SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Il contenzioso in

SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Il contenzioso in materia immobiliare
Scandicci, 10 febbraio 2015
LINEAMENTI ESSENZIALI SULL’ATTUALE DISCIPLINA DEL
PROCEDIMENTO POSSESSORIO
di Aldo Carrato
Il processo possessorio ha sempre avuto un suo rito particolare.
Anche oggi è, essenzialmente, disciplinato in modo autonomo e costituisce, in
sostanza, una figura intermedia tra il processo definitivo di merito (in petitorio) ed il
processo puramente cautelare.
Dal punto di vista finalistico è risaputo che esso non è preposto all’accertamento, né
alla costituzione o consolidamento di diritti soggettivi, come il processo petitorio, né
tende a preservare dei diritti al fine di assicurare il buon esito del giudizio di merito,
come il processo cautelare.
L'oggetto sostanziale dell'azione di reintegrazione (di cui all’art. 1168 c.c.) ha,
piuttosto, una sua piena autonomia rispetto alla situazione petitoria, in quanto mira al
recupero della disponibilità di un bene, prescindendo dal diritto soggettivo che su di
esso possa avere o meno il soggetto passivo dello spoglio, con la conseguenza che la
relativa tutela processuale non è strumentale, né, quindi, cautelare, se non in quel
senso generico ed indiretto che è inerente all'essenza della protezione della situazione
di fatto (per un esame esaustivo della disciplina prevista dal codice civile per tale
azione v., da ultimo, Le azioni possessorie e di nunciazione, a cura di A. Giusti e A.
Scarpa, coll. Il codice civile- Commentario, Milano, 2014, II ed., 68-232).
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Allo stesso modo l’azione di manutenzione del possesso (prevista dall’art. 1170 c.c.)
è funzionalmente preordinata ad ottenere l’immediata cessazione della turbativa o
della molestia impeditive del pieno godimento del possesso di un bene (per un
approfondimento adeguato della disciplina sostanziale di quest’azione v., ancora, Le
azioni possessorie e di nunciazione, a cura di A. Giusti e A. Scarpa, cit., 243-290).
Una particolare finalità persegue la c.d. “azione di manutenzione recuperatoria” (o di
spoglio semplice), prevista dal comma 3 del citato art. 1170 c.c. a tutela del soggetto
che sia stato vittima di uno spoglio privo del connotato della violenza o di quello
della clandestinità, sempre che ricorrano tutte le altre condizioni contemplate dal
precedente comma della stessa disposizione (per un esempio di tale rara fattispecie v.,
da ultimo, Cass. 29 maggio 2013, n. 13417, con la quale essa è stata ritenuta
configurabile in presenza di una lesione possessoria consistente nel rifiuto della
restituzione di un fondo opposto dal detentore qualificato al possessore mediato,
accompagnato dall'opposizione fatta contro quest'ultimo e perciò dalla manifestazione
dell'avvenuta interversione; con la sentenza 7 dicembre 2012, n. 22174, si è, invece,
statuito che ricorre una ipotesi di spoglio violento anche nel caso di privazione dell'altrui
possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trovi il possessore, eseguita
contro la volontà, sia pure soltanto presunta, di quest'ultimo, sussistendo la presunzione
di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di
consenso, e senza che rilevi in senso contrario il semplice silenzio, in quanto circostanza
di per sé equivoca, e non interpretabile come espressione di acquiescenza).
Pertanto, mentre, da un lato, le ragioni di urgenza, che sono proprie della tutela della
situazione possessoria, suggeriscono lo sdoppiamento del giudizio in due fasi, di cui
la prima culmina con l'adozione di un interdetto provvisorio, destinato ad anticipare
una soluzione, che potrà essere poi confermata o revocata nella sentenza finale,
dall'altro lato, l'autonomia della situazione sostanziale esclude la configurazione di un
(necessario) giudizio sul merito con propri criteri di competenza, sicché anche la
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seconda fase (il cui oggetto coincide con quello della prima) continuerà ad essere
istruita e trattata dallo stesso tribunale competente a norma dell’art. 21 c.p.c., il quale
pronuncerà con sentenza esclusivamente sulla situazione possessoria dedotta.
In particolare, l’attuale disciplina del procedimento possessorio è dettata dall'art. 703
c.p.c., modificato nel secondo comma ed integrato con un terzo ed un quarto comma
dal d. l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80.
Questa riforma affonda le sue radici nella sentenza n. 1984 del 24 febbraio 1998, resa
dalle Sezioni Unite della Cassazione, con la quale si era affermato che l’iniziale
riformulazione del medesimo art. 703 c.p.c., operata dalla legge 26 novembre 1990 n.
353, con il rinvio agli artt. 669 - bis e ss. c.p.c., non aveva eliminato la descritta
duplicità strutturale delle fasi del procedimento possessorio, di cui una primaria, volta
all'emanazione dei provvedimenti immediati, ed una successiva, a cognizione piena,
sul merito della pretesa possessoria, la cui decisione era soggetta alle impugnazioni
ordinarie. In altri termini, una volta (eventualmente) concesse dal giudice del
segmento sommario, con ordinanza, le misure interdittali, il giudizio sarebbe dovuto
proseguire per l’esame del merito innanzi allo stesso giudice all'udienza di trattazione
(già contemplata dal previgente art. 183 c.p.c.) appositamente fissata, senza necessità
di notificare una nuova citazione ai sensi dell'art. 669 – octies c.p.c. Questa
ricostruzione dogmatica del procedimento possessorio (con la quale era stata
smontata la teoria del procedimento possessorio monofasico destinato ad essere
definito con ordinanza esecutiva) si era, quindi, consolidata nella successiva
giurisprudenza di legittimità.
Quindi, nel 2005, sono sopravvenute le modifiche legislative a cui si è fatto
precedentemente riferimento: nel secondo comma dell’art. 703 c.p.c. il richiamo
dell’intera disciplina dei procedimenti cautelari è stato mitigato con una clausola di
compatibilità prima difettante; nondimeno, i commi terzo e quarto del novellato art.
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703 cit. affermano la reclamabilità dell’ordinanza possessoria, come la soggezione
della stessa alla conseguenza dell’inefficacia nelle ipotesi di cui all’art. 669-novies,
comma 3, c.p.c. Quel che più rileva innovativamente è, però, l’ulteriore – e nuovo contenuto del comma 4 dell’art. 703 c.p.c., ove si dispone che, soltanto se richiesto
(con apposita nuova istanza dalla parte interessata), entro sessanta giorni dalla
comunicazione del provvedimento finale della fase interdittale (di accoglimento o di
rigetto), il giudizio debba proseguire per il merito, il quale diviene, pertanto,
prolungamento eventuale ed affatto automatico. In caso di mancata prosecuzione del
procedimento per la cognizione piena della controversia possessoria, l'ordinanza
acquisisce il carattere di statuizione definitiva sulla stessa vicenda possessoria. Il
ricorso introduttivo resta, peraltro, l’unico atto capace di instaurare entrambe le fasi
del procedimento, mentre l’istanza di fissazione dell’udienza di trattazione della
causa, a norma dell’art. 183 c.p.c., assume la natura di mero impulso
endoprocessuale, tant’è che può essere attivato anche da chi era stato resistente nella
pregressa fase interdittale (cfr., in primo luogo, Cass. 22 febbraio 2012, n. 4845, in
Guida al diritto, 2012, 16, p. 32, con nota di SACCHETTINI, L'esistenza di un
collegamento funzionale supera la struttura bifasica del procedimento e, di seguito,
Cass., S.U., 20 novembre 2013, n. 26037).
In sintesi: con la richiamata novella del 2005, che è venuta ad incidere sullo stesso
art. 703 c.p.c., è stata, innanzitutto, espressamente prevista, con la sostituzione del
precedente comma 2, a conferma dell'esclusione della configurabilità di un vero e
proprio procedimento cautelare, l'applicabilità dell'art. 669 bis e segg. c.p.c. (attinenti,
appunto, direttamente a quest'ultimo procedimento) "in quanto compatibili", mentre
nel testo precedente questa clausola di compatibilità mancava. Peraltro, il ricorso a
detta clausola appare superfluo con riferimento all'esperibilità del reclamo cautelare
avverso l'ordinanza possessoria, essendo essa esplicitamente contemplata dal
successivo nuovo comma 3 (aggiunto, come evidenziato, dalla stessa novella del
2005), come per l'applicabilità alla medesima ordinanza possessoria del disposto
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dell'art. 669 novies, comma 3, anch'essa espressamente sancita dal nuovo comma
quarto dell'art. 703 c.p.c. (nella sua parte finale). Ma la novità veramente
fondamentale della nuova disciplina in discorso è – come evidenziato - riconducibile
proprio al nucleo centrale di quest'ultimo comma, il quale richiede la formulazione di
una nuova istanza di parte (ovvero di quella in concreto interessata), da depositarsi
nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento
(emesso, eventualmente, dal giudice del reclamo o, in difetto, dal giudice della fase
interdittale), per la prosecuzione del giudizio di merito.
In virtù di questo nuovo assetto normativo, dunque, pur in linea con la concezione
della struttura bifasica del procedimento possessorio, il legislatore ha inteso
introdurre una interruzione tra la fase interdittale e quella propriamente di merito a
cognizione piena, inquadrando quest'ultima come eventuale e, quindi, come non più
automatica e necessaria. È, dunque, possibile, ma solo se almeno una delle parti ne
faccia richiesta, la celebrazione del giudizio sul "merito possessorio", anche quando il
ricorso possessorio originario sia stato rigettato all'esito della fase sommaria, fermo
restando che, in caso di mancata "prosecuzione" del giudizio sul merito, l'ordinanza
costituisce il provvedimento definitivo sulla causa possessoria. Tuttavia, l'evoluzione
della struttura bifasica del procedimento in questione nei richiamati termini (con
l'intervenuta "eventualizzazione" della fase di merito) non ha fatto venir meno il
principio che le due fasi del giudizio possessorio sono introdotte entrambe con il
ricorso proposto ai sensi dell'art. 703, comma 1, c.p.c.. Da ciò discende, quindi, che la
richiesta di prosecuzione del giudizio per il merito (nelle forme della cognizione
piena) deve assumere, in sostanza, la connotazione di una istanza di fissazione
dell'udienza per la comparizione delle parti e di trattazione della causa ai sensi
dell'art. 183 c.p.c., con valore solo endoprocessuale, che - come già sottolineato - è
proponibile da tutte le parti del procedimento. Di conseguenza, anche in consonanza
con la prevalente dottrina occupatasi dell'argomento, deve ritenersi che la suddetta
istanza non implica la prosecuzione della fase sommaria né comporta la successiva
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introduzione del giudizio di merito, bensì, più propriamente, determina la
prosecuzione del giudizio di merito (già retto, perciò, dal ricorso inizialmente
formulato), destinato, fisiologicamente, a concludersi con sentenza (che, se di
accoglimento, costituisce titolo esecutivo legittimante l’esperimento dell’esecuzione
forzata in forma specifica di cui all’art. 612 e segg. c.p.c.: v., ad es., Cass. 8 agosto
2014, n. 17845, ord.).
E’ interessante rilevare (v., di recente, Cass. 30 settembre 2014, n. 20635) come il
soggetto leso che invochi la tutela possessoria, ove intenda ottenere la condanna
dell'autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve
necessariamente richiedere al giudice, nel termine previsto dall'art. 703, quarto
comma, c.p.c., la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito,
ovvero proporre un autonomo giudizio, in quanto le questioni inerenti le pretese
risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione piena. Ne
consegue che, qualora il giudice adito con azione possessoria, esaurita la fase a
cognizione sommaria, non si limiti a pronunciare sulla domanda di reintegrazione o
di manutenzione, ma, travalicando i limiti del contenuto del provvedimento
interdittale, decida altresì sulla domanda accessoria di risarcimento danni, il
provvedimento adottato, anche se emesso nella forma dell'ordinanza, va qualificato
come sentenza e, come tale, è impugnabile con appello.
Ciò posto, si osserva che l’azione possessoria si propone, per il caso in cui non penda
il giudizio petitorio, nella forma del ricorso al giudice competente dove si è verificato
lo spoglio. Indubbiamente il ricorso diretto al giudice consente una maggior
speditezza nella procedura ed una più rapida emissione dei provvedimenti urgenti. La
forma del ricorso non è, però, richiesta a pena di nullità del procedimento
possessorio, potendo questo instaurarsi anche con citazione: in tal caso al giudice sarà
tuttavia preclusa la possibilità di emettere provvedimenti inaudita altera parte.
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Infatti, sino a quando non si sarà instaurato il contraddittorio tra le parti, il giudice
non avrà cognizione della causa.
La competenza per territorio del tribunale del luogo in cui è avvenuto il fatto
denunziato (art. 21, comma 2, c.p.c.), in caso di azione posta in essere in un dato
luogo ma sviluppante i suoi effetti in un vasto territorio, si individua con riguardo al
posto in cui sia stata posta in essere la condotta umana che ha determinato gli effetti
privativi del possesso.
L’art. 704 c.p.c. consente, invece, la formulazione del ricorso possessorio altresì
davanti al giudice del procedimento petitorio, in deroga agli ordinari principi di
competenza, deroga che però non trova applicazione quando i fatti lesivi del possesso
siano stati commessi anteriormente all'instaurazione del giudizio petitorio; è fatta
salva la possibilità di domandare la reintegrazione al tribunale individuato a norma
dell’art. 21 c.p.c., che potrà emanare i provvedimenti temporanei indispensabili, per
rimettere, poi, le parti davanti al giudice del petitorio.
Il citato art. 704 c.p.c. è, quindi, chiaramente volto a consentire la decisione sulle
distinte domande nello stesso processo, avendo i provvedimenti possessori,
comunque adottati in pendenza di giudizio petitorio, carattere puramente incidentale
ed essendo destinati ad essere assorbiti dalla sentenza definitiva che decide la
controversia petitoria, la quale costituirà l'unico titolo in grado di regolare in via
definitiva i rapporti in contestazione tra le parti, sulla base dell’accertamento
dell'esistenza del diritto da cui si pretende derivare il possesso.
La più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 16 gennaio 2014, n. 810) –
confermativa del pregresso orientamento – ha, peraltro, chiarito che l 'art. 704 c.p.c.,
devolvendo la competenza per la domanda possessoria al giudice del giudizio
petitorio, deroga alla regola generale della competenza in materia possessoria e non è
applicabile, quindi, oltre i casi in esso considerati, che presuppongono la connessione
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oggettiva delle due cause, l'anteriorità del giudizio petitorio rispetto all'accadimento
dei fatti dedotti come lesivi del possesso e l'identità soggettiva delle parti, la quale
ricorre quando tutte le parti del giudizio possessorio siano presenti nel giudizio
petitorio, essendo irrilevante soltanto che a quest'ultimo partecipino anche altri
soggetti.
Occorre porre, altresì, in risalto (v., da ultimo, Cass. 25 giugno 2012, n. 10588) che il
divieto di proporre giudizio petitorio, previsto dall'art. 705 c.p.c., riguarda il solo
convenuto nel giudizio possessorio, trovando la propria "ratio" nell'esigenza di
evitare che la tutela possessoria chiesta dall'attore possa essere paralizzata, prima
della sua completa attuazione, dall'opposizione diretta ad accertare l'inesistenza dello
"ius possidendi". Ne consegue che l'attore in possessorio, diversamente dal
convenuto, può, anche in pendenza del medesimo giudizio possessorio, proporre
autonoma azione petitoria, dovendosi interpretare tale proposizione come finalizzata
ad un rafforzamento della tutela giuridica, e non già come rinuncia all'azione
possessoria; detta facoltà, tuttavia, non può essere esercitata nello stesso giudizio
possessorio, ma soltanto con una separata iniziativa, introducendo la domanda
petitoria una "causa petendi" ed un "petitum" completamente diversi, dal che deriva
l'inammissibilità della stessa se proposta dall'attore nella fase di merito del
procedimento possessorio, la quale costituisce mera prosecuzione della fase
sommaria.
Alla presentazione del ricorso introduttivo segue una fase preliminare ed assicurativa
(nella quale si realizza il precetto sancito dall'ultimo comma dell'art. 1168 c.c.), il cui
carattere è strumentalmente funzionalizzato allo svolgimento della successiva fase di
cognizione – pur sempre sommaria - a contraddittorio pienamente instaurato. Il
giudice può, infatti, immediatamente provvedere in ordine all'azione proposta,
assumere sommarie informazioni e, sulla base delle stesse, ai sensi dell'art. 669
sexies, comma 2, c.p.c., ove sussista l'obiettiva urgenza di contenere una lesione in
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atto o di evitare il pericolo di un danno o dell'aggravamento di esso, disporre con
decreto, inaudita altera parte, i provvedimenti necessari. Si spiega, peraltro, che le
dichiarazioni rese dai cd. "informatori" nella fase urgente del procedimento
possessorio, pur non essendo assimilabili alla prova testimoniale, possono comunque
essere utilizzate anche quali indizi, liberamente valutabili ai fini della decisione,
potendo anche considerarsi alla stregua di vere e proprie prove testimoniali laddove
assunte in contraddittorio tra le parti e sotto il vincolo del giuramento. Quanto al
convincimento in fatto del magistrato in ordine all'oggetto della domanda, l'urgenza
processuale, a fronte di un'attività assertiva unilaterale, legittima unicamente la
possibilità di una valutazione immediata e necessariamente sommaria degli eventi
dedotti (sembra, peraltro, da escludere che la notorietà, richiamata dall'ultimo comma
dell'art. 1168 c.c., coincida con il concetto di verosimiglianza).
Con il decreto che contiene i provvedimenti immediati il giudice deve, in ogni caso,
disporre ad udienza fissa la comparizione delle parti davanti a sé per confermare,
modificare o revocare in contraddittorio i provvedimenti già resi (art. 669-sexies,
comma 2, c.p.c.). Il ricorso introduttivo ed il decreto dovranno essere notificati alla
parte avversaria a cura dello stesso ricorrente entro un termine perentorio.
Se non ritiene che sussistano le condizioni per l’emissione dell’interdetto inaudita
altera parte (e sempre che esso sia richiesto specificamente dal ricorrente), il giudice
dispone la comparizione delle parti. La scadenza del termine che il giudice, senza
adottare provvedimenti immediati, abbia assegnato per la notifica del ricorso e del
decreto di fissazione dell'udienza non impedisce all’istante, peraltro, di chiedere ed
ottenere la fissazione di una nuova udienza di comparizione, integrando ciò non una
proroga illegittima del termine già scaduto, ma l'esercizio dell'autonomo potere di
convocare le parti mediante un distinto decreto. Così, in contraddittorio, il magistrato
potrà procedere senza alcuna formalità agli indispensabili atti di istruzione, come
l'audizione degli informatori che gli vengono presentati dalle parti, ovvero individuati
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personalmente, quando a seguito di ispezione li trovi sul posto, e demandare,
eventualmente, all’ausiliario tecnico singole indagini: questa prima fase, definita
dalla dottrina di «cognizione sommaria», si conclude con la pronuncia dei
provvedimenti necessari con ordinanza.
Come già evidenziato, il giudice, se richiesto da una delle parti, fisserà, poi,
successiva udienza per procedere alla trattazione ed alla formale istruzione della
causa (cosiddetta seconda fase del procedimento possessorio “ a cognizione piena”)
e, quindi, statuire sul merito della situazione possessoria, intesa in senso stretto,
atteso che il provvedimento interdittale è comunque destinato a perdere efficacia a
seguito della decisione a cognizione piena ed è, quindi, inidoneo a produrre effetti di
diritto sostanziale e processuale con autorità di giudicato; solo il ristabilimento
dell'originaria situazione conseguibile attraverso l'esecuzione coattiva della sentenza
può, invero, consentire l'eliminazione di ogni situazione di contrasto con il possesso
spogliato.
Le descritte due fasi non si devono intendere contrapposte tra di loro ed al tempo
stesso vincolate da un nesso di successione inderogabile.
L'applicazione positiva del brocardo spoliatus ante omnia restituendus comporta che
sia vietato al convenuto di intentare giudizio petitorio prima che il giudizio
possessorio sia stato definito e, per quanto dipende da lui, eseguito (art. 705 c.p.c.),
divieto che trovando la propria "ratio" nell'esigenza di evitare che la tutela
possessoria chiesta dall'attore possa essere paralizzata, prima della sua completa
attuazione, dall'opposizione diretta ad accertare l'inesistenza dello "ius possidendi".
Allo stesso criterio del divieto di cumulo viene ricondotto anche il regime
dell'eccezione feci sed iure feci, la quale è ammissibile, da parte del convenuto in
sede possessoria, solo in quanto lo ius si riferisca ad un affermato possesso o
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compossesso che legittimi il suo operato e non con riferimento ad uno ius in senso
petitorio o nel senso di ius possidendi.
SELEZIONE GIURISPRUDENZIALE DI LEGITTIMITA’ DELL’ULTIMO
BIENNIO SU POSSESSO, AZIONI POSSESSORIE E USUCAPIONE
I principali arresti delle Sezioni unite
Sez. U, Sentenza n. 20448 del 29/09/2014 (Rv. 633005)
Presidente: Rovelli LA. Estensore: D'Ascola P.
PROVA CIVILE - ONERE DELLA PROVA - IN GENERE - Immobile adibito a casa familiare già
in comodato - Assegnazione al coniuge separato affidatario della prole - Richiesta di rilascio del
comodante - Opposizione per destinazione a casa familiare - Onere della prova - Del coniuge
assegnatario - Cessazione del comodato - Prova - Contenuto.
Il coniuge separato, convivente con la prole minorenne o maggiorenne non autosufficiente ed
assegnatario dell'abitazione già attribuita in comodato, che opponga alla richiesta di rilascio del
comodante l'esistenza di una destinazione dell'immobile a casa familiare, ha l'onere di provare che
tale era la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento, mentre spetta a chi invoca la
cessazione del comodato dimostrare il sopraggiungere del termine fissato "per relationem" e,
dunque, l'avvenuto dissolversi delle esigenze connesse all'uso familiare.
Sez. U, Sentenza n. 5087 del 05/03/2014 (Rv. 629549
Presidente: Rovelli LA. Estensore: Ceccherini A.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - IN GENERE - Azienda - Nozione - Bene distinto dai
singoli componenti - Suscettibilità di possesso unitario - Configurabilità - Conseguenze Usucapibilità - Fattispecie in tema di farmacia.
Ai fini della disciplina del possesso e dell'usucapione, l'azienda, quale complesso dei beni
organizzati per l'esercizio dell'impresa, deve essere considerata come un bene distinto dai singoli
componenti, suscettibile di essere unitariamente posseduto e, nel concorso degli altri elementi
indicati dalla legge, usucapito. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha riconosciuto
l'usucapibilità, da parte del proprietario della metà di una farmacia al cui interno aveva esercitato
l'attività di farmacista per oltre vent'anni comportandosi quale unico proprietario, dell'altra metà
della farmacia).
Sez. U, Sentenza n. 26037 del 20/11/2013 (Rv. 628427)
Presidente: Santacroce G. Estensore: Piccialli L.
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POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - AZIONI POSSESSORIE PROCEDIMENTO POSSESSORIO - FASI DEL GIUDIZIO - IN GENERE - Fase cautelare Declaratoria di difetto di giurisdizione - Reclamabilità del provvedimento - Sussistenza - Ragioni Fissazione "ex officio" del termine per la prosecuzione del giudizio di merito - Necessità Esclusione.
Il diniego di reintegra o manutenzione nel possesso, anche quando motivato in base al ravvisato
difetto di giurisdizione del giudice ordinario, è reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies cod. proc.
civ., integrando quella decisione che "respinge la domanda" di cui all'art. 703, terzo comma, del
medesimo codice di rito civile, non sussistendo, inoltre, in tale ipotesi, a carico del giudice che
abbia denegato la concessione dell'interdetto possessorio, alcuna necessità di fissare "ex officio" il
termine per la prosecuzione del giudizio di merito, atteso che - ai sensi del quarto comma del
medesimo art. 703, come modificato dall'art. 2, comma 3, lett. e), n. 7.2), del d.l. 14 marzo 2005, n.
35, convertito in legge 14 maggio 2005, n. 80 - il carattere bifasico del procedimento possessorio è,
ormai, soltanto eventuale.
STRALCIO MOTIVAZIONE
(…) Le censure sono manifestamente infondate, non evidenziando alcun vizio logico o carenza
argomentativa del ragionamento esposto dal giudice di appello a sostegno della declaratoria
d'inammissibilità del gravame, sostanzialmente risolvendosi nell'infondata esposizione di doglianze
attinenti all'applicazione della legge processuale da parte della corte di merito, che tuttavia risulta
del tutto corretta ed aderente al regime processuale in materia possessoria. Va, al riguardo,
osservato che, a seguito delle modificazioni apportate all'art. 703 c.p.c. dal D.L. 14 marzo 2005, n.
35, conv. con modd. nella L. 14 maggio 2005, n. 80, entrate in vigore a partire dal 1.3.2006 (e,
pertanto, applicabili alla fattispecie), i giudizi possessori sono caratterizzati da una "bifasicità"
ormai soltanto eventuale, nel senso che, una volta conclusasi la fase sommaria (il cui rito, in virtù
del richiamo contenuto nell'art. 703 c.p.c., comma 2, è improntato al modulo processuale
cautelare), con l'accoglimento o con la reiezione della domanda di emissione del provvedimento
interdettale la fissazione di un termine per la prosecuzione del giudizio nel merito può far seguito
all'ordinanza anzidetta, o alla decisione sul conseguente reclamo, soltanto nel caso in cui almeno
una delle parti ne abbia fatto richiesta, entro il termine di cui al comma 4 dell'articolo citato. Ove
tale termine non sia richiesto, il procedimento si conclude con l'ordinanza di cui all'art. 703,
comma 3, oppure, ove sia stato proposto un reclamo, con quella di cui all'art. 669 terdecies c.p.c.,
provvedimenti, l'uno e l'altro non soggetti ad appello, per la natura cautelare o comunque
interinale che li contraddistingue, in quanto destinati ad essere assorbiti dalla decisione di merito
del giudizio che le parti hanno facoltà di instaurare. Da quanto sopra consegue che, a differenza di
quanto si verificava nel regime anteriore alla citata "novella", nel quale la "bifasicità" del giudizio
possessorio era necessaria, essendo allora il giudice della fase sommaria tenuto, a conclusione
della stessa, a fissare comunque una successiva udienza per la prosecuzione della causa nel merito
(con la conseguenza che, in caso di omissione e contemporaneo regolamento delle spese
processuali, dovendo ritenersi le due fasi unificateci provvedimento decisorio era da considerarsi
una sentenza definitiva di merito: v, tra le altre, Cass. 2, 19.6.2007, n. 14281)), risultano oggi del
tutto irrilevanti, essendo coerenti al sistema processuale come in precedenza delineato sia la
circostanza che il giudice non abbia fissato ex officio un termine per la riassunzione del giudizio di
merito, sia quella che abbia regolato le spese della fase innanzi al medesimo conclusasi.
Quest'ultima statuizione, in particolare, prescritta dall'art. 669 septies c.p.c., deve ritenersi
compatibile con la "bifasicità" solo eventuale del giudizio possessorio, proprio in considerazione
della possibilità che il giudizio di merito non sia richiesto da alcuna delle parti, ipotesi nella quale
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le spese dell'esaurita fase sommaria resterebbero prive di regolamento. Le suesposte
considerazioni comportano che, anche nell'ipotesi in cui il diniego di reintegra o manutenzione nel
possesso sia motivato dal ravvisato difetto di giurisdizione, nondimeno, il negativo provvedimento,
avendo chiuso soltanto la fase sommaria diretta all'emissione (o alla negazione) del provvedimento
interdittale, non si sottrae alla reclamabilità ex art. 703, comma 3 in reli. 669 terdecies c.p.c.
considerato che tale è l'unico rimedio che l'ordinamento accorda, senza alcuna distinzione, avverso
"l'ordinanza che accoglie o respinge la domandale che alla seconda ipotesi andava ricondotto il
provvedimento, sostanzialmente reiettivo, motivato dal difetto di giurisdizione (rectius:
inammissibilità della domanda possessoria, implicante la richiesta di condanna ad un facere della
P.A, con riferimento ad attività ritenute non meramente materiali, ma ricollegabili all'esercizio di
poteri autoritativi, come da costante giurisprudenza di questa Corte, da ultimo ribadita da queste
Sezioni Unite con sent. n. 10825 del 21.6.2012), che il primo giudice aveva ravvisato.
Correntemente a tale decisione, dunque, nessun termine tale giudice avrebbe dovuto accordare per
la prosecuzione del processo davanti al giudice amministrativo, non essendo ipotizzabile alcuna
continuità tra un'azione possessoria, neppure approdata alla fase di merito e radicalmente esclusa
nei confronti della P.A., in quanto ritenuta operante nell'esercizio di poteri istituzionali, ed un
eventuale giudizio analogo da svolgersi innanzi al G.A. Consegue, pertanto, l'inconferenza
dell'argomento, che la ricorrente lamenta non considerato dalla corte di merito, secondo cui, la
mancata fissazione di un termine al riguardo avrebbe evidenziato la natura di sentenza del
provvedimento, considerato che l'unico sviluppo della vicenda avrebbe potuto essere quelle del
reclamo previsto dall'art. 669 terdecies c.p.c., sede nella quale ben avrebbe potuto essere
riesaminata, in funzione della negata tutela interdettale la questione di ammissibilità dell'azione
possessoria per motivi di giurisdizione.(…)
Sez. U, Sentenza n. 7381 del 25/03/2013 (Rv. 625559)
Presidente: Preden R. Estensore: Amatucci A.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - IN GENERE - Nozione - Elemento soggettivo ed
elemento oggettivo - Fattispecie in tema di valenza confessoria di una scrittura relativa ad acquisto
per usucapione.
Una dichiarazione è qualificabile come confessione ove sussistano un elemento soggettivo,
consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sé
sfavorevole e favorevole all'altra parte, ed un elemento oggettivo, che si ha qualora dall'ammissione
del fatto obiettivo, il quale forma oggetto della confessione escludente qualsiasi contestazione sul
punto, derivi un concreto pregiudizio all'interesse del dichiarante e, al contempo, un corrispondente
vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione. Ne consegue che non riveste valenza
confessoria, in ordine al protrarsi del possesso per il tempo utile al verificarsi dell'usucapione, la
scrittura con cui una parte si impegni a far acquisire all'altra un determinato immobile, o a seguito
di sentenza dichiarativa di usucapione in suo favore o per contratto, rivelando tale accordo aspetti di
incompatibilità logica tra il pattuito trasferimento a titolo derivativo ed il pregresso acquisto a titolo
originario e collocandosi sul piano volitivo, anziché su quello ricognitivo.
La giurisprudenza della II Sezione
Sez. 2, Sentenza n. 21690 del 14/10/2014 (Rv. 632753)
Presidente: Piccialli L. Estensore: Bursese GA.
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POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - IN GENERE - Detenzione iniziale della cosa come
effetto di un atto o fatto del proprietario possessore - Comodato - Presunzione di possesso utile "ad
usucapionem" - Configurabilità - Esclusione - Trasformazione della detenzione in possesso Mutamento del titolo - Necessità - Prova.
La presunzione di possesso utile "ad usucapionem", di cui all'art. 1141 cod. civ., non opera quando
la relazione con il bene derivi non da un atto materiale di apprensione della "res", ma da un atto o
da un fatto del proprietario a beneficio del detentore, nella specie un contratto di comodato, poiché
in tal caso l'attività del soggetto che dispone della cosa non corrisponde all'esercizio di un diritto
reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. Ne consegue che la detenzione di un bene
immobile a titolo di comodato precario può mutare in possesso solamente all'esito di un atto
d'interversione idoneo a provare con il compimento di idonee attività materiali il possesso utile "ad
usucapionem" in opposizione al proprietario concedente.
Sez. 2, Sentenza n. 18486 del 01/09/2014 (Rv. 632720)
Presidente: Piccialli L. Estensore: Picaroni E.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO LEGITTIMAZIONE - ATTIVA - DETENTORE - Legittimazione del conduttore - Protrazione
della detenzione qualificata dopo la cessazione del contratto di locazione - Sussistenza Fondamento.
Il conduttore che mantenga la disponibilità dell'immobile dopo la cessazione di efficacia del
contratto di locazione è legittimato a ricorrere alla tutela possessoria ex art. 1168, secondo comma,
cod. civ., in quanto detentore qualificato, ancorché inadempiente all'obbligo di restituzione agli
effetti dell'art. 1591 cod. civ.
Sez. 2, Sentenza n. 19830 del 19/09/2014 (Rv. 632673)
Presidente: Bursese GA. Estensore: Proto CA.
POSSESSO - ATTI DI TOLLERANZA (PROVA MANCANZA "ANIMUS DOMINI") - Azione
di rentegrazione nel possesso di una servitù di passaggio - Onere della prova della tolleranza Ripartizione.
Colui che assume di essere stato spogliato del possesso di una servitù di passaggio non è tenuto a
dare la prova dell'inesistenza della tolleranza, trattandosi di fatto impeditivo che deve provare l'altra
parte.
Sez. 2, Sentenza n. 20635 del 30/09/2014 (Rv. 632423)
Presidente: Piccialli L. Estensore: Matera L.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - AZIONI POSSESSORIE RISARCIMENTO DEL DANNO - Domanda accessoria di risarcimento del danno - Necessità della
prosecuzione del giudizio all'esito della fase sommaria ai sensi dell'art. 703, quarto comma, cod.
proc. civ. - Fondamento - Conseguente appellabilità dell'ordinanza che pronunci sulla pretesa
risarcitoria.
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Il soggetto leso che invochi la tutela possessoria, ove intenda ottenere la condanna dell'autore dello
spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve necessariamente richiedere al
giudice, nel termine previsto dall'art. 703, quarto comma, cod. proc. civ., la fissazione dell'udienza
per la prosecuzione del giudizio di merito, ovvero proporre un autonomo giudizio, in quanto le
questioni inerenti le pretese risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione
piena. Ne consegue che, qualora il giudice adito con azione possessoria, esaurita la fase a
cognizione sommaria, non si limiti a pronunciare sulla domanda di reintegrazione o di
manutenzione, ma, travalicando i limiti del contenuto del provvedimento interdittale, decida altresì
sulla domanda accessoria di risarcimento danni, il provvedimento adottato, anche se emesso nella
forma dell'ordinanza, va qualificato come sentenza e, come tale, è impugnabile con appello.
STRALCIO MOTIVAZIONE:
(…) Come è stato precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. 20-11-2013 n.
26037), a seguito delle modificazioni apportate all'art. 703 c.p.c. dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35,
conv. con mod. nella L. 14 maggio 2005, n. 80, entrate in vigore a partire dal 1-3-2006 (e,
pertanto, applicabili ratione temporis alla fattispecie in esame), i giudizi possessori sono
caratterizzati da una "bifasicità" ormai soltanto eventuale, nel senso che, una volta conclusasi la
fase sommaria (il cui rito, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 703 c.p.c., comma 2, è
improntato al modulo processuale cautelare), con l'accoglimento o con la reiezione della domanda
di emissione del provvedimento interdittale, la fissazione di un termine per la prosecuzione del
giudizio nel merito può far seguito all'ordinanza anzidetta, o alla decisione sul conseguente
reclamo, soltanto nel caso in cui almeno una delle parti ne abbia fatto richiesta, entro il termine di
cui al comma 5 dell'articolo citato. Ove tale termine non sia richiesto, il procedimento si conclude
con l'ordinanza di cui all'art. 703, comma 3, oppure, ove sia stato proposto un reclamo, con quella
di cui all'art. 669 terdecies c.p.c.; provvedimenti, l'uno e l'altro, non soggetti ad appello, per la
natura cautelare o comunque interinale che li contraddistingue, in quanto destinati ad essere
assorbiti dalla decisione di merito del giudizio che le parti hanno facoltà di instaurare. Ne
consegue che, a differenza di quanto si verificava nel regime anteriore alla citata "novella", nel
quale la "bifasicità" del giudizio possessorio era necessaria, essendo il giudice della fase sommaria
tenuto, a conclusione della stessa, a fissare comunque una successiva udienza per la prosecuzione
della causa nel merito (con la conseguenza che, in caso di omissione e contemporaneo regolamento
delle spese processuali, dovendo ritenersi le due fasi unificate, il provvedimento decisorio era da
considerarsi una sentenza definitiva di merito: tra le altre v. Cass. 19-6-2007 n. 14281), nel nuovo
sistema processuale la regolamentazione delle spese deve ritenersi compatibile con la "bifasicità"
solo eventuale del giudizio possessorio, proprio in considerazione della possibilità che il giudizio di
merito non sia richiesto da alcuna delle parti, ipotesi nella quale le spese dell'esaurita fase
sommaria rimarrebbero prive di regolamento (Cass. Sez. Un. 20-11-2013 n. 26037). Nella specie,
la Corte di Appello, in applicazione degli enunciati principi, ha correttamente escluso che la
pronuncia sulle spese, emessa per la eventualità che non venisse iniziato il giudizio di merito,
potesse di per sè valere a mutare la natura del provvedimento adottato dal Tribunale.
Nell'attribuire al provvedimento impugnato natura di ordinanza, come tale non soggetta ad
appello, tuttavia, la Corte territoriale non ha tenuto conto del fatto che tale provvedimento, come
evidenziato dall'appellante principale, aveva altresì deciso sulla domanda risarcitoria proposta dal
ricorrente, rigettandola per difetto di prova. Orbene, è vero che, secondo un principio più volte
affermato dalla giurisprudenza, poiché il possesso costituisce una situazione di fatto avente propria
rilevanza giuridica, la cui compromissione da luogo di per sè all'insorgenza di un obbligo
risarcitorio, la conseguente domanda risarcitoria può essere proposta congiuntamente all'azione di
reintegra o di manutenzione (Cass. 2-12-2013 n. 26985; Cass. 27-10-2005 n. 20875). È da
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escludere, tuttavia, che alla cognizione delle eventuali pretese risarcitorie avanzate dal soggetto
leso il giudice possa provvedere con l'ordinanza, soggetta a reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.,
con la quale, ai sensi dell'art. 703 c.p.c., comma 3, "accoglie o respinge la domanda". Oggetto di
tale ordinanza, infatti, è esclusivamente la domanda di reintegrazione o di manutenzione di cui al
comma 1 dello stesso articolo, in vista delle esigenze di speditezza sottese al modello
procedimentale approntato in materia dal legislatore. Il soddisfacimento delle eventuali pretese
risarcitorie avanzate dal soggetto leso, al contrario, postulando degli accertamenti pieni e
completi, può essere conseguito soltanto attraverso un processo ordinario di cognizione, da
definirsi con sentenza. La natura solo eventuale della bifasicità dell'attuale procedimento
possessorio, pertanto, non esclude che nella fase sommaria il giudice possa pronunciarsi solo sulla
domanda di reintegrazione o di manutenzione in senso stretto, potendo ogni questione inerente alle
accessorie pretese risarcitorie essere esaminata solo nell'eventuale fase di cognizione piena.
Ne consegue che il soggetto leso che invochi la tutela possessoria, ove intenda ottenere la
condanna dell'autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve
necessariamente richiedere al giudice, nel termine previsto dall'art. 703 c.p.c., comma 4, la
fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, ovvero proporre un autonomo
giudizio.
3) Deve, allora, affermarsi che, qualora il giudice adito con azione possessoria, esaurita la fase a
cognizione sommaria, non si limiti a pronunciare sulla domanda di reintegrazione o di
manutenzione, ma, travalicando i limiti del contenuto del provvedimento interdittale di cui all'art.
703 c.p.c., comma 3, decida altresì sulla domanda accessoria di risarcimento danni, il
provvedimento adottato, anche se emesso nella forma dell'ordinanza, va qualificato come sentenza,
e come tale è impugnabile con appello. Nella specie, pertanto, ha errato il giudice del gravame nel
ritenere inammissibile l'appello proposto da Cascone Salvatore avverso la decisione del Tribunale
di rigetto della domanda risarcitoria.(…)
Sez. 2, Sentenza n. 18281 del 26/08/2014 (Rv. 631819)
Presidente: Triola RM. Estensore: Oricchio A.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO ATTO DI SPOGLIO - "ANIMUS SPOLIANDI" - IN GENERE - "Animus spoliandi" del
condomino che si impossessa del bene condominiale - Sussistenza - Mancata utilizzazione della
cosa da parte degli altri condomini - Rilevanza - Esclusione - Fondamento.
In caso di spoglio perpetrato da un condomino, che si impossessi del bene condominiale
trasformandone l'uso "uti condominus" in uso "uti dominus", l'"animus spoliandi" non è escluso
dalla mancata utilizzazione della cosa comune da parte degli altri condomini, questa essendo una
manifestazione delle facoltà comprese nel diritto di proprietà e nel relativo possesso.
Sez. 2, Sentenza n. 18095 del 20/08/2014 (Rv. 631780)
Presidente: Piccialli L. Estensore: Scalisi A.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - INTERRUZIONE E SOSPENSIONE - IN GENERE Atto dispositivo del proprietario - Idoneità ad interrompere il termine di usucapione - Esclusione Fondamento.
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Nel giudizio promosso dal possessore nei confronti del proprietario per far accertare l'intervenuto
acquisto della proprietà per usucapione, l'atto di disposizione del diritto dominicale da parte del
proprietario in favore di terzi, anche se conosciuto dal possessore, non esercita alcuna incidenza
sulla situazione di fatto utile ai fini dell'usucapione, rappresentando, rispetto al possessore, "res inter
alios acta", ininfluente sulla prosecuzione dell'esercizio della signoria di fatto sul bene, non
impedito materialmente, né contestato in modo idoneo.
Sez. 2, Sentenza n. 14819 del 30/06/2014 (Rv. 631213)
Presidente: Piccialli L. Estensore: Matera L.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO ATTO DI SPOGLIO - IN GENERE (NOZIONE, DISTINZIONI, DIFFERENZE TRA SPOGLIO E
TURBATIVA) - Chiusura del fondo da parte del detentore - Spoglio - Sussistenza - Condizioni Fondamento.
In tema di azioni possessorie, configura spoglio la chiusura del cancello di accesso al fondo
mediante apposizione di un lucchetto da parte del detentore, in quanto tale condotta, se non
accompagnata dalla consegna di copia delle chiavi al possessore, si qualifica come privazione
dell'altrui possesso e, nel contempo, come inequivoco atto d'interversione.
Sez. 2, Sentenza n. 13415 del 12/06/2014 (Rv. 631141)
Presidente: Oddo M. Estensore: Oricchio A.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO - IN
GENERE - Domanda di reintegra nel possesso - Domanda od ordine di reintegra per compossesso "Mutatio libelli" od ultrapetizione - Esclusione - Fondamento.
Non si ha mutamento della domanda, né vizio di ultrapetizione, quando, chiestasi la reintegrazione
nel possesso esclusivo dell'immobile, la reintegra venga poi chiesta od accordata all'attore per
essere, anziché possessore esclusivo, semplicemente compossessore, in quanto il fatto costitutivo
dell'azione resta il possesso, mutando solo il profilo giuridico dell'azione, ed in quanto non può
ritenersi inibito al giudice, nel sovrano apprezzamento delle prove, di scorgere, anziché una
situazione di possesso solitario, una convergenza di poteri di fatto che si traducono sostanzialmente
in possesso.
Sez. 2, Sentenza n. 9682 del 06/05/2014 (Rv. 630623)
Presidente: Goldoni U. Estensore: Mazzacane V.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - DI BENI IMMOBILI E DIRITTI REALI
IMMOBILIARI - VENTENNALE - Usucapione di immobile ritenuto demaniale e concesso in uso
a terzi - Condizioni - Fondamento.
La distinzione tra i beni pubblici e i beni privati non discrimina due categorie concettuali di
proprietà, ma soltanto due categorie giuridiche di beni, la prima delle quali presenta un peculiare
regime giuridico (inalienabilità, inusucapibilità, vincolo di destinazione per i beni pubblici
appartenenti a privati, ecc.). Ne consegue che la P.A. può usucapire il bene privato del quale per
17
oltre un ventennio, nella erronea convinzione che fosse demaniale, abbia disposto la concessione in
uso a terzi, atteso che, mentre l'errata supposizione di demanialità del bene non incide sulla volontà
della P.A. di gestirlo "uti dominus", risolvendosi in un errore sul regime giuridico del bene,
irrilevante ai fini dell'usucapione, la concessione in uso a terzi costituisce uno dei modi di
disposizione del bene e, quindi, di possesso da parte dell'ente pubblico.
Sez. 2, Sentenza n. 9671 del 06/05/2014 (Rv. 630427)
Presidente: Goldoni U. Estensore: Proto CA.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - REQUISITI DEL POSSESSO (LEGITTIMO) "ANIMUS POSSIDENDI" (O "DOMINI") - Nozione - Attività negoziale diretta all'acquisto di
proprietà - Compatibilità.
L'"animus possidendi", necessario all'acquisto della proprietà per usucapione, non consiste nella
convinzione di essere proprietario, ma nell'intenzione di comportarsi come tale, esercitando
corrispondenti facoltà, mentre la buona fede non è requisito del possesso utile all'usucapione. Ne
consegue che la consapevolezza di possedere senza titolo e l'attività negoziale (nella specie,
proposta di acquisto) diretta a ottenere il trasferimento della proprietà non escludono che il possesso
sia utile all'usucapione.
Sez. 2, Sentenza n. 8731 del 15/04/2014 (Rv. 630401)
Presidente: Oddo M. Estensore: Matera L.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - MANUTENZIONE - IN GENERE Manutenzione per violazione delle distanze - Condizioni - Fondamento.
L'azione di manutenzione possessoria tutela il potere di fatto sulla cosa e non il corrispondente
diritto reale, sicché la violazione delle distanze legali tra costruzioni può essere denunciata ex art.
1170 cod. civ. solo quando abbia determinato un'apprezzabile modificazione o limitazione
dell'esercizio del possesso.
STRALCIO MOTIVAZIONE:
(…)1) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano l'omessa, insufficiente, erronea e contraddittoria
motivazione, in ordine all'affermazione secondo cui la nuova costruzione realizzata dal convenuto
in violazione delle distanze legali, pur avendo una superficie di ingombro ed una volumetria
maggiori rispetto a quella preesistente, non concreta una molestia possessoria in danno degli
esponenti, essendo rimasta sostanzialmente invariata la distanza dal confine rispetto alla
precedente costruzione. Nel premettere che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di
merito, il nuovo manufatto risulta posizionato ad una distanza minore, e non maggiore, rispetto al
precedente fabbricato, sostengono che, trattandosi di nuova costruzione, la violazione delle
distanze deve essere valutata con riferimento al nuovo fabbricato; e che il fatto che la distanza dal
confine della nuova costruzione sia sostanzialmente analoga a quella del fabbricato preesistente
non vale ad escludere che tale nuova costruzione comporti una molestia al possesso del fondo
dominante. Fanno presente, in particolare, che il maggiore ingombro del nuovo fabbricato dipende
anche dalla circostanza che il lato a minore distanza da quella legale rispetto al confine è
attualmente più lungo, risultando così pregiudicati dall'intervento edilizio di controparte punti di
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confine che non erano mai stati interessati dalla "compressione" per violazione della distanza. Con
il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e 1170
c.c., e L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 31. Deducono che la violazione delle distanze legali nelle
costruzioni integra una molestia al possesso del fondo finitimo, contro la quale è data azione di
manutenzione, anche a prescindere dalla concreta compressione dell'esercizio del possesso sul
fondo confinante. Sostengono che non rileva, in contrario, il fatto che nella specie preesistesse un
manufatto posto nella medesima posizione, dal momento che l'intervento edilizio realizzato dalla
convenuta non si è concretato in una semplice "ristrutturazione" o "ricostruzione", bensì in una
"nuova costruzione", che ha raddoppiato le superfici e volumetrie della precedente sagoma
d'ingombro.
I due motivi, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, devono essere
disattesi.
È ben vero che, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza, in materia urbanistica, anche
alla luce dei criteri di cui alla L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 31, comma 1, lett. d), la semplice
constatazione dell'aumento di superficie e di volumetria è sufficiente a rendere l'intervento edilizio
non riconducibile al paradigma normativo della "ristrutturazione" o della "ricostruzione", bensì a
quello della "nuova costruzione", come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al
momento di tale intervento (v. per tutte Cass. Sez. Un. 19-10-2011 n. 21578).
È altresì certo che le violazioni delle distanze legali tra costruzioni - al pari di qualsiasi atto del
vicino idoneo a determinare situazioni di fatto corrispondenti all'esercizio di una servitù - sono
denunciabili ex art. 1170 c.c., con l'azione di manutenzione nel possesso, costituendo attentati alla
libertà del fondo di fatto gravato, e, pertanto, turbative nell'esercizio del relativo possesso (tra le
tante v. Cass. 29-11-2004 n. 224214; Cass. 24-11-2003 n. 17868; Cass. 25-3-1998 n. 3147).
Deve, tuttavia, rilevarsi che, poiché l'azione di manutenzione è diretta a tutelare il potere di fatto
esercitato su una cosa, e non la titolarità del corrispondente diritto reale - che invece rileva nel
giudizio petitorio -, al fine dell'accoglimento di tale azione è necessario accertare se le turbative
denunciate attentino all'integrità del possesso, determinando un'apprezzabile modificazione o
limitazione del modo del suo precedente esercizio. Ne consegue che, in caso di azione di
manutenzione volta a reprimere l'inosservanza da parte del vicino delle distanze legali, la
sussistenza della dedotta molestia deve essere valutata in rapporto alla situazione possessoria
preesistente e, quindi, allo stato di fatto esistente prima dell'intervento indicato come lesivo del
possesso. Nella specie il giudice del gravame, con motivazione immune da vizi logici e con
apprezzamento in fatto non censurabile in questa sede, ha accertato che il nuovo fabbricato eretto
dal convenuto, pur presentando una maggiore superficie di ingombro ed una maggiore volumetria
rispetto a quello preesistente, è stato posizionato ad una distanza dal confine superiore, sia pur di
poco, rispetto a quella in cui si trovava la precedente costruzione. Correttamente, pertanto, alla
luce degli enunciati principi, la sentenza impugnata ha escluso che per effetto della nuova opera si
sia verificata, sotto il profilo della distanza, una apprezzabile compromissione della pregressa
situazione possessoria, che risulta, anzi, leggermente migliorata. Non sussistono, di conseguenza,
le violazioni di legge e i vizi di motivazione denunciati con i motivi in esame. Deve, piuttosto,
rilevarsi che le deduzioni svolte dai ricorrenti per sostenere che la nuova costruzione del convenuto
è posta a distanza dal confine inferiore a quella in cui sorgeva il vecchio fabbricato, si sostanziano
in mere censure di merito, che mirano ad ottenere una diversa valutazione delle emergenze
processuali rispetto a quella compiuta dal giudice di appello, non consentita in sede di legittimità.
L'ulteriore affermazione dei ricorrenti, secondo cui il nuovo fabbricato si estende sul confine per
una lunghezza maggiore rispetto a quello preesistente, introduce una questione che dalla lettura
della sentenza impugnata e dello stesso ricorso non risulta essere stata dedotta con i motivi di
appello e che, pertanto, implicando la necessità di nuove indagini di fatto, non può essere fatta
valere in questa sede.(…)
19
Sez. 2, Sentenza n. 6428 del 19/03/2014 (Rv. 630164)
Presidente: Goldoni U. Estensore: Petitti S.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO TERMINE UTILE - Rispetto del termine annuale - Onere della prova - A carico dell'attore Sussistenza - Condizioni.
Qualora il convenuto eccepisca l'ultrannualità dell'azione di spoglio, spetta all'attore provarne la
tempestività.
Sez. 2, Sentenza n. 7741 del 02/04/2014 (Rv. 630110)
Presidente: Oddo M. Estensore: Migliucci E.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO RISARCIMENTO DEL DANNO - Danni risarcibili - Costi di ripristino del bene - Inclusione Fondamento - Fattispecie.
L'azione ex art. 1168 cod. civ. ha la finalità di reintegrare il possesso nelle condizioni di esercizio
anteriori allo spoglio, sicché il risarcimento del danno da spoglio deve includere i costi di ripristino
del bene (nella specie, azienda alberghiera), se questo, per gli interventi compiuti dallo spogliatore,
non sia possedibile con le modalità anteriori allo spoglio.
Sez. 2, Sentenza n. 1616 del 27/01/2014 (Rv. 629527)
Presidente: Oddo M. Estensore: Falaschi M.
SERVITÙ - PREDIALI - COSTITUZIONE DEL DIRITTO - DELLE SERVITÙ VOLONTARIE COSTITUZIONE NON NEGOZIALE - PER USUCAPIONE - Corrispondenza tra servitù
usucapita e modalità di utilizzo delle opere serventi - Necessità - Fondamento - Conseguenze.
In forza del principio "tantum praescriptum quantum possessum", la servitù è acquistata per
usucapione in esatta corrispondenza con l'utilizzazione delle opere visibili e permanenti destinate al
suo esercizio, protrattasi continuativamente per venti anni, il contenuto del diritto essendo
determinato dalle specifiche modalità con cui, di fatto, se ne è concretizzato il possesso. Ne
consegue che ogni apprezzabile variazione delle modalità possessorie interrompe il corso
dell'usucapione e dà luogo a una nuova decorrenza del relativo termine.
Sez. 2, Sentenza n. 26984 del 02/12/2013 (Rv. 629487)
Presidente: Oddo M. Estensore: Scalisi A.
POSSESSO - EFFETTI - IN GENERE - Condizioni - Prova del potere di fatto sulla cosa Sufficienza - Allegazione della mera detenzione - Onere della prova del deducente - Mancato
assolvimento - Conseguenze - Prova della "possessio ad usucapionem" - Configurabilità Fattispecie.
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Quando è dimostrato il potere di fatto, pubblico e indisturbato, esercitato sulla cosa per il tempo
necessario ad usucapirla, ne deriva, a norma dell'art. 1141, primo comma, cod. civ., la presunzione
che esso integri il possesso; per conseguenza, incombe alla parte, che invece correla detto potere
alla detenzione, provare il suo assunto, in mancanza dovendosi ritenere l'esistenza della prova della
"possessio ad usucapionem". (Nella specie, in applicazione del principio affermato, la S.C. ha
riconosciuto nella coltivazione di un terreno, con messa a dimora di piante, l'esercizio di un potere
di fatto sulla cosa corrispondente a quello del proprietario, ponendo perciò a carico del convenuto
l'onere di dimostrare la mera detenzione).
Sez. 2, Sentenza n. 810 del 16/01/2014 (Rv. 629362)
Presidente: Oddo M. Estensore: Falaschi M.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - AZIONI POSSESSORIE - GIUDIZIO
POSSESSORIO E PETITORIO (RAPPORTO) - DOMANDA POSSESSORIA NEL GIUDIZIO
PETITORIO - COMPETENZA - Attrazione del possessorio al petitorio - Limiti - Condizioni Fondamento.
L'art. 704 cod. proc. civ., devolvendo la competenza per la domanda possessoria al giudice del
giudizio petitorio, deroga alla regola generale della competenza in materia possessoria e non è
applicabile, quindi, oltre i casi in esso considerati, che presuppongono la connessione oggettiva
delle due cause, l'anteriorità del giudizio petitorio rispetto all'accadimento dei fatti dedotti come
lesivi del possesso e l'identità soggettiva delle parti, la quale ricorre quando tutte le parti del
giudizio possessorio siano presenti nel giudizio petitorio, essendo irrilevante soltanto che a
quest'ultimo partecipino anche altri soggetti.
Sez. 2, Sentenza n. 26985 del 02/12/2013 (Rv. 629309)
Presidente: Oddo M. Estensore: Scalisi A.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO - IN
GENERE - Azioni possessorie - Spoglio violento - Violenza fisica - Necessità - Esclusione Violenza morale - Sufficienza.
In tema di tutela possessoria, perché sussista la violenza dello spoglio non è necessario che questo
sia stato compiuto con forza fisica o con armi, essendo invece sufficiente che sia avvenuto senza o
contro la volontà effettiva, o anche solo presunta, del possessore, mediante una mera violenza
morale, quale una minaccia.
Sez. 2, Sentenza n. 28721 del 30/12/2013 (Rv. 628953)
Presidente: Piccialli L. Estensore: Matera L.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - INTERRUZIONE E SOSPENSIONE - IN GENERE Possesso "ad usucapionem" - Domanda di rilascio del bene proposta dal proprietario nei confronti
del solo detentore - Interruzione del possesso nei confronti del possessore rimasto estraneo al
giudizio - Esclusione - Fondamento.
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In tema di possesso "ad usucapionem", la domanda giudiziale diretta ad ottenere il rilascio di un
immobile, proposta dal proprietario esclusivamente contro il detentore materiale, non vale ad
interrompere il decorso del termine di usucapione nei confronti del possessore del bene rimasto
estraneo al relativo giudizio, atteso che gli atti o i fatti interruttivi, per incidere negativamente sul
decorso del termine richiesto dalla legge per usucapire, devono essere necessariamente diretti
contro il possessore.
Sez. 2, Sentenza n. 7 del 02/01/2014 (Rv. 628849)
Presidente: Bursese GA. Estensore: Migliucci E.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO LEGITTIMAZIONE - ATTIVA - DETENTORE - Convivente "more uxorio" del comodatario di
appartamento destinato ad abitazione - Legittimazione all'azione di reintegrazione per lo spoglio
compiuto da un terzo - Sussistenza - Fondamento.
La qualità di convivente "more uxorio" del comodatario di un appartamento destinato ad abitazione
legittima ad esperire l'azione di spoglio (nella specie, contro un terzo), in quanto la convivenza
"more uxorio" determina sulla casa ove si svolge e si attua il programma di vita in comune un
potere di fatto basato su un interesse proprio del convivente, ben diverso da quello derivante da
ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, avente
titolo in un negozio giuridico di tipo familiare.
Sez. 2, Sentenza n. 25594 del 14/11/2013 (Rv. 628831)
Presidente: Oddo M. Estensore: Carrato A.
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITÀ) - IN GENERE - Possesso ad
usucapionem di un fondo - Procedimento di esproprio sopravvenuto - Effetti - Costituto possessorio
- Necessità - Esclusione - Fondamento.
In caso di espropriazione per pubblica utilità il trasferimento coattivo di un bene non integra
necessariamente gli estremi del "constitutum possessorium", trasferendosi il diritto di proprietà in
capo all'ente espropriante contro la volontà dell'espropriato/possessore, senza che nessun accordo
intervenga fra questi e lo stesso espropriante, né in relazione alla proprietà né in relazione al
possesso. Ne consegue che il provvedimento ablativo non determina, di per sé, un mutamento dell'
"animus rem sibi habendi" in "animus detinendi" in capo al soggetto espropriato, il quale, pertanto,
può del tutto legittimamente invocare, ove ne ricorrano le condizioni, il compimento in suo favore
dell'usucapione se alla dichiarazione di pubblica utilità non siano seguiti né l'immissione in
possesso, né l'attuazione del previsto intervento urbanistico da parte dell'espropriante, rimanendo
del tutto irrilevante, a tale scopo, l'acquisita consapevolezza dell'esistenza dell'altrui diritto
dominicale.
STRALCIO MOTIVAZIONE:
(…)Come già evidenziato nella richiamata ordinanza interlocutoria n. 21121 del 2012, sulla
questione involta da tale motivo non si rileva un'univocità di indirizzi nella giurisprudenza di
questa Corte. Infatti, alla stregua di un determinato orientamento giurisprudenziale, conforme
all'impostazione giuridica adottata dai ricorrenti principali, si è ritenuto che, tra gli effetti
22
automatici di un decreto di espropriazione per pubblica utilità, non possono ricomprendersi ne' il
venir meno del possesso del bene da parte del soggetto espropriato o di un terzo, ne' il mutamento
in detenzione dell'eventuale protrarsi del godimento del bene da parte di costoro, occorrendo, al
riguardo, che l'espropriante ponga in essere un atto di immissione nel possesso del bene (cfr. Cass.,
sez. 2, 4 dicembre 1999, n. 13558). Si è, inoltre, più approfonditamente rilevato (con la già
richiamata sentenza della 1^ sez. n. 5293 del 22 aprile 2000), che, in tema di possesso "ad
usucapionem", tanto il trasferimento volontario quanto quello coattivo di un bene non integrano
necessariamente, di per sé, gli estremi del "constitutum possessorium", poiché - con particolare
riguardo ai trasferimenti coattivi conseguenti ad espropriazione per pubblica utilità - il diritto di
proprietà è trasferito contro la volontà dell'espropriato/possessore, e nessun accordo interviene fra
questi e l'espropriante, ne' in relazione alla proprietà, ne' in relazione al possesso. Ne consegue che
il provvedimento ablativo non determina, di per sè, un mutamento dell'"animus rem sibi habendi"
in "animus detinendi" in capo al soggetto espropriato, il quale, pertanto, può del tutto
legittimamente invocare, nel concorso delle condizioni di legge, il compimento in suo favore
dell'usucapione (a ciò non ostando, tra l'altro, il disposto della L. n. 2359 del 1865, artt. 52 e 63)
tutte le volte in cui alla dichiarazione di pubblica utilità non siano seguiti ne' l'immissione in
possesso, ne' l'attuazione del previsto intervento urbanistico da parte dell'espropriante, del tutto
irrilevante appalesandosi, ai fini "de quibus", l'acquisita consapevolezza dell'esistenza dell'altrui
diritto dominicale. Un diverso e più recente indirizzo (al quale si è ispirato la Corte di appello di
Roma nella sentenza impugnata) della giurisprudenza di questa Corte (v. Cass., sez. 1, 11 giugno
2007, n. 13669) ha, invece, stabilito che il decreto di espropriazione è idoneo a far acquisire la
proprietà piena del bene, e ad escludere qualsiasi situazione, di diritto o di fatto con essa
incompatibile, e qualora il precedente proprietario, o un soggetto diverso, continui ad esercitare
sulla cosa attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, la notifica del decreto ne
dovrebbe comportare la perdita dell'"animus possidendi", conseguendone che, ai fini della
configurabilità di un nuovo possesso ad "usucapionem", sarebbe necessario un atto di "interversio
possessionis". In altri termini, secondo questo successivo orientamento, si dovrebbe sostenere che il
soggetto, il quale si trovi nella relazione con il bene al momento in cui gli viene notificato il decreto
di espropriazione per p.u., non potrebbe non acquisire la consapevolezza dell'alienità dello stesso e
della impossibilità di farne uso come proprio, anche se, provvisoriamente, dovesse restare nella
sua disponibilità materiale. Pertanto, la configurabilità di un nuovo periodo possessorio,
invocabile "ad usucapionem", a favore di chi rimanga nel rapporto materiale con il bene, dovrebbe
essere necessariamente rimesso ad un esplicito atto di "interversio possessionis", di cui il
proprietario sia messo a conoscenza. Ad avviso del collegio quest'ultimo orientamento non appare
convincente, emergendo, invece, più solide ragioni che lasciano propendere per l'adesione al
precedente indirizzo giurisprudenziale. Nella situazione in questione - ovvero in quella in cui, dopo
l'emissione del decreto di espropriazione per p.u., non sia stato dato seguito ad alcun atto di
concreta immissione in possesso da parte dell'ente espropriante, rimanendo il bene oggetto di
ablazione nella disponibilità materiale del precedente soggetto (come verificatosi - pacificamente proprio nel caso di specie) - occorre distinguere gli effetti traslativi del diritto di proprietà
conseguenti all'emissione del decreto di espropriazione dall'acquisto del possesso del bene
espropriato, rilevandosi che, in presenza di una procedura di espropriazione per pubblica utilità,
l'interruzione del possesso del bene espropriato (che sarebbe, diversamente, nel concorso delle
altre condizioni di legge, idoneo all'acquisto per usucapione) può derivare soltanto da una
situazione di fatto che ne impedisca materialmente l'esercizio (v., in proposito, anche Cass., sez. 2,
6 giugno 1983, n. 3836). In altri termini, dunque, tra gli effetti automatici di un decreto di
esproprio per pubblica utilità non possono ricomprendersi ne' il venir meno del possesso del bene
da parte del soggetto espropriato o di un terzo ne' il mutamento in detenzione dell'eventuale
protrazione del godimento del bene stesso da parte di costoro, occorrendo, al riguardo, che
23
l'espropriante ponga in essere un atto di immissione nel possesso del bene. Ciò sta a significare che
se, per un verso, l'effetto traslativo non è impedito dalla conservazione del possesso da parte
dell'espropriato, per altro verso, esso non è di ostacolo a che vi sia il possesso del bene espropriato
(anche) da parte di un terzo. Anche la dottrina più acuta è concorde con questo orientamento,
rilevando che la circostanza in base alla quale l'emanazione del decreto di espropriazione non
implichi, di per sè, l'estinzione anche dei rapporti di fatto tra l'espropriato ed il bene trovava un
addentellato normativo nella legge fondamentale sull'espropriazione per pubblica utilità n. 2359
del 25 giugno 1865 ("ratione temporis" applicabile nella fattispecie), la quale, all'art. 48 (come
modificato con la L. 20 marzo 1968, n. 391), scindeva i due momenti della perdita del diritto di
proprietà, mediante la pronuncia di esproprio, e dell'acquisizione del possesso, attraverso
l'occupazione, che veniva autorizzata dal Prefetto, a seguito del decreto di esproprio. Peraltro,
bisogna considerare che nessuna norma della predetta L. n. 2359 del 1865 menzionava il possesso
come situazione su cui il procedimento espropriativo potesse in qualche modo incidere. Infatti,
l'art. 52 della stessa legge, nella sezione relativa agli effetti dell'espropriazione riguardo ai terzi,
prevedeva la possibilità dell'esperimento di azioni reali, quali l'azione di rivendicazione, di
usufrutto, di ipoteca, di diretto dominio, ma mancava un apposito riferimento alle azioni a tutela
del possesso. A sua volta, l'art. 53 della medesima legge contemplava la trascrizione sia del decreto
che autorizzava l'occupazione sia di quello che ne pronunciava l'espropriazione, ai soli fini della
opponibilità ai terzi, con la conseguenza che i diritti dei terzi sarebbero rimasti salvi ove non fosse
stata effettuata la trascrizione. Inoltre, anche gli articoli sulla retrocessione del bene agli
espropriati si riferivano alla possibilità di riottenere la titolarità del diritto di proprietà, qualora il
bene non fosse stato, in tutto o in parte, utilizzato, senza, però, che fosse presente una precisa
disposizione per l'eventuale recupero del possesso. In sintesi, dunque, deve ritenersi che il decreto
di esproprio, non seguito da alcun atto della P.A. espropriante di materiale di apprensione del bene
costituentene l'oggetto, non è idoneo, di per sè, a determinare l'estinzione delle situazioni di fatto
sul bene e, quindi, in caso di comprovato possesso ultraventennale esercitato da un privato secondo
i requisiti oggettivi e soggettivi ricondotti univocamente all'interpretazione dell'art. 1158 c.c., è
possibile anche l'acquisto in suo favore del corrispondente diritto reale per usucapione.
Del resto, come osservato perspicacemente in dottrina, se - ad avviso della concorde
giurisprudenza (v., ad es., Cass. n. 3153 del 1998; Cass. n. 19294 del 2006 e Cass. n. 17570 del
2008) - si riconosce alla P.A. la possibilità di usucapire la proprietà del bene occupato "sine
titulo", realizzando sullo stesso l'opera pubblica, e si ritiene che cessino, in suo favore, sia la tutela
reale che risarcitoria da parte del privato espropriato, per un'applicazione specularmente
contrapposta dello stesso principio sarebbe legittimo riconoscere al privato che continui a
possedere il bene, nell'inerzia totale della P.A. espropriante a seguito dell'emissione del decreto di
esproprio e nel concorso delle condizioni previste dall'art. 1158 c.c., usucapirlo, in tal senso
attuando la generale esigenza dell'ordinamento di soddisfare l'interesse all'adeguamento della
situazione di fatto a quella di diritto (che viene soventemente invocata proprio a vantaggio della
P.A.). 10. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte ed in virtù dei presupposti di
fatto accertati dalla Corte di merito (relativamente alla mancata apprensione del bene da parte del
Comune di Roma a seguito dell'emissione del decreto di espropriazione e fatta salva la valutazione
di tutte le condizioni stabilite dal citato art. 1158 c.c.), deve essere accolto il secondo motivo
dedotto con il ricorso principale, al quale consegue - previa declaratoria di assorbimento degli
altri motivi dello stesso ricorso nonché del motivo dedotto con il ricorso incidentale - la cassazione
della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Roma,
che si conformerà (con riferimento alla denunciata violazione di legge) al seguente principio di
diritto: "ai fini della possibile configurazione di un possesso "ad usucapionem", il trasferimento
coattivo di un bene non integra necessariamente, di per sè, gli estremi del "constitutum
possessorium", poiché - con particolare riguardo ai trasferimenti coattivi conseguenti ad
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espropriazione per pubblica utilità - il diritto di proprietà si trasferisce in capo all'ente
espropriante contro la volontà dell'espropriato/possessore, senza che nessun accordo intervenga
fra questi e lo stesso espropriante, ne' in relazione alla proprietà ne' in relazione al possesso; ne
consegue che il provvedimento ablativo non determina, di per sè, un mutamento dell'"animus rem
sibi habendi" in "animus detinendi" in capo al soggetto espropriato, il quale, pertanto, può del tutto
legittimamente invocare, nel concorso delle condizioni di legge, il compimento in suo favore
dell'usucapione qualora alla dichiarazione di pubblica utilità non siano seguiti ne' l'immissione in
possesso, ne' l'attuazione del previsto intervento urbanistico da parte dell'espropriante, rimanendo
del tutto irrilevante, a tale scopo, l'acquisita consapevolezza dell'esistenza dell'altrui diritto
dominicale".(…)
Sez. 2, Sentenza n. 25245 del 08/11/2013 (Rv. 628796)
Presidente: Oddo M. Estensore: Proto CA.
POSSESSO - ELEMENTI COSTITUTIVI - "ANIMUS POSSIDENDI" (ELEMENTO
PSICOLOGICO) - IN GENERE - "Animus rem sibi habendi" - Nozione - Dichiarazione rivolta ad
un terzo relativa alla proprietà del titolare - Incompatibilità con il possesso "ad usucapionem" Esclusione.
L'usucapione richiede solo il possesso, inteso come esercizio di un potere di fatto sulla cosa con la
volontà di esercitarlo alla stregua di un proprietario, e non è, quindi, incompatibile con la
conoscenza del diritto altrui né con una dichiarazione rivolta ad un terzo relativa al titolo di
proprietà del titolare formale intestatario.
Sez. 2, Sentenza n. 26641 del 28/11/2013 (Rv. 628547)
Presidente: Bursese GA. Estensore: Migliucci E.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - REQUISITI DEL POSSESSO (LEGITTIMO) "ANIMUS POSSIDENDI" (O "DOMINI") - Consapevolezza del possessore circa l'altrui titolarità
del diritto reale - Sufficienza per negare la "possessio ad usucapionem" - Esclusione - Fondamento.
Per escludere la sussistenza del possesso utile all'usucapione non è sufficiente il riconoscimento o la
consapevolezza del possessore circa l'altrui proprietà del bene, occorrendo, invece, che il
possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per i fatti in cui essa è implicita,
esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l'"animus
possidendi" non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensì nell'intenzione di
comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà.
Sez. 2, Sentenza n. 24170 del 25/10/2013 (Rv. 628235)
Presidente: Goldoni U. Estensore: Migliucci E.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - DI BENI IMMOBILI E DIRITTI REALI
IMMOBILIARI - DECENNALE - IN GENERE - Usucapione decennale di servitù apparente Presupposti - Titolo astrattamente idoneo a costituire la servitù - Necessità - Consistenza.
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L'acquisto della servitù apparente per usucapione decennale presuppone la sussistenza di un atto a
titolo particolare astrattamente idoneo ad attuare il "trasferimento" del diritto che si assume
usucapito, e tale atto deve consistere in un titolo col quale il soggetto, che si qualifichi - senza
esserlo - proprietario del "fondo servente", abbia costituito una servitù in favore del "fondo
dominante", il cui titolare vanti, poi, l'acquisto della servitù per usucapione.
Sez. 2, Sentenza n. 22989 del 09/10/2013 (Rv. 628006)
Presidente: Triola RM. Estensore: Nuzzo L.
SERVITÙ - PREDIALI - SERVITÙ COATTIVE - PASSAGGIO COATTIVO - CONDIZIONI INTERCLUSIONE - IN GENERE - Cessazione dell'interclusione - Estinzione automatica della
servitù - Esclusione - Domanda del soggetto interessato - Necessità - Eccezione di estinzione della
servitù per paralizzare la "actio confessoria" - Sufficienza - Esclusione.
Il venir meno della interclusione del fondo dominante, cioè della situazione che aveva determinato
la costituzione della servitù coattiva di passaggio, non comporta l'estinzione di questa in modo
automatico, neanche nel caso in cui la servitù sia stata costituita convenzionalmente, ma richiede
una domanda del soggetto interessato, non essendo sufficiente una semplice eccezione di estinzione
della servitù (come avvenuto nella specie) per paralizzare la "actio confessoria" diretta
all'accertamento della sussistenza e difesa di una servitù coattiva.
Sez. 2, Sentenza n. 21387 del 18/09/2013 (Rv. 627909)
Presidente: Goldoni U. Estensore: Falaschi M.
POSSESSO - BUONA O MALA FEDE - PRESUNZIONE DI BUONA FEDE - Possesso - Buona
fede - Presunzione "iuris tantum" - Prova contraria mediante presunzioni o indizi - Ammissibilità Fattispecie.
In materia di possesso, la buona fede costituisce oggetto di presunzione "iuris tantum", che può
essere superata anche attraverso presunzioni contrarie e semplici indizi. (Nella specie, in
applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva
ritenuto che la presunzione iniziale di buona fede fosse venuta meno dal momento in cui i
possessori di un fondo, non compreso nel titolo di acquisto da loro vantato, avevano ricevuto una
lettera di intimazione al rilascio del bene).
Sez. 2, Sentenza n. 18353 del 31/07/2013 (Rv. 627365)
Presidente: Bursese GA. Estensore: Scalisi A.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - INTERRUZIONE E SOSPENSIONE - IN GENERE Interruzione del possesso "ad usucapionem" - Azione di reintegra - Idoneità - Rigetto per tardività Irrilevanza - Fondamento.
L'azione di reintegrazione è idonea ad interrompere il possesso "ad usucapionem", anche qualora
venga respinta per tardività, atteso che, per l'effetto interruttivo, non rileva l'esito dell'azione, ma la
volontà di riacquistare il possesso mediante un atto valido ad instaurare il giudizio.
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Sez. 2, Sentenza n. 17881 del 23/07/2013 (Rv. 627345)
Presidente: Bursese GA. Estensore: Matera L.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - VIZI DEL POSSESSO - CLANDESTINITÀ - Possesso
"ad usucapionem" - Requisiti - Mancanza di clandestinità - Acquisto ed esercizio del possesso
pubblicamente visibile - Necessità - Conoscenza solo da parte del precedente possessore o di una
limitata cerchia di persone - Irrilevanza - Fattispecie.
Ai fini dell'usucapione, il requisito della non clandestinità va riferito non agli espedienti che il
possessore potrebbe attuare per apparire proprietario, ma al fatto che il possesso sia stato acquistato
ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile a tutti o almeno ad un'apprezzabile ed indistinta
generalità di soggetti e non solo dal precedente possessore o da una limitata cerchia di persone che
abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare
rapporto con quest'ultimo. (Nella specie, relativa alla pretesa usucapione di un lastrico solare a
seguito della realizzazione di alcuni lucernari, la corte territoriale aveva rigettato la domanda in
quanto il lastrico di copertura non era visibile dalla pubblica via e ad esso si accedeva attraverso una
scala stretta e chiusa da una porticina molto nascosta, restando i lucernari - che, in ogni caso,
occupavano solo una porzione del lastrico - celati alla vista da un muretto; la S.C., in applicazione
del principio di cui alla massima, ha rigettato il ricorso).
Sez. 2, Sentenza n. 18215 del 29/07/2013 (Rv. 627301)
Presidente: Bursese GA. Estensore: Scalisi A.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - DI BENI IMMOBILI E DIRITTI REALI
IMMOBILIARI - IN GENERE - "Corpus possessionis" e "animus possidendi" - Onere probatorio
di chi invoca l'usucapione - Sussistenza - Assolvimento - Prova della coltivazione del fondo Sufficienza - Esclusione - Fondamento.
Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione - il cui onere grava su chi invoca la
fattispecie acquisitiva - la coltivazione del fondo non è sufficiente, in quanto, di per sé, non esprime,
in modo inequivocabile, l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività
materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da indizi, i quali
consentano di presumere che essa è svolta "uti dominus".
Sez. 2, Sentenza n. 18216 del 29/07/2013 (Rv. 627300)
Presidente: Bursese GA. Estensore: Scalisi A.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - MANUTENZIONE - LEGITTIMAZIONE PASSIVA - AUTORI MATERIALI E MORALI - Autore morale della turbativa - Configurabilità Condizioni - Consapevolezza del vantaggio ricevuto - Necessità.
In tema di azione di manutenzione del possesso, affinché un soggetto possa qualificarsi come autore
morale della turbativa, occorre che egli, pur non avendo autorizzato la condotta illecita, ne abbia
tratto vantaggio (criterio del "cui prodest") e che sia consapevole dell'illiceità dell'atto di molestia
compiuto da terzi.
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Sez. 2, Sentenza n. 15710 del 21/06/2013 (Rv. 626983)
Presidente: Felicetti F. Estensore: Carrato A.
PROCEDIMENTI CAUTELARI - AZIONI DI NUNCIAZIONE - PROCEDIMENTO ARTICOLAZIONI DUE FASI - Denunzia di nuova opera - Legittimazione passiva - Spettanza
nelle due fasi del procedimento.
La legittimazione passiva all'azione di denuncia di nuova opera, ex art. 1171 cod. civ., spetta, nella
prima fase cautelare, all'esecutore materiale dell'opera ed al committente, mentre nella seconda fase
spetta, ove si fondi su ragioni petitorie, al proprietario o al titolare di altro diritto reale, non essendo
quindi estensibile a terzi legati da vincolo contrattuale con questi ultimi.
Sez. 2, Sentenza n. 14115 del 04/06/2013 (Rv. 626606)
Presidente: Oddo M. Estensore: Carrato A.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - IN GENERE - Possesso idoneo ad usucapire Acquisizione a seguito di atto traslativo di immobile nullo perché privo della forma scritta Ammissibilità - Fondamento.
Ai fini dell'usucapione, il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di atto traslativo
della proprietà che sia nullo, in quanto, anche dopo l'invalido trasferimento della proprietà,
l'"accipiens" può possedere il bene "animo domini", ed anzi proprio la circostanza che la "traditio"
sia stata eseguita in virtù di un contratto che, pur invalido (perché non concluso nella necessaria
forma scritta), era comunque volto a trasferire la proprietà del bene costituisce elemento idoneo a
far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l'"accipiens" e la "res tradita" sia sorretto
dall'"animus rem sibi habendi".
STRALCIO MOTIVAZIONE:
(…) In primo luogo occorre porre in risalto che appare del tutto inconferente l'applicazione,
operata dalla Corte territoriale, ad un contratto traslativo nullo per difetto di forma delle regole
disciplinanti un valido contratto preliminare improprio con effetti anticipati, oggetto della
decisione adottata dalle Sezioni unite di questa Corte con la richiamata sentenza n. 7930 del 2008,
dal momento che, nella fattispecie dedotta in giudizio, si versava - pacificamente - nel caso di un
contratto di vendita di un immobile nullo perché non concluso in forma scritta, malgrado fosse
intervenuto il pagamento del prezzo. Pertanto, la Corte abruzzese non avrebbe potuto estendere ad
un negozio nullo di compravendita la disciplina di un contratto valido e di diversa natura,
ricorrendo all'argomento (valorizzato "a fortiori") in base al quale, se si fosse dovuto considerare
mero detentore colui che consegua la consegna di un bene immobile in virtù di un valido contratto
preliminare di vendita, si sarebbe dovuto escludere, a maggior ragione, che potesse essere
qualificato possessore colui che riceva la consegna di un bene della stessa natura sulla base di una
mera convenzione verbale, affetta da nullità assoluta (per violazione dell'art. 1351 c.c.), che non
avrebbe potuto produrre neppure gli effetti obbligatori propri di un contratto preliminare. Così
argomentando (e riconducendo la situazione riconoscibile in capo alla ricorrente a quella di una
mera detentrice), la Corte di secondo grado - così come idoneamente prospettato con il secondo ed
il terzo motivo del ricorso della De Matteis - ha trascurato il rilevante principio secondo cui il
possesso può trovare la sua fonte anche in un atto nullo, poiché la circostanza che la "traditio"
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venga eseguita in virtù di un contratto che, pur invalido, risulta comunque diretto a trasferire la
proprietà del bene, costituisce elemento idoneo a poter far ritenere che il rapporto instauratosi tra
l'"accipiens" e la "res tradita" sia sorretto dall'"animus rem sibi habendi" (cfr. Cass. n. 815 del
1999 e Cass. n. 14395 del 2004), valorizzandosi anche l'operatività della presunzione prevista
dall'art. 1141 c.c., comma 1, che riconosce - ove non sia offerta una prova contraria sull'inizio
dell'esercizio della relazione di fatto a titolo di detenzione - l'applicabilità, per l'appunto, della
presunzione della sussistenza del possesso in capo a colui che esercita il potere di fatto sul bene. In
tal senso, perciò, la Corte aquilana ha disatteso l'orientamento costante della giurisprudenza di
questa Corte (v. Cass. n. 15755 del 2001; Cass. n. 15145 del 2004 e, da ultimo, Cass. n. 14092 del
2010), alla stregua del quale chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene,
affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta
fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del "corpus", ma anche dell"animus"; quest'ultimo
elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato
svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il
convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata
conseguita dall'attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale.
Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti
di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso
idoneo all'usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico
del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad
effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l'animus
possidendi nell'indicato soggetto. Di conseguenza, la Corte territoriale è incorsa nelle violazioni di
legge denunciate con i primi tre motivi avendo escluso la configurabilità di un possesso idoneo
all'usucapione ogni volta che il rapporto sottostante riconducibile ad una convenzione nulla sia
affetto da invalidità, obliterando la considerazione essenziale che il possesso si connota come una
situazione di fatto che prescinde dall'esistenza del titolo ovvero dalla ragione giustificativa del
diritto, estendendo, peraltro inappropriatamente, al caso sottoposto al suo esame il principio
stabilito con la sentenza n. 7930 del 2008 delle Sezioni unite, relativo alla diversa fattispecie in cui
ci si trova in presenza di un contratto preliminare provvisto della forma scritta (a fronte del quale il
promissario acquirente non aveva saldato il prezzo) e con la contestuale manifestazione del
consenso alla consegna anticipata del bene rispetto al momento della stipula del contratto
definitivo. Inoltre, il giudice di appello ha omesso di motivare sull'animus che sorreggeva il
rapporto di fatto fra la De Matteis ed il locale per il cui trasferimento aveva corrisposto il prezzo e
ricevuto la disponibilità, oltre che sull'eventuale superamento della richiamata presunzione
contemplata dall'art. 1141 c.c., comma 1. In sostanza, in linea con la giurisprudenza richiamata
dalla ricorrente, deve affermarsi che l'invalidità della vendita effettuata verbalmente in suo favore
non poteva impedire "a priori" l'insorgenza del possesso in capo alla stessa, anche alla stregua
delle risultanze probatorie valorizzate dalla stessa Corte di appello (come - v. pag. 6 della sentenza
impugnata - l'avvenuto pagamento nel 1979 del prezzo pattuito per la vendita, debitamente
documentato dai bonifici ritualmente prodotti agli atti, la ricevuta consegna contestuale del locale
destinato, poi, a negozio, la compartecipazione della medesima al pagamento degli oneri
condominiali, l'avvenuto pagamento delle utenze e l'esecuzione di opere di ordinaria e
straordinaria manutenzione sull'immobile), che, invece, non sono state valutate a tal fine (e, del
resto, avrebbe dovuto essere la controparte a dimostrare che la disponibilità del bene da parte
della De Matteis era stata conseguita solo a titolo personale), ma solo in funzione dell'intervenuta
configurazione o meno dell'interversione del possesso. Inoltre, in accoglimento anche del quinto
motivo formulato nell'interesse della De Matteis, deve porsi in risalto come la Corte territoriale,
nel ritenere apoditticamente che non sarebbe stato neppure possibile verificare se fosse trascorso il
termine ventennale richiesto dalla legge ai fini dell'acquisto per l'usucapione, abbia omesso di
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motivare anche sulla decisiva circostanza sul perché non si fosse dovuto tener conto, in funzione
del computo di detto periodo, anche dell'intervallo temporale decorso tra il gennaio 1979 (in cui
avvenne la consegna delle chiavi e del locale in favore della ricorrente, a fronte del pagamento del
prezzo e senza che avesse rilievo la circostanza che l'alienazione non fosse stata conclusa per
iscritto) ed il novembre 1981, allorquando intervenne la stipula del rogito notarile di
compravendita tra la s.r.l. C.E.R. e la Masciarelli (che, poi, ha intrapreso la causa di rilascio
dell'immobile nei confronti della De Matteis con la notificazione dell'atto di citazione solo in data
26 ottobre 2011) e senza considerare come l'inerzia nell'esercizio dell'iniziativa giudiziaria da
parte della controricorrente per un lasso temporale così rilevante fosse incompatibile con un
atteggiamento di mera tolleranza. Al riguardo si ricorda (cfr., da ultimo, Cass. 3404 del 2009 e
Cass. n. 17339 del 2009), infatti, che, in materia di acquisto per usucapione di diritti reali
immobiliari, poiché l'uso prolungato nel tempo di un bene non è normalmente compatibile con la
mera tolleranza, essendo quest'ultima configurabile, di regola, nei casi di transitorietà ed
occasionalità, in presenza di un esercizio sistematico e reiterato di un potere di fatto sulla cosa,
spetta a chi lo abbia subito l'onere di dimostrare che lo stesso è stato dovuto a mera tolleranza. 14.
In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, devono trovare
congiuntamente accoglimento i primi tre motivi del ricorso ed il quinto (tra loro strettamente
coordinati), con il conseguente assorbimento delle altre censure ed il rinvio della causa alla Corte
di appello di Roma che, nel rivalutare gli elementi (relativi alle doglianze ritenute fondate) in
ordine ai quali la motivazione della Corte aquilana è stata considerata carente e contraddittoria, si
uniformerà all'evidenziato principio di diritto, con riferimento alle violazioni di legge riscontrate,
secondo cui, ai fini dell'usucapione, il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di
atto traslativo della proprietà che sia nullo, in quanto, anche dopo l'invalido trasferimento della
proprietà, l'"accipiens" può possedere il bene "animo domini", ed anzi, proprio la circostanza che
la "traditio" sia stata eseguita in virtù di un contratto che, pur invalido (perché non concluso nella
necessaria forma scritta), era comunque volto a trasferire la proprietà del bene, costituisce
elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l'"accipiens " e la "res
tradita" fosse sorretto dall'"animus rem sibi habendi".(…)
Sez. 2, Sentenza n. 2728 del 05/02/2013 (Rv. 624874)
Presidente: Oddo M. Estensore: Nuzzo L.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO - IN
GENERE - Esenzione di un'opera autorizzata dallo "spoliatus" - Successivo utilizzo a scopo di
illecito impossessamento - Eliminazione dell'opera - Necessità ai fini della reintegra - Sussistenza Fondamento - Fattispecie.
L'esecuzione di un'opera cui l'autore dello spoglio era stato inizialmente autorizzato dalla persona
che ha subìto lo spoglio, affinché potesse rendere in favore di quest'ultima una prestazione
personale, ma, in concreto, da lui utilizzata al fine di un abusivo impossessamento del bene, rientra
nella condotta attuativa dello spoglio, sicché il ripristino della situazione di fatto preesistente alla
condotta spoliatrice richiede l'eliminazione dell'opera che, quale mezzo strettamente connesso alla
realizzazione dell'impossessamento, deve ritenersi non più autorizzata. (Nel caso di specie, il
possessore aveva acconsentito all'apertura di un varco di accesso nel proprio orto-giardino al solo
fine di agevolare l'adempimento in suo favore di obblighi assistenziali, e non anche per consentire
la presa di possesso dell'orto da parte dei soggetti autorizzati ad accedervi; la S.C., nel cassare la
decisione di merito, ha è ritenuto che l'ordine giudiziale di murare il varco costituisce misura
necessaria alla reintegrazione).
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Sez. 2, Sentenza n. 950 del 16/01/2013 (Rv. 624970)
Presidente: Felicetti F. Estensore: Parziale I.
PROCEDIMENTI CAUTELARI - AZIONI DI NUNCIAZIONE - PROCEDIMENTO CONTRAVVENZIONE AL DECRETO DEL GIUDICE - Contravvenzione al divieto del giudice
ex art. 691 cod. proc. civ. - Applicabilità in tema di procedimenti possessori - Esclusione Fondamento.
L'art. 691 cod. proc. civ., in tema di inosservanza del provvedimento del giudice, riguarda la sola
disciplina dei procedimenti di denuncia di nuova opera e di danno temuto, e non è pertanto
applicabile in ipotesi di mancata esecuzione di un'ordinanza di reintegrazione nel possesso,
richiamandosi, per i procedimenti possessori, le norme di cui agli artt. 669-bis e segg. cod. proc.
civ. nei limiti della compatibilità.
Sez. 2, Sentenza n. 1494 del 22/01/2013 (Rv. 624980)
Presidente: Felicetti F. Estensore: Scalisi A.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO ATTO DI SPOGLIO - IN GENERE (NOZIONE, DISTINZIONI, DIFFERENZE TRA SPOGLIO E
TURBATIVA) - Privazione parziale del possesso mediante restrizione o riduzione delle facoltà di
esercizio - Spoglio - Configurabilità - Fattispecie relativa a scarico fognario.
In tema di azioni possessorie, integra gli estremi di uno spoglio, e non quelli di una semplice
molestia, la privazione anche soltanto parziale del possesso, la quale può manifestarsi con un atto
che restringa o riduca le facoltà inerenti il potere esercitato sull'intera cosa, oppure diminuisca o
renda meno comodo l'esercizio del possesso medesimo, come nell'ipotesi di eliminazione di una
conduttura e di procurata inutilizzabilità di una fossa biologica, facente parte di una fognatura, tale
da incidere negativamente sulla possibilità di esercizio di una servitù di scarico.
Sez. 2, Sentenza n. 1494 del 22/01/2013 (Rv. 624979)
Presidente: Felicetti F. Estensore: Scalisi A.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - AZIONI POSSESSORIE - TERMINE
UTILE - Spoglio posto in essere con riguardo a cosa composta - Termine per proporre l'azione
possessoria - Decorrenza unitaria, indipendente dal possesso dei singoli elementi componenti della
cosa - Necessità - Fattispecie.
Ai fini della tempestività dell'azione di reintegrazione entro l'anno dal sofferto spoglio e della
correlata individuazione dell'oggetto del possesso di una servitù di scarico fognario, non può tenersi
distinta dal restante impianto la fossa biologica, la quale, avendo la funzione di raccogliere le acque
piovane e quelle provenienti dai servizi igienici, non è dissociabile dalla rete dei canali e fa parte di
un bene composto (cd. fognatura), nel quale la pluralità dei componenti, per effetto della
connessione fisica e funzionale, assume una nuova individualità, perdendo quella propria. (In
applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva
dichiarato la decadenza dei ricorrenti dall'azione di reintegrazione per decorso del termine annuale,
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avendo riguardo all'epoca dell'interruzione di uno scarico compreso nell'intero sistema fognario, e
non all'autonomo possesso di una fossa biologica e del relativo alloggiamento).
Sez. 2, Sentenza n. 3979 del 18/02/2013 (Rv. 625272)
Presidente: Goldoni U. Estensore: Nuzzo L.
PROPRIETÀ - LIMITAZIONI LEGALI DELLA PROPRIETÀ - RAPPORTI DI VICINATO DISTANZE LEGALI - NELLE COSTRUZIONI - IN GENERE - Mantenimento di una costruzione
a distanza inferiore a quella legale - Acquisto della relativa servitù per usucapione - Ammissibilità Abusività della costruzione - Rilevanza - Esclusione - Fondamento.
È ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una
costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti
urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione
edilizia esaurisce la sua rilevanza nell'ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti
del possesso "ad usucapionem".
Sez. 2, Sentenza n. 5037 del 28/02/2013 (Rv. 625313)
Presidente: Oddo M. Estensore: Manna F.
POSSESSO - ACQUISTO - MUTAMENTO DELLA DETENZIONE IN POSSESSO - IN
GENERE - Interversione mediante opposizione al possessore - Riferibilità a soggetto privo di
detenzione - Esclusione - Fondamento - Conseguenze in ordine ad impossessamento successivo a
richiesta di concessione in godimento del bene.
L'art. 1141, secondo comma, cod. civ., nello stabilire che il detentore può acquistare il possesso
mediante un atto di opposizione da lui compiuto contro il possessore, si riferisce al detentore in
senso proprio o qualificato, giacché l'opposizione al possessore, quale tecnica d'interversione del
possesso, presuppone una detenzione originaria fondata su un titolo derivante dallo stesso
possessore. Pertanto, nel caso di chi non detenga il bene o non ne sia detentore qualificato, il
riconoscimento del diritto di proprietà alieno, che egli manifesti attraverso una richiesta, rivolta al
proprietario e rimasta senza esito, di ottenere la concessione del bene in godimento, segna il
momento fino al quale è senz'altro da escludere l'"animus possidendi", ma non toglie che
successivamente lo stesso soggetto possa impossessarsi della "res" attraverso atti di apprensione
che, per l'assenza di una pregressa detenzione derivata dal possessore, determinano la presunzione
di possesso di cui al primo comma dell'art. 1141 cod. civ.
Sez. 2, Sentenza n. 6371 del 13/03/2013 (Rv. 625712)
Presidente: Triola RM. Estensore: Proto CA.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - IN GENERE - Atto di divisione - Prova del possesso
esclusivo ed insorgenza della presunzione di possesso intermedio - Inidoneità - Fondamento.
In tema di usucapione, non è idoneo a dare la prova del possesso esclusivo della cosa, né a far
insorgere la presunzione di possesso intermedio, di cui all'art. 1142 cod. civ., l'atto di divisione di
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un bene comune, giacché esso, di per sé, non attribuisce all'assegnatario una situazione di fatto
corrispondente al possesso esclusivo di quanto assegnato.
Sez. 2, Sentenza n. 9633 del 19/04/2013 (Rv. 625819)
Presidente: Piccialli L. Estensore: D'Ascola P.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - IN GENERE - Comunione ereditaria - Usucapione da
parte del coerede della quota degli altri eredi - Ammissibilità - Condizioni - Maturazione
dell'acquisto per usucapione prima dell'operata divisione negoziale dell'asse - Necessità Fondamento.
Il coerede che, dopo la morte del "de cuius", sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può
usucapire la quota degli altri eredi, purché il tempo necessario al verificarsi di detto acquisto risulti
già decorso prima del momento in cui sia intervenuta la divisione negoziale dell'asse con gli altri
comunisti, comportando tale atto un riconoscimento inequivocabile e formale della comproprietà,
incompatibile, pertanto, con la pretesa di essere divenuto proprietario esclusivo del compendio
assegnato.
Sez. 2, Sentenza n. 10894 del 08/05/2013 (Rv. 625982)
Presidente: Goldoni U. Estensore: Nuzzo L.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - REQUISITI DEL POSSESSO (LEGITTIMO) - IN
GENERE - Uso di un'area altrui ricoperta di ghiaia come parcheggio e spazio di manovra Possesso "ad usucapionem" - Configurabilità - Esclusione - Fondamento.
Non è configurabile quale possesso "ad usucapionem" il comportamento consistente nell'uso di una
striscia di terreno ricoperta di ghiaia come parcheggio e spazio di manovra, non essendo detta
condotta di per sé espressione di un'attività materiale incompatibile con l'altrui diritto di proprietà e
non avendo la relativa esteriorizzazione la valenza inequivoca di una signoria di fatto sul bene, in
quanto la copertura dell'area con ghiaia non integra un'opera permanente di trasformazione, idonea
a precludere la potestà dominicale del proprietario, mentre l'utilizzo a scopo di parcheggio può
risultare transitoriamente consentito per mera tolleranza.
Sez. 2, Sentenza n. 7214 del 21/03/2013 (Rv. 626080)
Presidente: Bursese GA. Estensore: Giusti A.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO LEGITTIMAZIONE - ATTIVA - DETENTORE - Convivente "more uxorio" - Detenzione della
casa di abitazione comune in proprietà dell'altro convivente - Qualificazione - Conseguenza Legittimazione ad agire per spoglio nei confronti del "partner" - Sussistenza.
La convivenza "more uxorio", quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio
familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in
comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello
derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione
qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare. Ne consegue che l'estromissione
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violenta o clandestina dall'unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del
convivente non proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di
esperire l'azione di spoglio.
STRALCIO MOTIVAZIONE:
(…)Nella giurisprudenza di questa Corte è stato più volte affermato il principio secondo cui il solo
fatto della convivenza, anche se determinata da rapporti intimi, non pone di per sé in essere nelle
persone che convivono con chi possiede il bene un potere sulla cosa che possa essere configurato
come possesso autonomo sullo stesso bene o come una sorta di compossesso (Sez. 2^, 2 ottobre
1974, n. 2555; Sez. 2^, 14 giugno 2001, n. 8047). In questa prospettiva, il consolidamento della
relazione tra i conviventi non darebbe luogo, in capo al soggetto non proprietario dell'immobile, ad
una situazione tutelabile con l'azione di spoglio. Il convivente non proprietario sarebbe relegato
nell'indifesa posizione dell'ospite, del tollerato o del detentore per ragioni di servizio.
Non mancano, tuttavia, pronunce di segno diverso. Da un lato, infatti, ma in relazione a "persone
legate da rapporti di parentela o di affinità e conviventi", si è osservato che "un rapporto di
condetenzione tutelabile con l'azione di spoglio anche nei riguardi del condetentore titolare del
rapporto di locazione non si può escludere" (Sez. 2^, 7 ottobre 1971, n. 2753); dall'altro, nel
negarsi la rilevanza della disponibilità della rea in capo al convivente more uxorio ai fini
dell'usucapione, si è tuttavia sottolineato (Sez. 2^, 14 giugno 2012, n. 9786) che al convivente che
goda con il partner possessore iure proprietatis del medesimo bene va riconosciuta una posizione
"riconducibile alla detenzione autonoma (qualificata dalla stabilità della relazione familiare e
protetta dal rilievo che l'ordinamento a questa riconosce)". 2.3. - Il Collegio intende porsi in
continuità con l'indirizzo espresso dalla sentenza da ultimo citata. La convivenza more uxorio
determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un
potere di fatto basato su un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera
ospitalità; conseguentemente, l'estromissione violenta o clandestina del convivente dall'unità
abitativa, compiuta dal partner, giustifica il ricorso alla tutela possessoria, consentendogli di
esperire l'azione di spoglio nei confronti dell'altro quand'anche il primo non vanti un diritto di
proprietà sull'immobile che, durante la convivenza, sia stato nella disponibilità di entrambi. La tesi
secondo cui la relazione di fatto del convivente sarebbe un mero strumento del possesso o della
detenzione di altro soggetto, paragonabile a quella dell'ospite o del tollerato, è contraria alla
rilevanza giuridica e alla dignità stessa del rapporto di convivenza di fatto, la quale - con il
reciproco rispettivo riconoscimento di diritti del partner, che si viene progressivamente
consolidando nel tempo, e con la concretezza di una condotta spontaneamente attuata - da vita,
anch'essa, ad un autentico consorzio familiare, investito di funzioni promozionali. Pur mancando
una legge organica sulla convivenza non fondata sul matrimonio, il legislatore nazionale non ha
mancato di disciplinare, e con accresciuta intensità in tempi recenti, settori di specifica rilevanza
della stessa, anche al di là della filiazione (dove l'eliminazione di ogni residua discriminazione tra i
figli è stata sancita, nel rispetto dell'art. 30 Cost., dalla L. 10 dicembre 2012, n. 219). Basti pensare
- sole per citare alcuni esempi - all'art. 199 c.p.p., per la facoltà di astenersi dal deporre concessa
al convivente dell'imputato; agli artt. 342 bis e 343 ter c.c., introdotti dalla L. 4 aprile 2001, n. 154,
sull'estensione al convivente degli ordini di protezione contro gli abusi familiari; alla L. 4 maggio
1983, n. 184, art. 6, cosi come sostituito ad o-pera della L. 28 marzo 2001, n. 149, per gli effetti
della convivenza precedente al matrimonio sulla stabilità del vincolo ai fini dell'adozione; all'art.
408 c.c., cosi come novellato dalla L. 9 gennaio 1994, n. 6, per la scelta dell'amministratore di
sostegno, che può cadere anche sulla persona stabilmente convivente; al D.Lgs. 7 settembre 2005,
n. 209, art. 129, in tema soggetti che non possono essere considerati terzi e che non hanno diritto ai
benefici derivanti dall'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla
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circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, limitatamente ai danni alle cose. Soprattutto, è stata
la giurisprudenza costituzionale a sottolineare che "un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non
appare - anche a sommaria indagine - costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al
rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche
manifestazioni solidaristiche (art. 2 Cost.)" (sentenza n. 237 del 1986); e a ribadire, di recente, che
"per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a
consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una
valorizzazione del modello pluralistico" (sentenza n. 138 del 2010). In questo contesto si colloca la
declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 6 della legge sulla locazione d'immobili urbani
27 luglio 1978, n. 392 (sentenza n. 404 del 1988), con cui la Corte costituzionale ha posto il
convivente more uxorio tra i successibili nella locazione, in caso di morte del conduttore, e ha
stabilito che il convivente medesimo, affidatario di prole naturale, succede al conduttore che abbia
cessato la convivenza. La qualità di formazione sociale della convivenza more uxorio (Cass., Sez.
3^, 19 giugno 2009, n. 14343) ha consentito a questa Corte di guardare alla stessa come fonte di
doveri morali e sociali di ciascun convivente nei confronti dell'altro; con l'effetto, tra l'altro: (a) di
escludere il diritto del convivente more uxorio di ripetere le eventuali attribuzioni patrimoniali
effettuate nel corso delle convivenza (Sez. 3^, 20 gennaio 1989, n. 285; Sez. 2^, 13 marzo 2003, n.
3713; Sez. 3^, 15 maggio 2009, n. 11330); (b) di riconoscere il diritto del convivente al
risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per la morte del compagno o della
compagna provocata da un terzo (Sez. 3^, 28 marzo 1994, n. 2988; Sez. 3^, 16 settembre 2008, n.
23725); (c) di dare rilevanza alla convivenza intrapresa dal coniuge separato o divorziato ai fini
dell'assegno di mantenimento o di quello di divorzio (Sez. 1^, 10 novembre 2006, n. 24056; Sez. 1^,
10 agosto 2007, n. 17643; Sez. 1^, 11 agosto 2011, n. 17195; Sez. 1^, 12 marzo 2012, n. 3923). 2.4.
- Poiché, dunque, la famiglia di fatto è compresa tra le formazioni sociali che l'art. 2 Cost.,
considera la sede di svolgimento della personalità individuale, il convivente gode della casa
familiare, di proprietà del compagno o della compagna, per soddisfare un interesse proprio, oltre
che della coppia, sulla base di un titolo a contenuto e matrice personale la cui rilevanza sul piano
della giuridicità è custodita dalla Costituzione, si da assumere i connotati tipici della detenzione
qualificata. 2.5. - Ciò, beninteso, non significa - come assume la ricorrente - pervenire ad un
completo pareggiamento tra la convivenza more uxorio ed il matrimonio, contrastante con la stessa
volontà degli interessati, che hanno liberamente scelto di non vincolarsi con il matrimonio proprio
per evitare, in tutto o in parte, le conseguenze legali che discendono dal coniugio. È e rimane
infatti ferma la diversità della convivenza di fatto, fondata sull'affectio quotidiana - liberamente e
in ogni istante revocabile - di ciascuna delle parti, rispetto al rapporto coniugale, caratterizzato da
stabilità e certezza e dalla reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che nascono soltanto dal
matrimonio; come pure la distinta considerazione dei rapporti personali e patrimoniali di coppia
nelle due diverse situazioni, stante il maggior spazio da riconoscersi, nella convivenza, alla
soggettività individuale dei conviventi ed il più ampio rilievo, nel rapporto di coniugio, alle
esigenze obiettive della famiglia come tale, cioè come stabile istituzione sovraindividuale (Corte
cost., sentenza n. 8 del 1996). Ma questa distinzione non comporta che, in una unione libera che
tuttavia abbia assunto - per durata, stabilità, esclusività e contribuzione - i caratteri di comunità
familiare, il rapporto del soggetto con la casa destinata ad abitazione comune, ma di proprietà
dell'altro convivente, si fondi su un titolo giuridicamente irrilevante quale l'ospitalità, anziché sul
negozio a contenuto personale alla base della scelta di vivere insieme e di instaurare un consorzio
familiare, come tale anche socialmente riconoscibile. D'altra parte, l'assenza di un giudice della
dissoluzione del menage non consente al convivente proprietario di ricorrere alle vie di fatto per
estromettere l'altro dall'abitazione, perché il canone della buona fede e della correttezza, dettato a
protezione dei soggetti più esposti e delle situazioni di affidamento, impone al legittimo titolare che,
cessata l'affectio, intenda recuperare, com'è suo diritto, l'esclusiva disponibilità dell'immobile, di
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avvisare il partner e di concedergli un termine congruo per reperire altra sistemazione. 2.6. - Nella
specie la Corte d'appello - pur discorrendo, nei passaggi argomentativi, di compossesso del
convivente anziché di detenzione qualificata autonoma fondata su un negozio giuridico di tipo
familiare - è pervenuta, comunque, ad una soluzione della controversia conforme al diritto,
riconoscendo in capo al convivente non proprietario la legittimazione ad agire in reintegrazione,
ex art. 1168 c.c., al fine di essere riammesso, dopo uno spoglio violento, nell'abitazione ove si è
svolta la relazione familiare di fatto, e negando che in costanza di coabitazione e convivenza more
uxorio nello stesso immobile possa parlarsi di mera ospitalità o di tolleranza nei confronti del
partner non proprietario. Ed a tale conclusione in punto di diritto la Corte territoriale è giunta
dopo avere rilevato, con congruo e logico apprezzamento delle risultanze di causa, previo adeguato
giudizio sull'attendibilità delle testimonianze, e confermando la valutazione al riguardo già
espressa dal Tribunale: che la convivenza more uxorio tra il Mattioli e la Luna era proseguita fino
alla data del 17 giugno 1998, epoca dei fatti di causa; che la relazione di fatto tra i due partners
rispetto all'immobile di via Eleonora D'Arborea, n. 25, a Roma (di comune godimento e di libera
utilizzazione) era rimasta immutata per tutto il periodo della convivenza, anche dopo che, in data
24 marzo 1998, il Mattioli aveva venduto l'appartamento in questione alla sua convivente (con un
atto nel quale è menzionata, oltre al trasferimento della proprietà, anche la cessione del possesso);
che la Luna aveva ottenuto fraudolentemente la riconsegna delle chiavi davanti ai carabinieri, in
caserma, ove i contendenti si erano recati, inducendo in errore i militari, il cui intervento era stato
chiesto per il timore della presenza di ladri in casa: invece di chiarire, doverosamente, che non si
trattava di un ladro, bensì del convivente (che non si era introdotto in casa furtivamente, ma
utilizzando, come sempre, le chiavi di cui era in possesso), costei aveva fatto credere ai carabinieri,
esibendo una copia del contratto di acquisto dell'immobile, di trovarsi di fronte ad un intruso, ad
un usurpatore che aveva commesso violazione di domicilio a suo danno; che il Mattioli aveva
acceduto, per motivi di opportunità, alla richiesta di consegna delle chiavi alla Luna, senza che ciò,
tuttavia, significasse minimamente volontaria abdicazione e rinuncia alla situazione di fatto, cioè
restituzione spontanea e libera determinazione al rilascio. Nel contestare la ricostruzione data dal
giudice del merito, la ricorrente, pur lamentando formalmente una plurima violazione di legge e un
decisivo difetto di motivazione, tende, in realtà, ad una (non ammissibile in sede di legittimità)
richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito.
Sotto questo profilo la ricorrente, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza
rilevante ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, invoca, piuttosto, una diversa lettura delle risultanze
procedimentali cosi come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo cosi
all'impugnata sentenza censure che non possono trovare ingresso in questa sede, perché la
valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a
sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatti riservati in via esclusiva al giudice del
merito. Questa diversa ricostruzione del fatto è prospettata dalla ricorrente ora valorizzando la
clausola del contratto di compravendita inter partes di trasferimento della piena proprietà e del
possesso dell'immobile alla Luna, senza considerare che, ai fini della tutela possessoria, quel che
conta è la situazione di fatto e che nella specie, pur dopo la vendita, il Mattioli aveva continuato ad
abitare e a convivere nell'immobile di cui è causa, tenendovi anche effetti personali, mobili e
strumenti di lavoro di sua proprietà; ora sostenendo (ma soltanto attraverso un generico richiamo
a non meglio precisati fatti pacifici o non contestati) che la convivenza tra il Mattioli e la Luna si
sarebbe svolta in una casa in Provincia di Latina, e non nell'immobile di Roma; infine richiamando
il verbale dei carabinieri relativo alla consegna delle chiavi da parte del Mattioli, senza tuttavia
tener conto che la Corte del merito non ne ha prescisso, ma ha ritenuto, con apprezzamento
tipicamente di fatto, che l'intervento dei carabinieri era stato strumentalizzato dalla Luna per
attuare una estromissione violenta del compagno e che questi aveva riconsegnato le chiavi alla
presenza dei militari spinto non dalla volontà di dismissione della sua situazione di fatto, ma dal
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timore della prospettazione di ipotesi criminose. In definitiva, la ricorrente sollecita questa Corte
ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto si come emerse nel corso dei precedenti
gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surretti-zia trasformazione del giudizio
di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto
di fatti e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella
risultanza processuale, quanto ancora le opinioni espresse dal giudice di appello non condivise e
per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata,
quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora
legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.(…)
Sez. 2, Sentenza n. 13212 del 28/05/2013 (Rv. 626280)
Presidente: Oddo M. Estensore: Migliucci E.
SERVITÙ - PREDIALI - COSTITUZIONE DEL DIRITTO - DELLE SERVITÙ VOLONTARIE COSTITUZIONE NON NEGOZIALE - PER USUCAPIONE - Azione di accertamento
dell'acquisto per usucapione di servitù prediale - Prova presuntiva della proprietà del fondo
dominante - Sufficienza - Fondamento.
Nell'azione di accertamento dell'acquisto per usucapione di una servitù prediale, la proprietà del
fondo dominante, la quale costituisce un requisito di legittimazione e non l'oggetto della
controversia, può essere provata anche mediante presunzioni, quali, nella specie, l'intestazione
catastale del bene conseguente alla trascrizione di un atto di divisione, o la circostanza che l'azione
negatoria proposta dal titolare del fondo che si assume servente fosse stata rivolta proprio nei
confronti dell'attore per usucapione.
Sez. 2, Sentenza n. 13618 del 30/05/2013 (Rv. 626279)
Presidente: Goldoni U. Estensore: Carrato A.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - MANUTENZIONE - OGGETTO DELLA
TUTELA - IN GENERE - Luci - Tutela possessoria - Ammissibilità - Condizioni - Limiti - Diritto
del vicino di chiudere le aperture lucifere - Conseguente esaurimento della tutela possessoria.
La tutela possessoria delle luci è consentita, oltre che nel caso di servitù di luce, anche allorché le
aperture siano state eseguite e mantenute "iure proprietatis", costituendo l'apertura di luce sul
confine manifestazione di una facoltà rientrante nel contenuto del diritto di proprietà e del possesso,
salvo che il vicino costruisca in appoggio o in aderenza a norma dell'art. 904 cod. civ., ipotesi nella
quale viene meno la tutela della luce sia in sede petitoria, sia in quella possessoria.
Sez. 2, Sentenza n. 13417 del 29/05/2013 (Rv. 626288)
Presidente: Goldoni U. Estensore: Carrato A.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - REINTEGRAZIONE DA SPOGLIO
SEMPLICE - IN GENERE - Rifiuto di restituzione di un fondo opposto dal detentore qualificato Spoglio semplice - Configurabilità - Conseguenze - Azione di manutenzione recuperatoria Esperibilità - Condizioni.
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La lesione possessoria consistente nel rifiuto della restituzione di un fondo opposto dal detentore
qualificato al possessore mediato, accompagnato dall'opposizione fatta contro quest'ultimo e perciò
dalla manifestazione dell'avvenuta interversione, configura uno spoglio semplice, riconducibile alla
previsione di cui all'art. 1170, terzo comma, cod. civ., il quale disciplina la cosiddetta azione di
manutenzione recuperatoria, idoneamente esperibile in presenza delle condizioni soggettive e
temporali contemplate dal comma precedente.
Sez. 2, Sentenza n. 12996 del 24/05/2013 (Rv. 626451)
Presidente: Triola RM. Estensore: Petitti S.
POSSESSO - EFFETTI - USUCAPIONE - DI BENI IMMOBILI E DIRITTI REALI
IMMOBILIARI - IN GENERE - Aree di parcheggio pertinenti a fabbricati di nuova costruzione Possesso utile ai fini dell'usucapione - Configurabilità dalla data dell'acquisto dell'unità immobiliare
- Fondamento.
Il possesso continuato per venti anni, utile ai fini dell'usucapione delle aree interne o circostanti ai
fabbricati di nuova costruzione, su cui grava il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio, è
configurabile solo dalla data dell'acquisto dell'unità immobiliare, non potendosi prima di tale
momento considerare distintamente il diritto dominicale trasferito ed il diritto d'uso del parcheggio
non trasferito.
Sez. 2, Sentenza n. 23815 del 21/12/2012 (Rv. 624655)
Presidente: Goldoni U. Estensore: Carrato A.
POSSESSO - AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO - AZIONI POSSESSORIE - GIUDIZIO
POSSESSORIO E PETITORIO (RAPPORTO) - IN GENERE - Revocazione per contrasto di
giudicati - Configurabilità - Condizioni - Precedente sentenza avente ad oggetto il medesimo fatto o
fatto antitetico - Necessità - Fattispecie relativa ad assunto contrasto fra giudicato petitorio e
precedente giudicato di tutela possessoria - Ammissibilità della revocazione - Esclusione.
In tema di revocazione, perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente
fra le parti autorità di cosa giudicata, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di
oggetto, tale che sussista un'ontologica e strutturale concordanza tra gli estremi su cui debba
esprimersi il secondo giudizio e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima, avendo
questa accertato lo stesso fatto o un fatto ad esso antitetico, e non anche un fatto costituente un
possibile antecedente logico, e risultando l'apprezzamento del giudice della revocazione al riguardo
sottratto al sindacato di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici. Ne
consegue che è inammissibile la revocazione per contrasto tra giudicati, nel caso in cui, dopo la
formazione di un giudicato su una domanda di reintegrazione nel possesso di una servitù di
passaggio, la parte convenuta nel giudizio possessorio ottenga una successiva sentenza, anch'essa
passata in giudicato, di accoglimento dell' "actio negatoria servitutis" volta a far dichiarare
l'inesistenza del medesimo diritto di servitù.
STRALCIO MOTIVAZIONE:
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(…) la sentenza, divenuta incontrovertibile, resa nel giudizio possessorio a tutela del possesso di
una servitù di passaggio non esercita alcuna influenza sull'azione petitoria volta ad ottenere
l'accertamento negativo dell'esistenza del diritto reale di passaggio, il quale ha natura e
fondamento diversi rispetto al possesso, onde, ottenuta una sentenza di accoglimento, passata in
giudicato, in ordine alla successiva menzionata azione petitoria, tra le due (contrapposte) sentenze,
diventate incontrovertibili, non può configurarsi un contrasto tra giudicati (v., anche, Cass. n. 2581
del 1976). Del resto la giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 360 del 1995 e Cass. n.
7745 del 1999) ha precisato che le azioni proposte, rispettivamente, in sede possessoria e petitoria,
pur nell'eventuale identità soggettiva, sono caratterizzate dall'assoluta diversità degli altri elementi
costitutivi ("causa petendi" e "petitum"), con la conseguenza che nel giudizio petitorio non possono
essere invocati i provvedimenti emessi in sede possessoria, ne' le argomentazioni e le circostanze
risultanti dalla sentenza che ha definito quel giudizio, giacché queste ultime hanno rilievo solo in
quanto si trovino in connessione logica e causale con la decisione in sede possessoria (così che il
giudicato non può riferirsi alle argomentazioni che non ne costituiscano un presupposto logico
indispensabile) e perciò, lasciando impregiudicata ogni questione, sulla legittimità della situazione
oggetto della tutela possessoria, non possono influire sull'esito del giudizio petitorio. Alla stregua
dei complessivi argomenti svolti deve, quindi, trovare accoglimento il primo motivo del ricorso
principale, enunciandosi il principio di diritto in base al quale, ai fini dell'applicazione dell'art. 395
c.p.c., n. 5, perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente tra le parti
autorità di cosa giudicata, e, quindi, essere oggetto di revocazione, occorre che tra i due giudizi vi
sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale
concordanza degli estremi sui quali deve essere espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi
distintivi della decisione emessa per prima, nel senso che la precedente sentenza deve avere ad
oggetto il medesimo fatto o un fatto ad esso antitetico, non anche un fatto costituente un possibile
antecedente logico, restando poi la contrarietà con la sentenza avente autorità di cosa giudicata
ipotizzabile solo in relazione all'oggetto degli accertamenti in essa racchiusi. Ne consegue che non
può configurarsi un contrasto tra giudicati, legittimante la proposizione della domanda di
revocazione ai sensi del citato art. 395 c.p.c., n. 5, (da ritenersi, perciò, inammissibile), difettando
il presupposto essenziale dell'identità dei giudizi, nel caso in cui, dopo la formazione di un
giudicato su una domanda possessoria attinente allo spoglio del possesso di una servitù di
passaggio, la parte convenuta nel giudizio possessorio ottenga, successivamente, una sentenza,
passata anch'essa in giudicato, di accoglimento, nei confronti dei soggetti che avevano
precedentemente agito in ambito possessorio (ottenendo la relativa tutela reintegratola),
dell'azione di accertamento negativo dell'esistenza del diritto di servitù in capo a questi ultimi.(…)
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