IL DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI NELLE

IL DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI NELLE SOCIETÀ MISTE TRA DIRITTO
SOCIETARIO E AMMINISTRATIVO.
SOMMARIO: 0.1. - L’occasione della ricerca – 1. - Pubblica Amministrazione e diritto
privato – 1.1. - La formula dell’arretramento della P.A.: silenzio assenso, D.I.A, S.C.I.A –
1.2. - Segue: gli accordi amministrativi – 2. Il diritto di accesso – 2.1. - Il diritto d’accesso
nella legge n. 241 del 1990 – 2.2. - La qualificazione del diritto d’accesso – 2.3. - La
normativa del Testo Unico sugli Enti Locali – 2.4. - Il diritto di informazione del socio di
s.p.a. – 2.5. - Rimedi alternativi o cumulativi? – 3. - Il caso di una società autostradale –
3.1. - La natura giuridica: organismo di diritto pubblico, società a prevalente
partecipazione pubblica – 3.2. - La società autostradale: un soggetto sostanzialmente
pubblico - 3.3. - L’assoggettamento alla disciplina dell’accesso dell’attività di diritto
privato dei soggetti pubblici – 3.4. - Ammissibilità del diritto di accesso agli atti ex art. 43
comma 2 D.L.vo n. 267 del 2000 – 4. - Il contrasto giurisprudenziale sulla nozione “Enti o
aziende dipendenti”. Problemi di legittimazione all’accesso ex art. 43 comma 2 T.U.E.L. –
4.1. Collegamento con l’esercizio del mandato politico: la spendita di risorse pubbliche –
4.2. Controlli amministrativi e finanziamenti pubblici: la posizione del Giudice contabile 4.3. Il c.d. Testo Unico sulla trasparenza nella Pubblica Amministrazione (D.L.vo 14 marzo
2013 n. 33) – 4.4. La sentenza del C.d.S. n. 4403/2013 e il nuovo Testo Unico sulla
trasparenza n. 33 del 2013 - 5. Conclusioni: tutela delle risorse pubbliche e protezione del
ruolo della minoranza politica.
01. L’occasione della ricerca. - Negli ultimi tempi la giurisprudenza amministrativa ha
avuto modo di occuparsi di delicati problemi in ordine alla applicabilità delle norme sul
diritto d’accesso alla documentazione amministrativa a soggetti che, formalmente,
pubbliche amministrazioni non sono.
In particolare, con sentenza n. 305/2012, il T.R.G.A. di Trento, a seguito di un'istanza
presentata da un consigliere comunale, aveva ordinato a una società autostradale, partecipata
dall'ente locale, l'esibizione di documenti relativi alle c.d. “tessere di libera circolazione”,
rilasciate dalla stessa a non meglio identificati soggetti pubblici e privati per permettere loro
il transito sul tratto di competenza, senza pagamento del relativo pedaggio.
Tale pronuncia è stata, tuttavia, riformata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4403 del 24
settembre 2013.
Prima di procedere a un esame più articolato delle motivazioni che hanno spinto i due
organi giurisdizionali su sponde opposte, occorre svolgere considerazioni di carattere
generale, forse noiose ed inutili per il lettore più smaliziato, ma che ritengo utili in
un’esposizione complessiva della tematica in trattazione.
1. Pubblica Amministrazione e diritto privato. - Vale anzitutto ricordare che l'attività
amministrativa conosce, ormai da molti anni, una crescente incidenza del diritto privato:
diverse sono le finalità perseguite e i settori interessati.
Un primo ambito tocca la struttura dell'Amministrazione, la quale, per l'esercizio delle
attività pubbliche, si discosta sempre più dalla tradizionale configurazione in forma di ente
con specifica personalità o soggettività di diritto pubblico e ricorre a moduli organizzativi di
stampo societario. Il fine perseguito è evidentemente quello di ridurre la spesa pubblica,
1
attraverso la predisposizione di strutture maggiormente rispondenti a criteri di efficacia,
efficienza, celerità ed economicità. È sufficiente citare, a livello nazionale, le società
totalmente partecipate dallo Stato istituite in base a previsioni di legge o derivanti dalla
privatizzazione degli enti pubblici economici (tra le tante: Ferrovie s.p.a., Poste Italiane
s.p.a., e le più recenti Sviluppo Italia s.p.a., Patrimonio dello Stato s.p.a., Infrastrutture
s.p.a.1). A livello territoriale, il pensiero corre alle società a totale o prevalente
partecipazione pubblica, cui è sovente affidato lo svolgimento di servizi pubblici locali. Non
vanno, inoltre, dimenticate figure soggettive pubbliche di creazione comunitaria ma
rilevanti in settori speciali del nostro ordinamento, quali l'organismo di diritto pubblico e
l'impresa pubblica2.
Il diritto privato, peraltro, ha fortemente inciso anche sull'attività dell'amministrazione, la
quale, per lo svolgimento del proprio compito istituzionale di cura degli interessi pubblici,
utilizza, dove possibile, strumenti negoziali, abbandonando la sua posizione di supremazia,
con i relativi schemi provvedimentali autoritativi che le sono propri e ponendosi in una
situazione di parità rispetto ai soggetti amministrati. La possibilità di ricorrervi è,
effettivamente, molto ampia, stante il riconoscimento alla P.A. di una piena capacità di
diritto privato, non condizionata da una specifica previsione di legge né limitata ai soli
negozi tipici, ma estesa anche a quelli atipici e innominati3. Questa impostazione,
consolidata in giurisprudenza, è oggi suggellata dall'art. 1 comma 1 bis della legge n. 241
del 1990, secondo il quale l'azione amministrativa si esplica, di regola, tramite attività di
diritto privato, mentre l'adozione di atti, che siano espressione di potere autoritativo
costituisce l'eccezione4.
L'attività negoziale della P.A. non può, però, dirsi totalmente equipollente a quella di tutti gli
altri soggetti privati. Non va tralasciata, infatti, la circostanza che la sua azione è
istituzionalmente diretta alla cura degli interessi pubblici: ciò vale a imprimere ai suoi atti
un carattere di specialità, che aggiunge ai connotati tipici dell'agire privato alcuni c.d.
“elementi di esorbitanza” (quali, ad esempio, la necessità di individuare il contraente tramite
procedimenti di evidenza pubblica, o la forma scritta ad substantiam dei contratti stipulati)5.
1
Sviluppo Italia s.p.a. istituita con D.L.vo n. 1 del 1999, Patrimonio dello Stato s.p.a. ed Infrastrutture s.p.a. istituite con
decreto legge n. 63/2002, convertito in legge n. 112 del 2002. Controversa la natura di Rai s.p.a., qualificata
soggetto equiparato alla P.A. da Cons. Stato, Sez. VI, ord. n. 5379/2010 ma ritenuta società di diritto privato, pur in
mano pubblica, da Cass. civ., SS.UU., n. 28329/2011.
2
Garofoli – Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2013 – 2014, 153. Per un approfondimento della
tematica, con particolare riferimento all'organismo di diritto pubblico e alle società miste e relativo regime, cfr. infra
parr. 3.1 e 3.3.
3
Cons. Stato, Sez. VI, n. 6073/2001, sul contratto atipico di tesoreria e sulla legittimità delle clausole di
sponsorizzazione. Nel tempo si è ammessa la stipulazione di altri contratti atipici da parte della P.A., quali i contratti
di leasing finanziario e immobiliare, ferma la necessità di gara pubblica per individuare l'appaltatore (D.L.vo n. 163
del 2006), e il contratto di brokeraggio, rispetto al quale la giurisprudenza sembra richiedere la procedura di
evidenza pubblica solo se a titolo oneroso, comportante esborsi per la P.A. (cfr.: T.A.R. Pescara n. 397/2006). Sulla
capacità di diritto privato della P.A. e l’obbligo di gara per la concessione di un servizio vedi Casinelli, Capacità
negoziale della pubblica amministrazione e tutela della concorrenza, Urbanistica e Appalti, 2014, 186.
4
Comma aggiunto dall'art. 1 della legge n. 15 del 2005. Il principio ivi dettato ribalta la prospettiva tradizionale
secondo cui l'Amministrazione, in posizione di supremazia rispetto ai privati, agisce tipicamente attraverso atti in
grado di incidere unilateralmente sulla loro sfera giuridica. Tuttavia, se ne sottolinea il carattere pleonastico, poiché
il Legislatore pare essersi limitato a cristallizzare un'impostazione ormai consolidata in giurisprudenza. Sul ruolo del
diritto privato in ambito amministrativo, Gola, L’applicazione delle norme di diritto privato, 163, in Sandulli M.A.
(a cura di), Codice dell'azione amministrativa, Milano, 2011.
5
La forma scritta ad substantiam dei contratti stipulati, anche iure privatorum, dalla P.A. è prevista dall'art. 16 della
Legge di contabilità di Stato (R.D. n. 2240 del 1923), salve le tassative eccezioni di cui all'art. 17. Altri elementi di
esorbitanza sono individuati, ad esempio, nei limiti alla pignorabilità dei beni dell'Amministrazione o nel campo del
pubblico impiego privatizzato, in particolare con riferimento all'esclusione della possibilità di cumulare interessi e
rivalutazione monetaria, nel caso di ritardo nella corresponsione di emolumenti, prevista invece per i dipendenti
2
Ulteriori elementi di specialità possono, poi, intaccare la struttura e il contenuto dei contratti
stipulati dall'Amministrazione, suscettibili di deroghe e deviazioni rispetto al modello
codicistico: è il caso dei c.d. contratti di diritto privato speciale (ad esempio, l’appalto di
lavori pubblici).
1.1. La formula dell’arretramento della P.A.: silenzio assenso, d.i.a, s.c.i.a. - Accanto alle
ipotesi, qui tratteggiate, in cui il diritto privato pervade, attraverso i propri moduli
organizzativi e funzionali, l'attività dell'Amministrazione, va dato conto del diverso
fenomeno dell’ “arretramento” della P.A. per lasciare spazio all'agire dei privati. Ciò
risponde a due differenti esigenze.
In primo luogo, si cerca di ridurre i casi in cui, per l'esercizio di un'attività economica, è
necessaria l'autorizzazione preventiva della P.A., o, comunque, di rendere più semplici le
procedure amministrative tramite un alleggerimento degli adempimenti gravanti sul
cittadino. Basti pensare all'istituto del silenzio - assenso, previsto - in via generale e al di là
di specifiche disposizioni settoriali - dall'art. 20 legge n. 241 del 1990, con la sola esclusione
delle ipotesi tassativamente indicate nel comma 4. Anche se la tipizzazione del
comportamento inerte della P.A. in termini implicitamente concessivi non intacca la
possibilità di un intervento da parte dell'Amministrazione sullo svolgimento di determinate
attività da parte dei privati, essa indubbiamente semplifica e accelera le modalità con cui
l'ente esprime le proprie valutazioni, essendo sufficiente il mero decorso del termine di
conclusione del procedimento senza che sia intervenuta alcuna pronuncia per consentire
l’avvio dell’attività6.
Più incerta è la collocazione dell'istituto della D.I.A (“dichiarazione di inizio attività”)7, oggi
sostituito dalla S.C.I.A (“segnalazione certificata di inizio attività”), procedimento
strutturato secondo un “modello ad efficacia legittimante immediata”, nel quale il cittadino
può intraprendere l'attività già dal momento della presentazione dell'istanza all'ente, il quale
è tenuto a un sollecito esame dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l'attività
privati dall'art. 429 Cod. proc. civ. (cfr. art. 22 comma 36 legge n. 724 del 1994). Garofoli – Ferrari, Manuale di
diritto amministrativo, cit., 595.
6
Si sottolinea che il procedimento di formazione del silenzio – assenso non si discosta da quello ordinario, sfociante in
un provvedimento espresso, se non per la sola fase decisoria, in cui l'accoglimento dell'istanza si determina “per
fictio iuris, per il semplice decorso del termine di conclusione del procedimento”. Garofoli – Ferrari, Manuale di
diritto amministrativo, cit., 770; D’Orsogna – Lombardi, Il silenzio assenso, 802, in Sandulli M.A. (a cura di),
Codice dell'azione amministrativa, cit.
7
L'istituto della D.I.A (originariamente “denuncia di inizio attività”) è stato introdotto nell'ordinamento italiano con
l'art. 19 legge n. 241 del 1990. Con il decreto legge n. 35 del 2005 (“Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di
azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura
civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato, nonché per la riforma organica della disciplina delle
procedure concorsuali”), convertito, con modificazioni, nella legge n. 80 del 2005, essa ha mutato la propria
denominazione in “dichiarazione di inizio attività”. La S.C.I.A è stata, invece, introdotta con l'art. 49 commi 4 bis e
4 ter, decreto legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, nella legge n. 122 del 2010. Essa, pur ponendosi
in continuità rispetto all'istituto della D.I.A, lo ha sostituito nella disciplina vigente, statale e regionale. A fronte di
ciò, sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale per violazione dell'ambito di competenze riservate alle
Regioni ai sensi dell'art. 117 commi 3 e 4 Cost., che la Consulta ha, tuttavia, ritenuto infondate, sulla base del rilievo
che la materia de qua attiene ai livelli essenziali delle prestazioni, di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art.
117 comma 2 lett. m). D'altra parte, è lo stesso Legislatore a ricondurre la disciplina della S.C.I.A ai livelli essenziali
delle prestazioni e alla tutela della concorrenza (quest'ultimo richiamo, tuttavia, ad avviso della Consulta “oltre ad
essere privo di efficacia vincolante, è anche inappropriato”, quantomeno poiché non costituisce una vera e propria
“materia”, ma piuttosto un parametro trasversale, la cui rilevanza va valutata caso per caso). Corte cost., sentenze
nn. 164/2012 e 62/2013. In dottrina, Paolantonio – Giulietti, La segnalazione certificata di inizio attività, 750
nonché Liguori, I modelli settoriali: d.i.a. edilizia e procedure semplificate in tema di rifiuti, 773, in Sandulli M.A.
(a cura di), Codice dell'azione amministrativa, cit.; Lamberti, La S.C.I.A fra liberalizzazione e semplificazione,
Urbanistica e Appalti, 2013, 10.
3
medesima.
Va al riguardo, infatti, segnalata la persistenza di un dibattito giurisprudenziale sulla
riconducibilità di questa disciplina nell'alveo degli interventi di liberalizzazione o di mera
semplificazione. Sebbene per Cons. Stato, Ad. Plen., n. 5/2011, si tratti di una vera e propria
liberalizzazione, essendo l'esercizio dell’attività consentito senza un preventivo vaglio
dell’amministrazione, che dovrebbe intervenire solo eventualmente e in via inibitoria, le più
recenti pronunce della Corte Costituzionale insistono nel ricondurre la disciplina della
D.I.A/S.C.I.A nell'ambito degli interventi di mera semplificazione amministrativa (Corte
Cost., sentenze nn. 164/2012, 62/2013).
In ogni caso, tutti questi istituti rappresentano l’attuazione dei principi di sussidiarietà
orizzontale (per cui l'azione della P.A. deve retrocedere, quando le attività possono essere
svolte in modo più efficace ed efficiente dai privati) e di semplificazione8, concetto di
derivazione comunitaria ma ormai da tempo radicato anche nell'ordinamento italiano9, tanto
da costituire uno dei “principi fondamentali dell'azione amministrativa” (cfr.: Corte cost.,
sentenze n. 164/2012 e nn. 282/2009, 336/2005)10. Che si tratti di principi ormai immanenti
e fondamentali anche nell’ordinamento interno lo si ricava dall’avviso dei giudici
costituzionali, secondo i quali le norme sulla semplificazione amministrativa vanno
ricondotte alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni, ai sensi dell'art. 117 comma 2, lett. m) Cost. La
semplificazione, tuttavia, non è una vera e propria materia, ma una “competenza”
trasversale, idonea a investire tutte le materie, per permettere al Legislatore statale di porre
le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di
prestazioni garantite, proteggendole da ogni limite o condizionamento, come quelli che
potrebbero essere imposti a livello regionale. Invero, tramite la disciplina della S.C.I.A il
Legislatore ha dettato regole procedimentali generalmente uniformi in quanto ispirate al
principio di non aggravamento, al fine di “impedire che le funzioni amministrative risultino
inutilmente gravose per i soggetti amministrati e volte a semplificare le procedure”,
attraverso un bilanciamento tra l'interesse generale e l'interesse particolare allo svolgimento
di una data attività11.
1.2. Segue: gli accordi amministrativi. - L’ “arretramento” della P.A. è giustificato, in
secondo luogo, dall’esigenza di valorizzare il ruolo dei privati attraverso forme di esercizio
consensuale dell'azione amministrativa.
L'istituto principale di riferimento è, senza dubbio, quello degli accordi amministrativi
(integrativi o sostitutivi), previsti dall'art. 11 legge n. 241 del 199012. La loro previsione,
8
Per quanto concerne la D.I.A/S.C.I.A e il dibattito circa la sua natura di istituto di semplificazione o di
liberalizzazione, incidente sulla sua struttura e, correlativamente, sulla tutela esercitabile dal terzo, va segnalato che,
ai nostri fini, l'eventuale qualificazione in termini di istituto di liberalizzazione rafforzerebbe ulteriormente l'idea di
un arretramento dell'agire amministrativo per lasciare spazio all'attività dei privati.
9
Il principio di semplificazione trova la sua fonte nella Dir. 2006/123/C.E., relativa ai servizi nel mercato interno,
attuato in Italia con D.L.vo n. 59 del 2010.
10
Il principio di semplificazione è attuato nel nostro ordinamento tramite i più vari strumenti: delegificazione,
deregolamentazione, semplificazione dei procedimenti, sottrazione di intere attività alle regole amministrative (c.d.
deamministrativizzazione). Garofoli – Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, cit., 600.
11
Corte cost. sentenza n. 63/2013 sulla sufficienza della S.C.I.A per l'esercizio dell'attività di somministrazione di
alimenti e bevande in occasione di sagre, fiere, manifestazioni religiose, tradizionali o culturali o eventi locali
straordinari. Vedi anche Corte cost., sentenze nn. 207/2012, 322/2009, 282/2002.
12
Gli accordi tra P.A. e privati si distinguono in accordi integrativi e sostitutivi. I primi hanno carattere
endoprocedimentale, si inseriscono a procedimento già iniziato e sono finalizzati al raggiungimento di un assetto di
interessi concordato, che costituirà l'oggetto del provvedimento amministrativo finale, il quale produrrà effetti
esterni. I secondi, invece, hanno sempre ad oggetto l'assetto di interessi concordato dalle parti ma sostituiscono
4
come strumenti alternativi rispetto al tradizionale agire della P.A. tramite provvedimenti
unilaterali, segna il passaggio da un modello di gestione autoritativa dell'interesse pubblico
a un modello consensuale, nel quale l'assetto di interessi coinvolti nel procedimento ed
oggetto dell'atto finale di esso (in forma di provvedimento o accordo) è concordato tra l'ente
e il destinatario privato13. Quest’attenuazione dell'esercizio di poteri autoritativi da parte
della P.A. per il perseguimento dell'interesse pubblico è basata sulla convinzione che
l'ottenimento del consenso del privato possa giovare alla accettabilità e, quindi, alla stabilità
delle decisioni adottate, contribuendo a offrire una maggiore certezza e affidabilità
all'assetto concordato dei contrapposti interessi. Attraverso l'accordo, infatti,
l'amministrazione tiene conto delle esigenze del destinatario dell'atto, conformandosi a
queste per quanto possibilmente legittimo e opportuno, ed impegnandosi a non adottare, in
futuro, provvedimenti difformi (salvi i casi di sopravvenienze non imputabili e di legittimo
recesso); il privato, a sua volta, si impegna a non contestare in sede giurisdizionale la
determinazione concordata14. Anche gli accordi costituiscono forme di esercizio di attività
di diritto privato, sebbene funzionalizzata, da parte della P.A. (cfr. supra): ad essi si
applicano le norme civilistiche su obbligazioni e contratti “in quanto compatibili”, ed è
confermata la presenza dei c.d. “elementi di esorbitanza” rispetto agli schemi civilistici (ad
esempio, la necessità di forma scritta a pena di nullità, il perseguimento del pubblico
interesse, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo).
2. Il diritto di accesso. - Come effetto dell’apertura al “privato” latamente inteso si pone
anche la riforma del modo d’agire della P.A. secondo modelli variamente partecipativi.
I canoni costituzionali di buon andamento e imparzialità che ispirano l’intera azione
amministrativa si declinano in una serie di sotto – principi, di regola enunciati nelle
disposizioni di apertura delle singole leggi che disciplinano l'agire dei poteri pubblici in
generale o in settori determinati. Tra questi, fondamentalmente, sono da annoverare quelli di
trasparenza e pubblicità15, i quali costituiscono la ratio dei molteplici istituti di apertura ai
privati, dipanatisi nel corpo della legge fondamentale che governa l’azione
procedimentalizzata della P.A. (L. 7 agosto 1990, n. 241)16, dal cui articolo 1 prendono vita.
Proprio il fatto che la citata legge sia rubricata “Norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti” richiama l'attenzione sull’esigenza che,
integralmente il provvedimento finale, costituendo essi stessi la fonte degli effetti prodotti verso l'esterno. È evidente
che essi trovano preminente applicazione in caso di provvedimenti discrezionali (purtuttavia, li si ritiene ammissibili
anche in caso di provvedimenti vincolati, il cui contenuto presenti comunque margini di discrezionalità, secondo il
principio dell'utilità maggiore, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 6344/2007). In dottrina, Bassi, Accordi integrativi o
sostitutivi del provvedimento, 560, in Sandulli M.A. (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, cit.
13
Entrambi i tipi di accordi sono assoggettati a una disciplina analoga. La legge n. 15 del 2005 ha esteso il carattere di
atipicità anche agli accordi sostitutivi (rispetto ai quali era precedentemente discussa, stante il loro carattere
innovativo). Ciò non contrasta, comunque, con i principi di legalità e tipicità del potere amministrativo, poiché essi
costituiscono pur sempre una modalità di esercizio di un potere nominato e predeterminato dalla legge nei
presupposti e negli effetti, pur alternativa rispetto a quella autoritativa – unilaterale tradizionale. Cons. Stato, Sez.
IV, n. 4545/2010.
14
Per approfondimenti, cfr. Garofoli – Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, cit., 1085 e segg. Particolare ambito
di applicazione degli accordi è quello della pianificazione urbanistica (ad esempio, le convenzioni di lottizzazione,
sebbene in questa ipotesi il ricorso all'accordo non sia previsto in via alternativa, bensì esclusiva dalla legislazione
speciale) e della programmazione economica. Vedi, in tema di convenzioni urbanistiche, Cons. Stato, Sez. IV, n.
159/2013.
15
Trasparenza e pubblicità sono spesso considerati un'endiadi e utilizzati congiuntamente o come sinonimi. Spasiano, I
principi di pubblicità, trasparenza e imparzialità, 84, in Sandulli M.A. (a cura di), Codice dell'azione
amministrativa, cit.
16
I principi di trasparenza e pubblicità sono stati espressamente cristallizzati nell'art. 1 legge n. 241 del 1990, solo con
la legge n. 15 del 2005.
5
per essere conforme ai canoni costituzionali, oltreché legittima, l'azione amministrativa deve
assicurare la partecipazione del cittadino al suo svolgersi prima del suo concludersi. Ai fini
della partecipazione, è prodromica la necessità di garantire ai governati la conoscenza
dell'attività della P.A. - autorità, rispetto alla quale si trovano in una posizione di
soggezione. Tale conoscenza deve essere assicurata sia direttamente, tramite un'azione
ontologicamente e autonomamente trasparente, ispirata al principio di pubblicità17, con tutti
i suoi corollari (motivazione congrua, verbalizzazione, ecc.), sia indirettamente, tramite
l'attribuzione al cittadino di efficaci strumenti di “disvelamento” dell'attività attraverso cui si
estrinseca l'esercizio del potere pubblico.
È interessante notare come i principi di pubblicità e trasparenza operino, attraverso una serie
di corollari applicativi, in tutti i momenti dell'agire amministrativo, al fine di garantire la
partecipazione del cittadino al procedimento (si pensi alle norme della legge n. 241 del 1990
sul R.U.P., sull'avvio18, sull'accesso c.d. endoprocedimentale: artt. 5, 7 e 10), anche
relativamente alla formazione del provvedimento finale, imponendo alla P.A. un obbligo di
motivazione19. Ciò sempre nell’ottica di assicurare una fruttuosa partecipazione del privato,
onde consentirgli di orientare l'azione della P.A. verso un esito a sé favorevole ed espletare,
attraverso l’esposizione delle ragioni dell’agire pubblico, un primo controllo estrinseco di
legittimità, anche per valutare la possibilità di proporre ricorso contro di esso.
Centrale, nell’attuazione dei citati principi, è la disciplina del diritto d’accesso, il cui
esercizio si fonda sulla sussistenza di un interesse differenziato a ottenere determinate
informazioni, finalizzate alla tutela (non necessariamente giudiziale) di una diversa
situazione soggettiva, di cui il richiedente è portatore. L'accesso ai documenti
amministrativi, dunque, mira a garantire ai governati la possibilità di esercitare un controllo
dal basso, quindi democratico, sull'attività pubblica, la sua legalità e il rispetto dei canoni
scolpiti nell'art. 97 Cost. Il diritto d’accesso si correla, quindi, ai ricordati principi di
trasparenza e imparzialità, i quali, in questo contesto, non sono perseguiti in quanto fini a sé
stessi, ma come strumentali alla concreta realizzazione di una P.A. “aperta”, a servizio del
cittadino, il quale è titolare di un vero e proprio “diritto ad una buona amministrazione”20.
Tale diritto, inoltre, al pari delle altre disposizioni che si occupano, in generale, della
partecipazione al procedimento, trova il suo fondamento costituzionale anche nell'art. 117
comma 2, lett. m) Cost.21, poiché rientrante nei livelli essenziali delle prestazioni, di
esclusiva competenza statale, come esplicitato dallo stesso Legislatore nell'art. 29 commi 2
bis e segg., legge n. 241 del 1990. Ciò comporta, evidentemente, che il Legislatore regionale
dovrà assicurare le prestazioni garantite già individuate a livello statale e potrà intervenire
solo prevedendo una tutela più ampia.
2.1. Il diritto d’accesso nella legge n. 241 del 1990. - Come noto, l'istituto dell'accesso trova
17
Le esigenze di pubblicità degli atti della P.A. sono fortemente valorizzate dai nuovi obblighi pubblicitari imposti dal
T.U. sulla trasparenza amministrativa (D.L.vo 14 marzo 2013 n. 33), che hanno rinforzato e generalizzato i doveri di
pubblicazione già previsti dall'art. 26 legge n. 241 del 1990. Vedi, in proposito, par. 4.3.
18
Ulteriori esempi possono trarsi dalla legislazione speciale: si pensi all'obbligo di pubblicità delle sedute di gara,
inderogabile per la fase dell'apertura delle buste contenenti la documentazione e l'offerta economica, pena
l'invalidità dell'intera procedura (cfr.: T.A.R. Basilicata n. 162/2011).
19
Va rilevato che l'obbligo di motivazione è finalizzato a una duplice verifica di legittimità: diretta da parte del
destinatario, eventualmente successiva da parte del giudice (o dell'organo amministrativo gerarchicamente
sovraordinato) in sede contenziosa (cfr.: Cons. Stato, Sez. VI, n. 7291/2010).
20
Vedi l'art. 1 D.L.vo 14 marzo 2013 n. 33. Garofoli – Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, cit., 625.
21
Cons. Stato, Sez. consultiva per gli atti normativi, parere 13 febbraio 2006 n. 3586; Baccarini, Posizione giuridico –
soggettiva dell’aspirante all’accesso amministrativo: natura giuridica e implicazioni applicative, 1047, in Sandulli
M.A. (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, cit.
6
la sua disciplina fondamentale negli artt. 22 e segg., L. 7 agosto 1990 n. 241, integrata dal
Regolamento attuativo contenuto nel D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184. Peraltro, anche la
legislazione speciale conosce forme particolari di accesso, che si discostano per vari profili
dal modello generale citato: si pensi, solo per citarne alcune, alla disciplina del T.U.E.L.
(D.L.vo n. 267 del 2000) che vede come soggetti legittimati i consiglieri degli Enti Locali
(art. 43), a quella applicabile agli atti di gara contenuta nel Codice dei Contratti Pubblici
(D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163 art. 13) o all'accesso agli atti delle Autorità Indipendenti di
cui al D.P.R. 30 aprile 1998 n. 217 (artt. 7 e 13). Esso consiste essenzialmente nella
possibilità di prendere visione ed estrarre copia22, a spese dell'istante, di “documenti
amministrativi”. Nozione, questa, che sta a indicare che l'informazione è accessibile solo se
contenuta in un supporto fisico già esistente (grafico, fotocinematografico, elettronico o di
altra specie) che la P.A. detiene in adempimento di un obbligo di conservazione e custodia
nell’ambito della propria attività istituzionale. Queste condizioni sono necessarie ma anche
sufficienti ai fini dell'accesso; non è previsto, infatti, da parte dell’amministrazione alcun
tipo di giudizio ulteriore per selezionare gli atti accessibili: né di rilevanza, poiché è
possibile visionare anche atti meramente interni o non inerenti a un procedimento
individuato (purché si abbia interesse), né relativo alla natura ed al regime dell'atto, poiché
lo stesso Legislatore specifica che è sufficiente che il documento afferisca a un'attività di
pubblico interesse, non rilevando che esso sia stato emesso nell’esercizio di potestà
pubblicistica o che sia espressione di mera autonomia negoziale (art. 22)23.
Legittimati attivi sono i soli privati. Ciò, in quanto il diverso principio che ispira la
possibilità anche per un soggetto pubblico di accedere alle informazioni possedute da
un'altra P.A. è quello di leale collaborazione istituzionale24 25.
Per dirsi legittimati all'accesso, tuttavia, i soggetti privati devono essere portatori di un
interesse diretto, concreto e attuale, che sia strumentale alla tutela (anche non
giurisdizionale) di una situazione giuridica soggettiva collegata al documento al quale si
chiede di accedere. I precisi requisiti che devono connotare l'interesse dell’istante si
spiegano alla luce dell'esigenza di porre dei limiti a un accesso indiscriminato ai documenti
amministrativi, bloccando azioni popolari, finalizzate esclusivamente a un controllo
generalizzato sull'agire amministrativo26. La giurisprudenza amministrativa, al riguardo, ha
efficacemente chiarito in cosa consiste l'interesse che permette il riconoscimento della
legittimazione attiva all'accesso: è sufficiente che l'istante dimostri che gli atti dei quali
chiede l'ostensione sono idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei propri confronti. Tali
“effetti” consistono nella lesione di una posizione giuridicamente tutelata, anche non
qualificabile in termini di diritto o interesse legittimo, purché differenziata dal mero,
22
Va rilevato che l'art. 22 ha infine esplicitato che il diritto di accesso comprende sia la visione che l'estrazione di copia
del documento. Ciò tuttavia non era pacifico prima della modifica del 2005, quando si riteneva che il nucleo
dell'accesso fosse limitato alla sola visione, essendo in certi casi vietata l'estrazione di copia per esigenze di tutela di
riservatezza di altri soggetti coinvolti. In generale, sul diritto d’accesso, Simonati, I principi in materia di accesso,
1008, in Sandulli M.A. (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, cit.; Sgueo, Il diritto di accesso agli atti,
Giornale dir. amm., 2014, 282.
23
Sulla sufficienza dell'inerenza dell'atto di cui si chiede l'ostensione alla cura dell'interesse pubblico da parte della P.A.,
senza riferimento alla natura o al regime pubblico o privato si vedano Cons. Stato, Ad. Plen., nn. 4 e 5/1999.
24
Il soggetto pubblico potrà, pertanto, solo sollecitare la P.A. detentrice dei documenti ai quali chiede l'accesso, ma non
si riscontrano forme di tutela efficaci e intermedie, rispetto all'estremo opposto della configurabilità del reato di
omissione di atti d'ufficio.
25
Gli strumenti a disposizione del soggetto pubblico consistono essenzialmente nella consultazione e acquisizione
diretta dei documenti prevista dal D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445 25. Va però rilevata una tendenziale debolezza
della posizione del soggetto pubblico rispetto al privato, poiché in caso di rifiuto da parte della P.A. detentrice, non
sono previsti strumenti di tutela analoghi a quelli propri del diritto d'accesso.
26
Tra le altre, T.A.R. Parma 9 febbraio 2010 n. 52.
7
generico interesse di ogni cittadino al buon andamento dell'azione amministrativa27.
L'accesso deve quindi essere garantito ogniqualvolta la conoscenza dei documenti sia
necessaria per difendere una posizione soggettiva di cui si è titolari, purché differenziata e
qualificata.
L'interesse che può legittimare all'accesso solitamente è individuale, ma non è escluso che
possa trattarsi anche di un interesse collettivo di cui è titolare una determinata categoria o
gruppo qualificato di soggetti. Tale ipotesi è oggi contemplata dallo stesso art. 22 comma 1,
lett. b), corroborato dalla giurisprudenza che ammette la legittimazione ad agire in accesso
in capo anche ad associazioni che annoverano tra le proprie finalità statutarie il farsi
portatori di un interesse di categoria, ferma restando la necessità che gli atti di cui si chiede
l'ostensione siano in grado di incidere in via immediata e diretta, e non meramente
potenziale o riflessa, sulle posizioni di cui la categoria (intesa in senso complessivo ed
omogeneo e distinta dai singoli utenti) è titolare28 29.
Quanto ai legittimati passivi, cui si rimanda per più approfondite considerazioni ai parr. 3.3.
e 4, basti ricordare che la legge, sotto l'etichetta “Pubblica Amministrazione”, raggruppa
varie tipologie di soggetti: le Amministrazioni in senso classico, gli altri soggetti di diritto
pubblico, i soggetti di diritto privato, seppur limitatamente alla loro attività di pubblico
interesse disciplinata a livello nazionale o comunitario (art. 22 comma 1 lett. e), nonché, più
specificamente, le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici e i gestori di servizio
pubblico (art. 23)30.
La legge n. 241 non prevede un diritto d'accesso assoluto, ma traccia i casi in cui
l'ostensione dei documenti amministrativi recede di fronte a interessi superiori, o comunque
prevalenti nel caso concreto31. Si tratta, in linea di massima, di casi in cui vige il segreto o in
cui sono coinvolti rilevanti interessi, quali sicurezza e difesa nazionale, politica monetaria e
valutaria, ordine pubblico inteso come prevenzione e repressione della criminalità, o ancora
per esigenze di riservatezza dei terzi coinvolti dal documento di cui si chiede l'ostensione o
quando sono in questione dati sensibili o sensibilissimi32. Ulteriore limite generale, che
27
T.A.R. Milano, Sez. III, 3 marzo 2010 n. 530.
Si pensi alle numerose pronunce in tema di legittimazione attiva del Codacons. Tra tutte, Cons. Stato, Ad. Plen., n.
7/2012.
29
È importante sottolineare che l'interesse preso in considerazione dall'art. 22 non va confuso o sovrapposto all'interesse
a ricorrere, che costituisce una condizione dell'azione nell'ambito del processo amministrativo. La necessità di
mantenere una distinzione tra questi due concetti incide sulla lettura che deve essere data al requisito dell'attualità
dell'interesse. Mentre, infatti, in sede processuale la lesione che si lamenta col ricorso deve essersi verificata, o
essere almeno certa e imminente, ai fini dell'accesso è sufficiente la sua mera potenzialità, intesa come idoneità
dell'atto di cui si chiede l'ostensione a spiegare effetti lesivi in capo all'istante. In altre parole, la sussistenza del
requisito dell'attualità va valutata rispetto alla conoscenza dei documenti: la situazione giuridica soggettiva che si
vuole tutelare non è direttamente oggetto dell'interesse all'accesso, ma è ad esso collegata solo in via indiretta
attraverso un nesso di strumentalità. Dal punto di vista pratico, quanto detto si traduce nel fatto che ciò che la P.A.
deve valutare rispetto a un'istanza d'accesso, è soltanto l'esistenza di un interesse differenziato alla conoscenza dei
documenti indicati, non dovendo addentrarsi in valutazioni sull'ammissibilità o la fondatezza della domanda o
censura proposta. Cons. Stato, Sez. V, n. 4321/2013; Sez. IV, n. 4530/2012; T.A.R. Lazio, Sez. I, 28 gennaio 2008 n.
594.
30
L'art. 23 annovera tra i legittimati passivi all'accesso anche le Autorità di garanzia e vigilanza, rispetto alle quali
operano regole particolari dettate dai relativi ordinamenti. Simonati, L’ambito di applicazione del diritto di accesso,
1087, Sandulli M.A. (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, cit.
31
Tali limiti sono tassativi. L'art. 24 non è però omogeneo nella sua formulazione: alcuni limiti sono indicati
specificamente, per altri invece la norma fissa soltanto i principi, rimandandone la concreta individuazione ad
appositi regolamenti attuativi. Alberti, I casi di esclusione dal diritto d’accesso, 1096, Sandulli M.A. (a cura di),
Codice dell'azione amministrativa, cit.
32
I limiti al diritto d'accesso si presentano però con diversa intensità a seconda che siano coinvolti dati sensibili e
giudiziari o dati sensibilissimi. Come emerge dall'ultimo comma dell'art. 24, nel primo caso il limite è cedevole
rispetto all'esigenza dell'istante che chiede il c.d. accesso difensivo. Ciò tuttavia non avviene nel caso di dati
sensibilissimi (cioè attinenti allo stato di salute e alla sfera sessuale), per i quali si applica l'art. 60 del Codice di
28
8
prescinde dalla qualità degli interessi in gioco, è espresso dal comma 3 dell'art. 24, il quale,
come già sopra anticipato, vieta che il diritto d'accesso si trasformi in un “controllo
generalizzato” dell'operato della P.A., ispirato da intenti meramente esplorativi e finalizzato
a conoscere qualsiasi provvedimento da essa formato o detenuto, senza alcun collegamento
con un interesse specifico, strumentale alla tutela di una situazione giuridica soggettiva
rilevante di cui l'istante è titolare33 34.
2.2. La qualificazione del diritto d’accesso. - Sembra opportuno, a questo punto, dare
brevemente conto del vivace dibattito che si è sviluppato attorno alla questione della natura
giuridica della posizione vantata dall'istante ai fini dell'accesso.
Gli orientamenti che si contrapponevano qualificavano l’accesso, rispettivamente, come
posizione di interesse legittimo o di diritto soggettivo: distinzione tutt’altro che accademica,
ma dagli con evidenti risvolti concreti, anzitutto dal punto di vista processuale, quanto alla
necessità di rispettare il termine decadenziale per ricorrere al T.A.R., alla riproponibilità
dell'istanza, alle conseguenze della mancata notifica ai controinteressati35. La questione più
rilevante riguardava, di certo, il tipo di domanda, e correlativamente, di pronuncia, che
avrebbe dovuto emanare il giudice amministrativo: tradizionale giudizio impugnatorio con
pronuncia di annullamento se si riteneva di essere di fronte a una posizione di interesse
legittimo; diversamente, azione di accertamento del diritto soggettivo all'accesso ed
emanazione di un ordine di esibizione dei documenti di cui si chiedeva l'ostensione.
Sul punto, è più volte intervenuta l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale
tuttavia si è attestata su posizioni ambigue. In un primo momento, essa ha sposato l'indirizzo
dell’interesse legittimo, con argomentazioni fondate essenzialmente sul fatto che la
situazione di conflitto tra la pretesa all'ostensione dell'istante e la tutela della riservatezza
del controinteressato dovesse essere risolta tramite un giudizio di prevalenza, effettuato
dall'Amministrazione in via autoritativa e cristallizzato in un atto avente natura
provvedimentale36. Tuttavia, tale presa di posizione non è riuscita a sopire i contrasti già
presenti in giurisprudenza, al punto che la questione è stata nuovamente inviata alla stessa
Adunanza da parte della Sesta Sezione del Consiglio di Stato37; questa volta, però, nel
tentativo di ottenere una pronuncia favorevole alla tesi della natura di diritto soggettivo
dell'accesso. Tuttavia, neppure la nuova decisione dell'Organo plenario è stata
soddisfacente, poiché essa non si è risolta in una decisa presa di posizione, risolutiva del
contrasto: l’accesso, infatti, configurerebbe una posizione strumentale, che serve solo a
mettere a disposizione dell'istante una serie di poteri procedimentali finalizzati a ottenere
l'esibizione di documenti utili per tutelare gli interessi sostanziali ad essa sottostanti. Ciò che
Protezione dei dati personali (D.L.vo 30 giugno 2003 n. 196): in proposito la giurisprudenza ha ritenuto che in
questi casi la riservatezza può cedere e l'accesso essere consentito se la situazione che si vuole tutelare è di rango
almeno pari ai diritti dell'interessato (diritto o libertà fondamentale inviolabile o diritto della personalità). T.A.R.
Bari, Sez. III, n. 120/2010.
33
T.A.R. Lazio, Sez. II, n. 26070/2010.
34
Quanto alle modalità di esercizio del diritto all'ostensione è sufficiente ricordare che l'art. 25 legge n. 241 del 1990, va
integrato con le disposizioni di cui al D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184, “Regolamento recante disciplina in materia di
accesso ai documenti amministrativi”. In particolare, accanto al tradizionale accesso formale, si prevede la
possibilità di accesso informale, mediante richiesta anche verbale, nei casi in cui non vi siano dubbi sulla
legittimazione dell'istante e non risultino controinteressati.
35
In particolare, se la posizione è qualificata come interesse legittimo, la mancata notifica del ricorso ad almeno uno dei
controinteressati, determina, secondo le regole generali, l'inammissibilità dello stesso. Diversamente, laddove si
ritenga di qualificarla come posizione di diritto soggettivo, ben potrebbe il giudice ordinare l'integrazione del
contraddittorio ai sensi dell'art. 102 Cod. proc. civ.
36
Cons Stato, Ad. Plen. 22 aprile 1999 nn. 4 e 5; 28 aprile 1999 n. 6; ma soprattutto 24 giugno 1999 n. 16.
37
Cons. Stato, Sez. VI, ord. 9 settembre 2005 n. 4686.
9
conta, quindi, non è delineare la natura della posizione del richiedente, ma piuttosto definire
compiutamente il regime giuridico dei poteri e delle azioni a lui attribuite. L’attenzione della
Plenaria, quindi, si è soffermata sulle problematiche questioni processuali prima accennate,
stabilendo l'operatività, anche per l'istanza di accesso, del termine decadenziale e la
conseguente non reiterabilità dell'istanza, nonché l'inammissibilità dell'impugnazione del
successivo diniego laddove meramente confermativo del primo38 39. Stante la declinatoria di
qualificazioni espresse e nette, era dunque prevedibile e inevitabile che, a seguito della
mancata presa di posizione da parte del Consiglio di Stato, ancora oggi si riscontrano in
giurisprudenza orientamenti diversi quanto alla natura della posizione fatta valere dal
soggetto che agisce in accesso40.
2.3. La normativa del Testo Unico sugli Enti locali. - Ipotesi speciale e derogatoria rispetto
alla sopra ricordata disciplina generale è quella prevista dall'art. 43 comma 2 T.U.E.L.
(D.L.vo n. 267 del 2000) relativa all'accesso da parte dei consiglieri comunali e provinciali
alle informazioni e ai documenti in possesso dell’Ente di appartenenza, che risultino utili
per il migliore espletamento del proprio mandato (vedi infra, par. 3.4.).
2.4. Il diritto di informazione del socio di S.p.a. - Se, sul piano pubblicistico, l'esigenza di
conoscere documenti rilevanti per la posizione di cui si è titolare è protetta in via generale e
quale metodo specifico per dare concreta attuazione del principio generale di trasparenza,
altrettanto non può dirsi nell’ambito del diritto privato, dove le ipotesi di accesso agli atti
sono limitate solo a determinati settori e di portata più circoscritta.
In particolare e per quel che qui interessa, la tutela del diritto d’informazione e conoscenza
dei singoli è, in qualche misura, assicurata nell'ambito del diritto societario attraverso il
riconoscimento al socio di un diritto di informazione. Esso appartiene al novero dei c.d.
diritti amministrativi41, che attengono non solo al funzionamento dell'organo assembleare
(basti ricordare il diritto di voto e di intervento in assemblea)42, ma anche al rapporto del
socio con l'attività di gestione, la quale può essere da lui controllata attraverso vari
strumenti. Tra questi vanno annoverati, oltre al diritto di denuncia al collegio sindacale e al
tribunale (artt. 2408 e 2409 Cod. civ.)43, i c.d. diritti, appunto, di informazione44.
38
I giudici amministrativi non hanno tuttavia offerto una soluzione in ordine al problema delle conseguenze della
mancata notifica al controinteressato. Tale questione vede quindi a tutt'oggi un'incertezza in ordine alla soluzione da
adottare, la quale, in assenza di una risposta legislativa e giurisprudenziale sul punto, deve essere decisa prendendo
posizione a monte sulla natura della posizione fatta valere in giudizio.
39
In questo modo l'Adunanza Plenaria non ha statuito sulla natura della posizione fatta valere in giudizio, né si può
affermare che le soluzioni che essa ha fornito a talune questioni processuali possano fornire indizi a tal fine. Come è
evidente, e inoltre confermato dalla giurisprudenza successiva, esistono nell'ordinamento ipotesi nelle quali
l'esercizio di un diritto soggettivo è sottoposto a termini di decadenza: basti pensare nell'ambito del diritto civile
all'azione diretta a far valere la garanzia per vizi nei contratti di vendita o di appalto (artt. 1495, 1519 sexies, 1667
Cod. civ.) o la nullità delle delibere assembleari di società, o ancora le norme sull'impugnazione degli accertamenti
tributari, finalizzata a contestare l'esistenza dell'obbligazione tributaria (art. 19 D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546). In
giurisprudenza vedi Cons. Stato, Sez. VI, ord. 9 settembre 2005 n. 4686.; Cons. Stato, Sez. V, 28 dicembre 2007 n.
6782. In dottrina vedi Garofoli – Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, cit., 816.
40
Da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 26 luglio 2012 n. 4261, che propugna la tesi del diritto soggettivo.
41
I diritti amministrativi del socio vanno distinti dai c.d. diritti patrimoniali, che invece attengono alla remunerazione
dell'investimento nelle partecipazioni durante la vita della società e al riparto del residuo al momento del suo
scioglimento. Essi sono essenzialmente il diritto all'utile e il diritto, in sede di liquidazione, al rimborso del capitale
sociale e alla ripartizione dell'eventuale residuo (art. 2350 Cod. civ.). Notari, Le società azionarie, in AA.VV.,
Diritto delle società, Milano, 2005, 137.
42
Tra i diritti che attengono al funzionamento dell'organo assembleare vanno annoverati, oltre al diritto di voto e di
intervento (art. 2370 Cod. civ.), il diritto di chiedere la convocazione dell'assemblea (art. 2367 Cod. civ.), di
ottenerne il rinvio (art. 2374 Cod. civ.), di impugnare le delibere assembleari invalide (art. 2377 Cod. civ.).
43
Va però specificato che il diritto di denuncia previsto dall'art. 2408 spetta al socio ed è diretto a stimolare il controllo
10
In senso lato, diverse sono le previsioni dettate dal codice nel capo dedicato alle società per
azioni che rispondono a esigenze notiziali. Un primo gruppo di norme attiene alla fase
officiosa (analogamente ai doveri di trasparenza e pubblicità della P.A.) e riguarda l'obbligo
di deposito e iscrizione dell'atto costitutivo della società (art. 2330 Cod. civ.) e di altri
specifici documenti nel registro delle imprese, come, ad esempio, i verbali delle delibere
assembleari in determinate ipotesi45, il bilancio (art. 2435 Cod. civ.), le deliberazioni di
nomina o revoca dei sindaci (art. 2400 Cod. civ.).
Sono poi previsti obblighi informativi funzionali allo svolgimento dell'assemblea: in
generale, l'art. 2366 prevede la pubblicità dell'avviso della sua convocazione, che può essere
dato tramite pubblicazione in Gazzetta Ufficiale o su un quotidiano o, in mancanza e se la
società non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, mediante avviso comunicato ai soci
con mezzi che garantiscano la prova dell'avvenuto ricevimento almeno otto giorni prima
dell'assemblea. Ovviamente, tale avviso deve essere coerente con le finalità di informazione
ad esso sottese e, quindi, contenere, tra le altre indicazioni, anche il c.d. ordine del giorno,
cioè l'elenco delle materie che verranno trattate. È evidente che queste previsioni sono
dirette a consentire ai soci di partecipare all'assemblea con cognizione di causa, impedendo
al contempo che essi vengano colti di sorpresa da decisioni preconfezionate dagli organi di
governo della società e chiamati a deliberare su questioni, rispetto alle quali non hanno
avuto tempo e possibilità di maturare un’opinione ponderata. A garanzia del diritto di
decidere consapevolmente, il comma 4 della norma citata prevede il diritto di veto del
singolo socio, il quale può opporsi alla discussione in ordine ad argomenti rispetto ai quali
non si ritenga, per il mancato rispetto delle cautele descritte e non per sua colpa,
sufficientemente informato. In tali casi, se si raggiunge la minoranza qualificata prevista
dall'art. 2374 Cod. civ., si potrà ottenere il rinvio dell'assemblea, al fine di disporre di un
congruo termine per colmare le lacune conoscitive. Nel caso in cui, invece, si giunga
comunque a una deliberazione, questa sarà annullabile ai sensi dell'art. 2377 Cod. civ., in
quanto adottata in difformità dalla legge ed eventualmente dallo statuto, se recante analoghe
previsioni tese a garantire il diritto di informazione del singolo. Al fine di consentire o
agevolare il socio affinché giunga all'assemblea con una conoscenza sufficiente per
deliberare consapevolmente, il codice detta obblighi informativi specifici, di pubblicitànotizia, che impongono, per un certo periodo precedente l'assemblea, il deposito presso la
sede della società della documentazione rilevante per le questioni inserite all'ordine del
giorno: si tratta, in generale, delle scritture contabili (art. 2429 Cod. civ.)46 e di documenti
interno da parte del collegio sindacale sui “fatti censurabili” denunziati. A seguito della denuncia, sorge in capo
collegio dei sindaci l'onere di attivarsi tempestivamente per verificare le notizie apprese e per consultarsi con
l'assemblea, esprimendo i risultati delle proprie indagini. Diversamente, la denuncia da parte dei soci di “gravi
irregolarità nella gestione” che possano arrecare danno alla società o alle controllate, prevista dall'art. 2409, è diretta
a far scattare un controllo esterno, svolto dall'organo giudiziario sull'operato degli amministratori.
44
In linea generale, tra i diritti che attengono al rapporto dei soci con l'attività di gestione rientrano, oltre a quelli citati,
anche il diritto di impugnare le deliberazioni lesive dei diritti dei soci (art. 2388 Cod. civ.) e di esperire l'azione
sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori (art. 2388).
45
Ad esempio per il verbale dell'assemblea nella quale sono stati comunicati i patti parasociali per le società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio, in particolare ad azionariato diffuso (art. 2341 ter Cod. civ.). Non è però
previsto il deposito dell'intero patto ma solo del verbale con il quale è stata data all'assemblea comunicazione, anche
sommaria, di esso.
46
Le scritture contabili sono costituite da bilancio, stato patrimoniale e conto economico (artt. 2423 e segg.), cui si
aggiungono, sempre a fini informativi, la nota integrativa (art. 2427), la relazione sulla gestione degli amministratori
(art. 2428), la relazione dei sindaci (art. 2429) e del revisore dei conti. Il bilancio e le relazioni devono essere
depositate presso la sede della società nei 15 giorni precedenti l'assemblea e fino alla sua approvazione, affinché i
soci possano prenderne visione.
11
relativi ad operazioni per le quali è necessaria la previa autorizzazione assembleare47.
Va, tuttavia, osservato che gli obblighi di pubblicità sin qui descritti costituiscono
essenzialmente dei presidi finalizzati a garantire che la volontà deliberativa del socio si
esplichi nella maniera più ponderata e seria possibile, ma non costituiscono uno strumento
attraverso il quale il socio possa attivarsi per accedere, a fini conoscitivi, alla
documentazione sociale. Un tale potere, che costituisce un diritto di informazione
propriamente inteso, è attribuito al socio dall'art. 2422 Cod. civ., anche se formalmente
qualificato dalla norma come diritto di “ispezione”. Ai sensi di tale disposizione, egli può
esaminare e ottenere estratti, a proprie spese, del libro dei soci e del libro delle adunanze e
delle deliberazioni assembleari, previsti dall'art. 2421, nn. 1) e 3). Va però precisato che i
riferimenti al “libro delle adunanze e delle deliberazioni assembleari”, nonché
all’ottenimento di “estratti” sono meramente indicativi quanto all’estensione del diritto di
informazione del socio. Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha chiarito che l’ispezione del
socio può coprire tutti i documenti necessari a consentire la verifica dell’osservanza delle
norme che regolano la rappresentanza azionaria e lo svolgimento dell’assemblea (compresi,
ad esempio, i verbali assembleari)48, e che la possibilità di ottenere “estratti” di tale
documentazione non è quid minus rispetto al diritto di ispezionare i libri. Tale riferimento si
spiega in base a ragioni essenzialmente pratiche, poiché è più ragionevole che
l’accertamento si svolga in modo selettivo, ma ciò non impedisce la richiesta di una
documentazione integrale, da respingersi solo nel caso in cui essa abbia finalità meramente
emulativa49.
Peraltro, in ambito societario, il bilanciamento tra i diversi interessi in gioco porta al
riconoscimento di un diritto di informazione non pienamente corrispondente e anzi
inferiore, per estensione, al diritto d'accesso amministrativo. Questa minor estensione si può
spiegare anche alla luce del fatto che il diritto di informazione del singolo socio è attuato in
via principale e diretta dall’attività di vigilanza sull’osservanza della legge e dell’atto
costitutivo rimessa all’organo di controllo (collegio sindacale, art. 2403 Cod. civ.) e agli enti
istituzionali a ciò preposti, mentre la possibilità del socio acquisire personalmente dati sul
funzionamento dell’assemblea ai sensi dell’art. 2422 Cod. civ. ne costituisce attuazione
indiretta, in quanto operante solo in via integrativa/residuale50.
Quanto al socio, egli può sempre prendere visione delle scritture contabili depositate presso
la sede della società, se non altro per giungere al momento di deliberarne l'approvazione
sufficientemente informato; egli ha, dunque, un diritto di accedere ai soli libri sociali, ai
sensi dell'art. 2422, ma (a differenza del diritto d’accesso amministrativo) senza necessità di
essere portatore di un interesse qualificato, né di motivare la propria istanza, essendo
sufficiente a tal fine la qualità di socio.
Gli interessi informativi dei terzi sono, tuttavia, tutelati in misura minore rispetto
all’ordinamento amministrativo, poiché essi si scontrano con il c.d. segreto aziendale, che
denota un'esigenza di riservatezza particolarmente forte nell'ambito dell'impresa, in quanto
permeata di un significato anche economico. In linea generale, il conflitto tra tali interessi
47
In particolare si richiama l'obbligo di deposito della relazione dell'esperto nel caso di acquisto da parte della società di
beni o crediti di promotori, fondatori, soci e amministratori nei 15 giorni precedenti l'assemblea affinché i soci
possano prenderne visione (art. 2343 bis Cod. civ.); l'obbligo di deposito della relazione degli amministratori che
illustra l'operazione con la quale si accordano prestiti o si forniscono garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle
azioni proprie nei 30 giorni precedenti l'assemblea (art. 2358 Cod. civ.).
48
Si tratta, infatti, di documenti che la società è tenuta a conservare (art. 2372 comma 1 Cod. civ.). Cass. civ., Sez. I, 20
giugno 2000 n. 8370.
49
Cass. civ., Sez. I, 12 ottobre 1994 n. 8332.
50
Cass. civ., Sez. I, 9 ottobre 2013 n. 22925.
12
viene risolto con una soluzione di compromesso, consistente nell'obbligare l'imprenditore
alla redazione e conservazione dei documenti contabili, senza però giungere ad imporne la
pubblicazione (ad eccezione delle s.p.a., nelle quali il bilancio viene reso pubblico mediante
iscrizione nel registro delle imprese)51. I terzi non potranno, comunque, accedere ai libri
sociali.
Rispetto al diritto di accesso amministrativo, quindi, il diritto di informazione previsto in
ambito societario è un diritto a legittimazione “astratta” (in quanto prescinde da uno
specifico e dichiarato interesse) ma ristretta, poiché garantito solo ai soggetti dotati della
qualifica di socio, essendo sbarrata la via a quanti, pur privi di detta qualità, sarebbero
portatori di un interesse in astratto anche più pregnante.
2.5. Rimedi alternativi o cumulativi? - In un panorama, come quello attuale, in cui sempre
più si assiste allo svolgimento di funzioni pubbliche da parte di soggetti dotati di una
struttura formalmente privata (di regola societaria), si pone, a questo punto, il problema di
comprendere come vada delineato il rapporto tra gli strumenti informativi pubblicistici e
quelli privatistici. Ci si chiede, in sostanza, se l'accesso amministrativo e il diritto di
informazione societaria si pongano in un rapporto di radicale alternatività, escludendosi a
vicenda, oppure se essi siano fungibili, potendo essere scelti liberamente dal privato a
seconda delle proprie esigenze o, ancora, se essi possano addirittura integrarsi o cumularsi.
È evidente che l’accesso pubblicistico e il diritto di informazione privatistico abbiano
presupposti, legittimazione, estensione, nonché giurisdizioni differenti52: essi non sono
pertanto sempre perfettamente intercambiabili, poiché nella scelta su come agire si deve
sempre tenere conto dell'adeguatezza del mezzo rispetto al raggiungimento del fine, nonché
della sua efficienza ed economicità in termini di costi – benefici53. Per quanto osservato nel
paragrafo precedente, soprattutto in relazione all’ambito oggettivo certamente più ristretto
del diritto d’ispezione del socio (avente ad oggetto, in linea di massima, solo i libri sociali),
non è possibile ritenere tali strumenti, sebbene diretti alla stessa finalità di disvelamento
degli atti dell’ente, completamente e perfettamente fungibili. Semmai il diritto di
informazione societario può essere visto come un primo “step” che il soggetto può tentare,
se non per ottenere immediatamente le informazioni alle quali ha interesse, perlomeno “in
via esplorativa”, al fine di capire se vi siano o meno documenti rispetto ai quali esercitare il
diritto d’accesso (sempre che al suo esperimento egli sia legittimato, in quando portatore di
un interesse specifico, concreto e attuale). Ciò comporta che i citati strumenti privatistici e
pubblicistici possano, ciascuno con i propri presupposti e nel proprio ambito di
applicazione, convivere ed integrarsi l’uno con l’altro, anche nell'ottica del principio
generale di effettività della tutela che deve essere garantita al cittadino.
Il diritto di accesso può, in definitiva, ampliare le possibilità conoscitive del socio: esso non
costituisce una deroga al modello classico del diritto d'ispezione societaria, ma è, semmai,
51
52
53
La necessità di tutelare il segreto aziendale ha portato il Legislatore a non imporre la pubblicazione delle scritture
contabili e a subordinare la loro comunicazione integrale e la loro esibizione nel processo a un ordine del giudice,
nelle limitate ipotesi in cui ciò è ammesso (art. 2711 Cod. civ.).
Avverso un rifiuto di esibire i documenti richiesti, il soggetto potrà rivolgersi al giudice ordinario, nel caso in
cui abbia esercitato il proprio diritto d’ispezione societaria (art. 2422 Cod. civ.), mentre, se ha presentato la
propria istanza in base al diritto d’accesso, dovrà adire il giudice amministrativo (azionando il rito speciale
accelerato previsto dall’art. 25 comma 5 legge n. 241 del 1990, e dall’art. 116 Cod. proc. amm.), oppure il
difensore civico competente per territorio (se si tratta di atti di amministrazioni comunali, provinciali,
regionali) o la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi (per atti di amministrazioni statali e
periferiche dello Stato).
Questi profili non devono essere mero oggetto di enunciazioni di principio, ma vanno valutati in concreto, poiché
anche su questa tipologia di scelte si esplica il controllo della Corte dei conti.
13
uno strumento che si aggiunge ad esso e rispetto al quale non crea problemi di incoerenza o
di disparità di trattamento.
Ad esempio, nel settore delle società partecipate dagli enti locali, la possibilità di un ricorso
all’accesso amministrativo nell’ambito societario non dovrebbe ritenersi lesivo del principio
di uguaglianza tra gli azionisti (art. 42, dir. 77/91/CEE54), nel senso che gli azionisti pubblici
(cui spetterebbe anche l'accesso speciale ex art. 43 T.U.E.L.) sarebbero privilegiati rispetto a
quelli privati, poiché è evidente che anche questi ultimi potranno agire secondo le norme
generali dell'accesso amministrativo, se portatori di un interesse a ciò legittimante55.
Per converso, le norme privatistiche del diritto commerciale incrementano il tasso di
notiziabilità e trasparenza degli atti di gestione societaria. Si pensi, ad esempio, al soggetto
pubblico che è, al contempo, socio di una società di diritto privato e che voglia accedere agli
atti della stessa. È indubbio che sia il diritto d'ispezione societaria, sia l'accesso
amministrativo siano idonei a raggiungere l'obiettivo di disvelamento dei dati in essi
contenuti: tutto ciò, ovviamente, nel rispetto delle differenze di carattere oggettivo e
soggettivo tra le due azioni, che si sono innanzi esaminate: la decisione di quanti e quali
strumenti attivare dipenderà, allora, da una molteplicità di fattori quali, ad esempio, la
tipologia di atto cui si vuole accedere, la quota di partecipazione posseduta, i tempi di
evasione dell'istanza, le possibilità di accoglimento, ecc.
3. Il caso di una società autostradale. - È ora tempo di dare un obiettivo concreto
all’esposizione di carattere generale contenuta nei paragrafi precedenti: obiettivo che è
quello di comprendere se una società autostradale partecipata, tra gli altri, da un ente locale
possa essere assoggettata alla normativa pubblicistica sull’accesso, e, segnatamente, allo
speciale istituto partecipativo e informativo previsto dall'art. 43 comma 2 T.U.E.L. Ciò
impone in via preliminare di indagarne la natura giuridica e l'applicabilità ad essa delle
norme di diritto pubblico, quantomeno per una parte dell'attività esercitata.
3.1. La natura giuridica: organismo di diritto pubblico, società a prevalente partecipazione
pubblica. - Anzitutto, è da dire che una società di diritto privato che gestisce un servizio
autostradale può, in primo luogo, essere ricondotta alla categoria dell'organismo di diritto
pubblico.
Si tratta, come già sopra ricordato, di una figura di matrice comunitaria56, ormai recepita
nell'ordinamento nazionale dall'art. 3 comma 26 D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163, finalizzata ad
integrare il novero delle amministrazioni aggiudicatrici tenute all'osservanza delle direttive
comunitarie sull'evidenza pubblica57 58.
54
Il riferimento è alla c.d. seconda direttiva in materia societaria (Direttiva Consiglio CEE 13 dicembre 1976 n.
77/91/CEE), recepita con D.P.R. 10 febbraio 1986 n. 30.
55
Infatti, sia agli azionisti privati, che a quelli pubblici, se portatori di un interesse qualificato, è riconosciuta la
possibilità di agire tramite le norme sull'accesso amministrativo. L'ulteriore questione della tipologia di accesso
esercitabile, se quella generale ex artt. 22 e segg., legge n. 241 del 1990, o quella speciale prevista dal T.U.E.L.
attiene, semmai, al problema dei diversi requisiti di legittimazione attiva che le citate discipline presuppongono.
56
Altre figure soggettive pubbliche che hanno in comune con l'organismo di diritto pubblico la matrice comunitaria, e
che rilevano particolarmente nel settore delle procedure di affidamento, sono l'impresa pubblica (relativa agli appalti
nei settori c.d. speciali) e i soggetti c.d. in house, inerenti al settore dell'affidamento di servizi pubblici senza gara.
57
La normativa comunitaria sugli appalti pubblici persegue in via primaria l'obiettivo di assicurare il pieno rispetto dei
principi di concorrenza e par condicio tra le imprese di tutti gli Stati membri della Comunità, nel senso che dalla
scelta del contraente devono essere espunte tutte le valutazioni di natura soggettiva, dovendo essa essere ancorata
solo alla qualità dell'offerta presentata. Laddove, infatti, la Stazione Appaltante sia in larga misura partecipata da un
Ente pubblico nazionale, può esservi il rischio che la scelta del contraente possa essere influenzata da fattori politici
(come, ad esempio, la volontà di preferire un contraente nazionale). Proprio per prevenire tale situazione, il
Legislatore comunitario ha imposto il rispetto di dettagliate procedure di evidenza pubblica, per assicurare che la
14
La definizione di organismo di diritto pubblico, cristallizzata nella citata norma, prescinde
dalla veste pubblicistica o privatistica del soggetto (“qualsiasi organismo, anche in forma
societaria”) ed è fondata essenzialmente su tre requisiti: a) il possesso della personalità
giuridica, b) il fine perseguito, consistente nel soddisfacimento di bisogni di interesse
generale non aventi carattere industriale o commerciale; c) la sottoposizione a un’influenza
pubblica.
Sul punto è recentemente intervenuta la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, la quale si è
specificamente occupata del problema dei parametri che devono guidare nella qualificazione
di una società per azioni con partecipazione pubblica come organismo di diritto pubblico,
anche quanto alla disciplina ad essa applicabile (sentenza 20 marzo 2012, n. 1574). In
particolare, bisogna guardare ai seguenti elementi: a) modalità di costituzione, b)
organizzazione, c) natura dell'attività, d) fine perseguito.
È opportuno precisare che la citata sentenza prende in considerazione due tipologie di
soggetti: anzitutto, le società pubbliche che svolgono attività amministrativa, di cui ci si
occupa nel presente paragrafo59; in secondo luogo, i soggetti pubblici esercenti attività
imprenditoriale, sui quali, anche quanto alla disciplina applicabile vedi infra, parr. 3.2 e 3.3.
Quanto alla costituzione, essa può avvenire tramite una manifestazione di autonomia
negoziale (di norma un contratto associativo con comunione di scopo ai sensi dell'art. 2247
Cod. civ.), oppure in virtù di un'espressa previsione legislativa (si pensi alle s.p.a. create
all'esito dei processi di privatizzazione degli Enti pubblici economici). In entrambi i casi, la
costituita società per azioni sarà dotata di personalità giuridica, secondo le regole generali di
diritto privato.
La sua organizzazione, analogamente, è definita dalle norme del Codice civile, le quali
disegnano una struttura in cui i compiti sono divisi tra l'organo “di governo” ( per usare il
linguaggio pubblicistico), cioè l’assemblea (con funzioni deliberative), l'organo
amministrativo (con funzioni di gestione) e l'organo sindacale (con funzioni di controllo).
Su questa struttura di base incide il carattere pubblico della società: la circostanza che un
Ente pubblico detenga una quota azionaria maggioritaria determina che esso eserciti
un'influenza “dominante” sulla società. Ciò, in base all'art. 2249 comma 1 Cod. civ., il quale
prevede che lo statuto possa conferire allo Stato o agli Enti pubblici detentori di azioni la
facoltà di nominare un numero di componenti degli organi di gestione e controllo che sia
proporzionale alla partecipazione al capitale sociale60. Questi poteri speciali sono ancora più
accentuati nelle società pubbliche costituite ex lege all'esito della privatizzazione.
Va però precisato che, ai fini della qualificazione in termini di organismo di diritto pubblico,
scelta del soggetto cui affidare l'appalto si basi il più possibile su ragioni esclusivamente economiche. Garofoli –
Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, cit., 188.
58
Le implicazioni, in termini di disciplina applicabile, della qualificazione di un soggetto come organismo di diritto
pubblico sono sia sostanziali (applicabilità della disciplina comunitaria per l'affidamento dell'appalto), che
processuali, poiché ne deriva il radicarsi della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art.
133, lett. e) n. 1, cod. proc. amm.
59
Quanto a queste, i giudici amministrativi rilevano che non vi è una figura unitaria, poiché molteplici sono le figure
soggettive configurabili (società in house, organismi di diritto pubblico, società pubbliche affidatarie di lavori
pubblici ex art. 32 comma 1, lett. c), Codice dei contratti, società costituite o partecipate per la produzione di beni e
servizi strumentali all'attività delle P.A. regionali e locali ex art. 13, decreto legge n. 223 del 2006).
60
Il requisito della proporzionalità tra la quota di partecipazione al capitale e il numero di soggetti che possono essere
nominati nell'organo gestorio e di controllo è stato introdotto con la L. 25 febbraio 2008 n. 34, la quale ha recepito le
indicazioni espresse dalla Corte di Giustizia (sentenza 6 dicembre 2007, in cause riunite C-463/04 e C-464/04), al
fine di vincolare la possibilità di esercitare un'influenza dominante sulla società alla detenzione di una
partecipazione maggioritaria e di evitare che i poteri speciali del socio pubblico possano ostacolare e disincentivare
gli investimenti privati (Corte di Giustizia, sentenza 26 marzo 2009, causa C-326/07). Cons. Stato, Sez. VI, n.
1574/2012.
15
il requisito dell'influenza dominante non discende necessariamente dalla circostanza che il
soggetto pubblico abbia nominato la maggioranza dei componenti degli organi di gestione o
di controllo: infatti, le condizioni previste dall'art. 3, D.L.vo n. 163 del 2006 (finanziamento
o partecipazione maggioritaria, nomina della maggioranza dei componenti dei suddetti
organi) sono alternative; con la conseguenza che l'integrazione di una sola di queste
risulterà, a tal fine, sufficiente.
Relativamente al criterio del “finanziamento prevalente”, si ha riguardo alle erogazioni
concesse dalla P.A. rispetto alle quali la giurisprudenza, soprattutto comunitaria, ha ritenuto
di dover precisare alcuni profili. Da un lato, esse non devono avere carattere di corrispettivo
rispetto a una prestazione eseguita da parte della società che le riceve; inoltre esse devono
superare percentualmente la metà delle complessive entrate di cui gode il soggetto
finanziato61.
Per quanto attiene, invece, al requisito del “controllo della gestione”, si ritiene che debba
essere fatto riferimento alla detenzione, da parte del soggetto o dei soggetti pubblici, della
maggioranza delle azioni della s.p.a. partecipata, o di quota diversa ma comunque idonea a
garantirne il controllo.
L'art. 3 Codice dei contratti pubblici, richiede inoltre che l'attività svolta dal soggetto
pubblico abbia carattere non industriale o commerciale e risponda a esigenze di interesse
generale62. In proposito, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che ciò si verifica
quando i compiti dell’ente vengono svolti tramite un’attività che non comporta alcuna
assunzione del rischio di impresa: indici sintomatici del fatto che l’ente non agisce con
metodo economico (industriale/commerciale) sono individuati nel fatto che esso operi in
assenza di un mercato concorrenziale (mancanza di beni, servizi, fornitori alternativi) o,
qualora vi sia una situazione di pluralità di operatori, nell’esistenza di forme pubbliche di
finanziamento che forniscano all’ente il sostegno necessario per sopravvivere sul mercato63.
3.2. La società autostradale: un soggetto sostanzialmente pubblico. - Alla stregua delle
osservazioni che precedono, non vi è dubbio che una società autostradale possa essere
qualificata come organismo di diritto pubblico. A tal riguardo, infatti, il T.R.G.A. di Trento,
con sentenza n. 130/2007, ha riconosciuto tale natura in capo alla società Autobrennero, la
quale, in quanto concessionaria di bene pubblico o servizio pubblico, è tenuta al
perseguimento di fini di carattere generale a favore di un’utenza indeterminata. L’esigenza
di assicurare la gestione del servizio pubblico autostradale in termini di continuità e
regolarità risulta prevalente sul carattere economico e imprenditoriale, che è certamente
presente. Peraltro, la giurisprudenza precisa che per qualificare un soggetto come organismo
di diritto pubblico la finalità di soddisfare esigenze di carattere generale non deve
necessariamente essere esclusiva, e nemmeno prevalente, potendo essa anche costituire una
61
Corte di Giustizia, 3 ottobre 2000 C-380/98, University of Cambridge. Garofoli – Ferrari, Manuale di diritto
amministrativo, cit., 189.
62
I requisiti del carattere non industriale o commerciale dell'attività svolta e dello scopo di interesse generale della
stessa devono essere oggetto di accertamenti distinti e progressivi. Emblematica in tal senso è stata la vicenda della
qualificazione in termini di organismo di diritto pubblico dell'Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano,
nell'ambito di un giudizio di impugnazione degli atti concernenti la gara per la costruzione di nuovi padiglioni
espositivi.
63
Sull’assenza del metodo economico quale elemento caratterizzante l’organismo di diritto pubblico, Cass. civ.,
SS.UU., 9 maggio 2011 n. 10068; Cons. Stato, Sez. V, 30 giugno 2013 n. 570; Sez. VI, 20 marzo 2012 n. 1574, con
commento di Sigismondi, Le società pubbliche verso un sistema coerente? Il contributo del giudice amministrativo,
Giornale dir. amm., 2013, 52. Queste pronunce sono riprese da Dugato, Le società a partecipazione pubblica,
Giornale dir. amm., 2013, 855.
16
parte “relativamente poco rilevante” delle attività svolte64. La citata società è inoltre
partecipata per più dell’80% da enti pubblici, nonché amministrata da organi la cui
composizione è rimessa alle determinazioni di detti enti.
Essa, inoltre, può anche essere considerata in termini di gestore di servizio pubblico, o
comunque, come soggetto che svolge un servizio di rilevanza pubblica, quale è
indubbiamente l’attività di “promozione, progettazione, costruzione ed esercizio di
autostrade, comprese le opere stradali ed altre di pubblica utilità accessorie o comunque
connesse con l’attività autostradale, affidate [ad essa] in concessione di costruzione e/o di
gestione”65.
In ragione delle caratteristiche citate, Autobrennero, come qualunque altra società
autostradale con analoghe caratteristiche, è un soggetto sostanzialmente pubblico, quale
società a prevalente partecipazione pubblica, nonché gestore di un bene o servizio pubblico:
in altri termini, ma anche, volendo, quale organismo di diritto pubblico.
3.3. L’assoggettamento alla disciplina dell’accesso dell’attività di diritto privato dei
soggetti pubblici. - La legge n. 241 del 1990 dispone, all’art. 1 comma 1 ter che i soggetti
privati preposti allo svolgimento di attività amministrativa (compresi quelli che, pur
operando attraverso strutture formalmente societarie, sono qualificabili come
sostanzialmente pubblici), devono assicurare il rispetto dei principi che la guidano: non
solo, quindi, le procedure di evidenza pubblica nella scelta dei contraenti nel settore degli
appalti, ma anche e più in generale tutte le norme che regolano l’azione pubblica, inclusi i
principi di pubblicità e trasparenza66.
Tuttavia, quando uno stesso soggetto svolge attività c.d. promiscua, amministrativa e
d’impresa, la giurisprudenza ammonisce rispetto alla necessità di mantenere distinti i diversi
piani di attività, al fine di “evitare che i vantaggi derivanti dall’operare come P.A. possano
essere trasposti nel settore in cui lo stesso soggetto svolge attività d’impresa, alterando così
[l’] equiordinazione tra imprese pubbliche e private, posta a presidio delle regole della
concorrenza”67.
Lo stesso principio di distinzione si ritrova in tema di diritto di accesso agli atti: l’art. 22
comma 1, lett. e), estende la suddetta disciplina anche ai soggetti di dritto privato ma non in
via generale, bensì limitatamente alla loro “attività di pubblico interesse disciplinata dal
diritto nazionale o comunitario”. È evidente, infatti, che una generale estensione dell’ambito
di applicazione di una disciplina ritenuta “invasiva” da gran parte del ceto burocratico ed
imprenditoriale, come quella finalizzata alla pubblicità e trasparenza dell’agire
amministrativo, rischierebbe di pregiudicare in maniera rilevante il soggetto economico
privato, laddove fosse permesso a ogni interessato di accedere ai documenti inerenti la sua
attività imprenditoriale, ingerendosi così nella sfera protetta dal segreto aziendale.
Si tratta di una tematica inserita in un più vasto confronto.
Vi è stato infatti, in passato, un acceso dibattito in ordine all’assoggettabilità - o meno all’accesso di documenti correlati ad attività privatistica posta in essere dalla P.A.,
soprattutto con riferimento ai soggetti, anche privati, gestori di servizi pubblici.
64
Corte di Giustizia, 15 gennaio 1998 C-44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria. Garofoli – Ferrari, Manuale di
diritto amministrativo, cit., 184.
65
T.R.G.A. di Trento, 12 ottobre 2012 n. 305.
66
Cons. Stato, Sez. VI, 19 aprile 2011 2434, secondo cui l’obbligo di garantire il diritto d’accesso sussiste anche nei
confronti di soggetti con personalità giuridica di diritto privato, a prescindere dalla loro qualificazione come
organismo di diritto pubblico, qualora si tratti di soggetti gestori di servizi pubblici.
67
Cons. Stato, Sez. VI, 20 marzo 2012 1574; Garofoli – Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, cit., 197. Vedi anche
Corte cost. n. 326/2008; Cons. Stato, Ad. Plen., 4 agosto 2011 n. 17; Cons. Stato, Sez. VI, 20 marzo 2012 n. 9993.
17
In un primo momento, la giurisprudenza tendeva a ritenere ostensibili solo gli atti che
fossero diretta espressione di potestà amministrativa. Tuttavia, mano a mano che i moduli
privatistici prendevano sempre più il sopravvento nell’esercizio dell’attività pubblica (cfr.
supra, parr. 1 e segg.), è sorta l’esigenza di garantire la trasparenza anche rispetto a tale
modalità di esercizio del potere pubblico, tramite il riconoscimento del diritto d’accesso
anche per gli atti posti in essere tramite attività di diritto privato, ma pur sempre
funzionalizzata alla cura dell’interesse pubblico. Tale indirizzo estensivo è stato consacrato
anche da diversi interventi dell’Adunanza Plenaria (sentenze nn. 4 e 5 del 1999) e culminato
nella modifica, nel 2005, dell’art. 22, legge n. 241 del 1990, il quale al comma 1, lett. d),
prevede oggi esplicitamente che è “documento amministrativo” accessibile, “ogni
rappresentazione […] concernent[e] attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla
natura pubblicistica o privatistica della [sua] disciplina sostanziale”.
Tornando, brevemente, ai principi espressi dall’Adunanza Plenaria nelle citate sentenze,
occorre rilevare come queste pongano in rilievo che, se è indubbio che sia in atto un
processo di “progressiva osmosi” tra le discipline pubblicistiche e privatistiche nel
perseguimento dei fini di rilievo generale, è altrettanto vero come esse siano entrambe
finalizzate alla cura dell’interesse pubblico, il quale ne deve costantemente orientare
l’esercizio. Ciò spiega perché anche l’attività di diritto privato, purché funzionalizzata,
debba essere assoggettata ai principi sanciti dall’art. 97 Cost68, tra i quali rientra anche
quello di trasparenza, posto alla base del diritto di accesso agli atti. Ne consegue che quando
l’attività svolta da un soggetto lato sensu pubblico (il riferimento è ai gestori di pubblici
servizi), pur esplicandosi tramite moduli privatistici, sia direttamente inerente
all’erogazione, organizzazione o gestione del servizio e quindi rivolta alla cura
dell’interesse pubblico, essa dovrà essere assoggettata al diritto d’accesso.
Dalle esposte considerazioni l’Adunanza Plenaria ha tratto il principio generale, secondo cui
il diritto di accesso trova applicazione nei confronti di ogni tipologia di attività della P.A.,
poiché ogni attività amministrativa è vincolata all’interesse collettivo69, a nulla rilevando la
sua disciplina sostanziale pubblicistica o privatistica. Sulla base di tali argomentazioni, il
diritto d’accesso è stato poi esteso anche agli atti privati di un soggetto che esercita
un’attività funzionalmente collegata, anche in via indiretta, alla gestione del servizio e alla
cura dell’interesse pubblico70.
3.4. Ammissibilità del diritto di accesso agli atti ex art. 43 comma 2 D.L.vo n. 267 del 2000.
- Come già anticipato all’inizio, nel caso della società autostradale in commento, era stata
avanzata un’istanza di accesso agli atti da parte di un consigliere di un Comune, detentore di
una partecipazione, seppur esigua, in detta società (circa il 4%), finalizzata ad ottenere
informazioni circa il rilascio delle c.d. tessere di libera circolazione71; beneficio che la
società, partecipata da enti pubblici per più dell’80%, metteva a disposizione di un certo
numero di soggetti, permettendo di transitare sul tratto autostradale di competenza senza il
pagamento del pedaggio normalmente e generalmente dovuto. L’istanza, evidentemente, era
68
Cons. Stato, Ad. Plen., 22 aprile 1999 n. 4, sull’ostensibilità degli atti di una procedura concorsuale indetta dalle
Ferrovie dello Stato s.p.a.
69
Questione particolare è quella della c.d. attività residuale, in relazione alla quale l’assoggettamento al principio di
trasparenza e alla disciplina sull’accesso va verificato tramite un giudizio di bilanciamento da svolgersi in base a
criteri prefissati.
70
Cons. Stato, Ad. Plen., 22 aprile 1999 n. 5. Vedi anche Cons. Stato, Sez. VI, 29 luglio 2004 n. 5362.
71
In particolare, l’istanza era diretta a prendere visione dei documenti relativi al numero di tessere emesse, dei
beneficiari, dell’ente che effettuava il pagamento finale per coprire i mancati introiti e degli importi totali fatturati
per l’anno 2011.
18
preordinata al fine di meglio esercitare il proprio mandato politico, per conoscere l’effettiva
destinazione degli investimenti effettuati dall’Ente di appartenenza a favore della società
autostradale, stante l’incidenza, presuntivamente (e di qui la domanda d’accesso) non
irrilevante di una siffatta “strategia” o “politica” imprenditoriale sulla situazione economica
della stessa.
In tal modo, il consigliere esercitava un diritto a esso garantito dall’art. 43 comma 2 del
D.L.vo n. 267 del 2000 (T.U. sugli Enti Locali), che, come già sopra rilevato, prevede una
forma speciale di accesso, parzialmente derogatoria e meno rigorosa, quanto a presupposti,
rispetto a quello previsto dalla disciplina generale (artt. 22 e segg., legge n. 241 del 1990).
Tale previsione speciale è, sì, espressione del principio democratico che sta alla base
dell’istituto generale dell’accesso, ma stavolta con particolare riguardo e connessione con i
principi dell’autonomia locale e di rappresentanza della collettività stanziata nel relativo
territorio. Pertanto, detto diritto di accesso non è correlato a un interesse personale, proprio
dell’istante, ma direttamente all’interesse pubblico di tale collettività, che viene perseguito
dal singolo esponente politico in virtù del mandato elettivo a lui conferito, come peraltro
precisato anche da una recente pronuncia della IV Sezione del Consiglio di Stato72 73.
In breve, gli elementi di specialità dell’accesso previsto dal T.U.E.L. possono così
riassumersi: a) un ambito di applicazione oggettiva più ampio, potendo l’accesso essere
esercitato per conoscere non solo atti e documenti, ma anche “notizie” e “informazioni” di
carattere evidentemente non documentale (peraltro, in questo senso si atteggia il nuovo
principio di trasparenza, inteso come “accessibilità totale” e divulgazione di “documenti,
informazioni e dati” ai sensi degli artt. 1 e 2 del D.L.vo n. 33 del 2013); b) la possibilità di
accedere agli atti sulla base dell’esclusivo riferimento all’ “esercizio del mandato”, senza
necessità di dimostrare di essere titolare di un interesse specifico, concreto ed attuale, né di
motivare particolarmente, fermo sempre il limite del divieto di uno sfrenato sindacato
generalizzato sull’operato dell’Amministrazione, vietato dall’art. 24 comma 3 legge n. 241
del 199074; c) la non operatività del limite della riservatezza, essendo il consigliere tenuto al
vincolo del segreto d’ufficio75; d) vi è però una limitazione soggettiva, poiché il consigliere
può accedere solo agli atti detenuti da “enti o aziende dipendenti” dall’Ente di riferimento.
È proprio in ordine all’interpretazione di quest’ultimo requisito che si è registrato un
significativo contrasto tra il T.R.G.A. di Trento e la IV Sezione del il Consiglio di Stato76,
del quale si intende ora dare conto e sul quale appare opportuno riflettere, anche in relazione
alle recenti modifiche normative che hanno dato nuovo impulso al diritto d’accesso, fino
72
Garofoli – Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, cit., 875; Manganaro, L’accesso agli atti ed alle informazioni
degli enti locali, 1081, in Sandulli M.A. (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, cit.
73
Cons. Stato Sez. IV, 11 aprile 2014 n. 1768, secondo cui la funzione esponenziale del singolo consigliere
comunale va intesa nel senso che egli compone, come “parte del tutto”, quella a propria volta esercitata
dall’ente rispetto alla comunità di cittadini da esso amministrata. Vedi anche Cons. Stato, Sez. VI, 21
dicembre 2010 n. 9323.
74
La riportata decisione n. 1768/2014 evidenzia da un lato che il consigliere non è tenuto a motivare la propria
richiesta, oltre al riferimento all’esercizio del proprio mandato, dall’altro lato nega la possibilità dell’ente di
sindacare il rapporto tra la richiesta di accesso e l’esercizio del mandato, perché altrimenti “gli organi
dell’amministrazione sarebbero arbitri di stabilire l’ambito del controllo consiliare sul proprio operato”.
75
La violazione del segreto d’ufficio costituisce illecito penale ai sensi dell’art. 326 Cod. pen.: “Il p.u. o l’i.p.s. che,
violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie d’ufficio,
le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito […]”. In proposito la
Corte di Cassazione ha precisato che le notizie di ufficio che devono restare segrete sono sia quelle sottratte alla
divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche “quelle la cui diffusione sia vietata dalle norme
sul diritto di accesso, nel momento in cui viene indebitamente diffusa o utilizzata, perché svelata a soggetti non
titolari del diritto o senza il rispetto delle modalità previste” (Cass. civ., Sez. VI, 21 – 28 febbraio 2013 n. 9726).
76
Ci si riferisce alla sentenza del T.R.G.A. Trento 12 ottobre 2012 n. 305, riformata dalla sentenza della IV Sezione del
Consiglio di Stato, 4 settembre 2013 n. 4403.
19
(forse) a mutarne in parte la natura.
4. Il contrasto giurisprudenziale sull’interpretazione della nozione “enti o aziende
dipendenti”. Problemi di legittimazione all’accesso ex art. 43 comma 2 T.U.E.L. - Va detto
che in giurisprudenza non pare esservi una riflessione di portata generale su quali soggetti
debbano essere considerati “enti o aziende dipendenti”, in quanto tali legittimati passivi
rispetto al diritto di accesso del consigliere comunale o provinciale. I giudici amministrativi
tendono a occuparsi solo incidentalmente della questione, limitandosi ad affermare che in
tale nozione rientra l’azienda o l’ente affidatario di un servizio pubblico locale, comprese le
società partecipate dal Comune o dalla Provincia in misura maggioritaria e che gestiscono
servizi pubblici locali per conto di essi77.
Il T.R.G.A. di Trento, con la sentenza n. 305/2012, ha certamente affrontato la questione in
maniera più ampia, offrendo la possibilità di una presa di posizione di analoga portata al
Consiglio di Stato in sede di appello, che però è stata rifiutata. È allora opportuno analizzare
le argomentazioni poste alla base delle relative pronunce per sviluppare, nei paragrafi
successivi, alcune considerazioni.
Secondo i giudici di primo grado, la veste formale di società per azioni rivestita da
Autobrennero non si pone affatto in contraddizione con la sua natura di soggetto pubblico,
in proposito richiamando la costante giurisprudenza, la quale ritiene che, per identificare la
natura sostanziale di un soggetto, la circostanza che esso abbia struttura societaria
costituisce un elemento “neutro”, dovendosi invece guardare alla natura dei fini
effettivamente perseguiti. Ora, per quanto detto supra, par. 3.2., non vi sono dubbi che la
società autostradale in questione persegua finalità anzitutto anche pubblicistiche, quale
gestore di beni e servizi pubblici, sebbene non locali78. In considerazione di tale vincolo
finalistico, si può ritenere che la sua attività sia assoggettata ai canoni di buon andamento,
imparzialità, pubblicità e trasparenza e, conseguentemente, alla disciplina amministrativa
nella quale tali principi si esplicano, comprensiva del diritto d’accesso, nonché ai relativi
controlli. Ciò che spicca in questo passaggio della sentenza, e che costituisce elemento che
verrà più compiutamente valorizzato nei punti successivi, è l’inserimento nell’alveo dell’art.
97 Cost., del principio della “buona gestione di risorse”, teso a “contrast[are] [l’erogazione
di] benefici indebiti, finanziati anche in parte e […] indirettamente con danaro della
collettività”. Dopo queste considerazioni generali, i giudici trentini procedono a verificare
se la società autostradale possa essere considerata “azienda dipendente” dal Comune di
Trento, come tale legittimata passiva rispetto al diritto d’accesso del consigliere di tale ente,
ai sensi dell’art. 43 comma 2 T.U.E.L. La risposta fornita appare innovativa, poiché
estensiva della nozione di “dipendenza” di cui alla norma citata: il predetto requisito deve
considerarsi sussistente non solo quando l’azienda sia strumentale rispetto all’ente
territoriale o erogatrice di servizi pubblici locali (come finora statuito dalla giurisprudenza
dominante), ma anche nel caso in cui l’azienda, che esercita (pur in parte) attività finalizzata
alla cura dell’interesse pubblico, non è controllata (interamente o in via maggioritaria)
dall’ente pubblico: poiché “rilevante, ai fini dell’ostensibilità, è che vi sia denaro pubblico
impegnato [nell’] attività aziendale”79. Ora, nonostante che la quota di partecipazione
detenuta dal Comune appaia esigua in percentuale (come detto sopra,poco più del 4%), il
capitale effettivamente investito nella società autostradale è comunque di per sé rilevante
77
T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 15 febbraio 2010 n. 934.
T.R.G.A. Trento 12 ottobre 2012 n. 305; Cons. Stato, Sez. VI, 19 aprile 2011 2434.
79
T.R.G.A. Trento 12 ottobre 2012 n. 305, che riprende questo concetto dalla sentenza T.R.G.A. Bolzano 4 gennaio 2011
n. 1.
78
20
(superiore ai 2 milioni di euro). È evidente, ad avviso degli stessi giudici, che l’interesse
posto alla base dell’istanza di accesso del consigliere comunale è non solo qualificato dal
suo status politico, ma collegato con l’esercizio del proprio mandato, poiché diretto ad
acquisire dati utili al fine di esercitare il proprio diritto di voto sulle future scelte di
investimento economico nella predetta società in modo consapevole e informato: con il che,
a mio avviso, un aspetto della legittimazione al diritto d’accesso vale anche a colorare la
nozione di “dipendenza” sopra accennata.
L’innovativa interpretazione del requisito della “dipendenza”, posta alla base della citata
pronuncia del T.R.G.A., è stata tuttavia disattesa dal Consiglio di Stato, che ha preferito
assestarsi su posizioni più tradizionali. La Quarta Sezione ha, infatti, negato il diritto di
accesso agli atti della società autostradale, sul presupposto che essa non costituisce azienda
dipendente ai sensi dell’art. 43 T.U.E.L., in quanto soggetto che non è controllato dal
Comune di Trento e non esercita alcun servizio pubblico locale riferibile a tale Ente.
In particolare, la pronuncia di secondo grado riconosce il diritto d’accesso agli atti di una
società mista, ex art. 43 citato, solo quando essa risulti effettivamente controllata dall’ente
locale cui appartiene il consigliere istante, e specificando che ciò si verifica solo nel caso in
cui detto ente detenga “il pacchetto di maggioranza della società stessa, o comunque una
quota di capitale sociale idonea in concreto ad assicurarne il controllo”80. Laddove ciò non
si verifichi, ad avviso del Consiglio di Stato l’accesso deve essere negato, poiché, non
sussistendo alcun collegamento col mandato espletato dal consigliere, esso finirebbe per
esorbitare dai limiti propri dell’actio ad exhibendum. Più in dettaglio, la Quarta Sezione
afferma che “deve escludersi che il consigliere possa esercitare l’accesso nei confronti di
società mista […] della quale il Comune di appartenenza detenga limitata quota di capitale
sociale, tale da non poterne assicurare il controllo, di tal che, nemmeno mediatamente, la
conoscenza di profili generali di gestione dell’attività della società possa ritenersi afferente
alla sfera di un sindacato […] ispettivo” espresso mediante gli strumenti di conoscenza a lui
riconosciuti in relazione all’espletamento del suo mandato elettivo. Il Consiglio di Stato,
sembra giungere a questa conclusione partendo dal presupposto che la ratio dell’art. 43
T.U.E.L. sia quella di “circoscrivere il diritto di accesso del consigliere […] agli atti che
siano riferibili all’ente”. Si tratta tuttavia di una visione minimalista del diritto di accesso
che risulta difficile condividere, poiché, alla luce di quanto detto supra, par. 3.4., quello
previsto dal T.U.E.L. costituisce indubbiamente una “forma speciale di accesso,
parzialmente derogatoria e meno rigorosa, quanto a presupposti, rispetto a quello previsto
dalla disciplina generale”.
4.1. Collegamento con l’esercizio del mandato politico: la spendita di risorse pubbliche. Dall’analisi delle citate pronunce emerge che il motivo alla base della negazione del diritto
d’accesso al consigliere dell’ente locale non è legata a un problema di applicabilità in via
generale delle norme pubblicistiche a una società per azioni (che è, invece, pacifica per
quanto detto supra, parr. 3.2. e 3.3.), quanto piuttosto si pone in termini di carenza di
legittimazione passiva della società autostradale, la quale, non potendo essere qualificata
come azienda dipendente dall’ente locale per l’esiguità della partecipazione azionaria da
esso detenuta, non sarebbe tenuta (nei suoi confronti) all’ostensione dei documenti
concernenti la propria attività d’impresa. Secondo i giudici amministrativi, infatti, la
conoscenza di come una società partecipata in misura minoritaria dall’ente pubblico gestisce
80
Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013 n. 4403, che, richiamando la sentenza del T.R.G.A. Bolzano, 4 gennaio 2011 n.
1, valorizzata dai giudici trentini, ha specificato che nel caso affrontato dal Collegio bolzanino la società in
questione deteneva una quota assolutamente maggioritaria di partecipazioni, superiore al 90%.
21
la propria attività non sarebbe collegata, nemmeno mediatamente, con l’espletamento del
mandato elettivo del consigliere. Si tratta di un’affermazione che è assai opinabile, poiché
non pare potersi negare che il mandato elettivo si estenda al controllo di tutta l’attività
dell’ente locale, essendo irrilevante l’esiguità o la marginalità dell’attività svolta, o la quota
minoritaria di coinvolgimento, potendo il controllo semmai essere limitato solo laddove
esso spetti per competenza ad altri organi.
Tuttavia, va rilevato che la citata società per azioni, in ragione delle finalità anzitutto di
interesse anche collettivo perseguite, è tenuta ad osservare le norme pubblicistiche: in primo
luogo, certamente, l’art. 97 Cost., il quale si declina in molteplici canoni, tra i quali quelli di
efficienza ed economicità (art. 1 legge n. 241 del 1990), ed è evidente che l’efficienza
economica possa essere raggiunta anche tramite una corretta e bilanciata spendita delle
risorse a disposizione81: correttezza e bilanciamento che una gestione “allegra”, supportata
da finanziamenti pubblici, certo non garantisce, potendo oltretutto celare reti di protezione
alimentate da concessioni di vantaggi indebiti finanziati (non importa quanto) con soldi
pubblici.
Ne consegue che il controllo amministrativo teso a verificare che l’attività di rilevanza
pubblicistica svolta da un soggetto, anche formalmente privato, sia rispettosa dei principi di
buon andamento, imparzialità e dei suoi corollari, deve ricomprendere necessariamente
anche la verifica, tramite accesso (purché non gratuitamente ed eccessivamente invasiva),
del corretto utilizzo delle risorse pubbliche di cui quel soggetto si avvale. Non vi è dubbio,
infatti, che il diritto da parte dell’Ente locale di conoscere le modalità di svolgimento e di
gestione, anche quanto all’uso delle risorse conferite, di un’attività di rilevanza pubblica sul
proprio territorio è funzionale alla necessità di poter “organizzare e modulare, rispetto a
quest’ultima, le attività proprie” e, prima ancora, di poter pianificare (ed eventualmente
riallocare, laddove gli investimenti operati risultino inefficienti) la spendita delle risorse
pubbliche a disposizione82. D’altronde, che l’interesse alla programmazione economica
costituisca una situazione legittimante l’accesso, è riconosciuto anche dalla giurisprudenza
amministrativa, secondo la quale “il bisogno conoscitivo azionato [tramite l’accesso, e
collegato alla finalità di] poter pianificare la propria politica di investimenti aziendali,
risulta inerire all’esercizio di un’attività economica, donde la riconducibilità dell’interesse
ad essa sotteso all’art. 41 Cost.”83.
4.2. Controlli amministrativi e finanziamenti pubblici: la posizione del Giudice contabile. D’altra parte, il ragionamento del TRGA di Trento sembra trovare ulteriore conforto nella
necessità di un controllo amministrativo ogniqualvolta siano coinvolte risorse pubbliche:
argomento che viene valorizzato per affermare la giurisdizione della Corte dei conti nei
81
Sui principi di efficienza e di economicità in generale, Massera, I criteri di economicità, efficacia ed efficienza, 24, in
Sandulli M.A. (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, cit.
82
Sulla base di un ragionamento analogo, la già citata sentenza del Consiglio di Stato n. 1768/2014 ha consentito
l’accesso ai registri di contabilità di una società privata aggiudicataria di un appalto di opere pubbliche,
ritenendo che la conoscenza dei dati relativi all’esecuzione di un appalto (comprensiva, evidentemente, di
quanto/come si spende, e di come si eseguono i lavori) fosse necessaria per la programmazione dell’attività
futura dell’amministrazione comunale. A maggior ragione, ciò dovrebbe essere consentito in relazione a una
concessione di servizio/bene pubblico, quale il servizio autostradale. Vedi anche Cons. Stato, Sez. V, 8 giugno
2000, n. 3253; nella giurisprudenza di merito, T.A.R. Palermo, Sez. I, 18 gennaio 2011 n. 68; T.A.R. Milano,
Sez. I, 11 febbraio 2010 n. 373.
83
Cons. Stato, Sez. V, 15 luglio 2013 n. 3852, relativa al diritto di accesso di una società affidataria in via diretta e
in regime di concessione amministrativa del servizio di gestione di rifiuti urbani. Le considerazioni sulla
situazione legittimante l’accesso possono però essere estese anche all’attività privata funzionalizzata svolta
dalla pubblica amministrazione.
22
confronti di soggetti formalmente privati84. A tal proposito, costituisce affermazione
costante quella per cui il criterio discretivo tra giurisdizione contabile e giurisdizione
ordinaria “risiede unicamente nella natura, pubblica o privata, delle risorse finanziarie di cui
[il soggetto, anche privato] si avvale”: pertanto, qualora dette risorse provengano da un ente
pubblico, il Legislatore ha attribuito la giurisdizione alla Corte dei conti, al fine di tutelare il
patrimonio delle amministrazioni finanziatrici, pur diverse dall’ente cui appartiene il
soggetto agente che, attraverso un cattivo uso di tali risorse, abbia ad esse (pur
indirettamente) cagionato un danno85. Laddove, infatti, il privato per sua scelta utilizzi
contributi pubblici illecitamente (ma si potrebbe dire anche in modo contrario ai principi di
efficienza ed economicità che dovrebbero guidare una società per azioni), non vi è dubbio
che egli cagioni un danno all’amministrazione finanziatrice. In particolare, le Sezioni Unite
affermano che in quest’ipotesi “è irrilevante il titolo in base al quale la gestione del pubblico
denaro è svolta, potendo consistere […] anche in un […] contratto di diritto privato”; quindi
anche in un contratto di società ex art. 2247 Cod. civ., in base al quale l’ente pubblico eroga
conferimenti e investimenti al soggetto eretto in forma societaria86. Pertanto, “ove il privato,
cui siano erogati fondi pubblici, per sua scelta incida negativamente sul modo d’essere del
programma imposto dalla P.A., alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto
di concessione del contributo, e l’incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento
delle finalità perseguite, esso realizza un danno per l’ente pubblico, anche sotto il profilo di
sottrarre ad [altre destinazioni] il finanziamento che avrebbe potuto portare alla
realizzazione del piano”87; di ciò egli deve rispondere dinanzi al giudice contabile.
Dello stesso tenore sono le argomentazioni che la Corte dei conti, a mezzo dei suoi
Procuratori, sostiene nei giudizi di Cassazione per affermare la propria giurisdizione: una in
particolare può essere rilevante ai nostri fini. Si afferma, infatti, che “allorquando la natura
di un ente è pubblica, nel senso di pubblicità del fine perseguito ed a prescindere dalla veste
giuridica adottata, ed è pubblica la natura dei finanziamenti, lì vi è spazio per le funzioni
anche giurisdizionali della Corte dei conti”88.
In definitiva, se l’utilizzo di risorse pubbliche da parte di una società privata può essere
considerato elemento sufficiente ad assoggettare la stessa ai controlli pubblicistici, nella
specie a quello esercitato dai Giudici contabili, non è forse sbagliato utilizzarlo quale
criterio di collegamento anche ai fini del controllo esercitato tramite il diritto di accesso agli
atti inerenti alle modalità di spendita dei finanziamenti pubblici di cui la stessa società si
avvale. Così ragionando, appare possibile riempire il criterio della dipendenza di cui all’art.
43 comma 2 T.U.E.L., di un nuovo contenuto, collegato alla circostanza che l’azienda
detentrice degli atti cui si chiede l’accesso sia stata destinataria dell’erogazione di
conferimenti e/o investimenti da parte di una Pubblica Amministrazione, indipendentemente
dalla loro entità. A conferma del ragionamento sin qui esposto, pare essersi orientata anche
la giurisprudenza amministrativa, la quale ha affermato che le società partecipate pubbliche
restano assoggettate alle regole di buona amministrazione imparziale (art. 97 Cost. e legge
n. 241 del 1990). In particolare, assai recentemente si è sottolineato che “finché questi
84
La giurisprudenza in esame riguarda l’affermazione della giurisdizione della Corte dei conti nei giudizi di
responsabilità amministrativa promossi nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici, e di
soggetti che comunque hanno veste privatistica. Vedi, tra le altre, Cass. civ., SS.UU., 22 dicembre 2003; n. 19667;
Cass. civ., SS.UU., ord. 1 marzo 2006 n. 4511.
85
Cass. civ., SS.UU., 22 dicembre 2003 n. 19667, citata.
86
Cass. civ., SS.UU., ord. 1 marzo 2006 n. 4511, citata.
87
Cass. civ., SS.UU., ord. 1 marzo 2006 n. 4511, citata.
88
Cass. civ., SS.UU., 22 dicembre 2003 n. 19667, citata.
23
strumenti societari impiegano soldi pubblici per lo svolgimento di funzioni pubbliche o
l’erogazione di servizi pubblici, non è consentito che il rivestimento formale privatistico
possa consentire ad essi di sottrarsi alle regole di trasparenza e di controllabilità che in
defettibilmente caratterizzano la funzione e il servizio pubblici”: T.A.R. Lombardia, Milano,
Sez. I, 11 aprile 2014, n. 952 cui adde T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 28 gennaio 2010, n.
448.
4.3. Il c.d. Testo Unico sulla trasparenza nella Pubblica Amministrazione (D.L.vo 14 marzo
2013 n. 33). - Un ulteriore argomento merita di essere speso a sostegno della tesi insita nella
sentenza del T.R.G.A., tratto dagli interventi recati e generati dalla riforma del 2012 in tema
di (anti) corruzione e illegalità delle P.A.
Il D.L.vo 14 marzo 2013, n. 33 (“Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di
pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche
amministrazioni”) è stato introdotto dal Governo Monti in attuazione della delega recata
dall’art. 1 comma 35 della L. 6 novembre 2012 n. 190 (c.d. Legge Severino), recante
disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione nella P.A.89; delega
conferita al fine di riorganizzare e coordinare gli obblighi di trasparenza disseminati in varie
leggi speciali, eventualmente precisandoli o integrandoli, nonché di ampliare le forme di
pubblicità previste anche con riferimento all’uso delle risorse pubbliche e allo svolgimento e
ai risultati delle funzioni amministrative.
Il nuovo testo unico ha inciso, almeno astrattamente, in modo quasi rivoluzionario sulle
modalità con cui la P.A. deve garantire la trasparenza del suo agire, incentrate non più sul
diritto d’accesso tradizionale, bensì sulla previsione di obblighi di pubblicazione che
coprono i numerosissimi settori di attività amministrativa elencati nelle decine di articoli del
decreto delegato n. 33, con particolare riguardo al principio direttivo costituito dalla
ostensione delle informazioni “in ordine all’uso delle risorse pubbliche” (comma 35 lett. b).
La radicalità della novella – che probabilmente comporterà nuovi approcci ermeneutici
rispetto all’intera disciplina della legge n. 241, di cui, infatti, vengono arricchite talune
disposizioni – spicca, tra l’altro, dall’introduzione dell’art. 5 del decreto delegato n. 33 del
2013, del c.d. “accesso civico”: si tratta di un diritto, anch’esso compreso nei livelli
essenziali delle prestazioni (art. 117 comma 2, lett. m) Cost.), soggettivamente più ampio
rispetto a quello previsto dagli artt. 22 e segg. legge n. 241 del 1990 (vedi supra parr. 2 e
2.1.); esso, infatti, è riconosciuto a “chiunque”, il quale senza bisogno di vantare un
interesse specifico, concreto, attuale, né di motivare in tal senso, può richiedere documenti,
informazioni o dati che dovevano, per legge, essere pubblicati, laddove la P.A. non abbia
adempiuto tale obbligo90.
L’introduzione del nuovo istituto dell’accesso civico è stato, da alcuni, salutato assai
positivamente, quale “avvicinamento” del sistema italiano al c.d. right to know di origine
statunitense (c.d. FOIA – Freedom of Information Act, 1966), oggi recepito da molti altri
89
La c.d. legge anti-corruzione (L. 6 novembre 2012 n. 190) è stata emanata in attuazione dell’art. 6 della Convenzione
ONU contro la corruzione del 31 ottobre 2003, ratificata in Italia con L. 3 agosto 2009 n. 116, e degli artt. 20 e 21
della Convenzione penale sulla corruzione, firmata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata con L. 28 giugno
2012 n. 110. Queste Convenzioni sono citate nell’art. 1 comma 1 legge n. 190 del 2012. Sul punto Foà, Le novità
della legge anticorruzione, Urbanistica e Appalti, 2013, 293; Mattarella, La prevenzione della corruzione in Italia,
Giornale dir. amm., 2013, 123.
90
Per quanto qui interessa, l’art. 5, rubricato “Accesso civico”, così recita: “L’obbligo previsto dalla normativa vigente
in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati, comporta il diritto di chiunque
di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione (comma 1). La richiesta di accesso
civico non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente, non deve essere
motivata, è gratuita […]” (comma 2).
24
Paesi, e anche a livello internazionale91; si tratterebbe, secondo costoro, di un vero e proprio
diritto fondamentale da garantire a chiunque, svincolato da una sua strumentalità rispetto
alla partecipazione a un determinato procedimento amministrativo.
Tuttavia, gli stessi hanno anche sollevato alcuni profili critici sul modo in cui il Legislatore
italiano ha strutturato tale diritto d’informazione, soprattutto con riferimento agli stringenti
limiti oggettivi desumibili dal sistema, che rendono l’ambito di applicazione del nuovo
istituto di cui all’art. 5 molto più ristretto di quanto esso, a prima vista, possa sembrare.
In breve, si è rilevato che l’accesso civico si esplica solo per quei documenti rispetto ai quali
vi sia, a monte, una previsione legislativa che impone alla P.A. un obbligo di pubblicazione.
Il tutto, poi, aggravato dall’aggiunta (peraltro ricorrente nelle varie disposizioni del decreto
n. 33) dell’aggettivo “vigente” al sostantivo “normativa” prevedente l’obbligo di
pubblicazione di “documenti, informazioni o dati”: quasi che le norme sopravvenute non
possano legittimare l’accesso civico.
Inoltre, stona, rispetto al principio”democratico” di “accessibilità totale” (art. 1 commi 1 e
2) il criterio di tipizzazione e nominatività con cui esso viene attuato.
I dati che devono essere obbligatoriamente pubblicati, infatti, secondo la sistematica del
decreto delegato sembrano essere solo quelli elencati dal nuovo Testo Unico (artt. da 13 a
42) o da norme speciali (comunque relativi – secondo la titolazione dei Capi da II a V del
medesimo testo legislativo - all’organizzazione e attività della P.A., uso delle risorse
pubbliche, prestazioni offerte, servizi erogati e settori speciali92), essendovi, per i dati non
compresi nell’elenco, una mera facoltà di pubblicazione (art. 3)93. Va comunque chiarito
che, rispetto all’ambito in cui l’art. 5 non trova applicazione, l’accesso ai documenti è
garantito ai sensi della disciplina generale (artt. 22 e segg. legge n. 241 del 1990).
Scarsamente efficaci appaiono, inoltre, i meccanismi di enforcement previsti dalle norme
sanzionatorie (artt. 46 e 47). Infatti, la mancata osservanza dei citati obblighi di trasparenza
costituisce, di regola, mero elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale (quanto
alla corresponsione di retribuzioni di risultato e trattamenti accessori collegati alla
performance individuale), ferma restando la possibilità di essere chiamati a rispondere per
danno all’immagine cagionato alla P.A. Solo nei limitati e specifici casi dell’art. 47 sono
previste sanzioni pecuniarie, fino a un massimo di 10.000 euro.
4.4. La sentenza del C.d.S. n. 4403/2013 e il nuovo Testo Unico sulla trasparenza n. 33 del
2013. - Anche se il decreto n. 33 del 2013 nasce con le ombre che si sono accennate, esso
può ugualmente costituire un utile strumento di analisi della giurisprudenza in materia di
accesso ed è per questo che se ne abbozzata la portata, seppur per sinteticissimi tratti.
Se si torna, infatti, al caso della società autostradale in esame, va evidenziato come nonostante il D.L.vo n. 33 del 2013 sia entrato in vigore il 20 aprile 2013 e, pertanto, non
poteva essere applicato a fatti a esso antecedenti - tuttavia il Consiglio di Stato,
pronunciandosi anteriormente alla predetta data (l’udienza e la camera do consiglio sono del
23 gennaio 2013), ma esternando le motivazioni ben dopo tale data (la sentenza è stata
pubblicata a settembre 2013), avrebbe potuto, forse - attraverso l’istituto processuale di
riportare la decisione in una nuova camera di consiglio - valorizzare le linee di tendenza
fortemente evolutive espresse dal nuovo testo Unico, teso ad ampliare le possibilità di
91
SAVINO, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giornale dir. amm., 2013, 795.
Seguendo i Capi in cui sono divise le norme del Testo Unico.
93
Art. 3 comma 3: “Le pubbliche amministrazioni possono disporre la pubblicazione le proprio sito istituzionale di dati,
informazioni e documenti che non hanno l’obbligo di pubblicare ai sensi del presente decreto o sulla base di
specifica previsione di legge o regolamento […]”.
92
25
accesso ogniqualvolta siano coinvolte risorse pubbliche: dato sul quale molto si erano
soffermati i giudici del T.R.G.A. per sostenere la tesi dell’ostensibilità delle tessere di libera
circolazione (con specifica indicazione dei beneficiari, dell'ente che effettua il pagamento
finale, degli importi totali fatturati per l'anno 2011, all’eventuale applicazione anche ai
consiglieri delle province di Verona, Mantova, Modena e Reggio Emilia, ecc.).
Di seguito, gli elementi che, a mio avviso, meritano (e avrebbero meritato ) di essere
considerati.
Il D.L.vo n. 33 del 2013 va indubbiamente nella direzione di proporre un modello di open
government, cioè di “Amministrazione aperta a servizio del cittadino”, in attuazione dei
principi di democraticità, uguaglianza, buon andamento e imparzialità, i quali sono
realizzati in primo luogo predisponendo strumenti per garantire, attraverso la trasparenza,
“responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 1 comma 2
T.U. n. 33). La volontà legislativa di prefigurare un nuovo modello di amministrazione
maggiormente conoscibile e perciò più controllata e quindi più efficiente si ricava anche da
formule forse enfatiche ma senz’altro significative. La trasparenza, infatti, è definita dall’art.
1 come “accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle
pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo […] [anche]
sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.
È opportuno evidenziare come il fatto che il Legislatore citi più volte le risorse pubbliche
come settore nel quale va maggiormente garantito il controllo conoscitivo, poiché
maggiormente a rischio di fenomeni corruttivi o, comunque, di “cattiva amministrazione”
(art. 1 comma 3), conferma come il coinvolgimento di denaro della collettività costituisca,
senza dubbio, elemento più che sufficiente per fondare un’istanza di accesso (oggi,
addirittura, di “controllo diffuso”): concetto, vale la pena di ricordare, a suo tempo espresso
dai giudici trentini.
Né sarebbe convincente il riferimento a esclusioni di tipo soggettivo (riguardanti, cioè, i
legittimati passivi dell’accesso), sulle quali il Giudice d’appello ha costruito in via
assorbente la tesi dell’erroneità della sentenza di primo grado.
Il nuovo Testo Unico del 2013 offre, anche sotto tali profili, alcuni utili spunti per il caso
della società autostradale qui esaminato.
Anche se l’art. 11 comma 1 del decreto delegato n. 33 limita, in prima battuta, l’ambito
soggettivo della sua applicazione alle amministrazioni pubbliche in senso tradizionale, come
individuate dall’art. 1 comma 2 del D.L.vo n. 165 del 2991 (c.d. Nuovo Testo Unico degli
impiegati civili), tuttavia prevede altresì, al comma 2, che gli obblighi di trasparenza ivi
previsti trovano applicazione anche alle “società partecipate dalle pubbliche
amministrazioni”, senza alcun riferimento quantitativo alla quota di capitale detenuta,
seppur “limitatamente all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o
dell’Unione europea” (v. anche commi 20 e 60 della legge n. 190 del 2012).
La dottrina che finora si è interrogata sul significato concreto di tale dizione, ha concluso, in
maniera del tutto condivisibile, che al fine di evitare che il principio di trasparenza si
estenda ad ambiti dell’attività privata estranei alla sua ratio, essa debba essere interpretata
nel senso di ritenere la disciplina del Testo Unico applicabile solo alla parte di attività
privata che comporta utilizzo di denaro pubblico94.
Per comprendere quali siano gli obblighi di pubblicazione che la legge impone nel caso in
94
SAVINO, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., 801 (nota 38); il quale richiama a sostegno di
tale interpretazione l’art. 3 della legge-modello interamericana sull’accesso alle informazioni pubbliche (Model
Inter-American Law on Access to Information), approvata dall’Assemblea Generale dell’Organizzazione degli Stati
Americani con risoluzione n. 2607 dell’8 giugno 2010.
26
cui vi sia una società partecipata da una P.A. che spenda risorse pubbliche, la norma di
riferimento è l’art. 22 del D.L.vo n. 33 del 2013. Quanto all’Ente partecipante, esso deve
dare conto delle società in cui detiene direttamente quote di partecipazione, anche
minoritaria e della relativa entità, nonché delle funzioni o delle attività di servizio pubblico
ad essa affidate (comma 1, lett. b). Anche la società partecipata ha, però, obblighi
informativi, che hanno ad oggetto, tra gli altri, i dati relativi alla misura della partecipazione
pubblica, onere annuale gravante sul bilancio della P.A., numero dei rappresentanti
dell’amministrazione negli organi di governo, e soprattutto, risultati di bilancio degli ultimi
tre esercizi finanziari e trattamento economico complessivo di ciascun amministratore (che
sono composti anche da eventuali corresponsioni di benefits, quali, perché no, l’esonero dal
pagamento del pedaggio). Ancora, l’art. 26 del Testo Unico, corrispondentemente all’art. 1
comma 16 della legge delega che si applica pacificamente anche alle società partecipate, in
virtù dell’espresso richiamo di cui all’art. 11 comma 2 impone, inoltre, di dare conto di tutti
gli atti di erogazione di contributi o, comunque, vantaggi economici di qualunque genere a
persone ed enti pubblici e privati. E non si può negare che un qualsiasi strumento che
consenta di fruire di un servizio di rilevanza pubblica senza corresponsione dell’importo
dovuto costituisca un “vantaggio economico” di cui qualunque soggetto pubblico che
utilizza risorse della collettività deve dare conto.
5. Conclusioni: tutela delle risorse pubbliche e protezione del ruolo della minoranza
politica. - Per concludere questa breve analisi scaturita da un singolare caso di un esponente
politico comunale che intendeva sapere come fossero spesi i (non pochi) soldi della
comunità da lui rappresentata investiti in Autobrennero, è da osservare che la sentenza del
T.R.G.A. di Trento n. 305/2012 presenta un’indubbia portata innovativa, nel dare risalto alla
centralità dell’efficienza e trasparenza della gestione delle risorse pubbliche nell’ambito dei
principi costituzionalmente protetti di buon andamento e imparzialità, che devono connotare
l’operato della Pubblica amministrazione latamente intesa, cioè quale gestore del denaro di
tutti, a prescindere dalla forma esteriore con cui viene organizzata la gestione medesima
(art. 97 Cost.). I giudici trentini, infatti, affermano che la cura dell’interesse pubblico è oggi
collegata alle “primarie esigenze di salvaguardia delle risorse pubbliche in un momento
assai delicato per le sorti finanziarie dell’intero Paese, le quali comportano l’ineludibile
esigenza che ogni categoria sociale contribuisca ai sacrifici imposti dalle […] contingenze
economiche, finanziarie e contabili”. Invero, anche gli interpreti del diritto devono dare il
proprio contributo, attraverso una lettura delle norme che non risulti staticamente ancorata
al dato letterale o all’interpretazione tradizionale, ma che sia teleologicamente orientata a
garantire un effettivo controllo sul corretto impiego delle risorse ricavate a carico della
collettività.
Condivisibile appare, quindi, la pronuncia in commento, quando individua nella spendita di
denaro pubblico un elemento sufficiente a riempire di contenuto il requisito della
dipendenza intersoggettiva richiesto, ai fini dell’accesso, dall’art. 43 comma 2 D.L.vo n.
267 del 2000. I principi espressi dalla stessa sentenza risultano, inoltre, aver anticipato le
nuove linee di tendenza legislative, oggi espresse dal nuovo Testo Unico sulla trasparenza
amministrativa (D.L.vo n. 33 del 2013), il quale, collocandosi in un “filone espressivo di un
preciso indirizzo di politica legislativa volto ad estendere e rafforzare il diritto d’accesso”
(Cons. Stato, Sez. V, n. 3852/2013 citata), va nella direzione di aprire alla conoscibilità dei
cittadini tutte le attività, svolte da soggetti pubblici, in cui sia coinvolto denaro della
collettività.
Vi è, però, un altro profilo, seppur di natura squisitamente politica, che merita di essere
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valorizzato.
Il diniego di accesso motivato sulla base della natura “maggioritariamente” privata (rispetto
all’ente pubblico minoritariamente partecipante, come ripetutamente sottolineato dal
Giudice d’appello per annullare la sentenza del T.R.G.A.) della società detentrice degli atti
di cui si chiede l’ostensione, equivale ad affermare che per conoscere tali documenti l’unica
strada percorribile sarebbe quella offerta dagli strumenti afferenti alla normativa civilistica
societaria. Secondo questa impostazione, nel caso in commento il Comune, facendo valere
la propria qualità di socio, avrebbe dovuto richiedere di consultare le scritture contabili e
pretendere l’esibizione dei libri sociali in base al diritto d’informazione riconosciutogli
dall’art. 2422 Cod. civ. (supra, par. 2.4.). La relativa istanza avrebbe dovuto, quindi, essere
presentata dal Sindaco, quale legale rappresentante dell’Ente territoriale: ciò avrebbe a sua
volta necessitato di una deliberazione, adottata perlomeno a maggioranza, attributiva al
Sindaco di tale specifico mandato. Ora, supponiamo che un consigliere di minoranza
presenti un’istanza per ottenere siffatta deliberazione, al fine di dare mandato al Sindaco per
esercitare, in nome del Comune, il diritto d’ispezione societaria per ottenere così dati su
benefici economici di cui potrebbero godere alcuni degli stessi esponenti politici chiamati a
votarla. È presumibile che egli difficilmente riuscirà a ottenere un voto favorevole, che
permetta di accedere alle informazioni richieste, le quali diventerebbero, a quel punto, di
pubblico dominio. Da una simile prospettazione emerge che far dipendere dalla volontà “dei
più” la possibilità, per l’opposizione, di ottenere informazioni rilevanti inerenti alla
destinazione delle risorse pubbliche investite dal proprio ente di appartenenza, rischia di
svuotare la funzione di controllo sulla “tirannia della maggioranza”, che è in base al
principio democratico perseguito anche attraverso la trasparenza, indefettibilmente attribuita
alla minoranza politica.
Da questo punto di vista, l’accesso amministrativo appare uno strumento più “aperto” e,
quindi, maggiormente corrispondente alle necessità del cittadino di controllare l’azione dei
propri rappresentanti e il modo in cui vengono gestite le risorse collettive. In particolare,
l’accesso previsto dall’art. 43 comma 2 D.L.vo n. 267 del 2000, è finalizzato a consentire
una verifica dell’operato di enti e aziende che sono in qualche modo collegati all’Ente
territoriale (perché svolgono attività in favore di esso, come affidatari di servizi pubblici, o
in quanto destinatari di contributi e/o finanziamenti di provenienza pubblica). Tale verifica
transita attraverso la possibilità per il consigliere dell’Ente territoriale di visionare gli atti
inerenti l’attività di rilevanza pubblica svolta dalle aziende da esso dipendenti, compreso il
modo in cui il denaro della collettività viene speso. Tale accesso è del tutto svincolato dagli
assetti politici esistenti (non è, infatti, necessario che l’istanza provenga dalla maggioranza
dei membri del Consiglio), essendo connesso esclusivamente al miglior esercizio del
mandato politico, neutralmente e democraticamente inteso. In ciò, evidentemente, il
consigliere agisce quale rappresentante della (parte di) collettività che lo ha eletto e dalla
quale, in definitiva, provengono le risorse coinvolte e alla quale non può essere precluso di
chiedere ai propri rappresentanti/amministratori di rendere conto.
Dott.ssa Ilaria BRADAMANTE
Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali
T.R.G.A. Trento
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