Capitolo III
LA STRUTTURA PSICOFISICA DELL’UOMO
III.1 Il corpo
————— Nell’età antica —————
III.1.1 La svalutazione del corpo nella filosofia antica
A) Il corpo: termine e concetto
Il significato originario di soma, termine che designava il corpo animale, non è
ancora stato chiarito; in Omero indica il corpo morto, in Erodoto il tronco, il corpo,
la persona1. Con il diffondersi della concezione secondo la quale l’uomo è formato di
due entità giustapposte, l’anima e il corpo, “soma” finirà con l’indicare la parte mortale, contrapposta all’anima immortale; nell’orfismo questa visione viene ap­plicata
al cosmo, “corpo” governato dall’anima divina, la quale è Zeus che tutto contiene
in se stesso e tutto fa derivare da sé2. L’influsso stoico poi, unito alle conce­zioni
neoplatoniche, avrebbe portato ad una generale svalutazione del corpo nei confronti
dell’anima.
B) Le presunte colpe della Filosofia antica
Secondo un’opinione corrente, la Filosofia antica sarebbe l’artefice di “condanna
totale del corpo come tomba o prigione dell’anima, secondo la dottrina degli Orfici e
di Platone”; questa condanna, con la mediazione di Origene, sarebbe stata fatta pro­
pria dalla Patristica orientale3.
“Corpo”, in DCBNT, p. 380.
“Corpo”, in DCBNT, p. 380.
3
Abbagnano, “Corpo”, pp. 177-180.
1
2
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Questo punto di vista è divenuto un luogo comune generalizzato. In uno studio
specifico sul modo di sentire e concepire il corpo, viene analizzata l’origine del concetto di corpo nella cultura occidentale4.
Secondo Galimberti, in Omero non c’è ancora la distinzione anima-corpo: l’anima
è l’occhio che vede, l’orecchio che ode; privata del corpo è qualcosa di insussistente,
come l’ombra o lo spettro; l’io dell’uomo non è ancora la psyche, ma il corpo, come
corporee sono le funzioni che saranno poi attribuite allo spirito5.
Quando la filosofia greca ha cominciato a cercare l’unità nel molteplice e il prin­
cipio di tutte le cose, ha prodotto la nozione di anima (psyche), la cui affermazione è
avvenuta a spese del corpo; a partire dal V secolo psyche e soma significheranno per
il greco, e poi per tutto l’occidente, “anima” e “corpo”6. Platone, con la concezione
dell’iperuranio e la fondazione metafisica dei valori, inaugura la mortificazione del
corpo, per il quale non resterà altro destino che quello previsto per il cavallo nero nel
mito dell’auriga: la frusta e il pungolo7.
Alla base del discredito del corpo in Platone sta il disvalore della materialità, per
effetto di quella logica disgiuntiva che la contrappone all’essenza ideale della verità
e con­figura la materia come un ostacolo e un impedimento8. Così Platone fonda la
cul­tura occidentale, dove la materia, le cose e i corpi vengono espropriati del loro
significato9.
Qualche secolo ancora e il cristianesimo decreterà la morte di Pan, il dio del cor­
po, diventato inevitabilmente il diavolo dell’iconografia cristiana, il quale ha la pelle,
le corna e gli zoccoli del capro; ma il cristianesimo non fa che percorrere un sentiero
che Socrate e Platone avevano già da tempo segnato10.
La tradizione giudaico‑cristiana di per sé ignorerebbe il dualismo ma, col suben­
trare della lingua greca nella traduzione greca dei Settanta, si stravolge l’antica concezione semitica; infatti con la lingua greca fa il suo ingresso una “filosofia” greca,
quella platonica, che devia l’antropologia biblica11.
In sintesi il contributo dei Filosofi consisterebbe:
- nell’avere introdotto il dualismo materiale‑immateriale;
- nell’avere relegato il corpo nel primo ambito, connotato negativamente, da cui
le concezioni del ‘corpo‑tomba’ e ‘corpo‑carcere’.
C) Immagini negative del corpo
Il pitagorismo considera il corpo come la tomba (sema) in cui è sepolta l’anima,
Galimberti, Il corpo, pp. 17-42.
Galimberti, Il corpo, pp. 27-28.
6
Galimberti, Il corpo, p. 26.
7
Galimberti, Il corpo, p. 23.
8
Galimberti, Il corpo, p. 25.
9
Galimberti, Il corpo, p. 31.
10
Galimberti, Il corpo, p. 25.
11
Galimberti, Il corpo, p. 33.
4
5
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CAP. III La struttura psicofisica dell’uomo
che si libera da tale schiavitù attraverso una serie di prove purificatrici, sofferenze, e
lotte contro le passioni, e in tal modo perviene alla sapienza; la vittoria consiste nello
spogliarsi del corpo, infatti questo viene definito anche ‘veste dell’anima’ (chiton
psyches)12.
Platone riprende alcuni temi pitagorici, come quello del corpo tomba (soma‑se‑
ma); lo paragona anche a una nave o a un carro che porta l’anima, ma anche a una
prigione che la tiene prigioniera; l’unione dell’anima con il corpo è la conseguenza
delle macchie che essa ha accumulato in una vita precedente, delle quali si deve purificare; si tratta quindi di una caduta per l’anima, che deve subire le alterazioni del
corpo, dalle quali è danneggiata; ne consegue che la filosofia è un esercizio di morte,
poiché esercita l’anima a separarsi dal corpo, di modo che essa possa conoscere in
modo vero, senza le imperfezioni connesse ai sensi13.
D) Concezioni positive del corpo
Non si può contestare che era comune a tutte le scuole filosofiche antiche un certo
disprezzo del corpo, visto come un servo ostile; tuttavia uno schiavo è pur sempre
qualcosa di utile, inoltre l’antichità conosceva anche un culto del corpo, in quanto
espressione della bellezza e dell’armonia dell’anima, ed esaltava la destrezza fisica,
ad esempio con la celebrazione delle vittorie ginniche14.
Per i greci del periodo arcaico il corpo umano è una versione oscura del corpo
splen­dente degli dèi; la sfortuna dell’uomo non è che l’anima immortale si trovi in un
corpo mortale, ma che il corpo umano non si trovi in uno stato di pienezza e perfe­
zione15.
I filosofi, pur nella loro austerità, partecipavano di questo clima e di questa conce­
zione. È significativo il fatto che il ginnasio fosse insieme luogo di cultura intel­
lettuale e fisica.
A questo proposito abbiamo già visto, parlando della medicina e della ginnastica,
che per i filosofi era normale servirsi di quelle pratiche che giovano all’efficienza del
corpo. I pitagorici consideravano doveroso tenerlo immune da malattie; con il cambio
di stagione la primitiva comunità siciliana era solita trasferirsi onde godere di un clima
più consono al benessere fisico; ai pitagorici era anche attribuita l’invenzione di at­
trezzi ginnici, come pure l’esercizio quotidiano in alcune specialità atletiche; So­crate
fi­no ad età avanzata si esercitava nella lotta e nella danza per mantenere sano il corpo,
ecc.
Gli stoici considerano il corpo un peso, un oscuro domicilio, un abito; ciò che lo
riguarda, salute o malattia, dolore o piacere, sono cose indifferenti, e tuttavia riten­
D. Gorce, “Corps (Spiritualité du)” coll. 2338-2339.
D. Gorce, “Corps (Spiritualité du)”, col. 2239.
14
D. Gorce, “Corps (Spiritualité du)”, col. 2341.
15
P. Cox‑Miller, Dreaming the body, p. 281.
16
Gorce, D. “Corps (Spiritualitè du)”, col. 2339.
12
13
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gono doveroso conservarlo secondo natura, cioè integro e pulito, dandogli ciò che è
conveniente, ma con una certa austerità e distacco16.
a) Il platonismo
Alla tradizione platonica viene solitamente imputato il disprezzo del corpo, in
conseguenza di una visione dualistica della realtà che attribuisce valore solo all’ani­
ma. Spesso con questa osservazione si vuole porre il platonismo in antitesi con la
concezione semitico‑cristiana della resurrezione; Trouillard osserva che non serve
una grande familiarità con il pensiero antico per accorgersi che le cose non stanno
proprio così; i Dialoghi platonici non orienterebbero tanto al disprezzo della terra,
quanto ad un amore celeste per le cose terrene17.
Nel Timeo Platone insorge contro un’attenzione troppo esclusiva all’anima o al
corpo, a motivo dello squilibrio che ne deriverebbe: un’anima grande e potente in un
corpo meschino mancherebbe di bellezza, quanto il contrario; il suo ideale è lo svi­
luppo armonico di entrambi18.
Il tema della bellezza è molto significativo. In Platone è dominante l’idea del­
l’iden­tità, o comunque di un’affinità, della bellezza con il Bene; per il filosofo bel­
lezza significa armonia, proporzione, unità nella molteplicità, secondo una conce­zione
di probabile matrice pitagorica; essa consiste nel rilucere dell’idea nel sensibile, come
verrà riaffermato da Plotino nella prima Enneade19.
La bellezza, secondo il Filebo, è una sorta di preludio sensibile del bene inac­
cessibile, quasi un portico della casa del Bene20. Presso i greci il termine bellezza
ap­pare collegato a valori religiosi ed estetici, come alla sfera dell’eros21. Il riferimento
ovvio è la bellezza dei corpi che rimanda a quella delle anime.
b) Porfirio
Il tema del rilucere dell’anima nel corpo è altresì uno dei princìpi base della fisiognomica, arte nella quale pare che Pitagora fosse maestro. Secondo Porfirio egli
sarebbe stato il primo ad applicarsi a questa scienza, che gli permetteva di conoscere
a fondo la natura di ciascuno22. Anche Pitagora si esercitava in tutte quelle danze che
procurano agilità e salute al corpo23.
Nemmeno Porfirio esaltava la corporeità. Egli considerava il corpo come causa
della tempesta delle passioni24 e descriveva il suo maestro come un uomo che sem­
brava vergognarsi di possedere un corpo; questo stesso corpo tuttavia esprimeva lo
splendore dell’anima cui era associato. Quando Plotino parlava il nous brillava sul
J. Trouillard, “Reflexion sur l’ochema”, pp. 102-103.
Gorce, D. “Corps (Spiritualitè du)” col. 2339.
19
A. Caracciolo, “Bello”, col. 803.
20
L. Stefanini‑G. Vattimo, “Estetica”, col. 313.
21
A. Caracciolo, “Bello”, col. 804.
22
Porfirio, Vita di Pitagora, 13.
23
Porfirio, Vita di Pitagora, 32.
24
Porfirio, La vita di Plotino, 22.
25
Porfirio, La vita di Plotino, 13.
17
18
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CAP. III La struttura psicofisica dell’uomo
suo viso e lo illuminava della sua luce (to phos epilampontos), per cui il suo aspetto
già piacevole diventava ancora più bello25. L’ideale era dunque “assomigliare nel
corpo alla luce (soma photi), nell’anima alla verità”26. Nella concezione di Porfirio
il corpo sarebbe dunque analogo alla luce, e le sue parti, in base alle loro funzioni,
simboli di princìpi più generali27.
c) La salvezza del corpo negli Oracoli Caldaici
Secondo gli Oracoli Caldaici la risalita delle anime va di pari passo con uno sradicamento dal mondo materiale, luogo di tutte le bassezze legate all’ottusa cor­poreità,
che è assenza del noeton; il teurgo tuttavia non disprezza il corpo e la materia, ma il
fatto che siano sottomessi al dominio dei demoni e della Fatalità28. Anche il corpo,
involucro deperibile di materia amara, va quindi iniziato e salvato; non si tratta di
una salvezza del corpo dopo la morte, ma della sua transustanziazione già durante la
vita, cosicché esso, nella sua dimensione sottile, divenga mezzo di conoscenza e di
elevazione29.
La morte soprannaturale dei teurghi consiste in una dissoluzione del corpo nei
quattro elementi costitutivi, spezzandone l’individuazione, grazie all’identificazione
con il sostrato della materia stessa, che è di natura divina, sganciato dalle leggi della
necessità naturale30.
L’uomo è dunque posto tra due opposte tendenze: il corpo pesante che lo trascina
all’Ade, l’oscura materialità, e l’anima noetica che lo attira alla Luce; ma se egli sceglie la Luce può salvare anche il corpo31.
III.1.2 Il distacco dell’anima dal corpo: prima comparsa della concezione
Il tema del distacco dell’anima dal corpo ha una lunga storia, che in occidente inizia con l’orfismo, il filone spirituale entro cui si sviluppò il pitagorismo; o vice­versa,
secondo quanto afferma Erodoto32. La fede orfica cambiò radicalmente il panorama
dell’al di là e la visione del destino dell’anima, rispetto al mondo omerico. La necessità di un distacco dell’anima dal corpo si associa evidentemente alla conce­zione del
corpo come carcere o come tomba.
Secondo la dottrina orfica l’uomo deve liberarsi dai legami col corpo, nel quale
essa è prigioniera, ma non può scioglierli con la violenza e neanche con la morte,
giacché la morte naturale non la separa dal corpo che per un breve tempo, trascorso
Porfirio, Vita di Pitagora, 41.
N. Girgenti, Note esplicative, in Porfirio, Vita di Pitagora, p. 220.
28
A. Tonelli, ed., Oracoli Caldaici, p. 305.
29
A. Tonelli, ed., Oracoli Caldaici, p. 303.
30
A. Tonelli, ed., Oracoli Caldaici, p. 303.
31
A. Tonelli, ed., Oracoli Caldaici, p. 317.
32
E. Rohde, Psiche, p. 439.
26
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il quale tornerà in un altro corpo a subire su di sé le azioni cattive che aveva inflitto
ad altri; vi entrerà al modo in cui ne era uscita: librandosi nei venti, aspirata con il
respiro da un altro; come si vede il regno delle anime si è innalzato nell’aria, e inoltre
gli anemoi possono incarnare potenze demoniache33.
A) La grazia e l’ascesi
L’uomo può liberarsi dal ciclo delle reincarnazioni cui lo vincolano le colpe com­
messe, e non ancora scontate, solo per la grazia del dio liberatore; non basta però la
partecipazione ai riti sacri, occorre anche una vita pia, e la condizione fondamentale
di questa è l’ascetismo; grazie a ciò l’anima si purifica dal contatto con il corpo34.
L’anima sperimenterà la ricompensa di una tale vita subito dopo la morte, quando
Hermes verrà ad accompagnarla nel viaggio che la attende; a chi muore non pu­
rificato, spetta invece una pena purificatrice nel più profondo Tartaro; pur tuttavia,
per una credenza unica nella religione antica, i posteri, partecipando al culto orfico,
possono intercedere a favore degli antenati incatenati da qualche delitto, e ottenerne
la “puri­ficazione e liberazione”; dunque “la dottrina della forza dell’intercessione
delle povere anime dei defunti è un’antica dottrina orfica”35.
B) L’ascesa dell’anima
L’anima che si è santificata e resa pura da ogni macchia, sciolta dall’obbligo di
tornare a unirsi ad un corpo, non più trattenuta nell’Ade o nella terra, vivrà eterna
come il dio dal quale deriva e della cui natura partecipa; si parla delle stelle o della
luna, come di altri mondi, sedi degli spiriti illuminati, regni di intatto splendore36.
“È evidente la contraddizione assoluta in cui questa fede si trova con le credenze
del mondo omerico”; qui abbiamo come tratti salienti “la convinzione ben salda della
divinità dell’anima e la persuasione che nell’uomo vive un dio libero solo quando può
spezzare i legami col corpo”37.
————— Nel Manuale —————
A) L’uomo, essere duale
E. Rohde, Psiche, pp. 452-454.
E. Rohde, Psiche, pp. 455-457.
35
E. Rohde, Psiche, pp. 458-459.
36
E. Rohde, Psiche, pp. 461-462.
37
E. Rohde, Psiche, pp. 462-463.
33
34
156
CAP. III La struttura psicofisica dell’uomo
L’uomo, secondo la dottrina del Manuale, è fondamentalmente un essere che
abbraccia due realtà: una materiale, l’altra immateriale. Le proprietà dell’una sono
il contrario di quelle dell’altra; ciò che arreca piacere all’una non lo arreca all’altra
e viceversa38. L’una tende al basso, l’altra tende all’alto. La dimensione materiale
accomuna l’uomo al mondo fisico, quella immateriale al mondo celeste39.
B) L’uomo immagine del cosmo
La componente immateriale presente nell’uomo fa sì che l’uomo non possa essere
considerato semplicemente un microcosmo, perché possiede qualcosa che la materia
non ha. Del resto il fatto di essere partecipe del mondo materiale fa sì che l’uomo
abbia qualcosa in più degli stessi esseri angelici. Infatti l’uomo è un essere spirituale
che comprende in sé anche il mondo sensibile, ma non si può dire altrettanto parlando
del mondo intelligibile (noetos cosmos). Perciò è corretto asserire che l’uomo è un
macrocosmo, operante in un microcosmo, che è il mondo40.
C) Il corpo come carcere
Il corpo fisico rappresenta la dimensione materiale dell’uomo, mentre la dimen­
sione immateriale può venire chiamata in senso generale, ma improprio, anima. Nonostante sia corretto affermare che è l’anima a contenere il corpo, questo può essere
paragonato ad un edificio nel quale l’anima dimora. Anzi si può dire che il nous è in
qualche modo racchiuso nel corpo come in una prigione (phylace) oscura41. Quanto
più si è sotto il potere delle passioni, quanto più pesante e vigorosa è la carne, tanto
più questo carcere (desmoterion) è pesante42. Il peso è infatti la caratteristica del corpo, con la quale grava l’anima e la oscura.
D) La materialità del corpo
Tale effetto negativo del corpo sull’anima è una conseguenza della sua stessa costituzione materiale. Infatti l’attributo naturale (physicon idioma) del corpo è di essere
sempre inclinato a ciò che gli è simile, cioè alle cose corporee (somatica), sensibili
(aistheta), materiali (ylica). Questo perché egli stesso è corpo (soma), sensi­bile (ais‑
SE, p. 42.
SE, p. 39.
40
SE, p. 40.
41
SE, p. 43.
42
SE, p. 102.
43
SE, p. 42.
38
39
157
theton) e materiale (ylicon)43. In modo analogo si afferma che il corpo è naturalmente
incline a falsi beni e in essi trova il suo piacere e ciò che lo fa crescere.
Quando accade che in un uomo gli impulsi provenienti dal corpo prendono il
sopravvento, questo inizia a svolgere una funzione dannosa per l’anima, e lo stesso
accade per tutto ciò che ci circonda. Il corpo e il mondo cioè, anziché essere come
uno specchio che fa conoscere il creatore di cui porta l’impronta, divengono fine a se
stessi e motivo di rovina44.
Questo tipo di influsso negativo che il mondo e il corpo possono esercitare sul­
l’anima può essere designato come un raffreddamento e oscuramento che fa piombare
l’anima in una sorta di inverno interiore45.
Riassumendo, gli effetti di tipo fisico che la materialità esercita sull’anima sono
di tre specie:
- appesantimento,
- oscuramento,
- raffreddamento.
E) Il corpo come realtà positiva
Gli aspetti negativi insiti nella corporeità vanno relativizzati alla luce della fonda­
mentale bontà di tutto ciò che è stato creato. È solo in seguito alla caduta di Adamo
che il corpo è divenuto radicalmente incline al piacere passionale (aisthete empathe
edone)46, e tuttavia il corpo non è stato creato come un carcere, ma come un palazzo.
Conoscendolo, esso si rivela così complesso e perfetto da suscitare una meraviglia
ed ammirazione non inferiori allo stupore che suscitano le realtà spirituali47. Nel
progetto della creazione esso ha la funzione di essere il gradino di partenza per la
contem­plazione delle realtà spirituali e ciò si verifica nella misura in cui le passioni
sono sotto il controllo della volontà48.
È solo quando l’uomo si rende schiavo dei desideri che il corpo diviene un osta­
colo all’ascesa spirituale, ma in questo caso esso svolge una funzione innaturale (para
physin). Al contrario la funzione naturale del corpo e delle altre realtà corporee che
ci circondano è di costituire il supporto per giungere alla visione onnicomprensiva
(catholou cai periecticotatos) della realtà49.
SE, pp. 148-149.
SE, p. 42.
46
SE, p. 50.
47
SE, p. 49.
48
SE, p. 43.
49
SE, p. 48.
44
45
158
CAP. III La struttura psicofisica dell’uomo
————— Nella Filocalia —————
Anche nella Filocalia troviamo abituale la distinzione nell’uomo di due compo­
nenti basilari: anima e corpo, come pure di due leggi fondamentali: quella della carne
e quella dello spirito. Le due componenti sono ordinariamente antinomiche, “in reci­
proca contraddizione”50; poiché l’anima, componente razionale, divina ed immor­tale,
indica la nostra origine celeste e parentela con Dio, il corpo dice invece la nostra
paren­tela con gli animali e con la morte51. Infatti la percezione spirituale, propria
dell’anima, ci porta all’unione con Dio, la percezione sensibile invece ci lega per sua
natura alla materia52.
Il corpo animale infatti ha sostanza terrena e pesante53; così l’anima, non appena
si trova nel corpo, diviene subito ottenebrata, costretta al dolore che è connaturato
al corpo, vincolata alla legge del godimento e della tristezza, che sono come umori
del corpo54. Con l’anima legata alla tenebra, l’uomo è vittima delle macchinazioni di
Satana, il quale attraverso il corpo può operare sull’anima55.
Ma questo legame con il corpo non è solo una punizione; quando la carne soffre
infatti, l’anima si fortifica nella virtù56. Il vincolo con il corpo va visto allora come
una prova per l’anima, finalizzata alla sua deificazione57. Chi vuole pervenire a una
tale mèta deve quindi trattare il corpo come un acerrimo nemico e ingaggiare con lui
una battaglia perenne, senza risparmiargli amarezze. La tribolazione del corpo infatti
è salute dell’anima58.
Ciò implica anzitutto non prestargli tutte le attenzioni che vorrebbe, concedendosi
solo lo stretto necessario, avendo come misura il bisogno. Infatti “ciò che si possiede
oltre il bisogno del corpo è impedimento della virtù”59. Crocifiggendo la carne, assot­
ti­gliando il corpo, distruggendo l’uomo esteriore60, assottiglieremo per mezzo delle
fatiche la materia.
A) La materialità
Dio fece in principio il cielo e la terra, “come una materia che contiene ogni cosa
Teodoro di E., Sulla contemplazione, FIL I, p. 470.
Antonio il G., Avvisi, 42, FIL I, p. 65.
52
Massimo C., Capitoli vari, 9, FIL II, pp. 191-192.
53
Teodoro di E., Sulla contemplazione, FIL I, p. 470.
54
Antonio il G., Avvisi, 72.95, FIL I, pp. 70.74.
55
Diadoco di F., Definizioni. Discorso, 79, FIL I, p. 380.
56
Massimo C., Capitoli vari, 19, FIL II, p. 170.
57
Antonio il G., Avvisi, 124, FIL I, p. 78.
58
Marco A., A proposito, 46, FIL I, p. 192.
59
Nilo A., Discorso ascetico, FIL I, p. 340.
60
Marco A., Lettera, FIL I, p. 219.
61
G. Palamas, Centocinquanta capitoli, 21, FIL IV, p. 74.
50
51
159
e, per sua virtù, produce tutte le cose”61. Tra queste cose è anche il corpo, alla cui
materia l’anima è congiunta in maniera tale che quasi respira con essa, costituendo
per l’anima un nemico che non viene meno e le procura costanti cadute62. Dalla materia vengono le passioni, ed in particolare la malizia, perciò “non si dà corpo privo
di malizia”, ed è quindi contro la materia che si svolge la battaglia dell’anima63. Ma
come dalla materia può scaturire la fiamma che si manifesta come luce, così l’anima
può svincolarsi dalla materia e manifestarsi portatrice di Dio64.
Compito dell’anima è dunque diventare estranea alla materia65, distaccarsi da essa
e da tutte le preoccupazioni che le sono connesse66, da tutti pensieri che ne derivano
attraverso i sensi67, divenirne estranea, cioè impassibile68. Vale a dire liberarsi dal suo
“spessore”69 e dalla “pesantezza” del corpo che ci piega70, “assottigliando (leptyno­
men)” la materia con le fatiche71.
B) La separazione del corpo dall’anima
La via per unirsi a Dio è quella di concentrarsi talmente sull’anima da recidere fin
nella sua disposizone intima (te diatesei chorizetai) l’unione che essa intrattiene con
il corpo72, operazione questa che è propria della preghiera nell’esichia73. Staccata dal
corpo infatti, l’anima si stacca di conseguenza anche dall’inclinazione che esso le trasmette verso la terra, e può salire al mondo celeste. È la stessa cosa espressa di­cendo
che, con la ritrazione dei sensi dal corpo, l’introversione e la discesa nella pro­fondità
interiore, si perviene alle nozze con l’ospite divino.
L’ascesi del corpo non deve però distruggerlo; il corpo va conservato da piaceri e
malattie per servire al bene74. “Bisogna conservare il proprio corpo come se dovesse
vivere per molti anni”75. Si deve quindi sottometterlo, rendendolo quale deve essere:
“servo” dell’anima, non viceversa come accade di solito, contrariamente alla natura
delle cose76. In tal modo non è più la carne a condizionare le operazioni del nous, ma
Callisto P., Capitoli, 45, FIL IV, p. 333.
Antonio il G., Avvisi, 50.168, FIL I, pp. 66.85.
64
Elia P., Capitoli gnostici, 79, FIL II, p. 440.
65
Teodoro di E., Cento capitoli, 49, FIL I, p. 447.
66
Evagrio M., Sommario, FIL I, p. 99.
67
Esichio P., A Teodulo, 53, FIL I, p. 241.
68
Teodoro di E., Cento capitoli, 49, FIL I, p. 447.
69
Teodoro di E., Sulla contemplazione, FIL I, p. 466.
70
Esichio P., A Teodulo, 42, FIL I, p. 238.
71
Diadoco di F., Definizioni. Discorso, 24, FIL I, p. 357.
72
Massimo C., Capitoli vari, 17, FIL II, p. 170; Id., Capitoli vari, 73, FIL II, p. 258.
73
Marco A., A proposito, 31, FIL I, p. 191.
74
Diadoco di Fotica, Definizioni. Discorso, 45, FIL I, p. 364.
75
Evagrio M., Dai capitoli, 1, FIL I, p. 125.
76
Talassio L., A Paolo, 8, FIL II, p. 321.
77
Nilo A., Discorso, 64, FIL I, pp. 279-280.
62
63
160
CAP. III La struttura psicofisica dell’uomo
è il nous a calmare le intemperanze della carne77.
Quando l’anima riflette, il corpo resta come lasciato a se stesso78, e quando il nous
è preso dall’amore per Dio, il suo corpo gli diviene quasi estraneo79. Infatti il desi­
derio di Dio fa sì che il nous poco a poco esca dalla carne80. Questo distacco, che è
come una morte del corpo81, è però anche l’inizio della sua trasfigurazione.
III.2 L’anima (psyche)
————— Nell’età antica—————
(La maggior parte dei dati sull’anima nel pensiero filosofico sono esposti nel ca­pi­
tolo sul cuore. Qui vengono esposti solamente alcuni princìpi generali sull’anima.)
III.2.1 La psyche nel pensiero filosofico: storia del termine
Quello di psyche è uno dei concetti cardine del mondo antico; il termine che lo
traduce con migliore approssimazione è anima; nell’antichità non ha mantenuto una
valenza costante, quindi è necessaria una breve rassegna storica82.
A) Le origini
In Omero psyche ha due significati fondamentali: quello un po’ generico di soffio
vitale, e quello, più caratteristico, di larva umana, il fantasma che dopo la morte va
nell’Ade; in questo senso la psyche è una sorta di corpo senz’anima83.
L’orfismo diffonde una concezione opposta; l’anima è detta di origine divina,
immortale, identificata con un Demone; essa rappresenta il positivo dell’uomo, ed è
tanto più se stessa quanto meno è viva la nostra attività cosciente, come nel sonno,
negli svenimenti, quando si libera dal corpo con la morte84. Il potere profetico che
l’anima acquisisce nel sonno deriva dal fatto che allora si raccoglie in se stessa e
Antonio il G., Avvisi, 85, FIL I, p. 72.
Massimo C., Sulla Carità, 6, FIL II, p. 50.
80
Nilo A., Discorso, 62, FIL I, p. 279.
81
Pietro D., Libro, FIL III, p. 217.
82
G. Reale, Storia, V, p. 226.
83
G. Reale, Storia, V, p 226.
84
G. Reale, Storia, V, p. 227.
85
G. Reale, Storia, I, p. 441.
78
79
161
assume la sua vera e propria natura85.
Si può tenere presente che Nikodemo descrive lo stato dell’anima in esichia come
una condizione in cui le energie dell’anima sono tornate dalla periferia del corpo al
cuore e le potenze del nous sono discese dalla testa nel cuore. Egli paragona questo
stato al sonno profondo senza sogni, alla condizione del bimbo nel grembo materno,
allo svenimento comatoso, in cui uno sembra morto. È in questa condizione che
l’anima recupera la condizione di Adamo prima della caduta, acquisisce i doni della
veggenza e della profezia, e può intraprendere, già in vita, il viaggio estatico che
compirà dopo la morte, qualora raggiunga la salvezza.
I fisici connettono la psyche alla physis e al Principio.
Diogene di Apollonia la identifica con l’aria86.
B) Socrate e le scuole socratiche
Con Socrate la psyche viene identificata con l’io intellettuale e morale, con la per­
sonalità; le sono pertinenti l’intelligenza e il valore morale dell’uomo87.
Platone aggiunge alla nozione operativa di Socrate la spiegazione secondo cui
l’anima è affine alle Idee; egli fa coincidere la psyche‑daimon degli orfici con il nous,
sposando il razionalismo socratico con la carica mistico‑escatologica degli orfici; la
tripartizione in anima concupiscibile, irascibile, razionale, dà conto delle forze alogi­
che e dei conflitti interiori all’uomo88.
Aristotele attribuisce l’immortalità alla sola anima intellettiva, non alla sensitiva,
né alla vegetativa, tacendo però sui destini escatologici della prima89.
Epicuro intende l’anima come composta di atomi, come ogni corpo, ma qualita­
tivamente diversi. Per la Stoa, che condivide l’impostazione materialista, l’anima è
pneuma, un frammento dell’Anima del mondo.
Con la rinascita del platonismo e del pitagorismo in età imperiale (medioplato­
nismo e neopitagorismo), per tagliare i ponti con il materialismo della Stoa, si tende a
differenziare in misura maggiore la psyche dal nous, ponendo il secondo ad un livello
strutturalmente superiore rispetto alla prima.
C) Il neoplatonismo
Su questa distinzione si basa la dottrina di Numenio di Apamea, che, si presume,
studiò e forse anche insegnò ad Alessandria; con lui ha legami dottrinali la scuola di
G. Reale, Storia, I, p. 227.
G. Reale, Storia, I, p. 227.
88
G. Reale, Storia, I, p. 228.
89
G. Reale, Storia, I, p. 228.
90
G. Reale, Storia, IV, p. 410.
86
87
162
CAP. III La struttura psicofisica dell’uomo
Ammonio90. Numenio, che considerava se stesso discepolo di Pitagora e di Platone,
e conosceva la sapienza orientale, anticipa alcuni capisaldi del neoplatonismo. Egli
assegna all’uomo due anime, una malvagia, nella misura in cui è presente la materia,
e una buona, ossia razionale. Questa è assolutamente incorporea, tuttavia, allontanan­
dosi dalla sua purezza e attraversando le sfere celesti, si riveste di sostanza eterea che
le permette di entrare poi nei corpi veri e propri91.
Nell’ultima grande stagione della filosofia antica, con Plotino, la psyche diviene
la terza ipostasi, intermediaria tra l’incorporeo cui appartiene e il corporeo, da essa
prodotto; caratterizzata dall’essere una e molte, nell’uomo come nell’universo, garan­
tisce tutte le attività92.
Con Plotino diviene così canonica la tripartizione soma, psyche, nous, cui corri­
spondono tre tipi di uomo: sensibile, razionale e intellettivo; purificarsi è vivere sem­
pre più secondo il nous, cioè volgersi all’Uno; l’ascesa si compie con un cam­mino di
introversione, poiché l’Uno è interno al Nous93.
————— Nell’esicasmo —————
III.2.2 La psyche nel Manuale
A) I molteplici aspetti dell’anima
Il primo punto da chiarire riguarda il significato stesso del termine “anima” nel
Manuale. Esso infatti non viene utilizzato sempre nello stesso senso. Talvolta indica
la componente immateriale dell’uomo nella sua globalità, in quanto distinta o con­
trap­posta alla parte materiale94. Altre volte indica la componente psichica dell’uomo,
in quanto distinta dal nous. Si possono quindi utilizzare i termini “anima” e “psiche”
per rendere le due diverse accezioni del greco psyche.
A seconda che si consideri l’uomo costituito di corpo e anima, oppure di corpo,
psiche e nous, avremo una visione dicotomica o tricotomica della sua struttura. En­
trambe sono legittime, perché la psiche ed il nous non costituiscono un’unica realtà,
ma neppure due realtà distinte. Essi sono due modi diversi di manifestarsi di una
medesima entità: il pneuma.
La psiche, o anima nel senso ristretto, è a sua volta duale. Essa risulta di una parte
razionale (logike) e di una irrazionale (alogos).
G. Reale, Storia, IV, p. 424.
G. Reale, Storia, V, p. 229.
93
L. Reypens, “âme, structure”, coll. 435‑436.
94
SE, p. 139.
91
92
163
a) Le componenti della psiche
- La psiche irrazionale
L’elemento irrazionale (alogos) della psiche a sua volta si articola di due parti.
Una componente è il concupiscibile, o desiderio (epithymia), l’altro è l’ardore, o “ira”
(thymos)95. Esse di fatto obbediscono al corpo e ai sensi.
- La psiche razionale
L’elemento razionale (logikos) della psiche ha autorità sul corpo e sui sensi, non­
ché sulla stessa psiche irrazionale96. Esso è loro preposto essendo ad essi superiore
(kreitton), tuttavia può divenire loro schiavo, quando ci si abitua a soddisfare gli im­
pulsi passionali97.
Gli animali, essendo sprovvisti della componente razionale, agiscono sempre in
modo istintivo e non hanno alcuna autonomia di fronte agli impulsi che vengono loro
dal corpo. Quando una persona rinuncia ad esercitare il dominio sui propri istinti,
cade nello stesso stato. Allora obbedisce agli impulsi fisici come un animale e si com­
porta in modo irrazionale.
b) La natura della psiche
La psiche non è contenuta in qualche parte specifica del corpo, ma è presente in
tutto il corpo, anzi in qualche modo lo avvolge (periechei), irraggiandosi al di fuori
dei suoi confini98. Infatti essa è presente nel corpo, allo stesso modo in cui il fuoco è
presente in un ferro rovente, cioè contenendolo.
Il substrato sottile dell’anima è costituito dal soffio (pneyma), che è per sua natura
luminoso (augoeides). Esso è anche la causa materiale (ylicon aition) della phan­
tasia99. Il pneuma psichico a sua volta viene assorbito dai cibi ingeriti. Di conse­
guenza la quantità di cibo ingerito ha effetto diretto sulla quantità di pneuma psichico
e quindi sulla stessa phantasia100.
Nonostante l’anima sia presente nel corpo in modo diffuso, le sue diverse compo­nenti
sono soggette ad una localizzazione nelle diverse parti del corpo. Così le facoltà intellettive (noera energeia) hanno come proprio organo il cervello (enkephalos)101. Loro sede
è quindi la testa che è come la stanza superiore (yperoon) dell’edificio cor­po­reo. I nervi
(neyra) sono i canali attraverso cui i soffi (pneymata) psichici filtrano102.
SE, p. 51.
SE, p. 43.
97
SE, p. 51.
98
SE, p. 40.
99
SE, p. 151.
100
SE, p. 151.
101
SE, p. 151.
102
SE, p. 40.
95
96
164
CAP. III La struttura psicofisica dell’uomo
III.2.3 L’anima nella Filocalia
Definire il concetto di anima presente nella Filocalia è disagevole perché i testi
sono di autori diversi per provenienza ed ambito culturale, appartenenti ad epoche
lontane tra di loro. Ogni autore richiederebbe uno studio particolare, inserito nel­
l’opera complessiva dell’autore, e nella propria epoca. In questo modo avremmo il
pensiero autentico di ogni autore, non avremmo però illustrato quale sia l’insegna­
mento della Filocalia sull’anima. Questa raccolta presuppone infatti che dai diversi
autori, pur con oscillazioni e parziali incongruenze, emerga un quadro coerente e un
insegnamento unitario, che possano far da guida al lettore nella sua ascesa spirituale.
È questo quadro presentato al lettore, e risultante dalla visione d’insieme dei singoli
testi, che ci interessa mettere in luce, indipendentemente da quale potesse essere la
visione originaria di ogni singolo autore.
A) La dualità del cosmo rispecchiata nell’uomo
L’idea che fa da sottofondo alle diverse considerazioni sulla natura umana è che
l’uomo è partecipe di due dimensioni: una intelligibile, non visibile, incorporea,
celeste, immateriale, l’altra sensibile, visibile, corporea, terrestre, materiale. Ognuna
delle due parti tende verso ciò che gli è simile e connaturale: il corpo verso la terra,
l’anima verso il cielo. “Anima (psyche)” indica dunque la dimensione divina dell’uo­
mo nella sua globalità. Quello che Dio è per il mondo, cioè causa di esistenza, lo
stesso è l’anima per il corpo103. “Come è opera di Dio reggere il mondo, così è opera
dell’anima reggere il corpo”104.
Essa fu creata ad immagine di Dio105, impassibile, mediante l’insufflazione della
ragione e dell’intelletto106. Essendo incorporea, l’anima non è in un luogo, eppure è
delimitata. Essa contiene il corpo, è in ogni sua parte, lo circonda e lo vivifica107.
Benché incorporea, l’anima è dominata dal respiro e dal sangue, ed è ordinaria­
mente gravata da una densità, dalla quale deve liberarsi se vuole divenire come gli
esseri spirituali e penetrare nel loro mondo per esplorarli, uscendo dalla materia,
“come da un secondo oscuro seno materno”, verso quelle entità di luce108. In essa c’è
un principio direttivo che può ricevere l’impronta dello Spirito, rendendo presenti le
cose future109.
Il termine “anima” esprime dunque una realtà articolata, che va esaminata nelle
sue varie parti; può essere usato per designare il complesso di questa realtà, oppure
un suo aspetto particolare.
Antonio il G., Avvisi, 136, FIL I, p. 80.
Talassio L., A Paolo, 31, FIL II, p. 316.
105
G. Palamas, Centocinquanta capitoli, 39, FIL IV, p. 83.
106
Gregorio S., Utilissimi capitoli, 82, FIL III, p. 547.
107
G. Palamas, Centocinquanta capitoli, 61, FIL IV, p. 96.
108
Teognosto, Sulla prassi, 65, FIL II, p. 392.
109
C. e I. Xanthopouli, Metodo, 67, FIL IV, p. 239.
103
104
165
B) Le parti dell’anima
a) La tripartizione: razionale, irascibile e concupiscibile
La descrizione che troviamo più di frequente è quella classica dell’anima tri­
partita. L’anima è tripartita a motivo delle sue tre potenze: razionale, irascibile e
concupiscibile. Esse sono gerarchizzate, essendo la concupiscibile connessa con i
desideri di possesso e godimento legati agli organi del ventre. L’irascibile è connessa
con l’ardore proprio della lotta, è associata al petto. La razionale è connessa al razio­
cinio ed è legata alla testa. In base a questo ordine è la potenza razionale che guida
l’ardore a soggiogare la concupiscenza. “La concupiscenza infatti è materia dell’ira,
e ambedue concorrono dannosamente alla dissipazione della mente”, e tuttavia l’ira­
scibile non può guarire se prima non viene risanata la potenza concupiscibile, e lo
stesso vale per la razionale, se non vengono guarite le prime due110.
Questo è anche il motivo per cui, intraprendendo il cammino spirituale, bisogna
subito esercitarsi nella disciplina ascetica che freni le attrazioni sensibili. Via via che
queste vengono vinte, si acquistano quella padronanza e stabilità di pensiero neces­
sarie alla contemplazione.
In questo modo le tre parti dell’anima giungono a muoversi secondo natura, cioè
secondo l’intenzione per cui furono create: il concupiscibile come desiderio di Dio,
l’irascibile come tutela contro il male, la ragione come un re che con sapienza le
orienta e guida alla giusta mèta111.
b) La bipartizione: razionale e passionale
La ripartizione può anche farsi in maniera duplice, distinguendo nell’anima una
componente razionale ed una passionale. La prima, razionale ed intellettiva, è ad
immagine del Creatore112. La seconda può venire distinta in due componenti: nutri­
tiva, comune ai vegetali ed agli animali, immaginativa ed appetitiva, comune ai soli
ani­mali. Queste due sono corruttibili e mortali, mentre la prima, incorruttibile ed
im­mortale, è propria dell’uomo113. Essa viene comunemente designata con il termine
“nous”, nel qual caso il termine anima può indicare semplicemente la parte passionale.
c) La funzione di ogni singola parte
La tendenza naturale dell’anima razionale è di essere volta alle contemplazioni divine, compito dell’anima passionale è sostenerla con il suo impulso. Questo im­pulso
si caratterizza principalmente come carità114. Senza questa spinta al continuo movimento verso Dio, che proviene dall’anima, il nous non sarebbe in grado di elevarsi al
G. Palamas, Alla reverendissima monaca, FIL IV, p. 19.
Esichio P., A Teodulo, 126, FIL I, p. 254.
112
Niceta S., Cento capitoli, 9, FIL III, p. 460.
113
Massimo C., Sulla Carità, 32, FIL II, p. 86.
114
Talassio L., A Paolo, 52, FIL II, p. 324.
115
C. e I. Xanthopouli, Metodo, 70, FIL IV, pp. 246-247.
110
111
166
CAP. III La struttura psicofisica dell’uomo
pensiero di Dio115. Le potenze irascibili e concupiscibili sono quindi come i cavalli
che, guidati dal razionale, auriga immobile nella sua determinazione, lo trasportano
al cielo116.
Una volta purificate dalla passionalità, le potenze dell’anima si rivelano essere
quelle quattro virtù cardinali che, accoppiate alle potenze dell’intelletto, costituiscono un “carro di fuoco a doppio tiro che corre nel cielo”117. Infatti come conoscenza
ed ignoranza riguardano il nous, virtù e vizio sono l’ambito proprio dell’anima118. In
questo fuoco che solleva alla contemplazione, si può riconoscere l’amore purificato
dell’anima119.
d) Unificazione delle potenze e contemplazione
In altri termini potremmo dire che il dominio delle passioni e l’unificazione in
un’unica operazione di tutte le potenze psichiche e spirituali fanno fiorire quella gnosi
amorosa o conoscenza d’amore, che è la continua protensione dell’anima verso Dio.
Come spiega S. Giovanni Damasceno, tre sono le parti dell’anima: pensiero,
potenza irascibile e concupiscenza. La concupiscenza è caratterizzata dal desiderio
del piacere, delle ricchezze, della gloria. Nell’irascibile possono esserci odio per gli
uomini, rancore e tristezza. Grazie alla continenza, la povertà e l’umiltà, la concu­
piscenza si volge verso l’eros divino, mentre l’irascibile si muove secondo natura
quando, dominata dalla carità, ha amore per tutti gli uomini. È l’amore infatti che
addolcisce la collera120. Allora il pensiero, non più oscurato, è puro e illuminato, e,
contemplati i logoi delle creature, può giungere alla contemplazione della Trinità121.
Questa è la vera realizzazione del regno di Dio sulla terra. Quando infatti c’è
discordia tra le potenze, non tutto è sottomesso al Verbo; quando invece colui che
deve regnare esercita il proprio dominio su tutto, allora tutte le cose si “accordano”
nell’unità (eis en syndramonta kai omophonesanta), ed il Verbo cui tutto è sottomesso
consegna il regno a Dio Padre122.
III.3. Il nous
III.3.1 Il nous nella storia della filosofia antica
(Anche per quanto riguarda il nous si rimanda al paragrafo sul cuore e qui viene
esposta solo qualche linea generale.)
Antonio il G., Avvisi, 143, FIL I, p. 81.
Niceta S., Prima Centuria, 12, FIL III, pp. 395-396.
118
Massimo C., Sulla Carità, 46, FIL II, p. 104.
119
Callisto P., Capitoli, 19, FIL IV, p. 300.
120
Teodoro di E., Cento capitoli, 13, FIL I, p. 439.
121
G. Damasceno, Discorso, FIL II, p. 350.
122
Niceta S., Cento capitoli, 94, FIL III, pp. 492-493.
116
117
167
Già nei presocratici “Nous” designa sia la mente dell’uomo sia l’intelligenza ordi­
natrice dell’universo;
- con Platone il nous umano viene per la prima volta concepito come immateriale,
affine alle Idee, mentre il nous cosmico è il Demiurgo;
- per Aristotele il nous umano, non mescolato al corpo, è proveniente da fuori,
cioè trascendente, immortale, di per sé impassibile, divino;
- nello stoicismo, l’egemonico, concepito in senso materialista, è un frammento
dell’intelligenza divina, che è il principio attivo e costituente dell’universo;
- il medioplatonismo e neopitagorismo dell’età imperiale accentuano la differenza
tra nous e psyche, più di quanto non fosse in passato, sottolineando la subordinazione
gerarchica della psyche, ma stabiliscono anche una gerarchia di Intelligenze; la pre­
senza del nous nell’uomo fonda la possibilità dell’assimilazione a Dio, e la realizza­
zione di questa possibilità diviene l’imperativo morale essenziale;
- con Plotino, che fonde le istanze platoniche con quelle aristoteliche, il Nous
diviene un’ipostasi, ma compare un’ipostasi superiore al nous stesso: l’Uno, da cui è
generato, come l’Anima è generata dal Nous123.
III.3.2 Il nous nel Manuale
A) Il nous e l’anima
a) La natura del nous
La caratteristica dell’anima (psyche) nel suo complesso, cioè di essere come un re
che abita nel suo palazzo, costituito dal corpo, può essere riferita a maggior ragione al
nous124. Suoi attributi sono l’essere re (basileys), signore (archon), sovrano (aytocra­
tor) e dominatore (exousiastes)125. In una parola, il suo attributo tipico è di essere
egemone (egemon)126. Esso è semplice (aplous), puro (katharos), integro (akeraios).
Essendo intelligibile, è per sua natura luce (phos)127. Questa luminosità, connaturata
nel nous, è maggiore o minore a seconda del suo grado di purificazione.
b) Il rapporto anima‑nous
Vi sono alcune proprietà le quali, considerando che il nous e l’anima sono la stessa
cosa128, possono sembrare contrastanti. Infatti sia il nous sia l’anima sono il “re” che
abita nel corpo. L’anima è come il fuoco, il nous è per sua natura luce. Però l’anima è
diffusa in tutto il corpo e si trova in tutte le sue parti, il nous invece ha la sua sede nel
G. Reale, Storia, V, pp. 193-196.
SE, p. 40.
125
SE, p. 54.
126
SE, pp. 43.61.
127
SE, p. 41.
128
SE, pp. 161.164.
129
SE, pp. 40-41.
123
124
168
CAP. III La struttura psicofisica dell’uomo
cuore129. Il nous è in qualche modo l’essenza (ousia) dell’anima non ancora purificata,
tuttavia tutta l’anima, una volta purificata, diviene nous, cioè luce.
c) Il nous‑anima nell’uomo purificato
Si può concludere che la componente immateriale dell’uomo può esistere in due
modi diversi:
- nel suo stato purificato, cioè come nous, perfettamente luminosa, raccolta nel
cuore.
- nel suo stato non purificato, come anima in senso stretto, diffusa in tutto il corpo,
simile al fuoco130.
Ne consegue che, a processo di purificazione ultimato, l’uomo risulta costituito
esclusivamente di corpo e nous, essendo privo di anima. Vi si può scorgere qualche
affinità con la cristologia apollinarista.
È da tenere presente che anche la phantasia ha natura affine al fuoco, essendo
costituita di pneuma psichico (psychikon) luminoso, diffuso nei nervi131.
Il processo di perfezionamento spirituale comporta anche la progressiva perdita
della phantasia, a somiglianza di Cristo e di Adamo, prima della caduta, che ne erano
sprovvisti132.
B) Dicotomia o tricotomia
Questa visione antropologica non sembra specifica di Nikodemo, a quanto risulta
dallo studio di C. Cavarnos sul pensiero greco moderno. Nella Grecia moderna è generalmente accettato che l’uomo è un essere duale, essendo composto di corpo e anima: l’uno materiale, l’altro immateriale, spirituale, immortale; benché entrambi siano
realmente costitutivi dell’uomo, l’uomo è essenzialmente anima, poiché è l’ani­ma che
percepisce, crede, conosce, sente e pensa133. Questa visione dualistica dell’uo­mo viene
negata dai materialisti, che riducono l’uomo al corpo, e da Makrakis, se­condo il quale
l’uomo è costituito da tre elementi distinti: corpo, anima e Spirito; que­sta tripartizione
sarebbe confermata, secondo Makrakis, da alcuni Padri, come Basilio, Crisostomo,
Gregorio Nisseno; ma San Nettario, Zikos Rossis e molti altri autori hanno duramente
criticato questa concezione, basata su un errore di interpretazione134.
San Nettario afferma che tanto la Scrittura quanto i Padri sostengono la visione
dicotomica dell’uomo, anche quando alcuni di questi utilizzano la tripartizione in
corpo, anima e spirito; lo spirito infatti non è inteso da questi come un terzo elemento
distinto dall’anima, ma come una potenza dell’unica sostanza immateriale che è l’ani-
SE, p. 40.
SE, p. 151.
132
SE, pp. 157-159.
133
C. Cavarnos, Modern Greek Thought, pp. 62-63.
134
C. Cavarnos, Modern Greek Thought, p. 63.
130
131
169
ma; altre volte invece spirito indica la grazia, il dono dello Spirito Divino, il quale
però non costituisce una componente dell’uomo, ma, in conformità con la dottrina
della chiesa ortodossa, una sostanza impartecipata che trasmette l’energia della sua
grazia per l’illuminazione e santificazione dell’uomo, escludendo così una sostanziale
identità tra uomo e Dio; la dottrina tricotomica di Makrakis è stata con­dan­nata come
eretica dal Sinodo della Chiesa di Grecia135.
Per quanto riguarda le potenze dell’anima, Theotokis, Nikodemo, Nettario ed altri
autori religiosi, spesso usano la divisione tripartita di Platone e considerano che la
ragione è la parte principale e l’attributo essenziale della natura umana; non si tratta
però della ragione come viene concepita dal razionalismo occidentale, ma come veniva concepita dagli antichi filosofi greci, in particolare da Platone e dai Bizantini;
non è dunque solo discorsiva, ma contemplativa e intuitiva, capace di percepire di­
rettamente la realtà e di valutarla; la ragione (logos) è una luce che illumina l’uomo,
gli fa conoscere la volontà di Dio, e quindi la distinzione tra bene e male, e lo guida
alla perfezione136.
C) Le caratteristiche del nous
a) La struttura del nous
La superiorità dell’uomo rispetto al cosmo è data dalla moltitudine (plethos) delle sue potenze spirituali (dynameis), in particolare la ragione (logikon), l’intelletto
(noe­ma), la volontà (thelema)137. Queste tre sono le potenze più generali del nous e
lo cir­condano (doryphoreo) come satelliti o guardie regali138. La funzione (energeia)
ra­zionale (logike) e quella volitiva (theletikes), hanno sede nel cuore, quella mentale
(noera energeia) invece ha come organo il cervello139. L’anima razionale (logike
psyche) è stata preposta dal Creatore alla guida e al governo della parte irrazionale e
sen­sibile dell’anima, così come ciò che è superiore deve dirigere ciò che è inferiore140.
Questo può avvenire quando il nous ha la ragione (ton logon) pienamente sviluppata
(sympleromenon); allora finalmente la razionalità (logike) domina il sensibile (ais‑
thesis).
Il nous possiede anche delle ali (pteryges), costituite dalle facoltà mentali (noerai
energeiai), che hanno sede nel cervello, grazie alle quali può elevarsi alla contem­
plazione di Dio141.
C. Cavarnos, Modern Greek Thought, pp. 63-64.
C. Cavarnos, Modern Greek Thought, p. 65.
137
SE, p. 39.
138
SE, p. 40.
139
SE, p. 40.
140
SE, p. 43.
141
SE, p. 44.
142
SE, p. 42.
143
SE, pp. 44-45.
135
136