
a questo tema, è il costo delle risorse territoriali. Per risorse del territorio intendo cave, discariche, aree di deposito, impianti di conglomerato di calcestruzzo che hanno, in Italia, un costo spropositato. Inoltre, sono messi in mano
a quell’imprenditoria più legata al territorio, che sfugge a una regolamentazione
unitaria. Tutto questo fa si che il costo per ricavare un metro cubo di ghiaia in
64
Il futuro delle infrastrutture in Italia
Italia sia spropositatamente più alto che in altri Paesi. Inoltre, ne risulta un aggravio dei costi di produzione in generale. Costi elevati diventano un limite
sia alla finanziabilità che alla fattibilità delle opere infrastrutturali.
Prima di arrivare al tema di Roma Capitale, vorrei affrontare l’argomento relativo all’esecuzione delle opere. Anche una volta che un’opera è stata approvata, alla fine di un procedimento lunghissimo, dopo che è stata, tutto
sommato, progettata e finanziata, non viene appaltata. In Italia, purtroppo, la
legge Merloni - una legge che è nata in un momento particolare con l’obiettivo
di moralizzare il settore delle costruzioni - ha azzerato la capacità di selezione
da parte della pubblica amministrazione. Una pubblica amministrazione che
non ha la capacità di selezionare è, di fatto, in balia del costruttore, di chi ha
vinto la gara di appalto. Questo sistema incentiva un meccanismo di massimo
ribasso del costo effettivo rispetto al prezzo effettivo di costruzione, nonché
l’impossibilità di risalire nel prezzo attraverso concessioni. Questo meccanismo
ha fatto si che le imprese di costruzione, nel corso degli anni, si siano riempite
di avvocati e svuotate di ingegneri. È questo, senz’ombra di dubbio, è un problema.
Se si considerano le ricette, proposte per risolvere la situazione, ve n’è una per
la quale si cerca di allineare il sistema degli appalti italiano a quello degli altri
Paesi. In sostanza, si affina la capacità della pubblica amministrazione di valutare i requisiti, si riduce il meccanicismo nell’aggregare la produzione di certificazioni o dei fatturati, in modo da fare sembrare veritiero che, per così dire,
quattro mani possano diventare un gigante da due metri. Non si può credere
che cinque imprese con un fatturato complessivo di cinquanta milioni di euro
abbiano la stessa efficienza e disponibilità di un’impresa, singola, con un fatturato di 250 milioni di euro. All’estero, in nessun caso vengono accettate delle
offerte di questo tipo, in Italia si.
In tutti i Paesi, l’impresa che vince sottoscrive un’importante fidejussione bancaria, pari al 50 % dell’importo dell’opera, assumendosi la responsabilità di
portare a termine quel lavoro, salvo atti di forza maggiore veramente eclatanti.
Questo fa si che i prezzi siano più alti; che le imprese che studiano il progetto,
forse assumeranno un avvocato in meno e dieci ingegneri in più e, sicuramente,
la volontà di arrivare a fine del lavoro sarà infinitamente più ampia. Questo è
quello che succede in tutti gli altri Paesi. In Italia, da anni si sostiene che l’impostazione della legge Merloni, ormai mutuata nel codice De Lise, vada superata. Mi auguro che tutto questo venga fatto il prima possibile. D’altra parte
l’appartenenza alla Comunità europea non conduce ad adottare leggi come la
65
GIOVANNI CASTELLUCCI
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
Merloni, bensì porta alla trasparenza, alla non discriminazione e alla proporzionalità. In questo ambito si può fare sicuramente molto di più.
In questo quadro, che non è particolarmente roseo, come ci poniamo? Dal
punto di vista finanziario, non abbiamo problemi, non abbiamo crediti dalle
banche, recuperiamo tutte le nostre risorse finanziarie con l’emissione di bond,
abbiamo un eccesso di risorse per circa 4 miliardi e quindi non abbiamo sentito
la crisi finanziaria. Stiamo continuando a investire come investivamo prima,
anzi un po’ di più; abbiamo la fortuna che una recentissima legge ci permette
di affidare direttamente il 60 % delle opere che noi prevediamo di realizzare
all’interno di un piano complessivo del valore di 18 miliardi. Il problema della
legge Merloni e dell’onerosità del sistema degli appalti italiano ci riguarda solo
per il 40 % dei lavori ed è, dunque, gestibile. Relativamente al momento che
stiamo vivendo e che non è sicuramente facile, possiamo considerarci un’isola
felice.
Molti dei nostri investimenti sono anche sull’area romana: la quarta corsia della
Roma-Napoli, la terza corsia della Milano-G.R.A., la terza corsia della A12
fino a Santa Marinella, sono alcuni degli interventi che faremo in zona, oltre,
ovviamente alla Tirrenica che dovremmo portare avanti fino a Livorno.
Adesso mi piacerebbe parlare di Roma Capitale. In questa situazione quali sono
le priorità per Roma, in quanto romano, poiché qui ci vivo e in quanto italiano
perché, da imprenditore, investo in Italia? Abbiamo delle infrastrutture per
migliorarne, intanto, la competitività. Roma ad oggi non è competitiva in termini di offerta turistica, offerta di ricezione, offerta per uffici e sedi di aziende.
Sicuramente il problema della mobilità è un problema serio, ma non è solo
questo. Penso che per fare di Roma una vera capitale, soprattutto per l’Italia,
e poi in ambito europeo, bisogna selezionare i progetti di investimento. Pensare
che Roma sia una capitale europea considerando un aeroporto come quello di
Fiumicino, una metropolitana a spezzoni, che di fatto non c’è, un decoro pubblico che è quello che è, una manutenzione del verde e dei marciapiedi, risulta
difficile. Sicuramente, Roma ha bisogno di investimenti infrastrutturali per essere una capitale europea. Tuttavia, anche in questo caso bisogna fare attenzione
a selezionare le iniziative. Bisogna fare che Roma non diventi il contenitore in
cui si vogliano mettere tutta una serie di interventi che la riguardano, con il
risultato di fare perdere l’efficacia a quelle stesse iniziative. Si perde innanzitutto
un momentum, nonché la possibilità di individuare leggi speciali e procedure
speciali per eseguire le opere. Il problema dell’amministrazione pubblica oggi
in Italia, come accennavo, è che è più il “caso” e non la “regola” che un’opera
66
Il futuro delle infrastrutture in Italia
appaltata dal pubblico possa arrivare in fondo. Sicuramente se si vogliono fare
infrastrutture a Roma è necessario avere delle normative, delle leggi speciali,
anche se queste leggi non si possono usare per tutto. Per avere il sostegno politico e delle istituzioni bisogna puntare l’attenzione su poche cose, ma importanti. Se Roma Capitale dovesse diventare un contenitore per fare cose
assolutamente marginali, si correrebbe il rischio di arrecare un danno, di ripetere la situazione che abbiamo avuto per il Giubileo o per i Mondiali, in cui
alla fine si è fatto un po’ tutto, ma nulla in maniera definitiva. Credo che l’intervento debba essere rivolto a poche opere: aeroporto, Grande Raccordo Anulare. Credo che bisogna trovare altre soluzioni per la mobilità urbana. Queste
sono le tre grandi priorità. Se poi sento parlare dell’aeroporto di Viterbo benissimo, interessante, ma sicuramente sistemare Fiumicino ha un livello di
priorità superiore. E’ importante essere sicuri di fissare bene gli obiettivi, altrimenti si perde immediatamente l’efficacia.
Migliorare la competitività di Roma vuol dire dare una missione a Roma nel
mondo globale. Roma rappresenta la vacanza di tre giorni del cinese che si fa
il triangolo Parigi-Roma-Londra oppure è la vacanza di sette giorni della famiglia americana che la prende come la sua disneyland.
Secondo me, è imprescindibile pensare a Roma Capitale europea dall’immaginare un ruolo nella catena del valore, una missione di business a una città
che non può non averne. Se non si ha la capacità di attrarre risorse e denari
dall’estero, come dal resto d’Italia, si corre il rischio di investire e non aver
niente in cambio. E lo dico, l’Italia non ha più tempo per investire senza ritorno; siamo a un tale livello di indebitamento, a un tale livello di vicinanza al
punto di non ritorno, che i soldi vanno investiti con estrema attenzione.
Cesare San Mauro
Ringrazio l’Ing. Castellucci perchè ha ripetuto quello che noi abbiamo detto
in questi dieci anni di Roma Europea. Ti posso dire che, alla luce della mia
modesta esperienza - dieci anni il consigliere comunale a Roma e cinque anni
il Presidente dell’Autorità per i servizi pubblici -, gli interventi servono a mantenere un certo consenso elettorale, ma non a risolvere i problemi strutturali
della città. Quando è stato nostro ospite Alemanno, gli ho detto, dati alla
mano, che il Comune di Roma ha circa 27.000 unità immobiliari di proprietà
propria in cui iscrive al ruolo una trentina di milioni di euro di crediti. In
realtà, ne ricava una ventina di milioni di euro e, di manutenzione propria, ne
spende una cinquantina di milioni più altri trenta milioni di euro per gli affitti
delle scuole. In totale, il Comune perde circa 55 milioni di euro l’anno. Per
67
GIOVANNI CASTELLUCCI
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
unità immobiliari, non per valore, il secondo proprietario immobiliare del
mondo è il sultano del Brunei, che ha 25.000 unità immobiliari. Ho proposto
al Sindaco, dunque, di istituire un commissario straordinario sul patrimonio
immobiliare di Roma. Ci sta pensando ed non mancherò di chiedergliene
nuove, nei prossimi giorni.
Ringrazio l’Ing. Castellucci perché la bellezza, la documentazione e l’ampiezza
del suo intervento hanno completamente esaurito le mie domande. Stasera
mancano due miei amici che il governo ha nominato commissari straordinari
Antonio Carbone e Mauro Fabris. Spero per loro che sappiano esattamente
cosa debbono fare e con quale modalità lo faranno. Senza sbilanciarti, mi interesserebbe capire se questi commissari straordinari avranno gli spazi per portare a casa i risultati o no. Puoi appellarti alla facoltà di non rispondere, ma mi
piacerebbe avere la tua opinione.
Carlo Maccallini
Le preannuncio che non sarà una domanda ostile. Anch’io mi associo alle parole del Segretario Generale. La ringrazio per l’esposizione e per la capacità di
sintesi perché è riuscito a riassumere quella che è la situazione dell’autostrada
in Italia. L’autostrada ha avuto sicuramente un grandissimo merito: ha accostato il Nord al Sud. Ho sentito parlare dell’autostrada tirrenica e mi piacerebbe
saperne qualcosa in più. Penserei anche al versante adriatico, visto che c’è
un’opera incompiuta tra Teramo e Alba Adriatica da circa 50 anni, si tratta di
pochissimi chilometri e non mi sembra che ci siano grandi ostacoli dal punto
di vista progettuale.
Paolo Catti De Gasperi
Ho colto la parte che riguarda più le costruzioni, ovviamente, perché l’azienda
di famiglia realizzò i cantieri della Salerno-Reggio Calabria. Quest’autostrada
venne fatta da progettisti del calibro di Moranti e da tecnici dell’ANAS con
una competenza che oggi non esiste più. Colgo l’occasione per dire che ho un
po’ di timore per la continua legislazione eccezionale, visto che viene creata
una commissione straordinaria per qualsiasi cosa. A mio avviso, tutto questo
rischia di creare un sistema economico, nel mondo delle costruzioni, che è un
grandissimo volano per l’Italia, ma all’interno del quale tutto viene svolto in
maniera eccezionale. Faccio un esempio semplicissimo: a Roma e in altre città
d’Italia non si costruisce più laddove i piani regolatori individuano le aree identificate come “edificabili”, ma in zone di completamento, piani di programma,
piani di ristrutturazione, piani di riconversione.
68
RENATO BRUNETTA
Efficienza ed efficacia dell’azione della pubblica amministrazione
Renato Brunetta
Mi sono avvicinato alla normativa riguardante il pubblico impiego da economista. E, da economista, ho cambiato le regole del gioco. Ho inteso puntare
ai cittadini. Pensare alla loro soddisfazione. Pensare a quello che noi produciamo per loro, ossia beni e servizi. Ho cercato di capire come produrre al meglio i beni e i servizi pubblici. Una delle chiavi esemplificative di questo
approccio è la total disclosure. Cioè la trasparenza totale, non solo nell’accesso,
ma anche nell’interazione tra interno ed esterno. È la condizione fondamentale
che implica un concetto di responsabilità somma sia da parte del fruitore, che
dell’erogatore di un servizio pubblico. La total discolsure vuol dire, quindi, totale
apertura, ma anche totale interazione e responsabilizzazione non solo da parte
di chi controlla, ma anche da parte di chi è controllato. Laddove c’è un criterio
di giudizio e di valutazione, migliora la relazione. Chi offre il servizio sta un
po’ più attento e viceversa. E, così facendo, si crea il valore aggiunto della positività. La total disclosure implica un’ottima organizzazione e un’ottima gerar69
RENATO BRUNETTA
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
chizzazione. Total disclosure, ad esempio, vuol dire conoscere il curriculum del
dirigente. Vuol dire che quel dirigente può controllare chi sta sotto di lui. Se
c’è questa gerarchizzazione, non può neanche esserci opacità rispetto al merito,
che è l’unico criterio per un controllo positivo e virtuoso. Ma perché ci sia il
merito, deve esserci la trasparenza e la misurabilità delle prestazioni. Se c’è la
misurabilità delle prestazioni, deve esserci qualcuno che la misura; e, se c’è
qualcuno che la misura, ci deve essere una valutazione. Se c’è una valutazione,
ci devono essere degli standards. A questo punto, faccio sempre l’esempio della
TAC. La TAC è una macchina che costa tra un milione e due milioni di euro.
Ha bisogno di un sistema per funzionare. Quando arriva nel reparto, normalmente i vincoli del personale, del sindacato e quelli organizzativi, fanno in
modo che quella macchina venga utilizzata per una parte del suo potenziale.
Tutto ciò premesso, data la domanda potenziale, ne deriva la lunghezza della
lista d’attesa, ossia la variabile residuale del processo. Quale sarà il nuovo meccanismo derivante dal mettere il cittadino al centro dell’erogazione del servizio
pubblico? Qual è lo standard che ci possiamo permettere, oggi, in Italia? Di
aspettare 30 giorni per fare una TAC? Ebbene, questa variabile gerarchizza le
altre variabili. Perché tutto questo si possa fare, è necessario che ci sia qualcuno
che definisca lo standard, che lo faccia applicare e che ne controlli la sua implementazione. Non solo, è necessario che il dirigente abbia il potere di applicare lo standard e che i sindacati non si mettano di traverso perché lo standard
venga applicato. E questo è un punto fondamentale perché, mentre prima il
contratto poteva derogare la legge, adesso è la legge che cambia il contratto.
La povera Moratti, ministro della Pubblica Istruzione, ci ha messo cinque anni
per fare una riforma della scuola e la stava applicando, con i relativi decreti. Il
cambio di governo e il nuovo ministro hanno promosso un contratto che ha
cancellato la legge. Ma vi pare mai possibile che un contratto cancelli la legge?
Nella mia norma, sarà vero il contrario. E qui consentitemi di operare una digressione. Il contratto di lavoro è segno di libertà e di efficienza. Naturalmente,
in quello privato c’è una parte più forte e una parte più debole. Per ciò stesso,
tutto il diritto del lavoro, quello europeo e maggiormente quello italiano, è
permeato dalla necessità di rapportare la parte più debole nei confronti di
quella più forte, ossia il datore di lavoro. Nel decreto n° 29, è stato trasfuso
questo principio, applicandolo al campo del lavoro pubblico. Così operando,
è stato commesso un imbroglio, perché, nel lavoro pubblico, non è che il lavoratore sia più debole del datore di lavoro. È esattamente il contrario. Non
perché il datore di lavoro abbia perso una battaglia sindacale, ma perché non
l’hai mai combattuta. E il datore di lavoro è connivente o passivo, non nei
confronti dei lavoratori, ma del sindacato. Per cui applicare le guarentigie del
mercato del lavoro privato al mercato del lavoro pubblico, ha prodotto un mo70
Efficienza ed efficacia dell’azione della pubblica amministrazione
stro. Ha prodotto una contrattazione totalmente leonina nei confronti delle
prerogative della legge dello stato.
In questa fase, ho ritenuto che la contrattazione dovesse piegarsi ai vincoli della
legge. Vediamo come va. Questa è la chiave perché sottende un approccio che
significa merito, trasparenza, standard. Ma vuol dire anche sanzioni e mobilità.
Tutto questo è scritto in una legge che verrà pubblicata la prossima settimana.
Si prevedono difficoltà ad implementarla, non sarà facile perché quello di cui
tratta riguarda cose che navigano sui piedi della gente, nei loro cuori, nelle loro
menti. Su questo lavorerò per trovare sponde, interlocutori, al centro come in
periferia, continuando l’opera che ho già iniziato. Perché qualcosa è stato già
fatto. La lotta ai fannulloni non è un annuncio, come qualche giornalista scrive.
Esiste un decreto che si chiama 112, trasformato in legge, la numero 133, che
ha stabilito della sanzioni, dei cambiamenti comportamentali che hanno condotto a una diminuzione dell’assenteismo del quaranta per cento. E questo è
un fatto dello stesso calibro della trasparenza, l’altro must di cui parlavo prima:
non è un auspicio, l’ho fatta!
L’ho fatta, pubblicando le consulenze, gli incarichi, gli stipendi, i curricula.
Così si produce credibilità. Si produce il cambiamento culturale che tutti auspichiamo.
Ho fatto il decreto-tetti che stabilisce un qualche controllo sulle retribuzioni
totali dei grand commis. Abbiamo preso come punto di riferimento il primo
presidente della corte di cassazione e abbiamo stabilito che, i compensi extra
lo stipendio base, non possono superare il doppio dello stipendio del primo
presidente della corte di cassazione. Ora, mentre, lo stipendio base del primo
presidente di corte di cassazione è noto, non è noto quanto questa figura percepisca dal Consiglio Superiore della Magistratura. Siccome questa figura fa
parte, di diritto, del CSM, ne deriva che il suo stipendio complessivo sia la
somma dell’uno e dell’altro. A tal riguardo, quindi, il ministro, per il tramite
del suo capo di gabinetto, ha chiamato il CSM, chiedendo la cortesia di conoscere il compenso medio. La risposta è stata negativa. Ma era il governo che lo
chiedeva per inserire il dato in una legge! Tutto questo accadeva un mese fa.
Poi, più nulla.
Il mio agire è sostenuto dalla consapevolezza che, in quanto classe politica, esistiamo per i cittadini.
I servizi e i beni pubblici, che l’amministrazione eroga, non hanno un prezzo.
71
RENATO BRUNETTA
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
E non avendo un prezzo, è difficile misurare la funzione di produzione, ossia
stabilire se è efficiente, oppure no. Questi beni implicano costi, capitali, lavoro.
Sono beni molto complessi. Ma non se ne può conoscere né il tasso di fruizione, né il tasso di soddisfazione: non ci sono, cioè, indicazioni del mercato
che mi facciano intendere che la mia funzione di produzione è organizzata in
maniera efficiente. Tutt’al più, potrò avere dei prodotti e dei giudizi finali anomali: ma questo si vede lontano nel tempo, non lo vedo mentre accade.
Fornire beni e servizi pubblici è, dunque, una produzione al buio: senza il riscontro immediato del mercato. Uno dei riscontri, tuttavia, è la democrazia.
Ma non è sempre attendibile, alla luce di una logica, per cosi dire, di mercato.
Pertanto, ho bisogno della customer satisfatcion. Dal momento che non possiedo
la variabile prezzo, devo inserire, nella funzione di produzione di beni e servizi
pubblici, due elementi: la voice e l’exit, ovvero il giudizio del cittadino e la
possibilità di avere luoghi alternativi in cui fruire di quel bene o di quel servizio.
Ebbene, quello che sto cercando di fare è di distribuire i beni e i servizi pubblici, non solo nei luoghi monopolistici della pubblica amministrazione (l’anagrafe, il comune, l’agenzia delle entrate), ma anche in luoghi diversi, a partire
da casa. In maniera tale che elimino le possibili distorsioni dell’erogazione di
quel bene o di quel servizio e ingenero un meccanismo virtuoso di concorrenza.
L’insieme di tutto questo più ICT (posta elettronica certificata, eliminazione
della carta, notifiche elettroniche per quanto riguarda i tribunali) è trasparenza,
è just in time, è controllo dei tempi, controllo delle procedure, controllo della
tempistica del procedimento. Ecco, diciamo che l’assedio è stato ben costruito,
adesso sto aspettando che crollino le mura.
Cesare San Mauro
Ti ringrazio moltissimo per il tuo intervento, che solleva un milione di domande! Organizzo da una decina d’anni queste serate, per il solo gusto di fare
la domanda per primo! Racconto brevissimamente un’esperienza che ho avuto
quando sono stato presidente dell’Agenzia di Controllo sull’Agricoltura.
C’erano due ispettori del mercato del pesce alla Vucciria, sui quali pendeva
una sentenza della corte d’appello di Palermo, che li condannava per concorso
esterno in associazione mafiosa e per corruzione aggravata e continuata. Cosa
deve fare un rappresentatene legale di un’agenzia al cento per cento pubblica?
Ho licenziato questi due, infischiandomene del principio di presunzione di innocenza, ma agendo sulla base del principio che il rapporto fiduciario veniva
meno nella sua essenza. Sono stato condannato per comportamento antisin72
Efficienza ed efficacia dell’azione della pubblica amministrazione
dacale e i due sono stati reintegrati nel posto di lavoro a Palermo. Il principio
della class action passa attraverso l’introduzione di un elemento sanzionatori
sotto il profilo del risarcimento del danno individuale. Ritieni che il pubblico
funzionario debba essere chiamato a risarcire il danno di tasca propria? Ritieni,
cioè, utile introdurre questo come un elemento che possa risolvere la situazione,
più dei licenziamenti che non avranno corso?
Renato Brunetta
Tutta l’impostazione che abbiamo dato all’azione collettiva, per quanto riguarda il settore pubblico, è senza risarcimento pecuniario. La sanzione prevista
è quella per cui il servizio è ripristinato. E, se questo non accade, si ricorre a
commissariare o a colpire le responsabilità di quelli che non hanno provveduto.
La mancanza di una previsione d’indennizzo è dovuta a tutta una serie di vincoli che impediscono di far saltare, evidentemente, i conti pubblici. Per quanto
riguarda la class action in forma privata, che riguarda beni privati, invece, si
prevede il risarcimento. C’è un altro problema, ossia la class action, priva di
opportuni standard di riferimento, rischia di diventare eversiva nei confronti
della funzione di produzione dei singoli beni e servizi.
Ho dovuto effettuare una navigazione complessa per evitare il risarcimento,
perché non era possibile. Ho dovuto correlare, strettamente, la sentenza alla
definizione di standard possibili, tali da non gravare sulla finanza pubblica,
centrale o periferica, ma tali da incidere, invece, sulla migliore organizzazione
dei segmenti in cui quel servizio si pone. Il mio margine di miglioramento
dell’azione collettiva è il vincolo del bilancio pubblico.
Il fine dell’azione collettiva, infatti, è quello di ottimizzare, con risorse date,
l’organizzazione esistente. È un sentiero stretto, ma comunque rivoluzionario
perché se non si mettevano questi vincoli, il risultato prodotto sarebbe stato
quello di non migliorare l’efficienza, ma di aumentare la spesa.
Ne deriva, per quanto riguardo il tuo quesito, che l’azione disciplinare si realizza prima della sentenza, prima del passare in giudicato. Perché immediatamente si ha la sanzione disciplinare, ossia la tutela dell’organizzazione. Già
questo penso che sia un buon avanzamento. Un bellissimo esempio, peraltro
eversivo, riguarda la previsione per cui, i vincitori del concorso a dirigente di
prima fascia, prima di assumere l’incarico, dovranno farsi sei mesi all’estero.
Altro esempio è la responsabilizzazione dei dirigenti. Ho dovuto usare il bastone per quanto riguarda la malapianta dell’assenteismo. Se il dirigente vede
innalzamenti di assenteismo e non interviene il responsabile è lui. La sanzione
prevista? La perdita del salario accessorio.
73
RENATO BRUNETTA
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
Domenico Bernino
In quanto professore universitario, sono più che contento che vengano valutati
i miei standard. C’è una valutazione che è quella che gli studenti fanno, ma,
mi chiedo se ci sia una pubblicazione, vera e propria, sul sito dell’agenzia della
ricerca, di quali siano gli standard della qualità. La voice la vediamo sui giornali,
ma per l’exit, con riferimento ai magistrati, come preferireste regolarvi?
Renato Brunetta
Quello che sto cercando di fare è stabilire un ordine culturale. Che è quello
della trasparenza, della valutazione, del merito e della qualità e, non per piaggeria, ma da dipendente pubblico, vi dico che il potenziale è buono. Se noi
Italiani produciamo il settimo PIL al mondo, avremmo pure qualche qualità!
Certamente potremo fare di meglio ed è quello che stiamo cercando di fare.
Qual è il ragionamento, dunque? La valutazione e la trasparenza non devono
essere tanto minacciati, ma devono diventare un fattore culturale. Tutta la mia
strategia è sostenuta dalla necessità di creare un clima equilibrato e non sanzionatorio, creare, cioè, un terreno fertile che reintegri la valutazione, soprattutto per quel che riguarda il settore pubblico. Dovremo, in breve, riportare
nel settore pubblico le stesse regole che disciplinano il settore privato.
Cesare San Mauro
Cosa ne pensa il prof. Frati, Magnifico Rettore dell’università della sapienza?
Luigi Frati
Sarò conciso. Sto modificando l’organizzazione dell’Università “La Sapienza”,
mettendo la customer satisfatcion al centro del sistema. Da novembre, cambierò
lo statuto, prevedendo, ad esempio, la diminuzione di direttori di dipartimento
e di facoltà. Potranno godere di un’indennità del trenta per cento sulla carica
e del sessanta per cento su obiettivi stabiliti dal Senato e dal Consiglio d’amministrazione. A fronte di tutto questo, prevedo che se, giudicati da valutatori
esterni, non raggiungono il trenta per cento degli obiettivi, decadono. Per fare
tutto questo ho bisogno di una legge e la chiedo a te in quanto rappresentante
del nostro governo.
Giuseppe Faberi
Come magistrato di lungo corso, volevo proporre un quesito che riguarda le
motivazioni per cui la magistratura ha questo rapporto conflittuale con le pubbliche amministrazioni, con la politica e dal quale origina, all’interno della ma74
Efficienza ed efficacia dell’azione della pubblica amministrazione
gistratura medesima, una crisi nel rendere il servizio indipendente, imparziale,
tempestivo ai cittadini. Che cosa è successo? Perché la pubblica amministrazione ha paura dei magistrati, non assume forme di responsabilità. È solo colpa
dei magistrati che si vogliono rendere visibili, o non c’è un deficit di dignità,
di professionalità, di maturazione del senso dello stato da parte della pubblica
amministrazione?
Renato Brunetta
Ma guardi che la magistratura è anche una pubblica amministrazione
Giuseppe Faberi
La magistratura è autorefenziale a gradi di responsabilità e deve fare ammenda.
Però come si fa a fare una riforma di una Pubblica Amministrazione senza ristabilire un moderno rapporto con le pubbliche amministrazioni egualmente
autorevoli? Qui si parla, ad esempio, per i politici, di autorizzazione del parlamento per il procedimento. Ma la pubblica amministrazione con la disapplicazione degli atti, con i sequestri, con gli interventi più svariati è bloccata,
spesso, nelle funzioni fondamentali.
Renato Brunetta
Le consiglierei un bellissimo libro di Luciano Violante che è appena uscito, si
chiama “Magistrati” e racconta tutta la storia del ruolo della magistratura dal
dopoguerra a oggi.
Vado per flash nel risponderle. Anche la magistratura è una pubblica amministrazione, benché con particolari guarentigie. Sulla magistratura ho detto che
due istituzioni assolutamente legittime, come l’Associazione Nazionale Magistrati e il CSM, si trovano ad essere l’una cinghia di trasmissione dell’altra.
Tutto ciò conduce alla produzione di quel mostro che abbiamo di fronte, ossia
di una magistratura autoreferenziale e sindacalizzata fino al parossismo (il tasso
di sindacalizzazione della magistratura -lo dico per inciso- è del novantasei per
cento), che, quindi, combina malamente, ovvero in maniera corporativa, due
valori: l’autonomia e la libertà. È nello stesso interesse della magistratura ritornare nell’alveo suo proprio. A mio modo di vedere, ad esempio, che un magistrato del TAR indichi al governo come mettere le graduatorie di supplenza
su un astratto principio di uguaglianza, è un’anomala invasione di campo.
La metà dei dirigenti di un ministero importantissimo sono sotto schiaffo di
una parte di una magistratura contabile. Anche questo non è possibile! Sono
75
RENATO BRUNETTA
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
stato nove anni al Parlamento europeo. Per tre volte ho usato le guarentigie
dell’immunità parlamentare perché mi sono permesso di dire che le public utilities sono dei mostri monopolistici, inefficienti, spesso clientelari. Una di queste public utilities mi ha citato per tre volte con i suoi mega avvocati, se non
avessi goduto dell’immunità parlamentare, non sarei stato libero di dire queste
cose che dico.
Vorrei che si tornasse a quello che decisero i padri costituenti, a partire da
Oscar Luigi Scalfaro, di avere, cioè, un’immunità parlamentare che non voglia
dire impunità, ma equilibrio tra i poteri. Perché voi giudicate noi, e se noi giudicassimo voi? Voi giudicate noi e avete un vostro sistema molto attento: ci
sono tutta una serie di filtri che comportano l’utilizzo di pochissime sanzioni.
Vi giustificate molto, diciamo così.
Una buona democrazia è quella in cui ci sono pesi e contrappesi, in cui nessun
potere può esserlo più degli altri. La magistratura non è un potere, è un ordine.
I poteri sono solo quelli che derivano la loro legittimazione dal popolo. Così
non è per la magistratura.
C’è un modo nelle cose. Bisogna essere consapevoli di chi si è, di cosa si fa e
di chi sia l’interlocutore. Bisogna riportare un po’ di equilibrio. E se io dico
che voglio la separazione delle carriere, non attacco i magistrati, ma sto esercitando un mio sacrosanto diritto.
Nessuno è più istituzione di un altro. Ma ciascuna nel suo ambito deve dialogare con le altre parti.
Quello che viviamo, in conclusione, è un momento delicato. Ma è anche bello
perché fa chiarezza. Penso che ci debba essere una grande riforma della magistratura, della giustizia, in primis, che parta dall’efficienza, dall’organizzazione,
dalla trasparenza, dal servizio.
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FRANCO BASSANINI
La Cassa Depositi e Prestiti
Marco Ravaglioli
Quella in cui ci ritroviamo oggi era la sede dei Gonfalone, una delle numerose
aree di confraternite di cui, nel corso del tempo, si è ritrovata e manifestata la
religiosità dei romani. E’ la prima confraternita, la più antica di tutte. Sul suo
modello si sono strutturate, in seguito, tutte le altre.
Qui vicino c’è una chiesa, in fondo a Via Giulia, che si chiama Santa Maria
dell’Orazione e Morte. Era la sede di un’altra confraternita che aveva il compito
specifico di seppellire i cadaveri abbandonati. Se dapprima la confraternita dei
Gonfalone svolgeva attività di preghiera e devozione, in seguito, si specializzò
per un’altra manifestazione, a cavallo tra la spiritualità e la cultura: una processione tradizionale che partiva da questa zona e raggiungeva il Colosseo nella
settimana Santa. A questo evento partecipava, è vero, una grande folla, ma soprattutto un gruppo nutrito di letterari, di poeti cittadini che recitavano preghiere durante il percorso.
La Confraternita si è, di fatto, estinta all’inizio del ‘900; esiste, tuttavia, un
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FRANCO BASSANINI
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
commissario, che poi è il parroco della parrocchia Santa Maria dell’Orazione
e Morte, che continua a tenere accesa la fiammella di questa presenza così antica e tradizionale.
Scusatemi la digressione, ma prima di iniziare i nostri lavori, visto che continuano ad arrivare altre persone, mi farebbe piacere intrattenervi col racconto
del cinquecentenario di Via Giulia.
Via Giulia ha compiuto 500 anni nel 2008 e l’oratorio dei Gonfalone, e delle
altre confraternite, è stato uno dei protagonisti del cinquecentenario, così come
è stato uno dei protagonisti della vita di questa strada per 500 anni. L’altra
confraternita aveva sede presso Santa Lucia, una chiesa che adesso sorge lungo
Via dei Banchi Nuovi e che, precedentemente, sorgeva in Via Giulia, benché
in un altro edificio, chiamato Santa Lucia della Chiavica. L’espressione, poco
raffinata per la verità, stava ad indicare come in quella zona - in cui adesso
stanno facendo dei lavori per un infelice parcheggio sotterraneo - scorreva un
canale di scolo verso il fiume.
Il cinquecentenario ha segnato un momento importante per la strada. Si sono
ricordati questi 5 secoli di vita, a partire dal 1508, quando Papa Giulio II chiese
di tracciare una strada in questa zona, che era praticamente disabitata e abbandonata, perché riservata ad attività di carattere religioso e sportivo. In fondo a
Via Giulia, sorgeva un santuario dedicato alle divinità degli inferi per via di
una di acque sulfuree che, come sapete, in genere sono collegate alle divinità
del mare e del sottosuolo. Vi era, inoltre, un cerchio per le corse equestri collegato alle scuderie e alle abitazioni per i fantini che vivevano in Piazza della
Cancelleria.
Il motivo per cui venne costruita Via Giulia è presto detto. Papa Giulio II lanciò con il suo pontificato, che si svolse tra il 1503 e 1513, un programma di
forte impulso politico: era ancora un momento in cui il papato si affermava
nella città di Roma in contrapposizione alla piccola e grande nobiltà romana.
Giulio II ribadisce il primato del Vescovo di Roma sulla città, stabilisce il cuore
del potere politico a San Pietro rendendola, ancora in costruzione, il perno urbanistico di Roma.
Su impulso di Giulio II, il Bramante tracciò il progetto di una gigantesca piazza
che avrebbe dovuto sorgere tra l’attuale Via Giulia e l’attuale Via dei Banchi
Nuovi con un grande edificio destinato ad ospitare le attività di giustizia. Di
quel gigantesco edificio non c’è più nulla, se non dei ruderi, poiché nel 1513
muore Giulio II, nel 1514 è il turno del Bramante e il progetto venne abbandonato dai successori.
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La Cassa Depositi e Prestiti
Cesare San Mauro
Grazie a Marco Ravaglioli da cui ho avuto, credo, la più bella guida di Roma:
una straordinaria guida alla conoscenza e alla storia della nostra città.
Allora, siamo qui per l’inizio del 2010, con la speranza che in questi incontri
di gennaio, febbraio e marzo, possiamo trovarci bene e, in caso, utilizzare questa
sede per tutte le nostre nuove iniziative.
Desidero, a questo punto, introdurvi il nostro relatore d’eccezione, Franco Bassanini. Il Presidente Franco Bassanini ha un curriculum lunghissimo da un
punto di vista accademico, professionale, politico e istituzionale. Vorrei ricordare che è stato Ministro della Repubblica, Sottosegretario di Stato, Deputato,
nonché uno dei componenti italiani della Commission pour la libération de la
croissance française del Presidente Sarkozy con il compito di predisporre un
progetto per l’ammodernamento dell’amministrazione francese.
Dal Prof. Bassanini, oggi, ci aspettiamo una presentazione su uno dei temi che
riguardano Roma Europea e il sistema della Cassa Depositi e Prestiti che si
candida ad essere, sempre di più, l’organismo finanziario del mercato globale,
del mercato pubblico. È l’elemento di coagulo, lo strumento di ritorno della
mano pubblica a una presenza nelle grande infrastrutture nel Paese, siano esse
strade, acquedotti, telecomunicazioni.
Ringrazio moltissimo il nostro ospite Franco Bassanini di essere qui con noi.
Franco Bassanini
Quando il Professor San Mauro mi ha invitato ad essere qui con voi stasera,
mi ha fatto scegliere il tema facendomi presente che la Fondazione si chiama
Roma Europea. Ho riflettuto e avevo tre possibilità di scelta, restando nell’ambito delle cose che conosco.
Una poteva essere il tentativo che insieme ad altri ho fatto di modernizzare,
quindi, far diventare europeo, il nostro sistema amministrativo. L’amministrazione italiana ha il suo cuore - siamo ancora uno Stato unitario- nella capitale
e il fulcro dell’amministrazione parte da Roma, senza dimenticare l’ambizione
di avvicinare la nostra amministrazione ai migliori modelli europei. Siccome
un bilancio di quell’esperienza dovrebbe mettere in luce successi, ma anche insuccessi, ho scartato questa prima opzione.
La seconda opzione poteva essere quella di parlare di ciò che da un po’ di anni
è diventato il mio lavoro principale, la Fondazione Astrid, che ha sede a Roma
e nella quale ci si è occupato molto di Europa, in modo tale che, sotto la vicepresidenza di Giuliano Amato alla Commissione Europea, Astrid ha prodotto
79
FRANCO BASSANINI
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
circa ventisette diversi testi di Costituzione Europea. Ha elaborato un commento al testo della Convenzione, della Conferenza Intergovernativa e del Trattato di Lisbona. Ogni volta che veniva redatto un testo, tuttavia, c’era sempre
un qualche referendum che lo bocciava!
La terza scelta, era quella che Cesare preannunciava, cioè parlare di quell’istituzione che è la Cassa Depositi e Prestiti, che è romana di nascita, ha più di
150 anni e che sta diventando europea nel corso degli ultimi anni. La Cassa
Depositi e Prestiti nacque a metà dell’800 sul modello della Caisse des dépôts et
consignations napoleonica che l’aveva preceduta nel 1815. Piccolo particolare
divertente nella storia d’Italia, la prima imitazione fu fatta a Napoli; la Cassa
Depositi e Prestiti del regno di Napoli nasce qualche mese dopo la fondazione
della Cassa Depositi e Presiti napoleonica. Quella invece sabauda arriva a metà
dell’800, ma nel frattempo quella napoletana era scomparsa. Mentre l’esperienza francese della Cassa si evolveva, quella italiana è rimasta per 150 anni
nella sua forma, quella originale, fino alla riforma del 2003 realizzata dall’attuale Ministro dell’Economia e già allora ministro dell’Economia e delle Finanze.
La Cassa Depositi e Prestiti era un’amministrazione dello Stato, appartenente
alla Direzione Generale del Ministero del Tesoro. La sua funzione consisteva
nel prendere in carico il risparmio postale, raccolto agli sportelli postali, per
trasformarli in mutui, in prestiti alle amministrazioni pubbliche, prevalentemente locali. Ciò che avanzava veniva depositato sul conto corrente di cassa e,
quindi, contribuiva a dare liquidità alla tesoreria dello Stato. La conseguenza
di questo ordinamento era, trattandosi di amministrazione dello Stato, che
nello stesso momento in cui un risparmiatore apriva un libretto postale e vi
depositava mille lire o un euro, un privato faceva un prestito all’amministrazione dello Stato e il debito pubblico aumentava nella stessa proporzione. Il
successivo ripiego in mutui o successivo deposito nel conto corrente di tesoreria
di quell’euro non erano conteggiati come debito pubblico perché erano già
stati conteggiati all’origine e perché erano, come diremmo oggi, prestiti infragruppo.
Nel 2003, Tremonti attua il primo step della riforma. La Cassa Depositi e Prestiti viene trasformata in Società per Azioni. Lo Stato conserva il 70% delle
azioni del capitale, un gruppo di 76 fondazioni di origine bancaria entrano
con azioni privilegiate convertibili nell’altro 30% del capitale. Questa società
viene riconosciuta come soggetto privato -se preferite al di fuori del perimetro
della pubblica amministrazione- da Eurostat. A questa società sono attribuite
una parte delle partecipazioni dello Stato, circa il 10% dell’Eni, il 20% del80
La Cassa Depositi e Prestiti
l’Enel, il 30% di Terna, il 35% delle Poste. Gli effetti di questa operazione
sono un’entrata di alcuni miliardi che serve a ridurre il debito pubblico nell’immediato, ma soprattutto l’effetto di queste operazioni è che, nel momento
in cui il risparmiatore apre un libretto di risparmi o un conto corrente fruttifero, e vi deposita un euro o cento euro, questo non è automaticamente classificato come debito pubblico, perché è un prestito che un privato fa a un altro
soggetto privato.
La garanzia dello Stato non cambia nella natura di questo rapporto. Diventa
debito pubblico, nei confronti della Cassa, subito dopo perché viene impiegato
per concedere un mutuo ad un’amministrazione pubblica; oppure lo diviene
nel momento in cui il deposito pecuniario del risparmiatore privato alla Cassa
viene impiegato come conto corrente di tesoreria.
Questo step, attuato da Tremonti, in realtà, avvicina la Cassa Depositi e Prestiti
ai modelli europei. In Paesi come la Germania, la Spagna e la Polonia, ad esempio, già da tempo era stato realizzata una diminuzione della proprietà da parte
dello Stato. Ossia, il riconoscimento di queste istituzioni come soggetti esterni
al perimetro della pubblica amministrazione.
Del cambiamento non si avvertirono tutti gli effetti immediatamente fino ad
una successiva riforma che, tornato Tremonti al Ministero dell’Economia e
delle Finanze, si realizza tra il 2008 e il 2009.
E’ chiaro che, se domani, la Cassa Depositi e Prestiti facesse prestiti e mutui a
soggetti privati che sono titolari di concessioni, realizzazione e gestione di infrastrutture pubbliche, ma anche a imprese, i prestiti e i mutui, sarebbero erogati da un soggetto privato a un altro soggetto privato. Questa “dialettica
finanziaria” non sarebbe da conteggiare nel debito pubblico. Pertanto, la Cassa
è oggi in grado di finanziare, sia con liquidi che con debito, progetti di interesse
e rilievo pubblico, promossi dalle amministrazione pubbliche, senza che le risorse impiegate siano conteggiate nel debito pubblico dal punto di vista europeo.
Prendiamo un caso concreto: le autostrade. Oggi, ad esempio, sono in alcuni
casi in fase di realizzazione e in altri casi di strutturazione finanziaria. Il meccanismo tradizionale prevede che queste autostrade si finanzino con una quota
di contributo pubblico a fondo perduto dello Stato e della regione. La concessione per la realizzazione dell’opera, aggiudicabile a mezzo gara europea, prevede il finanziamento con capitali pubblici a fondo perduto, per una parte e,
per l’altra, tramite la
raccolta di finanziamenti e prestiti da parte del sistema finanziario redditizio.
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FRANCO BASSANINI
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
Oggi, tra i finanziatori, ci può essere la Cassa Depositi e Prestiti; naturalmente
il suo non è un contributo a fondo perduto, perché è un risparmio postale che
va restituito con interessi ai risparmiatori postali; ma, mentre nel meccanismo
tradizionale, il finanziamento veniva conteggiato nel debito pubblico, con la
nuova riforma, il finanziamento diretto alla società concessionaria non viene
conteggiato nel debito pubblico.
La cosa ha una certa rilevanza, non solo perché la Cassa comincia ad assomigliare ai suoi cugini europei, ma anche perché apre la strada ad un’iniziativa
ancora più interessante sotto questo profilo, quantomeno in prospettiva. L’iniziativa è quella di costruire dei fondi europei per il finanziamento, con capitale
di rischio, di progetti europei nel settore delle infrastrutture.
Lanciata nella riunione ECOFIN di circa un anno fa, questa idea ha rapidamente marciato e, oggi, il primo di questi fondi europei è stato varato. Il fondo
si chiama “Marguerite”. Il nome completo è “2020 Fondo Equity per il finanziamento delle infrastrutture dell’energia e dell’ambiente”, perché è un fondo
che disporrà di una prima quota di un miliardo e mezzo di capitale del rischio.
Quest’ultimo, come sapete, è molto importante perché consente di far leva e
di raccogliere finanziamenti in debito, servirà a finanziare progetti europei nel
settore delle infrastrutture e trasporti e delle reti energetiche, delle energie rinnovabili e dell’ambiente. E’ considerato un prototipo nel senso che, se l’operazione avrà successo, appena impiegato questo miliardo e mezzo di euro e
questi cinque miliardi e prodotti i risultati previsti, lo stesso aggregato di istituzioni ne farà un secondo e ne farà poi un terzo. Nell’ambito di questo quadro,
la Commissione europea ha deciso di investire 80 milioni di euro, prelevati
dal bilancio dell’UE. Anche il governo inglese ha deciso di adire a questo progetto-pilota. Dal punto di vista del commitment politico è una grande conquista.
La prima considerazione che va fatta è che abbiamo avuto un primo e interessante esperimento del funzionamento delle cooperazioni rafforzate. Questa
cosa è partita poco più di un anno fa, si è tradotta, per iniziativa italiana, nell’ambito della risoluzione finale del Consiglio Europeo del dicembre del 2008,
sotto forma di autorizzazione della cooperazione rafforzata: siamo partiti in tre
e, oggi, sono quattordici i Paesi che già hanno aderito con le loro istituzioni e
con quote, alcune più grandi ed altre più piccole.
Dietro a questa iniziativa, c’è un’idea più importante. C’è già un secondo fondo
in stato di avanzata costruzione, che si chiama fondo Intramed, che servirà a
finanziare, con capitale di rischio, le infrastrutture nei Paesi della sponda sudest del Mediterraneo. L‘idea è quella che non risolveremo mai il problema dei
grandi flussi migratori con tutti i problemi conseguenti se non contribuiremo
82
La Cassa Depositi e Prestiti
alla crescita, alla strutturazione di quei Paesi, in modo da creare normali condizioni di vita nei Paesi di provenienza.
Ma dietro a tutto questo c’è una riflessione - che è quella che vorrei sottoporvi
perché a me sembra particolarmente importante - che già si è tradotta in alcune
iniziative comuni di queste istituzioni con un ruolo molto importante della
nostra Cassa Depositi e Prestiti.
L’idea qual è? La crisi. La crisi lascia ai Paesi europei, e non solo, un’eredità
pesante in termini di crescita del debito pubblico.
L’Italia aveva già un elevato debito pubblico, ereditato dal passato, in particolare dagli anni Settanta e Ottanta; questo debito pubblico è, oggi, intorno al
115% del PIL.
Non siamo tra i Paesi che hanno visto una crescita del debito più elevata negli
ultimi tempi, anzi ci siamo comportati relativamente meglio di altri, ma avevamo già il debito pubblico più alto d’Europa.
La novità è che gran parte degli altri Paesi europei ha visto, per effetto della
crisi, da un lato delle misure, dei provvedimenti di salvataggio; dall’altro degli
effetti automatici della riduzione del PIL. Le previsioni del fondo monetario
per il 2014 dicono che avremo la Gran Bretagna sopra il 90% del PIL, la Germania mediamente al di sotto del 90% e la Francia poco meno. Altri Paesi che
sembravano molto virtuosi, hanno visto una drammatica esplosione del rapporto tra debito e PIL. Questo è un problema che andrà affrontato. Ma come
farlo?
I rimedi in questi casi sono tradizionali. Il primo riguarda l’inflazione, ma a
questi livelli occorre un’inflazione a due cifre che la Banca Centrale Europea
non permetterà mai perché i suoi effetti sarebbero devastanti, in termini sia di
equità sociale che di crescita.
Il secondo strumento è dato da politiche di bilancio rigorose. La terza via, che
deve essere accoppiata alla seconda, è un’accelerazione della crescita. E’ stato
recentemente calcolato che un punto in più rispetto a quella fisiologica di crescita può comportare, in dieci anni, una riduzione del rapporto tra il debito e
il PIL di quasi 25/30 punti, mediamente. Per accelerare la crescita uno strumento classico, che molti grandi Paesi stanno adottando, è quello di finanziare
grandi progetti di investimento in infrastrutture, in green economy, in ambiente e in capitale umano. Grandi progetti che hanno, da una parte il vantaggio di contribuire ad un’accelerazione della crescita e, dall’altra, di migliorare
il posizionamento del Paese quando, all’uscita dalla crisi, riprenderà in condizioni, per così dire normali, la competizione internazionale. È una competizione che si presenta per i prossimi anni ancora più difficile. Sapete, per
esempio, che, nel 2008, sono arrivati i dati sui brevetti: il maggior numero è
stato sottoscritto dalla Cina, cui segue la Corea del Sud. La sfida competitiva,
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FRANCO BASSANINI
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
quindi, non è più tra Paesi a elevato livello tecnologico e Paesi che hanno dei
vantaggi competitivi nelle grandi produzioni di massa dovute al basso costo di
lavoro. La sfida competitiva si trasferisce anche sul terreno dell’innovazione e
della tecnologia. Oggi Cina, Corea, Giappone, Stati Uniti hanno deciso, come
elemento fondamentale delle loro strategie per uscire dalla crisi, di finanziare
grandi progetti pubblici di investimento, infrastrutturali, in economia verde, in
ambiente, etc. Tuttavia, il problema è che la Corea, la Cina, il Brasile, il Messico,
la Russia, che hanno un modesto indebitamento pubblico, possono finanziare
questi programmi con risorse di bilancio. Gli Stati Uniti si avviano ad avere un
debito pubblico a tre cifre; per il momento, tuttavia, godono della posizione speciale del dollaro negli scambi internazionali. Il Giappone fa lo stesso.
Cosa possono fare i Paesi europei? I Paesi europei possono sfruttare alcuni punti
di forza che obiettivamente l’Europa possiede: uno è l’elevata propensione al
risparmio delle famiglie, confermata ancora da recentissimi dati Istat, nonostante la crisi. Questo è un dato non solo italiano, ma anche francese e tedesco.
Ciò vuol dire che ci sono capitali privati, come ad esempio il risparmio postale,
che è il risparmio delle famiglie, già raccolti e pronti per essere impiegati.
Il secondo è dato dall’euro con tutto quello che ne consegue, ossia area economica europea, patto di stabilità, politica della BCE. L’euro, per quanto discutibile, si è affermato come una moneta di un’area sostanzialmente stabile,
affidabile e quindi può incrociare le esigenze di diversificazione delle riserve e
degli impieghi dei capitali da Paesi che hanno elevati surplus, come la Cina, i
Paesi del Golfo, l’Arabia Saudita.
Qualche giorno fa, parlavo con il responsabile di un fondo sovrano del Golfo
che mi diceva che abbiamo investito negli ultimi cinque/sei anni 140 miliardi
di dollari, con un avanzo da spendere pari a 45. Quindi, impieghi che si presentavano come eccellenti, con elevata redditività, non sono stati immuni alla
crisi. Mi raccontava che quel poco che abbiamo investito alcuni anni fa in Europa ha subito gli effetti della crisi, ma gli effetti della crisi non sono stati aumentati rispetto al momento dell’investimento dalla svalutazione del dollaro,
ma sono diminuiti per via della rivalutazione dell’euro.
L’Europa può essere in condizione, se si creano le regole e gli strumenti adatti
per veicolarli, di finanziare grandi progetti infrastrutturali, quelli che servono
per far ripartire la crescita e per posizionare poi meglio i Paesi Europei ai blocchi di partenza nella nuova competizione internazionale. Tutto ciò può essere
fatto utilizzando capitali privati, risparmio delle famiglie, capitali privati europei, capitali privati di Paesi di altre aree del mondo e persino capitali pubblici
dei paesi in surplus alla ricerca di diversificazione dei loro impieghi.
Il problema da fronteggiare, dunque, è quello relativo a strumenti e regole da
adottare. Oggi, ci confrontiamo con regole contabili che non sono adatte alla
84
La Cassa Depositi e Prestiti
situazione di investimenti di lungo termine, che danno ritorni nel tempo, che
hanno dei tassi di redditività, dei rendimenti moderati, ma sicuri, anche perché
hanno forme di garanzia e intervento pubblico. Invece, sarebbe nell’interesse
dei Paesi europei prevedere regolazioni che consentano di favorire investimenti
di questo genere. In Italia, Germania e altri Paesi, in alcuni settori, ad esempio,
si registrano regolazioni fiscali che favoriscono investimenti nelle energie rinnovabili, oppure la proprietà immobiliare, detenuta nel tempo oltre un certo
limite (in Italia è di 5 anni). Evidentemente, in quest’ultimo caso, si vuole favorire l’accesso alla proprietà della casa, nonostante vi siano dei limiti come
quello di ingessare il mercato immobiliare. Perché non lavorare per avere regolazioni dei contatti fiscali che rendano il giusto riconoscimento al valore, all’interesse generale che c’è nel favorire l’impiego di capitali privati e capitali
pubblici stranieri in progetti di investimenti infrastrutturali con importanti riscontri di interesse collettivo?
Diviene importante il ruolo maieutico che possono avere dei fondi promossi
e creati da istituzioni come la DEI, da una parte, e la rete delle Casse Depositi
e Prestiti, dall’altra. La loro funzione, infatti, è quella di collazionare capitali,
spesso con la garanzia dello Stato; ma questa garanzia dello Stato non si traduce
e non si tradurrà, molto probabilmente, in un aumento dell’indebitamento
pubblico. Finora in Italia, in Germania, in Francia, la garanzia dello Stato non
è mai stata escussa. Queste istituzioni sono riuscite sempre a evitare di tradurre
questa garanzia in debito pubblico e naturalmente, se vengono gestite così accuratamente, è probabile che avvenga anche in futuro. Ci può essere la garanzia
dello Stato. Nel caso italiano delle fondazioni bancarie, sono le istituzioni che
hanno azionisti che non sono obbligati a ricercare capital gains di breve periodo
e che hanno istituzionalmente interesse a valutare anche oltre la redditività finanziaria dell’investimento, oltre il suo rendimento in termini economici. Questi azionisti devono considerarne le ricadute in termini di interesse generale
divenendo in grado di rappresentare il primo nucleo, il nucleo promotore, il
nucleo magnetico di fondi di investimento in questi progetti che possono attirare poi ulteriori capitali impiegati, se sostenuti da regole adeguate.
A contorno di questo progetto, si lega un lavoro che non è più soltanto italiano,
ma che diventa un lavoro europeo nell’ottica futura dell’avvio della negoziazione del prossimo quadro finanziario europeo 2013-2017. Questo lavoro
dovrà fare i conti con il finanziamento delle politiche economiche, dei fondi
infrastrutturali, delle politiche di coesione, nonché la nuova agenda di Lisbona,
volta al sostegno dei grandi progetti europei di sviluppo e di innovazione.
La strada che si persegue riguarda, inevitabilmente, le infrastrutture cosiddette
“calde”, cioè che hanno dei rendimenti, a medio-lungo termine, non elevatis85
FRANCO BASSANINI
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
simi e non speculativi. Il tema sul quale stiamo lavorando si basa sulla ricerca
di infrastrutture “tiepide” e “semi-fredde” che possano essere messe nel forno
a microonde dell’ingegneria istituzionale-finanziaria e diventare anch’esse infrastrutture “calde”, ossia che possano essere finanziate con opportune regole,
opportuni incentivi per quanto riguarda i capitali privati. Si punta, in definitiva, ad ottimizzare l’utilizzo di tutte queste forme di partenariato.
Cesare San Mauro
Il Presidente Bassanini ha fatto una lezione a tutto campo. Il tema della mobilità a Roma, quello tradizionalmente tra i più sentiti, è il tema della realizzazione della metropolitana. Pensi che l’occasione istituzionale derivata dal nuovo
ordinamento di Roma Capitale possa essere un’occasione a cui la Cassa Depositi e Prestiti può agganciarsi per la realizzazione di queste infrastrutture di
mobilità della nostra città?
Giorgia Petrini
Vorrei porre due quesiti. Il primo riguarda il quantum di quello che state facendo se sarà, cioè, rivolto ai giovani, con riferimento alla tecnologia, all’innovazione nell’IT; il mio secondo quesito riguarda la possibilità di finanziare
attività produttive, nel nostro Paese, relative al mondo della tecnologia.
Luigi Frati
In qualità di rettore/imprenditore, uno dei temi che cerco di sviluppare è il
trasferimento dei brevetti al mondo produttivo. Si è da poco conclusa una selezione del valore di 350 milioni di partner europei in tutti i settori, e l’8% tra
questi, ossia 350, provengono dalla mia università.
Credo che sia importante rivolgersi alle infrastrutture come elementi di rilevamento della funzionalità del sistema produttivo, senza dimenticare il necessario
svecchiamento del sistema bancario italiano.
Francesco Capriglione
Vorrei sapere qualcosa sulla figura istituzionale di questa nuova Cassa Depositi
e Prestiti che lei ci ha presentato come volta allo sviluppo attraverso le partecipazioni ai fondi strutturali. La mia domanda specifica è: come si può ritenere
che un soggetto come questo, per natura privato e che svolge un’attività chiaramente intermediatrice, debba continuare a essere sottratto ai controlli a cui
normalmente sono sottoposti tutti gli organismi che svolgono attività d’intermediazione?
86
La Cassa Depositi e Prestiti
Franco Bassanini
Ho parlato di un piccolo aspetto dell’attività della Cassa perché sono stato
spinto da Cesare a parlare di Roma Europea e quindi della Cassa europea! Mi
accorgo che le domande vanno, invece, in altre direzione. Desidero iniziare
fornendovi qualche dato.
Il ristagno postale è ora sui 200 miliardi di euro, di questi meno della metà
sono impiegati in mutui alle amministrazioni pubbliche. La Cassa, inoltre, a
partire dalla riforma del 2003, raccoglie fondi dal mercato degli investitori istituzionali. Di solito, attingiamo dal mercato del Lussemburgo risorse finanziarie
per la gestione ordinaria della Cassa, riuscendo a spuntare buone condizioni,
perché la Cassa è considerata molto affidabile e ha una certa liquidità, benché
ancora modesta. Il punto è che, in questo momento, la Cassa ha oltre 100 miliardi di euro di liquidità depositati nel conto corrente di Tesoreria e il piano
industriale della Cassa prevede che, nonostante un consistente incremento degli
impieghi nel triennio, la sua liquidità aumenterà ancora e si posizionerà molto
vicino ai 150 miliardi di euro. Dunque, per quanto sia concettualmente rilevante l’impegno nella costruzione di fondi europei, verrà impiegata una quota
minima delle nostre risorse e quindi la parte rimanente potrà essere utilizzata
per fare altro. Anche in questo caso, la riforma ha innovato sulla traccia delle
istituzioni consorelle. Fino a due anni fa, la Cassa non poteva fare finanziamento alle imprese, né sotto forma di debito, né sotto forma di equity: le partecipazioni assunte dalla Cassa erano quelle che il Ministero dell’Economia
aveva già accollato.
La riforma consente alla Cassa di intervenire. Il primo intervento che la Cassa
ha finanziato, con i nuovi strumenti, è stato un fondo di 8 miliardi di euro
che viene messo a disposizione degli istituti bancari sotto forma di provvista
da destinare al credito delle piccole e medie imprese, a tassi particolarmente
moderati. Un secondo strumento, istituito di recente, è il finanziamento alle
imprese esportatrici quando hanno una garanzia SACE sulle loro esportazioni.
Questo serve a dare alle imprese italiane finanziamenti a medio-lungo termine
ai migliori tassi di mercato. Un terzo strumento è il fondo per l’innovazione e
la ricerca. Questo fondo è sempre agevolato; previsto da una legge di tre anni
fa, consente di dare alle imprese finanziamenti, a 15 anni, da destinare a progetti di innovazione e di ricerca al tasso dello 0.50%. La differenza tra lo 0.50%
e il tasso di mercato è coperta dal contributo pubblico. È un fondo di 6 miliardi
e finora ne abbiamo impegnati 2 e mezzo, ne rimangono ancora tre e mezzo.
Tali denari saranno gestiti, attraverso il meccanismo dei bandi di gara, dal
Ministero dello Sviluppo economico o dal Ministero della Ricerca scientifica.
Da ultimo, è in corso di attivazione un fondo di private equity per le piccole e
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FRANCO BASSANINI
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
medie imprese che ne consentirà la capitalizzazione. I soggetti che formano il
sistema dell’economia italiana hanno bisogno, infatti, non solo di credito, ma
anche di capitali. In questo caso, a differenza di alcune storiche esperienze di
private equity, l’idea e l’obiettivo sono quelli del rafforzamento di queste realtà
e magari, in alcune situazioni, della loro aggregazione. In teoria, si potrebbero
realizzare dei venture capital, tuttavia, esistono opinioni discordanti sull’opportunità di muoversi in questa direzione. È vero che c’è un atteggiamento
caldo della maggior parte dei nostri azionisti, ma l’incremento di missioni
nuove nella Cassa è stato rapido e tumultuoso negli ultimi due anni e prima
di mettere altra carne al fuoco è necessario avere molta cautela.
Una risposta per Frati è che le nostre consorelle straniere fanno venture capital
e private equity.
In futuro, potremmo seguire questi esempi che consentirebbero di procedere
nella direzione indicata, in premessa, dal Rettore. Infine, la Cassa, come le consorelle europee, non è una banca. Svolge funzioni di intermediazione finanziaria con dei limiti molto evidenti - è sottoposta ad alcune forme di vigilanza
che verranno rafforzate nel prossimo periodo, benché l’articolo 107 dello statuto dispone che la Cassa Depositi e Prestiti non possa essere assimilata a una
banca, da un punto di vista della vigilanza.
Mi accingo a dare risposta a San Mauro. Credo che abbiamo molti finanziamenti aperti con il Comune di Roma. Infrastrutture come le metropolitane,
che possono essere costruite su piani finanziari di medio-lungo termine credibili, sono tra quelle per cui la Cassa può contribuire tanto più nel quadro nel
nuovo impianto sulla legge di Roma Capitale. Quest’ultima legge, peraltro,
dovrebbe condurre le finanze di Roma fuori da una situazione di penalizzazione
rispetto ad altre amministrazioni italiane e, in più, metterà indubbiamente il
Comune di Roma in condizioni finanziare più equilibrate, ossia in condizione
di attingere ai fondi per le infrastrutture romane.
Cesare San Mauro
Ringrazio il Professore per la brillante relazione.
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CLAUDIO LOTITO
Roma e l’imprenditoria sportiva
Cesare San Mauro
Ringrazio Claudio Lotito per essere qui con noi. Come prima cosa volevo ricordare il suo impegno per Roma con un’azienda leader nel settore del promo
service che va dalla sicurezza ad attività sistemica, dal settore delle pulizie al
settore della manutenzione.
Desideravo ricordare, inoltre, i progetti di sviluppo della Città che, in qualche
modo, sono legati allo sviluppo del Lazio che oggi lo assorbe, prendendo la
parte maggioritaria del suo tempo, anche da un punto di vista professionale.
Una delle idee forti di Roma Europea è che servono queste sinergie tra pubblico
e privato e sono necessari imprenditori che mettano la loro esperienza al servizio della comunità: l’esperienza di Claudio Lotito va in questa direzione.
Salutiamo e ringraziamo Claudio Lotito.
Claudio Lotito
Ringrazio innanzitutto San Mauro per l’invito e ovviamente tutti i presenti
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CLAUDIO LOTITO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
che testimoniano l’importanza di questa iniziativa che può rappresentare un
mix di professionalità e di istituzioni volte a migliorare sia la nostra città, che
il nostro Paese. Della mia esperienza racconterò molto poco e, dopo le considerazioni fatte dai miei predecessori, che rivestono un ruolo importante, posso
affermare che il mio contributo esula da quelle che sono le capacità istituzionali
perché non rappresento nessuna istituzione, bensì, in questo momento, il
mondo dello sport, in particolare una società. (Anche se ricopro un ruolo all’interno della Federazione nel Comitato di Presidenza della Federazione e della
Lega).
Tutti quelli che partecipano alla vita pubblica sentono la necessità di dover
cambiare qualcosa attraverso il proprio apporto e la propria esperienza nei rispettivi ruoli, soprattutto per un senso civico. Mi pongo giornalmente dei quesiti. Ho un figlio di 14 anni e mi chiedo: “che cosa gli lascio?” Gli lascio una
situazione molto difficile che deve essere affrontata e superata con la logica del
senso civico, dell’unione, per dare un contributo a un cambiamento che oggi
è più che mai necessario. Questa mia considerazione non vuole avere nessuna
valutazione di carattere ideologico o partitico, ma vuole essere politica nell’accezione semantica del termine polis, ossia come appartenente alla “polis”,
quindi come parte attiva nella vita civile della collettività.
Faccio l’imprenditore in vari campi. Ho iniziato nell’82, dopo una breve esperienza da giornalista, e poi ho avuto modo di conoscere l’ambiente politico
dall’interno delle segreterie. Ho avuto modo di conoscere uomini che hanno
ricoperto ruoli politici. Sicuramente, quella è stata una palestra perché mi ha
fatto capire come funzionano le cose nella vita pratica. La teoria è una cosa, la
pratica un’altra.
Coniugando quest’ultima con il mio background culturale e con una preparazione che ho acquisito negli studi, attraverso il conseguimento di due lauree,
ho potuto ottenere una valutazione completamente diversa di quello che può
essere l’attività imprenditoriale.
Normalmente l’imprenditore o è un pratico o è un teorico. Gli imprenditori
teorici falliscono, mentre i pratici rischiano talvolta di superare certi limiti e
quindi hanno degli epiloghi non altrettanto positivi. Sulla base di questo, ho
iniziato un’attività di servizi, andando a ricoprire anche dei ruoli all’interno
delle associazioni: nell’84, sono stato Vice Presidente degli Industriali del Lazio
nelle piccole e medie imprese, proprio perché ritenevo fosse fondamentale la
forza del gruppo, la forza di coloro che potevano sposare un’unità di intenti
per poter realizzare dei cambiamenti.
90
Roma e l’imprenditoria sportiva
Quando sono entrato nel mondo dei servizi, questi ultimi erano in mano a
persone che si erano trasformate da lavoratori in imprenditori, quindi non avevano una conoscenza imprenditoriale, né manageriale, bensì quella che chiamano l’esperienza della vita, “l’università della strada”, che era sicuramente più
proficua rispetto ai guadagni, seppur con le limitazioni di una proiezione futura.
Quest’ultima, infatti, è sempre legata a una capacità imprenditoriale di chi investe dei capitali, di chi deve avere la consapevolezza che poi l’azienda dovrà
creare utile. Il problema, allora, è quello di capire dove finiscono i guadagni,
perché i guadagni devono essere impiegati in parte per l’azienda - spetta all’imprenditore la sua modernizzazione tesa a conseguire crescita e competitività
- e, in parte, devono dare una ricaduta di carattere sociale, di occupazione e di
miglioramento delle condizioni collettive. (Una parte di questi guadagni è giusto impiegarli anche per la condizione personale dell’imprenditore medesimo).
Purtroppo, assistiamo, da diverso tempo, a un ruolo non più imprenditoriale:
l’imprenditore illuminato - lo dico contro la mia categoria - è diventato marginale. Esistono, imprenditori che prendono quotidianamente e poi dopo non
danno nulla come ricaduta e si avvalgono di tutta una serie di persone che gestiscono aziende che sicuramente non sono sostenute da una filosofia manageriale, bensì da un sostrato che è di tipo “magnager”. Questo per dire che
l’imprenditore è una missione, non è soltanto un modo di capitalizzare, produrre risorse o avere dei vantaggi personali: colui che investe i suoi denari deve
sentire anche una responsabilità in termini sociali.
È in questa veste che ho accettato la sfida della Lazio. Quando ne sono diventato presidente, il 19 luglio del 2004, aveva 550 milioni di euro di debiti, 84
milioni di euro di ricavi e 86,5 milioni di euro di perdite di esercizio. Era una
sfida, una missione impossibile. Ma, a me piacciono le sfide! Mi piace la possibilità di cimentarmi con i problemi che appaiono più grandi di me e investo
non solo in termini di interesse personale, ma anche collettivo. Nel caso della
Lazio, si registrava una situazione particolarissima di tensione di ordine pubblico. Sono stato fortunato perché il territorio mi ha dato la possibilità di mettermi in mostra e di far vedere le mie potenzialità.
È giusto che nel momento in cui la tua terra ti chiama tu intervenga per farlo,
proprio per un senso spiccato di appartenenza e di civismo. Non nascondo che
poi, la sollecitazione da parte di tante istituzioni e di tanti rappresentanti della
classe politica, mi abbia spinto in questa avventura: una sfida che serviva non
solo per confrontarsi con i problemi, ma anche per risolvere e dare una svolta
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CLAUDIO LOTITO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
al dissestato quadro economico in cui versava la società. Il calcio veniva, infatti,
vissuto solo in termini materiali e non attingeva più a quei valori autentici con
cui era nato - parlo dei valori olimpici, di quelli sociali, culturali economici;
dello spirito di sacrificio, dell’aspetto meritocratico, di tutti quei valori che
sono da trasmettere ai giovani affinché siano cittadini modello.
Non voglio dilungarmi su questo processo di risanamento che ha portato ad
una serie di iniziative che alcuni hanno considerato impossibili. Ho avuto dei
confronti serrati con la Consob.
Sono uno dei pochi che ha creduto alle regole del mercato arrivando ad acquistare una quota parte della società Lazio - quotata in borsa - pari al 67%.
Al di là dell’aspetto economico, c’era anche l’aspetto aziendale. Immaginavo
di entrare in un sistema in cui, convergendo i meccanismi organizzativi, uno
potesse poi trovare la soluzione al problema. Mi sono reso conto che non era
così perché, di fatto, mancavano gli strumenti di core business: mancavano i
giocatori. All’inizio si doveva disputare la Super Coppa, a Milano, contro il
Milan e non avevo undici giocatori da far scendere in campo; comprai nove
giocatori in un giorno. Questa cosa è divenuta storia! Avvalendomi di un’intuizione, ossia il prestito dei giocatori a parametro zero. All’epoca, nel nostro
Paese questa era una cosa innovativa. Oggi, tutti comprano i giocatori in prestito, li prendono a parametro zero con dettagli ben precisi ai fini degli importi.
C’erano anche rappresentanti della classe politica che pensavano che sarei durato un mese o poco più, come se fossi una meteora, soprattutto perché c’era
stato uno scontro per acquisire questa società calcistica. Proprio su questa base,
mi sono determinato perché la mia fosse la prima società ad adottare il sistema
dualistico per la quotazione in Borsa. Al di là del disappunto inziale della Consob, sono riuscito a governare la società. Immaginate che la prima Assemblea
la feci in un albergo: chiunque si alzava in piedi durante la discussione, non
c’era un sistema di governance e di organizzazione. Il sistema dualistico, dunque, è stato il primo elemento che mi ha consentito di poter governare una situazione veramente impossibile.
Il secondo elemento era la transazione che è passata per una legge ad hoc e
colgo l’occasione per chiarire una volta per tutte questa cosa. Era una legge del
2002, quindi già esistente e non era stata mai attuata, io mi sono attivato per
renderla operativa, benché con molta difficoltà.
C’è stato un confronto serrato tra me e l’Agenzia delle Entrate e, con molto
piacere, posso dire che quest’ultimo soggetto, oggi, ha riconosciuto la bontà
della mia scelta. Sappiamo tutti che è il Dott. Ferrara, perché, in quel momento, si pensava che si trattasse di un favore per una persona che, dopo il pa92
Roma e l’imprenditoria sportiva
gamento delle prime rate, sarebbe sparita. Da quello scontro, abbiamo scongiurato il fallimento della società, realizzando una transazione che prevedeva
una piano di rientro articolato e puntuale.
La Lazio era una società che aveva 1070 miliardi di debiti, di cui 140 milioni,
relativamente a creditori privilegiati, ossia i giocatori e i professionisti. Chiedere
l’assenso di tutti i creditori privilegiati significava non portare a termina la
transazione. Una volta consegnata la documentazione all’Agenzia delle Entrate,
la mia proposta venne reputata non idonea. Questa, dunque, è stata un’operazione molto sofferta al contrario di quanto si ritenga normalmente in termini
di scambio di favori. Per queste difficoltà, i tempi si sono allungati, il credito
è rimasto lo stesso, ma dilazionato in 35 anni. Oggi lo Stato ha incassato più
della metà, circa 70 milioni e, se fosse fallita, la Lazio avrebbe incassato 8 milioni. Quindi alla fine, è stato un vantaggio riconosciuto anche da chi vi si opponeva.
La società Lazio è un patrimonio della Città. La Lazio è stata fondata nel 1900
da un maresciallo dei Bersaglieri che ha voluto utilizzare i colori bianco e celeste
proprio in quanto colori olimpici e ha cercato, attraverso lo sport, di parlare
un linguaggio comune che superasse le divisioni politiche, economiche, culturali; un linguaggio che entrasse nel cuore e nella testa per educare ai valori
dell’amor patrio e dell’appartenenza. Volevo condividere con voi un episodio
che mi è accaduto. Sono stato designato per deporre, circa due settimane fa,
una corona d’alloro, sull’Altare della Patria, per commemorare i caduti della
Polisportiva della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. Questo per dirvi
che ritengo fermamente che lo sport debba ricordare anche questi accadimenti.
Credo che abbiamo perso il senso patriottico, il senso dello Stato. Abbiamo
dimenticato che lo Stato siamo noi e, quindi, dobbiamo valorizzarlo attraverso
i nostri comportamenti, il nostro atteggiamento che deve essere collaborativo
e sinergico, volto ad accrescere il patrimonio di valori comuni. Come presidenti
delle squadre di calcio, abbiamo il dovere non solo di far gioire i tifosi per il
raggiungimento di obiettivi importanti, ma anche di trasmettere la riscoperta
della cultura della legalità, dei valori patriottici, del rispetto delle regole, dell’aspetto meritocratico.
Mi batto, all’interno della Lazio, per raggiungere questi obiettivi e far rispettare
questi comportamenti anche se spesso non ci riesco perché le persone, talvolta,
agiscono anche per impulso. Sto tentando di educare i giocatori non solo dal
punto di vista fisico, ma anche dal punto di vista della mente e dello spirito.
Non dico che viviamo in un Paese immorale, dico solo che il momento che
93
CLAUDIO LOTITO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
stiamo vivendo è pervaso da una profonda amoralità. È questa la cosa più grave
poiché sembrerebbe che nessuno consideri più le conseguenze che il comportamento di uno può avere sulla collettività.
Per esempio, nell’oratorio c’era la crescita spirituale, il confronto, la socializzazione, attraverso cui esprimere i valori autentici della persona.
Questi elementi hanno concorso all’accrescimento degli individui, a una formazione che, sicuramente, ha comportato atteggiamenti consoni all’impegno
di crescita del singolo. Oggi, assistiamo a una carenza assoluta di valori e lo
sport in questo potrebbe essere molto utile per aggregare perché parla un linguaggio trasversale, parla un linguaggio al di sopra di tutto ed entra nello spirito
dei ragazzi.
Tutti gli episodi odierni di violenza non sono altro che l’esternazione di una
fragilità interiore, di una mancanza di consapevolezza: nessuno ha educato i
giovani a un processo di interiorizzazione che sia solido per la crescita.
Quindi, questa è la motivazione che mi ha spinto ad assumere il ruolo che oggi
ricopro all’interno del mondo dello sport, unitamente alla mia carica istituzionale, al fine di dare impulso a un cambiamento radicale per abbandonare
certe abitudini perverse. “La consuetudine diventa norma”. Talvolta, questo
non è giusto perché, in alcune circostanze, la consuetudine è una norma sbagliata in quanto retaggio di un comportamento sbagliato, trascinato nel tempo.
È necessario attuare dei cambiamenti a vantaggio non solo dell’interesse personale, ma dell’interesse collettivo.
Sicuramente noi, da Romani, soffriamo molto della mancanza di un processo
di aggregazione e di una proiezione europeistica per la nostra Capitale che ha
un patrimonio e delle potenzialità elevate che dovrebbero essere sviluppate, attraverso l’apporto e il contributo di tutti. Solo così è possibile operare quel
salto di qualità che la proietti al di fuori del tempo perché Roma rappresenta
la storia dell’umanità!
Abbiamo vestigia del passato che tanti Paesi non hanno e che dovrebbero essere
valorizzate. Dovrebbero essere tesoro e orgoglio di tutti, ma soprattutto dovrebbero ingenerare un meccanismo di incentivazione al miglioramento, anche
da un punto di vita culturale, che di ricaduta per l’economia del sistema-paese.
Tutto ciò non avviene. Una soluzione sarebbe quella per cui, a fronte della carenza di risorse da parte dello Stato, dovremmo, come imprenditori, porre le
condizioni per, ad esempio, adottare monumento e farcene carico.
Mi rendo conto, tuttavia, delle difficoltà. Ad esempio, è da sei anni che mi sto
battendo per fare lo stadio qui a Roma: stiamo ancora discutendo!
Sono stato oggetto di audizioni, delegato al ruolo istituzionale dal mondo dello
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Roma e l’imprenditoria sportiva
sport, ma le persone ancora non hanno capito che se uno spende 200-300 milioni di euro per una cosa della quale se ne avvantaggiano tutti, è giusto che
sia messo in condizione di poter avere dei ritorni di carattere urbanistico che
non gravino sulla collettività!
La costruzione di uno stadio a Roma, come in tutta la Penisola, creerebbe un
indotto economico, occupazionale e di prestigio che affrancherebbe le squadre
di calcio dalla dipendenze dei diritti economici delle televisioni! Tutti si lamentano, ma la televisione paga e quindi detta le condizioni. È una legge di mercato,
e, se vogliamo evitare questo, dobbiamo rendere il calcio autonomo dalle dipendenze economiche dei diritti televisivi. La mia idea è che sia necessario avere un
patrimonio immobiliare riconosciuto, meglio detto, un patrimonio attivo, che
produca un riverbero sul piano economico e dia profitto.
Per quanto riguarda la Lazio, la mia bravura è stata quella di tagliare i costi, ridurre al minimo le spese, agire in maniera tale che fosse produttiva. Non ci dobbiamo scandalizzare di cose che hanno una ricaduta sull’interesse collettivo!
Ritorno a un caso: inventai la storia del conferimento del marchio all’azienda
e si scatenò un putiferio! Oggi la Lazio produce 20 milioni di euro solo con il
marchio. Questo giro di affari si compone di stores, di una rivista, una radio e
di un canale televisivo tematico, previsto per la fine del mese di febbraio. Se le
finalità dell’agire di ognuno di noi sono nell’interesse collettivo, penso che non
si possa essere giudicati per un atteggiamento scorretto o non rispettoso delle
regole.
Tutti questi elementi, devono essere alla base di una logica completamente diversa del modo di fare calcio, e con questo termine intendo l’aspetto economico. Il calcio, in fondo, è un insieme di capitali gestiti in maniera tale che
producano libere risorse. Tuttavia, coltivando sentimenti e passione comune,
abbiamo la responsabilità di preservare questo patrimonio storico-sportivo e
di tramandarlo ai giovani con una logica completamente diversa, che deve essere la logica del merito, la logica del rispetto delle regole, la logica dell’appartenenza.
Bisogna produrre un cambiamento di mentalità che risvegli l’appartenenza dei
tifosi: sono orgoglioso di essere tifoso di una squadra che ha 111 anni e che ha
questi valori che deve tradurre nei comportamenti e sul campo! I giocatori devono essere un esempio per i giovani!
Il campione non deve essere campione soltanto dal punto di vista calcistico, lo
deve essere anche nella vita, negli atteggiamenti perché deve sapere di avere la
responsabilità di essere un punto di riferimento, un paradigma per tutti coloro
che lo osservano.
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CLAUDIO LOTITO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
Cesare San Mauro
Mi preme, anzitutto, sottolineare che, in 15 anni che organizzo questi incontri,
è la prima volta che assito ad una prolusione così appassionata e autentica! È
la diretta testimonianza di un grande imprenditore che ha sacrificato una parte
della sua vita per un successo sociale e collettivo, di interesse comune, che è
quello di una grande società sportiva e penso che sia stato un discorso straordinariamente importante!
Volevo farti due domande: la prima riguarda il tema della violenza, in particolare il rapporto tra stadio e violenza, e la seconda, più di carattere politico-istituzionale, ossia la ripartizione delle competenze tra soggetti diversi, comune,
provincia, regione: la presenza di una pluralità di soggetti istituzionali che
danno autorizzazioni diverse è un vincolo, nella tua esperienza, allo sviluppo
delle attività?
Claudio Lotito
Per quanto riguarda la prima domanda -lo stadio- è importante per riportare
la famiglia all’interno di esso, come momento di raccoglimento, per vedere
uno spettacolo che emoziona tutti quanti. Ho visto persone piangere ed emozionarsi per il volo di un’aquila e non erano solo bambini, ma anche persone
anziane. Per poter fare questo devi avere una struttura idonea perché, al di là
delle regole, ci vuole un contenitore che accolga e metta nella condizione di
far rispettare le regole.
È necessario, quindi, fare in modo che gli stadi funzionino, che la gente, allo
stadio, si senta a casa propria. È necessario tutelare lo stadio, preservarlo ed
emarginare le persone fragili psicologicamente o maleducate che vanno allo
stadio solo per esaltare comportamenti violenti. Quindi se noi non facciamo
una struttura polifunzionale con determinate caratteristiche non si arriva da
nessuna parte.
Perché gli altri Paesi vivono le manifestazioni calcistiche in modo completamente diverso? Perché anche la struttura li induce a essere diversi. Tutto ciò
dovrebbe convincere chi ha la responsabilità istituzionale di poter consentire
la realizzazione di questi stadi affinché diventino centri di aggregazione vera,
per poter togliere i giovani dalla strada, per potere aiutare a scongiurare comportamenti irrispettosi, che, in alcuni casi, conducono al bullismo. È fondamentale lo stadio, una città polifunzionale; ma soprattutto è condizione
necessaria che lo stadio non sia posizionato al centro della città: pensiamo agli
effetti che produce in termini di traffico, di rischio. In Italia, a differenza di
tutti gli altri Paesi, gli stadi sono in posizioni limitrofe al centro cittadino. È
necessaria la buona volontà delle istituzioni, senza gravare sulla collettività gra96
Roma e l’imprenditoria sportiva
zie all’iniziativa privata che sia senza speculazioni.
Per quello che riguarda la seconda domanda, sicuramente la frammentazione
del ruolo di chi deve decidere crea qualche disagio soprattutto per chi non è
un navigante esperto e si confronta con una serie di istituzioni, talvolta di posizione opposta in ambito politico. Non è una cosa facile per chi fa l’imprenditore! Se gli uomini che rappresentano queste istituzioni hanno uno spiccato
senso del dovere, uno spiccato senso civico, saranno in grado di preservare l’interesse collettivo e non gli interessi personali. Chi fa l’imprenditore a Roma
deve essere abituato a confrontarsi quotidianamente con una serie di problemi
e deve essere anche attrezzato a superarli. In questo può essere aiutato da un
carattere abbastanza forte, da una conoscenza della macchina amministrativa,
che ha tempi lunghi.
È necessario assumersi le proprie responsabilità: è questo l’aspetto che oggi
viene meno. Questa situazione, a mio avviso, dovrebbe essere riletta in termini
di nuova organizzazione di un Paese che ha la necessità di dotarsi di una politica
del fare, non del proclamare: una volta attiravamo capitali esteri, oggi scappano
tutti a causa di una burocrazia troppo articolata, a causa della mancanza della
certezza del diritto, a causa di un pantano che tutti ci avvince! Il problema è
che chi governa si deve assumere la responsabilità di governare e l’importante
è che lo faccia nell’interesse collettivo.
Lamberto Cardia
Ho conosciuto il Presidente Lotito tanti anni fa. Desidero dargli atto di quello
che mi è apparso subito evidente nel suo intervento: il grande entusiasmo, la
spinta a fare per raggiungere il risultato!
La mia domanda è questa: oggi, dopo le esperienze fatte, vede con maggiore
interesse il fatto di mantenere quotate le società sportive e, in particolare, di
calcio, oppure preferirebbe che fossero non quotate in borsa per avere più libertà di movimento, ma meno vantaggi e meno rischi? Aggiungo anche una
proposta: sono convinto che un disegno di legge, fatto bene, non molto lungo,
costruito sui punti essenziali, possa portare a realizzare quello che da tempo
persegue non solo il Presidente della società, ma anche altri. Questo perché il
patrimonio della società non può essere solo il patrimonio dei giocatori, perché
sarebbe un patrimonio volatile. Allora si potrebbe creare un team di professionisti per redigere un disegno di legge oppure si potrebbe perorare questa causa
dinanzi al Sindaco di Roma.
Enzo Savarese
Sono laziale e azionista della Lazio. Marchionne chiude una filiale della Fiat e
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CLAUDIO LOTITO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
si becca uno sciopero, un referendum; tu, invece, risani la Lazio e, poi, due
settimane fa, la curva t’insulta. Come vive l’uomo Lotito, l’uomo che salva
l’azienda e poi quello che riesce a conquistare una parte di tifosi, se quella parte
di tifosi ha un cuore o altri spiriti?
Claudio Lotito
Per quanto riguarda il quesito sulla quotazione, la condizione attuale è negativa
perché, se non hai il patrimonio, sei sottoposto a una serie di regole e di controlli ferrei. Troppo spesso la condizione in cui versa una società porta ad essere
dei burocratici e la burocrazia attanaglia immediatamente le strutture. Quando
devi essere un formalista, un rispettoso della forma e non della sostanza - ricordo i casi Parmalat e Cirio per tutti - accade che le persone che rispettano le
regole sono quelle più penalizzate perché si trovano a doversi confrontare con
iniziative che sono prese come novità non immediatamente assimilabili. In realtà, sono fondamentali per un’azienda. Come è successo per il caso del marchio, per cui si è molto discusso per stabilire se il marchio fosse vendibile o
non lo fosse; se fosse scorporabile per l’aspetto commerciale e non per quello
sportivo; da lì, il problema degli asset che consentivano una rivoluzione del
marchio. Grazie alla sua qualità, abbiamo potuto rivalorizzare la società. Il problema è che la Lazio era prigioniera del tifo, anzi di chi, in nome del tifo, faceva
la professione del tifoso. Mi si chiede come vive l’uomo Lotito tutto questo?
Ebbene, sei anni fa ho iniziato a ricevere minacce di morte, ma ho continuato
a fare il mio lavoro reagendo non soltanto per me, ma anche per la credibilità
del sistema. Devo ringraziare le istituzioni, quelle che reggono il Paese, che mi
hanno sempre sostenuto! Per esempio, la tessera del tifoso, è stata una battaglia
all’interno della Lega perché nessuno la voleva e farla passare è stato molto difficile.
La Lazio era una società che all’epoca aveva 550 milioni di debiti, nel giro di
pochi anni ha ottenuto riconoscimenti sportivi importanti. Credo di aver fatto
un’opera di risanamento e ottenuto dei risultati, senza dimenticare che sono il
Presidente che ha vinto prima di tutti. Se pensate che il Milan spende 240 milioni di ingaggi, l’Inter ne spende 247 milioni di euro e la Lazio ne spende 30,
non c’è proporzione.
Ho scelto di avvicinare il tifoso e portarlo al centro del progetto, far seguire al
tifoso le vicende della propria squadra, 24 ore su 24, attraverso la rivista, la
radio, la tv. La resa di una squadra di calcio non è la resa industriale, ma conta
molto l’aspetto emotivo, l’aspetto psicologico, l’aspetto dell’aggregazione.
È necessario cambiare la mentalità delle persone. Il problema è quello di educare al rispetto delle regole. Quindi per quello che riguarda l’uomo Lotito sono
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Roma e l’imprenditoria sportiva
più irriducibile degli irriducibili, sono un combattente!
Francesco Martinelli
La tua lazialità va al di là di quello che è il tuo attuale impegno con la Lazio
Calcio o si ferma alla tua professione?
Claudio Lotito
Sono sempre stato laziale da quando avevo 6 anni: è stata la mia prima squadra
e spero sia l’ultima. Ho dato un grande contributo alla polisportiva, così come
ho provato a fare sei anni fa, benché i tempi non fossero ancora maturi. Ad
oggi, posso dire di avere contribuito fortemente perché la polisportiva si riaggregasse. La logica di uno stadio è quella che ho previsto secondo una ratio da
polisportiva, dove saranno attrezzate le attività di tutte le discipline per quanto
riguarda le strutture e gli impianti. Questo vuol dire essere parte integrante di
un processo di formazione di un club! Ho utilizzato anche i mass media perché
la polisportiva fosse conosciuta: un esempio ne è stato l’iniziativa dell’Altare
della Patria.
La figura del “patron” oggi tiene e ha un valore, ma tra un anno e mezzo non
esisterà più perché, da un punto di vista finanziario, le società si devono autosostenere. Quindi se la gestione non è oculata, corretta, sei morto. I grandi imprenditori, che in passato fornivano le risorse economiche, non ci sono più:
serve la “testa” per condurre una società di calcio. Se sei bravo liberi le risorse
e aumenti i ricavi e produci cose che hanno grande appeal; tu stesso ne benefici.
Se, invece, non viene esercitata una gestione oculata, l’attività finisce. Di qui
anche l’importanza del ruolo del tifoso.
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THOMAS DI BENEDETTO
La sfida dell’AS ROMA
Cesare San Mauro
Buonasera a tutti. Stasera avrete l’opportunità di giudicare il mio terribile inglese! Accogliamo con un applauso il Presidente Thomas Di Benedetto!
Volevo, come ogni sera, fornire alcune indicazione relative alle attività di Roma
Europea. In particolare, volevo ricordarvi il lavoro che abbiamo fatto, insieme
al CENSIS, sullo smaltimento dei rifiuti a Roma. Volevo ringraziare in modo
particolare la dott.ssa Scerroni che ha dato il là a questa ricerca, volevo anche
ricordare le attività di presentazione dei libri. Abbiamo presentato il libro di
Alberto Gentili, di Alessandro Barbano e Pippo Corigliano. Da ultimo, la pubblicazione della “Costituzione dell’Italia” nelle lingue più diffuse al mondo:
questa è stata un’occasione per trasmettere i valori racchiusi nel nostro testo
fondamentale a tutte le comunità che, a vario titolo, risiedono in Italia.
Desideravo ancora ringraziare coloro che hanno partecipato alle attività di
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THOMAS DI BENEDETTO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
Roma Europea nel 2011, e cioè, Claudio Lotito, a gennaio, Dario Scannapieco,
a febbraio; Mara Carfagna, a marzo; Luca Palamara, ad aprile; Giancarlo Cremonesi, a maggio; Angelino Alfano, a giugno; Raffaele Fitto, a settembre e
Gianfranco Fini, a ottobre. L’ultima cosa che devo fare è ringraziare gli sponsor:
l’ACEA, l’Agriconsulting, l’Ama, l’Antico Caffè Greco, Autogrill, Autostrade
per l’Italia, il Colari, l’ENEL, l’ENI, Ferrovie dello Stato, Finmeccanica, GSE,
Parsitalia, H3G, Royal de mer, Stimest, Zero più.
Ho rilasciato un’intervista al Romanista nel corso della quale ho raccontato
questa esperienza straordinaria, quella del gruppo che Thomas Di Benedetto
rappresenta, perché il suo è il più grande investimento straniero in Italia di
quest’anno. Quindi, è un’occasione estremamente significativa, in un Paese
che conosce purtroppo una crisi molto profonda. Per noi è un motivo d’orgoglio sapere che grandi investitori americani hanno scelto l’Italia e Roma, il valore della nostra azione e il valore della nostra città: tutto ciò è indispensabile
per fare uscire l’Italia dalla crisi. Gli investimenti stranieri in Italia sono assolutamente necessari. Abbiamo, quindi, salutato con passione la disponibilità
di Thomas Di Benedetto, che è presidente del Boston International Group, di
partecipare a questo incontro. Mi faceva piacere ricordare, inoltre, che Di Benedetto è stato vicepresidente del Boston Biomedical Institute, del quale,
adesso, è amministratore fiduciario. È Presidente della Junction Investitor Limited, una banca di investimenti internazionali; Amministratore delegato di
Olimpic Partners, attiva nel campo degli investimenti immobiliari; socio della
mitica squadra di baseball di Boston, i Red Sox; presidente della Jefferson Waterman International, una società, di Washington, che fornisce consulenza politica e strategica per i governi e per le multinazionali. Ha un MBA, conseguito
presso la Worthen School, Pennsylvania e un bachelor of arts con lode in economia, conseguito presso il Trinity College del Connecticut.
Thomas Di Benedetto
Buonasera. È davvero un onore essere qui con voi. Soprattutto in un periodo
come questo, così difficile per l’Italia. Ho letto che Monti ha parlato di una
tassa immobiliare, ossia la potenziale reintroduzione dell’ICI. Se si compie un
semplice calcolo, si vede che è possibile risolvere, solo con una tassa, il problema
intero. Lo so che adesso non c’è la tassa immobiliare, qui in Italia. Se questa
verrà approvata, credo che potrebbe essere una chiave per risolvere tanti problemi
nel vostro Paese. Durante questa crisi, i commenti da parte degli americani, come
in altri Paesi, sono stati di stupore: come sia possibile, cioè, che un Paese così
bello come l’Italia possa essere così vituperato dalla crisi. Anche in relazione al
popolo italiano, così accogliente e dal cuore aperto, alla sua creatività.
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La sfida dell’AS ROMA
La mia esperienza in questa città è stata quella di confronto con la gente di
Roma: è davvero amichevole, aperta. Tutte le volte che ho viaggiato in Italia,
da turista, non ho cambiato impressione. È davvero un piacere per me essere
qui questa sera, specialmente per il fatto che la maggior parte di voi è coinvolta
in business strategici. Molte persone si sono domandate perché io abbia deciso
di comprare la Roma e di cimentarmi nel business del calcio. Credo che la ragione sia Roma e il calcio come un mezzo che unisce le persone in tutto il
mondo. Roma è una città unica. È tutti coloro che nelle loro vita hanno studiato, hanno studiato Roma. È la citta in cui tutti vorrebbero andare a scuola.
Tutti conosciamo Roma, la sua storia. E tutti vorrebbero, una volta nello loro
vita, visitare Roma. Vengono qui per vedere tutti i monumenti, testimonianza
di duemila anni di storia, oltre alle bellezze d’arte che circondano la città.
Quando passeggio per le strade di Roma, tutto è unico e straordinario. Ogni
palazzo è come una scultura, un monumento. Ogni architetto ha fatto un gran
lavoro. È questo quello che, tutte le persone, da tutto il mondo, vedono. E
vengono anche per gustare dell’ottimo cibo! Questa è una serie di ragioni per
cui ci siamo determinati al coinvolgimento sia nel calcio, che con la Roma.
Ossia, prendere questa cultura, che solo qui esiste, e portarla al resto del
mondo, attraverso il gioco del calcio. Credo che tutte le persone, di ogni parte
del mondo, possano essere fan della Roma, anche per tutti i motivi che ho
elencato precedentemente. Molti studenti, provenienti da ogni parte del
mondo, vengono a Roma per studiare. Ci piacerebbe rendere Roma, l’AS
Roma, il luogo in cui studenti, ambasciatori e diplomatici possano venire per
tifare: sia per la città che per la squadra. Sarebbe questo un modo per rendere
la più parte della persone tifose di Roma. Grazie alla tecnologia e ai mezzi di
comunicazione che esistono oggigiorno, facebook per tutti, le persone possono
seguire la squadra 24 ore al giorno da qualunque parte del mondo. Ad esempio,
a iniziare da domani, su facebook, sarà possibile comprare tuto il merchandising dell’AS Roma. Vogliamo stabilizzare il brand dell’AS Roma. Speriamo che
tutti seguiranno la nostra squadra di calcio e verranno qui a vederla giocare: è
questo il motivo per cui è importante sviluppare il concetto di squadra. È questa la visione che speriamo di comunicare al resto del mondo. È questa la visione
che condividiamo io e Franco Baldini. È questa la mission cui aderiscono i nostri
partners che hanno investito nel team. La cosa ancora più importante è di essere
in grado di comunicare non solo con la gente, ma anche con i giovani e, con i
giovani, che provengono da tutto il mondo e che giocano a calcio. Solo così possono sperimentare e giocare nel modo di Roma. E così potranno comportarsi,
dentro e fuori dal campo, in modo che tutti siano orgogliosi di loro.
Vorremmo sviluppare non solo scuole di calcio a Roma, ma anche in altre parti
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THOMAS DI BENEDETTO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
del mondo. Negli Stati Uniti, ci stiamo accordando con un gruppo di Boston
che opera in 5 stati americani ed ha più di 8000 giovani giocatori coinvolti
nelle categorie di riferimento. Speriamo di avere questo approccio nelle scuole
e che ognuno di loro possa indossare la maglietta dell’AS Roma. Solo così, si
potrà creare un network dei tifosi della Roma. Anche in questo modo, si potrà
sviluppare il brand dell’AS Roma in tutto il mondo. È importante che ci siano,
inoltre, gli allenatori giusti che insegnino ai giovani, in modo adatto, a giocare
a calcio. Nel trasmettere la loro esperienza e la loro conoscenza, gli allenatori
devono essere in sintonia, in contatto con i ragazzi. Si registra infatti, che i
grandi giocatori abbiano difficoltà nell’insegnare ai giovani a giocare a calcio.
Negli Stati Uniti - e speriamo che anche questo possa accadere in Italia - molti
giovani promesse del calcio, non vanno avanti a giocare da professionisti. Le
società di calcio possono aiutarli a entrare in università e campus molto prestigiosi. È un modo, questo, di innalzare il loro livello sociale grazie allo sport.
La nostra ambizione, con le scuole calcio, non è solo insegnare come si gioca
a calcio, ma anche educare queste giovani promesse affinché possano essere
persone di successo anche nella vita.
Abbiamo considerato le potenzialità della Roma. Vorremmo che l’AS Roma
sia un esempio agli occhi del mondo. Anche per i diplomatici, che vivono qui
e amano andare allo stadio, ma non lo fanno perché hanno paura di farlo. Se
si considera quello che è accaduto in Inghilterra, nella premiere league, quando
le famiglie non andavano più allo stadio, si vede come adesso la situazione sia
cambiata. Se possiamo fare in modo che anche questo accada a Roma, sarebbe
di sicuro un successo. Vediamo grandi possibilità nella squadra di calcio della
Roma. Abbiamo capito che i tifosi della Roma sono molto passionali. E ci sono
club della Roma in molte città di tanti altri Paesi al mondo. I romanisti sono
appassionati dovunque nel mondo. È nostro obiettivo portare questa passione
nelle famiglie, nella gente che visita Roma, cosicché, quando ritornano a casa
loro, possano definirsi tifosi della Roma. Credo che abbiamo un grande gruppo
di manager. Queste persone possono creare una grande squadra sul campo,
che la gente amerà guardare durante una partita. Sia che si vinca, sia che si
perda: le persone ameranno guardare questa Roma giocare il calcio. Se ognuno
di noi fa del proprio meglio, si ha successo.
Cesare San Mauro
Credo che al popolo dei tifosi italiani piaccia vincere!
Thomas Di Benedetto
Se si considera la carriera di Luis Enrique, è un vincitore più di chiunque altro.
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La sfida dell’AS ROMA
Non è mai soddisfatto finché non vince. È molto interessante! Il mio intento
è quello di creare una squadra di professionisti che appassionino tutti, sia
quando vincono, che quando perdono.
Alcuni giorni fa, parlavo con mio figlio più grande e gli ho chiesto a cosa mirava quando giocava a baseball. Mi ha risposto che voleva diventare un allenatore di college. Ho continuato, domandandogli come mai non volesse lavorare
in un’organizzazione di professionisti. Ha concluso dicendomi che, in un campionato di baseball professionale, quando giochi e sviluppi i giocatori, non è
importante se vincono o perdono, è importante fare crescere gli stessi giocatori
fino al top del professionismo. E questo quello che vogliamo fare con la Roma.
Cesare San Mauro
Desidero farle omaggio della copia della Costituzione italiana tradotta nelle
più diffuse lingue al mondo. In più, vorrei raccontare un aneddoto personale
che ricorda la differenza fra Italia e Stati Uniti. Vent’anni fa ero membro del
Consiglio comunale di Roma e vi erano delle conferenze come queste che avevano luogo nella Chiesa Nuova del Vanvitelli, situata in Corso Vittorio. È una
Chiesa realizza nelle seconda metà del 600 e si chiama Chiesa Nuova perché è
la più nuova tra le grandi chiese barocche del Bernini e del Borromini di cui
Roma è piena.
Il Cardinale O’Conor iniziò il suo intervento dicendo: “vorrei svelarvi la differenza fra America ed Europa. Siamo in un posto che voi chiamate Chiesa
Nuova e che è stata costruita 400 anni fa. In America, non abbiamo un posto
che abbia 400 anni di storia”. Il Cardinale significava il debito culturale degli
Stati Uniti nei confronti dell’Europa, ma anche questa freschezza, questa gioventù e questa voglia di realizzare architetture di grande respiro.
Vorrei fare un pubblico tributo a Mauro Baldassini. Perché è un grandissimo
avvocato d’affari. Ha avuto il coraggio e la forza, in un’avversità assoluta, di
portare avanti questo progetto: un grande investimento americano a Roma.
L’ha anche sostenuto la paziente collaborazione di Mario Tonucci, che è laziale
e ha una colpa enorme!!!!
Le domande possono essere fatte solo dai soci di Roma Europea e non dai rappresentanti della stampa presenti in sala.
Francesco Ventura
Sono un imprenditore nel settore ambientale. Sono abbonato all’As Roma da
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THOMAS DI BENEDETTO
FONDAZIONE ROMA EUROPEA
40 anni. Vorrei sapere se, con riferimento allo stadio, avete avuto dei contatti
con l’amministrazione comunale. Poi – ed è una cosa che interessa a molti mi piacerebbe sapere come stanno andando le trattative per il contratto di De
Rossi.
Cesare Imbriani
Grazie per essere qui signor Di Benedetto. Sono nato a Napoli e spero che la
mia squadra vinca il campionato italiano. Ma spero che la Roma sia la seconda!
Che cosa ne pensa del campionato italiano o, meglio, della mentalità italiana
rispetto al campionato di calcio?
Giancarlo Giannini
In passato, ho svolto un’attività di delegato del gruppo INA. Ho fatto sponsorizzare la Roma per circa 7 anni. Si è arrivati anche in finale aggiudicandosi
lo scudetto. Ho visto l’arrivo di questo investimento con molto piacere. Ho
avuto conferma, dalle parole del Presidente, di portare il nome del calcio targato Roma nel mondo. È un progetto importante, grandioso. In Italia tutti ci
sentiamo allenatori. Roma è una piazza molto difficile, bisogna dare tempo.
Siamo sicuri che raggiungeremo i risultato che sono e, restano, molto importanti. Il gruppo mi sembra giovane e solido: auguri, auguri, auguri!
Thomas Di Benedetto
Per quanto riguarda lo stadio, abbiamo avuto un incontro con il Sindaco.
Stiamo effettuando delle analisi economiche e delle location dove costruire lo
stadio.
Per quando riguarda De Rossi, ho molta fiducia che Franco Baldini riuscirà a
concludere un accordo con l’agente di questo calciatore. Sono ottimista sulla
chiusura dell’accordo. Le trattative sono in corso, altro non posso aggiungere.
Vi Ringrazio per le vostre parole gentili e spero di riavervi come sponsor dell’AS
Roma.
Per gli italo-americani, quando gioca l’Italia, si tifa per gli Usa, ma anche per
l’Italia. Per quanto riguarda il calcio, tutti gli Italiani vogliono vincere. Per
quanto riguarda la mentalità del campionato, vorrei sottolineare che, sia io,
che molti dei miei amici, crediamo che le squadre italiane abbiano maggiori
possibilità di vittoria. Desidero concludere con un mio ricordo personale. Nel
college che anch’io ho frequentato, c’è una squadra di squash. L’allenatore è
un italo-americano. Si chiama Paul Asiante. Sono 13 anni che non perde. La
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mentalità del vincitore, credetemi, mi appartiene. Io voglio vincere. Mi auguro,
da ultimo, che Burdisso possa guarire velocemente.
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