Rapporto annuale 2011 - amnesty :: Rapporto annuale

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INDONESIA
DUEMILA
ASIA E PACIFICO
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RAPPORTO 2011
INDONESIA
REPUBBLICA DELL’INDONESIA
Capo di stato e di governo: Susilo Bambang Yudhoyono
Pena di morte: mantenitore
Popolazione: 232,5 milioni
Aspettativa di vita: 71,5 anni
Mortalità infantile sotto i 5 anni (m/f): 32/27‰
Alfabetizzazione adulti: 92%
Le forze di sicurezza hanno torturato e altrimenti maltrattato i detenuti e sono ricorse a
un uso eccessivo della forza contro manifestanti, provocandone in alcuni casi la morte.
Sono mancati adeguati meccanismi di accertamento delle responsabilità al fine di assicurare la giustizia o con funzione di deterrente efficace contro gli abusi della polizia. Il
sistema giudiziario ha continuato a essere incapace di affrontare la persistente impunità
per le attuali e passate violazioni dei diritti umani. Le restrizioni alla libertà di espressione
sono risultate severe in zone come Papua e le Molucche. Minoranze religiose e gruppi di
persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender sono stati vittime di attacchi violenti e
discriminazioni. Il tasso di mortalità materna è rimasto tra i più elevati nella regione
dell’Asia Orientale e Pacifico. Non sono state effettuate esecuzioni.
TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI
Le forze di sicurezza hanno torturato e altrimenti maltrattato i detenuti, in particolare
sospetti criminali appartenenti a comunità povere ed emarginate e coloro che erano sospettati di attività proindipendentiste nelle province di Papua e delle Molucche. I meccanismi di accertamento delle responsabilità per indagare sulle violazioni hanno
continuato a essere inadeguati.
Durante l’anno sono stati diffusi due filmati che mostravano poliziotti e militari che sottopongono a tortura
e altri maltrattamenti uomini di Papua. Nel primo si vede Yawan Wayeni, un attivista politico di Papua,
poco prima della sua morte nell’agosto 2009. Malgrado le gravi ferite all’addome, la polizia gli aveva
negato le cure mediche e lo aveva accusato di essere uno degli insorti. Era stato precedentemente arrestato
da membri della brigata mobile della polizia nella sua abitazione sull’isola di Yapen, a Papua. Il secondo
filmato, pubblicato online a ottobre, mostra alcuni papuani mentre vengono presi a calci e sottoposti ad
altri abusi fisici da militari indonesiani, e due uomini papauani che vengono torturati durante l’interrogatorio. Le autorità indonesiane hanno confermato l’autenticità di entrambi i filmati.
Yusuf Sapakoly, di 52 anni, è morto per insufficienza renale in un ospedale di Ambon, nella provincia delle
Molucche, dopo che le autorità carcerarie gli avevano rifiutato l’accesso a cure mediche adeguate. Padre
di quattro figli, era stato arrestato nel 2007 per aver aiutato un gruppo di attivisti politici pacifici, che
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avevano srotolato la bandiera “Benang Raja”, simbolo dell’indipendenza delle Molucche del Sud, davanti
al presidente indonesiano. Yusuf Sapakoly necessitava di dialisi per insufficienza renale ma le autorità
del carcere di Nania gli hanno insistentemente negato la terapia. Egli aveva inoltre affermato di non aver
ricevuto cure adeguate per le lesioni alle costole che aveva riportato in detenzione.
USO ECCESSIVO DELLA FORZA
La polizia è ricorsa a un uso eccessivo della forza durante gli arresti e per sedare le manifestazioni, in alcuni casi uccidendo delle persone.
Ad agosto, la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti, uccidendone sette e ferendone 20, nel distretto
di polizia di Biau, nella provincia del Sulawesi Centrale. I manifestanti avevano fatto irruzione nella
stazione di polizia, attaccando gli agenti e bruciando le motociclette parcheggiate davanti, come reazione alla morte in custodia di Kasmir Timumun. Diversi poliziotti sono rimasti feriti durante l’episodio.
Secondo fonti locali, Timumun, di 19 anni, è stato trovato impiccato nella sua cella il 30 agosto mentre
era in stato di fermo, pare per eccesso di velocità e per aver ferito un agente. La polizia ha sostenuto
che si era suicidato ma la sua famiglia ha asserito che aveva segni di tortura o altri maltrattamenti,
comprese contusioni su alcune parti del corpo e sul collo. La famiglia non ha avuto accesso al referto
dell’autopsia.
Si è temuto che le operazioni antiterrorismo della polizia, che avevano provocato la morte
di almeno 24 sospettati, non avessero rispettato gli standard nazionali e internazionali
sull’uso della forza.
LIBERTÀ DI ESPRESSIONE
La libertà di espressione ha continuato a essere repressa in alcuni casi, come quelli di
difensori dei diritti umani, giornalisti e altri attivisti sottoposti a intimidazioni, vessazioni
e talvolta uccisi.
A luglio, Tama Satrya Langkun, un attivista anticorruzione di Jakarta, è stato picchiato duramente da ignoti
nel chiaro tentativo di metterlo a tacere. Lo stesso mese, Ardiansyah Matra, un giornalista che seguiva
casi di corruzione e legati al disboscamento illegale a Papua, è stato trovato morto nella provincia.
Almeno 100 attivisti politici erano in carcere per aver espresso pacificamente le loro opinioni in zone che
chiedevano l’indipendenza come le Molucche e Papua.
Il prigioniero di coscienza Yusak Pakage, condannato a 10 anni di carcere, è stato rilasciato a luglio a seguito di un decreto presidenziale. Mentre Filep Karma, che era stato arrestato nello stesso periodo e condannato a 15 anni di carcere, è rimasto recluso. I due uomini erano stati giudicati colpevoli nel 2005 per
aver innalzato la bandiera “Stella del mattino”.
Ad agosto, 23 uomini sono stati arrestati nella provincia delle Molucche per le loro pacifiche attività poli-
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tiche. A fine anno, 21 si trovavano ancora in carcere, sotto processo con accuse di ribellione, per le quali
rischiavano l’ergastolo.
DISCRIMINAZIONE
Minoranze religiose e gruppi di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (Lgbt)
hanno subito attacchi violenti e discriminazioni. La polizia non ha provveduto ad adottare
misure adeguate per garantire la loro incolumità. Una conferenza regionale Lgbt che doveva tenersi a Surabaya a marzo è stata cancellata, a seguito della minaccia di violente
rappresaglie da parte di gruppi islamisti. La comunità ahmadiyya è stata colpita da abusi
e discriminazioni. Ad agosto, il ministro della Religione ha chiesto lo scioglimento della
comunità. Circa 90 ahmadi, sfollati nel 2006 in seguito all’incendio doloso delle loro
abitazioni, continuavano a vivere in sistemazioni provvisorie a Mataram, in Lombok. Almeno 30 chiese sono state attaccate o costrette a chiudere durante l’anno. Ad aprile, la
Corte costituzionale ha confermato le disposizioni legislative che rendevano reato la blasfemia. A fine anno erano almeno 14 le persone in carcere con questa accusa.
DIRITTI SESSUALI E RIPRODUTTIVI
Leggi che limitano i diritti sessuali e riproduttivi hanno ostacolato gli sforzi del governo
per combattere la mortalità materna. Queste comprendono norme che sostengono i ruoli
stereotipati di genere, in particolare riguardo al matrimonio e alla procreazione, e altre
che considerano reato determinati comportamenti sessuali consenzienti, nonché l’informazione in tema di sessualità e riproduzione. Alcune leggi e politiche negano a donne e
ragazze non sposate il pieno accesso ai servizi sanitari riproduttivi. È illegale per donne
e ragazze sposate accedere a determinati servizi sanitari riproduttivi, senza il consenso
del loro marito. L’aborto è un reato in tutti i casi, tranne quando sia in pericolo la vita
della madre o del feto, o nel caso di vittime di stupro.
Molte donne e ragazze erano a rischio di gravidanze indesiderate e di conseguenza vulnerabili a una serie di problemi di salute e di violazioni dei diritti umani, come l’essere
costrette a sposarsi giovani o ad abbandonare la scuola. Alcune hanno cercato di abortire,
spesso in condizioni non sicure.
Secondo dati ufficiali del governo, gli aborti insicuri causano tra il cinque e l’11 per
cento delle morti materne in Indonesia. Il tasso di mortalità materna è rimasto tra i più
elevati della regione dell’Asia Orientale e Pacifico, con circa 228 morti materne per
100.000 nati vivi.
LAVORATORI DOMESTICI
Ai lavoratori domestici, pari a circa 2,6 milioni di persone, per la maggior parte donne e
ragazze, è stata negata l’intera gamma di tutele legali garantite agli altri lavoratori, ai
sensi della legge sulla manodopera. La commissione parlamentare sulla manodopera,
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l’immigrazione, gli affari sociali e la salute ha discusso un progetto di legge sui lavoratori
domestici. Tuttavia, a fine anno il documento non era stato ancora approvato.
Nel dicembre 2009, Lenny, una ragazza di 14 anni di Java, è stata ingannata da un agente di reclutamento,
il quale, invece di trovarle un impiego come lavoratrice domestica, l’ha portata a casa sua e l’ha “venduta”
ai nuovi datori di lavoro per 100.000 rupie indonesiane (pari a 11 dollari Usa). Lenny è stata narcotizzata
e condotta centinaia di miglia lontano, ad Aceh. La ragazza ha trascorso tre mesi lavorando ogni giorno
dalle quattro del mattino alle 11 di sera, senza paga. Durante quel periodo, ha subito molteplici forme di
abusi fisici e psicologici. Lenny è infine risuscita a fuggire a febbraio e lo stesso mese ha sporto denuncia
contro i suoi datori di lavoro. A fine anno il caso giudiziario era ancora in corso.
IMPUNITÀ
È proseguita l’impunità per le passate gravi violazioni dei diritti umani ad Aceh, Papua,
Timor Est e altrove. Il governo ha continuato a promuovere la riconciliazione con Timor
Est, a scapito della giustizia per i crimini commessi durante l’occupazione di Timor Est
(1975-1999). La maggior parte delle violazioni dei diritti umani contro difensori dei diritti umani, come torture, omicidi e sparizioni forzate, sono rimaste irrisolte e i responsabili non sono stati assicurati alla giustizia. A settembre, il governo ha firmato la
Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata.
Nel 2009, il parlamento ha raccomandato la creazione di un tribunale sui diritti umani ad hoc, per processare i responsabili delle sparizioni forzate avvenute tra il 1997 e il 1998. Tuttavia, a fine anno il governo
non aveva dato seguito a questa raccomandazione.
Sebbene due persone siano state giudicate colpevoli di coinvolgimento nell’omicidio nel 2004 del noto attivista Munir Said Thalib (conosciuto come Munir), sono state avanzate ipotesi attendibili secondo cui i
mandanti del suo omicidio erano ancora in libertà.
PENA DI MORTE
Non ci sono state notizie di esecuzioni. Tuttavia, erano almeno 120 le persone nel braccio
della morte.
MISSIONI E RAPPORTI DI AMNESTY INTERNATIONAL
Delegati di Amnesty International hanno visitato l’Indonesia a febbraio, marzo, ottobre
e novembre.
Displaced and forgotten: Ahmadiyya in Indonesia (ASA 21/006/2010)
Indonesia: Left without a choice – barriers to reproductive health (ASA 21/013/2010)
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