“Tasse e imposte degli Enti locali: Accertamento

Prof. Dottor Giuseppe Guzzo
Revisore legale – giudice tributario
Relazione al Convegno “La revisione Economico – Finanziaria degli Enti locali”
22-23/11/2016
Palazzo Aragona Cutò – Bagheria (PA)
“Tasse e imposte degli Enti locali:
Accertamento, riscossione e sanzioni tributarie”.
Sommario.
1.
2.
3.
4.
5.
Premessa
La normativa applicabile
Art. 119 Costituzione
Testo Unico Enti Locali (D. Lgs. n. 267/2000) Efficacia in Sicilia
I tributi degli Enti Locali
6. Le imposte
7. Le tasse
8. L’ordinamento tributario classificazione;
9. Gli elementi costitutivi del rapporto giuridico tributario
10. Profili organizzativi ed attuativi
11. Le fasi e gli atti dell’accertamento dei tributi locali.
12. Accertamento
13. Termini e modalità della fase accertativa.
14. Le dichiarazioni tributarie nelle singole forme di prelievo degli Enti locali
15. L’istruttoria
16. L’Atto di accertamento: i requisiti
17. La motivazione degli Atti accertativi riguardanti i tributi locali
18. Le modalità e i termini dell’accertamento dei tributi locali
19. La notifica degli atti tributari
20. L’attività sanzionatoria degli Enti locali
21. Il ravvedimento, nella riforma delle sanzioni tributarie e il sistema dei
c.d. istituti deflativi.
22. Il carattere premiale nel ravvedimento disciplinato dal novellato art.
13 D. Lgs. 427/97.
23. La spontaneità e la preventività.
24. Il baratto amministrativo/fiscale
25. Il concorso di più sanzioni.
26. Il contraddittorio endoprocedimentale
27. Il principio di diritto
28. La riscossione dei tributi degli Enti Locali art. 18, D.L. n. 113/2016
29. Prospettive di riforma strutturale della Riscossione
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Premessa
Le tasse e le imposte quali fonti di finanziamento degli EE.LL. per i fabbisogni
della collettività e quindi il prelievo fiscale con le problematiche ad esse connesse
spesso di difficile risoluzione mi è sembrato, questo, un tema che si confacesse con
il titolo del convegno, per l’enorme contenzioso che spesso vede soccombente da
una parte l’Amministrazione locale finanziaria, e dall’altra parte il contribuente con
evidente perdita delle relative entrate, data la confusione legislativa e normativa
che spesso regna in tale materia.
A livello generale possiamo innanzitutto ricordare, che i sensi dell’art 117
della Cost.:
a) lo Stato ha competenza legislativa esclusiva in materia di «sistema
tributario […] dello Stato» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.);
b) le Regioni hanno potestà legislativa esclusiva nella materia tributaria
non espressamente riservata alla legislazione dello Stato,
c) le Regioni e gli Enti locali «stabiliscono e applicano tributi ed entrate
proprie in armonia con la Costituzione e secondo i principî di coordinamento […]
del sistema tributario» (art. 119, secondo comma, Cost.).
Le fonti normative che governano la funzione accertativa e quelle
sanzionatoria dei Comuni sono contenute nelle leggi che riguardano i diversi
tributi locali.
I Comuni sono dotati di autonomia normativa e finanziaria, secondo
quanto garantito dalle disposizioni costituzionali (artt. 117 e 119) e da quelle
ordinarie.
Particolare attenzione deve essere rivolta all’articolo 117 della
Costituzione, che attribuisce alla legislazione concorrente delle Regioni la
competenza circa l’armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento
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della finanza pubblica e del sistema tributario, fatta salva, in ogni caso, la
determinazione dei principi fondamentali che sono riservati, invece, alla
legislazione dello Stato.
A tal riguardo, secondo quanto previsto da un primo documento messo
a punto dalle rappresentanze associative di Regioni, Province, Comuni e
Comunità montane, la legge statale di coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, avrà il
compito di individuare i tributi e le entrate proprie delle Regioni e degli Enti
locali, le sovrimposte e le addizionali ai tributi erariali, nonché le
compartecipazioni spettanti ai tributi erariali.
Spetterà, dunque, agli Enti locali, nell’esercizio della propria autonoma
potestà regolamentare, disciplinare l’applicazione dei tributi che vorranno
istituire.
La normativa applicabile

ART. 119 COSTITUZIONE
1. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia
finanziaria di entrata e di spesa
2. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri. Dispongono di
compartecipazioni
Testo Unico Enti Locali (D. Lgs. n. 267/2000) Efficacia in Sicilia
Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede mediante le entrate
derivanti dai suoi beni demaniali e patrimoniali e quelle connesse all’attività
amministrativa di sua competenza; mediante tributi propri deliberati dalla Regione
medesima; mediante le entrate tributarie erariali ad essa spettanti;
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Sono entrate tributarie erariali spettanti alla Regione tutte quelle riferibili
al suo territorio, nonché comunque quelle ivi riscosse, compresi gli interessi e le
sanzioni.
In materia di tributi viene sancita una competenza di specialità della
Regione siciliana fuori dallo schema dell’art. 119 della Cost., si tratta della
competenza della Regione ad intervenire legislativamente sulla disciplina dei
tributi erariali.
Questa peculiare prerogativa della Sicilia, discende proprio dalla particolare
formulazione dell’articolo 36 D.P.R. 1074/65 (Statuto della Regione Siciliana)
vigente e dal connesso primo comma dell’articolo 6 delle norme di attuazione.
Per definire il sistema finanziario siciliano, delineato dall’articolo 36, la
Corte Costituzionale scrive nella sentenza n. 111/99: “il testo dell’articolo 36 dello
Statuto della Regione siciliana, traccia una netta separazione fra finanza statale e
finanza regionale”; due ordinamenti finanziari quello statale e quello regionale,
uno accanto all’altro, ciascuno con un proprio ambito di esercizio di potestà ad esso
riservata”;
Il DPR n. 1074/1965 (le norme di attuazione dello Statuto in materia
finanziaria), ha tradotto la previsione statutaria in un sistema di finanziamento
sostanzialmente basato sulla devoluzione alla Regione del gettito di tributi erariali
riscosso nel suo territorio; “Resta alla Regione la possibilità (espressamente
riconosciuta dal primo inciso dell’articolo 6 delle norme di attuazione) di
intervenire legislativamente anche sulla disciplina dei tributi erariali…”.
La Regione siciliana provvede al suo fabbisogno finanziario, ai sensi del
primo comma dell'articolo 36 dello Statuto della Regione siciliana, spettano alla
Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte
le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette o
indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui
gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare
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particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi
medesime.
Nei limiti dei principi del sistema tributario dello Stato la Regione può
istituire nuovi tributi in corrispondenza alle particolari esigenze della comunità
regionale.
I tributi degli Enti Locali
Il tributo si concretizza in una prestazione in denaro, imposta al cittadino,
affinché contribuisca alla copertura delle spese pubbliche. Le specie di tributi
più comuni sono: le imposte, le tasse, i contributi o tributi speciali.
Le imposte
L’imposta viene definita come una prestazione coattiva, di regola
pecuniaria, dovuta dal soggetto passivo, senza alcuna relazione specifica con
una particolare attività dell’Ente pubblico.
La funzione dell’imposta è quella di far concorrere alle spese pubbliche
tutti coloro che sono interessati all’esistenza e al funzionamento dello Stato e
degli altri enti pubblici locali cui questo ha conferito la potestà tributaria.
Le tasse
La tassa è una prestazione pecuniaria dovuta dal singolo che trae origine
da una controprestazione che lo Stato o l’Ente locale effettua su richiesta del
soggetto. Tale controprestazione è relativa alla erogazione di un servizio
pubblico, divisibile e individualizzabile (Vedi schema 3).
L’ordinamento tributario, tradizionalmente classifica le tasse in due
categorie:
Le tasse amministrative che sono dovute per ottenere autorizzazioni,
certificazioni o per l’emanazione di atti. In questi casi, si è soliti distinguere tra:
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tasse sugli affari civili (tasse per certificazioni); tasse relative alla vita intellettuale
(tasse scolastiche, tasse d’ingresso ai musei); tasse per la vita economica.
Le tasse giudiziarie sono dovute dai privati sia per i giudizi civili, sia per i
provvedimenti di volontaria giurisdizione, sia, infine, per l’attività di ufficio svolta
dall’Autorità giudiziaria nell’esercizio della giurisdizione penale per la
repressione dei reati.
I contributi
Il contributo è costituito da un’entrata pubblica, di natura tributaria, che
l’Ente pubblico impositore realizza sotto forma di prelievo coattivo di ricchezza
a carico di determinati soggetti per il fatto che costoro traggono vantaggio
diretto o indiretto da determinati servizi pubblici, anche senza che essi li
abbiano richiesti.
Nei contributi, l’obbligazione di pagamento nasce ex lege per effetto
delle spese sostenute dall’Ente pubblico nel realizzare, di propria iniziativa,
un’attività o un servizio che soddisfa in primo luogo un interesse generale. I
singoli ne traggono comunque vantaggio e appare, quindi, giusto che a loro
carico venga posta una quota del costo sostenuto.
Gli elementi costitutivi del rapporto giuridico tributario
In ossequio al dettato dell’articolo 53 della Costituzione, presupposto
dell’imposta è la situazione, l’atto, il fatto al cui verificarsi l’ordinamento
giuridico ricollega l’assoggettabilità di un soggetto all’imposizione (ad esempio,
l’essere titolare di un reddito).
Pertanto, gli elementi tipici del rapporto giuridico tributario sono: il
soggetto attivo; il soggetto passivo; il presupposto; la base imponibile;
l’aliquota; la fonte. Nel dettaglio:
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
il soggetto attivo: è lo Stato e l’Ente locale, titolari della capacità
impositiva;

il soggetto passivo: è il contribuente (o i contribuenti) obbligato ad
adempiere all’obbligazione tributaria;

il presupposto: è la situazione, l’atto, il fatto al cui verificarsi
l’ordinamento giuridico ricollega la nascita dell’obbligazione tributaria;

la base imponibile: è la grandezza cui va commisurata l’imposta;

l’aliquota: è la misura del prelievo tributario;

la fonte dell’imposta: è la ricchezza da dove il contribuente attinge per
corrispondere l’imposta stessa.
Agli Enti locali è dato disciplinare, con regolamento le proprie entrate,
anche tributarie, in forza dell'articolo 52 del D. Lgs. n. 446/97, salvo per quanto
riguarda l'individuazione e la definizione delle fattispecie imponibili, dei
soggetti passivi, dell'aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle
esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti.
Il 4° c. dell’art. 149 D. Lgs n. 267/2000 ("Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli Enti locali"), chiarisce che la finanza dei Comuni e delle
Province è costituita da:
a) imposte proprie
b) addizionali e compartecipazioni a imposte erariali o regionali
c) tasse e diritti per servizi pubblici
d) trasferimenti erariali
e) trasferimenti regionali
f) altre entrate proprie, anche di natura patrimoniale
g) risorse per investimenti
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h) altre entrate.
Profili organizzativi ed attuativi
Per quanto riguarda i profili organizzativi e attuativi del prelievo
tributario queste sono demandante agli Enti locali che con apposite norme
regolamentari disciplinano le fasi di liquidazione, di riscossione ed
accertamento (regolamento generale delle entrate).
Scopo pertanto del regolamento generale delle entrate degli Enti locali è
quello di disciplinare in via generale le entrate comunali ai fini dell’applicazione
dei tributi di competenza dell’Ente già istituiti a livello legislativo.
Orbene l’articolo 52 del D.Lgs. n. 446/97, al 5° comma, nell’offrire ai
Comuni una pluralità di modelli di gestione di tributi e delle entrate stabilisce
una serie di principi e criteri a cui devono essere informati i regolamenti
comunali o provinciali.
Oltre alla gestione diretta con i propri uffici (c.d. in economia) consentita
anche in forma associata (convenzioni, consorzi, Unioni di Comuni) gli Enti
locali hanno la facoltà di deliberare l’affidamento a terzi, anche disgiuntamente
delle attività di liquidazione, accertamento e riscossione, attraverso le società
c.d. in house o per il tramite dei soggetti qualificati.
Tralasciando le procedure per l’affidamento di tali servizi secondo le
regole di evidenza pubblica quello che qui mi preme sottolineare, quanto ai
vari regolamenti comunali delle entrate, è la previsione al loro interno nonché
il rispetto dello Statuto dei Diritti del Contribuente.
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Pur atteggiandosi come legge fondamentale in quanto attuativa di
garanzie costituzionale recante i principi generali dell’ordinamento tributario,
lo Statuto ha faticato a trovare ingresso nelle fonti normative degli Enti
territoriali.
Secondo uno studio del professore Uricchio, Rettore dell’Università di
Bari, del 2013 autonomia finanziaria e potere normativo in Maggioli, su oltre
8.000 Comuni esaminati poco più del 10% aveva adottato un regolamento in
materia, mentre, altri si sono limitati ad una riproduzione incompleta delle
stesse disposizioni della legge 212 del 2000;
in altri casi ancora i Comuni hanno inserito nel regolamento generale
delle entrate un unico articolo con il quale si rinvia a tutta la legge rendendo
l’applicazione dell’autotutela e degli altri istituti deflattivi di scarso rilievo
pratico operativo soprattutto quando le stesse attività di accertamento o di
riscossione venivano affidate a società terze.
Il problema è emerso in tutta la sua interezza in materia di interpello
ovvero in ordine alle competenze del Garante del contribuente;
si rende, infatti, necessario verificare se i contribuenti possano proporre
istanze di interpello agli Enti territoriali ovvero possano segnalare disfunzioni,
irregolarità, anomalie, ecc. in materie di tributi di tali Enti al Garante del
Contribuente istituito presso le Direzioni Regionali dell’Agenzia delle entrate.
Entrambe le tesi trovano, per altro, riscontri nella disciplina dello Statuto:
la prima meglio si salda all’obbligo degli Enti locali di darvi attuazione e di
conformare ad esso il proprio ordinamento interno,
la seconda trova conforto nel tenore letterale del primo comma dell’art.
11, L. 212/2000 che identifica nell’Amministrazione finanziaria il soggetto
destinatario dell’istanza di interpello ovvero dell’art. 13 che non a caso insedia
l’organo presso gli uffici regionali dell’Agenzia delle entrate.
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Al riguardo deve ritenersi che le violazioni dello stesso possono essere
direttamente invocate dal contribuente.
In questo senso, si è espressa la Cassazione, sez. tributaria 22 marzo
2005, n. 6201, secondo cui le norme dello Statuto esprimono principi aventi
carattere generale i quali trovano applicazione anche per gli Enti locali;
conseguentemente, le amministrazioni sono tenute ad osservare le
prescrizioni ivi contenute “a prescindere dal termine assegnato agli Enti locali
per adeguare i rispettivi statuti e regolamenti ai principi desumibili dalla nuova
normativa” (nel caso specifico, si trattava delle disposizioni in materia di
motivazione degli atti in materia di tassa per la raccolta di rifiuti;
nello stesso senso Cass., sez. trib., 1° aprile 2005 la quale ritiene
comunque applicabili nei confronti dei Comuni le disposizioni dello Statuto che
impongono alle amministrazioni fiscali iniziative e comportamenti volti ad
assicurare la effettiva conoscenza da parte dei contribuenti degli atti loro
destinati).
Alla luce degli orientamenti della giurisprudenza, non si dovrà quindi
dubitare della giustiziabilità della violazione delle norme dello Statuto nel caso
di mancata adozione dei regolamenti degli Enti locali nel temine stabilito
dall’art. 1, citato, potranno essere così impugnati e quindi potranno essere
dichiarati illegittimi dalle Commissioni Tributarie gli atti di accertamento o della
riscossione emanati dagli Enti locali che non tengano conto della nuova
disciplina (si pensi soprattutto ai vizi riguardanti la fase dell’accesso che si
riflettono sull’accertamento o quelli relativi alla motivazione degli avvisi di
accertamento, ecc.).
A mio parere gli interventi con la legge delega fiscale 23/2014 con cui il
legislatore ha inteso di porre rimedio alla deframmentazione della disciplina
estendendo l’istituto dell’interpello e della mediazione reclamo alla
controversie riguardanti i tributi locali risultano insufficienti, certamente
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l’introduzione dello Statuto dei diritti del Contribuente avrebbe potuto
sicuramente risolvere tantissime questioni.
Concluso l’aspetto introduttivo passiamo alla fase dell’attuazione del
prelievo.
Le fasi e gli atti dell’accertamento dei tributi locali.
Accertamento
L’accertamento può essere definito come una sequenza di atti a composizione
variabile, finalizzata alla determinazione del maggiore tributo dovuto.
Tale attività compete naturalmente all’Ente impositore cui è demandato il
controllo delle dichiarazioni fiscali provenienti dai contribuenti comunque
denominate (per alcuni tributi locali viene infatti adoperata l’espressione denuncia
o Comunicazione, come nel caso della Tarsu - art. 70, d.lgs. 507 del 1993 - della
Tosap o ai fini prima dell’lCI e ora dell’lMU.
Queste ultime, peraltro, possono essere configurate come negozi giuridici
recettizi in quanto, da un lato, recano assetti di interessi, operando una
ricognizione del debito d’imposta in relazione alla fattispecie tributaria
astrattamente regolata dalla norma, e, dall’altro, devono essere portate a
conoscenza dell’Ente impositore (erariale o locale) il quale può procedere,
successivamente, agli opportuni controlli.
Termini e modalità della fase accertativa.
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La fase accertativa viene disciplinata dal legislatore in ordine a termini e
modalità.
È di tutta evidenza come tale attività si atteggia come eventuale dovendo essere
necessariamente sottoposte a controllo tutte le dichiarazioni o denunce tributarie
presentate dai contribuenti.
Allo stesso tempo l’Ente impositore, in quanto portatore dell’interesse alla
percezione del prelievo, ha la possibilità ad accertamento d’ufficio nel caso di
omessa presentazione dell’atto dichiarativo promanante dal privato.
Va peraltro avvertito che l’attività accertatrice posta in essere dalle
amministrazioni locali appare dominata da regole poste con norma primarie poste
dalle leggi dello Stato o subprimarie dettate con i regolamenti di cui all’art. 52 e
seguenti, D.lgs. 446 del 1997.
Le dichiarazioni tributarie nelle singole forme di prelievo degli Enti locali
Anche per i tributi locali, come per quelli erariali, numerosi sono gli obblighi
formali che assecondano le fattispecie imponibili.
Tra di essi, il principale è l’obbligo dichiarativo cui fanno seguito altri doveri
formali di diversa natura, riconducibili al dovere di collaborazione tra le parti del
rapporto tributario (art. 10, legge 212 del 2000).
Nell’intento di semplificare gli adempimenti, l’art. 8, terzo comma, stabilisce
che la dichiarazione della pubblicità annuale, ove non intervengano variazioni che
influiscano sulla misura dell'imposta, ha effetto anche per gli anni successivi.
L’istruttoria
A fronte di tali obblighi dichiarativi, sono riconoscibili distinti poteri affidati
alle amministrazioni tributarie locali, sia di natura istruttoria o investigativa, sia di
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carattere accertativo in senso proprio.
È di tutta evidenza che, se comparata con la legislazione in materia di
imposte sui redditi o Iva, quella riguardante l’attuazione del prelievo con riguardo
ai tributi locali, sia nel momento istruttorio che in quello dell’accertamento vero e
proprio, appare molto più scarna.
Qualora la fase istruttoria assuma un’autonoma rilevanza rispetto a quella
dell’accertamento (si pensi a quanto previsto ai fini della tassa rifiuti o
dell’accertamento delle aree fabbricabili ai fini dell’imposta comunale sugli
immobili), deve trarsi la conseguenza che i vizi della fase istruttoria si riflettono
sull’atto di accertamento a condizione che quest’ultimo sia stato adottato e utilizzi
le risultanze della prima.
Tale conclusione poggia infatti sul principio dell’inutilizzabilità della prova
acquisita contro legem;
sebbene emerso sul terreno del processo penale, esso si atteggia come
regola generale, applicabile a qualunque processo in quanto “diretta conseguenza
di un principio logico (già aristotelico) di non contraddizione, per cui.- se il
legislatore pone le regole del gioco non può nel contempo ammettere che dette
regole possano essere violate senza conseguenze sul risultato finale probatorio.
L’autonomia della fase istruttoria rispetto a quella di accertamento
comporta, inoltre, analogamente a quanto affermato con riguardo alle imposte sui
redditi, l’obbligo di valutazione “critica” degli elementi rinvenuti nel corso
dell’istruttoria.
Anche in giurisprudenza (Cassazione, sentenza del febbraio 2005, n. 114)
è stato affermato che “è principio generale che gli uffici tributari, ai fini
dell’accertamento non possono acquisire automaticamente gli elementi forniti
dagli organi verificatori, ma debbono valutarli con argomentazioni critiche e
probatorie da trasfondere nella motivazione”.
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Sebbene tali conclusioni siano state raggiunte con riguardo alle imposte
sui redditi e all’Iva, con riguardo alle quali l’attività di verifica può essere
demandata ad organi investigativi (guardia di finanza) distinti dagli uffici
accertatori esse possono essere estese a qualunque tributo proprio per la
riconosciuta valenza di principi generali.
Non può peraltro sfuggire che, per effetto delle disposizioni cui alla legge
finanziaria
per
il
2007,
possono
essere
affidati
poteri
ausiliari
nell’accertamento di violazioni di carattere tributario a soggetti dipendenti
dell’Ente locale oppure delle società che risultino affidatarie, anche in maniera
disgiunta, delle attività di liquidazione, di accertamento e di riscossione delle
entrate comunali.
Al fine di potenziare l’azione di contrasto dell’evasione, tali nuove figure
di ausiliari all’accertamento potranno, ad esempio, essere utilizzati
nell'accertamento e nella contestazione delle violazioni in caso di occupazioni
abusive di spazi e aree pubbliche o di abusivismo pubblicitario.
Invero, la formula adoperata dalla norma entrate che si verificano sul
territorio comunale induce a ritenere che i soggetti investiti nelle funzioni in
esame possano esercitare le proprie funzioni investigative anche con
riferimento ai tributi erariali interessati alla partecipazione ai Comuni
all’accertamento.
Poteri istruttori più ampi sono poi stabiliti dalla L. 133/2008, che ha
inserito all’art. 83 del decreto legge 112 dello stesso anno il comma 28-sexies,
per effetto del quale gli enti locali soggetti affidatari del servizio di
accertamento e di riscossione delle entrate degli stessi enti possano accedere,
con le modalità stabilite dalla disposizione in esame, ai dati e alle informazioni
disponibili presso il sistema informativo dell’Agenzia delle entrate, compresi i
dati e le informazioni che le banche, le Poste Italiane S.p.A. e gli altri
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intermediari sono tenuti a comunicare all’Anagrafe Tributaria ai sensi del D.M.
16 novembre 2000.
Diversi sono i poteri di controllo di cui dispongono i Comuni con riguardo a
tale forma di prelievo. Al fine di rendere meno invasivo il loro esercizio, l’art. 71
attribuisce all’ente locale il potere di richiedere l’esibizione di atti, documenti,
planimetrie o la compilazione di questionari.
Dal coordinamento dell’art. 71, citato, con lo Statuto dei diritti del
contribuente (legge n. 212 del 2000) discende che l’accesso nei locali in cui sono
svolte attività economiche o in quelli costituenti domicilio può essere effettuato
solo nelle ipotesi di effettive esigenze di indagine e controllo sul luogo e che il
soggetto incaricato dell’accesso debba informare il contribuente delle ragioni
che l’hanno determinato e dei diritti e obblighi che lo riguardano, compreso
quello di farsi assistere da un difensore abilitato.
Le Amministrazioni procedono, inoltre, all’accertamento in rettifica delle
denunce ed in caso di infedeltà ed incompletezza procedono all’accertamento
d’ufficio come nel caso di omessa presentazione della denuncia.
Gli Enti impositori, e per essi i funzionari responsabili del tributo, devono,
pertanto, effettuare le seguenti operazioni di controllo:
a)
liquidare tutte le denunce e i versamenti effettuati, controllando la
correttezza dei calcoli effettuati e correggendo gli errori eventualmente
commessi dai contribuenti in sede di autotassazione;
b) verificare la corrispondenza delle denunce presentate rispetto a quanto
previsto nelle concessioni e autorizzazioni ed in caso di difformità
procedere all’accertamento per infedele, inesatta o incompleta
denuncia, con applicazione delle relative sanzioni;
c)
accertare d’ufficio in "caso di mancata presentazione della denuncia, in
presenza o meno di una autorizzazione o concessione di suolo pubblico,
applicando le relative sanzioni;
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d) effettuare i controlli sul territorio necessari per individuare le occupazioni
abusive da sanzionare per violazione alle norme del regolamento
comunale o provinciale e da accertare d’ufficio.
L’Atto di accertamento: i requisiti
Inquadrati i poteri istruttori degli uffici tributari comunali e locali occorre
orientare l’indagine nei confronti dell’attività di accertamento.
Particolare rilevanza assume, anche per i tributi locali, la distinzione tra
accertamento in rettifica e accertamento d'ufficio:
il primo trova applicazione qualora esso si diriga alla dichiarazione (o alla
denuncia tributaria) qualora questa si riveli infedele o incompleta,
il secondo nel caso di omissione o nullità della dichiarazione.
Gli enti locali devono, poi, procedere alla verifica dei versamenti
effettuati dai contribuenti, provvedere alla correzione di eventuali errori di
calcolo eventualmente commessi in caso di autotassazione, effettuando i
recuperi o i rimborsi necessari.
Completata tale attività, gli Enti impositori devono procedere
all’adozione e alla successiva notifica dell’avviso di accertamento il quale deve
recare l’indicazione dei seguenti elementi:
a) gli estremi identificativi del contribuente destinatario dell’attività di
accertamento;
b) gli elementi di fatto cui si riferisce la pretesa tributaria;
c) le aliquote applicabili;
d) l’ammontare delle somme dovute a titolo di tributo, sanzioni e
interessi;
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e) le modalità ed i termini per il ricorso alla Commissione Tributaria
Provinciale attraverso l’avviso di accertamento;
f) il termine di 60 giorni entro cui effettuare il pagamento, usufruendo
della riduzione della sanzione;
g) la motivazione dell’accertamento;
h) la data e le modalità in cui viene eseguita la notificazione degli avvisi;
i) la sottoscrizione del funzionario responsabile.
La motivazione degli Atti accertativi riguardanti i tributi locali
Tra i requisiti dell’atto di accertamento, la motivazione è senz’altro il più
importante.
E ciò non soltanto perché previsto a pena di nullità ma proprio in considerazione
della funzione che assolve all’interno dell’atto stesso e con riguardo al rapporto tra
ente impositore e contribuente.
Procedendo con ordine, va ricordato che l'art. 7 della L. 212/2000 (Statuto dei
diritti del contribuente), intitolato significativamente "chiarezza e motivazione
degli atti”, stabilisce, al primo comma, che gli atti degli enti impositori sono
motivati secondo quanto prescritto dall'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241,
con l’indicazione dei presupposti di fatto e delle “ragioni giuridiche che hanno
determinato la decisione dell’amministrazione”.
Lo stesso comma dispone, inoltre, che “se nella motivazione si fa riferimento
ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
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Come emerge dalle disposizioni richiamate, l’obbligo della motivazione, posto
in via generale per tutti gli atti dell’amministrazione finanziaria, sia di
accertamento, sia di liquidazione, sia di riscossione, viene collegato all’obbligo di
chiarezza dell’atto;
va però avvertito mentre la motivazione è requisito essenziale dell’atto previsto
a pena di nullità, la chiarezza costituisce piuttosto un elemento estrinseco dell’atto,
riguardando il rapporto tra l’amministrazione ed i destinatari dell’atto stesso, nel
quadro della reciproca “collaborazione e buona fede” (ex art. 10 Statuto).
Va, ancora, avvertito che la motivazione pone il destinatario dell’atto nella
condizione di decidere se esercitare il diritto di agire giudizialmente avverso l’atto
dell’amministrazione e quindi di apprestare e svolgere efficacemente la tutela dei
propri diritti anche in sede contenziosa (art. 24, Cost.).
Quanto
al
profilo
soggettivo,
nonostante
il
riferimento
agli
atti
“dell’amministrazione finanziaria”, deve ritenersi che la norma va intesa nel senso
più ampio di atti emanati da tutti gli organi comunque titolari di funzioni di
"accertamento, riscossione e liquidazione di tributi di qualsiasi natura (si pensi
quindi agli enti locali, ai concessionari o ai soggetti di cui agli artt. 52 e 53 d.lgs. 15
dicembre 1997, n. 446) (22).
Le modalità e i termini dell’accertamento dei tributi locali
L’art. 1 comma 161 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 rispondendo ad
un’avvertita da tempo esigenza, ha dettato le regole, in modo unitario, per
l’accertamento di tutti i tributi locali, precisandone modalità e termini talché,
oggi, si è in presenza di un unico sistema d’esercizio del potere impositivo degli
enti locali per tutti i propri tributi, non essendo giustificate nel previgente
sistema le diverse modalità e soprattutto i diversi termini previsti per le
notifiche degli atti impositivi dei distinti tributi locali.
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L’articolo 1, comma 161 L 296/06, recita: “gli enti locali, relativamente ai
tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni
incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché
all'accertamento d'ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti,
notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso
di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in
rettifica e d'ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31
dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il
versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi
termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative
tributarie, a norma degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre
1997, n. 472, e successive modificazioni.”
Innanzitutto, va chiarito che il nuovo sistema accertativo, non molto
dissimile dal passato, prevede la emanazione di tre tipi di atti impositivi e
precisamente:
a) accertamento d’ufficio delle dichiarazioni omesse;
b) accertamento in rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli;
c) accertamento di ritardati, parziali o omessi versamenti
Con l’avviso di accertamento d’ufficio, l’ente provvederà a contestare al
contribuente l’omissione della dichiarazione e richiedere il relativo versamento
del tributo, con interessi e sanzioni;
con l’avviso in rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli, l’ente
impositore, sulla scorta di una rettifica della dichiarazione incompleta o
infedele presentata dal contribuente, sarà legittimato a richiedere la differenza
di imposta, oltre agli accessori,
con l’avviso di accertamento di omesso o parziale pagamento sarà
possibile contestare parziali o ritardati versamenti pur in presenza di una
dichiarazione formalmente corretta.
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La notifica degli atti giudiziari
La notifica degli atti giudiziari deve essere effettuata da specifici soggetti
abilitati.
Tali soggetti, nello specifico campo tributario per gli atti d’imperio, si
possono individuare:
1) negli ufficiali giudiziari o messi notificatori (secondo il D.P.R. 1973/600
art. 60 e artt.137 c.p.c.);
2) negli agenti postali (in forza dell’art. 4 D.lgs 261/99), in quanto unici
soggetti legittimati ad attestare, con valore di pubblica fede, la data di spedizione
del piego raccomandato o della compilazione della relata.
Invero, per esigenze di ordine pubblico e di certezza dei rapporti giuridici,
solo gli impiegati addetti agli uffici postali possono qualificarsi pubblici ufficiali
(Cass. sent. n.11095/2008)1.
A tal proposito, la Suprema Corte, con la nota sentenza n. 2262/2013, ha
statuito che “l’attestazione di spedizione rilasciata da una agenzia di posta privata
non ha alcun valore legale e non può equipararsi alla certificazione di spedizione
rilasciata da Poste Italiane, (unico soggetto abilitato agli invii raccomandati nelle
procedure giudiziarie ed amministrative), certificazione documentata dall'apposita
1
Pronuncia che si inserisce in un caso similare in cui La Corte di Cassazione ha
anche precisato che la violazione della riserva alle poste italiane del servizio de quo
comporta inesistenza della notificazione, perché del tutto difforme dal modello
predisposto dal legislatore.
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ricevuta di spedizione prevista dal regolamento postale ovvero desumibile dal
timbro apposto dall'ufficio mittente sulla busta contenente l'atto.”
Del resto, la stessa Corte ha precisato che “in tema di notifica a mezzo posta,
il D.lgs 22 luglio 1999 n. 261, pur liberalizzando il servizio postale in attuazione della
direttiva 97/67/CE, all’articolo 4, comma 5, ha continuato a riservare in via
esclusiva, per esigenze di ordine pubblico, al fornitore del servizio universale (l’Ente
Poste), gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie.
Ne consegue che, in tali procedure, la consegna e la spedizione mediante
raccomandata, affidata ad una servizio di posta privata, non sono assistite dalla
funzione probatoria che l’articolo 1 del citato decreto legislativo 261/1999 ricollega
alla nozione di “invii raccomandati” e devono, pertanto, considerarsi inesistenti”
(Cass. sent. n. 31/1/2013 n. 2262).
La ragione giustificativa di tale indirizzo giurisprudenziale risiede nella
possibilità di concedere al contribuente un procedimento notificatorio legale
disciplinato e circondato da garanzie, affinché lo stesso venga a conoscenza (o abbia
una elevata probabilità di conoscere) dell’atto che incide sulla sua situazione
giuridica, permettendogli l’esercizio del diritto di difesa (art 24 Cost.) entro i termini
perentori tributari.
L’attività sanzionatoria degli Enti locali
Con l’art. 3, comma 133, L. 23 dicembre 1996, n. 662, il Governo è stato
delegato a emanare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni per la
revisione organica e il completamento della disciplina delle sanzioni tributarie
non penali.
In attuazione della delega, sono stati adottati tre decreti legislativi
contenenti,
rispettivamente,
le
disposizioni
generali
sulle
sanzioni
amministrative in materia tributaria (18 dicembre 1997, n. 472), le sanzioni
tributarie non penali in materia di imposte dirette, Iva e riscossione dei tributi
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(18 dicembre 1997, n. 471) e le sanzioni in materia di imposta di registro, di
imposta sulle successioni e donazioni, Invim, di imposte ipotecarie e catastali,
di imposta di bollo, di imposta sulle assicurazioni, delle tasse sulle concessioni
governative, delle imposte sulla produzione e sui consumi, dei tributi doganali,
dei tributi locali e delle tasse automobilistiche (18 dicembre 1997, n. 473).
Nel disegno del legislatore, i principi generali sono comuni alle sanzioni
relative a qualunque tipo di tributo, sia erariale che locale (in questo senso si
esprime la relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 473/97.
Nel prevedere un’unica tipologia di sanzione (la sanzione amministrativa
pecuniaria) il legislatore ha utilizzato il modello penalistico, privilegiando la
funzione afflittiva della sanzione in luogo di quella meramente risarcitoria del
danno da inadempimento dell’obbligazione tributaria.
La Legge di Stabilità per il 2015 interviene incisivamente nell'area del
procedimento fiscale, rivoluzionando — pur conservando l'assetto generale —
l'istituto del ravvedimento, e conseguentemente razionalizzando in chiave più
sistematica i c.d. istituti deflativi del contenzioso tributario.
Il ravvedimento, nella riforma delle sanzioni tributarie e il sistema dei
c.d. istituti deflativi.
Il nuovo ravvedimento disciplinato nel novellato art. 13, D.Lgs. n.
472/1997, pur mantenendo l'impianto normativo previgente, presenta
rilevanti novità rispetto al passato.
Il carattere premiale.
Qualche osservazione merita l'analisi sul carattere premiale dell'istituto;
questo viene nella sostanza rafforzato e maggiormente articolato, prevedendo
riduzioni sanzionatorie da un decimo, gradatamente fino a un quinto, con tutte
le frazioni intermedie.
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La spontaneità e la preventività.
Caratteristica
saliente
del
ravvedimento
prima
maniera
era
rappresentata dalla spontaneità e dalla correlata preventività.
La funzione penitenziale propria dell'istituto veniva in specie rivestita di
una aura auto-riparatoria, latamente riconducibile ad una dimensione etica.
Il contribuente diligente ed operoso, pur se esposto all'errore fiscale,
poteva ravvedersi sua sponte, e dunque prima dell'avvio di controlli,
evidentemente a seguito di una qualche forma di audit interno, e non per
effetto di questi.
Il baratto amministrativo/fiscale
Il baratto amministrativo è stato introdotto con il decreto Sblocca Italia,
articolo 24 del Dl 133/2014, che ha previsto per i comuni la possibilità di
accettare, previa delibera, di dettare uno specifico regolamento che definisca i
criteri e le condizioni, la realizzazione di interventi di riqualifica del territorio,
proposti da singoli cittadini o cittadini associati.
Tali interventi, possono riguardare la "pulizia, la manutenzione,
l'abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano,
di recupero e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili
inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio
urbano o extraurbano.”
L'esenzione dal pagamento delle tasse locali grazie al baratto
amministrativo, può essere concessa solo per un periodo di tempo limitato, a
seconda del tipo di tributo da pagare e dell'attività di lavoro socialmente utile,
criteri questi che devono essere decise direttamente dal Comune.
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Pertanto, ai cittadini a cui il Comune accetta il progetto, sarà accordato
di pagare i tributi locali omessi e scaduti, ovvero, di contributi per inquilini
morosi non colpevoli, con la propria prestazione di lavoro socialmente utile, ad
integrazione di quella eseguita dai dipendenti comunali.
Tra i primi Comuni che hanno istituito il baratto amministrativo
riscontriamo:
Milano, Massarosa (Lu), Leggiuno (Va), Invorio (No), Marcellinara (Cz),
Palma di Montechiaro (Ag)
Il concorso di più sanzioni.
Quanto alla ipotesi di concorso di violazioni disciplinata dall’art. 12,
comma 1, del d.lgs. n. 472/1997, va precisato che non pare applicabile l’istituto
della continuazione delle violazioni ed il relativo regime sanzionatorio previsto
in caso di più violazioni commesse in progressione e per un fine unitario di
pregiudizio alla determinazione dell’imponibile od alla liquidazione del tributo.
Guardando alla specifica e peculiare materia dei tributi locali, infatti, si
osserva che le singole norme prevedono (con l’eccezione che riguarda la Tassa
sui rifiuti solidi urbani di cui si dirà) una sanzione irrogabile per l’omessa
dichiarazione iniziale ed una per l’omesso versamento per gli anni successivi.
In effetti, basandosi su di una stretta lettura del dato normativo, si
osserva che gli omessi versamenti non rientrano nella disposizione normativa
di riferimento che ammette il cumulo giuridico.
Nell’esercizio della potestà regolamentare prevista in materia di disciplina
delle proprie entrate, anche tributarie, le province ed i comuni possono
prevedere specifiche disposizioni volte a semplificare e razionalizzare il
procedimento di accertamento, anche al fine di ridurre gli adempimenti dei
contribuenti e potenziare l’attività di controllo sostanziale, introducendo
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l’istituto dell'accertamento con adesione del contribuente, sulla base dei criteri
stabiliti dal d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, nonché la possibilità di riduzione delle
sanzioni in conformità con i principi desumibili dall’art. 3, comma 133, lettera b),
della legge 23 dicembre 1996, n. 662, in quanto compatibili
Il contraddittorio endoprocedimentale
L'applicazione o meno del contraddittorio endoprocedimentale ai tributi
locali sembra avere trovato un orientamento definitivo.
Una delle sentenze più rilevanti che ha generato le preoccupazioni dei
Comuni sull'argomento è la decisione della Cassazione a sezioni-unite n.
19667/2014,
II diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del
provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza
l'inalienabile diritto di difesa del cittadino; presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon
andamento dell'amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost.”
Il rispetto dei diritti della difesa e del diritto che ne deriva, per ogni persona,
di essere sentita prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in
modo negativo sui suoi interessi, costituisce un principio fondamentale del diritto
dell’Unione europea, come afferma la Corte di giustizia nella sentenza 3 luglio
2014, “ogni qualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un
soggetto un atto ad esso lesivo, devono essere messi in condizione di manifestare
utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione
intende fondare la sua decisione.
Ciò vale anche per i tributi locali infatti con ordinanza n. 527/2015, la
questione è stata rimessa alle sezioni unite che si è pronunciata con la sentenza
24823 del 9 dicembre 2015.
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Le sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24823/2015,
affrontano il complesso dilemma, controverso anche all'interno della stessa Corte,
che aveva generato confusione e ansia negli addetti ai lavori degli uffici tributari
comunali.
Le sezioni unite erano chiamate a rispondere al seguente quesito: «se le
garanzie, di carattere procedimentale, predisposte dall'articolo 12, comma 7, l.
212/2000, si applichino soltanto agli accertamenti emessi in esito ad accessi,
ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attività
imprenditoriale o professionale del contribuente;
ovvero se esse – in quanto espressione di un generalizzato obbligo di
contraddittorio nell'ambito del processo amministrativo di formazione dell'atto
fiscale,
eventualmente
riferibile
a
dati
normativi
aliunde
desumibili
nell'ordinamento nazionale o in quello dell'Unione europea – operino pure in
relazione agli accertamenti conseguenti ad ogni altro tipo di verifica fiscale e, in
particolare, in relazione agli accertamenti derivanti da verifiche effettuate presso
la sede dell'Ufficio, in base alle notizie acquisite da altre pubbliche amministrazioni,
da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di
questionari o in sede di colloquio (cosiddette verifiche a tavolino)».
Ebbene con una sentenza molto articolata, la Cassazione analizza tutte le
vicende che hanno interessato la materia spaziando dalla normativa nazionale a
quella comunitaria, dando, altresì, una lettura dettagliata e orientata delle
sentenze, a volte contraddittorie, precedentemente emessa dalla stessa Corte
(anche a sezioni unite).
Il principio di diritto
Dalla complessa analisi ne esce un principio di diritto, si auspica definitivo,
ove si riconosce che, differentemente dal diritto dell'Unione europea, l'attuale
diritto nazionale non prevede in capo all'amministrazione fiscale un generalizzato
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obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di
violazione, l'invalidità dell'atto.
Per i tributi "non armonizzati" con il diritto europeo (cioè quelli di tipo
diretto tra i quali ricadono anche l'Ici, l'Imu e la Tasi) l'obbligo dell'amministrazione
di attivare il contraddittorio sussiste solo se esso è specificamente sancito dalle
norme che regolano quel tributo.
Il contraddittorio risulta, invece, obbligatorio per i tributi "armonizzati"
(cioè quelli di tipo indiretto) in quanto sussiste la diretta applicazione del diritto
dell'Unione.
Alla luce di quanto sopra esposto, gli uffici tributari comunali possono tirare
un sospiro di sollievo, parzialmente rotto dall'introduzione dal 1° gennaio 2016 del
reclamo e della mediazione in forza del D. lgs n. 156/2015.
La riscossione dei tributi degli Enti Locali art. 18, D.L. n. 113/2016
Occorre rilevare che parallelamente ai lavori della riforma costituzionale, il
D.L. n. 113/2016 ha riportato alla luce l’annosa questione circa la riscossione dei
tributi locali in capo ad Equitalia.
Con l’articolo 18 del sopraccitato decreto, infatti, sono stati conferiti
ulteriori sei mesi di proroga per l’uscita di Equitalia dalla riscossione dei tributi
locali, fissando il nuovo termine al 31 dicembre di quest’anno.
Ciò posto, venendo alla situazione attuale, si rileva che il decreto Enti Locali
(D.L.
n. 113/2016) ha da ultimo prorogato il termine al 31.12.2016.
Dal momento di tale cessazione spetterà dunque ai comuni effettuare la
riscossione spontanea e coattiva delle entrate tributarie e patrimoniali e, ove
optino per l’affidamento del servizio a soggetti esterni (con modalità diverse
dunque dall’esercizio diretto o dall’affidamento in house), essi dovranno
procedere nel rispetto delle norme in materia di evidenza pubblica secondo:
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-
la procedura d'ingiunzione fiscale prevista dal regio decreto n. 639
del 1910, che costituisce titolo esecutivo;
-
le disposizioni del titolo II (Riscossione coattiva) del D.P.R. n. 602 del
1973 per quanto compatibili e, comunque, nel rispetto dei limiti di importo e delle
condizioni stabilite per gli agenti della riscossione in caso di iscrizione ipotecaria e
di espropriazione forzata immobiliare.
Il sindaco o il legale rappresentante della società incaricata della riscossione
dovranno nominare uno o più funzionari responsabili della riscossione che
esercitino: le funzioni demandate agli ufficiali della riscossione, ovvero quelle
attribuite al segretario comunale dall'articolo 11 del R.D. n. 639/1910 (assistenza
all'incanto, stesura del relativo), in ottemperanza ai requisiti di legge (abilitazione
e autorizzazione) richiesti per ricoprire il ruolo di esattori degli ufficiali della
riscossione.
PROSPETTIVA DI RIFORMA STRUTTURALE DELLA RISCOSSIONE
In conclusione, e per quanto qui d’interesse, occorre a questo punto capire
in che modo l’uscita di Equitalia dalla riscossione dei tributi incida sul sistema della
riscossione dei tributi degli Enti locali, tanto sia alla luce della omessa attuazione
della delega per il riordino della disciplina delle riscossioni delle entrate degli enti
locali (art. 10, comma 1, lettera c, legge n. 23/2014), che per via della POTESTA’
REGOLAMENTARE AGLI STESSI AFFIDATA.
La normativa vigente sconta, infatti, una grande confusione che andrebbe
eliminata permettendo di conseguenza sia ai cittadini, che all’Amministrazione
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Finanziaria di verificare più compiutamente le dinamiche positive e negative della
riscossione.
Al di fuori, quindi, dei versamenti spontanei, è indubbio che la riscossione
dei tributi debba essere completamente rivista.
La sequenza di rinvii che ha fatto seguito al primo annuncio della cessazione
dell’attività di Equitalia a favore dei Comuni ha, infatti, impedito di realizzare un
intervento omogeneo di riforma del sistema della riscossione, con difficoltà di
delineare un quadro organico per lo svolgimento di tale attività, nel periodo postEquitalia, soprattutto per quanto riguarda la sorte delle partite ancora in fase di
riscossione da parte della società pubblica.
L’abbandono di Equitalia rischia quindi di costituire un duplice problema
per i Comuni, guardando non soltanto alle prospettive future della riscossione,
soprattutto coattiva (a causa della mancanza di chiare disposizioni normative in
grado di permettere sia ai Comuni intenzionati a riscuotere in proprio, sia ai
concessionari privati di utilizzare le medesime prerogative riconosciute alla società
pubblica), ma anche al passato, in cui la gestione delle partite creditorie degli Enti
locali non ha mai costituito uno dei principali interessi dell’Agente della riscossione,
anche in virtù dello scarso valore economico delle singole partite tributarie da
riscotere per conto dei Comuni, che, cumulandosi nel tempo, hanno in ogni caso
generato un importo enorme di crediti ancora da esigere, che gli Enti locali
continuano a mantenere come residui attivi nei propri bilanci, ma che – con il
passare degli anni – diventano sempre più difficilmente realizzabili.
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