la banca d`inghilterra: il percorso operativo e regolamentare

DIPARTIMENTO DI IMPRESA E MANAGEMENT
Storia della finanza e dei sistemi finanziari
Prof. Giuseppe di Taranto
“LA BANCA D’INGHILTERRA: IL PERCORSO OPERATIVO E
REGOLAMENTARE”
Relatore
Candidato
Prof. Giuseppe di Taranto
Eleonora Ibello
Matricola 630581
Correlatore
Prof. Giuseppe Zadra
Anno Accademico 2010/2011
La Banca d’Inghilterra: il percorso operativo e regolamentare
LUISS GUIDO CARLI – Dipartimento di Impresa e Management – a.a. 2010/2011
INDICE
INTRODUZIONE
CAPITOLO I
LA STORIA
1.1 ORIGINE E FORMA GIURIDICA………………………………………………………
1.2 LA BANCA D’INGHILTERRA E IL CREDITO PUBBLICO……………………...
1.3 GLI STATUTI DELLA BANCA D’INGHILTERRA…………………………………
1.4 GLI INCENTIVI AL RECHARTERING : EVIDENZA QUANTITATIVA ………….
1.5 LA BANCA D’INGHILTERRA NEL 1900…………………………………….
CAPITOLO II
LA POLITICA MONETARIA IN PROSPETTIVA STORICA
2.1 LA POLITICA MONETARIA DAL 1970 AI PRIMI ANNI NOVANTA……………
2.2 INFLAZIONE,PIL,OCCUPAZIONE: TEORIA E STORIA………………………
2.3 L’INFLATION TARGETING ……………………………………………………….
2.3.1 Inflation Report. ……………………………………………………………………………….
2.3.2 Meeting di politica monetaria………………………………………………………………….
2.3.3 Pubblicazione dei verbali……………………………………………………………………………..
2.4 L’INFLATION TARGETING : UNA PROSPETTIVA STORICA ………………..
2.5 REGIMI MONETARI E PERFORMANCE MACROECONOMICHE………..
2.6 MISURE DI STABILITA’………………………………………………………….
CAPITOLO III
LA POLITICA MONETARIA IN PROSPETTIVA ECONOMICA
3.1 IL MECCANISMO DI TRASMISSIONE DELLA POLITICA MONETARIA……..
3.2 IL FRAMEWORK DI POLITICA MONETARIA NEL REGNO UNITO DAL 1997
3.3 UNA VALUTAZIONE DEL FRAMEWORK DI POLITICA MONETARIA
BRITANNICA : UN CONFRONTO CON IL RESTO D’EUROPA…………………….
3.4 SEPARAZIONE DAL TESORO E POLITICA DEI CAMBI:LA BANCA
D’INGHILTERRA OGGI………………………………………………………………
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
La Banca d’Inghilterra: il percorso operativo e regolamentare
LUISS GUIDO CARLI – Dipartimento di Impresa e Management – a.a. 2010/2011
Il percorso operativo e regolamentare della Banca d’Inghilterra
LUISS GUIDO CARLI – Dipartimento di Impresa e Management – a.a. 2010/2011
CAPITOLO I
LA STORIA
1.1 ORIGINE E FIGURA GIURIDICA.
Il principale obiettivo che guidava l’ambizione di William III d’Orange
nell’ottenere la Corona del Regno d’ Inghilterra era quello di essere a capo
di una grande alleanza per combattere contro lo schiacciante potere della
Francia guidata da Luigi XIV.
Non appena William fu eletto, saldamente sostenuto nella sua azione dal
Parlamento, dichiarò guerra a Luigi XIV.
Tale impresa bellica necessitava di ingenti fondi, che sommati alle
inestricabili difficoltà finanziarie del governo convogliarono l'attenzione
verso un sistema per una banca pubblica.
William Paterson, uno scozzese da Dumfriesshire, offrì un prestito di 1,2
milioni di sterline al Governo inglese in cambio del privilegio di
incorporare i finanziatori, in qualità di Governatore della Banca
d’Inghilterra, con il potere di emettere banconote (biglietti all’ordine di
taglio unico, 20 sterline).
La banca si costituisce come la prima banca con capitale sociale raccolto
mediante sottoscrizioni pubbliche, diversamente dalle banche private, le
quali avevano tutte le figure di società in nome collettivo. Essa non era
soltanto banca di depositi ma anche banca di emissione, e ciò costituiva un
fatto nuovo perché, generalmente, le banche pubbliche esistenti in Europa
non operavano ancora come istituti di emissione.
Il Charter (Statuto) del 1694, c. 20, che sancisce la nascita della Banca
d'Inghilterra, riceve l'assenso reale il 25 aprile 1694, con le seguenti
disposizioni:
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Il percorso operativo e regolamentare della Banca d’Inghilterra
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 la somma di £ 100.000 l'anno sarebbe stata destinata per incoraggiare
prestiti volontari al Governo al fine di continuare la guerra con la
Francia; i prestatori sarebbero stati incorporati in una società, la
Bank of England appunto, con tutti i privilegi di una corporation;
 per la società fu severamente vietato prendere in prestito o emettere
titoli o obbligazioni per somme superiori a £ 1.200.000, a meno che
non fosse espressamente consentito del Parlamento.
La Banca concesse allo Stato un finanziamento di 1.200.000 in cambio di
una rendita annua pari a £ 100.000 nonché del diritto di emettere banconote
per l'ammontare del capitale che aveva finanziato al Governo, basandosi
sulla supposizione che la rendita sarebbe stata sufficiente a sostenere il
credito delle banconote. La Banca si stabilisce come istituzione temporanea,
ma fu rinnovata per ben 9 volte tra il 1694 e 1844.
1.2 LA BANCA D’INGHILTERRA E IL CREDITO PUBBLICO.
La Banca giocò, sin dalle origini, un ruolo principale nelle finanze
pubbliche inglesi.
L’iniziativa per la sua fondazione fu la necessità di un prestito al Governo
per il lungo periodo di guerra, ma le sue radici risalgono alla Gloriosa
Rivoluzione del 1689.
Prima di questo evento politico, c’era il Re a capo della politica fiscale,
dopo, la Corona si ritrovò a perdere la maggior parte della propria
indipendenza fiscale.
Questa rivoluzione fu caratterizzata dalla trasformazione a lungo termine di
prestiti inizialmente contratti a breve, garantiti da specifiche forme di
entrate.
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Il percorso operativo e regolamentare della Banca d’Inghilterra
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Nel linguaggio odierno, avvenne uno switch tra prestiti a breve “non
sovvenzionati” e prestiti “sovvenzionati”a lungo termine.
I prestiti sovvenzionati a lungo termine presentavano tre vantaggi rispetto a
quelli breve non sovvenzionati.
Primo, i sottoscrittori erano rimborsati annualmente sul lungo periodo, e
questo concesse al governo di finanziare le immediate necessità per la
guerra su una base relativamente piccola e inelastica di entrate.
Secondo, i prestiti sovvenzionati permisero al Governo di prendere in
prestito somme importanti per finanziare le guerre ripianandoli attraverso
una politica di tassazione.
Terzo, i prestiti furono sovvenzionati, ovvero il Parlamento si impegnò a
destinare specifiche entrate per poter corrispondere gli interessi, un aspetto
che accrebbe la fiducia dei prestatori nei confronti del Governo.
Fig. 1.1: Funded and unfunded debt as a share of total debt, 1693-1844
Fonte: Broz J.L. Grossman R.S., Explorations in Economic History 41 (2004) 48-72
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La figura 1.1.mostra l’evoluzione dei prestiti sovvenzionati e non
sovvenzionati in proporzione al totale tra il 1693 e il 1844.
Il primo prestito di questo tipo risale alla fondazione della Banca
d’Inghilterra nel 1694 e questo costituì il modello per i successivi contratti
coi quali si costituìrono La New East India Company nel 1698 e la South
Sea Company nel 1711.
Il principio alla base di queste modalità di prestito fu “l’incorporazione del
debito pubblico”, attraverso il quale il Governo incorporava i sottoscrittori
in società per azioni e concedeva loro privilegi economici permanenti in
cambio di prestiti permanenti.
Prendere a prestito dalle società creava debiti permanenti, e ciò significava
che ai sottoscrittori sarebbero stati corrisposti interessi in modo perpetuo,
ma non ripagato il capitale iniziale. Sebbene la restituzione del capitale
iniziale fosse possibile, ciò non era obbligatorio dalla lettera del contratto
iniziale.
Questo costituiva senza dubbio un vantaggio rispetto ad altre forme di
prestito a lungo termine per due ordini di ragioni.
Da un lato, il governo avrebbe potuto prendere a prestito somme
considerevoli sulla base delle medesime entrate, dall’altro, avrebbe
mantenuto il diritto di ripagare il capitale del prestito dopo una certa data, e
avrebbe potuto sciogliere il contratto con il creditore se quest’ultimo non
fosse stato d’accordo per queste condizioni1.
Per il governo, il diritto di sciogliere la società avrebbe potuto essere uno
strumento molto utile per attirare nuovi prestiti o servizi da società.
Un altro vantaggio delle società di prestiti, che si manifesta sotto forma di
abbattimento dei costi di transazione per il governo, è rappresentato dal
fatto che pur essendo una società, si costituiva come unico creditore.
1
Lo Statuto del 1694 permetteva al Governo di ripagare il debito alla banca e di sciogliere la
società 12 mesi dopo averlo notificato in qualsiasi momento dopo il 1 agosto 1705.
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I sottoscrittori di questi prestiti erano azionisti a tutti gli effetti : avevano
diritto al dividendo ed erano liberi di trasferire le azioni che erano molto più
liquide di altri strumenti finanziari emessi dal Governo.
Queste società inoltre potevano essere oggetto di transazioni di vendita,le
quali permettevano ai creditori di recuperare la propria quota di capitale
senza che dovesse essere ripagata dal Governo.
Ogni società riceveva privilegi di monopolio attinente all’area economica in
cui operava.
Le società di commercio estero come La New East India Company e la
South Sea Company ricevettero , da previsione statutaria, diritti esclusivi
per commerciare in specifiche aree del globo.
La Banca d’Inghilterra non ricevette privilegi esclusivi dall’atto costitutivo
del 1694, esclusione fatta per l’emissione di banconote.
Ulteriori privilegi seguirono con i cosiddetti recharters, cioè atti che
rinnovarono il mandato della Banca d’Inghilterra.
Alla fine della Guerra con la Spagna nel 1721, i debiti sovvenzionati erano
cresciuti oltre i 62 milioni di sterline, di cui 32,8 milioni erano posseduti
dalle maggiori società per azioni . La Banca d’Inghilterra nella seconda
metà del secolo in particolar modo accrebbe il suo ruolo nella gestione del
debito pubblico.
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1.3 GLI STATUTI DELLA BANCA D’INGHILTERRA.
Data
Charter
Atto
del Option*
Parlamento Date
Tempo
per
l’option
(anni)
1694
5&6 Will. 1705
3, c. 20
11
/
/
1697
8&9 Will. 1710
3, c. 20
13
8
0,73
1708
7 Anne, c. 7 1732
23
1
0,08
1713
12 Anne, c. 1742
11
29
19
0,83
1742
15 Geo.2, c. 1764
13
22
0
0
1764
4 Geo. 3, c. 1786
25
22
0
0
1781
21 Geo. 3, 1812
c. 60
31
5
0,23
1800
40 Gen. 3, 1833
c. 28
33
12
0,39
1833
3&4 Will. 1855
4, c. 98
22
0
0
1844
7&8
Vict.,c. 32
11
11
0,5
1855
Tempo rimasto al
rinnovamento
Anni Proporzione
charter
Tabella 1.1: Bank of England Charters, 1694-1844
Fonte: Broz J.L. Grossman R.S., Explorations in Economic History 41 (2004) 48-72.
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Data
Aspetti Finanziari
Charter
1694
1697
Aspetti Regolatori
Bank of England presta 1,2 La costituzione via Royal
milioni di sterline al Charter dà alla Banca
governo all’8%.
d’Inghilterra i privilegi della
attività bancaria, inclusa
l’emissione di banconote e
la responsabilità limitata.
Il capitale aumenta di Proibisce assolutamente la
1.001.171 sterline con una fondazione di tutte le altre
nuova sottoscrizione
banche.
1708
Prestito di 400.000 sterline
senza interessi dalla Bank of
England al governo. La
BofE raddoppia lo stock di
capitale
con
una
sottoscrizione di 2.531.347
sterline.
Proibisce alle società per
azioni (di ogni tipo) di più
di 6 persone dal fare
business come banche.
1713
La banca d’Inghilterra fa Riafferma le
circolare 1.2 milioni di £ in proibizioni.
Exchequer Bills a 2d per
giorno per 100£; riceve un
sussidio del 3% e un costo
di 8000£ l’anno.
1742
La Banca d’Inghilterra Riafferma il privilegio di
presta 1,6 milioni di sterline esclusività della BoE.
al governo senza interessi;
riducendo l’interesse sul
totale debito di 3.2 milioni
di £ al 3%.
precedenti
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1764
La banca d’Inghilterra Ripete
le
presta 1 milione di £ proibizioni
(Exchequer Bills) per 2 anni bancaria.
al 3% (ripagati nel 1766).
Paga 110.000 sterline per i
privilegi.
1781
La Bank of England presta 2 Riafferma i privilegi bancari
milioni di sterline al della Banca d’Inghilterra.
governo al 3% per 3 anni.
1800
Bank of England presta 3
milioni di sterline al
governo senza interessi per
6 anni.
1833
Lo Stato finisce di pagare ¼ Permette le banche joint
dei suo debiti alla Banca stock di deposito a Londra o
d’Inghilterra (3.671.700 £). entro 65 miglia.
1844
Continuazione ultimo atto.
precedenti
dell’attività
Ripete le proibizioni del
1697 e 1708 per chiarire
l’intenzione che “nessun
altra banca sarà fondata o
permessa dal Parlamento”.
Separa
i
dipartimenti
banking e di emissione e
conferma il monopolio della
banca nell’emissione di
banconote.
Tabella 1.2: Aspetti finanziari e regolatori Cherters
Fonte: Broz J.L. Grossman R.S., Explorations in Economic History 41 (2004) 48-72
*Option date si riferisce alla data in cui il Parlamento avrebbe potuto l’atto
istitutivo della Banca , con un anno di preavviso.
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Lo statuto iniziale fu siglato nel 1694, e sebbene siano state introdotte
numerose novità nei successivi, molte furono le caratteristiche fondamentali
del primo statuto che restarono costanti per il successivo secolo e mezzo.
Come detto, la Banca finanziò il governo per 1.200.000 £, in cambio di una
rendita pari a 100.000,00 £ annue per interessi.
L’atto costitutivo originario non concesse alla banca la posizione
privilegiata di banchiere del governo come sarebbe accaduto più tardi,con
gli atti costitutivi successivi di rinnovamento, né concesse alla Banca di
essere l’istituto legale di offerta di moneta.
La caratteristica fondamentale contenuta nel primo atto costitutivo fu quella
di raccolta di capitali per sostenere le spese belliche contro la Francia, in
cambio dei quali il governo prometteva una rendita annuale sotto forma di
interessi.
Aspetti fondamentali dei contratti di prestito erano comunque di maggior
favore per il Governo. Il prestito, per esempio, non era esigibile.
La Banca non avrebbe potuto richiedere la restituzione anticipata.
Di converso, al Governo era riconosciuto il diritto opzionale di pagare in
anticipo quanto preso a prestito e dissolvere la Banca, con il preavviso di un
anno, e in qualsiasi momento a partire dall’undicesimo anno di vita dell’atto
costitutivo.
Gli atti costitutivi successivi seguirono lo stesso schema generale.
Nel 1695, il Parlamento deliberò l’atto costitutivo di una banca “rivale”, la
Land Bank, la quale non riuscì a costituirsi causa il fallimento nella raccolta
dei capitali necessari che avrebbero dovuto essere imprestati al Governo.
La sfida di Land Bank motivò la BofE a chiedere un privilegio di esclusiva
nel charter successivo, quello del 1697.
Nel 1708, durante la guerra di Successione spagnola, in cambio di un nuovo
prestito, la BoE ottenne una forma di protezione dall’altrui competizione:
furono proibite dalla legge associazioni impegnate in business di natura
bancaria che contassero più di sei individui.
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L’atto del 1708 conferì alla banca il monopolio di società di emissione: “the
“intention was to give the Bank of England a monopoly of joint-stock
banking, and had any other institution of more than six partners attempted
to carry on a banking business in England. . . it would have suppressed’’
(Feavearyear, 1963, pp. 167–168).
Il primo atto istitutivo (1694) e i successivi due (1697- 1708) definivano il
contratto iniziale: il governo avrebbe usato la sua autorità per imporre
mezzi restrittivi della concorrenza in favore della Banca, la quale in cambio
avrebbe garantito prestiti permanenti e supporto finanziario.
I successivi sarebbe stati scritti in base alle circostanze, dato che un iniziale
contratto permanente non sarebbe stato in grado di prevedere il contesto
futuro, né prevenire eventuali comportamenti opportunistici dell’una o
dell’altra parte. il processo di rinegoziazione avrebbe permesso al governo e
alla Banca di adeguarsi ai cambiamenti economici e politici.
Ogni statuto conteneva una clausola in base alla quale le parti avrebbero
potuto rinegoziare l’accordo iniziale rispetto alle mutate condizioni di
contesto e permettere sanzioni in caso di fenomeni di opportunismo.
In breve, la Banca non fu concepita come istituzione permanente per
ovviare ai problemi di incompletezza contrattuale.
L’esistenza della banca
venne concepita come una serie di accordi,
rinegoziati ad intervalli regolari, per gestire due tipi di incertezze:
cambiamenti imprevisti nella politica fiscale e incertezza circa la futura
distribuzione degli utili tra le parti.
Per ciò che concerne i cambiamenti nella politica fiscale, le future esigenze
finanziarie del governo sarebbero state un complessa combinazione di
probabilità tra la guerra, la propria capacità di credito, l’accesso ad altre
forme di credito (rendite, lotterie, e vari prestiti a breve) e la sua capacità di
gestire spese ed entrate per contingenze impreviste.
Di fronte a tale persistente incertezza finanziaria,il governo restava titolare
del diritto di sciogliere la Banca. Come detto, vi era, da contratto , il diritto
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Il percorso operativo e regolamentare della Banca d’Inghilterra
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per il Governo, ripagando il suo debito permanente con la Banca, di
sciogliere la società con un anno di preavviso. Questo era per il Governo
uno strumento di leva, in quanto la minaccia di scioglimento avrebbe potuto
essere usato per ottenere ulteriore assistenza finanziaria.
Il governo avrebbe potuto usare la minaccia di rinegoziare i termini del
debito esistente per ottenere nuovi prestiti dalla Banca o per facilitare il
consolidamento di altri finanziamenti in essere (a breve e lungo termine)
innestando questi ulteriori prestiti al debito dovuto alla Banca. In
generale,si trattava di una minaccia per mezzo della quale il buon
comportamento della società avrebbe potuto essere assicurato.
Mentre il contratto di prestito era asimmetrico, nel senso che il Governo
aveva
mantenuto potere decisionale sulla continuazione della Bank of
England, anche la Banca derivò vantaggi dalla rinegoziazione dei suoi
statuti. Ancora più importante, la dipendenza del governo dalla Banca ha
consentito di proteggere il suo monopolio di fronte a nuovi concorrenti la
cui esistenza non era stata prevista alla sua fondazione. In questo senso è
esemplificativo il caso del Credito Fondiario (Land Bank). Lo statuto del
1694 non conteneva alcuna limitazione sul diritto di istituzione, da parte
del Parlamento, di banche concorrenti. Ma quando il Parlamento
agisce opportunisticamente istituendo il Credito Fondiario nel 1695, la
Banca d'Inghilterra richiese, nello statuto di rinegoziazione del 1697, che gli
fosse riconosciuto, da parte del Governo, il monopolio legale.
Allo stesso modo, quando la Banca si rese conto che il suo statuto non
impediva l'aumento di personalità giuridiche (private) concorrenti della
banca, si assicurò una nuova clausola nel recharter del 1708 la quale
stabiliva che nessuna impresa costituita da più di sei persone avrebbe
potrebbero emettere fatture o banconote
in Inghilterra. Coevi dibattiti
parlamentari suggeriscono che il governo e la Banca avessero compreso il
valore di questa flessibilità. Nel 1781, ad esempio, cinque anni prima della
data di opzione, il primo ministro Lord North aveva auspicato il passaggio
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Il percorso operativo e regolamentare della Banca d’Inghilterra
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di un nuovo Statuto che avrebbe assicurato al governo un prestito di £
2.000.000 al 3%, in cambio di estendere tutti i privilegi della Banca
privilegi sino al 1812. Il Primo Ministro North chiarì che l'affare avrebbe
potuto alleviare l'onere finanziario della guerra americana. L'intero
ammontare del prestito sarebbe stato utilizzato per pagare il costoso debito
della marina che ''era appeso come una macina da mulino sul collo del
credito pubblico'' (Cobbett, Storia parlamentare, 1781).
Per alcuni membri del parlamento, l'utilizzo di prestiti della Banca era
secondario rispetto alla distribuzione degli utili tra il governo e la Banca, e i
recharters si dimostrarono essere le opportunità di ridistribuirli. .
Nei dibattiti sulla distribuzione dei benefici tra il governo e la Banca,
Il Parlamento ha lottato con il problema della stima del valore attuale dello
statuto della Banca. Nel 1781, diversi membri, tra cui Savile, sostennero
che tutti i profitti della banca erano attribuibili al suo statuto. Altri, come
North, Jenkinson e Ewer (Governatore della Banca), sostenevano che una
parte dei profitti le derivavano dalla sua reputazione, dal capitale e dalla
competenza della
squadra dei dirigenti. Chiaramente, alcuni di questi
fattori erono endogeni allo statuto, come alcuni membri hanno sottolineato.
David Ricardo era di questo parere. In un dibattito sul rinnovo dello statuto
del 1800, Ricardo si proclamò del tutto contrario al rinnovo dello statuto,
perché era convinto che ''ogni centesimo fatto dalla Banca sarebbe dovuto
appartenere al pubblico” ( Hansard’s Parliamentary Debates, 1822).
Lo statuto del 1844 istituisce, all’art. 1, un Dipartimento separato per
l’emissione di cambiali e di banconote, il cosiddetto “Dipartimento di
emissione della Banca d'Inghilterra," il quale resta completamente distinto
rispetto da quello di attività bancaria generale.
All’art 10, è stabilito che ” nessuna persona che non sia un banchiere che al
sesto giorno di maggio 1800 e 44 la quale sia stata legittimamente
incaricata di fare o emettere biglietti di banca in qualsiasi parte del Regno
Unito, può emettere banconote”,
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Il percorso operativo e regolamentare della Banca d’Inghilterra
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L’art 11 stabilisce forti restrizioni contro l’emissione di banconote:
“... Non è lecito ad un banchiere per disegnare, accettare, fare o emettere
ogni polizza di nota scambio o cambiali o impegno per il pagamento di
denaro per pagare al portatore su richiesta, o di prendere in prestito, devono,
o prendere, in Inghilterra o Galles, le somme o somma di soldi sulle fatture
o note di banchiere come al portatore su richiesta”.
Lo statuto del 1946 fu “An Act to bring the capital stock of the Bank of
England into public ownership and bring the Bank under public control, to
make provision with respect to the relations between the Treasury, the Bank
of England and other banks and for purposes connected with the matters
aforesaid.”
La Banca, con questo statuto, viene nazionalizzata.
1.4 EVIDENZA QUANTITATIVA.
Gli incentivi che spinsero il Governo alla fondazione e rinegoziazione della
Banca furono anche di natura fiscale. Se l'incentivo fiscale ha guidato il
processo di rechartering, , allora ci si aspetterebbe di vedere una relazione
tra l'attività rechartering e il saldo di bilancio del governo.
La Fig. 1.2 presenta i dati sulla dimensione media del surplus del governo,
misurata come percentuale delle spese, entrate, e il budget totale, come
bene la parte di bilancio destinata alla spesa militare, negli anni precedenti e
seguenti i recharters. In media, il deficit di bilancio è cresciuto negli anni
precedenti i riscadenzamenti.
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Il percorso operativo e regolamentare della Banca d’Inghilterra
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Fig. 1.2: Budget ratios before and after new charters
Fonte: Broz J.L. Grossman R.S., Explorations in Economic History 41 (2004) 48-72
Il disavanzo scende nel corso dell'anno successivo (l'anno precedente il
recharter) per poi aumentare in l'anno in cui è stata concessa la nuova Carta
e declinato negli anni successivi al riscadenza mento. L’ascesa e la caduta
delle variazioni del deficit di bilancio rispecchiano cambiamenti nelle spese
militari.
Anche se la tempistica è piuttosto imprecisa, il quadro generale è chiaro.
Nel periodo precedente un recharter vi era tipicamente un aumento della
pressione fiscale, possibilmente guidato per sostenere spese militari. Gli
anni successivi al re-charter
sono stati caratterizzati da deficit in
calo,essendo il bilancio del governo “rifocillato” dalla Banca. Per valutare
ulteriormente l'idea che la decisione del governo di rinegoziare la banca
fosse guidata da fattori fiscali, sono presentano dati simili per le due
diverse tipologie di rinnovamento: uno per i charter che sono stati rinnovati
meno di due anni prima della data di opzione e un altro per il charter
rinnovato più di dieci anni prima la data di “opzione''.
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Fig.1.3:Budget ratios in early and late recharter
Fonte: Broz J.L. Grossman R.S., Explorations in Economic History 41 (2004) 48-72
Fig 1:4: Surplus to expenditure and budget ratios in early and late recharters
Fonte: Broz J.L. Grossman R.S., Explorations in Economic History 41 (2004) 48-72
Se i rinnovi sono stati guidati
aspetteremmo che i
da ragioni di tipo fiscale, allora ci
recharters fatti più presto coincidano
con una
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Il percorso operativo e regolamentare della Banca d’Inghilterra
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maggiore pressione fiscale rispetto a recharters
fatti più tardi. Infatti,
sebbene l’equilibrio medio di bilancio si sposta verso il disavanzo prima dei
recharter in entrambi i casi, il movimento è molto più pronunciato nelle
rinegoziazioni parecchio antecedenti la data di opzione. Così l’incentivo del
governo a premere per un rinnovamento precoce dello statuto sembra essere
fiscalmente guidato.
L’incentivo per i proprietari della Banca è più difficile da valutare perché
non
sappiamo
molto
circa
la
ricchezza
e
i
costi-opportunità
dei prestiti bancari al governo. Né abbiamo informazioni specifiche
sugli informali sforzi della Banca per avviare una rinegoziazione del suo
statuto. Mentre il governo disponeva dell’ autorità legale a chiedere un
recharter,
la
Banca
veniva
consultata
su
queste
decisioni.
Ma questi registri di questi pre-recharter o non sono stati conservati
o non sono sopravvissuti, per quanto ne sappiamo. Possiamo, tuttavia,
vedere la reazione del prezzo delle azioni di Banca Inghilterra e dei
dividendi ai rinnovi.
Fig. 1.5: Dividends annd price of Bank of England stock.
Fonte: Broz J.L. Grossman R.S., Explorations in Economic History 41 (2004) 48-72
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Il percorso operativo e regolamentare della Banca d’Inghilterra
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Il prezzo delle azioni della Banca diminuiva prima dei recharter e risaliva
in seguito, anche se il modello non è particolarmente diverso tra recharters
precoci e tardivi.
Per recharters tardivi, il calo dei prezzi può riflettere, in parte, l'incertezza
di rinnovamento. La caduta dei prezzi più significativa può riflettere il
deficit di bilancio più grave che ha caratterizzato recharters precoci, e il
timore che il governo non sarebbe stato in grado di far fronte ai propri
obblighi.
Nella maggior parte delle democrazie industriali, importanti istituzioni
costituzionali sono stabilite in modo permanente.
La Banca d’Inghilterra è diventata un’istituzione Costituzionale permanente
nel corso di un secolo e mezzo, nonostante sia stata fondata come
istituzione di carattere temporaneo.
Entro la metà del XIX secolo, tuttavia, la Banca era diventata così ben
consolidata ed importante che il prosieguo della sua esistenza non era più
in dubbio.
Specificando gli incentivi sia del governo e la Banca, nel contesto della
contrattazione in condizioni di incertezza, siamo in grado di scoprire gli
incentivi che hanno permesso l'istituzione a persistere.
Analizziamo i tempi di rinnovamento della Banca d'Inghilterra dopo la carta
iniziale nel 1694, fino all'adozione della legge sulle banche del 1844. La
mia opinione è che i recharters periodici abbiano permesso al governo e
alla Banca di adattarsi alle condizioni mutevoli e alle esigenze di
rinegoziazione del contratto. Scopriamo che i recharters della Banca sono
stati guidato da preoccupazioni fiscali da parte del governo: le guerre e altri
aumenti della spesa tende ad accelerare i rinnovi della Banca. Così, è
chiara la principale motivazione per il governo di procedere ai recharter.
Il governo ha utilizzato il processo di rinnovamento per valutare il valore
del monopolio conferito alla Banca.
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Il valore del monopolio non poteva essere accuratamente previsto al
momento in cui le barriere anticoncorrenziali sono stati istituite. I prezzi
delle azioni persistentemente elevati hanno anche aumentato la probabilità
di un recharter.
La motivazione della banca nel processo di rinegoziazione è più difficile da
analizzare. L’annunciato re charter avrebbe dovuto impattare positivamente
sul prezzo delle azioni della Banca. I dati presentati suggeriscono che come
l’ approccio prospettiva di riscadenza mento provocasse il crollo del valore
delle azioni della Banca. I prezzi delle azioni della banca sembrano
spingere al rialzo grazie a recharters precoci.
1.5 LA BANCA D’INGHILTERRA NEL XX SECOLO.
Gli anni dal 1870 fino al 1914 sono spesso considerati
come un
periodo sereno da un punto di vista di relazioni monetarie internazionali. In
questo periodo si sono avvicendate diverse crisi economico-finanziarie (nel
1890 la crisi di Baring, poi nel 1893 e nel 1907), ma per tutto il periodo le
maggiori banche centrali sono riuscite a mantenere la convertibilità delle
loro valute in oro. Se non fosse intervenuta la guerra nel 1914, il sistema
avrebbe potuto continuare ad operare per decenni . Al centro del sistema
c’è stata Londra (Lindert 1969 descrive la sua importanza), e al centro della
comunità finanziaria di Londra c’era, of course, la Banca d'Inghilterra.
In realtà, nel 1914 la Banca era ancora un istituto privato a scopo di lucro,
ruolo che stava assumendo ufficialmente dalla sua fondazione. Dopo la
pubblicazione di Walter Bagehot di Lombard Street nel 1873, la posizione
della Banca come Banca centrale era diventata ampiamente accettata e
riconosciuta.
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Il percorso operativo e regolamentare della Banca d’Inghilterra
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Essendo Londra al centro della comunità finanziaria internazionale, la
Banca d’Inghilterra in quel momento era chiaramente la banca centrale più
importante del mondo.
Una caratteristica saliente di quel sistema finanziario internazionale era la
sua apparente stabilità.
Bloomfield (1959) sottolinea che i tassi di cambio tra i paesi
sull’ oro erano essenzialmente immutabili; svalutazioni erano una rarità.
Alcune economie possono aver sperimentato una maggiore instabilità
rispetto ad alcune misure di prezzi e produzione dopo la seconda guerra
mondiale; tuttavia, gli aspetti internazionali del sistema sono rimasti stabili.
Gli analisti del pre-1914 hanno sottolineato due spiegazioni di stabilita
internazionale.
Nel breve periodo, se si fossero sviluppati degli squilibri commerciali
(causati forse da shock esogeni), il capitale sarebbe defluito nella direzione
opposta. Questo capitale controcorrente avrebbe avuto luogo a causa degli
effetti di oro flussi sulla domanda di moneta e dei tassi di interesse. Nel
Regno Unito, secondo la letteratura (ad esempio, Clapham 1970; Sayers
1976), tali effetti sul tasso di interesse effetti sono prodotti dalle banche
centrali. Naturalmente, cambi nei flussi di capitali in risposta a variazioni
dei tassi di interesse sono stati principalmente processi di stock-regolazione
dei processi e quindi intrinsecamente, temporanei. Per questo motivo i
flussi di capitale non sono una spiegazione soddisfacente di flussi a lungo
termine. Una volta che gli eventuali adeguamenti di capitale avevano preso
luogo e il capitale aveva smesso di muoversi, deflussi verso l’esterno
dell'oro, originariamente causati
da squilibri commerciali, sarebbero
riapparsi.
Una seconda spiegazione di adeguamento a lungo termine è stato il
meccanismo di price-specie di Hume.
Secondo tale approccio, la spiegazione degli squilibri dei pagamenti
internazionali va ricondotta a variazioni dell'offerta di moneta nei paesi
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coinvolti. Queste a loro volta hanno causato prezzi al cambiamento (verso
l'alto nel paese ricevente i flussi d’oro ,al ribasso del paese da cui l’oro
diparte), e questi cambiamenti dei
prezzi hanno alterato il flusso
internazionale di merci, in modo da eliminare lo squilibrio iniziale. Anche
se non compare nelle analisi di regolazione internazionale prima guerra
mondiale, dopo la guerra le "regole del gioco del gold standard "sono state
applicate a una prescrizione per una specifico ruolo della banca centrale nel
processo di aggiustamento.
Secondo le "regole", le banche centrali avevano il importante ruolo di
facilitazione internazionale di regolazione dei pagamenti,rafforzando gli
effetti di squilibri nei pagamenti per l'economia domestica in modo da
accelerare il processo di adeguamento, o almeno non ostacolando questi
effetti.
Bloomfield ricorda che Nurkse (1944) applica questa definizione alla
periodo tra le due guerre mondiali e sostiene che durante tale periodo le
banche centrali non hanno seguito questo tipo di regole. Bloomfield stesso
ha applicato la definizione di dati annuali nel periodo 1880-1914. Ha
calcolato il numero di volte che ogni banca centrale trasferisce
contestualmente interessi e asset nazionali ed internazionali che attesti la
conformità alle norme, e che è trasferito in direzioni opposte, indicando
violazione delle regole. Ha trovato per tutte le osservazioni un tasso di
conformità del 34 per cento e un tasso di violazione del 60 per cento.
I dati comparabili per la Banca d'Inghilterra nello studio di Bloomfield
sono state 47 per cento e il 50 per cento.
Lo studio di Pippenger di (1974) utilizza una definizione delle regole un po
'come Bloomfield. Riconduce le passività monetarie della Banca
d'Inghilterra sullo stock dell'oro durante il periodo 1890-1908 e trova un
relazione positiva e significativa sui i dati per periodi più lunghi di un mese.
La conclusione di Pippenger è che la Banca ha risposto ai flussi di oro,
modificando l'offerta di moneta in nel medio-lungo periodo ma non nel
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Il percorso operativo e regolamentare della Banca d’Inghilterra
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breve periodo. Tale di lungo periodo, se la risposta fosse sufficiente,
sarebbe in linea con le regole. Bloomfield osserva nella sua descrizione
delle regole che la definizione sopra citato non è affatto l'unico. Un'altra
definizione possibile, che egli non menziona esplicitamente, è che le banche
centrali si astengano da politiche anticicliche.
Secondo le norme, le banche centrali sono state obbligate a mantenere la
convertibilità della loro moneta.
Dato il carattere limitato dei loro strumenti politici, tale obbligo le avrebbe
lasciate con scarsa capacità di perseguire stabilizzazione interna. Inoltre,
l'esercizio dell’ obiettivo di stabilizzazione potrebbe essere interrotto con il
processo di regolazione di lungo termine per eliminare gli squilibri nei
pagamenti.
Bloomfield (1959) dice: "la visione della politica delle banche centrali
come mezzo per facilitare il raggiungimento e il mantenimento della
ragionevole stabilità
del livello di attività economica e dei prezzi era
appena pensato prima del 1914, e certamente non accettata, come un
obiettivo formale della politica ", ma poi continua a notare crescente
consapevolezza e sensibilità sui parte delle banche centrali agli effetti
interni delle loro azioni.
Sayers (1976) nota anche una certa sensibilità della Banca d'Inghilterra per
gli effetti della sua politica in materia di condizioni di business.
Palgrave, in uno scritto nel 1903, si lamenta: "Grande instabilità del tasso di
sconto è una molto pregiudizievole per gli interessi del commercio”.
Se la Banca abbia effettivamente perseguito politiche anticicliche o no,
certamente le possibilità di farlosono state evidenti ai suoi amministratori.
Un problema in fase di test per la politica anticiclica è una possibile
forte relazione negativa tra le riserve e l'attività domestica. Ford (1962) fa
notare che picchi ciclici della domanda di importazioni potrebbero
coincidere con le esportazioni di capitale, con conseguenti richieste di
riserve alla banca centrale. Se le riserve basse portano ad alti tassi di sconto
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della Banca, essa potrebbe sembrare seguire una politica anticiclica senza in
realtà farlo.
Ford, a quanto pare, crede al rapporto indiretto tra il tasso di interesse della
Banca e il tasso di interesse delle attività interne tanto che afferma: "la
Banca non persegue consapevolmente una politica anticiclica nell’ uso del
tasso ufficiale di sconto" (1962).
Un test per possibili effetti separati di riserve, attività domestiche
e
inflazione sulla politica della Banca è quello di includere tutte e tre le
variabili nelle equazioni stimate.
Un altro problema per l'interpretazione degli effetti delle attività domestiche
coinvolge i profitti della Banca. Se l'attività ha spinto in alto l'interesse del
mercato, la Banca potrebbe avere alzato il tasso di sconto per aumentare i
suoi profitti. Tale comportamento, motivato dai profitti, potrebbe apparire
come una politica anticiclica.
Sarebbe difficile discriminare tra politica dei tassi
profit-motivated e
puramente anticiclica.
La maggior parte della letteratura descrittiva dà per scontato che il profitto
era secondario ad altre politiche. In realtà, se la politica della Banca è
anticiclica, sia per motivi più o meno redditizi, la Banca avrebbe infranto le
regole. La necessità di discriminare tra redditività e la stabilizzazione come
motivi non possono essere importanti in fase di test per le violazioni delle
regole.
Nel presente studio, vengono utilizzati i dati mensili disponibili per diverse
serie dal tardo 1880 al 1914 per scoprire come anche le azioni Banca
soddisfano le norme del gioco.
Lo strumento principale di controllo monetario della Banca d'Inghilterra è
stato il suo tasso di sconto, noto come "tasso della Banca". Secondo Sayers
(1976) "La dottrina accettata sia all'interno che all'esterno della Banca era
che la sua più importante azione fosse stata la fissazione del tasso ufficiale
di sconto. "Naturalmente, questo tasso avrebbe avuto l’effetto di influenzare
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i tassi di interesse del mercato. Di conseguenza, la Banca ha dovuto
garantire che i mercati dei capitali a Londra siano da essa dipendenti per
almeno una parte dei loro fondi.”
1.5.1 Il Gold Standard.
Il gold standard è il sistema monetario in cui l'oro svolge le funzioni di
equivalente generale e viene usato in modo diffuso come moneta corrente.
Con questo sistema le monete nazionali erano convertibili in oro. La
coniazione era libera e l’oro, sia in forma di moneta o di oro grezzo, poteva
essere liberamente importato ed esportato. Il tasso di cambio fra le monete
di diversi paesi si manteneva stabile, in quanto poteva variare solo entro una
parità fissa che, oltre alla stabilità dei cambi, assicurava l’equilibrio degli
scambi internazionali.
L'epoca del gold standard comincia nel 1816-21, quando l'Inghilterra, dopo
le guerre napoleoniche, decise di stabilire la convertibilità della cartamoneta
in oro. Successivamente fu seguita da altri paesi, come la Germania nel
1872 e gli Usa nel 1900.
A dir il vero molti grandi paesi consideravano l'argento la moneta
principale, con o senza quella d'oro, e quest'ultima divenne la forma
prevalente di denaro mondiale solo intorno agli anni '60 del XIX sec.
(formalmente nel 1867, in una conferenza tenutasi a Parigi). Questa scelta
non fu condivisa da molti paesi asiatici, che rifiutarono di estromettere
l'argento con l'oro. Nel 1913 Usa, Gran Bretagna e Francia detenevano il
62% della circolazione monetaria mondiale aurifera (3.500 tonnellate),
seguite da Germania e Russia (quest'ultima era sul 7%). Nello stesso anno
le tre maggiori potenze mondiali incidevano per il 51% sulle riserve
centralizzate mondiali, di cui la più cospicua era quella degli Usa (1.900
tonnellate), seguiti da Russia (1.200) e Francia (1.000). Come quantitativi
annuali di oro estratto i primi paesi erano Sudafrica, Usa, Australia e
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Russia.Lo scambio di tutti i tipi di denaro con l'oro al valore mondiale era
assicurato dalle banche centrali, che detenevano le riserve aurifere
nazionali, che, sempre nel 1913, ammontavano, a livello mondiale, a 6,8
miliardi di dollari. Queste Banche non disponevano di riserve reali in
dollari; quasi tutte le riserve erano in sterline, giacenti nelle banche
londinesi. A dir il vero solo alcune monete furono dichiarate direttamente
convertibili in oro (sterlina, dollaro, franco, marco...); altre (p.es. la lira
italiana) non erano direttamente convertibili in oro, ma in monete pregiate
che potevano essere subito riconvertite. Sino alla I guerra mondiale gran
parte del metalli aurifero veniva impiegata per battere moneta circolante,
mentre una quantità identica finiva nei depositi delle banche centrali e del
Tesoro, coprendo sia i crediti che le banconote, passando continuamente
dalle riserve alla circolazione e viceversa. Il contenuto aureo di ogni
moneta, fissato per legge, restava invariato per molto tempo: quello della
sterlina era di 7,322 gr. d'oro puro; quello del dollaro 1,505 gr., per cui la
parità della sterlina in dollari era di 4,867. Una moneta d'oro del valore di 5
rubli, nella Russia zarista, conteneva 87,12 parti d'oro puro, cioè 3,871
gr.Esisteva una reciproca libera convertibilità della valute in base ai corsi di
mercato, che differivano dalle parità ufficiali di circa l'1%. L'import-export
dell'oro non era soggetto a limitazioni di sorta, anche se nella fattispecie
l'oro interveniva solo per chiudere il saldo della bilancia dei pagamenti, in
quanto la stragrande maggioranza dei pagamenti avveniva con semplici
trasferimenti di valuta tra banche. Per esempio la circolazione mondiale dei
pagamenti nel 1894 fu stimata a 20 miliardi di dollari, mentre il movimento
effettivo dell'oro fra i vari paesi fu soltanto di 0,7 miliardi di dollari. Per
garantire il cambio ininterrotto di banconote furono approvate leggi che
obbligavano le banche centrali a tenere sempre nei loro forzieri un
quantitativo d'oro non inferiore ad una certa percentuale di banconote da
loro stesse emesse. Come sistema completo e sviluppato il "gold standard"
cessò di esistere nel 1914. Tuttavia gli Usa lo conservarono fino al 1933,
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allorché Roosevelt impose la soppressione della convertibilità del dollaro in
oro, mentre Francia, Inghilterra e altri paesi cercarono di ripristinarlo in
forma incompleta dopo la I guerra mondiale. Solo negli anni '30 del XX
sec. fu soppresso in tutti i paesi capitalistici e nella circolazione monetaria
interna non sarà più ripristinato. Durante la I guerra mondiale l'Inghilterra
aveva soppresso il gold standard e lo Stato stava concentrando tutto l'oro
del paese nelle proprie casse. Non più convertibile in oro, la sterlina si stava
deprezzando sia verso l'oro che verso le merci e le valute estere stabili. I
magnati della finanza e i politici conservatori, convinti che la sterlina-oro
fosse il principale simbolo dell'impero britannico, decisero di affidare a
Churchill la restaurazione del gold standard nel 1925. Per poterlo fare
bisognava ridurre il livello dei prezzi del paese, elevare il corso della
sterlina sul mercato mondiale, migliorare la bilancia dei pagamenti,
incrementare l'afflusso di oro e limitare l'emissione di banconote. Ma per
ottenere la parità ufficiale della sterlina con l'oro e il vecchio rapporto col
dollaro, il prezzo che venne pagato fu la disoccupazione di massa, forti
decrementi salariali, sensibili riduzioni dei servizi pubblici e inflazione. Il
corso della sterlina risultava artificiosamente elevato e l'export diventava
molto difficile; i prezzi delle merci erano molto più alti di quelli americani,
per cui il deficit della bilancia commerciale e dei pagamenti cominciava a
diventare insostenibile. Nel 1926 la produzione industriale era del 30%
inferiore al livello del 1913 e la disoccupazione interessava il 12% degli
abili al lavoro. Si era praticamente costretti a ridurre drasticamente l'import
di materie prime. In pochi anni la Gran Bretagna degli anni '20 era diventata
l'anello debole dell'economia occidentale. L'intero mercato monetario
mondiale diventava instabile e si pensa che tutto ciò abbia sicuramente
avuto un certo peso sul crollo della borsa di New York nel 1929. E questo
nonostante che l'unico vero gold standard che si riuscì a realizzare
nell'Inghilterra degli anni '20 fu soltanto quello del lingotto, poiché quello
della sterlina-oro era praticamente inesistente: le Banche centrali
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cambiavano le banconote solo contro lingotti d'oro di peso standard (circa
12,5 kg), per cui il diritto reale di permuta spettava unicamente alle banche
private e ai grandi capitalisti. La sterlina comunque conobbe un forte crollo
nel 1931, sotto i colpi della crisi finanziaria mondiale, nonostante che la
riserva aurea inglese superasse di alcune volte quella pre-bellica.
L’Inghilterra fu costretta a sospendere la convertibilità e nel 1934 gli USA
dichiararono che i privati non potevano convertire più i dollari in oro.In
Francia, dove il gold standard resistette sino al periodo 1928-36, i piccoli
tesaurizzatori a volte acquistavano un lingotto del genere attraverso un
gioielliere di fiducia e se lo dividevano con lui. La Francia soppresse il gold
standard quando la borghesia lottava duramente contro il governo di
sinistra del Fronte popolare, guidato dal socialista Léon Blum, per evitare
che si continuassero ad esportare ingenti capitali all'estero. Da notare che se
mentre prima della "Grande Guerra" l'unica vera riserva valutaria era la
sterlina, negli anni '20 il dollaro americano era diventato un forte
concorrente, tant'è che quando le banche centrali dei vari paesi capitalisti
cambiavano le loro rispettive banconote contro valuta estera permutabile in
oro, lo facevano sulla base di ingenti riserve valutarie che non erano più
solo in sterline ma anche in dollari. Tutte queste forme di gold standard
non facevano che togliere l'oro dalla circolazione dei mercati nazionali,
concentrandolo invece nelle mani degli Stati come moneta mondiale, per i
pagamenti finali della bilancia commerciale. Insomma, col primo conflitto
mondiale la maggioranza dei paesi capitalisti smise di coniare monete d'oro
e limitò il cambio delle banconote in oro, cambio che venne meno
definitivamente con la crisi economica mondiale del 1929-33. L'oro cessò
di essere "denaro" nell'economia interna di questi paesi e andò sempre più
accumulandosi nei forzieri degli Stati e delle banche centrali, che lo
usavano come mezzo di pagamento dei debiti internazionali. Il gold
standard venne meno nel momento stesso in cui il capitalismo industriale
stava uscendo dalla sua fase pre-monopolistica, caratterizzata dal dominio
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di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, per entrare, agli inizi del XX sec.,
nella fase monopolistica vera e propria, in cui i paesi di recente
industrializzazione come la Germania, l'Italia, il Giappone e gli stessi Stati
Uniti avevano bisogno di rivedere il loro ruolo nell'ambito dell'economia
mondiale.
La nazionalizzazione, dopo la Seconda Guerra Mondiale, cambiò nel breve
periodo pressoché poco a livello pratico all’interno della Banca che rimase
consigliere del Tesoro, agente e gestore del debito. Durante e per gli anni
successivi la guerra, amministrò i controlli dei cambi e le restrizione sui
prestiti per conto sempre del Tesoro. Tuttavia, una ripresa di interesse per la
politica monetaria durante il periodo di alta inflazione degli anni Settanta
alla fine portò ad una rivalutazione del ruolo della Banca d'Inghilterra.
Nel 1997 alla Banca fu affidato il compito di fissare i tassi di interesse ma
non
più
la
responsabilità
della
gestione
del
Debito
pubblico.
Nel 1997 il governo annunciò la sua intenzione di trasferire la piena
responsabilità operativa della politica monetaria alla Banca d'Inghilterra.
Alla Banca fu data l’indipendenza come una banca centrale e fu inoltre
annunciato che essa non sarebbe stata più responsabile per la gestione del
debito del governo.
Nell'aprile 1998 fu creato l'ufficio per la gestione del debito UK come se
fosse un’agenzia esecutiva del Ministero del Tesoro con il compito di
assumere
la
responsabilità
per
questo
scopo.
Le
funzioni
di
regolamentazione della Banca passarono, così, alla Financial Services
Authority.
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CAPITOLO II
POLITICA MONETARIA
2.1 LA POLITICA MONETARIA DAL 1970 AI PRIMI
ANNI NOVANTA.
2.1.1 Le idee guida alla base della concorrenza e il controllo del credito.
Tra coloro che avevano un ruolo nel reindirizzare la politica nel 1971, tre
gruppi di idee si manifestavano come probabilmente più importanti, e
riguardavano rispettivamente gli obiettivi della politica monetaria e i nuovi
e vecchi metodi per realizzarli.
E‟ importante richiamare che a quel punto la politica monetaria era vista
non in termini monetaristi, ma piuttosto come parte della gestione della
domanda.
Nel giudicare la spinta della politica monetaria nel contesto dei „70, si deve
riconoscere che in periodo di inflazione i tassi di interesse da soli non erano
stati una guida efficace e che alti tassi di interesse non indicavano
necessariamente la politica più adatta; per questa ragione era opportuno
dare uno sguardo anche alla crescita degli aggregati monetari. In generale,
era stato fatto a lungo, per la politica già da tempo focalizzata sul tasso di
crescita dei prestiti bancari. Per un po‟ dopo il 1967 un obiettivo preciso per
l‟espansione del credito interno (domestic credit expansion), era per la
verità stata accettata l‟esempio del Fondo Monetario Internazionale come
un condizione per fornire assistenza finanziaria.
Quindi, sebbene l‟obiettivo della politica era visto come il controllo della
crescita di moneta, nel 1971 questo era vago e impreciso.
Dall‟inizio, l‟enfasi era sull‟ aggregato (M3 o successivamente £M3).
Questa era parzialmente dovuta alla preoccupazione con i prestiti bancari,
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da una parte per la breve esperienza con l‟espansione del credito domestico
ed infine dal vantaggio visto nelle politiche monetarie rispetto quelle fiscali.
Quando l‟espansione divenne rapida nel 1973, fu la crescita dell‟ampio
aggregato che creò allarmismi con il Corset che fu imposto alla fine di
quell‟anno per arrestare tale crescita.
Il secondo importante elemento era il desiderio di porre fine ai controlli sul
credito bancario. Era stata precedentemente sottolineata la critica degli
accordi di cartello delle banche di compensazione di Londra, e questo fu
seguito da un profondo dibattito pubblico che evidentemente influenzò
molto la Banca.
I controlli sul prestito bancario erano visti come concorrenza preventiva e
guidando il business lontano dalle clearing banks e in qualche misura
quindi come inefficaci;
dalla preventiva allocazione dovuta al prezzo,
stavano inoltre creando una misallocation delle risorse. Queste cambiamenti
potrebbero essere stati sopravvalutati, ma i controlli sui prestiti erano visti
come ormai datati.
Quando i controlli
furono aboliti, le
banche
furono d‟accordo
nell‟abbandonare gli accordi di cartello che legava i loro tassi di deposito
con i tassi della Banca: era ugualmente inteso che i tassi di prestito delle
banche avrebbero cessato di essere rigidamente legati al tasso della Banca.
Il terzo elemento della nuova politica era il controllo monetario, già
ottenuto da controllo diretti, avrebbe dovuto ora essere ottenuto attraverso
tassi di interesse. Questo era più di un salto verso l‟ignoto di quanto possa
apparire. Il tasso della Banca era certamente lo strumento ben provato e
tradizionale della Banca Centrale. Ma le fluttuazioni che poteva indurre nel
tasso di interesse di breve periodo erano stati tradizionalmente usati per
influenzare il flussi di capitale di breve periodo, e quindi le riserve o il tasso
di cambio. Ora dovevano essere utilizzati per modificare il tasso di crescita
dell‟aggregato monetario.
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Ciò sarebbe stato possibile, mediante una recente ricerca, per l'evidenza
econometrica al momento suggerita, che il denaro avrebbe potuto essere
controllato da variazioni dei tassi di interesse.
L‟apparente relazione tra crescita monetaria e tassi di interesse, comunque,
si ruppe del tutto dopo il 1971, e non si ripropose.
Altri accordi stipulati nel 1971 necessitano di essere menzionati perché,
sebbene non siano durati, sono stati molto importanti in quel periodo (e lo
schema Corset in seguito si basava su di essi).
Un minimo coefficiente di riserva degli asset era previsto per le banche: a
tutte le banche era richiesto di possedere una quota (12,5%) delle passività
dei loro depositi in sterline in attività specifiche che era normalmente pronta
per la conversione in denaro, attraverso operazioni di mercato aperto o di
prestito.
Accordi già esistenti con i quali la Banca poteva chiedere alle banche di
fare uno Special Deposit, col quale era possibile variare il tasso degli asset
di riserva e, fino al 1976 un notevole aumento del tasso delle banche
centrali era di solito accompagnato da una chiamata di depositi speciali.
Questi accordi furono intesi come un ulteriore mezzo attraverso il quale il
tasso della Banca poteva essere fatto per sortire effetti importanti,
obbligando il sistema bancario a prendere prestiti dalla banca centrale per
ricostruire le sue riserve impoverite.
Se c‟erano diversi modi in cui le banche, dato il tempo di aggiustamento,
potevano fabbricare attività di riserva, i depositi speciali sono stati a volte
probabilmente utili nel rendere i tassi delle banca centrale effettivo. Ma
chiaramente, si sono dimostrati molto meno utili di quanto originariamente
previsto e, insieme al coefficiente di riserva, furono in seguito abbandonati
lasciando le banche (oltre a tutti i requisiti prudenziali) senza vincoli per
quanto riguarda la dimensione delle riserve.
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2.1.2 Sviluppi dopo il 1971.
Il governo conservatore sotto Heath, eletto nel giugno 1970 favoriva
tendenzialmente la rimozione dei controlli;il nuovo regime monetario del
1971 fu stato introdotto da subito in questi termini.
La crescente disoccupazione indusse il governo, contrariamente alle
precedenti intenzioni, ad adottare budget espansivi nel 1972 e 1973.
L‟incalzante espansione nel Regno Unito fu accompagnata da un boom
mondiale e dell'aumento dei prezzi mondiali delle materie prime;il forte
aumento dei prezzi del petrolio arrivò nell'autunno del 1973.
Data l'espansione generale, ci si sarebbe potuti aspettare una più rapida
espansione dell'aggregato monetario. Ma quello che è successo era più di
una risposta puramente passiva, e, anche se lontano dalla sola causa, deve
essere aggiunto alla domanda e all‟inflazione. In due anni, a settembre
1973, M3 cresceva ad un tasso annuo di circa il 25 per cento, ma M1 più
lentamente, del 10 per cento. A metà del 1973 le autorità erano seriamente
allarmate, e nella seconda metà dell'anno il tasso della banca centrale passò
dal 7 per cento al 13 (valore percentuale al quale rimase per oltre un anno).
Poiché non sembrava esserci certezza che la crescita monetaria stesse
rapidamente rallentando, il controllo Corset, fu applicato nel mese di
dicembre e, in effetti, ciò costituiva un ritorno al controllo diretto del
credito. In questa occasione la domanda di credito subì un rapido
rallentamento, e il Corset fu revocato dopo quindici mesi.
Il tasso di cambio effettivo del Regno Unito fu cambiato col riassestamento
generale delle valute nell'ambito dell'accordo Smithsonian del dicembre
1971. Anche se il Regno Unito non aderisce alla Comunità Economica
Europea fino al Gennaio 1973, entra a far parte del Serpente (il precursore
del sistema monetario europeo) come paese candidato nel mese di aprile
1972. Un mese più tardi ha lasciato oscillare il tasso temporaneamente.
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Nel marzo 1973 anche la maggior parte degli altri paesi industriali adottata
il tasso flessibile. Così, per quasi tutto il periodo di questo studio, i tassi di
cambio sono stati flessibili, e dalla metà degli anni 1970 si sono rivelati
essere fortemente instabili. Il tasso effettivo della sterlina, per esempio,
subi‟ un deprezzamento di quasi il 25 per cento tra l'inizio del 1972 e
all'inizio del 1974.
Anche se le politica dei redditi continuò per altri cinque anni, il periodo del
governo Heath era forse arrivato al termine.
Alla fine del 1973, quando i minatori di carbone (in contrasto con la
politica dei redditi in vigore) si opposero agli straordinari, l'industria
lavorava tre giorni alla settimana.
Il governo laburista entra in carica sotto il Wilson nel febbraio 1974 ed è
successivamente rieletto nell'ottobre 1974, e (con il Sig.Callaghan come
primo ministro dopo l'aprile 1976), prosegue fino a maggio 1979. Fu un
governo pieno di guai, e con poco spazio di manovra. Con le piattaforme
petrolifere del Mare del Nord ancora in fase di sviluppo, l'attuale equilibrio
dei pagamenti era in deficit, in un primo momento in grande deficit.
Il tasso di cambio tendeva continuamente a cadere, e in parte come
conseguenza, l'inflazione fu incalzante fino al 1978, con un picco di quasi il
25 per cento nel 1975. Nel 1974e 1975 vi fu un crollo della produzione, sia
nel regno Unito che negli altri Paesi, e un raddoppio della disoccupazione.
La situazione in effetti costrinse il governo a tagliare le spese al fine di
controllare l'inflazione.
Per ciò che concerne la politica monetaria, come per reazione al boom del
1973, il ritmo dei prestiti bancari diminuisce, e nei tre anni 1974-6 la
crescita di M3 era di circa £ 10 per cento l'anno. Anche se questo sembrava
ancora piuttosto rapido, restava comunque inferiore al tasso di inflazione o
alla crescita del PIL nominale.
I tassi di interesse sono stati ridotti abbastanza costantemente fino ad inizio
1976. Questo anno, tuttavia, ha vissuto una grande crisi del tasso di cambio.
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Tra marzo e primi di dicembre il tasso di effettivo cambio è sceso di circa il
20 per cento, e ciò ha necessariamente avuto ripercussioni sulla politica
interna.
La crisi ha inizio perché le autorità sembravano seguire una politica del
tasso di cambio in discesa al margine, la discesa però diviene fuori
controllo. Ragioni menzionate al momento furono l'aumento dei prezzi, che
ha continuato ad essere più rapido che altrove, il continuo deficit dei
pagamenti (con la produzione di petrolio del Mare del Nord ancora
trascurabile), e disagio circa l'entità del debito pubblico. Nessuno di questi
sembra molto significativo, a posteriori, e nessuno avrebbe potuto essere
decisivo.
Come è stato, la perdita di fiducia inibiva la collocazione del debito, che ha
accelerato la crescita dell'aggregato monetario, il quale ha ulteriormente
aumentato il disagio.
La fiducia tornò rapidamente da novembre, quando la promessa di tagli alla
spesa pubblica assicurò un prestito del Fondo monetario internazionale.
In quel contesto, il prestito non era necessario in quel momento: il tasso di
cambio risalì rapidamente, invertendo la metà della sua caduta precedente.
Gli aggregati monetari erano ormai divenuti accresciuta importanza per
essere collocati. Nel mese di ottobre 1976, fu annunciata per la prima volta
una cifra 'target' per la crescita di M3 in sterline.
In questo contesto, con la moneta in senso ampio che sembrava salire
rapidamente,
il
Corset
è
reintrodotto
nel
mese
di
Novembre.
Il primo obiettivo monetario era comodamente soddisfatto.
Ma nei successivi due anni la crescita monetaria tendeva ad essere più
veloce di quella ufficialmente desiderata e il tasso delle banca centrale
(MLR) è cresciuto quasi ininterrottamente, dal 5 per cento nell'ottobre 1977
al 17 per cento nel novembre 1979. Il motivo principale che richiedeva un
aumento dei tassi di interesse (come da commenti ufficiali) era ancora, in
questa fase, il controllo della moneta in senso ampio, e la necessità di
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vendere i crediti con il sottostante (piuttosto che con preoccupazione del
tasso di cambio). La pressione sui prestiti bancari, comunque, stava
iniziando a rafforzarsi. Data la sua apparente insensibilità ai tassi di
interesse, il Corset è stato reintrodotto per la terza ed ultima volta nel
giugno del 1978.
Il governo conservatore formato dalla signora Thatcher nel maggio 1979
propose la politica monetaria come elemento centrale della strategia
economica.
Per certi aspetti la sua eredità fu di pari passo a quella del governo Wilson
che era in carica cinque anni prima. Come allora, si era appena verificato
un altro boom dei prezzi mondiali delle materie prime e, proprio all'inizio,
un altro aumento massiccio del prezzo mondiale del petrolio. Come in
precedenza, la produzione subiva una forte contrazione in questo e in altri
paesi (sia 1980 e 1981), e aumentava la disoccupazione (per oltre 11 per
cento entro il 1982 e oltre il 13 per cento nel 1985). E come prima,
l'inflazione, inizialmente piuttosto bassa (circa l'8 per cento l'anno nel
1978), subisce un‟accelerazione brusca nei primi anni. (Ci volle fino al
1983 per tornare al 5 per cento.).
Ora, però, la bilancia dei pagamenti, con il petrolio del Mare del Nord a
regime pieno, era molto forte e costantemente in attivo corrente e il tasso di
cambio saliva vertiginosamente (nel 1979 e 1980) .
Il controllo della crescita monetaria era ora visto non solo come l'assistenza
nel controllo dell'inflazione, ma come il percorso sufficiente e necessario
per raggiungerlo. Nella speranza di ridurre le aspettative inflazionistiche,
una 'strategia a medio termine' era stata annunciata al ritmo del progressivo
declino della la crescita monetaria per un certo numero di anni a venire.
Il governo favoriva l‟eliminazione dei controlli: i controlli sui cambi furono
aboliti nel mese di ottobre 1979, e il Corset nel giugno del 1980. Ed era
proprio ora, tuttavia, che il credito bancario cominciava ad accelerare
notevolmente - come nel 1971-73.
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Ciò era dovuto all‟avallo, da parte dell‟autorità, della concorrenza
finanziaria.
La crescita dell'aggregato monetario restava significativa, e superava il
target nei primi due anni.
Sotto la strategia a medio termine, le indicazioni sul tasso di crescita
monetaria desiderato sono state date non solo per un anno di anticipo, ma
per tre o quattro. Alla fine del 1986, le autorità si stavano evidentemente
preparando ad abbandonare obiettivi monetari.
Gli apparenti fallimenti del controllo monetario hanno messo in discussione
i metodi utilizzati dalla Banca d'Inghilterra, e hanno portato a un dibattito
continuo
sul
controllo
della
base
monetaria
come
un
metodo
presumibilmente più efficace. Il mancato controllo del credito bancario da
alti tassi di interesse ha anche portato le autorità negli anni successivi a
ricorrere a superfinanziamento, se i prestiti bancari non poteva essere
trattenuto, il suo effetto sugli aggregati ampio potrebbe, in questo modo, per
lo meno essere compensati.
In linea di principio, il tasso di cambio avrebbe dovuto essere lasciato alle
forze di mercato.
In realtà, la politica dei tassi di interesse è stata dettata sempre più non solo
dalla speranza di controllare la moneta in senso ampio, ma anche da
considerazioni sui tassi di cambio e, anche se le motivazioni sono sempre
miste, sembra chiaro che gli aumenti dei tassi delle banche centrali dopo il
1981 siano stati causati principalmente dal comportamento del tasso di
cambio.
Considerazioni relative alla crescita della moneta sono tuttavia rimasti
importanti. Probabilmente è in parte a causa di tali considerazioni che,
nonostante la loro apparente inefficacia, i tassi di interesse sono stati
mantenuti relativamente alti.
Il governo conservatore conseguì risultati importantissimi:
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1) ottenere una consistente riduzione del debito pubblico;
2) restituire efficienza e competitività a imprese che rappresentavano più
del dieci per cento del PIL, davano lavoro a un milione e mezzo di persone
e dominavano i settori vitali dei trasporti, dell'energia, delle comunicazioni,
dell'acciaio e della cantieristica navale. Prima che arrivasse la Tatcher, in
queste imprese si annidavano i germi del parassitismo pubblico, con la sua
mancanza di incentivi a lavorare sodo, ad applicare gli ultimi ritrovati
tecnologici, insomma ad aumentare la produttività. Le privatizzazioni non
sono state, naturalmente, indolori, e hanno portato con sé problemi legali, di
personale e di funzionalità in abbondanza.
Uno dei meriti della Signora di ferro è stato che, facendo da apripista su un
terreno fino a quel momento praticamente sconosciuto (nel senso che i
primi trent'anni del dopoguerra erano trascorsi sotto il segno opposto,
quello delle grandi nazionalizzazioni), ha indicato ai Paesi che, negli anni
successivi, ne hanno seguito l'esempio, le strade più facilmente percorribili.
Se, dopo la caduta del muro di Berlino, i governi più efficienti dell'Est
hanno potuto privatizzare con relativa rapidità l'industria di Stato, è anche
perché disponevano del “modello inglese” da seguire;
3) creare una nuova classe di piccoli azionisti, interessati al buon
andamento non solo delle loro imprese ma di tutta l'economia di mercato.
Per avviare bene l'operazione, il governo fissò per il collocamento azionario
prezzi relativamente bassi, sacrificando l'erario ma beneficiando i cittadini,
in modo da aiutare i risparmiatori a capire i vantaggi del mercato mobiliare
e a persuaderli a partecipare anche alle privatizzazioni successive.
Le privatizzazioni furono infatti un trionfo, non soltanto per il governo, ma
anche per la Borsa. Questo ha portato a un'autentica mutazione psicologica
di massa, nel senso che ha trasformato un popolo ancora diviso in “padroni”
e “lavoratori” in uno con un notevole senso di partecipazione.
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Se oggi gli inglesi si sono buttati alle spalle la fama di cinici sfaticati che li
aveva accompagnati negli anni Sessanta e Settanta, gli anni del grande
declino, è anche grazie all'azionariato popolare che li ha coinvolti
nell'andamento dell'economia più di qualsiasi riforma precedente.
L'opera è poi stata completata con il trasferimento, anche qui a condizioni
molto vantaggiose, di milioni di council houses, di case popolari, ai
rispettivi affittuari, i quali hanno cominciato a prendersene cura e a
riscattare progressivamente interi quartieri dal degrado.
4) Preparare in maniera scientifica il Paese all'era postindustriale, nel senso
di accettare una progressiva eliminazione delle industrie mature (come le
miniere, le acciaierie, il tessile delle Midlands) e favorire al massimo lo
sviluppo del terziario. In questo senso è stato fondamentale il cosiddetto
Big Bang della City, cioè la totale liberalizzazione dei mercati finanziari
che ha dato a Londra un vantaggio pressoché incolmabile sulle altre
piazze.
Il 22 novembre 1990 la Thatcher si dimise da entrambi gli incarichi e Major
le subentrò dopo aver vinto le elezioni per la guida del Partito Conservatore.
Proseguendo la politica di stretti legami con gli Stati Uniti, la Gran
Bretagna fu tra i paesi europei quello più coinvolto nella partecipazione
all‟intervento militare contro Saddam Hussein.
Il governo Major si trovò ad affrontare una crescente crisi economica e
sociale, ma nelle elezioni dell‟aprile 1992 la riproposta di una politica di
defiscalizzazione gli fece riguadagnare la maggioranza nel Parlamento di
Londra. Nel settembre dello stesso anno la sterlina uscì dal Sistema
monetario europeo.
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2.2 OCCUPAZIONE, INFLAZIONE, PIL : TEORIA E
STORIA.
2.2.1 La Disoccupazione
La disoccupazione è la condizione delle persone che, pur essendo idonee a
svolgere un'attività lavorativa e desiderose di lavorare, non trovano
un'occupazione (disoccupazione involontaria).La disoccupazione è un
problema molto serio, causa di povertà e di frustrazione psicologica. Per
questo motivo, il tasso di disoccupazione viene utilizzato come una misura
del benessere dei lavoratori oltre che come indicatore della utilizzazione
delle risorse umane.
La distinzione concettuale fra la disoccupazione volontaria ed involontaria
ha origine nella teoria keynesiana. Quest‟ultima può essere eliminata da un
aumento della domanda aggregata.
La disoccupazione volontaria, invece, non può essere eliminata allo stesso
modo e per la teoria keynesiana non rappresenta un problema. Essa può
essere dovuta al fatto che i disoccupati sono disposti a lavorare, ma solo ad
un salario superiore a quello corrente (cioè al salario che le imprese sono
disposte a pagare). Spesso la disoccupazione involontaria di tipo
keynesiano viene definita anche disoccupazione ciclica, in quanto può
essere riassorbita da un aumento del grado di utilizzazione della capacità
produttiva esistente.
Il periodo di disoccupazione di massa più generalizzato, prolungato e grave
dei tempi moderni fu la Grande Depressione, che seguì al crollo di Wall
Street nel 1929, e creò 14 milioni di senza lavoro negli Stati Uniti, 6 milioni
in Germania e 3 milioni in Gran Bretagna; in Italia, la disoccupazione
crebbe da 300.000 unità nel 1929 a un milione circa nel 1933. L'instabilità
sociale, la migrazione in cerca di lavoro e l'estremismo politico diventarono
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la norma. I decessi per malattie dovute alla malnutrizione aumentarono
sensibilmente in tutto il mondo industrializzato.
La Grande Depressione determinò una svolta nell'affrontare e risolvere il
problema, rappresentata soprattutto dal New Deal del presidente
statunitense Franklin Delano Roosevelt, il quale introdusse negli Stati Uniti
la previdenza sociale, il sussidio di disoccupazione e programmi di lavori
pubblici per utilizzare la manodopera eccedente. La ripresa economica
prodotta da queste misure dimostrò che la disoccupazione peggiorava la
depressione causando una caduta della domanda e che l'erogazione del
sussidio di disoccupazione era un onere molto meno pesante per l'economia
della perdita del potere d'acquisto dei lavoratori disoccupati. La depressione
ispirò a John Maynard Keynes il suo importante saggio, “Teoria generale
dell'occupazione, dell'interesse e della moneta” (1936), nel quale dimostrò
che un'economia depressa sarebbe rimasta tale fino a che la spesa statale
non l'avesse rivitalizzata, anche a costo di provocare grandi deficit di
bilancio.
2.2.2 Tipologie Di Disoccupazione.
Ulteriori specificazioni riguardano la disoccupazione frizionale, strutturale,
stagionale e tecnologica.
La disoccupazione frizionale si ha quando i lavoratori in cerca di impiego
non lo trovano immediatamente: durante la ricerca vengono considerati
disoccupati. L'ammontare della disoccupazione frizionale dipende dalla
frequenza con la quale i lavoratori cambiano lavoro e dal tempo impiegato
per trovarne uno nuovo. Questo tipo di disoccupazione può essere in
qualche modo ridotto da un più efficace servizio di collocamento; un certo
livello di disoccupazione frizionale è comunque ineliminabile.
La disoccupazione stagionale si verifica quando le industrie hanno un calo
di produzione in un certo periodo dell'anno, come il settore edilizio durante
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l'inverno; essa aumenta inoltre alla fine dell'anno scolastico, quando un gran
numero di studenti e laureati cerca lavoro.
La disoccupazione strutturale può presentarsi quando non esiste
corrispondenza fra il tipo di lavoratori disoccupati e il tipo di posti di lavoro
disponibili. Ciò può accadere, per esempio, quando i disoccupati non
possiedono la professionalità richiesta o non sono disposti (o non possono)
trasferirsi nei luoghi dove c‟è mancanza di manodopera. Questa
disoccupazione non può essere riassorbita attraverso un‟espansione della
domanda aggregata; occorrono interventi rivolti a cambiare la struttura
dell‟offerta e/o della domanda di lavoro: per esempio, possono rendersi
necessari corsi di riqualificazione professionale (→ addestramento e
istruzione professionale), oppure incentivi alla mobilità ( o incentivi alle
imprese perché si trasferiscano dove c‟è disponibilità di manodopera).
La disoccupazione tecnologica deriva dall‟introduzione di impianti e di
macchinari che tendono a far risparmiare lavoro per ogni unità di prodotto.
Questo tipo di disoccupazione può essere combattuto introducendo un
maggior numero di macchinari e di impianti con cui sia possibile dar lavoro
a chi ne è rimasto primo, e perciò il processo di accumulazione e di
sviluppo deve essere veloce se si vuole evitare la creazione di
disoccupazione.
2.2.3 Cause, effetti e conseguenze della Disoccupazione.
La disoccupazione può essere il risultato di situazioni diverse, strutturali,
congiunturali, normative.
• DISOCCUPAZIONE STRUTTURALE: la disoccupazione strutturale si
manifesta quando un intero settore produttivo deve sopportare costi di
produzione troppo elevai, tali da porlo fuori mercato perché non più
concorrenziale, per esempio, nei confronti delle imprese che operano
all‟estero. È questo il caso della produzione di certi prodotti intermedi, i cui
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impianti si stanno spostando dai paesi avanzati verso i paesi in via di
sviluppo, come oggi avviene nel settore dell‟acciaio, del petrolio, dei
concimi chimici. Oppure può essere determinata dall‟innovazione
tecnologica, come la meccanizzazione in agricoltura o l‟automazione
nell‟industri. Nel settore del commercio, è strutturale la disoccupazione che,
nell‟economie avanzate, ha origine dalla crisi dei piccoli esercizi
commerciali che vengono sostituiti dalla grande distribuzione (supermercati
e ipermercati).
•
DISOCCUPAZIONE
CONGIUNTURALE:
un‟altra
causa
di
disoccupazione può essere costituita dalla diminuzione della domanda che
si verifica nella fase depressiva del ciclo: le imprese devono in tal caso
ridurre la produzione e l‟occupazione, altrimenti accumulano perdite
insostenibili, che le costringono ad uscire dal mercato.
• CAUSE NORMATIVE: Infine, la disoccupazione può essere causata sia
dalla rigidità dei salari, che non si adeguano alle condizioni del mercato e
rendono difficile l‟incontro tra domanda e offerta di lavoro, sia dagli oneri
contributivi e fiscali a carico delle aziende, che riducono i margini di
profitto.
2.2.4 Teorie Sulla Disoccupazione.
La disoccupazione, le sue cause e le sue conseguenze costituiscono uno dei
principali campi di indagine della scienza macroeconomica.
Le cause della disoccupazione vengono diversamente spiegate dai
keynesiani e dai monetaristi.
Prima della pubblicazione, avvenuta nel 1936, della Teoria generale di John
Maynard Keynes, il fenomeno della disoccupazione veniva spiegato con la
rigidità del mercato del lavoro: secondo questa ipotesi la disoccupazione si
manifesta allorché i salari non scendono in misura sufficiente a consentire
l'equilibrio del mercato. Alla base di tale modello del mercato del lavoro è
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sottesa l'idea di un meccanismo di riequilibrio: in caso di disoccupazione su
vasta scala, le pressioni esercitate dai lavoratori in cerca di occupazione
fanno scendere i salari al livello in cui, da un lato, alcuni di loro sono
costretti a uscire dal mercato (facendo quindi diminuire l'offerta di lavoro)
e, dall'altro, le imprese sono maggiormente disposte a utilizzare il fattore
lavoro in seguito alla riduzione del suo costo, che lo rende più
remunerativo. Tuttavia, la disoccupazione permane quando le rigidità
impediscono al salario di scendere al livello di equilibrio, in corrispondenza
del quale l'offerta e la domanda di lavoro si eguagliano. Una delle cause di
rigidità del mercato del lavoro, ad esempio, è data dall'azione dei sindacati
volta a garantire un minimo salariale.
• SPIEGAZIONE KEYNESIANA: Secondo Keynes la domanda di lavoro
non dipende dal livello dei salari, ma dalle previsioni effettuate dalle
imprese sull‟efficienza marginale del capitale, il cui valore dipende dalle
prospettive di vendita sul mercato. Se le previsioni sono positive, le imprese
assorbono lavoro; se sono pessimistiche, non utilizzeranno le capacità
produttive disponibili e ci sarà disoccupazione. La disoccupazione dipende
quindi da carenza di domanda effettiva. Secondo i keynesiani la
disoccupazione è involontaria, nel senso che i disoccupati sono disposti a
lavorare, ma manca il lavoro.
Secondo gli stessi economisti per combattere la disoccupazione occorre
stimolare la domanda aggregata attraverso politiche espansive, come ad
esempio: favorire gli investimenti attraverso agevolazioni fiscali e
creditizie, creare occupazione attraverso la spesa pubblica.
• SPIEGAZIONE MONETARISTA: Per i monetaristi il mercato del lavoro
è un mercato identico a tutti gli altri mercati: in esso l‟incontro della
domanda e dell‟offerta di lavoro determina il prezzo di equilibrio, cioè il
salario, che uguaglia domanda e offerta di lavoro. La disoccupazione può
esistere solo se, per azione delle forze sindacali, i salari sono superiori al
livello di equilibrio che si formerebbe in un mercato concorrenziale.
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Per ristabilire la piena occupazione è sufficiente liberalizzare il mercato del
lavoro. In tal caso la disoccupazione sarebbe volontaria, perché i lavoratori
rifiuterebbero salari giudicati troppo bassi, e preferirebbero percepire il
sussidio di disoccupazione.
È dannoso versare indennità consistenti e prolungate ai disoccupati, perché
ciò non favorisce il loro reinserimento nel mondo del lavoro.
Il mercato tende automaticamente ad assicurare l‟equilibrio di piena
occupazione, attraverso le variazioni del salario. La disoccupazione dipende
quindi dall‟interferenza dei sindacati, che creando un mercato del lavoro
duopolistico, impedisce le diminuzioni del salario necessarie a ristabilire la
piena occupazione.
Dato che il sistema tende spontaneamente a raggiungere l‟equilibrio di
piena occupazione, qualsiasi intervento dello Stato per ridurre la piena
occupazione è controproducente perché provoca inflazione senza aumentare
stabilmente l‟occupazione. In particolare, sono sconsigliate le politiche
keynesiane, che possono avere successo solo nel breve periodo. Ciò perché
in ogni sistema economico esiste un tasso naturale di disoccupazione, che
varia molto lentamente nel tempo. Secondo Friedman il tasso naturale di
disoccupazione (“naturale” nel senso che è il risultato dell‟azione delle
forze reali presenti in ogni sistema), può essere modificato solo con
politiche che agiscono sul lato dell‟offerta.
Se il governo cerca di combattere la disoccupazione con politiche che
agiscono sulla domanda aggregata, si hanno due effetti:
 le imprese assumono nuovi lavoratori e aumentano la produzione;
 aumentano i prezzi. L‟aumento dei prezzi riduce il salario reale dei
lavoratori, i quali scioperano per ottenere salari più elevati. Le
imprese licenziano allora i lavoratori, divenuti più costosi. La
disoccupazione torna al suo livello originale, ma a un tasso
d‟inflazione più alto.
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Il tasso naturale di disoccupazione varia di paese in paese; negli ultimi anni
è aumentato in tutte le economie industriali e, in generale, tende a salire
quando i sindacati privilegiano le condizioni retributive dei lavoratori e il
mercato è rigido.
Qualsiasi tentativo di spingere la disoccupazione sotto tale livello, tramite
politiche keynesiane espansive, può avere successo solo nel breve periodo,
mentre nel lungo periodo provoca inflazione.
Secondo i monetaristi l‟economia si porta spontaneamente verso la piena
occupazione per l‟operare delle forze di mercato la presenza di frizioni sul
mercato del lavoro comporta tuttavia un certo tasso di disoccupazione, detto
“tasso di disoccupazione di pieno impiego”.
Anche la scuola che fa capo a Arthur Laffer critica la teoria keynesiana
della domanda effettiva, e si concentra sull‟offerta e la produzione.
Secondo Laffer la disoccupazione si vince sostenendo l‟offerta delle
imprese stimolando le capacità territoriali, tramite la riduzione delle
imposte e l‟abolizione dei vincoli posti alle imprese (norme sul
collocamento, sul controllo della qualità a tutela dei consumatori, sulla
tutela ambientale, ecc.). Secondo la scuola dell‟offerta se si diminuiscono le
imposte si ottiene un aumento del gettito per lo stato e un aumento per
l‟occupazione.
La disoccupazione è diversamente spiegata dai keynesiana e dai
neoliberisti. Per i primi lo Stato deve intervenire nel mercato in modo da
assicurare un sufficiente livello della domanda globale; per i secondi il
mercato, lasciato libero di agire assorbe spontaneamente la disoccupazione.
2.2.5 Misure Della Disoccupazione.
Il più diffuso metodo per misurare la disoccupazione fu sviluppato negli
Stati Uniti d'America negli anni Trenta del XX secolo e viene seguito ancor
oggi da molti altri paesi su raccomandazione dell'Organizzazione
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internazionale del lavoro (ILO). Dall'analisi mensile di un campione di
famiglie rappresentanti l'intera popolazione del paese si raccolgono
informazioni circa l'attività di ciascuna persona in età lavorativa. Gli
intervistatori fanno riferimento a una determinata settimana: una persona
che durante quella settimana non abbia lavorato ma stia cercando lavoro
viene considerata disoccupata. Il numero dei disoccupati viene diviso per il
totale delle forze di lavoro (cioè la somma degli occupati e dei disoccupati)
al fine di calcolare il tasso di disoccupazione. In alcuni paesi, anziché per
mezzo di indagini a campione, la stima della disoccupazione viene ottenuta
dai dati rilevati presso gli uffici di collocamento e gli enti preposti ai sussidi
di disoccupazione.
1. IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE è definito come il rapporto fra il
numero dei disoccupati (persone in cerca di occupazione) e il totale della
forza lavoro (popolazione attiva): tasso di disoccupazione = n°. di
disoccupati / forza lavoro
Altri parametri statistici che misurano la dimensione del fenomeno
occupazionale sono:
2. IL TASSO DI OCCUPAZIONE è dato, invece, dal rapporto fra il
numero degli occupati e la popolazione totale: tasso di occupazione = n°. di
occupati / popolazione totale
3. IL TASSO DI ATTIVITA‟ è dato dal rapporto fra le forze di lavoro e il
totale della popolazione: tasso di attività = forze di lavoro / popolazione
totale
In particolare una riduzione del tasso di attività (come si è verificato in
Italia fino agli anni ‟70) può essere causata da diversi fattori, tra cui:
• l‟invecchiamento della popolazione, che fa aumentare il numero degli
anziani, riducendo il numero dei soggetti in età di lavoro sul totale;
• gli atteggiamenti diffusi nella società: molti giovani proseguono gli studi
rimandando il loro ingresso nel mercato del lavoro, come molti lavoratori si
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ritirano dal lavoro prima del raggiungimento dei limiti di età, perché le
pensioni sono ritenute sufficientemente alte;
• la diminuzione degli addetti all‟agricoltura, che ha determinato il ritiro
dal lavoro di molte persone anziane;
Il periodo che seguì alla seconda guerra mondiale fu caratterizzato in
Europa da forti aumenti della disoccupazione conseguenti ai danni che il
conflitto aveva arrecato a molte industrie e al ritorno a casa dei reduci. La
ripresa economica, tuttavia, fu rapida e, negli anni Cinquanta, la
maggioranza dei paesi industrializzati capitalisti presentava bassi livelli di
disoccupazione. Negli anni Sessanta, quando il tasso di disoccupazione
negli Stati Uniti raggiunse una media del 5-6% e in Canada toccò il 7%,
l'Italia era al 4% e tutti gli altri paesi industrializzati dell'Europa
occidentale, al pari del Giappone, registravano tassi del 2% o meno.
Nei paesi in via di sviluppo di Asia, Africa e America latina, un problema
di proporzioni assai gravi è la sottoccupazione, che vede le persone
impiegate solo saltuariamente o per poche ore al giorno o in un lavoro
improduttivo, con un conseguente basso reddito, insufficiente per i propri
bisogni; è il serbatoio della sottoccupazione ad alimentare, nei paesi in via
di sviluppo, la migrazione dalle zone rurali ai centri urbani.
Nei paesi industrializzati, per effetto delle indennità di disoccupazione e di
altre forme di sostegno del reddito, come, in Italia, la cassa integrazione, la
disoccupazione non è più causa di gravi stenti come un tempo. Tuttavia è la
principale causa di povertà e vi sono segni che stia diventando sempre più
difficile da affrontare, specialmente dopo il parziale abbandono delle
politiche keynesiane e l'affermazione del monetarismo quale credo
economico prevalente presso le autorità economiche e monetarie. L'Italia e
la Francia in particolare devono affrontare la sfida di una grave
disoccupazione strutturale apparentemente ineliminabile, mentre altri paesi,
come il Giappone, sembrano capaci di sostenere bassi tassi di
disoccupazione durante le recessioni con manovre economiche che
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sarebbero giudicate paralizzanti da molti altri paesi. Endemico è il problema
della disoccupazione nel Sud d'Italia, dove il divario tra le regioni
meridionali e il resto del paese in termini di sviluppo economico non
accenna a ridursi. Negli Stati Uniti, trascurando differenze sostanziali nei
criteri di calcolo dei disoccupati, si è ottenuta negli anni Novanta una
sostanziale discesa del tasso di disoccupazione con la liberalizzazione del
mercato del lavoro, ma a prezzo di una caduta dei salari più bassi al di sotto
della soglia della povertà.
Il problema dei governi odierni è garantire ai rispettivi sistemi economici i
benefici della flessibilità del lavoro e dell'aumento della produttività e nello
stesso tempo ridurre il numero dei senza lavoro,
abbreviare i periodi di disoccupazione, sostenere il reddito dei disoccupati e
aiutarli a tornare nel mondo del lavoro con riqualificazioni professionali.
2.2.6 Inflazione.
Una spiegazione dell‟inflazione, che possiamo far rientrare nella categoria
dell‟inflazione da costi, è stata proposta nel 1958 dall‟economista inglese
A.W. Phillips che esaminò i rapporti fra inflazione e disoccupazione in
Gran Bretagna nel periodo 1861-1957.
La teoria da lui elaborata, nota con il nome di curva di Phillips, si basa
sull‟osservazione che nel lungo periodo i tassi di aumento dei prezzi
diventano via via minori al crescere della disoccupazione. Cioè, tra
inflazione e disoccupazione esiste una relazione inversa, in quanto aumenti
salariali possono essere facilmente ottenuti dai sindacati in periodi di piena
occupazione, mentre in presenza di notevole disoccupazione il potere
sindacale si indebolisce, e quindi i salari e i prezzi sono stabili.
La curva di Phillips è un grafico che collega il tasso annuo di variazione dei
salari monetari (S) e il tasso annuo di disoccupazione (D), cioè la forza
lavoro disoccupata in percentuale sul totale.
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In sostanza, la curva di Phillips sosteneva che nella società era possibile una
scelta fra una ragionevole piena occupazione ma a prezzi crescenti o prezzi
ragionevolmente stabili ma con una certa disoccupazione. I governi
avevano cioè la possibilità di ridurre la disoccupazione e accrescere il PIL
reale, se accettavano un più alto tasso di inflazione.
Dopo l‟apparizione dello studio di Phillips numerose ricerche vennero
intraprese per tracciare la relazione inversa (trade-off) che collegava i tassi
di variazione dei salari e della disoccupazione nei diversi paesi: in generale
risultava che la curva di Phillips si spostava verso destra, a significare che
con il passare del tempo la piena occupazione implicava tassi di inflazione
sempre più alti.
Anche se le verifiche statistiche della curva di Phillips non avevano dato
risultati completamente soddisfacenti, negli anni ‟60 era diffusa la
convinzione che la società potesse scegliere fra diverse combinazioni di
inflazione e disoccupazione. I teorici keynesiani assunsero la teoria di
Phillips come modalità d‟intervento per raggiungere l‟obiettivo della piena
occupazione: un livello accettabile di inflazione poteva consentire il
raggiungimento di uno sviluppo dell‟occupazione e del reddito.
La crisi monetaria - Verso la fine degli anni ‟60, ulteriori approfondimenti
dimostrarono che la curva di Phillips era altamente instabile a mano a mano
che i periodi esaminati comprendevano gli anni più vicini a noi, la curva si
spostava sempre più in alto a destra, con il significato evidente che la
stabilità monetaria richiedeva tassi sempre più elevati di disoccupazione.
Le rilevazioni statistiche - Le basi teoriche della curva di Phillips vennero
successivamente scosse sia dagli attacchi di Friedman e dalla scuola
monetarista (che negarono la natura permanente del trade-off inflazionedisoccupazione) sia soprattutto dalle statistiche, che rivelarono in tutti i
paesi industrializzati, per gli anni successivi al 1960, una relazione positiva
fra l‟aumento dei tassi di disoccupazione e l‟accelerazione dei tassi di
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inflazione, esattamente il contrario di quanto postulato dalla curva di
Phillips.
Una nuova realtà: la stagflazione – All‟aumentare della disoccupazione,
aumentano anche i prezzi: ciò basta a respingere la curva di Phillips ed il
trade-off che essa presuppone. Oggi si può facilmente constatare che i salari
aumentano anche in presenza di disoccupazione dato il potere che nella
nostra società si riconosce ai sindacati.
In regimi non concorrenziali le imprese trasferiscono sui prezzi dei beni e
dei servizi prodotti gli aumenti dei costi (come già sappiamo, in regime di
libera concorrenza l‟impresa non può modificare il prezzo di vendita);
inoltre, quando la conflittualità nelle imprese è elevata, queste ultime
rallentano gli investimenti, per cui anche la produzione e l‟occupazione
ristagneranno. Il risultato è allora inflazione associata a disoccupazione,
cioè stagflazione (dall‟inglese stagnation e inflation): di essa hanno fatto
purtroppo conoscenza tutti i paesi occidentali negli anni ‟70.
Inflazione e deflazione rappresentano i termini economici utilizzati per
designare, rispettivamente, la diminuzione o l'aumento del valore della
moneta, in rapporto ai beni e servizi che essa può acquistare.
Le cause dell'inflazione possono essere diverse; la più comune consiste in
un aumento della moneta in circolazione, che determina a sua volta un
aumento della domanda dei beni, la cui quantità resta immutata.
L'inflazione si manifesta con un aumento costante del livello dei prezzi, che
provoca una caduta del potere d'acquisto del denaro, creando incertezza e
gravi distorsioni economiche. Storicamente, i continui aumenti dei prezzi
sono stati legati alle guerre, agli scarsi raccolti agricoli e alle turbolenze
politiche.
La deflazione è una prolungata diminuzione del livello dei prezzi e
generalmente è associata a una prolungata riduzione dell'attività economica
e a un'elevata disoccupazione, due fenomeni che caratterizzarono, ad
esempio, la Grande Depressione degli anni Trenta.
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Poiché drastiche e diffuse riduzioni dei prezzi sono diventate alquanto rare,
l'inflazione costituisce oggi la principale variabile macroeconomica e
influenza la pianificazione economica sia privata sia pubblica.
Nei decenni Cinquanta e Sessanta, l‟inflazione è stata un fenomeno di
modesta importanza per i paesi industrializzati tranne che per episodi
particolari. A partire dal 1973 fino ai primi anni ottanta, l‟aumento dei
prezzi ha invece raggiunto tassi molto elevati; i prezzi al consumo in
numerosi paesi industrializzati sono cresciuti a un tasso medio annuo
superiore al 10%, con punte molto alte nei bienni 1974-75 e 1980-81,
durante i quali ( per es. l‟Italia e la Gran Bretagna hanno sperimentato tassi
di crescita dei prezzi al consumo in torno al 20%. È solo con la seconda
metà degli anni Ottanta che l‟inflazione torna, per la generalità dei paesi
industrializzati, a livelli comparabili con quelli degli anni Sessanta (l‟Italia
dovrà aspettare fino alla seconda metà degli anni Novanta).
Aspetti monetari e fiscali dell‟inflazione:
La spiegazione più accreditata dell‟inflazione, sviluppata in tempi recenti
dalla scuola monetarista, sostiene che la crescita dei prezzi tragga origine da
un tasso di espansione degli aggregati monetari eccessivo in rapporto alla
crescita del prodotto reale dell‟economia. Questa analisi appare coerente
con l‟evidenza empirica recente e con importanti episodi storici: l‟esempio
classico fa riferimento alla «rivoluzione dei prezzi» seguita all‟afflusso di
oro e di argento dalle Americhe nel sec. XVI.5. L‟affermazione che
l‟inflazione
sia
un
fenomeno
«essenzialmente
monetario»
deriva
dall‟ipotesi di neutralità di lungo periodo della moneta, ossia dalla
concezione per cui, nel lungo termine, l‟andamento reale dell‟economia (in
termini cioè di prodotto e piena occupazione) dipenda dagli avanzamenti
tecnologici e dalla crescita dei fattori produttivi ( capitale e lavoro) ma non
dall‟evoluzione degli aggregali monetari. Da ciò deriva la conclusione che
una offerta di moneta, mantenuta dalle banche centrali a un livello
costantemente superiore alla quantità necessaria a finanziare le transazioni
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economiche, deve necessariamente tradursi nel corso del tempo,
esclusivamente in una perdurante crescita dei prezzi. Abbiamo di fronte una
versione di quella che viene definita inflazione da domanda che si manifesta
quando lo stato consente che sui mercati del lavoro e dei prodotti pervenga
una domanda di risorse superiore al volume compatibile col pieno impiego
e che, quindi, non può essere soddisfatta in mancanza di capacità produttiva
in eccesso.
Le considerazioni appena esposte sul legame fra moneta e inflazione hanno
un orizzonte temporale di lungo termine e di conseguenza per una verifica
empirica si deve far uso di dati medi su periodi pluriennali. In effetti
prendendo in esame dati di questo tipo sulla crescita degli aggregati
monetari e sul tasso di inflazione, per gran parte dei paesi si può notare che
queste grandezze vanno approssimativamente di pari passo e che i paesi
caratterizzati in media da maggiore espansione monetaria presentano, in
media, più elevata inflazione. L‟ipotesi monetaria appare dunque
confermata come fenomeno di lungo periodo.
2.2.7 Inflazione E Disoccupazione.
Se su archi di tempo piuttosto lunghi il legame tra moneta e prezzi appare
robusto e quindi l‟inflazione appare fenomeno essenzialmente monetario,
nel breve periodo variazioni dell‟offerta di moneta, lungi dal riflettersi
esclusivamente sui prezzi, influenzano anche le variabili reali come il
prodotto dell‟economia e il livello della disoccupazione.
In relazione a questi temi nel corso degli anni Sessanta si era determinata
una notevole unanimità teorica. La teoria si basava sulla curva di Phillips.
La stessa prevedeva che nel determinare le richieste retributive i lavoratori
si basino sulle aspettative di quello che sarà, nel periodo di validità degli accordi salariali, il tasso di inflazione. Ciò che realmente sta a cuore ai
lavoratori è infatti il salario reale ossia il potere d‟acquisto del salario
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monetario. Negli anni Cinquanta e Sessanta l‟inflazione si era mostrata
molto bassa cosicché le aspettative degli operatori economici, basate
sull‟esperienza storica, erano per un‟inflazione praticamente nulla. Su
questa considerazione, ossia aspettative di prezzi stabili, si basò quindi la
curva di Phillips, secondo la quale aumenti dei salari nominali
corrispondevano a un‟attesa di uguali aumenti dei salari reali.
L‟implicazione di politica economica che si trae da questa teoria è che il
governo, con appropriate politiche fiscali e monetarie, può ridurre la
disoccupazione al costo di un tasso di inflazione più elevato. La nuova
posizione conseguita dall‟economia sarà stabile, ossia caratterizzata, oltre
che da un livello più elevato di attività produttiva, da un tasso di inflazione
che, pur se più alto, non mostra tendenza ad accelerare. Queste conclusione
poggia però sulla premessa molto fragile, di cui si diceva sopra, secondo la
quale, pur di fronte a un‟inflazione persistente, i lavoratori continuano ad
aspettarsi prezzi stabili e non richiedono aumenti salariali, nei nuovi
contratti di lavoro, tali da far recuperare loro il potere d‟acquisto eroso dalla
passata crescita dei prezzi.
2.2.8 Il Tasso Naturale Di Disoccupazione.
L‟idea che il governo possa, con politiche espansive, aumentare stabilmente
il tasso di espansione dell‟economia appare alquanto lontana dall‟attuale
modo di pensare degli economisti. Questo atteggiamento, così radicalmente
diverso rispetto alla situazione degli anni Sessanta, può essere spiegato in
base al concetto di tasso naturale di disoccupazione sviluppato nel 1968 da
M. Friedman, il padre della scuola monetarista, in un influente articolo
volto a contestare la logicità della teoria basata sulla curva di Phillips.
L‟analisi di Friedman trovò potente supporto negli avvenimenti che si
verificarono a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, quando si osservarono
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tassi di inflazione molto più elevati di quanto fosse possibile spiegare sulla
base della curva di Phillips.
L‟idea del tasso naturale di disoccupazione ha subito numerosi
approfondimenti nel corso del tempo; un modo di coglierne le
caratteristiche principali è definirlo come il tasso di disoccupazione a cui si
associa, da parte dei lavoratori, la richiesta di un salario reale coerente con
le retribuzioni reali che le imprese sono disposte a pagare. Poiché questo
tasso di disoccupazione è influenzato sia dalle istituzioni della contrattazione salariale, sia dal contesto in cui le imprese fissano i prezzi, cioè
da elementi strutturali dell‟economia, alcuni studiosi preferiscono definirlo
tasso strutturale di disoccupazione.
Le implicazioni di questo concetto possono facilmente essere comprese se
si suppone che il governo decida di ridurre la disoccupazione al di sotto del
tasso naturale, giudicato troppo elevato, con politiche monetarie o fiscali
espansive. Di fronte a un aumento della domanda di beni generata dalle
politiche espansive, le imprese sono incentivate a espandere la domanda di
lavoro e la produzione; i maggiori posti disponibili permettono di ridurre la
disoccupazione. Ma siamo ora a un livello di disoccupazione al quale le
richieste salariali reali dei lavoratori e quanto le imprese sono disposte a
pagare non coincidono. Gradualmente la maggior forza contrattuale dei
lavoratori, dovuta alla minore disoccupazione, spinge verso l‟alto i salari e,
dato il sentiero di crescita della produttività, il costo del lavoro. Le imprese,
per salvaguardare i propri profitti, traslano i maggiori costi sui prezzi,
provocando un incremento del tasso di inflazione. Questo era lo scenario
disegnato anche dall‟originaria curva di Phillips. Ora però si tiene conto,
realisticamente, del fatto che in presenza di inflazione i lavoratori, prima o
poi, si accorgeranno che i prezzi stanno crescendo e adegueranno di
conseguenza le loro aspettative inflazionistiche. Ciò comporta nuove
richieste di aumenti salariali per tener conto della maggiore inflazione
attesa, cui le imprese rispondono con nuovi rialzi dei prezzi. Si viene a
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determinare
quella
che
viene
definita
una
spirale
prezzi-salari,
accompagnata da continui adeguamenti verso l‟alto delle aspettative
inflazionistiche. Risulta da questa analisi che se il governo vuole mantenere
permanentemente l‟economia a un livello di disoccupazione inferiore a
quello naturale deve generare una continua accelerazione del tasso di
crescita dei prezzi. Diversamente da quanto si riteneva sulla base del
modello della curva di Phillips originaria, il costo per conseguire una
minore disoccupazione non è semplicemente un maggiore tasso di
inflazione bensì un continuo aumento nel tempo di questo tasso. In altri
termini la curva di Phillips, quando si tenga conto esplicitamente delle
aspettative
inflazionistiche,
individua
una
relazione
fra
tasso
di
disoccupazione e accelerazione dell‟inflazione. Ciò significa altresì che non
è possibile in pratica mantenere la disoccupazione permanentemente al di
sotto del tasso naturale poiché l‟accelerazione dell‟inflazione costringerà
prima o poi il governo a interrompere le politiche espansive.
L‟economia si riporterà quindi nuovamente al tasso naturale di
disoccupazione: l‟unico tasso dove la coerenza fra richieste salariali reali e
il salario reale che le imprese sono disposte a pagare garantisce l‟esistenza
di un tasso di inflazione che rimane costante, seppure a un livello più
elevato di quanto fosse prima dell‟attuazione delle politiche espansive, a
causa delle aspettative inflazionistiche che si sono innestate nel sistema
economico. È per questo motivo che il tasso di disoccupazione naturale
viene indicato anche con l‟acronimo inglese NAIRU, a significare tasso di
disoccupazione associato a inflazione che non accelera. È utile ribadire che,
diversamente dalla disoccupazione che torna al suo livello naturale, il tasso
di crescita dei prezzi, invece, non si riporta al livello iniziale; le aspettative
originatesi nel sistema creano un‟inflazione inerziale. In altri termini si crea
una spirale prezzi-salari capace di autoriprodursi: l‟inflazione, una volta
incorporata nel sistema economico, va avanti da sola.
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Dal ragionamento sopra sviluppato si può dedurre che la relazione fra
disoccupazione e inflazione cambia con lo svilupparsi del processo
inflazionistico stesso. Per es., è plausibile ritenere che in situazioni di forte
inflazione gli operatori cercheranno di migliorare al massimo le proprie
capacità di previsione sull‟andamento futuro dei prezzi, in modo tale da non
venire indotti in errore nel valutare l‟andamento dei profitti e dei salari
reali. Ciò comporta che gli effetti di politiche espansive dei governi si
rifletteranno sempre più velocemente sui prezzi e sempre meno
sull‟occupazione.
Per di più un elevato processo inflazionistico può determinare anche
cambiamenti
istituzionali,
come
l‟instaurazione
di
clausole
di
indicizzazione, che a loro volta intensificano gli effetti sull‟inflazione di
politiche economiche volte a ridurre la disoccupazione.
2.2.9 Esempi storici.
Esempi di inflazione e deflazione si sono verificati nel corso della storia,
ma non si dispone di dati che consentano di misurarne l'andamento prima
del Medioevo. Gli storici hanno identificato tra il XVI e il XVII secolo in
Europa, un lungo periodo d'inflazione dai valori compresi tra l'1 e il 2%,
quindi abbastanza modesti se comparati a quelli della nostra epoca. È di
questo periodo infatti una delle prime formulazioni della “teoria
quantitativa della moneta” che si deve alla Scuola spagnola di Salamanca,
un gruppo di teologi e giuristi che rinnovarono la dottrina tomista in
economia.
Fenomeni inflattivi più significativi si manifestarono durante la guerra di
indipendenza americana, quando i prezzi negli Stati Uniti aumentarono
mediamente dell'8,5% al mese, e durante la Rivoluzione francese, quando
aumentarono del 10% al mese. Queste impennate relativamente brevi erano
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seguite dall'alternarsi di lunghi periodi di inflazione e deflazione, diffuse a
livello internazionale e legate a precisi eventi politici ed economici.
In confronto ad altri periodi storici, gli anni successivi alla seconda guerra
mondiale si caratterizzarono, in molti paesi, per i livelli di inflazione
relativamente elevati e verso la metà degli anni Sessanta si manifestò una
tendenza all'inflazione cronica in molti paesi industrializzate. Dal 1965 al
1978, ad esempio, i prezzi al consumo statunitensi aumentarono
mediamente del 5,7% all'anno, con una punta del 12,2% nel 1974. In Gran
Bretagna l'inflazione toccò un picco del 25% nel 1974, in seguito alla crisi
del petrolio del 1973. Altre nazioni industrializzate registrarono un'analoga
accelerazione nell'aumento dei prezzi, ma alcuni paesi, come la Germania
Occidentale, evitarono l'inflazione cronica. Considerando l'integrazione di
molti paesi nell'economia mondiale, questa diversità di risultati rifletteva la
relativa efficacia delle politiche economiche nazionali.
La tendenza inflazionistica si invertì tuttavia nella maggior parte dei paesi
industrializzati verso la metà degli anni Ottanta. Politiche fiscali e
monetarie statali d'austerità iniziate nella prima parte del decennio,
sommate a rapidi declini dei prezzi mondiali del petrolio e delle materie
prime, riportarono il tasso di inflazione al 4% circa. In Italia, invece, la
spirale inflazionistica che aveva toccato punte del 20% circa, costringendo
la lira a uscire dallo SME nel 1992, fu bloccata soltanto alla metà degli anni
Novanta.
2.2.10 Tipi Di Inflazione.
L‟inflazione strisciante si verifica quando la tendenza al rialzo dei prezzi è
graduale e irregolare, ossia è contenuta mediamente entro pochi punti
percentuali all'anno. Essa non viene considerata una seria minaccia e può
addirittura stimolare l'attività economica: l'illusione della crescita del
reddito personale può infatti incoraggiare il consumo; l'investimento
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edilizio può aumentare in previsione di una futura rivalutazione dei prezzi;
l'investimento in impianti e attrezzature può accelerare, giacché i prezzi
salgono più rapidamente dei costi e i debitori (privati, imprese, enti
pubblici) prevedono che i prestiti saranno ripagati con denaro che avrà un
potere d'acquisto potenzialmente minore.
Un
problema
maggiore
è
rappresentato
dall'inflazione
cronica,
caratterizzato da un aumento dei prezzi molto maggiore, con tassi annuali
che vanno dal 10 al 30%, ma possono anche raggiungere e superare il
100%. L'inflazione cronica si avvia a diventare permanente e tende sempre
più a salire con l'accumularsi della distorsione economica e delle previsioni
negative; altera inoltre il normale svolgimento delle attività economiche: i
consumatori acquistano beni e servizi per evitare prezzi più alti in futuro; la
speculazione edilizia aumenta; le aziende si limitano agli investimenti a
breve termine; gli incentivi a risparmiare, a stipulare assicurazioni, a
costituirsi pensioni e ad acquistare obbligazioni a lungo termine si riducono
in quanto l'inflazione diminuisce il loro futuro potere d'acquisto; i governi
espandono rapidamente le spese in previsione di entrate inflazionate,
mentre i paesi importatori, svantaggiati sul terreno della concorrenza, sono
costretti a ricorrere al protezionismo e al controllo dei cambi.
Una forma di inflazione storicamente importante nel periodo del
bimetallismo o del regime monetario aureo fu lo svilimento, che consisteva
nel ridurre la quantità di metallo prezioso nelle monete metalliche in corso.
Questa pratica, se da una parte assicurava guadagni allo stato, dall‟altra
provocava un aumento dei prezzi.
2.1.11 L’Iperinflazione.
Nella forma più estrema, l'aumento cronico dei prezzi diventa iperinflazione
e causa la crisi dell'intero sistema economico. L'iperinflazione verificatasi
in Germania in seguito alla prima guerra mondiale, ad esempio, fece sì che
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il volume della moneta circolante si espandesse di oltre 7 miliardi di volte e
i prezzi aumentassero 10 miliardi di volte durante i 16 mesi che
precedettero il novembre del 1923. Altri fenomeni di iperinflazione
colpirono Unione Sovietica e Australia dopo la prima guerra mondiale;
Ungheria, Cina e Grecia nel secondo dopoguerra; diversi tra i paesi
cosiddetti in via di sviluppo nel corso degli anni Ottanta.
In regime di iperinflazione la crescita della quantità di moneta e del credito
risulta esplosiva, distrugge ogni legame con i valori reali e obbliga la
popolazione a ricorrere a complicate forme di baratto. I governi tentano di
coprire le spese in continuo aumento espandendo rapidamente l'offerta di
moneta, ma questo modo di finanziare i disavanzi (o deficit) di bilancio
aggrava la spirale dell'inflazione e compromette la stabilità economica,
sociale e politica.
2.2.12 Inflazione, Perturbazione Dal Lato Dei Costi E Stagflazione.
Abbiamo parlato finora di inflazione da domanda (con l‟economia che
viene spinta a un tasso di disoccupazione inferiore a quello naturale) che si
trasforma poi in inflazione inerziale. Lo schema sopra presentato è tuttavia
abbastanza generale da poter spiegare anche gli effetti di altri tipi di
perturbazioni sul tasso di inflazione.
Si allude, in particolare, a quegli shock che influenzano direttamente i costi
delle imprese e che vanno a definire il fenomeno che prende il nome di
Inflazione da Offerta. Uno dei principali riferimenti storici è dato dalla crisi
del 1973-74 e 1979-80 che hanno visto crescere in modo eccezionale il
prezzo del petrolio, ma analoghi effetti possono derivare, per es., dalle
conseguenze sui costi di produzione della svalutazione del cambio. In tali
condizioni le imprese per salvaguardare i profitti offrono i propri prodotti a
prezzi più elevati (aumentano il margine di profitto sui salari). I lavoratori
per mantenere inalterato il proprio potere d‟acquisto chiedono aumenti
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salariali (aumenti che possono essere automatici se sono presenti clausole di
indicizzazione salariale).
La crescita del costo del lavoro induce quindi le imprese ad aumentare
nuovamente i prezzi: si determina una spirale prezzi-salari che, con
l‟instaurarsi
di
dell‟inflazione.
aspettative
Ciò
inflazionistiche,
significa
che
causa
all‟iniziale
l‟accelerazione
tasso
naturale
di
disoccupazione le richieste salariali dei lavoratori non coincidono più con
quanto le imprese sono disposte a concedere. Per rendere coerenti i
comportamenti di lavoratori e imprese è necessario che la disoccupazione
aumenti: l‟effetto delle perturbazioni dal lato dei costi (definite anche
perturbazioni da offerta) è di aumentare il tasso naturale di disoccupazione.
In altri termini, per arrestare l‟accelerazione dell‟inflazione occorre che
l‟economia
raggiunga
il
nuovo,
più
elevato,
tasso
naturale
di
disoccupazione. Poiché nel tempo impiegato per raggiungere il nuovo tasso
di disoccupazione quest‟ultimo è inferiore al tasso naturale, l‟inflazione
aumenta e si alimentano aspettative inflazionistiche. Una volta giunti al più
elevato tasso di disoccupazione naturale, la maggiore di-soccupazione sarà
associata
a
un‟inflazione
inerziale,
determinata
dalle
aspettative
inflazionistiche generatesi durante la fase di aggiustamento. La coesistenza,
estremamente negativa, dei due mali, elevata inflazione e forte
disoccupazione, viene definita stagflazione. Tale situazione si è verificata
nella seconda metà degli anni Settanta e primi anni Ottanta, quando il tasso
di disoccupazione per i paesi sviluppati ha raggiunto un valore medio più
che doppio rispetto a quello della fine degli anni Sessanta e l‟inflazione ha
continuato ad essere caratterizzata da una dinamica estremamente elevata.
2.2.13 Isteresi E Disoccupazione Europea.
Perturbazioni da offerta di segno opposto rispetto a quelle appena discusse ci riferiamo alla caduta del prezzo del petrolio (controshock petrolifero,
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1986) - e le politiche antinflazionistiche messe in cantiere dai governi nel
corso degli anni Ottanta avrebbero dovuto riportare le economie occidentali
verso le combinazioni di inflazione e disoccupazione prevalenti prima degli
shock da offerta degli anni settanta-ottanta. Mentre ciò sembra essersi
verificato per gli USA, in Europa un‟inflazione ormai stabile e
relativamente bassa (intorno al 3%) si associava, alla fine degli anni
Novanta, con una disoccupazione media intorno al 10%. di gran lunga
superiore a quella dell‟ inizio degli anni Settanta. Poiché il tasso di
inflazione appare costante, l‟interpretazione che si da di questa situazione è
di un consistente aumento, in Europa, del tasso naturale di disoccupazione.
Per spiegare questo comportamento si è fatto ri-corso al concetto di isteresi,
per il quale l‟esistenza stessa di disoccupazione di massa crea le condizioni
del suo perdurare. Si sostiene, per es., che lavoratori a lungo disoccupati
trovino sempre maggiori difficoltà nell‟essere assunti dalle imprese che li
giudicano inadatti alle nuove tecnologie. Di conseguenza essi finiscono per
non pesare nella determinazione del salario: a parità di disoccupazione la
dinamica salariale sarà dunque maggiore, rendendo più elevato il tasso di
disoccupazione naturale.
Risulta chiaro che le perturbazioni da offerta rappresentano fenomeni
estremamente problematici per le politiche economiche: non solo si
sperimentano tassi di inflazione elevati ma la stessa disoccupazione di
equilibrio aumenta. La situazione si aggrava ulteriormente se il tasso di
disoccupazione naturale è caratterizzato da isteresi, come sembra essersi
verificato in Europa: in questa situazione, anche una volta esauritosi lo
shock inflazionistico rimane nel sistema economico la pesante eredità di
una disoccupazione d‟equilibrio permanentemente più elevata. L‟unica nota
ottimistica è che, se fenomeni di isteresi sono presenti sul mercato del
lavoro, vi potrebbe essere la possibilità che in Europa politiche espansive
possano avere effetti positivi sull‟occupazione, senza generare eccessivi
costi inflazionistici, nella misura in cui il meccanismo dell‟isteresi si
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manifesti anche in senso opposto; purtroppo su questa possibilità non si è in
grado di fare previsioni attendibili.
2.1.14 Cause Dell’inflazione.
L'inflazione da domanda si verifica allorché la domanda aggregata supera le
scorte disponibili, forzando aumenti dei prezzi e incrementando le spese per
salari e materie prime e i costi d'esercizio e finanziari.
L'inflazione da costi (da offerta) si verifica quando i prezzi aumentano per
coprire le spese totali e mantenere margini di profitto. Una diffusa spirale
costo-prezzo si presenta, a lungo andare, non appena gruppi e istituzioni
rispondono a ogni nuova tornata di aumenti. La deflazione appare quando
gli effetti della spirale si invertono.
Per spiegare le variazioni degli elementi fondamentali della domanda e
dell'offerta, gli economisti hanno indicato tre fattori:
a) la quantità disponibile di moneta. I sostenitori del monetarismo ritengono
che le variazioni nel livello dei prezzi riflettano quelle nell'offerta di
moneta. Essi suggeriscono che, per creare prezzi stabili, l'offerta di moneta
dovrebbe aumentare a un tasso stabile commisurato alla reale capacità
produttiva dell'economia.
I detrattori di questa teoria ribattono che le variazioni nell'offerta di moneta
sono una risposta ad aggiustamenti dei livelli dei prezzi, e non la causa
degli stessi.
b) il livello aggregato del reddito. La teoria dell'inflazione dell'economista
inglese John Maynard Keynes si basa invece sul livello aggregato del
reddito. Secondo la scuola keynesiana, sono le variazioni nel reddito
nazionale che determinano i tassi di consumo e investimento; pertanto, le
spese statali e le politiche di imposizione fiscale dovrebbero essere
utilizzate per mantenere una piena produttività e alti livelli di occupazione.
L'offerta di moneta dovrebbe venire regolata in modo da finanziare il livello
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desiderato di crescita economica evitando crisi finanziarie e alti tassi di
interesse che scoraggiano il consumo e l'investimento. Le spese statali e le
politiche fiscali possono venire utilizzate per sconfiggere inflazione e
deflazione regolando la domanda e l'offerta.
c)un insieme di elementi che deprimono la produttività. Una terza teoria si
concentra su taluni fattori suscettibili di erodere la produttività, quali, ad
esempio: mutamenti nella composizione ed età della forza lavoro;
l'eccessiva proliferazione di regolamentazioni pubbliche; il dirottamento di
investimenti di capitale a usi improduttivi; la crescente scarsità di alcune
materie prime ecc.
2.2.15 Inflazione e Disoccupazione nel Regno Unito.
Dalla fondazione della Banca nel 1694, nel corso di circa trecento anni, il
tasso medio di inflazione in Gran Bretagna è stato dell‟1,4%.
Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, l'inflazione ha
registrato una media del 6% e tra il 1965 e il 1980 una media non inferiore
al 10,3% (vedi fig. 1). Dal 1945 i prezzi sono aumentati più di venti volte.
Una strisciante inflazione nel 1950 e nei primi „60 ha portato alla rapida
inflazione dei „70, raggiungendo un picco del 27% nel mese di agosto
1975, prima di una graduale disinflazione tra il 1980 e il 1990.
Dopo la guerra l'inflazione è stata in linea con l'esperienza passata. Ha
riflettuto una tesi, al tempo sostenuta da molti economisti sia all'interno
che all'esterno del governo,che la politica monetaria potrebbe sfruttare il
trade-off di lungo periodo tra inflazione e produzione (King, 1996).
L'assenza di un regime monetario credibile è mostrata dall'instabilità della
curva di Phillips di breve periodo, come si nota nella fig. 2, nel periodo
post-bellico. Per il periodo post-bellico nel suo insieme, non c'era un tradeoff di lungo periodo tra disoccupazione e inflazione, né un tasso stabile
naturale di disoccupazione (vedere il pannello inferiore della figura 2.1).
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Fig. 2.1 Inflazione nel regno Unito, 1945- 96. l‟inflazione è misurata come l‟aumento annuale dei
prezzi al consumo ( esclusi gli interessi su prestito).
Fonte : M. King, Journal of Monetary Economics 39(1997)
Negli ultimi vent‟ anni, la politica monetaria nel Regno Unito è stata la
ricerca di un framework che avrebbe fornito sia un punto fermo per il livello
dei prezzi e sia credibilità dell‟impegno del governo a limitare l'inflazione.
Nel 1970 sono stati introdotti obiettivi per gli aggregati monetari prima per
moneta in senso ampio e, successivamente, per il denaro in senso stretto.
Grandi e imprevedibili cambiamenti hanno portato all‟abbandono di questi
obiettivi a metà degli anni 1980. L'attenzione passa al tasso di cambio,
prima con un target informale contro il marco tedesco (DM) e poi con la
piena adesione al meccanismo di cambio (ERM), il cui fine era la riduzione
della variabilità del tasso di cambio tra le valute europee con l‟obiettivo
finale di stabilità monetaria.
La Gran Bretagna aderisce al meccanismo di cambio nel mese di ottobre
1990 ed è costretta ad abbandonare la sua appartenenza all‟ERM due anni
più tardi, il 16 settembre 1992.
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Durante questo periodo il conflitto tra i vincoli interni ed esterni è diventato
sempre più grave. Alla fine degli anni 80 l‟aumento dell‟inflazione provocò
un incremento del 15% dei tassi a breve termine. Questo determinò, con
ritardo, una forte disinflazione.
Dopo essere entrata negli ERM, considerazioni di politica interna
sottolinearono la necessità di abbassare i tassi di interesse nominali, ma le
conseguenze della riunificazione tedesca ponevano un dilemma per il
meccanismo di cambio nel suo complesso.
In seguito a tale shock per l'economia tedesca, un aumento del tasso di
cambio reale era necessario al fine di riequilibrio della produzione rispetto
alle esportazioni nette in modo da poter soddisfare la maggiore domanda
interna derivante dalla unificazione.
L'aggiustamento richiesto del tasso di cambio reale avrebbe potuto essere
determinato sia da un apprezzamento del Marco Tedesco all'interno degli
ERM sia da un aumento dell'inflazione in Germania o altrove.
Il sistema nel suo complesso non è riuscito a realizzare il primo obiettivo, e,
con l'impegno di stabilità dei prezzi in Germania, il secondo avrebbe
potuto essere raggiunto solo con bassissima inflazione nei paesi partecipanti
agli ERM.
In assenza di un apprezzamento del Marco, i tassi di interesse tedeschi sono
stati aumentati, e il livello dei tassi di interesse di breve termine,in linea con
l'adesione agli ERM, era più alto di quanto fosse appropriato per
l‟economia nel Regno Unito.
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Fig. 2.2: Trade off inflazione - disoccupazione nel Regno Unito 1950-1996.
Fonte : M. King, Journal of Monetary Economics 39(1997)
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Dopo la dipartita
dagli ERM, si mostrò necessario basare la politica
monetaria su un appropriato obiettivo interno. Dopo diversi confronti tra il
Tesoro e la Banca d'Inghilterra, un nuovo quadro di politica monetaria fu
annunciato nel mese di ottobre 1992.
Esso si poggiava su due elementi chiave. Il primo era un obiettivo di
inflazione esplicito. Il secondo era un grado di trasparenza e responsabilità
senza precedenti nella storia del Regno Unito monetaria, di cui i segni più
visibili sono l’Inflation Report della Banca d'Inghilterra e la pubblicazione
dei verbali degli incontri monetaria mensili tra il Cancelliere dello
Scacchiere e il Governatore della Banca d'Inghilterra. Il secondo elemento è
cruciale per il funzionamento del primo. Questo perché la trasparenza e la
responsabilità sono considerate come parte di un tentativo consapevole di
dare incentivi alla Banca in modo tale che i suoi pubblici consigli potessero
aumentare la credibilità della politica monetaria.
2.3 L’INFLATION TARGETING.
Seguendo l'esempio di Nuova Zelanda e Canada, il Regno Unito, nel 1992,
ha introdotto un obiettivo di inflazione nel mese di ottobre 1992. Lo scopo
finale era di raggiungere la stabilità dei prezzi di lungo periodo, definita poi
dal Cancelliere come un tasso di inflazione del 0-2% all'anno, dove
l'inflazione è misurata come la variazione annuale dei prezzi al dettaglio al
netto dell'impatto dei tassi di interesse ipotecari sui costi di alloggio 1.
Ma l'obiettivo non era quello di riportare l'inflazione così definita al di sotto
del 2% entro il mese successivo, o anche l‟anno successivo.
1
L'indice ufficiale dei prezzi al consumo per il Regno Unito, insolitamente per un paese sviluppato,
comprende gli interessi sui mutui. Quindi un aumento a breve termine dei tassi di interesse progettato per
ridurre pressioni inflazionistiche porta ad un immediato aumento dell'inflazione misurata. L'obiettivo di
inflazione è, quindi, definito oltre l'indice dei prezzi al netto degli interessi sui mutui ipotecari.
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L‟obiettivo era di avvicinarsi poco a poco alla stabilità dei prezzi.
Era stata prevista una banda del 1-4% come intervallo target di
inflazione,con l'ulteriore obiettivo di raggiungere un livello inferiore del
2,5%.
L'ipotesi implicita era che ci sarebbero voluti circa cinque anni per
compiere la transizione verso la stabilità dei prezzi.
Nel 1995 l'obiettivo è stato modificato. L‟obiettivo della politica monetaria
sarebbe stato di raggiungere un tasso di inflazione del 2,5% o meno circa
per i due anni a venire.
Shock (di prezzi delle materie prime o del tasso di cambio, per esempio)
avrebbero portato l'inflazione a volte al di sopra e a volte sotto di tale cifra.
Ma nel lungo periodo, se la politica monetaria è riuscita nel suo obiettivo,
l‟inflazione si attesterebbe in media intorno al 2,5% o meno.
2.3.1 Inflation Report.
Nell'ottobre 1992, il Cancelliere chiese ufficialmente alla Banca di
esprimere il proprio giudizio indipendente sui progressi compiuti verso il
raggiungimento dell‟ obiettivo di inflazione, e questo giudizio sarebbe stato
da allora pubblicato sul nuovo rapporto trimestrale di inflazione della
Banca.
La prima relazione fu pubblicata
nel febbraio 1993. Ogni relazione
esamina la gamma di dati economici necessari per valutare l'inflazione nei
successivi due anni e fornisce una previsione di inflazione, che funge da
punto di riferimento per la valutazione pubblica della politica monetaria.
La proiezione si basa sull'ipotesi di tassi interesse ufficiali invariati, perché
parte di una valutazione dell‟esistente posizione monetaria. Se appare più
probabile che l‟obiettivo di inflazione
non è superato in due anni
l'implicazione di politica monetaria sarebbe il rialzo dei tassi di interesse.
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Tabella 2.1: Attuazione del targeting dell‟nflazione
Fonte: Targeting dell‟inflazione: principali aspetti teorici e di attuazione
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2.3.2 Meeting di politica monetaria.
Un quadro di formale incontri mensili tra il Governatore e il Cancelliere, e i
loro alti funzionari, è stato istituito per rivedere la politica monetaria e
impostare il livello dei tassi di interesse per il mese successivo.
Questi incontri sono il culmine di un processo attraverso il quale il Tesoro e
la Banca d'Inghilterra formulano distintamente l‟uno dall‟altro sui tassi di
interesse i loro consigli per il Cancelliere. Il Cancelliere prende la sua
decisione alla luce di tali pareri.
2.3.3 Pubblicazione dei verbali.
Dal mese di aprile 1994, i verbali degli incontri mensili del Cancelliere e il
Governatore
hanno cominciato ad essere pubblicati. Il verbale rende
pubblica una consulenza puntuale della Banca dei tassi di interesse mese
per mese, e consente al pubblico di verificare che il parere del Governatore
sia coerente con l'analisi pubblicata nel inflation report, e valutare i motivi
di un'eventuale contestazione tra il Governatore e il Cancelliere.
Dalla primavera del 1994 ci sono stati molteplici disaccordi tra il
Cancelliere e la Banca circa l‟appropriato livello dei tassi di interesse.
Questi pubblici disaccordi sono uno dei motivi che spingono il Governo a
deviare rispetto all‟ obiettivo di inflazione.
2.3.4 Potere decisionale sulla tempistica delle variazioni dei tassi.
Nel novembre 1993,alla Banca è stata concesso potere discrezionale sul
timing di variazione dei tassi di interesse, ed ogni cambiamento deciso dal
Cancelliere sarebbe stato attuato prima del meeting mensile successivo.
Questo cambiamento è stato progettato per dissipare i sospetti che la
tempistica dei movimenti dei tassi di interesse avrebbe potuto essere
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determinata da calcoli di vantaggio politico di breve termine. In pratica, una
volta che una decisione sui tassi di interesse era stata presa nel corso
dell‟incontro mensile, ogni modifica sarebbe stata implementata alla prima
occasione possibile.
Questa pratica si era evoluta nell'ultimo anno o giù di lì, e la Banca ha
dichiarato pubblicamente che non avrebbe ritardato una variazione dei tassi
se non ci fosse stata una ragione schiacciante per farlo.
Nella prima lecture sulla Banca della London School of Economics, l'allora
Governatore, Lord Kingsdown, descrive le misure annunciate dal
Cancelliere nel mansion house speech del 1992 ed in particolare il nuovo
inflation report, in questi termini: "Mentre possono sembrare un piccolo
passo per la Gran Bretagna, sono un passo da gigante per le autorità"(Bank
of England, 1993).
Ulteriori modifiche, fatte successivamente, e, in particolare, la decisione di
pubblicare i verbali delle consultazioni mensili tra Cancelliere e
Governatore certamente costituiscono un ulteriore passo in avanti.
La consulenza politica esplicita offerta dalla Banca al Cancelliere ogni
mese era ora disponibile al pubblico non più dopo trenta anni, ma dopo sei
settimane. Passare da 30 anni a sei settimane è stato, sotto ogni punto di
vista, più che un piccolo passo.
L'apertura può migliorare la credibilità aiutando gli agenti del settore
privato a prevedere come le autorità monetarie reagiranno agli sviluppi
dell'economia.
La Relazione sull‟Inflazione ha già migliorato la comprensione del pubblico
del parere della Banca sull'inflazione, e la pubblicazione dei verbali delle
riunioni mensili dovrebbe, nel tempo, aumentare la precisione delle
aspettative del mercato della funzione di reazione delle autorità ''. Infatti, i
commenti di città e stampa già mostravano una maggiore consapevolezza
del pensiero ufficiale, basata non su speculazioni, ma sull‟analisi
dell‟economia risultante da una valutazione del Governo e della Banca.
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Di conseguenza, nel corso del tempo i verbali avrebbero dovuto contenere
meno sorprese, contribuendo così alla stabilità macroeconomica.
2.4 L’INFLATION TARGETING : UNA PROSPETTIVA
STORICA.
L'8 ottobre 1992, tre settimane dopo la dipartita della sterlina dall‟ Erm ,
Norman Lamont, l‟allora Cancelliere dello Scacchiere, istituisce un nuovo
quadro di politica monetaria politica basata su un range di inflazione per
l'annuale RPIX tra l‟1% e il 4%. Nel 1997 questo quadro è stato
ulteriormente sviluppato quando alla Banca d'Inghilterra viene concessa
l‟indipendenza operativa e un obiettivo simmetrico di 2,5% per il tasso di
inflazione RPIX, successivamente cambiato in 2% per l'inflazione. In tutto
il periodo d‟inflazion targeting, la performance macroeconomica del Regno
Unito è stata caratterizza da inflazione bassa e stabile, bassi tassi di
interesse nominali, e, a partire dal 2005 la crescita ininterrotta della
produzione. L'evidenza empirica ha chiaramente suggerito che l'inflation
targeting è stata, in un senso molto ampio, molto più stabile rispetto ai
precedenti regimi monetari / periodi storici nel secondo dopoguerra.
Questo articolo fornisce una prospettiva storica sul regime di inflation
targeting valutando la sua
efficacia sotto tre indicatori alternativi di
stabilità: l‟ampiezza delle fluttuazioni del ciclo economico, il trade-off tra
disoccupazione-inflazione e la persistenza dell'inflazione (per cui il tasso di
inflazione è positivamente correlato con il suo recente passato).
La prima di queste misure di stabilità - la dimensione delle fluttuazioni del
ciclo economico - guarda la volatilità del principali componenti di spesa del
PIL, come la spesa per i consumi e per gli investimenti delle imprese, oltre
che il ciclo delle imprese.
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Maggiore è il grado di stabilità macroeconomica, minore è la volatilità di
questi componenti. Il secondo indicatore di stabilità riguarda il trade-off di
Phillips tra disoccupazione e inflazione nel breve periodo. Il passaggio a
una bassa inflazione dovrebbe essere associato ad un appiattimento del
trade-off: in altre parole, le fluttuazioni dato in uscita e la disoccupazione
sono accompagnati da piccole fluttuazioni del tasso d'inflazione. Il
provvedimento
finale
riguarda
la
persistenza
dell'inflazione.
Tradizionalmente, gli economisti presumono che l‟inflazione sia molto
persistente - cioè positivamente correlata nel tempo per cui se l'inflazione è
relativamente elevata in un periodo, tenderà ad esserlo anche nei successivi
periodi. Come si vedrà, questo non è più il caso sotto l‟attuale frame work
monetario.
I risultati principali possono essere riassunti come segue.
In primo luogo, l'inflazion-targeting è stata caratterizzato, il contesto
macroeconomico più stabile registrato nella storia del Regno Unito. Le
fluttuazioni cicliche dell'economia dopo il 1992 sono in media sono più
piccole rispetto al resto del secondo dopoguerra, e questo assunto può ora
essere esteso a qualsiasi precedente periodo storico da quelli degli standard
metallistici.
In secondo luogo, dal 1992 la correlazione tra Phillips la disoccupazione e
l'inflazione risulta essere la più stabile nella storia. In terzo luogo, la
persistenza dell'inflazione sembra essere stata l'eccezione, piuttosto che la
regola, con l'inflazione essendo che è stata fortemente persistente solo
durante il periodo tra il floating della sterlina nel Giugno del 1972 e
l'introduzione dell‟inflation targeting, nell‟ Ottobre 1992. Nel periodo di
inflation targeting post-ottobre 1992, l'inflazione è risultata essere stata
leggermente negativamente correlata con i suoi valori ritardati, sulla base di
tutti degli indici dei prezzi che consideriamo.
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2.5
REGIMI
MONETARI
E
PERFORMANCE
MACROECONOMICHE.
Questo paragrafo valuta i seguenti regimi monetari / periodi storici rispetto
alle nostre tre misure di stabilità:
- de facto (effettivo) silver standard, dal 1661 fino al 1717;
- gold standard de facto, dal 1718 fino all‟inizio del periodo di sospensione
associati con le guerre con la Francia della fine del secolo XVIII, nel
febbraio 1797;
- gold standard de jure (dichiarata), da maggio 1821 fino all'inizio del
secondo periodo nel mese di agosto 1914;
- tra le due guerre, dalla costituzione da parte degli irlandesi di uno Stato
libero come dominio britannico nel dicembre 1921, alla dichiarazione di
guerra alla Germania del Regno Unito nel settembre 1939;
- Bretton Woods : da dicembre 1946 fino ala fluttuazione della sterlina
rispetto al dollaro nel Giugno 1972;
- dal luglio 1972 fino all'introduzione dell‟inflation targeting, nel mese di
ottobre 1992;
- il regime di inflation targeting: da novembre 1992 ai giorni nostri.
Anche se il periodo tra l‟oscillazione della sterlina e l'introduzione di
inflation targeting è stato caratterizzato da una successione di differenti
manovre monetarie, lo trattiamo come un solo periodo per due ragioni.
In primo luogo, la durata breve di molti dei sottoperiodi ci impedisce di
derivare ragionevolmente risultati significativi (in modo simile, in cui
trattiamo il periodo tra le due guerre come un unico regime, nonostante le
varie modifiche durante quegli anni). In secondo luogo, sarebbe complesso
suddividere con precisione in sottoperiodi il periodo 1972-92.
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2.6 MISURE DI STABILITA’.
2.6.1 Misura di Stabilità N. 1: l'ampiezza delle fluttuazioni del ciclo
economico.
Iniziamo guardando le dimensioni delle fluttuazioni del ciclo economico.
La Tabella A riporta le deviazioni standard ciclo economico gli elementi
per la serie del set dei nostri dati per regime monetario / periodo storico.
Diversi elementi emergono dalla tabella. In primo luogo, sulla base dei dati
annuali, la volatilità del ciclo economico le parti del PIL e sulle sue
principali componenti di spesa sono stati sistematicamente più bassi dopo il
1992 che durante una qualsiasi dei precedenti regimi monetari / periodi
storici.
Per esempio, la volatilità della parte ciclica del PIL reale dopo il 1992 è
stato circa due terzi e la metà che, rispettivamente, sotto Bretton Woods e
nel periodo 1972-92, e solo un terzo di quello tra le due guerre
(confermando l'instabilità notevole nell‟interwar - year).
La volatilità della parte ciclica del PIL reale associata con il regime del gold
standard de iure è stata doppia di quella del regime di inflation targeting,
ma è stato la stessa del per i1 periodo 1972-92 . In sintesi, c'è stato un
periodo di turbolenza estrema nell‟interwar years, uno di notevole stabilità
nell‟attuale regime di inflation targeting, e tre periodi (cioè 1821-1914,
1946-1972 e 1972-1992) che sono 'nel mezzo'. Per esempio, la volatilità
ciclica del PIL in termini reali sotto il gold standard del 1821-1914 è stato
essenzialmente la stessa del 1972-92. Sulla base dei dati trimestrali per il
dopoguerra, il regime di inflation targeting appare, ancora una volta, il più
stabile di gran lunga sia per il PIL reale che per tutte le misure di spesa (con
la sola eccezione per la spese del governo,
per le quali la più bassa
volatilità è registrata sotto il regime di Bretton Woods).
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Tabella 2.2: Deviazioni Standard delle componenti del ciclo economico per regime
monetario/periodo storico.
Fonte : Luca Benati, The inflation - targeting frame work from an historical perspective,
Un quadro molto simile emerge per l'inflazione. In primo luogo, l‟inflation
targeting ha avuto la più bassa volatilità ciclica dell'inflazione registrata,
sulla base di una qualsiasi delle misure di inflazione per la quale i confronti
sono possibili.
Risultati sulla base trimestrale inflazione RPI, disponibile dal 1914,
confermano la riduzione della volatilità durante l‟ultimo periodo, con la
deviazione standard della componente ciclica di inflazione sotto il regime
attuale che sono stati pari a meno della metà di quella durante l’interwar
years sotto Bretton Woods e il periodo tra il 1972-92.
In secondo luogo, la differenza di volatilità dell'inflazione tra l‟attuale
regime ed i precedenti è in genere estremamente marcata. Per esempio, in
base annua del PIL il deflatore dell‟ inflazione, la volatilità dopo il 1992 è
stato sotto la metà di quella sotto Bretton Woods, un quinto del Periodo
1972-1992 e un quarto di tale sotto il gold standard. Curiosamente, la
volatilità dell'inflazione fluttuazioni nel periodo tra le due guerre era solo
leggermente in più rispetto al regime attuale. Deviazioni standard delle
fluttuazioni dell'inflazione (in base alla misura del tasso di inflazione) per il
periodo tra le due guerre e l'attuale regime sono rispettivamente 1.7 e 1.5.
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Dati comparabili per il gold standard de facto e de facto argento standard
gamma di 6,7-9,3, che indica una notevole volatilità dell'inflazione in quei
regimi.
Queste cifre, tuttavia, sono probabilmente a sovrastimare la vera riduzione
della volatilità in epoca più recente, per due ragioni. In primo luogo, i
prezzi dati sono stati probabilmente soggetti a errori di misura
considerevole nei periodi precedenti.
Questo esagera la riduzione reale della volatilità in epoca più recente. In
secondo luogo, la composizione della produzione complessiva, e il paniere
dei consumi medi dei precedenti periodi storici erano marcatamente
'distorti' (rispetto al oggi) verso i prodotti agricoli, i cui prezzi sono molto
più volatili di quelli dei beni industriali.
Ancora una volta, questo andrebbe ad esagerare la reale portata della
riduzione della volatilità nel periodo più recente.
Fig. 2.3: Deviazioni Standard delle componenti del PIL e inflazione del ciclo economico per
regime monetario.
Fonte : Luca Benati, The inflation - targeting frame work from an historical perspective,
Il grafico 2.3 mostra grafici a dispersione delle deviazioni standard delle
componenti del PIL reale del ciclo economico e due misure di inflazione,
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cioè il prezzo composito ONS è indice (dati annuali) e l'RPI (dati
trimestrali).
Anche se sulla base di un numero estremamente limitato di osservazioni, la
correlazione è chiaramente positiva sulla base di dati trimestrali. Cioè,
quando si confrontano diversi regimi, un aumento della volatilità
dell'inflazione è associati a una maggiore volatilità del PIL reale. Basato sui
dati annuali, la correlazione è positiva se si esclude l‟intewar years, che
potrebbe essere considerato come anomalo. Al contrario, la stragrande
maggioranza dei modelli macroeconomici utilizzati in analisi della politica
monetaria implica un trade-off (cioè, una relazione negativa) tra inflazione
e volatilità della produzione: ceteris pari bus, se la politica monetaria mira a
ridurre la volatilità dell'inflazione, risulta necessariamente un aumento della
volatilità della produzione.
Le correlazioni positive come indicato nella Tabella 2.2 si prestano almeno
a due possibili interpretazioni. In primo luogo, la maggiore volatilità sia
dell'inflazione e della produzione durante il pre-1992 può avere riflettuto
scelte sub-ottimali di politica monetaria.
Una seconda possibilità è che, mentre ci può essere un trade-off di breve
periodo tra inflazione e volatilità della produzione all'interno di un dato
regime monetario, i cambiamenti della volatilità degli shock strutturali per
l'economia spiegano la maggior parte dei cambiamenti nella volatilità
dell'inflazione e della produzione.
2.6.2 Misura di Stabilità N. 2: la Curva di Phillips.
Dallo scritto fondamentale del 1958, che gioca un ruolo fondamentale un
ruolo chiave nella definizione del pensiero macroeconomico, la
correlazione di Phillips tra la disoccupazione e l'inflazione è probabilmente
il rapporto macroeconomico più intensamente studiato.
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Fig. 2.4: La correlazione di Phillips per ogni regime monetario
Fonte : Luca Benati, The inflation - targeting frame work from an historical perspective,
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I panel (a) ad (e) del Grafico 2.4 a scatter , mostrano delle attività del ciclo
dei componenti della disoccupazione e dell'inflazione monetaria per i
diversi regimi e periodi storici. Il pannello (f) indica, per ogni
periodo un grafico a dispersione dell‟inflazione media e la pendenza della la
curva di Phillips.
La Tabella B rapporta le deviazioni standard di regressione dal regime /
periodo. Più basso è il livello di deviazione, più stabile è il trade-off di
disoccupazione-inflazione. Emergono diversi risultati:
-
il regime di inflation targeting è stato caratterizzato fino ad oggi dal
più stabile (anche se non più piatta) trade-off disoccupazioneinflazione della storia, con una deviazione standard di residui di
regressione
meno
della
metà
di
quella
in
regimi precedenti / periodi;
-
in netto contrasto con il regime attuale, il periodo tra il 1972 e il
1992 ha mostrato il più ripido e più instabile trade-off nella storia.
La pendenza della curva di Phillips è stata pari a -2,3, in modo che
un 1% riduzione dell'inflazione sarebbe generalmente associata con
un aumento della disoccupazione del 2,3%. La deviazione standard
dei residui di regressione è stato fino a quattro volte quella di altri
regimi / periodi. Quindi, se i policy makers in quel periodo avevano
cercato di ridurre la disoccupazione, le conseguenze per l'inflazione
erano particolarmente incerti, e
-
nel periodo del gold standard, si è registrato il trade–off più piatto di
sempre,e ciò che indica che una data variazione dell'inflazione è
stata associata ad un solo cambiamento, relativamente piccolo nella
disoccupazione. Anche così, la disoccupazione era molto volatile in
questo periodo. Un risultato qualitativamente analogo si trova per il
periodo tra le due guerre.
Il pannello (f), della figura 2.4 mostra un grafico a dispersione
dell‟inflazione media e della pendenza della curva di Phillips attraverso
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regimi monetari e periodi storici. Sebbene sulla base di sole cinque
osservazioni, l‟evidenza suggerisce chiaramente una correlazione positiva
tra l‟inflazione media e la pendenza della curva di Phillips. Il grafico 3
illustra evidenze analoghe, sulla base di dati mensili per un campione di
dieci anni, per il periodo tra le due guerre e la dopoguerra. Evidenza di una
correlazione positiva è chiara per quest'ultimo periodo, molto meno per i
primi.
L'esperienza britannica indica in modo chiaro una correlazione positiva - sia
attraverso i regimi e nel tempo (soprattutto il secondo dopoguerra) - tra
l'inflazione media e la pendenza della curva di Phillips.
2.6.3 Misura di stabilità N.3 : la persistenza dell’inflazione.
La persistenza dell‟inflazione - la tendenza per l'inflazione da relativamente
alta (bassa) in un periodo, dopo essere stata relativamente alta (bassa) nei
periodi precedenti - ha un ruolo cruciale nella politica monetaria. Per
esempio, in parte determina la velocità con cui l'inflazione torna ai suoi
livello di equilibrio in seguito ad uno shock per l‟ economia. Negli ultimi
anni evidenze empiriche (soprattutto per gli Stati Uniti), suggeriscono che
la
persistenza
di
un‟elevata
inflazione
potrebbe
essere
stata
'cronologicamente concentrata' intorno al periodo della Grande Inflazione
degli anni 1970.
L'idea che l'inflazione possa essere intrinsecamente persistente dovrebbe
essere considerate con sospetto: il trend inflattivo può non essere visto
come del tutto indipendente dal sottostante regime monetario. Stabilizzando
il livello dei prezzi , ad esempio, un corretto regime di obiettivo di livello di
prezzo dovrebbe fare il suo tasso di variazione - cioè, l'inflazione perfettamente correlato negativamente serialmente. In altre parole, un tasso
di inflazione pari a +1% in un periodo dovrebbe essere seguita da uno
successivo -1% . Allo stesso modo, è difficile credere che l'inflazione possa
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essere altamente persistenti sotto un regime di inflation targeting in cui la
banca centrale considera ogni scenario di deviazione rispetto al target
d‟inflazione.
Per ogni serie di inflazione, si stima (utilizzando il criterio dei minimi
quadrati (OLS)) un modello in cui l'inflazione ha una relazione lineare con i
suoi valori passati - tecnicamente, un modello AR (ρ). Per ogni serie, la
Tabella 2 riporta la nostra misura preferita di persistenza, la somma dei
coefficienti (ρ) sull'inflazione ritardata, insieme al 90% di copertura
intervallo di confidenza tra parentesi quadre.
I valori di ρ che sono vicini a 1 indicano che l'inflazione è persistente;
valori prossimi allo zero indicano quasi nessuna persistenza dell'inflazione.
(Il caso particolare in cui ρ è uguale a 1 è un parametro utile, come in
questo caso shock di inflazione sono permanenti).
La tabella mostra che la persistenza di un‟elevata inflazione appare essere
stata l'eccezione, piuttosto che la regola.
Tabella 2.3: Inflazione persistente : stima del ρ e intervalli di confidenza al 90%
Fonte Fonte : Luca Benati, The inflation - targeting frame work from an historical perspective,
L'elevata inflazione è stata persistente durante il periodo tra il floating
pound e l‟introduzione di obiettivi di inflazione nel mese di ottobre 1992. In
particolare, l'attuale regime di inflation targeting mostra qualche
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correlazione leggermente negativa seriale per l'inflazione basata o sul RPI,
il CPI o il deflatore del PIL. In tutti i casi, il limite massimo del 90%
intervallo di confidenza intorno Ï è ben inferiore a 1. Così sulla base
dell'esperienza fino ad oggi, è probabile che un shock per il tasso di
inflazione durante l'attuale regime potrebbe essere non solo transitorio, ma
dissiparsi rapidamente; in netto contrasto con il regime attuale, il periodo
tra il
1972 e il 1992 mostra la persistenza dell'inflazione, con stime
puntuali di ρ solo di poco i limiti inferiore a 1 e superiore del 90% intervalli
di confidenza superiore a 1 in tutti tranne uno caso; la persistenza è del tutto
assente nello standard metallifero, sia de facto o de jure, sulla base di oro o
argento.
Il gold standard de facto in particolare mostra una lieve, anche se non
statisticamente significativa, correlazione negativa seriale basata su tutte le
tre misure di inflazione; il turbolento periodo tra le due guerre solo mostra
una correlazione leggermente positiva di serie l'inflazione e Bretton Woods
mostra qualche segno di serie correlazione per l'inflazione, ma che non è
forte come per il periodo 1972 al 1992.
Questi risultati confutano l'idea l'inflazione sia intrinsecamente persistente.
Piuttosto, esse sono compatibili con l'idea alternativa che il grado di
persistenza dell‟inflazione dipenda in modo cruciale il regime monetario.
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CAPITOLO III
POLITICA MONETARIA IN PROSPETTIVA ECONOMICA
3.1 IL MECCANISMO DI TRASMISSIONE DELLA POLITICA
MONETARIA.
La politica monetaria funziona in gran parte attraverso la sua influenza sul
complesso della domanda ed ha un effetto diretto sul trend della capacità di
offerta. Nel lungo periodo, la politica monetaria determina il livello
generale dei prezzi.
Un modo equivalente di dire la stessa cosa è dire che, nel lungo periodo, la
politica monetaria riesca a determinare il valore della moneta - i movimenti
nel livello generale dei prezzi indicano come cambia il potere d'acquisto
della moneta nel tempo. L'inflazione, in questo senso, è un fenomeno di
politica monetaria.
I cambiamenti di politica monetaria hanno effetto sulla economia reale nel
breve e medio termine. E, sebbene la politica monetaria sia la determinante
dominante del livello dei prezzi nel lungo periodo, esistono molte altre
potenziali influenze sul livello dei prezzi a orizzonti più brevi.
Esistono diversi collegamenti nella catena di causalità che va dai
cambiamenti di politica monetaria agli effetti finali sul economia.
Fig. 3.1: Meccanismo di trasmissione della politica monetaria
Fonte: The Monetary Policy Commitee, Bank of England
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3.1.1 Dalla variazione del tasso ufficiale ai mercati.
Una banca centrale deriva il potere di determinare uno specifico tasso di
interesse sui mercati monetari all'ingrosso dal fatto che possiede il
monopolio nella fornitura della moneta high-powered che è anche
conosciuta come base monetaria.
Il sistema operativo interno della Banca d'Inghilterra è simile a quello di
molte altre banche centrali, anche se i dettagli istituzionali sono
leggermente diversi.
Il punto chiave è che la Banca sceglie il prezzo al quale prestare soldi alle
istituzioni del settore privato.
Nel Regno Unito la Banca presta denaro prevalentemente attraverso la
vendita di gilt
e pronti contro termine (repo) alla scadenza di due
settimane.
L'effetto quantitativo di una variazione del tasso ufficiale sugli altri tassi di
interesse e sui mercati finanziari in generale dipende dalla misura in cui il
cambiamento di politica è stato anticipato e di come il cambiamento
influisce su aspettative di politica futura.
Tassi a breve.
Un cambiamento del tasso ufficiale è immediatamente trasmesso ai tassi del
mercato monetario a breve, oltre che agli strumenti del mercato monetario
di maturità diversa (come ad esempio i tassi sui contratti di pronti contro
termine di scadenze oltre le due settimane) e ad altri tassi a breve termine,
come ad esempio quello dei depositi interbancari. Ma i tassi non possono
muoversi sempre dell‟esatto ammontare della variazione del tasso ufficiale.
Subito dopo la variazione del tasso del tasso ufficiale(di solito lo stesso
giorno), le banche aggiustano i tassi sui prestiti standard (tasso base), di
solito tramite l'esatto importo del cambiamento di politica. Questo influisce
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rapidamente il sui tassi di interesse che le banche percepiscono dai loro
clienti per prestiti a tasso variabile, compresi gli scoperti.
I tassi per i mutui a tasso variabile possono anche essere modificati, anche
se questo è non è automatico e può essere ritardato.
Anche i tassi corrisposti ai risparmiatori cambiano, al fine di preservare il
margine tra tassi di deposito e tassi di prestito.
Questo margine può variare nel tempo, a seconda, ad esempio, delle mutate
condizioni di concorrenza nel mercati coinvolti, ma normalmente non
cambia in risposta solo a cambiamenti di policy.
Tassi a lungo termine.
Anche se un cambiamento del tasso ufficiale impatta in modo
inequivocabile su altri tassi a breve termine nella stessa direzione (anche se
alcuni si aggiustano lentamente),l'impatto sui tassi di interesse nel lungo
termine può essere in senso opposto. Un aumento del tasso ufficiale
potrebbe, ad esempio, generare un'aspettativa di bassi tassi di interesse
futuri, in quel caso i tassi a lungo termine potrebbero cadere in risposta ad
un rialzo dei tassi ufficiali.
Prezzi delle attività.
Le variazioni del tasso ufficiale colpiscono anche il valore di mercato
dei titoli, come azioni e obbligazioni.
Il prezzo delle obbligazioni è inversamente proporzionale al tasso di
interesse lungo termine, quindi un aumento a lungo termine dei tassi di
interesse abbassa i prezzi delle obbligazioni, e viceversa per un calo dei
tassi a lungo termine.
Ceteris paribus (in particolare per aspettative di inflazione), a tassi di
interesse a lungo termine più elevati corrispondono prezzi dei titoli
inferiori, questo perché i rendimenti futuri sono scontati ad un fattore più
alto.
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Il tasso di cambio.
Variazioni dei tassi di interesse legate a manovre di politica monetaria
possono influire sul tasso di cambio ovvero il prezzo relativo della moneta
nazionale rispetto a quella estera.
L'impatto preciso sul tasso di cambio di un cambiamento di tasso ufficiale
è incerto, in quanto dipende dalle aspettative nazionali ed estere sui tassi di
interesse e di inflazione, che possono essere a loro volta colpite da un
cambiamento di politica.
Tuttavia, ceteris paribus, un aumento inatteso del tasso ufficiale determina
probabilmente un immediato apprezzamento della valuta nazionale nei
mercati dei cambi, e viceversa per un simile cambiamento in discesa.
L'apprezzamento del tasso di cambio deriva dal fatto che i più alti tassi di
interesse interni, proporzionalmente agli interessi su equivalenti attività in
valuta estera , rendono le attività in sterline più attraenti per gli investitori
internazionali.
Il tasso di cambio dovrebbe passare ad un livello in cui gli investitori si
aspettano un deprezzamento futuro abbastanza grande per renderli
indifferenti tra detenzione di attività sterlina e in valuta estera. Variazioni
dei tassi di cambio portano a cambiamenti nei prezzi relativi di merci e
servizi nazionali ed esteri, e almeno per un mentre, alcune di queste
variazioni di prezzo possono impiegare molto tempo per trasmettersi
sull‟economia reale, e anche di più di influenzare i flussi di spesa.
Aspettative e fiducia.
Variazioni dei tassi ufficiali sono in grado di influenzare le aspettative circa
il futuro corso di attività nell'economia reale, e la fiducia con la quale si
muovono tali aspettative (oltre alle aspettative di inflazione) .
Tali cambiamenti nelle aspettative influenzano gli operatori dei mercati
finanziari, e possono anche influire su altre parti del nell'economia
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attraverso, ad esempio, i cambiamenti nel reddito atteso reddito da lavoro,
disoccupazione, vendite e profitti.
La direzione in cui tali effetti volgono è difficile da prevedere, e può variare
di volta in volta.
Un aumento dei tassi potrebbe, ad esempio, essere interpretato come
un'indicazione del fatto che il MPC ritiene l'economia in procinto di una
crescita più rapida rispetto al previsto offrendo cosi‟ una spinta alle
aspettative di crescita futura e alla fiducia in generale. Tuttavia, è anche
possibile che un rialzo dei tassi possa essere interpretato come un segnale,
da
parte
del
MPC,
di
rallentare
la
crescita
dell'economia
in
al fine di colpire il bersaglio di inflazione, e questo potrebbe intaccare le
aspettative di crescita futura.
La possibilità di tali effetti contribuisce all'incertezza dell'impatto di ogni
cambiamento di politica monetaria, e aumenta l‟ importanza di avere un
regime di politica monetaria credibile e trasparente.
In sintesi, se i policy makers hanno il controllo diretto solo su uno specifico
tasso di interesse a breve termine,
cambiamenti del tasso ufficiale
impattano i tassi di interesse di mercato, i prezzi delle attività, e il tasso di
cambio.
Dai mercati finanziari al comportamento di spesa.
Consideriamo ora come le decisioni di spesa degli individui e le imprese
rispondono ai cambiamenti dei tassi di interesse, ai prezzi degli asset e al
tasso di cambio. Qui, ci concentriamo sugli effetti immediati di un
cambiamento di politica monetaria che risultano dalle conseguenti
modifiche della domanda aggregata, dell‟occupazione e dell'inflazione.
Si assume anche uno invariata politica di bilancio da parte del governo in
risposta al cambiamento della politica monetaria.
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Individui.
Gli individui possono essere influenzati da un cambiamento di politica
monetaria in diversi modi per mezzo di tre effetti diretti.
In primo luogo, si trovano a confrontarsi con nuovi tassi di interesse sui
propri risparmi e debiti. Si assiste un‟alterazione del reddito disponibile dei
risparmiatori e dei mutuatari così come dell'incentivo a risparmiare
piuttosto che consumare.
In secondo luogo, il valore delle ricchezza finanziaria dell‟ individuo si
modifica a causa di variazioni dei prezzi delle attività.
In terzo luogo, qualsiasi adeguamento dei tassi di cambio, modifica i prezzi
relativi di beni e servizi in valuta nazionale ed estera.
Di questi tre effetti,quello maggiormente sentito da un numero significativo
di individui è l‟effetto del tasso d'interesse applicato sul debito personale,
in particolare sui mutui.
Prestiti ipotecari da case rappresentano circa l'80% dei dati personali debito,
e la maggior parte mutui nel Regno Unito sono ancora a tasso variabile.
Qualsiasi aumento del tasso ipotecario riduce il restante reddito disponibile
delle persone interessate e quindi,riduce il flusso dei fondi disponibili da
spendere in beni e servizi.
I tassi di interesse più elevati sui prestiti non garantiti hanno un effetto
simile.
Il livello precedente di spesa non può essere sostenuto senza incorrere in
ulteriori debiti (o una riduzione del risparmio), a cui si sommano cali dei
consumi.
Per coloro che hanno stipulato i mutui a tasso fisso non sorge il problema
dell‟incremento del tasso fino alla scadenza del debito, ma tutti nuovi
mutuatari che accendono i prestiti saranno interessate dalle modifiche al
rialzo del tasso dall‟inizio del contratto .
Gli effetti ricchezza procedono nella stessa direzione.
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Tassi di interesse più elevati (corrente e atteso) tendono a ridurre i valori
delle attività e minore ricchezza porta ad abbassare la spesa.
Un altro importante patrimonio personale è la casa.
Elevati tassi di interesse in genere aumentano il costo di finanziamento
della casa, e questo ne riduce la domanda.
Una caduta della domanda abbasserà l‟incremento del prezzo delle case,
e talvolta determinare addirittura una caduta dei prezzi delle case.
Le case sono una componente importante della ricchezza personale e,
variazioni del valore della ricchezza immobiliare influenzano la spesa dei
consumatori nella stessa direzione come variazioni di ricchezza finanziaria,
ma non necessariamente dello stesso importo. Parte di questo effetto deriva
dal fatto che i singoli possono sentirsi più poveri quando il valore di
mercato della loro casa cade, e un altro comporta che, se le case vengono
utilizzate come garanzie dei prestiti , una riduzione del loro valore le rende
più difficili da ipotecare. Alcune persone non hanno debito ipotecario, né
significativa ricchezza finanziaria e immobiliare. Essi possono, tuttavia,
dispongono di carte di debito o contraggono prestiti bancari.
La politica monetaria impatta sui tassi di interesse applicati a queste
tipologie di indebitamento, e tassi più alti tendono a scoraggiare prestiti per
finanziare i consumi.
In sostanza, tassi di interesse più elevati favoriscono il rinvio dei consumi,
aumentando la quantità di consumo futuro che verrà sacrificato da un
determinato ammontare di consumo attuale.
Il consumo futuro viene sostituito col consumo corrente.
Dove un cambiamento di politica è previsto per stimolare l‟attività
economica, è probabile che accresca la fiducia e le aspettative di
occupazione e di crescita degli utili, che portano ad una maggiore spesa.
Il rovescio seguirà una modifica di politica che dovrebbe rallentare la
crescita.
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Variazioni dei tassi di cambio possono influenzare il livello di spesa da
parte degli individui.
Un aumento del tasso di cambio rende i beni e i servizi importati
relativamente più economici rispetto a prima.
Questo influisce sulla competitività dei produttori nazionali, sulle
importazioni e le esportazioni,e colpisce anche le industrie di servizi come
il turismo e le vacanze all'estero che diventano relativamente più
convenienti.
In sintesi, un aumento del tasso di interesse ufficiale, ceteris paribus (in
particolare le aspettative e la fiducia) porta a una riduzione della spesa e,
attraverso un aumento del tasso di cambio, ad uno spostamento della spesa
verso beni e servizi esteri.
Una riduzione del tasso ufficiale produce l‟effetto opposto.
La dimensione e persino la direzione di questi effetti potrebbe essere
alterata da cambiamenti nelle aspettative e nella fiducia causata da un
cambiamento di politica.
Aziende.
L'altro gruppo principale degli agenti del settore privato nell‟ economia è
costituito dalle imprese.
Esse combinano capitale, lavoro e materie prime in alcuni processi di
produzione al fine di produrre e vendere beni o servizi a scopo di lucro.
Le imprese sono influenzate dalle variazioni dei tassi di interesse di
mercato, dai prezzi delle attività e dal tasso di cambio.
Tuttavia, l'importanza dell'impatto varia a seconda della natura del business,
la dimensione dell'impresa e le sue fonti di finanziamento.
Un aumento del tasso di interesse ufficiale provoca un effetto diretto
su tutte le imprese che si basano su debiti verso banche o sui prestiti
di qualsiasi natura legati a breve termine al mercato monetario o ai tassi di
interesse.
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Un aumento dei tassi di interesse aumenta gli oneri finanziari (e
viceversa per una riduzione).
L'aumento della spesa per interessi riduce i profitti di tali imprese e
aumenta il rendimento che le imprese esigono da nuovi progetti di
investimento, rendendo meno probabile che l‟avviamento degli stessi.
I costi di interesse influiscono sul costo degli inventari di partecipazione,
che sono spesso finanziati da prestiti bancari. Costi di interesse più elevati
rendono anche meno probabile che le imprese interessate assumano più
personale, anzi aumenta la probabilità di riduzione delle ore lavorate e delle
assunzioni. Al contrario, quando i tassi di interesse sono in calo, è più
conveniente per le imprese per finanziare investimenti in impianti e
attrezzature nuove, e più probabile che esse espandano la propria forza
lavoro.
Naturalmente, non tutte le imprese sono colpite dagli aumenti dei tassi di
interesse.
(MANCA PARTE)
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3.2 IL FRAMEWORK DI POLITICA MONETARIA NEL
REGNO UNITO DAL 1997.
Nel maggio 1997 il nuovo Cancelliere dello Scacchiere ha reso
indipendente la Bank of England dal Tesoro, assegnando la responsabilità
operativa della politica monetaria al Comitato di Politica Monetaria (MPC).
Il MPC si riunisce almeno una volta al mese per impostare il tasso di
interesse (anche sei volte l'anno per stabilire le priorità di ricerca) .
La composizione del MPC comprende il Governatore della BoE e i due
Vice Governatori, due membri della BoE (nominati dal Governatore della
BoE in consultazione con il Cancelliere dello Scacchiere), quattro membri
esterni, nominati dal Cancelliere dello Scacchiere
e anche un
rappresentante del Tesoro, il quale non ha potere di voto (questo non è un
osservatore membro a pieno titolo il MPC). I membri interni sono gli
permanenti, mentre i membri esterni sono nominati per un periodo di tre
anni con possibilità di rinnovo.
Le caratteristiche principali del nuovo regime possono essere così
sintetizzate: l'obiettivo primario della politica monetaria è la stabilità dei
prezzi e l'inflazione è un fenomeno monetario. La stabilità dei prezzi si
ottiene quando l'inflazione rimane bassa e stabile per un lungo periodo di
tempo. In questo quadro di politica monetaria, è intrapreso un annuncio
pubblico di target di inflazione ufficiale, che va sotto il nome di “IT
framework”. L‟IT nel Regno Unito è condizionata su ciò che l'inflazione
dovrebbe essere, piuttosto che su ciò che è in vista dei ritardi nella politica
monetaria. Subordinata al raggiungimento e il mantenimento della stabilità
dei prezzi, la BoE si aspetta anche di sostenere la politica economica del
governo, che include la crescita e l'occupazione. La stabilità dei prezzi è,
quindi, pensata per essere una precondizione per la crescita economica e
l'occupazione. Nel sistema post-1997 il MPC risponde al Parlamento.
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Questo produce relazioni periodiche alla House of Commons Treasury del
Tesoro, il quale tiene anche audizioni per la conferma per i nuovi membri
del MPC. Il controllo viene esercitato anche attraverso House of Lords
Select Committee on Economic Affairs. Il MPC è anche responsabile di
fronte al grande pubblico attraverso la pubblicazione dei verbali delle
riunioni MPC e la relazione di inflazione (Inflation Report).
Il governo, tuttavia, mantiene la responsabilità complessiva della politica
monetaria. E' responsabile della progettazione del framework e fissa
l'obiettivo di inflazione. Una volta che l'obiettivo di inflazione è stato
impostato, diventa principalmente un problema tecnico per il livello dei
tassi di interesse appropriato per raggiungere l'obiettivo. L‟MPC ha la
responsabilità di fissare il tasso di interesse appropriato per raggiungere
l'obiettivo di inflazione fissato dal Cancelliere dello Scacchiere. La BoE ha,
così, l'indipendenza negli strumenti, ma non nell‟obiettivo.
In tal modo, la BoE persegue il principio di 'discrezione vincolata', che è la
via di mezzo tra 'regole' e 'discrezione' (Bernanke e Mishkin, 1997). Fin dal
1992, ma ancora di più dal 1997, una maggiore responsabilità della BoE per
le sue azioni, responsabilità nei confronti del governo e del parlamento, il
che implica trasparenza nella politica attuale.
Inoltre, la BoE è molto preoccupata per l'apertura, la comunicazione e la
credibilità.
La reputazione individuale dei membri MPC è un altro ingrediente
importante del quadro di politica monetaria della BoE in vista del verbale
pubblicato di ogni riunione del MPC, il quale rivela voti individuali. Nel
maggio 1997, l'obiettivo di inflazione è stato cambiato nel 2,5% con
tolleranza dell'1%.
L'indice dei prezzi al dettaglio (RPIX), esclusi gli interessi ipotecari,
doveva essere il nuovo obiettivo. Questo è stato cambiato nel dicembre
2003 nell'indice armonizzato di inflazione al consumo (IAPC) con il 2% di
obiettivo centrale e con una banda di tolleranza dell'1% (Brown, 2003) .
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La definizione dell‟Inflation Targeting all'interno di un intervallo introduce
un certo grado di flessibilità nella conduzione di politica monetaria.
La credibilità ottenuta attraverso un pre-impegno per l'obiettivo di
inflazione, senza l'interferenza del governo, è pensata
per essere
preminente. L'obiettivo di inflazione è simmetrico, cioè deviazioni al di
sotto dell‟obiettivo sono trattate come le deviazioni al di sopra del target.
Quando i risultati inflazione si discostano dal target di oltre 1%, in
entrambe le direzioni, il Governatore della BoE, per conto del MPC, è
tenuto ad informare il Cancelliere dello Scacchiere tramite il procedimento
open letter, e spiegare (i) le ragioni perché il tasso di inflazione reale non è
all'interno dell'intervallo prescritto, (ii) l'azione politica prevista per
affrontarlo e per portare l'inflazione reale nel range impostato, (iii) il
periodo in cui l'inflazione dovrebbe rientrare nell‟obiettivo, e (iv) come
questo approccio possa conciliarsi con gli obiettivi del governo per la
crescita e l'occupazione. Una caratteristica interessante del procedimento
open letter è che si riconosce che esistono circostanze, come per esempio
nel caso di shock temporanei, secondo le quali la ricerca dell’inflation
target, come normalmente previsto, sarebbe eccessivamente costosa in
termini di risultati economici reali .
Una seconda lettera deve essere inviata dopo tre mesi dalla prima lettera se
l'inflazione rimane l'1% sopra o sotto il target. E 'chiaramente indicato,
però, che una open letter non implica necessariamente un segno di
fallimento.
Un commento finale sul quadro BoE è il coordinamento tra le politiche
monetarie e fiscali. In considerazione dell‟indipendenza operativa della
BoE, tale coordinamento potrebbe essere difficile e potrebbe dar luogo a
incertezze e conflitti. Buiter (2000) suggerisce l‟esistenza due dimensioni di
questo argomento. Ci può essere incertezza su come le due parti
percepiscono l'ambiente esogeno in cui operano. Ci può anche essere
incertezza strategica, nel senso di una partita politica, sul modo in cui
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ciascuna parte avrebbe risposto alle azioni dell'altra parte. Tuttavia, il
rappresentante del Tesoro sul MPC dovrebbe essere in grado di puntellare
le differenze di potenziale in termini di conoscenza di ciascuna parte della
politica ambientale comune. L'incertezza strategica, tuttavia, è più grave e
potrebbe potenzialmente creare problemi, in quanto il MPC e il Tesoro
potrebbero agire in modo non cooperativo, nel senso di una partita politica,
dove le due parti assumano impegni vincolanti sulle decisioni e le azioni
attuali e future.
Buiter (2000) suggerisce che i giochi politici ripetuti dovrebbero prevenire
il verificarsi di situazioni del genere. Mentre questo può essere vero, la
configurazione MPC è stata un'ottima occasione di un adeguato
coordinamento delle due politiche, senza conciliare l'indipendenza di
entrambi.
La politica mira a obiettivi finali, piuttosto che strumenti intermedi.
In questo sforzo, i policy makers dovrebbero contribuire ad una chiara
comprensione da parte del pubblico delle loro intenzioni.
La
politica
monetaria
è
lo
strumento
principale
della
politica
macroeconomica, che dovrebbe essere operata solo da esperti nella forma
della BoE indipendente. La politica fiscale in questo quadro teorico è
declassata, in quanto non è più pensata come uno strumento efficace di
stabilizzazione. La politica fiscale deve concentrarsi solo sul medio-lungo
termine obiettivi (Bean, 2007).
Shock per il livello della domanda possono essere bilanciati da variazioni
del tasso di interesse per assicurare che l'inflazione non si sviluppi, se la
disoccupazione scende al di sotto del NAIRU (non-accelerating inflation
rate of unemployment). L'implicazione di questa analisi è che la politica
monetaria non può avere effetti permanenti sul livello di attività economica.
Può avere solo effetti temporanei, che persistono per un certo numero di
periodi
nel
breve
periodo,
nell‟aggiustamento dei prezzi.
prima
di
dissiparsi
completamente
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Le variazioni dei tassi di interesse reali impattano sui consumi e sugli
investimenti, in modo da interessare la domanda aggregata interna. Tassi di
interesse nominali possono avere ulteriori effetti di credito e attraverso gli
effetti collaterali, nonché attraverso i normali effetti ricchezza.
Nel caso di economie aperte variazioni del tasso reale di influenzano il
tasso di cambio reale, con quest'ultimo che interessa direttamente i prezzi
delle merci importate e il volume delle esportazioni e delle importazioni. Il
totale della domanda aggregata, con l'offerta aggregata, insieme con i prezzi
delle importazioni, influenza in ultima analisi, l‟inflazione obiettivo.
Variazioni del tasso di interesse dovrebbero influenzare il tasso di
inflazione obiettivo nel lungo periodo.
Nessun impatto sull'attività economica reale dalle variazioni dei tassi di
interesse è ipotizzato a lungo termine. Nel lungo periodo l'attività
economica reale non può che essere colpiti attraverso politiche
microeconomiche nella misura in cui possono creare mercati flessibili, in
modo particolare il mercato del lavoro.
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3.3
UNA
VALUTAZIONE
POLITICA
DEL
MONETARIA
FRAMEWORK
BRITANNICA:
DI
UN
CONFRONTO CON IL RESTO D’EUROPA.
Fig.3.2: Inflation Targeting nel Regno Unito
Fonte : M. King, Journal of Monetary Economics 39(1997)
La figura 3.2 ritrae un'immagine rivelatrice dell‟IT fino al 2005 nel Regno
Unito.
In questa figura viene
visualizzato il tasso di inflazione effettiva nel
periodo (calcolato come l'aumento annualizzato in RPIX a settembre 2003,
la linea spessa, e come l'aumento annualizzato di IAPC dopo l'ottobre 2003,
la linea tratteggiata).
E' chiaro da questa figura che il tasso di inflazione reale non ha mai
mancato di essere nel range di tolleranza degli obiettivi di inflazione
imposto dal HM Treasury. Questo è rappresentato dalle linee
rette
continue.
Il MPC ha sempre goduto di un successo in questo senso. Tuttavia,
nonostante questo apparente successo, ci sono alcuni problemi con questo
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particolare modo di condurre e attuare la politica monetaria. Più
precisamente, si ha a che fare con i seguenti problemi:
• l'inflazione effettiva è stata sistematicamente inferiore alla metà del punto
di destinazione, che implica una rigorosa politica monetaria;
• attenzione insufficiente al tasso di cambio;
• la stabilità dei prezzi non basta: l'esperienza passata è piena di esempi di
stabilità dei prezzi seguita da crisi economica e finanziaria;
• I paesi che non perseguono IT hanno ottenuto risultati analoghi al Regno
Unito;
• Problemi di appartenenza MPC.
Iniziamo con il primo problema a cui abbiamo appena accennato.
L'inflazione reale al di sotto della metà del punto di destinazione, che
implica una rigorosa politica monetaria
La figura 1 è di nuovo qui rilevante. L'inflazione era in calo ben prima del
1992, infatti, l‟IT è stato attuato solo dopo che l'inflazione era stata
contenuta.
Si può anche fare il punto che, nel periodo dal 1992 il clima economico in
Gran Bretagna e altrove, è stato molto tranquillo, e può effettivamente
essere descritto come il “bel periodo”.
Infatti, dopo un picco raggiunto nel 1990, l'inflazione record non avrebbe
dovuto superare quel limite fissato dal Tesoro nel 1992 e successivamente
nel 1997 e nel 2003.
Un modello molto differente è stato osservato nei periodi prima e dopo
'l'indipendenza' della BoE. Come mostra la Figura 1 durante la prima fase
(1992-1997) il tasso effettivo di inflazione tendeva ad essere al di sopra del
punto medio del range 1% -4%.
Da quando alla BoE è stato concessa l‟'indipendenza', nel 1997, lo stesso
scenario si è verificato solo per periodi di tempo molto brevi. Per la
maggior parte del tempo durante quest'ultimo periodo l'inflazione reale è
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stata più vicino al limite inferiore, ciò implica chiaramente che la politica
monetaria è stata relativamente restrittiva, in ogni caso più restrittiva
rispetto al precedente periodo 1992-1997.
Attenzione insufficiente al tasso di cambio.
Un ulteriore problema con l'analisi della politica monetaria della BoE ha a
che fare con il tasso di cambio, a cui non è stata data sufficiente attenzione.
La BoE non considera quanto il tasso di cambio giochi un ruolo diretto
nella fissazione dei tassi di interesse. Eppure il teorema del tasso di di parità
indica che la differenza tra il tasso di interesse nazionale e il tasso di
interesse estero sarà pari al (previsto) tasso di variazione del tasso di
cambio. Un tasso relativamente alto (basso) di interesse interno sarebbe poi
associato con le aspettative di un deprezzamento (apprezzamento) della
valuta. Le variazioni dei tassi di interesse interni, relativi ai tassi di interesse
internazionale e per le aspettative date, possono modificare il tasso di
cambio, oltre ad avere effetti significativi sulla parte reale dell'economia.
Inoltre, ci possono essere effetti indiretti nella misura in cui i cambiamenti
nelle aspettative sul tasso di cambio influenzano l'inflazione futura. Il tasso
di cambio, quindi, potrebbe essere un importante canale attraverso il quale
gli effetti dei tassi di interesse possono operare. Trasmette parte degli effetti
di variazioni dello strumento della politica, ed anche degli effetti di shock
esterni.
Dato questo ruolo potenzialmente critico del tasso di cambio nel processo
di trasmissione della politica monetaria, le fluttuazioni eccessive dei tassi di
interesse potrebbero portare a un livello relativamente elevato di volatilità
di output (Agenore, 2002). E' interessante notare in questo contesto, la
conclusione a cui è giunto il Comitato sugli Affari Economici (House of
Lords, 2004a, 2004b) su questo tema. Il Comitato fa riferimento al suo
"Comitato predecessore" che "ha commentato il ruolo preminente svolto nel
Regno Unito dal tasso di cambio nella trasmissione dei tassi di interesse
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all'inflazione. Essi hanno scoperto che, secondo il modello BoE nel primo
anno per l‟80% l'effetto di un aumento dei tassi di interesse è legato ad un
apprezzamento del tasso di cambio (Camera dei Lord, 2004).
Infatti, tra agosto 1996 e luglio 1997 il tasso di cambio della lira sterlina si è
apprezzato del 23% mettendo una forte pressione sul settore manifatturiero
il cui output è sceso negli anni successivi.
La produzione manifatturiera in realtà è diminuita tra il 1997 e il 2002 dopo
un aumento del 2% tra il 1992 e 1997,7 Il livello del tasso di cambio è stato
effettivamente sostenuto da allora. Dal momento che non c‟erano profonde
differenze nei tassi di inflazione tra i paesi sviluppati, anche il tasso di
cambio reale passava attraverso un processo simile di apprezzamento (vedi
Figura 2).
Fig.3.3 Tasso di cambio effettivo (Reale e Nominale)
Fonte DataStream (exchange rate, defined as foreign currency per unit of domestic
currency)
and http://www.bankofengland.co.uk/statistics/rates/baserate.pdf.
Nonostante questo, il MPC considerò a quel tempo che un intervento per
influenzare il tasso di cambio probabilmente non avrebbe avuto l‟effetto
desiderato ai fini della stabilità dei prezzi.
La fig. 3.3 mostra il caso in cui alti tassi di interesse mantengono un tasso di
cambio apprezzato (dove è ritratto il tasso ufficiale di interesse della BoE).
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La tesi del MPC, come rivelato dai verbali delle riunioni MPC e dai report
sull‟inflazione, è che il tasso di cambio potrebbe reagire in modo irregolare
a tale comportamento. Inoltre, tale comportamento potrebbe confondere i
mercati e i mercati finanziari, in particolare per quanto riguarda il ruolo del
tasso di cambio in funzione di reazione, minando così la credibilità del
MPC e il suo obiettivo di stabilità dei prezzi. L'adozione di IT, si sostiene,
porta a una moneta più stabile in quanto segnala un chiaro impegno alla
stabilità dei prezzi in un sistema di tassi di cambio liberamente fluttuante
(Cobham, 2006). Questo, naturalmente, non significa che il monitoraggio
dell‟andamento del tasso di cambio non deve essere intrapreso. Anzi, la
ponderazione nelle decisioni su come impostare strumenti di politica
monetaria è una pratica comune nel procedimento MPC (v., ad esempio i
verbali delle riunioni MPC).
Ancora, la monolitica attenzione nazionale
in materia di controllo
dell'inflazione, tuttavia, comporta il reale pericolo di "una combinazione di
stabilità dei prezzi interni e instabilità dei tassi di cambio" (Goodhart,
2005,). Questo evento è molto reale in vista della brama, in particolare dei
policy maker, a sostenere la stabilità interna dei prezzi ad ogni costo.
Dovrebbe essere riconosciuto, però, che ci sono delle difficoltà reali con
questi suggerimenti. Queste si riferiscono al fatto che le determinanti e le
dinamiche dei cambi si sono rivelati quasi impossibile per modellare in
modo soddisfacente. La teoria, brevemente riassunta qui sopra (parità dei
tassi di interesse), indica una stretta relazione tra i differenziali di tasso di
interesse e atteso dei tassi di cambio, che limiterebbe gravemente le
variazioni dei tassi di interesse.
Tuttavia, il modello non sembra funzionare empiricamente.
Mentre in passato il canale del tasso di cambio è stato uno dei principali
canali di trasmissione di politica monetaria, questo non può più essere il
caso. Questo canale è pensato per essere piuttosto ambiguo, sia per quanto
riguarda l'influenza delle variazioni dei tassi di interesse sul tasso di
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cambio, e di questi ultimi sui prezzi interni. Oltre agli argomenti avanzati in
precedenza, una difficoltà ulteriore è dovuta a movimenti internazionali di
capitali sempre più correlate ad azioni.
Un recente rapporto del Financial Times (sezione Fund Management, 16
gennaio 2006) evidenzia che tra un terzo e la metà degli investitori
istituzionali nel Nord Europa, Australia e Regno Unito, o sono in buona
posizione nel mercato azionario o stanno procedendo in questa direzione.
In tali circostanze, variazioni del tasso di interesse avrebbero effetti
ambigui.
Ad esempio, un aumento dei tassi di interesse potrebbe ridurre, piuttosto
che incoraggiare movimenti di capitali verso l'interno.
L'effetto delle variazioni dei tassi di interesse sul tasso di cambio può
diventare piuttosto ambiguo. Questo, però, non vuol dire meno
preoccupazione per il comportamento del tasso di cambio, ma piuttosto
suggerire che maggiore attenzione dovrebbe essere prestata alle
considerazioni sul tasso di cambio. Anzi, può benissimo essere il caso che
in tali circostanze sia il quadro intero di IT che potrebbe avere bisogno di
un serio riesame.
L’insufficienza della stabilità dei prezzi.
L'attenzione vigorosa sulla stabilità dei prezzi dalla BoE solleva la
questione se tale obiettivo sia sufficiente da sé. Bianco (2006) sostiene che
il perseguimento di tale obiettivo, che ha ridotto l'inflazione dai precedenti
alti livelli, ha effettivamente prodotto benefici alle economie che lo
perseguono.
Allo stesso tempo, però, il raggiungimento della stabilità dei prezzi nel
breve periodo potrebbe non essere sufficiente per evitare gravi crisi
macroeconomiche nel breve o medio termine.
In realtà, Fair (2006) di ottenere le stime per gli Stati Uniti che
suggeriscono ridurre il livello di variabilità dei prezzi del 18% si traduce in
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un aumento della variabilità della produzione del 21%, aumentando al
tempo stesso la variabilità del tasso di disoccupazione del 19%. Inoltre, la
storia è piena di esempi di periodi di relativa assenza di pressioni
inflazionistiche seguito da grandi crisi economiche e finanziarie. Citiamo
solo pochi casi in quanto segue per fare il punto.
Forse il caso esemplare in questo contesto è la crisi degli Stati Uniti nel
1920 e 1930. La maggior parte degli anni 1920 negli Stati Uniti furono
caratterizzati da stabilità dei prezzi con tendenze di deflazione nello stesso
decennio. C'era l'innovazione tecnologica, aumento della produttività, forti
investimenti e innovazioni finanziarie che hanno portato all‟abbondanza di
credito al consumo (Eichengreen e Mitchener, 2003). Tutto ciò si trasformò
nel 193, nella Grande Depressione negli Stati Uniti. Diminuzione massiccia
della produzione e dell'occupazione, la deflazione cumulativa, seguita da
difficoltà finanziarie, sono state le caratteristiche principali. Come
Samuelson (1993) riporta "Tra il 1930 e il 1939 la disoccupazione degli
Stati Uniti era in media del 18,2%. La produzione di beni e servizi (prodotto
nazionale lordo) è diminuita del 30% tra il 1929 e il 1933 e recuperata a
livello del 1929 solo nel 1939. I prezzi di quasi tutto (prodotti agricoli,
materie prime, beni industriali, scorte) sono crollati drasticamente. Prezzi
agricoli, per esempio, è sceso del 51% 1929-1933 "(p. 1). Un esempio più
recente è il Giappone. Il 1980 è stato un decennio di stabilità dei prezzi, con
un tasso annuo d'inflazione medio del 2,6%, dopo 6,7% nella seconda metà
del decennio precedente. Questo periodo è stato anche caratterizzato da
tassi di investimento sano con il settore finanziario godere di innovazione
tecnologica e deregolamentazione. Che, tuttavia, non impedì che i problemi
in Giappone fin dai primi anni 1990. La crescita pro capite era in media
solo l'1% annuo nel 1990, e dopo aver oscillato intorno al 2,5% durante il
decennio degli anni 1980, la disoccupazione è aumentata sistematicamente
durante i primi anni novanta, in evoluzione per circa il 5% nell'ultimo
anno del decennio.
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Il settore bancario è stato afflitto da numerosi fallimenti, nonostante i
molteplici interventi del governo. La crisi del Sud Est asiatico alla fine del
1990 è ancora un altro esempio recente. Dopo che gli effetti del prezzo del
petrolio e crisi del debito furono superati nei primi „80, l'inflazione in questi
paesi è rimasta stabile e al di sotto del 10% nella maggior parte di essi. Tale
periodo di relativa stabilità è stata associata ad una sana crescita degli
investimenti di credito e PIL più del periodo. Tuttavia, questo non è bastato
a impedire la profonda crisi nell'estate del 1997, sì che i paesi della zona
con esperienza alti costi in termini di PIL (con riduzioni per lo più superiore
al 5%), che innescò un aumento della disoccupazione, che nella maggior
parte
dei
paesi
continua
a
essere
elevata
anche
tutt‟ora.
Ancora più recentemente, il crollo dei mercati azionari negli Stati Uniti e
altrove nel marzo 2001, era stato preceduto da stabilità dei prezzi, insieme a
un forte aumento degli investimenti privati connessi con i progressi nella
produttività della 'New Economy'. Qui ancora una volta, la stabilità dei
prezzi non era sufficiente a garantire una crescita elevata e sostenuta
dell'attività economica. Abbastanza interessante, il periodo successivo al
2001 negli Stati Uniti, che è stato caratterizzato da un allentamento di
politica monetaria e fiscale senza precedenti, che pur è riuscita a rilanciare
la crescita alla fine, il ritmo della ripresa economica è stata il più lento
registrato nel periodo post-seconda guerra mondiale dell'epoca. Ancora un
altro esempio significativo è l'Unione economica e monetaria (UEM) in
Europa. Anche se la Banca centrale europea (BCE) non persegue una
politica di inflation targeting (Duisenberg, 2003; Issing, 2003)ma
comunque persegue una strategia di politica monetaria con "il chiaro
impegno per l' mantenimento della stabilità dei prezzi nel medio termine“
che “implica un ancoraggio stabile nominale per l'economia in tutte le
circostanze "(BCE, 2001, p. 49). È vero che l'UEM ha fatto molto male in
termini di crescita della produzione e dell'occupazione fin dalla sua
creazione nel gennaio 1999, nonostante il raggiungimento della stabilità dei
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prezzi (2% circa). Il PIL dell'UEM è cresciuto al ritmo deludente inferiore
al 2%, quando il tasso di crescita del PIL americano ha superato il 3%. In
realtà, non solo è la crescita potenziale relativamente bassa ma anche la sua
performance di crescita reale è ancora lontana dal più basso potenziale (v.,
ad esempio, Padoa-Schioppa, 2005). Non vi può essere più chiara prova di
fallimento della politica macroeconomica, nonostante il focus sul
raggiungimento della stabilità dei prezzi. La conclusione inevitabile è che la
stabilità dei prezzi non garantisce necessariamente vantaggi. Di
conseguenza, l'obiettivo della stabilità dei prezzi potrebbe essere applicata
in modo più flessibile. Inoltre, e cosa ancora più importante, dovrebbe
essere perseguito in tandem con altri obiettivi, come la stabilizzazione della
produzione.
I paesi che non perseguono IT tipo di politiche che hanno ottenuto
risultati analoghi a quelli del Regno Unito.
Paesi in cui le banche centrali non perseguono la strategia IT hanno
performato come il Regno Unito, dove la BoE ha un forte accento sui
principi di IT.
Iniziamo esaminando l'adozione di IT nel Regno Unito, valutando
se
variazioni significative della media stocastica di prestazioni inflazione
seguono l'adozione di tale strategia. A questo scopo abbiamo applicare
l'analisi di intervento per modelli strutturali Time Series (STM) in seguito
ad un primo approccio suggerito da Harvey (1996) . Oltre al caso del Regno
Unito, dove è implementata la strategia IT, consideriamo, nello stesso
modello , paesi che non hanno perseguito una strategia simile, considerato
come gruppo di controllo. Sono state quindi valutate e confrontate
le
prestazioni di entrambi i gruppi di paesi. STM decomporre serie temporali
nelle componenti inosservate con proprietà dinamiche specifiche e
significative come le tendenze stocastico, stagionali e di breve periodo urti.
Queste procedure, dunque, permettono di isolare modifiche permanenti e
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transitorie che si verificano ad una serie, come le tendenze e gli effetti
stagionali, da quelli accadendo a causa di eventi specifici precedentemente
identificati dal ricercatore. L'analisi degli effetti di tali incidenti è
conosciuta come l'analisi di intervento (Box-Tiao, 1975). STM possono
impiegare solo una variabile rilevante, come nei modelli univariata, o un
vettore di variabili, come nel caso di STM multivariata. Ai fini di questo
contributo, l'analisi multivariata fa uso di serie temporali corrispondenti a
più di un paese allo stesso tempo. Le STM multivariate sono
particolarmente rilevanti per IT, in quanto essi "sono indicati per fornire un
quadro ideale per lo svolgimento di analisi di intervento con gruppi di
controllo" (Harvey, 1996). Nel nostro caso, l'implementazione di IT è
considerata come l'intervento, cioè l'evento il cui effetto è da valutare. A
tale scopo, a seguito di Harvey (1996), ci avvaliamo di serie di tassi
d'inflazione osservato nei paesi che hanno messo in atto, e anche in quelli
che non hanno applicato, questa strategia, cioè il gruppo di controllo.
Come si può spiegare l'inflazione bassa e stabile ottenuta non solo nel
Regno Unito ma anche altrove? Nel 2006 il rapporto annuale per la Banca
di Regolamenti Internazionali (BRI, 2006) suggerisce che i recenti tassi di
bassa e stabile inflazione a partire dalla metà degli anni 1980 possono
essere ricondotti agli effetti diretti e indiretti della globalizzazione. Tanto
che questo continuo processo di globalizzazione, il rapporto suggerisce,
potrebbe aver abilitato la politica monetaria ad essere meno restrittiva
rispetto all‟impostazione dovuta per raggiungere quell‟obiettivo.
Il rapporto offre cinque canali per spiegare come questo fenomeno può
avere operato: (i) l'apertura dei mercati globali di beni, servizi e fattori,
importazioni a basso costo e maggior investimenti transfrontalieri si
vantava di aver ridotto i costi di mantenimento di una bassa inflazione
senza necessità di profonda recessione e tassi di disoccupazione in aumento,
(ii) la concorrenza conseguente può avere rimosso vincoli specifici per
paese e ha permesso la levigatura dei cicli economici nel processo, questo, a
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sua volta, può aver fatto si che le banche centrali si focalizzassero sul
mantenimento di una bassa inflazione, (iii) attraverso i deflussi di capitale,
l‟aumento della competizione globale può avere anche amplificato le
sanzioni imposte ai paesi che appaiono avere politiche sbagliate,
imponendo così una maggior disciplina ai responsabili politici, (iv) la
deflazione potrebbe essere meno costosa in questo nuovo contesto, dove i
mercati globali più efficienti dei beni e dei fattori di produzione prevalgono,
con maggiori incentivi per promuovere la flessibilità del mercato e (v) con
la globalizzazione una riduzione dell'inflazione, la credibilità dei banchieri
centrali è stato migliorata notevolmente, contribuendo ad allineare le
aspettative.
Il Fondo Monetario Internazionale
nel 2006 World Economic Outlook
(IMF, 2006) non solo è d'accordo con questa spiegazione, ma offre anche
un sesto canale. Secondo questa spiegazione la globalizzazione può avere
indotto incentivi per aumentare la produttività (grazie anche agli sviluppi
delle tecnologie dell'informazione), attraverso pressioni sempre maggiori
all‟innovazione, tramite una concorrenza di prezzo e non di prezzo.
Di conseguenza, aumenta la fornitura aggregata mondiale (e la Cina ha
contribuito molto a questo proposito), mettendo pressione al ribasso sui
prezzi a livello mondiale. Ancora un altro motivo per tassi di inflazione più
bassi di tutto il mondo potrebbe essere stato dovuto al consenso popolare e
una determinata politica per la quale l'inflazione deve essere mantenuta
bassa ad ogni costo (Buiter, 2000). Relativamente a queste spiegazioni ci
sono due argomenti ulteriori. La prima è che i mercati più vasti risultanti
dalla globalizzazione producono economie di scala e una maggiore
concorrenza che portano a una maggiore produttività e pressioni al ribasso
sull'inflazione (Venables, 2006). Il secondo argomento è che la
globalizzazione attraverso una maggiore concorrenza indebolisce il potere
dei monopoli nazionali e sindacati, in modo da appiattire la curva di lungo
periodo Phillips. Ciò implica quindi più credibilità e impegno durevole a
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bassa inflazione (Rogoff, 2006, vedi, anche, Bean, 2006). Discussione e
prove empiriche è fornito da Kohn (2006), il quale sostiene che, mentre
l'inflazione è in definitiva un fenomeno monetario, la globalizzazione può
avere contribuito ad un notevole pressione al ribasso sull'inflazione.
Specialmente in vista della apertura dei mercati principalmente in Cina ed
India, dove il basso costo di produzione ha causato uno spostamento
geografico di produzione verso questi paesi, aumentando così l‟ offerta
aggregata mondiale. Kohn Riporta i risultati empirici piuttosto contrastanti
sugli effetti della globalizzazione sull'inflazione. Ciò porta alla conclusione
che la globalizzazione, mentre ha cambiato le dinamiche di determinazione
dell'inflazione", enormi lacune e gli enigmi rimangono…… Ma l'evidenza
sembra suggerire che ad oggi gli effetti sono stati graduali e limitati: un
ruolo maggiore per l'effetto diretto e indiretto dei prezzi all'importazione,
probabilmente alcuni di abbattimento del costo unitario del lavoro, anche se
meno per i prezzi da questo canale a giudicare dagli elevati margini di
profitto , e potenzialmente un effetto minore del divario produzione interna
e un effetto maggiore di output gap stranieri, ma anche qui la prova è ben
lungi dall'essere conclusiva".
Problemi legati all’appartenenza al MPC.
Un certo numero di ingredienti aggiuntivi del quadro di politica monetaria
BoE sembra essere di una certa importanza. Questi vengono sotto i titoli di:
apertura e trasparenza, la responsabilità, la comunicazione degli elementi
essenziali della politica monetaria, la credibilità e la reputazione dei membri
del MPC. E‟ generalmente accettato che la condotta della politica monetaria
BoE è stato un modello per il resto delle banche centrali su tutti questi
aspetti. Un problema particolare, tuttavia, che invita qualche commento, è
l'aspetto ultimo della lista appena menzionato, cioè la credibilità e la
reputazione dei membri del comitato di MPC. Questo aspetto assume
particolare significato in considerazione del fatto che i verbali pubblicati
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(sempre dal 1995, come detto sopra) rivelano la votazione dei singoli
membri ad ogni riunione del MPC. Anche se non sembrano esserci stati seri
problemi su questo fronte, la recente nomina di membri esterni ha invitato
alcune critiche. La gravità di questa critiche promana dal fatto che è
giunta dal governatore della BoE nel suo intervento alla Treasury Select
Commitee il 29 giugno 2006.
Il governatore ha criticato il Cancelliere dello Scacchiere per il “'modo
opaco, informale e lento'” di scegliere i nuovi membri dei membri del MPC
della BoE.
Il Governatore ha contrapposto la "chiara disposizione per la fissazione dei
tassi di interesse ... ….con aree in cui gli accordi istituzionali non sono così
chiare, come ad esempio la nomina dei membri del comitato ". Si è spinto
oltre ad esprimere preoccupazione per l'attuale sistema di nomina dei
membri esterni MPC, che è" molto informale e sembra comportare nomine
effettuate molto all'ultimo minuto. Non riesco a pensare a qualcuno che
tragga benefici da ciò". Il governatore è stato molto chiaro che la sua
preoccupazione era con "I tempi. Non è la gente o come funziona il
processo in essenza. E' cercare di trovare un meccanismo per assicurare che
le decisioni siano prese in modo tempestivo".
Il Governatore ha avuto questa opportunità per evidenziare l'importanza di
questi appuntamenti. Egli ha suggerito che ci sia "qualche orario presunto"
per "Quello che conta è che nel modo giusto. Ma per fare che ho il sospetto
vuol dire un processo “più sistematico", che" sarebbe utile". E', ovviamente,
naturale che "ci saranno sempre posti in cui la gente lascia
inaspettatamente, ed è più importante prendere il proprio tempo per ottenere
la nomina a destra che a correre in una sostituzione". L'implicazione è,
ovviamente, che il processo di nomina dei membri esterni del MPC è
altamente segreta e nelle mani del Cancelliere dello Scacchiere.
Sembrerebbe che la necessità di una maggiore trasparenza nel processo di
appuntamenti MPC potrebbe potenzialmente diventare un problema serio.
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La conseguenza ulteriore potenziale del suo tipo di episodi e osservazioni è
che può essere un segno di crescenti tensioni tra il Governatore della BoE e
il Cancelliere dello Scacchiere. Se questo dovesse essere convalidata,
potrebbe potenzialmente influenzare negativamente la credibilità del quadro
politico. Un tale evento non sarà collegata alla critica del processo tra 19921997 quando la perdita di credibilità è verificato a causa di disaccordi tra il
Governatore della BoE e il Cancelliere dello Scacchiere come osservato in
precedenza.
3.4 SEPARAZIONE DAL TESORO E POLITICA DEI
CAMBI : LA BANCA D’INGHILTERRA OGGI.
3.4.1 POLITICA DEI CAMBI.
Movimenti del tasso di cambio.
Il movimento della sterlina influenza il prezzo relativo delle importazioni e
delle esportazioni del Regno Unito e, più in generale, le variazioni di valore
di una moneta possono essere accompagnate da movimenti dei prezzi delle
altre attività.
Questi sviluppi influenzano l'equilibrio tra domanda aggregata e la
domanda nell'economia del Regno Unito. Ma è importante considerare le
ragioni che stanno alla base della modifica del tasso di cambio al momento
di valutare l'impatto complessivo di un movimento della sterlina sul tasso di
inflazione, l'obiettivo politico del Monetary Policy Committee (MPC).
Districare le diverse influenze sui tassi di cambio può essere difficile, molti
fattori possono sortire simultaneamente un effetto. In questo paragrafo si
discute sulle potenziali cause di forte deprezzamento della sterlina nel corso
della crisi finanziaria. Essa si basa su prove indicative sugli sviluppi nelle
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economie reali nel Regno Unito e all'estero, così come nei mercati
finanziari.
Il doppio ruolo dei tassi di cambio all'interno del sistema economico.
Il tasso di cambio nominale è il prezzo del denaro di un paese rispetto al
prezzo di un altro paese - che converte il prezzo della valuta di una zona nel
prezzo in un altro. In questo modo, variazioni dei tassi di cambio possono
alterare i relativi prezzi a livello internazionale.
Ma soprattutto, i movimenti valutari non avvengono in isolamento.
Piuttosto, essi sono legati, in un modo o nell'altro, a variazioni relative delle
economie nazionali o straniere.
In particolare, i tassi di cambio si spostano per equilibrare la domanda e
l‟offerta nei mercati di entrambi i beni, servizi e attività finanziarie
scambiati a livello internazionale.
Di conseguenza, le valute sono influenzate dai fattori sottostanti che
influenzano entrambi i tipi di mercati - i movimenti di valuta che si
estendono al lungo termine sono tipicamente determinati da variazioni della
domanda internazionale e offerta di beni e servizi, mentre loro cambiamenti
a breve termine sono connessi agli sviluppi dei mercati finanziari. Questo
ruolo 'doppio' è una caratteristica importante delle valute, ma può
complicare la loro interpretazione.
Il ruolo dei tassi di cambio nei mercati internazionali di beni e servizi.
Secondo la “legge del prezzo unico”, beni e servizi commerciabili dovrebbe
costare allo stesso modo nei in diversi paesi, una volta effettuata la
conversione nella valuta comune. Questo è perché, astraendo dalle spese di
trasporto di merci tra paesi, deviazioni da prezzi comuni comporterebbero
opportunità di profitto per il commercio, che se sfruttato tenderebbe a
mettere pressione sul tasso di cambio nominale in modo da equalizzare i
prezzi. Per esempio, se i beni fossero meno costosi
all'estero, le
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importazioni del Regno Unito tenderebbero ad aumentare con la
conseguente maggiore domanda di valuta estera e ciò indurrebbe la
pressione al ribasso sulla sterlina.
La legge del prezzo unico si fonda il potere d'acquisto (PPP), la teoria dei
tassi di cambio. Questo sostiene che, se i prezzi del Regno Unito sono
superiori a quelle all'estero, in questo modo vi sarebbe una pressione al
ribasso sulla sterlina e viceversa. Quindi, se tutte le merci fossero
negoziabili, il tasso di cambio reale tenderebbe a restare sostanzialmente
costante nel tempo. Ma in pratica ci sono alcuni beni e servizi che non sono
negoziabili (ad esempio, taglio di capelli) e alcuni beni commerciabili che
non sono perfetti sostituti. Come risultato, possono verificarsi ampi e
persistenti movimenti nel tasso di cambio reale.
Fig 3.2: Sterlin
Fig 3.4: Sterling nominal and real effective exchange rates
Fonte: Bank of England e IMF
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Questi possono riflettere sviluppi di economia reale- cambiamenti in tempo
reale la domanda e condizioni dell‟offerta aggregata- che colpiscono il
prezzo relativo dei beni e servizi negoziabili e non.
Ad esempio, se dovesse ridursi la domanda per il Regno Unito per le merci
prodotte e scambiate, forse a causa di una diminuzione della domanda
interna, la sterlina tenderebbe a deprezzarsi, al fine di contribuire ad
eliminare la capacità di riserva nel Regno Unito. Il deprezzamento
aumenterebbe la competitività delle esportazioni britanniche e renderebbe
le importazioni più costose,e ciò determinerebbe uno spostamento della
spesa
dalle merci d‟importazione ai beni di produzione nazionale.
Anche sviluppi dal lato dell'offerta sviluppi possono influenzare il percorso
del tasso di cambio reale. Se ci fosse un aumento dell‟offerta interna ,
rispetto a che all'estero, questo anche dovrebbe comportare un
deprezzamento reale sterlina, in quanto il Regno Unito avrebbe più merci
da vendere e un deprezzamento deve contribuire a facilitare questo.
Gli effetti di tale andamento dell'offerta sulle valute possono, tuttavia,
essere complicate dagli effetti ricchezza che essi possono generare. Per
esempio, se le famiglie del Regno Unito prevedono un aumento in futuro
della produttività, che sono suscettibili di rispondere immediatamente,
portando avanti
l'aumento della spesa previsto dal reddito futuro più
elevato.
In tale caso, l'aumento associato in domanda interna per beni prodotti nel
Regno Unito, tra cui beni negoziabili - può aumentare il loro prezzo e
produrre un vero e proprio apprezzamento della sterlina nel breve termine.
Il ruolo dei tassi di cambio in mercati degli asset internazionali.
Movimenti dei tassi di cambio interessano anche i rendimenti della attività
sui mercati finanziari nei diversi paesi. Quindi, se capitale è in grado di
fluire liberamente tra i paesi, è ragionevole supporre che i rendimenti attesi
su attività identiche nei diversi paesi saranno gli stessi quando vengono
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convertiti tramite il tasso di cambio nominale. Se i rendimenti attesi non
sono stati inizialmente equalizzati, opportunità di arbitraggio opportunità
stimolerebbero i flussi di capitale per eliminarli.
I tassi di cambio sono quindi influenzate da differenze, e modifiche, dei
rendimenti relativi a mercati degli asset a livello internazionale. Un
esempio di questo, che si concentra sui rendimenti nei mercati
obbligazionari internazionali, è la uncovered interest parity.
Questa sostiene che le valute dei paesi con tassi di interesse relativamente
alti, dovrebbero potenzialmente deprezzarsi nel futuro, in modo da
equalizzare rendimenti attesi tra i vari paesi.
Il ruolo che svolgono i tassi di cambio nei mercati delle attività è legato ai
rendimenti futuri delle differenti attività. Ciò significa che i tassi di cambio
sono variabili “lungimiranti”.
Dinamiche sostenibili di lungo periodo di breve periodo.
Un tasso reale di cambio sostenibile a lungo termine assicura che i prezzi
relativi dei beni e servizi nazionali ed esteri (negoziabili e non negoziabili)
siano coerenti con una equilibrio macroeconomico. Cioè, dove le risorse
sono assegnate in modo ottimale e qualsiasi flusso internazionale di
capitale, generato dalla differenza tra spesa corrente domestica e il reddito,
può essere sostenuto. Ad esempio, i creditori potrebbero credere al fatto che
l'indebitamento di un paese debitore possa essere rimborsato dai guadagni
futuri.
I
cambiamenti
del
tasso
di
cambio
sostenibile
sono
più frequentemente legati a fattori dell'economia reale, sebbene essi
possano anche potenzialmente riflettere cambiamenti nelle preferenze per le
diverse attività finanziarie.
Ma quando tali cambiamenti si verificano il tasso di cambio può non
passare direttamente al nuovo valore sostenibile. Piuttosto c'è un percorso
di aggiustamento dinamico verso quel nuovo livello di lungo periodo, che
determina i movimenti valutari a breve termine. In linea di principio, tali
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tassi di cambio a breve dovrebbero essere coerenti con l‟UIP sopra discussa
ed essere pertanto influenzati da fattori che influenzano i mercati finanziari.
I tassi di cambio a breve
possono, comunque, essere difficili da
razionalizzare in termini di rendimenti su attività finanziarie - una volatilità
relativamente elevata delle valute spesso appare sconcertante e può essere
difficile da rilevare un
sostegno prove per la condizione UIP.
Volatilità a breve termine dei tassi di cambio è a volte legata alle diverse
possibili velocità nei vari mercati - Per esempio, alcuni autori suggeriscono
che la generale vischiosità dei prezzi di beni e servizi, in combinazione con
la flessibilità dei prezzi degli asset, può provocare a tassi di cambio a
superamento dei loro eventuali livelli sostenibili di lungo periodo
(Dornbusch 1976).
In alternativa, tale volatilità e le difficoltà nel trovare il supporto per UIP
potrebbe
riflettere
l'impatto
dei
premi
al
rischio,
che
sorgeranno se le attività nazionali e straniere sono percepiti di possedere
caratteristiche di rischio diverse che cambiano nel tempo.
Se questo è il caso, ci si può aspettare che le valute che a volte vengono
considerati più 'rischiose' si apprezzino più rapidamente che altrimenti, per
compensare gli investitori avversi al rischio per il carico maggiore del
rischio di cambio.
I tassi di cambio possono quindi essere influenzati da cambiamenti nella
propensione al rischio degli investitori Inoltre, a breve periodo i movimenti
di valuta possono essere influenzata da fattori transitori che interessano i
mercati finanziari come cambiamenti nei flussi speculativi.
L'interazione tra politica monetaria e il tasso di cambio.
L'obiettivo della politica monetaria nel Regno Unito al fine di rispondere
all‟obiettivo di inflazione del Governo.
Nel perseguimento di tale obiettivo, il MPC non cerca di controllare i
movimenti nel tasso di cambio della sterlina.
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Ciò nonostante, i movimenti del tasso di cambio della sterlina possono
avere implicazioni per la pressione inflazionistica nell‟ economia, e quindi
può influenzare le decisioni politiche del MPC.
Il prospettiva dei tassi di cambio significa anche che essi possono
potenzialmente fornire utili informazioni tempestive sulle percezione, da
parte degli operatori di mercato,
delle prospettive economiche future.
Una nozione chiave, tuttavia, è che i movimenti nel CPI del Regno Unito
associati all‟inflazione con un movimento del tasso di cambio della sterlina
dipendono dal tipo di sviluppo sottostante del Regno Unito o delle
economie straniere e, quindi, la guida per il cambiamento .
Questa dipendenza del tipo di sviluppo sottostante può riflettere sia
l'impatto diretto di un movimento tasso di cambio sui prezzi
all'importazione e più ampi effetti dello sviluppo sottostante sulla pressione
inflazionistica
In
particolare,
deprezzamenti
della
sterlina
tendono
a
mettere
pressioni al rialzo sul tasso di inflazione aumentando i prezzi delle
importazioni, mentre è vero il contrario per apprezzamenti della sterlina.
Ma questo impatto diretto può dipendere dal fatto movimento della sterlina
è percepito essere guidato da fattori temporanei o più persistenti. Un
esempio dell'importanza di considerare gli effetti più ampi dello
sviluppo
di
fondo
è
che
se
un
deprezzamento
della
sterlina
riflette la minore domanda di beni commerciati nel Regno Unito rispetto per
la fornitura di quindi il margine più alto di capacità di riserva tendono a
mettere pressione al ribasso sui prezzi interni, per dare maggiori
pressioni al rialzo sul tasso di inflazione derivante via più import
prezzi.
Nel medio-lungo termine, tuttavia, l'inflazione è determinato dalla politica
monetaria, piuttosto che dai movimenti dei prezzi relativi, quali variazioni
dei tassi di cambio. Le decisioni politiche da parte del MPC possono colpire
anche il tasso di cambio della sterlina. Infatti, i movimenti dei tassi di
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cambio sono un importante parte del meccanismo di trasmissione della
politica monetaria (Banca d' Inghilterra (1999)). Come con tutti gli sviluppi
del mercato degli asset, solo modifiche impreviste che causano modifiche
al percorso previsto della politica (tipicamente il tasso della Banca o, più
recentemente il programma degli acquisti di asset nel quadro del
meccanismo di acquisto di attività) dovrebbero spostare i tassi di cambio.
Come il MPC altera la politica monetaria in risposta ai cambiamenti di
pressione inflazionistica, si alterano i rendimenti relativi delle attività in
sterline o spostamenti rapidi nei portafogli.
Questi, in assenza di modifiche di premi al rischio o di tasso reale nel
lungo periodo, fa sì che il tasso di cambio nominale per regolare nel breve
periodo, come parte del processo di equilibrante mercati dei beni e delle
attività.
Sterling’s recent movements.
L'indice del tasso di cambio effettivo della sterlina (£ ERI) ha
si è notevolmente deprezzato dall'inizio dell‟ultima crisi finanziaria
Nonostante
un
apprezzamento
del
10%
nel
primo
semestre
2009, alla fine di giugno 2009 (2) £ ERI è stato di circa il 20%
inferiore rispetto ad agosto 2007. Queste mosse recenti rappresentano un
allontanamento significativo dal decennio di relativa stabilità per
la sterlina che ha preceduto la crisi.
Il primo grafico mostra l'evoluzione dei tassi di cambio in sterline tra
l'agosto 2007 e giugno 2009. Nel complesso, le variazioni sembrano essersi
verificate in tre grandi fasi, che hanno fatto eco agli sviluppi delle altre
valute e nei mercati finanziari più in generale.
Nella
fase
iniziale,
durante
il
primo
anno
della
crisi,
il
deprezzamento dell‟£ERI è stato ampiamente giustificato da cadute nei
confronti dell'euro e dello yen, con lo Sterling di poco cambiato
nei confronti del dollaro statunitense.
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Fig. 3.5: Cumulative change in selecting sterling exchange rates since August 2007
Fonte: Interpreting recent movements in sterling
Fig. 3.6: International exchange rates
Fonte: Bank of England e IMF
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In effetti, la sterlina e dollaro USA si sono deprezzati di importi analoghi
durante questo periodo.
Ciò tenderebbe a suggerire che Regno Unito e le economie degli Stati Uniti
sono stati inizialmente percepiti come colpite stesso modo dalla crisi
finanziaria. Per contro l'euro e yen tassi si apprezzano in questo periodo, in
coerenza con l'area dell'euro e in Giappone le quali vengono inizialmente
percepite come le aree relativamente meno colpite.
La seconda fase, e la più acuta, del deprezzamento della sterlina
si è verificata negli ultimi mesi del 2008 alcuni, in seguito al fallimento
della Lehman Brothers nel settembre 2008. Infatti, deprezzata del 20% , la
sterlina registra il più forte calo trimestrale a partire dalla fine del sistema di
Bretton Woods dei tassi fissi cambio, nei primi anni 1970 (vd grafico 3.2).
Ma il pattern dei movimenti valutari globali differivano da quello iniziale.Il
dollaro americano, e soprattutto lo yen, si apprezzano bruscamente alla fine
del 2008, mentre l'euro cambia di poco (vd grafico 3.4)
La terza fase è stato l'apprezzamento della sterlina nella prima metà del
2009: l'ERI è aumentato di circa il 10%, invertendo circa la metà del
deprezzamento nel corso dell'ultimo trimestre del 2008.
Il forte apprezzamento del dollaro e dello yen del tardo 2008 sono stati in
parte invertiti nel 2009. Alla fine del Giugno 2009 il £ ERI è rimasto vicino
al suo livello più basso dalla metà degli anni 1970. Per lunghi periodi di
tempo è più appropriato ad esaminare i tassi di cambio reali, che si
muovono relativamente ai movimenti dei prezzi al consumo e costo del
lavoro attraverso paesi. Su questa base, il deprezzamento della sterlina negli
ultimi due anni ha riportato il valore reale della sterlina intorno al suo
livello a metà degli anni 1990, che si era avvicinato alla media livello nei
precedenti 20 anni (grafico 3.6).
Il percorso operativo e regolamentare della Banca d’Inghilterra
LUISS GUIDO CARLI – Dipartimento di Impresa e Managament – a.a. 2010/2011
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