Ente Parco di Montemarcello-Magra Parco Naturale Regionale. Progetto Pilota riproducibile mirato alla riabilitazione ed all'inserimento socio lavorativo di soggetti portatori di patologie psichiche attraverso la terapia occupazionale e orticolturale λογοσ Logos servizi Ente Parco di Montemarcello-Magra Parco Naturale Regionale. i n d i c e pag. 2 relazione sul ruolo dell’ortoterapia pag. 13 progetto del sito Piano di Beverino pag. 27 relazione minima sulla fitocenosi pag. 33 schede di coltivazione pag. 67 analisi terreno collinare Beverino pag. 70 giardino delle farfalle pag. 74 aspetti gestionali λογοσ Logos servizi “Un mazzetto di fiori stretto in una mano, le cui dita rappresentano la frase ti voglio bene e' il simbolo della terapia orticolturale dal sito della Kansas State University”. 1 Premessa: In tutti i miti la terra ha un ruolo primordiale: è la “grande madre”, “ il ventre materno”, il linguaggio della natura e il linguaggio dell'anima. L'alchimia proponeva una visione simbolica della natura che è un libro che occorre imparare a leggere per conoscere noi stessi. Il grande giardino della natura è il luogo del medico del corpo e dello spirito. Il giardino, sia naturale che dell'uomo, può essere declinato attraverso l'incontro dei suoi paesaggi, anche agrari, e l'utilizzo che ne viene fatto: giardini di pace, delle emozioni, dei sensi, massonici, simbolici, filosofici, alchemici, fantastici, dell'armonia. di amore e di tolleranza; luoghi che possiamo variamente e diversamente utilizzare in funzione di obbiettivi differenti. Nel passato molte persone hanno tratto positivi benefici dall'interazione con le piante e con la natura: il recente ridestarsi di interesse ha fatto sorgere una terminologia varia che identifica tali attività quali terapia orticolturale HT(Horticultural Therapy), terapia del giardinaggio, orticoltura sociale e giardinaggio terapeutico; questi termini sono spesso usati in maniera interscambiabile e con il termine terapia orticolturale si ricomprendono i vari interventi sia terapeutici che occupazionali. L'HT rappresenta un modello di come l'agricoltura multifunzionale ed il giardinaggio servano per la riabilitazione psichiatrica ed occupazionale. Il progetto pilota ha questi obiettivi: attraverso l’impianto dell’azienda agricola sociale luogo/laboratorio nel quale la terapia orticolturale ed occupazionale sarà praticata. 2 La terminologia da A.H.T.A. (American Horticultural Therapy Association) Terapia orticolturale (HT) E' l'impiego di un utente in attività agricole e di giardinaggio facilitato da un trained therapist con obbiettivi specifici e documentati di trattamento; il processo stesso è considerato attività terapeutica. I programmi terapeutici possono essere adottati in una varietà di cure, riabilitazioni e comunità terapeutiche. Horticultural therapeutic E' un processo che usa le piante e la relazione con esse come mezzo per creare “well-being” nei partecipanti. Gli obiettivi non sono definiti clinicamente né documentati. Il leader usa il contatto con il giardinaggio e l'orticultura come un medium per il benessere umano. Social horticulture ( o community horticulture) Non vi sono trattamenti né obiettivi terapeutici, infatti non è presente alcun terapeuta: il focus è un'interazione sociale attraverso le attività di giardinaggio ed agricole in generale, in Italia fra le aziende agricole multifunzionali si considerano anche le aziende che praticano agricoltura sociale, sia per inserire disabili nei processi produttivi che come luogo di socializzazione (P.S.R. 2007-2013). Vocational horticulture Consente con la terapia occupazionale l'inserimento (dopo il training) di individui per lavorare in aziende agricole o di gestione del verde al fine di raggiungere l'indipendenza o la semi-indipendenza economica. Questi soggetti possono non essere disabili, ma anche fasce deboli del mercato del lavoro come le donne retravailler. 3 Breve storia dell'HT L'utilizzo dell'orticoltura e del giardinaggio in rapporto ai sensi data dal 2000 A.C.. Infatti i fertili fiumi della valle del Tigri e dell'Eufrate ispirarono i primi giardini dei sensi. I Persiani, circa nel 500 a.c., crearono giardini per compiacere tutti i sensi, bellezza, fragranza, musica (acqua) e temperature miti. Nel 1100 San Bernardo descrive il giardino del monastero di Clairaux riferendo sui benefìci terapeutici del silenzio, del verde, dei profumi e del canto degli uccelli( Gerlach – Spriggs, Kaupfman & Warner, 1998). Nel 1699 Leonard Maeger scriveva che “ non vi è modo migliore di conservare la propria salute che lavorare in giardino” (English gardener). Nel 1812 il Dottor Benjamin Rush professore dell'Istituto di Medicina e Pratiche Cliniche dell'Università della Pennsylvania (conosciuto per il suo ruolo nello sviluppo della psichiatria moderna) pubblicò il suo libro “Medical inquirers and observation upon diseases of the mind” che introdusse il metodo scientifico in base al quale la lavorazione del terreno e in rapporto con le piante può avere un benefico effetto sulla salute mentale. Da allora l'agricoltura e le attività di giardinaggio furono incluse negli ospedali psichiatrici: primo esempio conosciuto data nella Philadelphia del 1813. Nel 1879 fu costruito il primo giardino terapeutico che iniziò la lunga tradizione della terapia orticolturale. Programmi di HT furono utilizzati in migliaia di interventi di riabilitazione di reduci della prima e seconda guerra mondiale. Negli anni '50 del secolo scorso Alice Burlingame progettò corsi di terapia orticolturale al Pontiac State Hospital e fu attivato il primo master in HT alla Michigan State University. Nel 1960 la Burlingame scrisse il primo libro sulla terapia orticolturale con il Dr. Donald Watson, “Therapy through Horticulture” (Burlingame & Watson 1960). Negli anni 70 fu istituito il primo corso di laurea universitaria presso la Kansas State University in collaborazione con il National Council Job Therapy, & Rehabilitation. I programmi di HT si sono diffusi in Australia, Giappone, Canada, Gran Bretagna (l'Università di Reading rilascia un certificato in Social and Therapeutic Horticulture). In Italia la Scuola Agraria del Parco di Monza organizza corsi professionali in materia. La formazione Il primo master in HT risale agli ani ’50 presso la Michigan State University ed il primo corso di laurea universitario è stato istituito 30 anni fa presso la Kansas State University in collaborazione con il National Concil Therapy & Rehabilitation through horticulture. Interessanti programmi di HT sono attuati in Australia dall’Horticulturale Therapy Society e Giappone da Japan Horticultural Society. 4 In Gran Bretagna Università di Reading rilascia un Certificate in Social and Therapeutic Horticulture. La prestigiosa American Horticulture Therapy Association (AHTA),associazione senza fini di lucro, ha messo a punto uno schema di registrazione volontaria dei professionisti basato su un sistema di accreditamento a punti, ottenibili per lo più frequentando corsi ufficialmente riconosciuti, (ma anche dimostrando attività pubblicistica e ed altre esperienze professionali). organizzato nei seguenti livelli: • Horticultural Therapist Assistant (HTA) (personale con ridotta esperienza in HT ma con almeno 500 ore di attività volontaria o retribuita). • Horticultural Therapist Registered (HTR) (minimo una esperienza di 2000 ore retribuite). • Master Horticultural Therapist (almeno 8000 ore retribuite). I programmi formativi includono le seguenti materie: z specializzazione in terapia orticolturale; z tecniche di HT tarate sui bisogni della popolazione; z programmazione dell'HT (analisi dei bisogni, pianificazione delle attività e definizione degli obbiettivi); z ricerca; z programmazione (funding); z grant writing; z scienze orticolturali; z management; z botanica, propagazione delle piante, scienze del suolo, entomologia, patologia vegetale, fisiologia; z progettazione e disegno del paesaggio; z disegno dei fiori; z scienze terapeutica – human; z psicologia; z sociologia; z dinamica di gruppo; z riabilitazione vocazionale (occupazionale); z Servizi e skills terapeutici; z Anatomia e fisiologia; z linguaggio dei segni, C.P.R., interventi sulle crisi. In attesa anche in Italia del riconoscimento della figura del terapista orticolturale, anche se alcune esperienze formative sono in atto (come i corsi della scuola Agraria del Parco di Monza o altre agenzie formative) appare necessario formare il personale preparato nella gestione del paziente psichiatrico ed esperto in orticoltura. Il progetto pilota è stato inserito nel programma triennale delle politiche attive del lavoro della Provincia della Spezia, partner del progetto. Le azioni formative richieste sono un corso di qualifica per terapista orticolturale: “l'agricoltura e il 5 giardinaggio” e infatti non sono limitate solamente allo sviluppo di attività simboliche e riabilitative ma anche produttive; corso per operatore agricolo (biologico e biodinamico) rivolto ai riabilitandi: occorre verificare la sperimentabilità e finanziabilità di inserimenti lavorativi di lungo periodo: la terra e la natura hanno propri cicli e la formazione in situazione è essenziale, occorre inoltre verificare eventuali differenze di genere. Esistono diverse interpretazioni dell'operatività dell'HT, da una branca dell'ergoterapia alla declinazione di quelle interazioni non strutturate che riguardano anche il permanere in giardini perchè le immagini, il silenzio e i suoni della natura riducono lo stress, infatti la tipologia di programmi dell'HT e dei giardini terapeutici riguardano: ■ programmi di riabilitazione occupazionale, vocazionale e per-vocazionale; ■ programmi per ospedali psichiatrici e sulla salute mentale; ■ programmi sull'abuso di sostanza stupefacenti; ■ ospedali, cliniche, e centri attrezzati; ■ programmi di cure palliative; ■ centri oncologici; ■ programmi correzionali; ■ rifugi per i senzatetto e vittime di abusi; ■ scuole pubbliche e private; ■ orti sociali; ■ giardini botanici. 6 Le possibilità di inserimenti lavorativi Diane Relf, individua quattro elementi per classificare un'attività come HT: z una procedura di trattamento centrata su operazioni che riguardano le piante; z un paziente a cui sia stata definita sia la diagnosi che la terapia; z un obbiettivo dell'intervento opportunamente valutato e misurato; z un professionista qualificato che somministri il trattamento. L'HT può far parte a pieno titolo di processi terapeutici-riabilitativi di persone afflitte da rilevanti problemi mentali, fisici o sociali, in quanto offre abilità motorie, stimola le capacità di problem solving, restituisce al paziente fiducia nelle proprie capacità, lo rende consapevole dello spazio, facilita il rapporto con il mondo esterno, contribuendo in maniera determinante al raggiungimento di un fondamentale obiettivo riabilitativo: il recupero di abilità per una qualità di vita accettabile. Ma si può andare oltre: un paziente in buon equilibrio, adeguatamente qualificato nel settore del giardinaggio e della cura delle piante può essere inserito in cooperative sociali che si occupano di manutenzione e sorveglianza del verde ornamentale pubblico e privato, anche se dovranno esservi limiti e vincoli sì che le operazioni complesse e particolarmente pericolose, quali la preparazione e somministrazione dei trattamenti antiparassitari, l'uso di macchine, il lavoro in quota, dovranno essere evitate, o quantomeno essere eseguite sotto la diretta sorveglianza del tutore. Per l'HT, così come per altre forme di riabilitazione di attualità (ippoterapia, pet therapy, musicoterapia), il ruolo del riabilitatore rimane fondamentale. Occorre ottimizzare l'integrazione degli interventi medici, sociali e riabilitativi nel paziente con disagio psichico. Gli elementi qualificanti dell'HT sono di natura fisica e psichica, connessi al fatto che nell'accrescere l'autostima del paziente. riscoprire la propria manualità, e svolgere un'attività fisica. Nell'acquisire competenze strumentali relative alle attività di HT, impara ad interagire con lo spazio circostante e a comprendere il valore del fattore "tempo", inteso come quello "proprio" e quello relativo alle diverse fasi vitali del mondo vegetale. Il rapporto di natura affettiva che si viene ad instaurare tra la persona e la pianta che cresce, grazie alle sue emozioni, risveglia capacità emotive distrutte da anni di malattia. Imparare a prendersi cura di un altro organismo implica una assunzione di responsabilità, con conseguente aumento di fiducia in se stessi e nelle proprie capacità; la non comune soddisfazione di ottenere un risultato concreto e tangibile è un altro elemento qualificante. Il lavoro di gruppo, che spesso utilizza L'HT, poi, sviluppa un senso di appartenenza e favorisce la socializzazione e la necessità di superare gli imprevisti legati alla coltivazione fa sì che ben poche altre attività riabilitative riescono a condensare la capacità del“problem solving” come L'HT. Esperienze La complessità dell'intervento pone l'esigenza di ricercare best manual practice. Alcune esperienze riguardano il progetto oliveto “ La Rocca di Pietrasanta” che attraverso il progetto 7 “olivicoltura di qualità” in collaborazione con l'A.R.S.I.A. Toscana ha consentito di inserire sette utenti seguiti dal servizio di salute mentale della A.S.L. in un'attività lavorativa, evitando un intervento solo di tipo assistenziale o economico. La comunità montana dell'Alta Versilia ha inoltre realizzato un progetto per un centro di onoterapia. Tutti gli interventi che riguardano altre attività produttive sono stati gestiti dall'associazione l'Uovo di Colombo ONLUS. Nel parco della Facoltà di Agraria dell'università di Pisa: in collaborazione con la locale ASL, sono in corso programmi di inserimento di pazienti psichiatrici riabilitati e formati professionalmente alla cura del verde. Recentemente sono state emanate dalla Regione Liguria le linee guida relative alla progettazione di un giardino sensoriale per malati di Alzheimer finanziato dalla Fondazione Carispe e realizzato in Comune di Brugnato. Nella Provincia di La Spezia è attiva l’esperienza di inserimento di disabili nell’attività agricola della Cooperativa CILS. Il ruolo dell'agricoltura sociale e l'HT Il Piano di Sviluppo Rurale (PSR) 2007/2013 rilancia il ruolo dell’agricoltura multifunzionale e sociale e soprattutto della cooperazione sociale La considerazione del lavoro agricolo come fattore di salute mentale era emersa fin dall’inizio nel dibattito scientifico che aveva dato vita alla disciplina psichiatrica. In quesiti e osservazioni mediche sui disturbi della mente si ritrova un'osservazione di Benjamin Rush divenuta storica, perché ormai è riportata da tutti i testi anglosassoni che trattano l’argomento. Rush osservò che le persone con problemi psichiatrici ospedalizzate miglioravano se, essendo maschi, venivano coinvolte in operazioni di giardinaggio in senso allargato (tagliare legna, preparare il fuoco, zappare) ed essendo donne, collaboravano alle operazioni domestiche (lavare, stirare, pulire i pavimenti). Le persone di classi sociali superiori, invece, che normalmente erano esonerate da compiti di questo genere, languivano, spegnendosi lentamente tra le pareti dell’ospedale. In poche parole Rush confermò, nell’ambito degli studi psichiatrici del suo tempo, che relegare la persona con problemi psichiatrici in una condizione di assoluta inattività e di mancanza totale di coinvolgimento non fa che peggiorare la sua situazione, mentre un’attività manuale, in particolare a contatto con la terra e con la natura, aiuta il processo di guarigione. La funzione sociale dell’agricoltura ha subito nel tempo un’evoluzione di pari passo con il processo di industrializzazione che ha investito il settore primario e che, come è noto, è avvenuto nel nostro paese con enorme ritardo e con caratteri del tutto peculiari: si diffuse la proprietà coltivatrice e iniziò a prendere corpo il fenomeno dell’agricoltura a tempo parziale. Gli addetti agricoli erano ancora 8,6 milioni nel 1951. Scesero a meno di 5 milioni dieci anni dopo. Tra il 1951 e il 1971 le campagne persero 4,4 milioni di agricoltori, ma guadagnarono 1,9 milioni di operai, 8 impiegati e artigiani. Ogni anno 260 mila contadini lasciavano l’agricoltura, negli anni Sessanta diventarono 314.000. Per la prima volta, da secoli, incominciò a scarseggiare la manodopera agricola e aumentò il costo del lavoro. L’esigenza di produrre di più e la minore disponibilità di braccia portarono verso l’integrale meccanizzazione delle operazioni colturali. Nel Mezzogiorno l’esodo fu imponente. Tra il 1955 e il 1970 3 milioni di persone spostarono la residenza dal Sud in un comune settentrionale, e si trattò per lo più di uomini e giovani, tutti o quasi provenienti dall’agricoltura. A seguito di tali processi anche il paesaggio agrario mutò: un nuovo paesaggio rurale veniva a testimoniare gli effetti della grande trasformazione. Negli anni Novanta questo movimento trova un primo assestamento normativo nella “cooperazione sociale”. Con la legge 381/91 sono state istituite le cooperative sociali, definite anche come enti ibridi, per la finalità sociale che perseguono, per il carattere privato della struttura di impresa e per la proiezione esterna del principio di mutualità, cioè la sua estensione a persone con bisogni sociali. Quella normativa ha previsto esplicitamente che le cooperative sociali potessero svolgere attività agricole. Alla fine del 2001, tra le cooperative di tipo B, cioè quelle la cui attività è finalizzata all’integrazione lavorativa di persone svantaggiate, circa il 46% presentava come lavoratori svantaggiati esclusivamente persone con disabilità e tra queste cooperative il 16,7% operava in ambito agricolo. Si trattava complessivamente di 143 cooperative, distribuite fra tutte le regioni italiane, ma per la metà localizzate in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio e Sicilia. Se si considera che le donne operanti nelle cooperative sociali sono complessivamente il 70% e che la stragrande maggioranza delle esperienze sono basate su forme di gestione familiare e comunitaria, si può agevolmente ritenere che nell’Agricoltura Sociale sia notevole il protagonismo femminile. Alla fine del 2003, le cooperative di tipo B sono diventate 1.979 e le persone svantaggiate coinvolte sono 23.575, con un incremento del 26,1% rispetto al 2001. La percentuale di soggetti svantaggiati presenti in cooperativa rispetto al totale dei lavoratori si attesta, a livello nazionale, al 46,5%, ben al di sopra del limite minimo (30%) stabilito dalla legge 381 del 1991. Le cooperative sociali che operano in ambito agricolo sono 471 su tutto il territorio nazionale. Si tratta di un numero significativo ma ancora limitato, che denota da parte del movimento della cooperazione sociale una scarsa consapevolezza dell’effettiva opportunità lavorativa per le persone svantaggiate rappresentata dalle attività agricole. Pur mancando, come si è detto, studi specifici sull’inserimento lavorativo in ambito agricolo di persone svantaggiate, un documento redatto da un gruppo di esperti europei sulla situazione occupazionale delle persone con disabilità, quantifica nella misura del 5,7% la quota di occupati in agricoltura sul totale dei disabili che lavorano. Un dato superiore a quello relativo agli occupati complessivi (disabili e non), che a livello comunitario risultano impiegati nel settore primario per il 4%. . Sul finire degli anni Novanta un importante spazio di azione si è aperto grazie alla legge sui beni confiscati alla mafia. Nel 1996 l’Associazione Libera, fondata da don Luigi Ciotti, aveva promosso una petizione popolare e presentato al Parlamento un milione di firme per utilizzare a fini sociali i beni 9 confiscati alla mafia. Con l’emanazione del provvedimento si è avviato quello straordinario processo con cui i beni confiscati alla mafia, in particolare terreni e fabbricati rurali, sono stati recuperati a un utilizzo di interesse collettivo. Si chiama “Dopo di noi” il progetto che prevede come prendersi carico delle persone disabili quando la famiglia non è più in grado di farlo. Con Decreto Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 13 dicembre 2001, n. 470, si sono fissati criteri e modalità per la concessione di finanziamenti a sostegno di progetti “Dopo di noi”. Si tratta della legge 109 del 1996 che reca “Disposizioni in materia di gestione di beni sequestrati o confiscati”., col coinvolgimento, in molti casi, di persone svantaggiate. Sono nate così le prime cooperative agrisociali siciliane e calabresi che sfidano con coraggio le organizzazioni mafiose nel cuore dei loro “possedimenti” e contendono a queste il controllo del territorio e dell’economia locale, su cui la mafia fonda buona parte del suo potere criminale anche sulla società civile. Ma dando uno sguardo a quello che avviene in Europa, il panorama delle potenzialità occupazionali per le persone svantaggiate da parte dell’agricoltura diventa ancor più variegato. Le esperienze più significative in Europa ci dicono che il mondo della produzione agricola può cogliere nell’Agricoltura Sociale. 10 Benefits of Horticultural Therapy and Therapeutic Gardens The benefits of involvement in horticultural activities and exposure to nature can be seen in cognitive, psychological, social, and physical realms and research continues to reveal these connections across many groups of people. The following list includes some of the benefits that have been cited in the literature. Please note that many of these studies report on specific populations and the benefits may or may not be applicable to all groups. Coqnitive Benefits: z Enhance cognitive functioning (Kaplan & Kaplan, 1989; Cimprich, 1993; Herzog, Black, Fountaine & Knotts, 1997) z Improve concentration (Wells,2000; Taylor et al., 2001) z Stimulate memory (Namazi & Haynes, 1994). z Improve goal achievement (Willets & Sperling, 1983). z Improve attentional capacity (Haftig, Mang & Evans, 1991; Ulrich et al., 1991; Ulrich & Parsons 1992; Ulrich , L999; Taylor et al., 2001) Psvcholoqical Benefits: z Improve quality of life (Willets & Sperling, 1983; Waliczeketal., 1996) z Increase self-sistem (Moore, 1989; Blair et al., 1991; Smith & Aldous, 1994; Feenstra et al., 1999; Pothukuchi & Bickes, 2001) z Improve sense of well-being (Relf et a|.1992; Ulrich & Parsons, 1992; Galindo & Rodriguez, 2000; Kaplan, 2001; Jarrott, Kwack & Relf, 2002; Barnicle & Stoelzle Midden 2003; Haftig, 2003) z Reduce stress (Ulrich & Parsons, 1992; Whitehouse et al., 2001; Rodiek, 20A2) z Improve mood (Wichrowski, Whiteson, Haas, Mola & Rey, 2005; Whitehouse et al., 2001) z Decrease anxiety (Mooney & Milstein, 1994) z Alleviate depression (Relf, 1978; Mooney & Milstein, 1994; Cooper Marcus & Barnes, 1999) z Increase sense of control (Relf et al., 1992) z Improve sense of personal wofth (Smith & Aldous, 1994) z Increase feelings of calm and relaxation (Moore, 1989; Relf et al., 1992) z Increase sense of stability (Blair et al., 1991; Feenstra et al., 1999; Pothukuchi & Bickes, 2001) z Improve perconal satisfaction (Blair et al., 1991; Smith & Aldous, 1994; Feenstra et al., 1999; Pothukuchi & Bickes, 2001) z Increase sense of pride and accomplishment (Hill & Relf, 1982; Matsuo, 1995) Social Benefits: z Improve social integration (Kweon, Sullivan & Wiley, 1998) z Increase social interaction (Langer & Rodin, 1976; Moore, 1989; Perrins-Margalis, Rugletic, Schepis, Stepanski, & Walsh 2000). z Provide for healthier patterns of social functioning (Langer & Rodin, 1976; Kuo, Barcaicoa & Sullivan, 1998) z Improved group cohesiveness (Bunn, 1986) 11 Phvsical Benefits: z Improve immune response (Haftig, Mang & Evans, 1991; Ulrich et al., 1991; Ulrich & Parsons 1992; Ulrich, 1999) z Decrease stress (Rodiek, 2002) z Decrease health rate (Wichrowski, Whiteson, Haas, Mola & Rey, 2005) z Promote physical health (Ulrich & Parsons, 1992; Kweon, Sullivan & Wiley, 1998; Cooper Marcus & Barnes, 1999; Armstrong, 2000; Rodiek,2002) z Improve fine and gross motor skills and eye-hand coordination (Moore, 1989) Bibliografia Barnicle T., Midden K.S. (2003) -The effects of a horticulture activity program on the psychological well-being of older people in a long-term care facility. Horttechnology Calderoni G., Finco R. Esperienze di riabilitazione di persone portatrici di disagio psichiatrico attraverso percorsi formativi e di orientamento al lavoro nel campo dell'attività florovivaistica. Dennis L. (1994) -Garden for life: Horticulture for people with special needs. UEP, University of Saskatchewan. Saskatoon. Canada Ferrini F., E. Trombettoni (2000) - Un bisogno ancestrale: l'importanza della Horticultural therapy, Acer. Ferrini F.. Vaggioli P. (2001) -Horticultural therapy: le relazioni uomo-pianta. Linea Verde. Finuola R., Pascale A. (2008) - “L'agricoltura sociale nelle politiche pubbliche” Quaderni INEA Hewson M. (1996) -Horticulture as a therapy: A practical guide for using orticulture as a therapeutic tool. Homewood Health Centre, Guelph, Ontario, Canada. Lorenzini G., Lenzi A. (2003) “ Un nuovo ruolo per il verde urbano: la riabilitazione psichiatrica.” Informatori Agrari Malo L. (2003) -HT activity booklet N.1. Canadian Horticulture Therapy Association, Guelph. Ontario. Relf D., DeHart-Bennett M. (1990) -Characteristics of horticultural businesses hiring persons with mental retardation . Journal of Therapeutíc Horticulture. Zerbini S., Ponzellini C. (1997) -La Scuola Agraria del Parco di Monza per l'educazione ambientale e la "terapia orticolturale". III giornate scientifiche SOI, Orto-Floro-Frutticoltura amatoriale. Cesena. 12 L’agricoltura sociale in Europa L’agricoltura sociale in Europa è diffusa nei Paesi Bassi, Norvegia, Italia, Belgio, Slovenia, Svizzera, Germania e Austria. M entre nel Regno Unito e Svezia è diffusa la terapia orticolturale ed in Finlandia le terapie assistite con animali. Dim ensione dell’agricoltura sociale in alcuni paesi europei Paesi Bassi 600 Norvegia 500 Italia 500 Austria 300 Germania 150 Fiandre 140 n.b.: Le car farms Olandesi sono decuplicate nell’ultimo quinquennio I ‘cantieri’ aperti In Italia Università della Tuscia e Università di Pisa AIAB: promozione delle biofattorie sociali ARSIA: animazione in Toscana sull’ AS ALPA: creazione di uno sportello informativo Provincia di Roma: Forum delle Fattorie Sociali La Rete delle Fattorie Sociali Il “Lombrico sociale” blog dedicato all’ AS In Europa La COST Action europea“Green Care in Agriculture” Il progetto europeo SoFar – Social Farming La Community of Practice “Farming for Health” 13 Progetto del sito denominato Piano di Beverino L'Azienda Agricola, luogo laboratorio dell'inserimento lavorativo ha l'esigenza di ampliare la S.A.U. attraverso l'utilizzo di terreni incolti di proprietà demaniale. I terreni individuati quale estensione progettuale ricadono nel comune di Beverino e sono censiti: Terreni demaniali in Beverino F.16 e F.15 Foglio 15 Totale foglio 15 16 Mappale 84 86/p 730 737/p 731 Mq 13.800 40.416 2.790 69.547 0.150 7/p 306 126.703 7.660 5.530 Totale foglio 16 13.190 Totale generale 139.893 La superficie totale interessata dal progetto è di ha. 13.98.93, l’area è facilmente accessibile attraverso una strada vicinale e raggiungibile tramite una diramazione della “strada dei Tedeschi” e quindi collegata al sito di proprietà dell’Ente Parco Montemarcello Magra nel quale insiste il fabbricato rurale oggetto di recupero di infrastrutture a fini socio assistenziali. 14 Il progetto pilota può essere ampliato attraverso la coltivazione di questa vasta area pianeggiante localizzata sulla destra idrografica del corso del fiume Vara. Il substrato geologico è costituito da depositi alluvionali, il clima di questa zona presenta una piovosità piuttosto elevata (circa 1.216 mm. annui) con un massimo assoluto autunnale e un massimo relativo primaverile, come da dati termoudometrici e delle precipitazioni predisposti dal C.A.A.R. Sarzana (all. 1). Il clima è mite con inverni non eccessivamente rigidi e temperature medie annuali pari a 13,9 C ° , l’area è interessata da un clima sub-mediterraneo, periumido e fresco, la zona fitoclimatica corrispondente è il lauretum sotto – zona fredda. Il suolo, a seguito dei dati di analisi forniti dal Laboratorio Analisi Regionali Terreni e Produzioni Vegetali della Regione Liguria, presenta una classe granulometrica dal triangolo della tessitura francosabbioso con il 72,7% di sabbia e il 7,5% di argilla, con la reazione ph del suolo subalcalina, conducibilità molto bassa, rapporto C/N equilibrato, un contenuto di sostanze organiche relativamente elevato, suolo scarsamente calcareo e capacità di scambio cationico media (pari a 13 meq/100g -1 ). Per quanto attiene al contenuto degli elementi nutritivi si rimanda al grafico allegato. Nell’area considerata insistono sia colture foraggere che di frumento tenero e di patata, abbiamo quindi inteso valutare l’attitudine del suolo per la gestione aziendale e per la programmazione a livello puntuale del progetto pilota, riferendoci così al frumento tenero ed alla patata, perchè la coltivazione della stessa può rappresentare un interessante prodotto tipico vendibile attraverso i Gruppi d'Acquisto Solidale o direttamente in Azienda. Il frumento tenero è stato individuato perchè il sito può diventare sede di un campo varietale per determinare le varietà che meglio si attaglino alla coltura non irrigua, in un momento in cui l'acqua sta diventando un fattore limitante. Il sito si presta inoltre alla realizzazione di un giardino delle farfalle,di seguito esplicitato dalle linee guida progettuali predisposte dalla Prof.ssa Rossi del Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “G.Scaramuzzi” Sez. Entomologia Agraria dell’Università degli Studi di Pisa, anche in virtù della presenza di esemplari di Zerynthia polyxena Denis & Schiffermüller catturati nell'areale come da all. 2 La relazione minima sulla fitocenosi della zona denominata Piano di Beverino è propedeutica sia all'individuazione di aromatiche coltivabili che alla predisposizione delle relative schede di coltivazione. L'elenco delle specie erbacee può rappresentare un'utile indicazione per la progettazione di un giardino delle aromatiche. 15 (Solanum tuberosum, L.) Descrizione della coltura La patata è una pianta erbacea perenne a coltura annuale, provvista di fusti sotterranei carnosi trasformati, detti stoloni, gli ingrossamenti dei quali, i tuberi, costituiscono il prodotto commestibile: le patate. I tuberi sono provvisti di gemme (dette occhi) da cui prende avvio lo sviluppo della parte aerea della pianta. Le foglie sono di un bel colore verde, imparipennate, glabre nella pagina superiore e pelose in quella inferiore. I fiori, riuniti a grappoli, hanno calice verde formato da cinque sepali uniti, e corolla bianca o rosea formata da cinque petali, in parte concresciuti a formare un breve tubo che si apre in un largo lobo. Il frutto è una bacca carnosa, prima verde e poi scura, tondeggiante, contenente numerosi semi piccoli, appiattiti. La patata ha un fusto aereo di colore verde bruno ricoperto di peli, lungo da 50 a 100 cm circa, in posizione eretta nella fase iniziale dello sviluppo e prostrato verso il suolo a crescita avvenuta. La patata è conosciuta circa da 8000 anni, come testimoniano alcuni reperti storici. Gli Spagnoli la conobbero durante la conquista dell’America del Sud. La pianta era invece sfuggita a Cristoforo Colombo, perchè la sua coltivazione veniva fatta solo sulle Ande, ma ebbe modo di gustare e di vedere altre piante da radice e tuberi come la manioca e l’igname, specie di aree litoranee, con maggiore esigenze termiche . La patata è originaria del Messico e dell'America meridionale, dove è diffusa fino alle estremità meridionali del Cile. Le antiche popolazioni della Cordigliera delle Ande hanno addomesticato questa pianta da tempo immemorabile, più di 4000 anni fa, selezionandone un numero enorme di varietà adatte in pratica a tutti i climi. Il suo nome attuale deriva da batata, voce quechua. Nella nostra mente "patata" è associata a "montagna". In montagna le patate sono più saporite, più sane, perché meno soggette ai parassiti, alla peronospora, ai batteri ed alle virosi trasmesse dagli afidi che, a causa delle basse temperature, hanno un minor numero di generazioni. Portata in Europa dagli Spagnoli nel 1570, solo nel 1586 arrivò in Irlanda, dove venne immediatamente accettata come importante prodotto agricolo ed entrò nella dieta della gente povera. In Italia la patata si diffuse agli inizi dell’Ottocento per merito del veneziano Vincenzo Dandolo. Oggi la sua coltivazione è diffusa in tutto il mondo ed è tra i più importanti alimenti del genere umano. Il suo alto contenuto di amido e il suo discreto contenuto di proteine, oltre alla vitamina C, la rendono un cibo ideale. La patata produce più energia dei cereali per unità di superficie coltivata. I tuberi si conservano preferibilmente in locali privi di luce per limitare la germogliazione ed è buona norma, di tanto in tanto, eliminare i germogli che si sviluppano. Le patate che diventano verdi contengono degli alcaloidi velenosi 16 (solanina). Le varietà coltivate in Italia sono molto numerose. La varietà locale ligure per eccellenza è la patata quarantina bianca, che è compresa nell'atlante regionale dei prodotti tradizionali coltivata su tutto il territorio dell'entroterra genovese e in parte dello spezzino. Ha un tubero a forma rotonda o rotonda/ovale, buccia liscia di colore giallo; pasta di colore bianco; germoglio a colorazione antocianica della base blu – violetto. Fiori con frequenza bassa e colore bianco della parte interna: il germoglio presenta una colorazione antocianica poco intensa, gemme mediamente profonde e sfumature rosa chiara alla base del germoglio. Qualità culinarie di tipo B (adatta a tutti gli usi) con scarsa consistenza della polpa e aspetto umido, non farinoso a granulazione fine; gusto tipico di patata poco pronunciato, senza retrogusti, delicato, è considerato la più antica e la più buona varietà locale. 17 Esigenze pedoclimatiche La patata si sviluppa in un range di temperature molto limitato (15°C per la germogliazione, 20°C per la fioritura, 18°C per la maturazione del tubero), per cui sono temibili sia gli eccessi di caldo in carenza di acqua, sia i ritorni di freddo tardivi. Questo vale per tutte le tipologie di patate. Valori consigliati Temperatura di germogliazione:14-16°C Temperatura minima biologica: temperature inferiori a 2°C pregiudicano la sopravvivenza delle piante; evitare zone caratterizzate da gelate tardive. Temperatura ottimale di maturazione: 18-20°C Temperature massime prolungate temperature superiori a 30°C impediscono l’accumulo dei carboidrati nel tubero con diminuzione del peso specifico; aumenta il rischio di tuberomania. Il suolo è un fattore importante per la crescita della patata in quanto determina una condizione o stato favorevole o meno alla respirazione degli stoloni e dei tuberi. L’indicazione agronomica di una tessitura del suolo franco o francosabbiosa non è sufficiente per definire una buona condizione di crescita. In Tunisia, sulle antiche superfici terrazzate che sostengono suoli molto argillosi, ma che producono una struttura superficiale granulare (self mulching) è possibile coltivare, con l’aiuto dell’irrigazione, patate con ottime qualità organolettiche e merceologiche. Questo è uno dei tanti esempi di suoli con caratteristiche lontane da quelle che sono standardizzate nella valutazione d'idoneità e si riferiscono a condizioni locali non estensibili a tutti gli ambienti suolo possibili. Così come è possibile avere buoni risultati sui suoli pseudo sabbiosi di natura vulcanica che tuttavia hanno una buona capacità d’acqua e sono decisamente aerati. Parametri pedologici Condizioni: tessitura franco, franco-sabbioso Drenaggio: buono Profondità 60-70 (cm) ph: 6-6,5; < 6 Salinità (dS m-1): 4 Dotazione S.O.:buona Calcare totale e attivo (%) :< 10 Tecnica colturale La patata è una coltura da rinnovo che necessita di lavorazioni medio profonde, quindi per creare un buon franco di coltivazione si ara alla profondità di circa 30-35 18 cm. Dopo l'aratura ed una successiva erpicatura, si procede alla concimazione di fondo e all'interramento del tubero seme. Se la semina è fatta meccanicamente è indispensabile effettuare anche un livellamento del terreno; se invece è manuale si procede con l’assolcamento. È buona norma evitare il ritorno della coltura di patata sullo stesso appezzamento prima di 2 anni durante i quali si sono fatte altre colture; è sconsigliata anche la successione ad altre solanacee. Scelta della semente Nella scelta della semente abbiamo a disposizione varie classi di tubero seme, il cui prezzo varia in funzione della categoria e della pezzatura. Sesto di coltivazione I sesti di coltivazione sono di 60-70 cm tra le file e di 25-35 cm sulla fila per una densità di semina di 5-6 tuberi a m 2 . In genere si procede alla semina a mano, sono meccanici i processi di assolcamento. 19 Concimazione Le concimazioni necessarie alla patata non sono molto elevate. Gli asporti per 1 t di tuberi prodotti con la corrispondente quantità di steli e foglie sono: 4 Kg di N; 2 Kg di P2O5; 6 kg di K2O. La patata è una pianta potassofila e si giova, soprattutto la primaticcia, di letamazioni. Ha una bassa efficienza d’uso nei confronti dell'azoto (60%), anche perché essendo coltivata quasi sempre in terreni permeabili e non avendo un apparato radicale molto sviluppato, tende a perderlo nel terreno. Le esigenze azotate sono maggiori nei primi 50-60 giorni e per evitare che l'azoto vada perduto si praticano tre interventi di concimazione: il primo, per 1/3 della quantità, localizzato alla semina e in forma ammoniacale; il secondo intervento si fa alla sarchiatura; il terzo alla rincalzatura. Il fosforo viene distribuito all'80% in presemina, ed il restante alla semina, per rinforzare le strutture meccaniche della pianta, ed in particolar modo favorire l'ispessimento della "buccia" (periderma) del tubero, aumentandone la conservabilità. Il fosforo è un catalizzatore del metabolismo glucidico e quindi particolarmente importante per le produzioni primaticce. Il potassio non è mai carente nei terreni italiani ma, poiché la patata ne assimila tantissimo e, come il P, partecipa a rinforzare le strutture meccaniche della pianta e favorisce la tuberizzazione, viene comunque distribuito. Tale operazione si fa totalmente in presemina. Le dosi per ettaro consigliate sono: 120-150 Kg di N per la patata primaticcia e 150-180 Kg per la comune, di preferenza ammoniacale, per la lenta cessione e il non dilavamento, 120 Kg di P 2 O 5 e 150 Kg di K 2 O. Per le patate primaticce la dose di azoto non deve superare i 150 Kg ha - 1 distribuiti in due frazioni: alla semina e alla tuberizzazione. Infatti le unità fertilizzanti consigliate a seguito dell'analisi del suolo, riferite a 1.000 m 2 sono: N= kg.10, P 2 O 5 kg. 10, K 2 O kg. 20. La messa a dimora dei tuberi si effettuerà a 8-12 cm di profondità con tuberi seme pregermogliati alla luce diffusa (questo permette di scartare quei germogli che risultino anomali e accorcia il ciclo di 10-15 giorni per consentire la formazione di forma idonea al consumo). Poco dopo l'emergenza (15 giorni) si procede ad una prima rincalzatura-sarchiatura per favorire lo sviluppo di stoloni e per ridurre le infestanti. Una quindicina di giorni dopo si pratica una seconda rincalzatura-sarchiatura per favorire la tuberizzazione, impedire l'inverdimento dei tuberi, distruggere eventuali infestanti e distribuire l'ultima dose di concimazione azotata e fosfatica. Dopo questi interventi, le piante inizieranno a chiudere la fila, quindi non ci sarà più rischio di competizione con le infestanti e gli unici interventi che si devono fare saranno le irrigazioni, diversificate in funzione del periodo di coltivazione. 20 Acqua e patata La patata, avendo generalmente un apparato radicale poco sviluppato ed essendo per lo più coltivata in terreni sciolti e piuttosto permeabili, è sensibile alla carenza idrica che ritarda la differenziazione e la crescita dei tuberi. In ogni caso, per ottenere l’optimum sia della tuberizzazione che dello sviluppo dei tuberi, sono necessarie condizioni di accrescimento regolari, legate ad un equilibrato sviluppo vegetativo della parte aerea della pianta. Tutti gli eccessi sono negativi e si ripercuotono come tali sia sulla quantità che sulla qualità delle produzioni. Uno stress idrico che si manifesti durante la fase iniziale di sviluppo degli stoloni, può ridurre sensibilmente il numero di tuberi che si formeranno. Lo stress idrico può verificarsi quando il tubero è già formato e si sta accrescendo; in questo caso, se interrompiamo bruscamente lo stress, con un adacquamento improvviso o una concimazione inopportuna, possiamo provocare escrescenze, anomalie, fenditure e fisiopatie sui tuberi. Tutti gli inconvenienti appena descritti possono essere evitati mantenendo il terreno costantemente umido per il 65-75% della sua capacità idrica, ad eccezione delle ultime fasi della maturazione. È opportuno, quando ormai il tubero è vicino alla maturazione fisiologica, evitare ritorni di vegetazione che andrebbero sicuramente a scapito della qualità del prodotto. Indicativamente, si potrà procedere alla distribuzione di quantitativi d’acqua, variabili in funzione della tipologia di prodotto che vorremo ottenere, per la patata comune a semina primaverile, nelle regioni mediterranee occorrono almeno 450 m 3 ha - 1 distribuiti durante tutto il periodo di sviluppo. Lotta antiparassitaria Un altro aspetto agronomico importante nella coltivazione della patata è la lotta agli insetti. Occorre inoltre tenere sotto controllo un coleottero fillofago molto dannoso: la Dorifora (Leptinotarsa decemlineata), i cui attacchi in massa sono in grado di defogliare nel giro di pochi giorni interi appezzamenti. Così come bisogna evitare attacchi di crittogame, in particolare della Peronospora (Phytoftora infestans), la malattia fungina che distrusse tutte le patate irlandesi a metà del XIX secolo, procedendo ad eventuali trattamenti specifici qualora si presentassero le condizioni ambientali favorevoli ad un attacco (elevate temperature e umidità). Occorre tenere sotto controllo anche le virosi, tramite il contenimento degli afidi e la scelta di varietà resistenti. La raccolta 21 La raccolta è in genere praticata quando i primi palchi di foglie iniziano a disseccare. Risulta comunque difficile parlare di maturazione delle patate, tanto è vero che anche i tuberi raccolti molto presto (è il caso delle patate primaticcie) sono comunque commestibili e di buon sapore; questo fenomeno non avviene per nessun altro organo di piante erbacee che, difatti, deve normalmente raggiungere un livello minimo di maturazione prima di essere raccolto. Le rese sono variabili in funzione dell'ambiente di coltivazione e della tipologia di patata prodotta. Si va da 10-15 t ha nelle zone marginali o per le produzioni primaticce, a 35-45 t ha nelle zone a coltura intensiva di patata comune. Le medie in ogni caso sono intorno ai 24 t ha. La profondità, è facilmente intuibile, influisce sull'abitabilità per le radici delle piante e sulla quantità d’acqua ed aria disponibili. Il pH influisce sull’attività biologica e sulle popolazioni animali e microbiologiche del suolo, oltre che sulla disponibilità di nutrienti per le piante superiori. Si noti che a pH inferiori o intorno a 4, l’alluminio tende a divenire solubile e tossico per la patata, oltre che a dare probabilmente un certo gusto metallico alla polpa. Lo scheletro può avere sia un effetto negativo che positivo, quando in quantità moderata favorisce la circolazione dell’acqua e dell’aria. Più lo scheletro aumenta e meno le patate assumono forme regolari. In assenza di irrigazione, l’acqua utilizzabile dalle piante, determina differenze consistenti nella produzione di patata. Un buon drenaggio è importante per evitare ristagni d’acqua ed il conseguente marciume del tubero. 22 (Triticum aestivum, L.) Il frumento, originario del Medio Oriente, è oggi diffuso in molte regioni del mondo con condizioni ambientali assai differenti, grazie alle caratteristiche di adattabilità della specie e all’impiego di diverse varietà. Gli scopi principali della rotazione nella coltivazione del frumento sono essenzialmente l’arricchimento d’azoto nel terreno, il controllo delle malerbe e dei principali patogeni e l’accumulo di riserve idriche nel terreno. La posizione ottimale nell’avvicendamento è dopo le colture da rinnovo (mais, patata, girasole, bietola, canapa, ecc.), che lasciano il terreno ripulito dalle infestanti ed in buone condizioni chimico-fisiche, a causa delle lavorazioni profonde e delle concimazioni cui sono sottoposte le colture da rinnovo. Le colture foraggere sono ugualmente buone precessioni colturali per il frumento, anche se la fertilità che lasciano è meglio sfruttata dalle piante da rinnovo. Preparazione del terreno Un’accurata preparazione del terreno è condizione indispensabile per conseguire rese elevate da una coltura di frumento per due fondamentali motivi: per la possibilità di eseguire una semina di precisione su un buon letto di semina, in grado di consentire un investimento ottimale di piante a metro quadro; per ottenere un controllo ottimale dello sviluppo delle infestanti. La miglior preparazione del terreno si ottiene non solo con adatte lavorazioni, ma anche prevedendo un’idonea sistemazione del suolo in grado di evitare in pianura ristagni d’acqua sommamente nocivi alle piante di frumento, ed in collina fenomeni d’erosione idrica superficiale e profonda. Nei terreni in piano deve essere previsto un efficiente sistema d’emungimento delle acque (scoline, drenaggio). Nel caso di terreni poco permeabili, il sistema di scoline deve essere completato da una adeguata baulatura del terreno. Le lavorazioni del terreno sono diverse per tipo, epoca e profondità, coltura che precede il frumento, epoca di raccolta della medesima e condizioni climatiche e pedologiche al momento della lavorazione. La lavorazione tradizionale principale è l’aratura, per la quale, però, in condizioni climatiche sfavorevoli per eccessi di umidità del terreno, frequenti quando il frumento segue una coltura che termina a fine estate, può dar luogo ad un lavoro di scarsa qualità. La possibilità di trovare più o meno facilmente condizioni di tempera del terreno, idonee all’esecuzione della lavorazione principale, dipende dalla natura del terreno; si verifica più facilmente nei terreni sciolti e permeabili e meno facilmente nei terreni argillosi pesanti. Per il frumento non sembrano necessarie lavorazioni profonde, specialmente quando è 23 preceduto da una coltura da rinnovo. Quando invece segue un prato risulta necessario un buon interramento del cotico erboso. Alla lavorazione principale seguono le lavorazioni complementari, per le quali s’impiegano diversi tipi d’attrezzi (estirpatori, frangizolle, frese, erpici a dischi, erpici a denti, ecc.) in funzione delle caratteristiche del terreno. Queste sono necessarie per la preparazione di un letto di semina ben amminutato e livellato, in cui il seme possa trovare le migliori condizioni di germinazione. Anche per il frumento è stata sperimentata la possibilità di eseguire la semina su un terreno non lavorato (semina su sodo o sod seeding), usando particolari seminatrici e distruggendo le erbe infestanti con trattamenti diserbanti. Più soddisfacente sembra la tecnica di semina su lavorazione minima (minimum tillage), sistema che potrebbe essere particolarmente utile per seminare in terreni difficili, dopo la raccolta di colture a fine estate-autunno in condizioni di piogge frequenti. Semina Il seme da impiegare deve essere sano. Inoltre, deve essere dotato d’elevata purezza e germinabilità. La semina, nei nostri ambienti, è generalmente autunnale, più precoce al nord e più tardiva al sud. Anticipare le semine è egualmente importante con l’aumentare dell’altitudine. Nei Paesi più freddi la semina primaverile prevale su quella autunnale o la sostituisce completamente. La quantità di seme da impiegare per unità di superficie dipende dalla densità di piante che s’intende ottenere, dal peso medio delle cariossidi e dai fattori da cui dipende la germinabilità in campo. Elevate densità di piante favoriscono alte rese in condizioni di buona fertilità del terreno e sufficiente disponibilità idrica, mentre in ambienti aridi si possono determinare condizioni di carenza idrica, soprattutto nella fase di riempimento delle cariossidi. Inoltre, l’eccessiva densità di piante può determinare una minore resistenza dei culmi all’allettamento. La densità ottimale di spighe, in buone condizioni climatiche e pedologiche, è di circa 550-600 piante a metro quadrato e viene ottenuta con una densità di semina di 400-500 cariossidi a metro quadrato. La quantità di seme per raggiungere lo scopo varia da 160 kg ha nelle regioni meridionali a 180 kg ha nelle regioni settentrionali, in buone condizioni di semina. Si possono raggiungere anche 230-250 kg ha in condizioni di semina difficili e nelle semine tardive. Oggi la semina viene quasi generalmente eseguita a file con l’impiego di seminatrici da grano. Essa può essere attuata a file semplici (15-20 cm tra le file) o a file binate (distanza tra le file 12-15 cm e tra le bine 25-30 cm). Il seme viene interrato a 3-4 cm di profondità. La semina viene completata con una leggera rullatura nei terreni soffici e asciutti, per fare aderire meglio le cariossidi al terreno e favorire l’assorbimento di acqua necessaria per la germinazione. 24 Concimazione Le asportazioni totali di una coltura di frumento dipendono da molti fattori climatici e podologici e dalla resa della coltura. Si hanno asportazioni pari a 48 kg ha-1 di azoto, 16 kg ha di fosforo e 29 kg ha di potassio per produzioni di 2,7 t ha di granella; 132 kg ha di azoto, kg ha di fosforo e 83 kg ha di potassio per produzioni di 6,0 t ha di granella. In linea di principio, la coltura di frumento dovrebbe preferibilmente trovare il fosforo ed il potassio, ed anche una certa quantità d’azoto a lento effetto, inglobati nella “forza vecchia” del terreno ed in particolare il fosforo ed il potassio, somministrati alle colture foraggere o alle colture da rinnovo che precedono il grano nella rotazione, mentre l’azoto a rilascio graduale nel corso della coltura dovrebbe provenire o dai residui organici della coltura di foraggere leguminose della rotazione, o dalla concimazione organica attuata in precedenza alle colture da rinnovo. Una concimazione fosfatica e talora potassica all’impianto del frumento è necessaria in caso di ringrano, specialmente se ripetuto, e viene calibrata tenuto conto del tenore di fosforo assimilabile e di potassio scambiabile nel terreno. Per quanto concerne la concimazione azotata, questa è determinante per le alte rese. Il maggior fabbisogno d’azoto si ha durante la fase della levata. Il massimo contenuto nel culmo e nelle foglie si riscontra alla fioritura. La concimazione azotata varia da caso a caso in funzione di molti fattori: varietà coltivata, quantità d’azoto presente nel terreno, quota d’azoto utilizzabile in relazione all’intensità di mineralizzazione della sostanza organica, condizioni climatiche che influenzano l’attività microbica del terreno, perdita d’azoto per dilavamento, disponibilità di acqua nel terreno alla levata e alla maturazione delle cariossidi. Le dosi totali d’azoto generalmente impiegate sono, nell’Italia settentrionale, 150-180 kg ha-1, ma si può arrivare, per varietà di taglia bassa resistenti all’allettamento, fino a 200-250 kg ha. Lotta alle infestanti Data la semina del frumento a righe ravvicinate, la lotta alle infestanti era in passato necessariamente attuata mediante scerbatura manuale, oggi improponibile dato l’elevato costo della manodopera. Attualmente, il controllo delle malerbe nei seminativi di frumento si può fare in maniera efficace ed affidabile solo con il diserbo chimico, che non è consentito in agricoltura biologica. Si attueranno tutti i mezzi indiretti atti a ridurre la gravità delle infestazioni, come la rotazione colturale, le lavorazioni appropriate, la tecnica della falsa semina, l’impiego di sementi di qualità aventi un altro grado di purezza e semina a file binate. 25 Irrigazione Data la stagione in cui si svolge il ciclo colturale, il frumento non necessita di interventi irrigui. Tuttavia, nelle annate caratterizzate da forte carenza di precipitazioni nel periodo di formazione della spiga e di riempimento delle cariossidi, ove siano disponibili impianti irrigui può essere opportuno intervenire con qualche irrigazione di soccorso. Raccolta e conservazione La raccolta del frumento, da eseguire dopo la maturazione fisiologica, consiste di due operazioni fondamentali: taglio delle piante (mietitura) e separazione della granella dalla paglia e dalla pula (trebbiatura). Oggi, queste operazioni vengono eseguite contemporaneamente con la mietitrebbiatura, da attuare solo a maturazione piena, quando la granella ha non più del 13% di acqua, 2-3 settimane dopo la maturazione fisiologica. L’umidità mercantile standard è del 14,5%, però la granella può essere immagazzinata senza problemi con un’umidità non superiore al 13%. Clima Pur essendosi adattato alle più diverse condizioni ambientali, il frumento ha rese più elevate nelle regioni temperate, venendo impiegate varietà primaverili nelle aree più fredde e varietà autunnali in quelle caldo aride e temperato calde. Non si adatta bene, invece, ai climi caldo umidi, a causa dell’alta suscettibilità agli attacchi parassitari. Nell’ambiente mediterraneo, il frumento è soggetto a soffrire carenze idriche proprio nel momento in cui il fabbisogno è più elevato, ossia durante l’ingrossamento della cariosside. Il frumento duro, rispetto a quello tenero, è meno tollerante alle basse temperature e più resistente alla siccità. Esistono varietà neutrodiurne, in climi con inverni miti, e varietà longidiurne , a latitudini maggiori. Il frumento ha buona resistenza alle basse temperature, soprattutto nel periodo che va dall’emissione delle prime foglie all’inizio della levata (le varietà più resistenti arrivano a tollerare fino a –20°C). Dal punto di vista delle esigenze idriche, il frumento ha 4 momenti critici: • emergenza; • inizio levata; • fine spigatura-fioritura; • fase di riempimento della cariosside. Il frumento è una coltura asciutta nelle regioni temperate, mentre negli ambienti aridi e sub-aridi l’irrigazione è molto utile. Il consumo medio d’acqua può andare da 450 a 26 650 mm (Baldoni e Giardini, 1981). Piogge eccessive o troppo frequenti sono dannose durante la crescita, perché provocano l’allettamento, e durante la raccolta. Suolo Il frumento non è particolarmente esigente in termini di caratteristiche del suolo, a patto che abbia a disposizione un’adeguata quantità di nutrienti e di acqua, anche se il ristagno idrico è dannoso per la pianta. Si adatta a diversi valori di pH, anche se trova l’ambiente ottimale intorno alla neutralità (6,5-7,8); tollera bene terreni alcalini ed è mediamente tollerante alla salinità. In Italia i terreni migliori sono quelli argillosi ben drenati. Elementi nutritivi Il frumento, per la natura del suo apparato radicale (radici embrionali nelle prime fasi di vita ed avventizie all'accestimento), necessita di principi nutritivi facilmente e prontamente assimilabili. Il fabbisogno di nutrienti varia in funzione della varietà e dei livelli produttivi. Sebbene in passato come concimazione del frumento veniva considerata solo quella azotata, anche il fosforo e il potassio sono essenziali per un adeguato livello produttivo della pianta ed un normale accestimento. La disponibilità di fosforo, inoltre, favorisce lo sviluppo radicale, consentendo quindi alla pianta di resistere meglio alla siccità, soprattutto negli ambienti mediterranei. Attitudine delle terre alla coltivazione del frumento Il frumento tenero si adatta soprattutto ai terreni ben dotati di fertilità (forza vecchia), da medio impasto ad argillosi, mentre dà produzioni scadenti in suoli sabbiosi, poveri o a reazione acida. Le varietà a semina invernale coltivate in Italia sopportano bene i freddi invernali e richiedono, a partire dalla levata, temperature crescenti. In fase di maturazione il frumento si avvantaggia di un clima caldo e poco piovoso, anche se gli eccessi di temperatura, accompagnati da vento caldo, possono determinare la formazione di granella striminzita (“stretta”) e scarse rese. È una pianta con medie esigenze idriche, concentrate soprattutto nel periodo tra la levata e le prime fasi di maturazione; teme fortemente, specie nei periodi freddi, il ristagno d’acqua nel terreno a seguito del quale si verificano uno sviluppo stentato per asfissia radicale e attacchi parassitari; teme, inoltre, i forti venti ed i temporali primaverili, in quanto causa di allettamento. Le diverse varietà di frumento tenero, al di là delle comuni esigenze colturali, si differenziano per le caratteristiche produttive e per il grado di tolleranza alle avversità ambientali. 27 Relazione minima sulla fitocenosi della zona denominata "Piano di Beverino" Dal punto di vista orografico, l'area in esame risulta essere un vasto spazio planiziale di esondazione del fiume Vara ; ciò significa che il substrato essenziale del terreno è formato da depositi detritici con terreno superficiale di carattere argilloso, avente un ph vicino ai valori di neutralità, con tendenza alcalina . L'approvvigionamento idrico del corpo fluviale e dei sui affluenti è di carattere esclusivamente pluviale , quindi a portata molto variabile in funzione delle stagioni e della quantità di precipitazioni; questo fattore rende particolarmente difficoltosa l'individuazione di polle di falda ed inaffidabile l'uso di eventuali sorgive a scopo di alimentazione di impianti irrigui . A tale scopo è preferibile ricorrere all'uso di pozzi artesiani che raggiungano il subalveo fluviale, sottolineando comunque che il prelievo idrico va eseguito con grande oculatezza, onde non creare problemi all'ecosistema fluviale nei momenti di particolare carenza di portata. La porzione dei terreni prossima alla strada di collegamento detta "strada dei tedeschi", presenta una conformazione a terrazzamenti tipica dei coltivi ( i cosiddetti "poggi" ) abbandonati ; difatti si presume che l'ultimo utilizzo agricolo del terreno sia stato a vigna (Vitis vinifera), stanti le innumerevoli plantule che ancora si rinvengono e le tracce residue delle palificazioni di sostegno . Tra la vegetazione presente e spontanea del luogo e tipica della zona, abbondano vari rappresentanti delle labiate aromatiche come Origanum majorana e Timus vulgaris che localmente portano i nomi di "peveèla" e "tremoèo"; la Santoreja montana è un'altra labiata aromatica spontanea della zona che potrebbe essere coltivata con successo, assieme alle classiche Melissa officinalis, Salvia officinalis e Rosmarinus officinalis ; quest'ultimo pare che presenti anche una varietà autoctona da verificare con la Facoltà di Agraria dell'Università di Pisa presso la quale è depositata una tesi di laurea sull'argomento . E' interessante notare che l'assenza quasi totale di piante erbacee nitrofile è un buon indicatore di uno scarso sfruttamento intensivo del terreno con concimi organici (naturali o di sintesi), nonostante la costruzione originaria , oggi ristrutturata come foresteria, presentasse le caratteristiche di una stalla/fienile : ciò porta ad arguire che l'allevamento in loco era probabilmente di capi ovini e/o caprini, i quali hanno deiezioni scarsamente nitrificanti, soprattutto a lungo termine. L'elenco delle erbe officinali rilevate potrebbe essere lunghissimo, ma meritano menzione I'Hypericum perforatum, la Calendula officinalis, il Melilotus offrcinalis,l'Achillea millefolium, la Potentilla reptans, la Capsella bursa-pastoris, il Centrantus ruber, l'Arctium lappa, la Saponaria officinalis, l'immancabile Taraxacum officinalis. La grande varietà di piante erbacee, delle quali si fornirà di seguito un elenco più dettagliato,oltre ad indicare un buon grado di salute dell'ambiente, mostra anche una 28 potenzialità del sito per accogliere svariati progetti di coltivazione biologica o biodinamica sia per le varietà ortofrutticole che per le specie officinali, stante sul luogo anche la possibilità di usare il fabbricato presente come luogo di trasformazione e di estrazione di principi attivi. Riguardo ai suffrutici, si direbbe che l'arbusto più diffuso della vegetazione pioniera sia la Rosa canina , assieme ad una popolazione più modesta dell'immancabile ginestra , rappresentata anche nella sua forma spinosa e dall'endemico ginestrino (Lotus corniculatus). Naturalmente, nell'area di transizione da prato a bosco, il cosiddetto forteto, non mancano i classici rappresentanti della macchia mediterranea , quali il Mirto (Myrtus communis) ed il Lentisco (Pistacia lentiscus), associati a rampicanti come il Luppolo (Humulus lupulus), la Salsapariglia (Smilax aspera), il profumatissimo Caprifoglio (Lonicera caprifolium) ed anche la Vitalba (Clematis vitalba), che testimonia l'uso del fuoco nelle pratiche agricole, confermato dalla presenza di rovi (Rubus ssp.) e Felci della specie Polysticum filix max, tutte piante che possiedono un apparato radicale piuttosto profondo che non viene raggiunto dal fuoco di pulizia. La ricchezza di acqua in alcuni punti è confermata dalla presenzadi esemplari di Sambuco nero (Sambucus nigra), da non confondersi con il velenosissimo Ebbio (Sambucus ebulus), anch'egli presente in quantità e dal Farfaraccio (Petasystes farfara) dalle foglie gigantesche, che decorano le vallette ombrose. Le essenze arboree che circondano l'area prativa, sono rappresentate dalla classica vegetazione riparia della zona che vede una consociazione alneto-saliceto commista a sclerofille e latifoglie termofile classiche del piano basale. Un popolamento di Pinus pinaster ormai risicato e falcidiato dalla cocciniglia sta cedendo il passo ad altre eliofile tra le quali, purtroppo, si annoverano anche le infestanti Robinie (Robinia pseudoacacia) ed il pericoloso Ailanto (Ailanthus altissima), che sembra però confinato in piccole aree e contrastato abbondantemente da Frassini e Carpini e da graziosi "cerchi" di Noccioli (Corylus avellana)e qualche decorativo Evonimo (Evonimus europeus) con i suoi fiori rosa a forma di copricapo vescovile. Pur se affrontata in maniera superficiale, quest'analisi minima sulla fitocenosi della zona del Piano di Beverino, vuol sottolineare soprattutto che l'area in esame presenta caratteristiche ottimali dal punto di vista naturalistico, dato che emergono chiaramente tutti gli elementi caratteristici dell'evoluzione in corso verso lo stadio climax, sia delle porzioni boschive, che di quelle prative; questo evidenzia anche la potenzialità del sito a svilupparsi in qualsiasi direzione per quanto riguarda il suo uso, in particolare per l'agricoltura biologica e/o biodinamica . Elenco sintetico delle specie erbacee: 29 Cariofillacee Stellaria minima Spergula arvensis Silene alba Silene dioica Saponaria officinalis Diantus cartusianorum Ranuncolacee Trollius europeus Ranunculus repens Ranunculus ficaria Ranunculus flammula Anemone nemorosa Papaveracee Fumaria officinalis Papaver rhoeas Chelidonium majus Crocifere Rorippa ssp. Brassica Rapa (probabilmente residuo di coltivazione) Cardamine pratensis (nel torrente Graveglia) Allilaria petiolata Nasturtium officinale Cochlearia officinalis Capsella bursa-pastoris Thlaspi arvense Cardaria draba Reseda lutea Reseda luteola Isatis tintoria Crassulacee Umbilicus rupestri Sempevivum tectorum Sedum acre 30 Sassifragacee Crysosplenium oppositifolium Rosacee Agrimonia eupatoria Sanguisorba minor Sanguisorba officinalis Alchemilla vulgaris Fragaria vesca Potentilla reptans Potentilla tormentilla Leguminose Vicia sativa Lathynrs pratensis Melilotus officinalis Melilotus alba Trifolim pratense Medicago arabica Medicago sativa ( residuo di coltivazione) Trifolium repens Spartium junceum Calicotome spinosa Geraniacee Geranium robertziana Euforbiacee Euphorbia dendroides Malvacee Malva Althea Malva sylvestris Guttifere Hypericum perforatum Violacee Viola arvensis 31 Ombrellifere Anthriscus sylvestris Daucus carota Pimpinella saxifraga Heracleum spondylium Angelica sylvestris Conium maculatum Pastinaca sativa Foeniculum vulgaris Leodonton autunnalis Crepis vescicaria Aracee Arum italicum Arum maculafirm Iridacee Iris germanica Naturalmente l'elenco è solamente indicativo e tutte le specie sono state classificate "a vista", quindi potrebbero esserci degli errori , dato che nello stesso genere, talvolta, si può fare confusione o addirittura possono ibridarsi specie consimili. Scrofulariacee Verbascum thapsum Verbascum album Veronica officinalis Veronica persica Veronica beccabuga Rhinanthus minor Orobanche flava Plantaginacee Plantago minor Plantago lanceolata Valerianacee Centranthus ruber Valeriana oflicinalis 32 Valerianella locusta Caprifoliacee Lonicera caprifolium Dipsacacee Scabiosa columbaria Dipsacus fullonum Campanulacee Camp anul a rotundifolia Campanula racemosa (rachelium) Composite Bellis perennis Solidago virgaurea Matricaria fetida Tanacetum vulgare Petasistes farfara Achillea millefolium Artemisia vulgaris 33 SCHEDE DI COLTIVAZIONE DI: CUCURBITA PEPO L., OCYMUM BASILICUM L., CROCUS SATIVUS L. MAJORANA HORTENSIS MOENCH.. MENTHAxPIPERITA L. ORIGANUM OFFICINALIS L. PETROSELINUM SATIVUM Hoffm. 34 CUCURBITA PEPO L. (Zucchino) Foto 1: pianta di zucchino Descrizione della coltura Lo zucchino è una specie erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Cucurbitacee. Il suo portamento, a seconda delle cultivar, può essere ad alberello, cespuglioso o strisciante. Le radici possono approfondirsi fino ad un metro, ma la maggior parte dell’apparato radicale si sviluppa piuttosto in superficie, soprattutto su terreni fertili che presentano, durante il ciclo, un’umidità sempre costante. Il frutto è un peponide e si consuma allo stato erbaceo. Può avere, a seconda delle cultivar, forma allungata, clavata, tondeggiante, ricurva, appiattita. Lo zucchino è una pianta monoica che presenta fiori unisessuati molto appariscenti, di colore giallo intenso che, aprendosi di mattina, vengono visitati da molti insetti. L’impollinazione avviene ad opera di questi ultimi e soprattutto da parte di api e bombi. Le foglie sono portate da lunghi piccioli vuoti all’interno; in particolare sulla pagina inferiore e sul picciolo, esse presentano numerosi peli rigidi. Esigenze pedo- climatiche Lo zucchino è una coltura che preferisce dei terreni leggeri, freschi con la sostanza organica ben umificata. E’ caratterizzato da una crescita rapida, con un notevole sviluppo fogliare. Lo zucchino è mediamente sensibile agli eccessi di boro ed alla salinità, al contrario teme le carenze di magnesio e di manganese ed è molto sensibile a quelle di ferro e molibdeno. Il pH del suolo si colloca tra 5,6 e 7,5: quello ottimale è attorno a 6,5. Lo zucchino è una pianta ad elevate esigenze termiche, ma fra le altre cucurbitaceae è la meno esigente: 35 predilige ambienti temperati e sono da evitare quegli ambienti caratterizzati da un’elevata ventosità. I valori ottimali di temperatura sono di 15-18°C la notte e 24-30°C il giorno. La temperatura del terreno, a livello delle radici, ha un effetto importante sulla crescita dello zucchino, con valori ottimali attorno i 21°C. A 10-13°C la pianta arresta la crescita. Tecniche colturali Coltivazione in pieno campo Lo zucchino viene considerato come una pianta da rinnovo e la sua coltivazione richiede la stessa precauzione utilizzata per le altre cucurbitaceae: quella di evitare un ritorno troppo ravvicinato sullo stesso terreno. Si consiglia una concimazione di base con letame ben maturo, o fertilizzanti organici se non si dispone di letame, con apporto di fosforo alla preparazione del terreno. Appena dopo l’inizio della raccolta, si dovranno cominciare le concimazioni azoto-potassiche. Coltivazione semiforzata in piccoli tunnel E’ una coltura di pieno campo, con la possibilità di anticipare il trapianto e la produzione. La coltura semiforzata con piccoli tunnel si avvantaggia notevolmente della pacciamatura, e di conseguenza l’irrigazione viene fatta con impianti a microirrigazione. La concimazione così, si apporta facilmente con la fertirrigazione. E’ possibile utilizzare tecniche di pacciamatura attraverso l’uso di polietilene nero, film a base di amido di mais o materiale cellulosico, con i seguenti vantaggi/svantaggi (tab. 1). Vantaggi Anticipo della cultura Pulizia Contenimento infestanti Svantaggi Impossibilità di lavorare per interrare concimi Impossibilità di lavorare per rincalzare Impossibilità di lavorare per rompere la crosta Tab. 1 – Vantaggi e svantaggi della pacciamatura Coltivazione in coltura protetta Questa coltura è fatta in serre/tunnel medio/grandi, sia in apprestamento freddo che riscaldato. Per facilitare le cure colturali e la raccolta possono essere applicati dei sostegni per l’allevamento in verticale. Per il resto viene applicata la tecnica di coltivazione ordinaria, anche se la coltura forzata richiede più consistenti apporti di elementi nutritivi. Particolare attenzione dovrà essere posta nell’evitare eccessi di vigoria e di salinità nel terreno. Sesto d’impianto 36 Nella coltivazione dello zucchino si utilizza un sesto d’impianto a file semplici con distanze tra le piante sulla fila di 0,90/1,00 metro e tra le file di 1,20/1,40 metri. Cure colturali Le cure colturali più importanti specifiche per la coltivazione dello zucchino sono le seguenti: • • • • sfoltire la vegetazione della pianta togliendo le foglia basali ormai esauste, per consentire una più vigorosa crescita del germoglio apicale; asportare dopo il trapianto le foglie dicotiledonari e successivamente i primi fiori e frutti, per consentire un migliore sviluppo della porzione vegetativa della pianta; eseguire la cimatura di eventuali getti secondari durante il ciclo vegetativo della coltura; sulle piante coltivate in ambiente confinato è preferibile l’utilizzo di tutori e legature per l’allevamento verticale delle piante, ottimizzare la densità dell’impianto e facilitare le operazioni di raccolta. Fertilizzazione Lo zucchino ha esigenze nutritive notevoli ed è considerata una coltura potassofila. Il fabbisogno in fosforo è relativamente costante durante l’accrescimento e nella fase produttiva, ma in misura minore rispetto all’azoto ed al potassio. Aumentando la quantità di potassio nel terreno, aumenta lo spessore della buccia dei frutti e ciò rende gli stessi più resistenti alle lesioni e migliora la qualità del prodotto. Un eccesso d’azoto nella fase iniziale della crescita può influenzare negativamente l’allegagione. Essendo una coltura da rinnovo trae vantaggio dall’apporto di letame ben maturo e tra gli oligoelementi si avvantaggia dell’apporto del magnesio. Prima di fare il piano di concimazione è quindi auspicabile conoscere, mediante un'analisi dettagliata del terreno, la disponibilità di sostanze nutritive presenti in qualità e quantità. E' più opportuno concentrare le risorse dell'agricoltore sull'ammendamento organico (concimazione con stallatico in dosi di 300-400 qli/ha) che rende anche le disponibilità per mineralizzazione dei nutrienti meglio distribuite nell'arco dell'intero ciclo produttivo, minimizza gli svantaggi dell'eccesso vegetativo e migliora la dinamica dell' acqua nel suolo L'apporto di sostanza organica può avvenire anche tramite sovesci, soprattutto interessanti sono quelli di leguminose e crucifere che possono avere azione nematocida e fungistatica . Per quanto riguarda la concimazione azotata, occorre prestare attenzione alle concimazioni troppo elevate alla semina o al trapianto, possono provocare una vegetazione troppo vigorosa ed inibire la fioritura. L’eccesso d’azoto come anche la carenza, si traducono in problemi di fioritura e di cascola dei fiori. Le forme nitriche, se consentite, vanno utilizzate in copertura. 37 Asporti di nutrienti in pieno campo Asporti medi: valori espressi da diversi Kg/ha Autore Prod. (t/ha) N P2O5 AA.VV 40-60 140-200 70-100 Tesi 45 170 70 Asporti di nutrienti in coltura protetta AA.VV 60 230 100 AA.VV 50-70 200-280 100-140 autori. Unità di misura K 2O CaO MgO 350-500 / / 390 / / 540 / 450-600 / 60 / Irrigazione Lo zucchino è una pianta con elevate esigenze idriche, le esigenze idriche in pieno campo ed in serra arrivano fino a 5 mm di acqua al giorno in condizioni di elevata insolazione. Tuttavia condizioni di umidità elevata e costante si determina un eccesso di vigoria vegetativa a scapito della produzione. In generale occorre un volume irriguo stagionale di 3.000-4.000 mc/ha. L’acqua d’irrigazione non deve avere un indice di salinità superiore a 1,5-2,0 mS/cm. La carenza idrica nello zucchino agisce negativamente sulla produzione, nei casi più gravi arrestandola, è pertanto indispensabile prevedere l’apporto frazionato di acqua. Le tecniche di irrigazione consigliate sono la microirrigazione a manichetta forata e quella in pieno solco, mentre è da evitarsi l’irrigazione a pioggia, per scongiurare attacchi di parassiti fungini. Ore di manodopera impiegate per la coltura Per tale coltura, preso in esame il periodo interessato dal ciclo produttivo (aprile- agosto), si sono analizzate le operazioni colturali al netto dei tempi necessari all’addetto per raggiungere il sito che ospita la coltura. Nella coltivazione dello zucchino si sono conteggiate le operazioni di lavorazione del suolo (comprese sarchiature e rincalzature), le concimazioni, il trapianto, l’irrigazione, di operazioni colturali particolari (asportazione foglie basali e tutoraggio) e la raccolta (compreso il confezionamento). Da tale valutazione è risultato che per la coltivazione di 1000 mq di zucchino sono necessarie da 140 a 160 ore di manodopera. Tale calcolo è al netto dei tempi di lavoro aggiuntivi derivanti dalla particolare orografia del territorio terrazzato delle Cinque Terre. Avversità Le avversità si dividono in danni dovuti a fenomeni non parassitari, fitopatie e danni da parassiti. Le due tipologie sono riassunte nelle tabelle sottostanti. Avversità Batteriosi Misure preventive Lotta diretta usare seme sano i sali di rame hanno un effetto di (Pseudomonas immersione del seme per un certo lasso di contenimento e i trattamenti sono consyringae tempo (20 - 40 minuti) in acqua calda (50 sigliabili dopo operazioni manuali o pv. lachrymans, 38 Erwinia carotovora subsp. carotovora) Virosi (CMV, ZYMV, WMV-2) meccaniche che possono causare ingenti - 55 °c), ferite sulle piante ampie rotazioni colturali, adeguata areazione delle serre, adeguate densità d'impianto, impiego di varietà tolleranti, nutrizione azotata equilibrata, irrigazioni localizzate, accurato drenaggio. Utilizzo di varietà resistenti, lotta agli insetti vettori (afidi principalmente), evitare la propagazione dell’infezione attraverso l’uso degli strumenti di raccolta. Per il trapianto è importante usare piantine ottenute in vivai con sicura protezione dagli afidi. Oidio in serra seppure è frequente la presenza di L'orientamento attuale è verso l'utilizzo di condizioni di umidità relativa superiore al zolfo pulverulento (50 kg/ha) per 70 % tuttavia si toccano frequentemente impolverazioni a cadenza di 10 giorni, condizioni di temperatura superiori ai integrata magari con l'utilizzo di 35°C che tendono a bloccare almeno permanganato di potassio su attacchi in atto (1-2 kg/ha) prima di riprendere la temporaneamente l'infezione. linea a base di zolfo. Sicuramente insoddisfacente la linea basata su prodotti bagnabili a base di zolfo. Avversità Nematodi Misure preventive Lotta diretta varietà resistenti, anche se la resistenza si Azadiractina, miscela di microrganismi. riduce di molto con temperature del suolo superiori ai 27-28 °C, innesto su piede resistente, sovesci con piante biocide, rotazioni nutrizione azotata equilibrata, la presenza In presenza di elevata infestazione, e in di aree marginali ricche di vegetazione assenza di ausiliari spontanei o introdotti, spontanea aumenta la popolazione di intervenire con trattamenti con insetticidi ammessi (Azadiractina alla comparsa dei predatori e parassitoidi. primi afidi, piretro, in trattamenti localizzati sui focolai). impiego di piantine di pomodoro non Interventi preventivi con azadiractina. infestate. Lavaggi con saponi. impiego di reti antinsetto. Utilizzo di piretro in assenza completa di impiego di trappole cromotropiche gialle ausiliari. per il monitoraggio Impiego dell'ausiliare Encarsia formosa, eseguire 4-6 lanci di 4-6 pupari/mq a Afidi Aleurodidi 39 Nottue cadenza quindicinale nel periodo primaverile e settimanale nel periodo estivo. Impiego dell'ausiliare Macrolophus caliginosus, introdurre con 2-3 lanci, 1-3 individui. trattamenti serali utilizzando Bacillus thuringensis Scelta varietale La produzione di zucchino biologico, destinata in gran parte alle catene di distribuzione organizzata, è basata sull’adozione di ibridi F1. In assenza di specifiche liste di raccomandazione varietale per il biologico, si può fare riferimento a quelle relative a metodi di produzione integrata, scegliendo preferibilmente cultivar rustiche e tolleranti fitopatie quali oidio (Erisyphe cichoracearum) e virosi (ZYMV, WMV, CMV). La coltivazione di ecotipi di zucchino è limitata alle produzioni destinate ai mercati locali. In tal caso si dà grande importanza a caratteri quali il colore del frutto (verde chiaro, verde scuro, striato, giallo) e la persistenza del fiore al frutto. Lo zucchino chiaro è stato inserito nell’Atlante Regionale dei prodotti tipici, perché la tradizione gastronomica e la cultura materiale della civiltà contadina ha portato ad utilizzare dello zucchino chiaro non solo il frutto, ma anche il fiore. Infatti nelle zone di produzione le varietà di zucchino coltivate sono di colore chiaro, con fiori maschili resistenti e femminili molto sviluppati e persistenti sul frutto. Varietà utilizzate Zucchino GREYZINI Ibrido precoce di colore verde chiaro, di lunghezza compresa tra 14 e 16 cm. La pianta è di medio vigore, adatto sia in produzione in serra che in pieno campo. Zucchino GENOVESE Ibrido dal ciclo precoce, presenta frutto cilindrico di colore verde chiaro con marezzature colore crema e buona tenuta del fiore. La pianta è compatta e ad elevata produttività. Bibliografia Tesi R. “Principi di orticoltura e ortaggi d’Italia”. Edagricole. Turchi A. et al. (1997) “Orticoltura pratica”. Edagricole Regione Emilia Romagna (2006) “Zucchino”. Disciplinari di produzione integrata 2006 40 Malagoli C. (1999) “Aspetti economici della coltivazione dello zucchino”. L’informatore agrario n° 18/1999, pg. 51-54. I.N.E.A. Regione Liguria (2000) “Studio sui tempi delle operazioni colturali delle colture liguri”. 41 OCIMUM BASILICUM L. (Basilico) Foto 1: Pianta di basilico Descrizione della coltura E’ una pianta aromatica assai apprezzata, di origine erbacea a ciclo annuale, con centro di origine nell’Asia. La radice è fittonante, con numerose ramificazioni superficiali di colore nerastro; lo stelo è quadrangolare con ramificazioni ascellari contrapposte, raggiunge un’altezza di 40-70 cm. Le foglie sono ovali lanceolate con bordo dentato, picciolo corto, lembo liscio o bolloso con nervature evidenti, di colore verde o violetto. I fiori sono riuniti in spighe allungate, con fioritura dal basso verso l’alto; hanno calice verde e sono presenti quattro stami con lunghi filamenti. La fioritura è scalare da giugno ad ottobre, con impollinazione entomofila; il frutto è un achenio utilizzato come seme, di forma ovale e colore nero. Esigenze pedo- climatiche Il basilico è una pianta da climi caldi, non tollera temperature vicino a 0°C; la temperatura minima per la germinazione è di 15°C, quella ottimale è compresa tra 20°C e 25°C. per la crescita risultano ottimali le temperature comprese tra 22°C e 27°C. E’ una pianta longidiurna che cresce bene in esposizione a pieno sole, anche se un leggero ombreggiamento è positivo per produrre piantine tenere ad aroma delicato. E’ considerata una specie esigente anche per quanto riguarda le caratteristiche del suolo, infatti predilige i terreni leggeri, ricchi di sostanza organica e con buona dotazione di calcio. Il pH ottimale per la sua coltivazione si aggira intorno al valore di 7. Indispensabile è anche un buon drenaggio del substrato per evitare i ristagni di umidità, che determinano problemi connessi con l’asfissia radicale. Richiede inoltre elevate e frequenti disponibilità idriche. 42 Tecniche colturali Coltivazione in pieno campo Il basilico viene coltivato in pieno campo soprattutto per la trasformazione in pesto ed anche per il consumo fresco. La coltivazione avviene solamente nella stagione primaverile estiva, a volte è possibile prolungare la raccolta sino all’autunno. Nelle tecniche colturali adottate si trova sia la semina diretta che il trapianto. Il prodotto derivante da questo tipo di coltivazione si presenta nettamente diverso da quello raccolto in ambiente protetto; il colore è verde intenso, le piante hanno foglie carnose e lamina molto espansa. La preparazione del terreno avviene qualche mese prima dell’impianto con una lavorazione profonda ed una concimazione organica di fondo. La lavorazione deve portare a sminuzzare finemente il terreno in superficie, così da far entrare in contatto i semi con lo stesso. Con la concimazione (con letame o concimi organici ad esso alternativi) e l’eventuale apporto di ammendanti in terreni compatti o interramento di colture da sovescio, l’erpicatura conclude le operazioni di preparazione del terreno. A volte per impianti in pieno campo di moderata estensione si utilizza la pacciamatura che comporta alcuni vantaggi e svantaggi, come si nota nella sottostante tabella. Vantaggi Anticipo della cultura Pulizia Contenimento infestanti Svantaggi Impossibilità di lavorare per interrare concimi Impossibilità di lavorare per rincalzare Impossibilità di lavorare per rompere la crosta T ab. 1 – vantaggi e svantaggi della pacciamatura Coltivazione in coltura protetta Questa coltura è fatta in serre/tunnel medio/grandi, sia in apprestamento freddo (estate) che riscaldato (inverno). Tale tipo di coltivazione prevede la semina diretta a spaglio, ma la tecnica di semina non prevede l’interramento del seme, pertanto la preparazione del letto di semina deve essere estremamente accurata. Il prodotto che ne deriva viene utilizzato per la maggior parte per il mercato del consumo fresco. La durata del ciclo culturale varia in funzione delle stagioni e delle coltivazione climatiche interne agli apprestamenti di copertura e varia dai 30 giorni circa del periodo estivo, sino a 60/90 giorni in inverno. Questo tipologia di coltivazione consente comunque la produzione per 10/11 mesi l’anno. Sesto d’impianto Nelle coltivazioni in pieno campo la semina è effettuata in aprile maggio, con una quantità di seme pari a 2-3 grammi al mq. Il seme viene generalmente distribuito su prose distanti tra loro 25 cm, così da facilitare il diserbo meccanico dell’interfila, ma può anche essere distribuito a spaglio sulla porzione interessata dalla larghezza della trattrice impiegata per le operazioni colturali (il terreno interessato dalla coltura non viene mai calpestato e conserva condizioni ottimali). Nelle coltivazioni in apprestamento protetto, la semina avviene generalmente a spaglio e la densità di 43 semina è particolarmente abbondante e compresa tra i 10 ed i 30 grammi (1 grammo di seme contiene circa 800 semi). Questa elevata densità di semina è dovuta, sia all’esigenza di massimizzare la resa per unità di superficie, che alla necessità di effettuare un unico intervento, al fine di evitare che la crosta che si forma sul terreno con le irrigazioni, impedisca la radicazione dei semi distribuiti in tempi successivi. Spesso, soprattutto negli impianti protetti che coltivano per la raccolta di piantine da destinare al mercato del consumo fresco, si ricorre a trasemine in prossimità delle prime raccolte della coltura e, successivamente ogni 20-25 giorni. Inoltre spesso viene utilizzata la tecnica del trapianto di piantine. In tal caso il sesto d’impianto è così individuato: le piante sono poste in fila binata ad una distanza di 30-35 cm sulla e di 80- 90 cm tra le bine. Cure colturali Le cure colturali più importanti specifiche per la coltivazione del basilico sono le seguenti: • • • favorire l’aerazione del terreno, cercando di rompere la crosta che può formarsi a seguito delle irrigazioni ripetute; per il basilico utilizzato per la trasformazione è consigliabile lo sfalcio meccanico, si consiglia di recidere la pianta a circa 20 cm da terra e nelle raccolte successive lo sfalcio viene effettuato sempre ad un livello superiore rispetto al taglio precedente per non raccogliere parti di pianta; nelle coltivazioni in ambiente confinato è preferibile la raccolta di tipo scalare, con apprestamenti divisi in tavole di coltivazione raccolte nello stesso giorno, così da avere tavole di coltivazione sfasate di un giorno. Fertilizzazione Il basilico non ha elevate esigenze nutritive, dato il breve ciclo colturale, tuttavia deve essere molto curata la concimazione di base. E’ pertanto consigliato letame ben maturo, in quantità variabili tra i 300 ed i 500 q/ha, da interrare al momento della preparazione del terreno. L'apporto di sostanza organica può avvenire anche tramite sovesci, soprattutto interessanti sono quelli di leguminose e crucifere che possono avere azione nematocida e fungistatica . Successivamente sarebbe bene apportare anche una concimazione che preveda apporti mirati di fosforo e potassio, che sono molto importanti per rinforzare le piantine nei confronti delle avversità e per ottimizzare il prodotto (spessore delle foglie e qualità organolettiche). Durante la coltivazione, dopo alcuni sfalci, può essere necessario intervenire con fertirrigazione quindicinali, impiegando concimi completi alla concentrazione del 2%. Elemento fertilizzante Azoto Fosforo Potassio Pieno campo 14,2 5,3 19,4 Serra 13,7 1,2 15,0 Tab.1- Valori medi degli apporti consigliati Irrigazione 44 Il basilico è una coltura con notevoli esigenze irrigue; infatti nel periodo produttivo sono necessari interventi di irrigazione solitamente giornalieri. Nelle ore più calde l’adacquamento può avvenire anche due volte il giorno, evitando, comunque, di irrigare nelle ore centrali della giornata. La tecnica di irrigazione è generalmente l’aspersione, attraverso l’impiego di ali irriganti di grandi dimensioni, più di rado l’irrigazione avviene per scorrimento tra le prose. Dopo il secondo o il terzo sfalcio possono essere effettuati periodici interventi di fertirrigazione, sempre seguiti da dilavamento delle foglie con sola acqua, al fine di allontanare i residui di concime dall’apparato fogliare. Ore di manodopera impiegate per la coltura Per tale coltura, preso in esame il periodo interessato dal ciclo produttivo (aprile- settembre) in piena aria, si sono analizzate le operazioni colturali al netto dei tempi necessari all’addetto per raggiungere il sito che ospita la coltura. Nella coltivazione del basilico si sono conteggiate le operazioni di lavorazione del suolo (comprese le sarchiature), le concimazioni, il trapianto, la scerbatura manuale, l’irrigazione e la raccolta (comprese la cernita ed il confezionamento). Da tale valutazione è risultato che per la coltivazione di 1000 mq di basilico sono necessarie da 250 a 300 ore di manodopera, in funzione del metodo di raccolta. Tale calcolo è al netto dei tempi di lavoro aggiuntivi derivanti dalla particolare orografia del territorio terrazzato delle Cinque Terre. Avversità Le avversità sono riassunte nella tabella sottostante. Avversità Peronospora (Peronospora sp.) Criteri d’intervento Interventi agronomici: - ampie rotazioni - distruggere i residui delle colture ammalate - favorire il drenaggio del suolo - distanziare maggiormente le piante - aerare oculatamente serre e tunnel - uso di varietà tolleranti Interventi chimici - i trattamenti vanno programmati in funzione delle condizioni climatiche (piogge frequenti e alta umidità) predisponenti malattia Fusariosi (Fusarium oxysporum f. sp. basilici) Interventi agronomici: z ampi avvicendamenti colturali z ricorso a varietà tolleranti z impiego di semi sicuramente sani Marciume del colletto (Rhizoctonia solani) Interventi agronomici: - ampi avvicendamenti colturali - impiego di semi o piantine sane - uso limitato dei fertilizzanti azotati - accurato drenaggio del terreno Prodotti utilizzabili Prodotti rameici 45 Batteriosi (Erwinia spp.) (Pseudomonas spp.) Macchia nera (Colletotrichum gloeosporioides) Nottue fogliari (Spodoptera spp. Autographa gamma ) (Heliotis armigera) - ricorso alle irrigazioni solo nei casi indispensabili Interventi agronomici: - effettuare avvicendamenti colturali ampi - evitare di provocare lesioni alle piante - allontanare e distruggere le piante infette - effettuare concimazioni azotate equilibrate - non irrigare per aspersione - non irrigare con acque provenienti da canali o bacini di raccolta periodicamente non ripuliti dai residui organici Interventi chimici: - intervenire alla comparsa dei sintomi o preventivamente Soglia: infestazione larvale diffusa a pieno campo. Prodotti rameici Prodotti rameici Estratto di piretro Bacillus thuringensis Tab. 2 – Avversità nella coltivazione del basilico. Scelta varietale Per quanto riguarda la commercializzazione del basilico per il mercato fresco e per quello della trasformazione, sono state individuate molte denominazioni con le quali sono riconosciute alcune delle cultivar della coltura nel nostro Paese. A foglia larga genovese Di Genova Foglia larga Genovese a grandi foglie Genovese comune Gigante genovese S. remo Di Genova a foglia profumatissima Genovese profumato Gran Vert Verde di Genova Spesso con la medesima denominazione sono commercializzati materiali differenti e, viceversa, con diverse denominazioni è individuata la stessa cultivar. Varietà utilizzate Basilico GENOVESE TIPO 1 Basilico principalmente caratterizzato dalla taglia molto alta e dal portamento più espanso; spesso è definito come “gigante”; “gigante genovese”; “Genovese a grandi foglie”; “A foglia larga genovese”. Basilico GENOVESE TIPO 2 Generalmente caratterizzato dalla taglia alta, ma inferiore al tipo 1, dalla foglia a lamina convessa ed a portamento prostrato. La caratteristica forma della foglia a cucchiaio è molto più evidente in serra che in pieno campo; spesso viene definito “genovese comune”. 46 Basilico GENOVESE TIPO LOCALE Nettamente distinto per le foglie dalle piccole dimensioni ed individuato spesso da denominazioni quali “a piccole foglie”, “delicato”, “piccolo”. Basilico GRAN VERT Si tratta di un caso particolare, un genotipo molto omogeneo, ben distinto che può essere definito come una varietà. Il Gran Vert è caratterizzato da una taglia della pianta più bassa rispetto agli altri tipi descritti, un portamento decisamente espanso ed una densità del fogliame superiore. Bibliografia Tesi R. “Principi di orticoltura e ortaggi d’Italia”. Edagricole Regione Liguria, AA.VV. “Le origini del basilico e la sua diffusione”. Quaderni di agricoltura Regione Liguria Regione Emilia-Romagna (2006) “Basilico”. Disciplinari di produzione integrata 2006. AA.VV. (1930) “Enciclopedia italiana di scienze, lettere e arti”. Ed. Istituto Giovanni Treccani. Arzone A. et al. (1996) “Notizie preliminari sugli insetti del basilico in coltivazioni liguri”. Atti incontri fitoiatrici. Baker K. et al. (1974) “Biological control of plant pathogens. Freeman W.H. e Co, San Francisco, USA” pag. 433. Bremness (1997) “Les plantes aromatiques et medicinales”. Ed. Bordas. I.N.E.A. Regione Liguria (2000) “Studio sui tempi delle operazioni colturali delle colture liguri”. 47 CROCUS SATIVUS L. (Zafferano) Foto 1: Pianta di zafferano Descrizione della pianta Lo zafferano conosciuto dai georgici greci e latini si ritiene originario dell’Asia minore. Questa iridacea, pertinente ad un genere ricco di ottanta specie, è stata introdotta nella nostra agricoltura, come epoca più probabile nel secolo XVI. Per primo l’Abruzzo accolse la coltivazione di questa specie, poi essa si estese in altre zone dell’Italia centrale e settentrionale. Ad oggi sono 45 gli ettari di zafferano coltivati in Italia: 35 ha in Sardegna, 7 ha in Abruzzo, 1 ha in Toscana e 2 ha nelle altre regioni. In Oriente lo zafferano è noto da tempo per le sue proprietà medicinali, oltre per quelle aromatiche e coloranti degli stimmi. Crocus sativus è pianta vivace e bulbosa; ha bulbi tunicati, foglie lineari, fiori ermafroditi ravvolti da spate membranose, provvisti di perigonio petaloideo a fauce violacea, di tre stami, ovario pluriovulare a tre logge di stilo filiforme e tre stimmi. Ciascuna pianta produce due-cinque fiori, i cui stimmi lobati costituiscono il prodotto tipico della coltura. Tali stimmi, lunghi 8/9 cm, hanno colore aranciato e profumo acutissimo; sapore amaro e piccante allo stato secco. Essi contengono i seguenti principi attivi: z crocina o zafferanina, sostanza colorante giallo-aranciata di natura glucosidica; z crocetina; z amaro di croco. Esigenze pedoclimatiche Lo zafferano può sviluppare in climi differentissimi, tuttavia ai fini agronomici sono da preferirsi quelli temperato-caldi, ad autunno non troppo rigido, in quanto la pianta fiorisce nei mesi di ottobre e novembre. Il terreno d’elezione è in genere di medio impasto a struttura humo-argillosa, poiché assicura una buona 48 ritenzione idrica, mentre l’elevato contenuto di sabbia conferisce scioltezza ed aerazione. Il contenuto di calcare attivo e quello di potassio deve essere buono; alta la sostanza organica, infatti il terreno ideale per la coltura dello zafferano è di tipo calcareo-argilloso-siliceo, va sempre lavorato in profondità e arricchito con stallatico maturo e deve essere dotato di un buon drenaggio. Lo zafferano ama il sole perciò stenta nella crescita se viene coltivato in zone umide e nebbiose; non teme invece il gelo. Il pH dovrebbe essere neutro o leggermente alcalino. Tecniche colturali Preparazione del terreno Nelle tecniche di preparazione del terreno è importantissima l’aratura in profondità (30 cm) durante la primavera dell’anno in cui si intende impiantare lo zafferaneto. Generalmente si procede ad un livellamento del terreno, poi si effettua la lavorazione profonda, seguita da un intervento di amminutamento, al fine di creare nel terreno un ambiente ideale per la coltura. E’ buona pratica agricola cercare di apportare sostanza organica al terreno in questa fase della coltivazione, attraverso sovesci o vere e proprie letamazioni. Lo zafferano succede comunemente ad una sarchiata o ad un erbaio primaverile ed alla coltura segue a volte il frumento. Lo zafferano torna sugli stessi terreni dopo 8-10 anni. Impianto I bulbi si piantano nei mesi estivi ed occorrono 1,1-1,3 Kg/m di bulbi selezionati, poiché essi pesano circa 20 g/cadauno ne occorrono 45-65 mq. Per 100 mq sono necessari 4.500-6.500 bulbi, pari a 90-130 Kg. Vengono preparate nelle file dei solchi profondi circa 15 cm, nei quali si piantano i bulbi distanti tra di loro non più di 2/3 cm; questi sono poi ricoperti delicatamente con la terra. Sono da preferire i bulbi più grossi, scavati di fresco da uno zafferanaio in rottura. Ogni tre file di bulbi si lascia una “corsia” che serve per evitare dannosi ristagni di acqua e per facilitare le successive operazioni colturali. Successivamente si pareggiano con un rastrello i cigli dei solchetti dove sono i bulbo-tuberi e si approfondiscono le “corsie”. Cure colturali Sono di seguito elencate le fasi del ciclo di produzione dello zafferano: z preparazione del terreno e concimazione; z raccolta dei bulbi; z preparazione del letto di semina; z messa a dimora dei bulbi; z controllo delle infestazioni; z fioritura e raccolta; z essiccazione e conservazione degli stimmi. Lo zafferano risente molto della competizione con le specie infestanti: devono essere pertanto eseguiti alcuni interventi di sarchiatura nelle interfile e delle scerbature manuali lungo la fila, soprattutto nel momento di emergenza dei bulbi. Utilissime sono le sarchiature, per arieggiare il terreno e rompere la capillarità, in modo particolare nei terreni argillosi, in quanto lo zafferano soffre molto di asfissia radicale nei casi di ristagno idrico. 49 Irrigazione Nella coltivazione dello zafferano non sono utilizzate tecniche di irrigazione. Fertilizzazione Un impianto di zafferano ha una durata variabile di 2/4 anni, l’apporto di sostanza organica è perciò in funzione della longevità dell’impianto stesso; mediamente si considera necessario l’apporto di 300 q/ha di letame maturo da interrarsi al momento della lavorazione principale (aratura). Si procede generalmente con concimazioni annuali da attuare in epoca autunno-invernale, in corrispondenza di una lavorazione del terreno. Nelle zone ove sia difficile il reperimento di letame, le esigenze nutritive possono essere soddisfatte mediante la somministrazione di concimi di diversa natura ammessi nelle coltivazione biologica (ai sensi del Reg. CEE 2092/91 e successive modifiche). Infestanti Per garantire alla coltura una limitata concorrenza da parte di essenze infestanti, si effettuano generalmente 2-3 interventi di controllo, manuali sulla fila e meccanici (ove possibile) nell’interfila. Avversità La coltivazione di zafferano non è generalmente soggetta a particolari avversità, l’unica operazione che mira a prevenire danni da patogeni è la sanificazione dei bulbi che dovranno costituire nuovi impianti. Tale operazione si effettua con prodotti a base di Cu. I principali danni posssono essere recati ad opera di animali (talpe, lepri, topi) che si cibani di foglie e bulbi. Raccolta e rese A partire dalla prima decade di ottobre inizia l’antesi: si procede dunque con la raccolta dei fiori che si protrae per circa 3 settimane. E’ importante sottolineare che la maggior quantità di fiori (circa il 70%) si ottiene in 7-10 giorni. La raccolta viene effettuata manualmente durante le prime ore del mattino, prima che il fiore si apra, poiché i raggi solari alterano i principi attivi presenti negli stimmi, che in questo caso sono anche più difficilmente separabili dal fiore. L’operazione nella separazione degli stimmi dal fiore ed è molto laboriosa poiché richiede una certa esperienza e va completata nello stesso giorno della raccolta. A questo punto si passa alla tostatura secondo l’antica tradizione: gli stimmi vengono appoggiati sulla superficie di un setaccio posto a debita distanza dalla brace coperta con la cenere, che fornisce il calore (a non più di 40-45° C) necessario per la tostatura. Dopo 10-15 minuti gli stimmi sono tostati e pronti per l’utilizzo. La conservazione della spezia è molto delicata e sono necessari vasi di vetro scuro e sacchetti di tela posti in luoghi asciutti, poiché lo zafferano è leggermente igroscopico. Nelle aree a coltura annuale per 1000 mq di superficie si possono ricavare 120-150.000 fiori del peso di 4/5 quintali (peso a fiore 3,4/3,6 grammi). Gli stimmi freschi pesano 5-7 kg (35-43 mg per fiore). Ultimata la fioritura, lo zafferano inizia la formazione delle foglie e di nuovi bulbi (uno o più per ciascuna pianta) e si arresta nell’attività vegetativa soltanto nei periodi invernali più rigidi. In primavera lo zafferano riprende e continua ad accumulare materiale di riserva nei bulbi sino alla 50 soglia dell’estate; poi entra in riposo dopo aver perso foglie e radici. Tali bulbi servono a costituire nuovi impianti. La raccolta è molto delicata e generalmente si effettua con l’ausilio della zappa e di un piccone che vengono utilizzati con esperta manualità e pazienza, per favorire la fuoriuscita dal terreno dei bulbo-tuberi da raccogliere senza rovinarli. Si effettua poi la cernita del materiale, separando quello idoneo da quello di piccole dimensioni (diametro inferiore a 2,5 cm). Durante la mondatura si rimuovono le tuniche più esterne e si elimina con cura il materiale difettoso, specie se si notano sintomi di qualche malattia parassitaria, poiché il materiale per la piantagione dello zafferano deve essere assolutamente privo di patogeni. I bulbo-tuberi così selezionati sono pronti per essere piantati. Bibliografia Crescini F. (1969) “Piante erbacee coltivate”. REDA, pg. 399-401. D’Alessandro R. (1915) “La coltivazione dello zafferano”. Piccioli G. (1932) “La coltura dello zafferano nell’Aquila degli Abruzzi”. Polpacci G., Maffei L. (1939) “Botanica farmaceutica”. Milano. 51 MAJORANA HORTENSIS MOENCH., SIN. ORIGANUM MAJORANA L. Maggiorana Foto 1: Pianta di maggiorana Aspetti botanici e utilizzazione La maggiorana, maggiorana dolce o maggiorana dei giardini (Majorana hortensis Moench, sin. Origanum majorana L.), è un suffrutice alto 40-50 cm, appartenente alla famiglia delle Labiatae. La radice è fascicolata ed esile. Il fusto è pubescente, quadrangolare, ramificato, qualche volta ramificato dalla base. Le foglie sono opposte, da tondeggianti ad ovate, piccole, lunghe fino ad un massimo di 35 mm, e larghe fino a 30 mm, grigiastre e tomentose. I fiori sono raggruppati in spicastri di forma globosa, ovoidale, lunghi fino a 20 mm e larghi circa 3 mm, posti all'apice dei rami secondari portati all'ascella delle foglie. Hanno calice e corolla bilabiate; la corolla è bianca alla fioritura ed in seguito diventa giallastra. Fiorisce in luglio-agosto. Il frutto è un tetrachenio ed i semi singoli sono sferici, lisci e di colore marrone. Il peso di 1000 "semi" è di 0,20-0,25 g. La capacità di germinabilità del seme di maggiorana è di circa 2-3 anni. Le monografie tedesche riportano che le parti utilizzate sono costituite dalle foglie e dalle infiorescenze essiccate sotto forma di droga o maggiorana erba (Majoranae herba) e di olio essenziale o maggiorana essenza (Majoranae aetheroleum) che deve contenere non meno del 1% di essenza. La droga è utilizzata soprattutto come condimento nei cibi, in particolare carni, salumi e salse, mentre, più raramente, è usata come infuso per le sue proprietà digestive, diuretiche, toniche carminative, sudorifere e antispasmodiche. L’olio essenziale è utilizzato soprattutto nell’industria alimentare e più raramente nell’industria cosmetica e farmaceutica. Nell’industria alimentare: l’olio essenziale e l’oleoresina (o.e. + resine) sono ingredienti aromatici di bevande alcoliche (vermouth, amari, liquori) e non alcoliche, dessert, canditi, cibi cotti, gelatine e budini; numerosi sono gli impieghi nelle salse e in drogheria. Nell’industria cosmetica è una componente fragrante di saponi, creme, lozioni e profumi. Nell’industria farmaceutica, entra nella composizione dell’alcolato vulnerario e in diverse specialità ad attività sedativa e antispastica; i derivati galenici della droga, a piccole dosi, favoriscono la secrezione gastrica e la motilità intestinale (eupeptici e carminativi). Viene usato anche come aromatizzante e correttivo. Esigenze pedoclimatiche La maggiorana è una pianta originaria del Nord-Africa e del Medio Oriente. Secondo Pignatti (1982), si troverebbe come sub-spontanea, presso gli orti, negli incolti ed ai bordi delle vie, in tutto il territorio italiano. Comunemente è coltivata in orti e giardini di pianura e collina ed è coltivata soprattutto in Francia, Egitto, Grecia, Ungheria, Stati Uniti e in altri paesi dell'area mediterranea. Preferisce terreni sciolti anche calcarei, ricchi in sostanza organica, e soleggiati. E’ perenne nel suo areale di origine e nelle regioni calde del Sud Europa, mentre è annuale nelle zone fredde e nell’Europa centrale. Per germinare necessita di temperature alte, sebbene i semi iniziano a germinare a 12-15 °C, l’optimum è 20-25 °C. Sono necessari circa 600-650 mm di pioggia durante la stagione vegetativa. Tecnica colturale Scelta varietale In Italia non esistono varietà selezionate, ma ci sono ditte sementiere che commercializzano seme rappresentato da popolazioni. All’estero le varietà più conosciute sono: «Uszodi», di provenienza ungherese, con prevalente attitudine a produrre steli a fiore; «Francia», di provenienza ungherese, con prevalente attitudine alla produzione di foglie; «Marcelka», di provenienza cecoslovacca; «Mirasch», di provenienza polacca. Preparazione del terreno La preparazione del terreno si effettua mediante aratura autunnale, seguita da lavorazioni di amminutamento del terreno primaverili, al fine di ottenere una struttura idonea ad ospitare i semi o le piantine. Fertilizzazione Nell’anno di impianto si distribuiscono 60-70 kg/ha di N e altrettanti di P2O5 e K2O, mentre negli anni successivi, alla ripresa vegetativa, si aggiungono solo 40-50 kg/ha di N (con concimi ammessi in coltura biologica ai sensi del Reg. CEE 2092/91 e successive modifiche). In colture irrigue queste dosi possono essere quadruplicate ed in questo modo si ottiene un analogo incremento delle rese rispetto a quelle ottenibili in colture asciutte. Da sottolineare comunque che le rese proposte sono da considerarsi del tutto indicative e devono essere adeguate alla naturale dotazione del terreno, accertata con opportune analisi chimico-fisiche. Impianto A causa delle piccole dimensioni del seme e della lentezza di crescita delle piantine nelle prime fasi, si fa generalmente per trapianto di piantine provenienti da semenzaio. In genere in semenzaio si utilizzano 100-150 g di "seme" per 70-80 m2 di superficie, che di solito sono sufficienti a produrre le piante necessarie ad un ettaro di coltura. La semina in semenzaio si esegue alla fine di febbraio e il trapianto delle piantine così ottenute, alte circa 10-12 cm, avviene in aprile-maggio. La semina si esegue a file distanti 30-40 cm, in modo da avere una densità di circa 30-40 piante per m2, e non minore perché si svilupperebbero le porzioni legnose della pianta con conseguente diminuzione delle rese. Irrigazione Pur essendo la maggiorana una specie mediterranea e quindi resistente alla siccità, è bene irrigare per favorire lo sviluppo vegetativo della pianta. 53 L’irrigazione va effettuata dopo la semina o il trapianto, per favorire la germinazione o l’attecchimento delle piantine, in primavera e dopo il primo taglio per favorire il ricaccio, e in altri casi solo come irrigazione di soccorso in periodi siccitosi. Infestanti Non potendo fare ricorso al diserbo chimico, nel corso della coltura si devono eseguire 3-4 lavorazioni meccaniche nell’interfila e manuali sulla fila.. Avversità Tra gli insetti, che danneggiano le foglie, da segnalare le larve di un coleottero (Chrysomela menthastri Suff.), larve di lepidotteri minatori ed i cicadellidi che, in caso di forte infestazione, possono essere controllati con insetticidi a base di piretrine o di rotenone. Tra le patologie principali ci sono le ruggini (Puccinia menthae Pers. e P. rubsaameni Magn.), per la quale possono essere fatti trattamenti preventivi a base di rame, e la Septoria origanicola Allesch. var. marjoranae Bres. che provocano delle macchie dal giallastro al rossastro scuro sulle foglie, mentre l’Alternaria spp. provoca nei semenzai e nelle giovani piantine marciumi radicali, mentre determina il disseccamento delle piante adulte. Raccolta, rese e essiccamento Se il prodotto è destinato all'impiego erboristico (droga essiccata), l'epoca di raccolta corrisponde all'inizio della fioritura. Se il prodotto è destinato all'impiego industriale (olio essenziale), l'epoca di raccolta corrisponde alla piena fioritura. Si sfalciano le sommità fiorite a circa 10 cm da terra, al fine di raccogliere solo le parti più tenere e favorire la ripresa vegetativa della pianta. Sia nel 1° che nel 2° anno si possono effettuare due tagli, il primo in giugno-luglio e il secondo in settembre-ottobre. Già nel primo anno di coltivazione si possono eseguire due tagli, la resa per 100 m2 di superficie è di circa 50-100 kg di prodotto fresco, pianta intera, che corrispondono a 15-33 kg di prodotto secco. Nel 2° e 3° anno di coltivazione, la resa sale a circa 100-150 kg (prodotto fresco, pianta intera), che corrispondono a 33-50 kg di prodotto secco ed a 16-25 kg (sole foglie secche). La percentuale in olio essenziale oscilla tra lo 0.2% e lo 0.4% sul fresco per la pianta intera e 0.9% per la droga essiccata. La resa in seme é molto variabile a seconda dell’andamento stagionale e della durata della fioritura e può oscillare da 150 a 800 kg/ha. La durata della coltura è di 3-4 anni nei climi temperati, mentre è annuale nel Nord Italia. Le sommità fiorite si essiccano in locali ben arieggiati e all’ombra, oppure a 35 – 40 °C in stufe affinché si ottenga una droga di migliore qualità per colore e aroma. La droga va conservata in contenitori chiusi al riparo dalla luce e dall’umidità. Bibliografia: Catizone P., Marotti M., Toderi G., Tétény P. (1986) “Coltivazione delle piante medicinali e 54 aromatiche”. Patron Editore, Bologna, pg. 217-222. Dachler M., Pelzman H. (1999) “Arznei-und Gewürzpflanzen”. Agrarverlag Wien, pg. 232-235. Hornok L. (1992) “Cultivation and Processing of Medicinal Plants”. John Wiley & Sons, pg.213. Maghami P. (1979) “Culture et cueillette des plantes médicinales”. Hachette Paris Cedex, pg. 104-106. Pignatti S. (1982) “Flora d’Italia”. Edagricole, Bologna. Unità divulgativa n° 4 Regione Liguria “Scheda di coltivazione relativa a timo, maggiorana, origano”. 55 MENTHAxPIPERITA L. (Menta piperita) Foto 1: Pianta di menta piperita Aspetti botanici e utilizzazione Menta piperita è una erbacea perenne dotata di un fusto eretto a sezione quadrangolare, di colore variabile dal verde al violetto, alta da 30 a 100 cm e molto ramificata nella parte superiore. E’ munita di un rizoma legnoso e di stoloni sotterranei che le permettono di sopravvivere ai freddi invernali. Le foglie sono di colore verde scuro, opposte, lanceolate, spicciolate, e ricoperte, su entrambe le pagine, da peli ghiandolari. I fiori, riuniti in infiorescenze a spicastro, hanno colori variabili dal bianco al rosa al violetto e risultano quasi sempre sterili. Le varietà più coltivate sono la M. P. pubescens Camus, detta anche bianca o piemontese, con foglie di colore verde chiaro e fiori bianchi, e la M. P. rubescens Camus, detta anche menta nera, con fiori rosa-violacei e foglie di colore verde scuro. Quest’ultima, detta anche Mitcham (dalla zona inglese da cui proviene) ha un aroma intenso, è ricca di olio essenziale, presenta ottima rusticità e adattabilità a vari tipi di terreno ma rispetto alla bianca contiene minori percentuali di mentolo. La menta ha proprietà profumanti, aromatizzanti, digestive, col eretiche, antisettiche, carminative, antispasmodiche, balsamiche, diuretiche, rinfrescanti. E’ largamente utilizzata nell’industria cosmetica, farmaceutica, dolciaria e liquoristica. Per uso interno l’infuso di menta determina un aumento della produzione biliare ed è indicato per gastriti, enteriti acute e croniche; l’olio essenziale è impiegato anche per uso topico in applicazione su contusioni, eczemi, foruncolosi, ascessi, ulcere, punture di insetti e per inalazioni in caso di raffreddori e bronchiti. Esigenze pedoclimatiche La m. p. può essere coltivata su tutti i tipi di terreno, anche se predilige quelli freschi, sciolti, profondi e fertili; da evitare invece sono i suoli eccessivamente argillosi, umidi e freddi durante l’inverno, e quelli soggetti a ristagni idrici, poiché in questo caso è più frequente la comaparsa di malattie fungine. La m. p. si adatta bene a quasi tutti i climi, preferendo comunque temperature miti, non teme le gelate e le brinate tardive, richiede buona esposizione e non sopporta i venti dominanti. Gli stoloni sotterranei possono sopportano anche temperature di -17 °C in inverno (in caso di 56 copertura nevosa arrivano fino a -30 °C); i germogli si sviluppano già a 2-3 °C, anche se un ritmo ottimale di crescita si ottiene al di sopra dei 10°C. Temperature oscillanti tra i 18 e i 22 °C infine, sono favorevoli all’accumulo ottimale di sostanza secca durante il periodo vegetativo. Tecniche colturali Posizione nell’avvicendamento e preparazione del terreno La menta, pur essendo specie perenne, in coltivazione normalmente non dura più di un paio di anni. Essa può essere considerata pianta da rinnovo e pertanto può seguire un cereale o anche un prato stabile e dev’essere inserita in rotazioni molto lunghe (si deve evitare di farla tornare sullo stesso terreno per almeno 6-7 anni). Richiede un’adeguata preparazione del terreno, il quale deve essere privo di piante infestanti, soprattutto perenni e rizomatose. Ciò si ottiene mediante una lavorazione abbastanza profonda (25-30 cm) e successive erpicature per mantenere il terreno perfettamente pulito fino al momento dell’impianto. Impianto La propagazione della menta si fa esclusivamente per via vegetativa, attraverso l’uso di stoloni o di germogli radicati. Nel primo caso l’impianto si fa in autunno o a fine inverno-inizio primavera, avendo cura di interrare gli stoloni in piccoli solchi profondi 8-10 cm e disporli in fila a gruppetti di 2-3. Di norma si preferisce eseguire il trapianto nei mesi autunnali, al fine di avere una raccolta anticipata, maggiori rese in massa verde e una più alta resistenza a eventuali periodi siccitosi. Da un mq di menteto si può prelevare materiale per 20 mq di pieno campo. In alternativa a quanto appena visto, l’impianto può anche essere fatto ricorrendo al trapianto di piantine alte 8-10 cm e ottenute dalla divisione del cespo. Questa operazione si esegue in primavera inoltrata e preferibilmente in terreni sciolti e con possibilità di irrigazione. Il sesto di impianto più comune prevede distanze di 20-30 cm sulla fila e di 40-50 tra le file, per un investimento di 66000-125000 piante/ha. E’ bene non scendere troppo nella densità della coltura perché in tal caso le piante tendono a fornire poco olio essenziale. Irrigazione Normalmente, in climi caratterizzati da scarsa piovosità estiva, occorre prevedere l’irigazione. I momenti più critici sono: dopo la ripresa vegetativa (quando i germogli sono lunghi 8-10 cm), la fase di sviluppo delle gemme laterali, l’inizio della fioritura e subito dopo il primo taglio. Il volume di adacquamento, necessario per riportare il l’umidità del terreno alla capacità di campo, varia con la tessitura e la struttura del terreno, le quali, influendo direttamente sulla permeabilità e sulla porosità dello stesso, ne determinano le caratteristiche ideologiche e la capacità di immagazzinare riserve idriche utili per le piante. Fertilizzazione La menta è un’essenza particolarmente esigente in azoto e predilige terreni ricchi in sostanza organica. Di norma con la lavorazione profonda è utile interrare una certa dose di letame (300400 q/ha). Dopodiché si procede alla somministrazione, mediante concimi ammessi nella coltivazione biologica (ai sensi del Reg. CEE 2092/91 e successive modifiche) di elementi nutritivi in ragione di c.a. 80-120 kg/ha di N (in due epoche, e precisamente 2/3 a inizio primavera e 1/3 subito dopo il primo taglio), 60-80 kg/ha di P2O5 e 140 kg/ha di K2O ( le dosi sono da considerarsi comunque indicative e possono essere variate a seconda della dotazione naturale del terreno, accertate con un’opportuna analisi). Infestanti e cure colturali Nell’anno di coltivazione è necessario fare particolare attenzione alle infestanti; particolarmente dannosi sono il villucchio, il convolvolo che, con il suo arricciamento, provoca l’allettamento dei 57 fusti, le linarie, le achillee, la camomilla. Prima di intraprendere la coltivazione sarà bene verificare quali infestanti sono presenti nel terreno e, comunque, intervenire con tecniche agronomiche, al fine di ridurne la presenza. Poiché la menta produce molti stoloni, sarà bene intervenire nella lotta contro le infestanti appena queste compaiono, mediante sarchiature, fino a quando sarà possibile accedere nelle interfile. Spesso già nel mese di giugno le interfile sono quasi completamente chiuse, rendendo difficile l’intervento di diserbo meccanico o manuale senza causare danni alla coltura. Avversità Diversi sono i patogeni che possono colpire la menta, tra cui: z Puccinia menthae Pers. (agente della ruggine della menta): è la malattia più temuta per la menta. Essa può installarsi soprattutto dal secondo anno e colpisce le foglie; i picnidi ed ecidi, di colore giallastro, si formano in primavera nelle parti deformate e nei rigonfiamenti dello stelo, dei piccioli e delle foglie. In segutio compaiono gli uredosori di colore bruno-rossastro e in autunno i teleutosori scuri. Il microrganismo sverna sottoforma di micelio nelle piante pluriennali e anche come teleutospora. Lo sviluppo della ruggine è favorita dall’umidità e dagli sbalzi di temperatura che si possono verificare in tarda estate. Per la prevenzione sipossono fare trattamenti a base di rame, i quali non sono vietati. In caso di attacchi si cerca di ovviare attraverso la raccolta anticipata (lo sviluppo della ruggine si ha in giugno-luglio, quindi raccogliendo prima la si evita; si avrà minore produzione dal punto di vista quantitativo ma si preserverà la qualità). Se si ha un attacco dopo la raccolta si ricorre ad un taglio anticipato in agosto, per poi aspettare i ricacci sani di settembre. Un sistema per impedire il diffondersi dell’infestazione consiste nel limitare la coltura ad un anno e nel coltivare in file sufficientemente spaziate e nel razionalizzare al meglio le concimazioni azotate le quali, se eccessive aumentano la suscettibilità della coltura all’attacco del patogeno. Il sistema migliore tuttavia è quello di coltivare varietà di menta resistenti; z Ramularia Solani Kuhn: attacca le foglie causandone avvizzimento e disseccamento (è frequente nei terreni molto umidi e sottoposti a forti concimazioni organiche); z Rhizoctonia Solani Kuhn: provoca rallentamenti nello sviluppo e in molti casi anche la morte delle foglie precedentemente accartocciatesi; z Macrophomina Phaseoli Ashby: provoca marciume radicale Tra i parassiti animali potenzialmente dannosi, da ricordare sono alcuni afidi (Aphis Affinis e Aphis menthae-radicis), alcuni coleotteri (Cassida Viridis L. e Chrysomela Mentastri Suffr.), alcuni nematodi litofagi (Meloidogyne Hapla e Pratylecoides Laticauda che attacca i rizomi). Raccolta e rese La coltivazione della menta può essere destinata alla produzione di olio essenziale o delle foglie. Per la produzione di olio essenziale la raccolta si esegue in agosto, quando la menta è in fioritura; la resa è dello 0,3% sulla massa verde appena sfalciata; spesso il primo raccolto viene destinato alla distillazione in quanto più ricco di essenza, mentre il secondo alla produzione della foglia. Per la produzione della cimetta il raccolto si può eseguire in luglio, e il secondo sfalcio a fine estate; in coltura irrigua gli sfalci possono essere addirittura 3. La resa complessiva fra i due sfalci è di circa 250 q/ha con una resa in secco del 25% e un rapporto di foglie e fusti sul secco di 1:1,5. Bibliografia: 58 Dachler M., Pelzman H. (1999) “Arznei-und Gewürzpflanzen”. Agrarverlag Wien, pag. 256261. Catizone P., Marotti M., Toderi G., Tétény P. “1986” “Coltivazione delle piante medicinali e aromatiche”. Patron Editore, Bologna, pg. 235-244. Maghami P. (1979) “Culture et cueillette des plantes médicinales”. Hachette, Paris Cedex, pg. 14-118. Crescini F. “Piante erbacee coltivate” Reda, pg. 401-403. Tesi R. “Principi di orticoltura e ortaggi d’Italia”. Edagricole, pg. 292-294. 59 ORIGANUM VULGARE L. (Origano) Foto 1: Pianta di origano Cultivar più importanti: al riguardo ricordiamo l'Origanum Vulgare Album, che si caratterizza per il portamento arbustivo, per i fiori tubolari, bilabiali di colore bianco e le brattee di colore verde che nascono in prossimità dei fiori, e Origanum Majorana, varietà dall'aspetto suffrutice sempreverde dal portamento eretto che fiorisce per tutta l'estate. Entrambe le varietà sono ampiamente utilizzate in cucina. Aspetti botanici e utilizzazione L’origano, il cui nome deriva dal greco antico oros ganos (gioia della montagna), è un’erbacea perenne rustica che a maturità diviene semisrbustiva ed è sempreverde nei luoghi caratterizzati da clima mite. Da una base legnosa dal portamento prostrato, si sviluppano i tipici fusti a sezione quadrangolare e di colore verde rossastro, che possono superare il mezzo metro di altezza; alcuni di essi portano solo foglie mentre altri sostengono l’infiorescenza. Le foglie sono molto aromatiche e profumano di pepe, sono di forma ovale con l’apice appuntito e il loro colore è un verde intenso. I fiori sono di colore rosa o bianchi, appaiono in estate e sono raccolti in pannocchie tondeggianti poste all’apice degli steli. L’origano , oltre che in cucina, è utilizzato anche in cosmesi e nelle preparazione di infusi, date le sue proprietà rilassanti, antidepressive e antinfiammatorie. Esigenze pedoclimatiche L’origano è una pianta erbacea perenne, originaria dell’Europa e dell’Asia occidentale, molto comune in tutti i paesi del Mediterraneo ed anche in Italia , nei luoghi incolti , nei prati, nei boschi e nelle scarpate; presenta fusti alti fino a mezzo metro, generalmente poco ramificati, rossastri e con spigoli poco marcati. 60 La pianta predilige le posizioni soleggiate e si può coltivare in terreni ben areati, ben drenati, con reazione da neutra ad alcalina, poveri o leggermente fertili. Tale coltura ama il caldo e soprattutto l’asciutto, sono da escludere i terreni con ristagni idrici, troppo freddi nei mesi invernali e quelli esposti a nord, nei quali in inverno viene protetto ed a volte coltivato in serra. La pianta forma cespi folti e striscianti e le sue foglie sono molto utilizzate in cucina. Il timo è una pianta molto rustica, che si adatta a diversi tipi di terreno (calcarei, asciutti, permeabili, sassosi, poveri e soleggiati), purchè ben drenati e con sufficiente dotazione di sostanza organica. E’ un’essenza che tollera bene condizioni di forte calore e aridità estiva tipica del clima mediterraneo; al contempo presenta anche buona resistenza al freddo invernale. La coltura predilige posizioni Il pH ottimale del terreno dev’essere prossimo alla neutralità (tra 6 e 8).soleggiate e ben arieggiate. Un ambiente arido, caldo, soleggiato favorisce l'accumulo dei principi attivi aromatici, anche se risulta limitante per lo sviluppo vegetativo. Tecniche colturali Preparazione del terreno Generalmente si procede ad un livellamento del terreno, poi si effettua una lavorazione abbastanza profonda (25-30 cm), seguita da un intervento di amminutamento, al fine di creare nel terreno un ambiente ideale per l’espansione dell’apparato radicale delle piantine (fittonante nelle piante ottenute da seme). E’ buona pratica agricola cercare di apportare sostanza organica al terreno in questa fase della coltivazione, attraverso sovesci o vere e proprie letamazioni. Impianto L'origano si può moltiplicare preparando talee in serra ma, soprattutto suddividendo i cespi in primavera e in autunno e mettendoli subito a dimora. Occorre tenere ben innaffiati i nuovi impianti finchè non hanno attecchito. Come alternativa può essere seminato in piena terra in primavera. Il sesto d’impianto è composto da piante distanti 60-70 cm tra le file e 20-30 cm sulla fila e la densità ottimale è di 6-8 piante a mq. Le distanze fra le fila dovranno essere rapportate alle dimensioni dei piccoli macchinari disponibili in azienda e impiegati per le lavorazioni. Cure colturali L’origano risente molto della competizione con le specie infestanti: devono essere pertanto eseguiti alcuni interventi di sarchiatura nelle interfile e delle scerbature manuali lungo la fila. Utilissime sono le sarchiature, per arieggiare il terreno e rompere la capillarità, in modo particolare nei terreni argillosi, in quanto l’origano soffre molto di asfissia radicale nei casi di ristagno idrico. In alcuni paesi esteri vengono eseguiti interventi di diserbo chimico con l’impiego di Lenacil, somministrato in pre-emergenza. Le esigenze idriche della coltura sono più forti nella fase di germinazione dei semi e di affrancamento dei semenzali dopo il trapianto. Utilissimi sono gli apporti di acqua sia con irrigazioni a pioggia che per scorrimento dopo ogni sfalcio. L’origano si propaga per seme, per talea, per propaggine e per divisione di cespo. La semina può essere effettuata in febbraio-marzo in piccoli cassoni o in letti riscaldati in serre; le giovani piantine verranno poi messe a dimora all’inizio del mese di maggio. La semina può anche essere eseguita direttamente in campo in aprile, avendo cura di effettuare un intervento di diradamento delle piantine troppo fitte. Per il trapianto autunnale, le semine si eseguono in giugno-luglio in contenitori alveolari o in semenzai ombreggiati e un grammo di seme è sufficiente per un mq di superficie. In aprile-maggio si prelevano talee lunghe 7-8 cm dai germogli basali non fioriferi e si piantano in cassone, contenente un miscuglio di torba e sabbia in parti uguali; quando queste hanno radicato si piantano definitivamente a dimora. La divisione di cespo è una pratica improponibile per una coltivazione a scopo industriale; è comunque, significativa, perché dà luogo a progenie del tutto identiche alla pianta da cui si è 61 prelevato il materiale di propagazione. Irrigazione Una buona disponibilità di acqua ed elementi nutritivi favorisce invece la produzione delle parti verdi, rametti e foglie e ne stimola il ricaccio e lo sviluppo vegetativo. Quando la pianta sia sottoposta spesso alla raccolta dei giovani rametti verdi, diventa perciò importante intervenire con modesti, ma frequenti apporti idrici e nutrizionali, in particolare subito dopo la raccolta, ma non eccessiva o abbondante. Fertilizzazione Un impianto di origano ha una durata variabile da un minimo di 3 anni a un massimo di 10 anni. L’apporto di sostanza organica è perciò in funzione della longevità dell’impianto stesso; mediamente si considera necessario l’apporto di 300 q/ha di letame maturo da interrarsi al momento della lavorazione principale (aratura). Nelle coltivazioni non biologiche possono essere apportate annualmente 100-120 unità di azoto, 80-100 unità di P2O5 e 60-80 unità ad ettaro di K2O. L’azoto deve essere somministrato alla ripresa vegetativa e dopo ogni sfalcio per stimolare la crescita della pianta, fosforo e potassio possono essere apportati durante la prima lavorazione primaverile. Si procede poi con letamazioni annuali da attuare in epoca autunnale-invernale, in corrispondenza di una lavorazione del terreno; in alternativa l’apporto di sostanza organica può essere garantito mediante la coltivazione e il successivo interramento di colture da sovescio nell’interfila (graminacee, leguminose e crucifere). Nelle zone ove sia difficile il reperimento di letame o sia sconveniente la tecnica del sovescio (da considerare in tal senso la bassa redditività della coltura), le esigenze nutritive possono essere soddisfatte mediante la somministrazione di concimi di diversa natura ammessi nelle coltivazione biologica (ai sensi del Reg. CEE 2092/91 e successive modifiche). Infestanti Per garantire alla coltura una limitata concorrenza da parte di essenze infestanti, si effettuano generalmente 2-3 interventi di controllo, manuali sulla fila e meccanici (ove possibile) nell’interfila. Avversità Nelle coltivazioni di origano allo stato ottimale, sono solo stati riscontrati, in certe annate, attacchi di cicaline; la loro intensità non è mai stata tale da dover intervenire con trattamenti insetticidi. Sono stati riscontrati anche attacchi di fitofagi della famiglia delle Aphidiae (Aphis origani), afide nero che porta deformazioni fogliari. Generalmente il timo non presenta eccezionali problemi dovuti ad attacchi parassitari. Pur amando le posizioni esposte al sole spesso il fogliame può essere danneggiato proprio dalle scottature causate dai raggi del sole. Raccolta e rese Durante il primo anno di coltivazione si ottiene un unico raccolto, mentre, a partire dal secondo anno, vengono mediamente eseguiti due sfalci, uno in luglio e uno in settembreottobre.L’origano sul finire dell'estate o a prima fioritura, prima che i boccioli si siano schiusi, può essere tagliato così da formare mazzetti legati da appendere per l'essicazione all'ombra. La produzione di massa verde al 1°anno è di 20-30 q/ha; al 2° anno entra in piena produzione e si sono riscontrate rese fino a 120-130 q/ha. Il calo pianta fresca e secca è del 75% circa e su 100 Kg di piante verdi la produzione di foglie e fiori mondi essiccati è di 15 Kg. L’essiccazione deve essere rapida ed avvenire con l’impiego di essiccatoi moderni o all’ombra, in luoghi ventilati. La resa in olio essenziale della pianta fresca è dello 0,2-0,3%, e la produzione riferita ad un 62 ettaro può aggirarsi sui 25- 30 kg. Bibliografia: Unità divulgativa n° 4 Regione Liguria – Scheda di coltivazione relativa a timo, maggiorana, origano Tesi R. “Principi di orticoltura e ortaggi d’Italia” Edagricole, pg. 294-295. 63 PETROSELINUM SATIVUM Hoffm. (Prezzemolo) Descrizione della coltura Il prezzemolo è una pianta erbacea, appartenente alla famiglia delle Ombrellifere, ha fusto eretto , è alta da 15 a 80 cm. Se coltivata è biennale, se spontanea è perenne. E’ originaria delle zone mediterranee, le foglie ed i fusti sono le parti utilizzate sia per il consumo fresco, che per la preparazione di salse. La radice è fittonante e sostiene un fusto eretto, ramificato, di colore verde scuro, le foglie, di un bel verde brillante, hanno margini frastagliati e sono di forma vagamente triangolare. Esse sono molto ricche di vitamine A, B, C e di sali minerali. I fiori sbocciano solo nel secondo anno di coltivazione, sono riuniti in ombrelle ed il loro colore è bianco-verdastro. Il frutto è costituito da due parti secche contenenti ciascuno un seme. I semi del prezzemolo contengono sostanze che possono risultare tossiche. Esigenze pedo- climatiche La coltura non ha particolari esigenze di terreno. Sono da evitare i suoli soggetti a ristagni idrici non ben tollerati dalla coltura. A titolo indicativo, riportiamo nella tabella successiva i parametri pedologici ottimali per la coltivazione del peperone. Parametri pedologici valori ottimali Tessitura: moderatamente grossolana Drenaggio: buono Franco di coltivazione: > 30 cm Calcare totale attivo: < 10% pH: 6.0 - 7.5 Salinità (CE m S cm -1 dell’estratto di saturazione): < 2 Sostanza organica: predilige terreni con elevato tenore di s. organica I terreni compatti contenenti un alta percentuale di argilla, in seguito alle irrigazioni, che provocano l’occlusione degli spazi vuoti del terreno, diventano asfittici per la coltura e causano 64 un rallentamento della crescita. Parametri climatici ( valori) Temperatura di germinazione Valore ottimale: 20-26° C. Valore minimo: 7-8°C. Valore massimo: 30°C di giorno. Temperatura minima di sviluppo: non inferiore a 0°C. Temperatura ottimale di sviluppo: 16-20°C. Temperatura massima di sviluppo: non superiore a 35°C. Tecniche colturali La coltivazione avviene sia in pieno campo che in ambiente protetto. Si consiglia una sistemazione del terreno molto accurata ed eventualmente una prosatura per facilitare lo sgrondo delle acque. Le prose è consigliabile abbiano una larghezza variabile da 100 a 120 cm. Viene generalmente effettuata un’aratura di profondità di 40-50 cm circa, da eseguirsi prima del periodo invernale, alla quale dovrà seguire un buon affinamento del terreno, che garantisca l’emergenza uniforme, lo sviluppo omogeneo, e la concentrazione di maturazione che influenzano la qualità della produzione. Il livellamento agevola inoltre la raccolta meccanica. La coltura necessita di lavorazione profonda al fine di permettere un’ottimale espansione radicale che diminuisca la sensibilità agli stress idrici e nutrizionali ed è consigliabile rendere il terreno più drenante attraverso lavorazioni e sistemazioni idrauliche, come fossi e baulature, che consentano di diminuire i rischi legati all’umidità del suolo. Le lavorazioni generalmente eseguite in agricoltura biologica sono: una lavorazione di preparazione del terreno con interramento della sostanza organica, con utilizzo di erpicature ed arature; una fresatura o erpicatura per l’affinamento del terreno; un intervento di assolcatura o di baulatura per preparare il trapianto; la raccolta con cadenza di 20-30 giorni. Sesto d’impianto Alle nostre latitudini si consiglia di effettuare la semina del prezzemolo in serra a partire da Gennaio- Febbraio o in pieno campo da Marzo-Aprile per raccolti estivi, da Maggio a Giugno per produzioni autunnali e da Settembre-Ottobre per raccolte primaverili (possono essere anche previste coperture con tunnel di films plastici). Si consiglia di effettuare la semina a file o a spaglio, utilizzando seme con adeguate garanzie sanitarie. In presenza di terreni molto soffici si consiglia una rullatura pre–semina. La densità d’impianto ottimale può variare in funzione della varietà e dell’ambiente di coltivazione. I sesti e gli investimenti consigliati sono: Densità delle piante: 250-600.000; Distanza tra le file: 20-40 cm; distanza sulla fila: 4-10 cm; profondità di semina: 1-2 cm quantità di seme (Kg/ha): 5-20 65 Cure colturali Le cure colturali più importanti specifiche per la coltivazione del prezzemolo sono le seguenti: - per ridurre l’uso di diserbanti ed avere un prodotto pulito è necessaria un’accurata scerbatura manuale. - durante il ciclo colturale, data la fittezza degli investimenti non sono previste lavorazioni meccaniche ma solo gli sfalci per la raccolta. Fertilizzazione La conoscenza della dotazione in nutrienti del terreno è il prerequisito fondamentale per la definizione di un corretto piano di concimazione. E’ quindi consigliato disporre di precisi dati analitici riferiti al singolo appezzamento, o all’area omogenea nel quale esso ricade rispetto ai seguenti parametri: - tessitura; - pH; -calcare attivo; - sostanza organica; - macroelementi (N, P2 O5 assimilabile, K2O scambiabile); - microelementi. Anche in mancanza di dati analitici, il calcolo del fabbisogno di elementi nutritivi può essere commisurato alle asportazioni in funzione della quantità di prodotto attesa, alla fertilità del terreno e alle perdite di elementi fertilizzanti. I prelievi di elementi nutritivi, per ogni tonnellata di bacche prodotte (kg.t -1 ) si stimano in: Azoto: 4.8 kg. Fosforo (P2O5): 1.6 kg. Potassio (K2O): 4.8 kg. Irrigazione Il prezzemolo richiede irrigazioni giornaliere nella fase di germinazione e successivamente irrigazioni frequenti, ma non abbondanti per accelerare lo sviluppo delle foglie e consentire sfalci ravvicinati di materiale fresco. Ore di manodopera impiegate per la coltura Per tale coltura, preso in esame il periodo interessato dal ciclo produttivo (marzo-settembre), si sono analizzate le operazioni colturali al netto dei tempi necessari all’addetto per raggiungere il sito che ospita la coltura. Nella coltivazione del prezzemolo si sono conteggiate le operazioni di lavorazione del suolo, le concimazioni, la semina, l’irrigazione e la raccolta (compreso il confezionamento). Da tale valutazione è risultato che per la coltivazione di 1000 mq di peperone sono necessarie da 50-60 ore di manodopera, se la raccolta è di tipo meccanizzato. Tale calcolo è al netto dei tempi di lavoro aggiuntivi derivanti dalla particolare orografia del territorio terrazzato delle Cinque Terre. 66 Avversità Il prezzemolo può essere attaccato da molti insetti, tra i quali ricordiamo i più dannosi: le larve di Maggiolino e di Oziorrinco, che mangiano le radici sino al colletto. Per eliminare questa minaccia andrebbe disinfettato il terreno prima della semina, oppure trattare con prodotti a base di Acefale. Temibili per il prezzemolo sono anche gli afidi, che si manifestano quando la pianta è già adulta, facendo arricciare le foglie con le loro punture. Si consigliano trattamenti a base di piretro. Tra le malattie fungine la più frequente è la cercospora, che si manifesta con delle puntole di colore ambrato. Si possono utilizzare prodotti a base di rame e zolfo. 67 Analisi del terreno relative al sito collinare di Beverino Il terreno di proprietà dell’Ente Parco in Beverino è stato analizzato dal Laboratorio Regionale Analisi Terreni e Produzioni Vegetali di Sarzana nel maggio 2008. Dal triangolo della tessitura la granulometria risulta da suolo francosabbioso con sabbia 72,7%, limo 19,8% e argilla 7,5%; il rapporto C/N (tra carbonio organico e azoto totale contenuti nel S.O. del suolo) è pari a 10,9 quindi compreso nel range 10-12 equilibrato, che indica un buon rapporto tra la produzione di humus e la mineralizzazione. La reazione pH è 6,6 suolo subacido e la capacità di scambio cationico C.S.C. (la capacità di trattenere i cationi e di conseguenza gli elementi nutritivi) è 15,6 meq/100g. Le classi di attitudine delle terre a determinate colture si basano sulle caratteristiche pedologiche del suolo quali: tessitura, pH, S.O., conducibilità. Il campione in oggetto denota un’alta attitudine ad ospitare sia colture ortive sia di aromatiche biologiche. “ Si deve sapere che concimare vuol dire vivificare la terra, in modo che la pianta non si trovi in un terreno morto e debba contare solo sulla sua vitalità per trarre ciò che le è necessario per arrivare alla formazione del frutto”.R. Steiner 1924 68 69 70 La gestione La complessità del progetto pilota non si attaglia ai canoni dell’economia dell’azienda agraria, non solo per la scelta del parametro economico del bilancio aziendale, ma anche per il fattore lavoro. Infatti la determinazione dell’impiego di lavoro è difficile perché l’unità di misura è piuttosto elastica, in quanto coesistono nell’esercizio dell’attività sia esperti che affiancheranno i disabili che le persone diversamente abili inserite in un processo continuo (almeno nella fase d’avvio) di formazione in situazione e terapeutico – riabilitativa. Nell’ipotesi considerata i dati dell’impiego totale di manodopera derivano da indagini dirette effettuate in aziende biologiche. Il parametro economico scelto per rispondere agli obiettivi convenzionali è il prodotto netto. La differenza tra la produzione lorda vendibile e il totale degli oneri relativi alla reintegrazione dei capitali fissi e circolanti costituisce il prodotto netto; in simboli: Plv – (Sp +Q) = Pn Il prodotto netto, altrimenti denominato reddito sociale corrisponde al complesso delle retribuzioni spettanti. Va da sé che nei primi anni di start up occorra un intervento contributivo gestionale atto a remunerare gli esperti che affiancheranno i disabili nelle operazioni colturali. Il costo orario di un operaio specializzato agricolo dipendente da cooperativa sociale è pari 16,58€ , il recente contratto collettivo aumenta tale importo di ca. 10%. Il costo orario di un tecnico è pari a 18,28€. La formazione in situazione diventa necessaria per l’avvio del progetto pilota: da qui il ruolo della Provincia o di altri stakeholders attraverso il finanziamento dei progetti formativi contenuti nella programmazione triennale delle politiche attive del lavoro (operatore agricolo ed ortoterapeuta). Alla formazione potrà seguire un periodo d’accompagnamento che vede il luogo – laboratorio dell’azienda di Beverino quale sito in cui apprendere in situazione. 71 Il bilancio previsionale Il bilancio previsionale è elaborato ipotizzando la coltivazione di 2000 mq di s.a.u. ad orto stagionale a ciclo primaverile – estivo (pomodoro, basilico, peperone, melanzana, radicchio, etc) e piante aromatiche (rosmarino, timo, maggiorana, salvia). La parte attiva del bilancio è costituita dalla vendita del prodotto fresco direttamente in azienda o attraverso gruppi di acquisto solidale. L’organizzazione aziendale prevede il ricorso a contoterzisti per le lavorazioni principali (aratura e affinamento del suolo). Le operazioni colturali dalla messa a dimora delle piantine o dalla semina alla raccolta saranno svolte dai lavoratori oggetto dell’intervento terapeutico con attività manuale. Le ore di lavoro impiegabili nelle singole colture si possono stimare in 600 nell’arco dell’anno concentrate nei mesi primaverili-estivi. Nel passivo del bilancio non compaiono gli ammortamenti delle attrezzature (saranno in dotazione solamente attrezzi manuali) né le imposte e le tasse ed imposte a carico del proprietario del fondo. Non sono indicati i costi della manodopera in quanto a carico del progetto. Il risultato Reddito lordo - Spese rappresenta pertanto il PNA (prodotto netto aziendale) che, teoricamente, dovrebbe remunerare la manodopera e le categorie agricole che intervengono nel ciclo produttivo: tutto questo a regime. ELEMENTI ATTIVI Produzione lorda vendibile Interessi RICAVI COSTI SEMENTI CONCIMI ANTIPARASSITARI ACQUISTO SERVIZI QUOTE Ammortamenti Capitale fondiario Assicurazione sulla produzione IMPOSTE SALARI STIPENDI INTERESSI COSTO TOTALE PRODOTTO NETTO 6000 50 6050 6050 800 150 50 1000 0 0 50 0 0 0 0 2050 2050 4000 72 Il piano agronomico complessivo si sviluppa in fasi: lo start up è presso il sito collinare di Beverino con coltivazioni in piena aria, le schede tecniche elaborate e le tabelle che seguono definiscono un’ipotesi di conferimento a gruppi di acquisto solidale di piante officinali e basilico da agricoltura biologica, modello di previsione riproponibile per altre colture. Non essendo programmato (data l’esiguità della S.A.U. collinare) alcun apprestamento di copertura atto a condizionare le colture si rende necessario coinvolgere l’Azienda Agricola Dimostrativa di Sarzana relativamente all’utilizzo da parte dei diversamente abili di una serra tunnel per la produzione di piantine biologiche da trapiantare nel sito di Beverino, al fine di estendere ai mesi autunno – invernali l’impiego di manodopera e di ampliare la gamma delle conoscenze tecniche. Produzione di officinali Le piante aromatiche che saranno coltivate dovranno garantire come richiesto, forniture settimanali lungo tutta la durata dell’anno. Nella tabella sono riportati i parametri riguardanti le rese, la superficie effettiva da investire ed il numero indicativo di piante per specie. Prodotto Resa Kg/mq. Superficie Piante/mq. effettiva*(mq.) N° piante Rosmarino Salvia Menta Timo Totale 0,6 0,4 0,2 0,4 - 200 500 1600 800 - 100 100 100 100 400 2 5 16 8 - Durata coltura (anni) 7/10 3/5 3/4 3/4 - Tab: - coltivazione aromatiche, valori medi. • Il dato è stato maggiorato del 30% rispetto allo spazio effettivamente necessario alla coltura in terreno pianeggiante, considerato la diminuita efficienza di sfruttamento dello spazio in terreni terrazzati. Per questo tipo di intervento si consiglia il trapianto in pieno campo nei mesi primaverili e l’utilizzo di piantine derivanti al secondo anno di trapianto, fatta eccezione per la Menta (più precoce). 73 Produzione di basilico La produzione richiesta è di fornitura continua. Da interviste dirette effettuate a produttori biologici utilizzanti metodi di raccolta (taglio di parti di pianta) funzionali ai goals è emerso quanto segue: • in coltura protetta si opera il trapianto nel mese di aprile e la raccolta a metà ottobre (circa 5 mesi); • in piena aria si opera il trapianto a fine maggio e la raccolta si protrae da fine giugno a tutto ottobre (circa 4 mesi). Nella tabella sottostante sono specificate le caratteristiche dell’impianto. Tecnica di Resa Kg/mq. coltivazione Coltura protetta 3 Piena aria 2,5 Superficie effettiva mq. 500 1250 Piante/mq. N° piante 6 6 3000 7500 Tab: Tecniche di coltivazione di Basilico (valori medi). Il miglior utilizzo della superficie destinata a basilico, riducendo inoltre l’impatto ambientale derivante dall’apprestamento di copertura, si otterrebbe con un’adeguata combinazione delle due tecniche di coltivazione sopra riportate. E’ auspicabile peraltro diminuire il più possibile la coltivazione in superficie protetta, tarandola in base alle esigenze di conferimento del prodotto per i mesi di aprile, maggio e giugno (periodo in cui in piena aria non si ha ancora una produzione a pieno regime). 74 Considerazioni Le schede tecniche elaborate a cura dei Dottori Agronomi Antonella Falcinelli e Samuele Lercari e dal Dott. Luca Baudone sono state proposte per la similitudine con il sito considerato nella fase di start up e per i contenuti tecnici che si basano su indagini dirette compiute presso aziende biologiche, utile strumento di previsione soprattutto per quanto attiene l’impiego di manodopera. Il sito denominato Piano di Beverino rappresenta come, già sostenuto in altre parti della relazione, una naturale estensione del progetto: un progetto incubatore perché le scelte future che riguarderanno l’ampliamento della S.A.U. anche attraverso la coltivazione della patata quarantina, il giardino delle farfalle che incrementerà il turismo naturalistico, l’utilizzo a fini agrituristici della sede, delineano una multifunzionalità che nel breve periodo potrà portare risultati positivi di bilancio. I soggetti capofila e partners che potremmo identificare, qualora attuassimo un bilancio sociale cogli adattamenti per un’attività agricola, quali stakeholders saranno debitamente coinvolti attraverso opportune forme di relazione. Occorre definire compiutamente la missione e il codice identitario dell’Azienda Agricola Sociale (ad esempio Terra Madre), occorrerà inoltre rinsaldare i legami anche con le associazioni di volontariato: ognuno per la sua parte è chiamato, attraverso la condivisione degli obbiettivi, ad esplicitare un ruolo: • La Provincia per gli aspetti formativi, • Gli Enti locali e le associazioni di volontariato per la messa a disposizione di borse lavoro. • I distretti sociali per accompagnare l’inserimento con la predisposizione del piano occupazionale dell’utente. • L’Azienda Sanitaria Locale N°5, con la quale il Parco ha siglato apposita convenzione per gli aspetti legati alle patologie dei diversamente abili. Nei primi anni di attività sarà necessario intervenire con un finanziamento che supporti economicamente la cooperativa sociale che gestirà il progetto, ad esempio le 600 ore di lavoro ipotizzate richiedono manodopera opportunamente formata al costo 16,58 € l’ora, pari a ca.10.000 €; altrettante ore di personale tecnico costeranno 18,29 € l ‘ora, pari a 11.000 €. 75