La guerra civile spagnola - 755785

LIBRO
IN
ASSAGGIO
LA GUERRA CIVILE
SPAGNOLA
DI ANTONY BEEVOR
LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA
LE LORO CATTOLICISSIME MAESTÀ
Su una strada sterrata in Andalusia o in Estremadura, una delle prime automobili in
Spagna si era guastata. Nella fotografia, un giovanotto stringe il volante. Non è molto bello:
ha un grosso naso e orecchie enormi; ha capelli imbrillantinati con una scriminatura centrale e
sfoggia un paio di baffi. L'uomo al volante è re Alfonso XIII.
A entrambi i lati, alcuni uomini spingono con forza sui parafanghi; hanno volti bruciati dal
sole e sono vestiti poveramente, senza colletto ne cravatta: stanno facendo un grosso sforzo.
Sullo sfondo, tre o quattro persone ben vestite e con il cappello osservano la scena. Un signore a cavallo, forse un proprietario terriero locale, ha frenato la sua cavalcatura. Sulla destra,
un landò, un tiro a due, con un cocchiere in uniforme che regge le redini, attende di andare in
aiuto del re qualora il motore dell'automobile non dovesse ripartire. La didascalia spiega che il
principale desiderio del sovrano è mantenere «il contatto diretto con il suo popolo». Poche
immagini potrebbero rappresentare meglio gli estremi dei contrasti sociali ed economici della
Spagna dei primi anni del XX secolo. Ma forse l' aspetto che più colpisce nella fotografia è il
modo in cui i contadini e il sovrano devono essere sembrati a vicenda stranieri in patria.
La Spagna, con la sua rigida tradizione di governo da Madrid, stava diventando sempre
più turbolenta, sia nelle campagne sia nelle grandi città. Al punto che nemmeno i più ingenui
possono sostenere che la guerra civile spagnola cominciò semplicemente nel luglio del 1936
con l'insurrezione dei generali «nazionalisti» contro il governo repubblicano. In quel momento
si catalizzarono tutte le forze che hanno fatto la storia della Spagna. Una di queste forze
riguardava gli interessi di classe, ma le altre due non avevano minore importanza: il governo
autoritario contro l'istinto libertario e quello centrale contro le aspirazioni regionali.
La genesi di questi tre tipi di conflitto si ritrova nel modo in cui la Reconquista della Spagna
dai mori aveva modellato il quadro sociale della nazione e influenzato l'atteggiamento dei
conquistatori castigliani. La guerra a intermittenza contro i mori, iniziata dai visigoti nell'VIII
secolo, ebbe termine nel 1492 con l'ingresso trionfale di Isabella e Ferdinando a Granada. Per
i tradizionalisti spagnoli l'episodio segnò sia il culmine di una lunga crociata sia l'inizio della
civiltà della nazione. Questo concetto permeò l'alleanza nazionalista del 1936, che
continuava a richiamarsi alla gloria di Ferdinando e Isabella, i sovrani cattolici, e definiva la
propria lotta come la seconda Reconquista, assegnando ai progressisti, ai «rossi» e ai
separatisti il ruolo dei pagani contemporanei.
Con un esercito feudale quale prototipo del potere dello Stato, la monarchia e
l'aristocrazia guerriera ripresero possesso delle terre durante la lotta contro i mori. Allo scopo
di continuare la Reconquista, l'aristocrazia aveva bisogno di denaro, non di cibo. Il prodotto
destinato alla vendita che poteva fornirlo era la lana Merino. Le terre comuni vennero requisite
per il pascolo delle pecore, il che ebbe non solo un effetto catastrofico per le bocche dei
contadini, ma comportò anche l'erosione del suolo, mandando in rovina quello che una volta
era stato il «granaio dell'impero romano». Per badare alle pecore bastava poca gente e
l'unica alternativa alla fame era l'arruolamento e, più tardi, l'impero. Nel Medioevo la
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popolazione della Spagna era stimata in cir- ca 14 milioni, di persone; alla fine del XVIII
secolo superava di poco i 7 milioni.
L'autoritarismo castigliano si sviluppò passando da un regime feudale-militare a uno
caratterizzato dall'alleanza fra trono e altare. Durante i sette secoli della Reconquista, il ruolo
della Chiesa era stato soprattutto quello di propagandista dell'azione militare, nonche di partecipante; poi, durante il regno di Isabella, all'arcivescovo guerriero succedette il cardinale
statista. Tuttavia il legame fra Chiesa ed esercito rimase fondamentale durante la rapida
crescita dell'impero spagnolo, quando il crocifisso fu l'ombra della spada sopra metà del
mondo. L'esercito conquistava, poi la Chiesa integrava i nuovi territori nello Stato di Castiglia.
Il controllo esercitato sulla popolazione era totale, sostenuto dalla minaccia dell'inferno e
dal suo assaggio terreno sotto forma dell'Inquisizione. Al Sant'Uffizio bastava una sola
denuncia, un sussurro anonimo da parte di un nemico geloso, e le pubbliche ,confessioni
strappate prima degli autodafe fornivano una dura esperienza preliminare dello Stato
totalitario. La Chiesa inoltre controllava ogni aspetto dell'educazione e «proteggeva» le menti
dell'intera popolazione facendo roghi di libri e imponendo un cordone sanitario per tenere
lontane le eresie politiche e religiose. Ed era sempre la Chiesa a vantare le qualità della
Castiglia, come la sopportazione della sofferenza e l'equanimità di fronte alla morte,
incoraggiando l'idea che era meglio essere un caballero affamato piuttosto che un grasso
mercante.
Questo puritanesimo cattolico spagnolo era stato formulato dal cardinale Ximenes de
Cisneros, l'ascetico frate innalzato da Isabella a uomo di Stato più potente dell'epoca. Si
trattava, in sostanza, di una riforma interna. Il papato veniva rifiutato per la sua corruzione e,
di conseguenza, la Spagna doveva salvare l'Europa dall'eresia e il cattolicesimo dalla sua
stessa debolezza. Come risultato il clero metteva in pratica ciò che predicava, fatta eccezione
per il perdono e per l'amore fraterno, e qualche volta faceva dichiarazioni sulla proprietà che
erano sovversive quasi quanto l'insegnamento originale. Tuttavia la Chiesa forniva una
giustificazione spirituale per la struttura sociale castigliana e fu la forza più autorevole nel suo
consolidamento.
Il terzo tipo di conflitto, il centralismo contro il regionalismo, si sviluppò anch'esso nel XV e
XVI secolo. La prima grande rivolta contro i regni uniti ebbe una caratteristica prettamente
regionale. La rivolta dei comuneros nel 1520 contro il nipote di Isabella, l'imperatore Carlo V;
fu provocata non solo dal suo uso della nazione come tesoro del proprio impero e
dall'arroganza dei suoi cortigiani fiamminghi, ma anche dal suo disprezzo per i diritti e gli usi
locali. Buona parte della nazione era stata assimilata nel regno di Castiglia mediante matrimoni reali e gli Asburgo spagnoli, fino a Filippo IV; preferirono lasciare alla Chiesa il ruolo
di forza di coesione del reame.
I tre attributi dello Stato di Castiglia, feudale, autoritario e centralista, erano fortemente
interconnessi. Questo era vero in particolare quando si arrivava alla questione regionale. La
Castiglia aveva istituito un'autorità centrale in Spagna e costruito l'impero, ma la sua amministrazione si rifiutava di ammettere che le relazioni economiche feudali erano avviate al
tramonto. Le guerre nell'Europa settentrionale, la lotta contro i francesi in Italia e la distruzione
dell' Armada stavano a significare che il potere imperiale, realizzato in meno di due generazioni, aveva cominciato quasi subito a declinare. La Castiglia aveva l'inflessibile orgoglio di un
nobile da poco impoverito, il quale rifiuta di accorgersi delle ragnatele e del degrado del suo
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grande maniero e continua a sognare la grandezza della sua gioventù. Questa capacità di
vedere soltanto quanto voleva rese la situazione del governo castigliano molto difficile: si rifiutò
di ammettere che i tesori dalle Americhe nelle chiese non nutrivano alcuno e che l'ingente
afflusso di metallo prezioso ma inutile poteva soltanto minare la struttura economica della
nazione.
La Catalogna, assorbita nel regno d' Aragona durante il Medioevo, era molto diversa dal
resto della penisola e non c'è da sorprendersi se in seguito fra Madrid e Barcellona si sia
sviluppato un duro contrasto. I catalani avevano avuto un notevole potere nel Mediterraneo: il
loro impero aveva compreso le Baleari, la Corsica, la Sardegna, la Sicilia e il ducato di Atene.
Tuttavia, poiche era stata Isabella di Castiglia e non Ferdinando d' Aragona a finanziare
Colombo, i catalani non avevano un accesso commerciale diretto con le Americhe.
Nel 1640 Catalogna e Portogallo insorsero contro Filippo IV di Spagna e il suo ministro, il
conte-duca di Olivares. Il Portogallo ottenne l'indipendenza, ma la Catalogna riconobbe Luigi
XIII di Francia come proprio sovrano, finche Barcellona non cadde in mano a Filippo IV nel
1652. E allora, dopo la morte dell'ultimo Asburgo spagnolo nel 1700, cominciò la guerra di
Successione Spagnola e la Catalogna si schierò con l'Inghilterra contro il nipote di Luigi XIV;
Filippo d' Angiò. I catalani furono traditi dagli inglesi con il Trattato di Utrecht e Filippo V abolì
i diritti della Catalogna, dopo averla conquistata ne11714. Il castello di Montjliich fu costruito
per dominare la città e per ricordare ai catalani che era Madrid a comandare: con questo
inizio Filippo cominciò a realizzare il sogno centralista di suo nonno il Re Sole. La forza
unificatrice della Chiesa era tramontata, e se la monarchia voleva tenere sotto controllo i non
castigliani le occorreva una nuova forza centripeta. Il filosofo basco del XX secolo Unamuno, il
quale non era affatto un separatista, sostenne che «lo scopo era l'unità e soltanto essa; l'unità
per soffocare la minima individualità e differenza... È il dogma dell'infallibilità di chi governa».
Ma la spietatezza non risolse il problema, e preparò il terreno per i guai del futuro.
L'arretratezza dei commerci spagnoli durante i secoli XVII e XVIII era dovuta soprattutto al
modo in cui il cattolicesimo spagnolo aveva mantenuto una linea anticapitalista aggrappandosi
agli insegnamenti medievali sull'usura. Il codice dell' hidalgo, il gentiluomo spagnolo, 10
costringeva a disprezzare il denaro in generale e lavorare per guadagnarlo in particolare. Il
censimento del 1788 dimostrò che quasi il 50 per cento della popolazione adulta maschile
non era impegnata in alcun genere di lavoro produttivo; l'esercito, la Chiesa e soprattutto la
vasta nobiltà erano un peso morto per il resto della popolazione, e fu forse questa statistica a
dare origine al famoso detto che «mezza Spagna mangia ma non lavora, mentre I' altta metà
lavora ma non mangia».
Come reazione contto l'arretratezza commerciale e il rigore dell'ordine al potere, la
Spagna avrebbe sperimentato una rivoluzione del ceto medio prima di gran parte delle altre
nazioni europee. Ebbe un breve periodo senza catene verso la metà del XVIII secolo, sotto il
regno di Carlo III, quando si fece sentire I'influeriza dell'Illuminismo. Le riforme ridussero di
molto l'influenza della Chiesa sull'esercito, mentre numerosi ufficiali furono attratti dalla
massoneria. Questo movimento anticlericale e, di conseguenza, politico, fu connesso in modo
indissolubile allo sviluppo delliberalismo nel piccolo ceto medio professionale spagnolo,
illiberalismo che diventò una forza apprezzabile nel XIX secolo come conseguenza della
«guerra d'indipendenza» contro le ttuppe napoleoniche. Il poco coraggioso re Carlo IV fu
deposto da una rivolta popolare per la corruzione e gli scandali del suo favorito Manuel de
Godoy, e per l'invasione dell'esercito francese; Napoleone si rifiutò di riconoscere il suo erede
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Ferdinando VII e gran parte dell'aristocrazia spagnola si schierò a fianco della potenza
occupante. Poi le esecuzioni di Murat a Madrid provocarono la rivolta popolare spontanea del
2 maggio 1808, con il feroce attacco a coltellate contro la cavalleria dei Mammalucchi
dell'imperatore. L'«ulcera di Napoleone», come venne chiamata la rivolta, fu la prima guerra
di guerriglia su vasta scala dei tempi moderni e 60.000 spagnoli morirono nella difesa di
Saragozza. L'aspra resistenza originò da un movimento popolare, anche se alcuni ufficiali
progressisti vi ebbero un ruolo importante, soprattutto nelle juntas locali di difesa.
La struttura di governo tradizionale della «Vecchia Spagna» subì la prima scossa formale
nel 1812, quando la giunta centrale di difesa proclamò la Costituzione di Cadice, basata su
princìpi liberali del ceto medio. Quest' occasione di liberarsi dalle soffocanti restrizioni della
monarchia e della Chiesa indusse molte città e province a proclamarsi regioni a governo
autonomo nel quadro di una federazione spagnola. Tuttavia queste novità non durarono a
lungo perche, anche se Ferdinando VII fu autorizzato a tornare a condizione che accettasse la
Costituzione, il re in seguito mancò di parola e invocò l'intervento della Santa Alleanza, sotto
la quale, nel 1823, il sovrano francese Luigi XVIII mandò un esercito, definito «i cento mila figli
di San Luigi», a schiacciare illiberalismo spagnolo. Ferdinando sciolse infine l'esercito
liberale e reintrodusse l'Inquisizione, per stroncare «la disastrosa mania del pensare».
Nel XIX secolo la Spagna continuò a soffrire nella lotta fra liberalismo e tradizionalismo.
Dopo la morte di Ferdinando VII nel 1833 sua erede fu la giovane regina Isabella II; l'esercito
liberale appoggiò la sua successione (e in seguito forni la maggior parte dei suoi amanti). Le
schiere tradizionaliste si raccolsero però attorno al fratello di Ferdinando, Don Carlos
(diventando note come carlisti) pretendente al trono. La loro forza principale era rappresentata
dai piccoli proprietari dei Pirenei, soprattutto in Navarra e i suoi sostenitori divennero famosi
per il fanatismo religioso e il feroce rifiuto della modernità. Nella prima guerra carlista dal
1833 al 1840 una Legione Britannica, forte di quasi 10.000 uomini e comandata da ufficiali
di carriera, combattè dalla parte dei liberali. La guerra civile di cent'anni dopo avrebbe
anch'essa attirato volontari stranieri, ma la simpatia per queste avventure idealistiche mutò in
modo drastico negli ambienti governativi britannici, e l'ammirazione verso la tradizione
byroniana di appoggiare le insurrezioni all' estero scomparve dopo il 1918 in seguito alla nascita della rivoluzione socialista e al riconoscimento dei veri orrori della guerra.
Il liberalismo che permeava il sempre crescente numero di ufficiali provenienti dal ceto
medio nei primi anni del secolo perse vigore quando i suoi sostenitori approfittarono della
vendita delle terre della Chiesa e si trasformarono in una grande bourgeoisie reazionaria. I governi di Madrid erano corrotti e i vertici militari si impegnarono a fondo per rovesciarli. Era
l'epoca dei pronunciamientos, quando i generali facevano allineare le loro truppe e le
arringavano a lungo, proclamandosi salvatori e dittatori della nazione: fra il 1814 e il 1874 ci
furono 37 tentativi di colpo di Stato, 12 dei quali ebbero successo. La nazione prosegui
arrancando, diventando sempre più povera, mentre la regina Isabella teneva in esercizio i suoi
ufficiali della guardia. Alla fine fu deposta, nel 1868, dopo essersi scelta un amante che non
era gradito all'esercito. Due anni dopo venne designato come suo successore Amedeo di
Savoia duca d'Aosta, ma la sua sincera buona volontà non fu sufficiente a guadagnargli
l'appoggio di una popolazione esasperata contro la monarchia. La sua abdicazione nel
febbraio del 1873 venne seguita da una votazione alle Cortes che sanci la nascita di una
Repubblica.
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La Prima Repubblica fu rovesciata ben presto da un intervento militare, anche se il suo
programma federalista aveva avuto un vasto consenso: aveva anche incluso l'abolizione della
coscrizione militare, misura molto popolare, ma pochi giorni dopo la prima elezione indetta
dal nuovo regime le sporadiche rivolte carliste sfociarono in una vera e propria guerra civile e
il governo fu costretto a rimangiarsi questa importante promessa. Le truppe più efficienti del
pretendente carlista erano i cattolicissimi baschi, i quali erano motivati, in primo luogo,
dall'ambizione separatista di scrollarsi di dosso il giogo di Madrid. I sovrani spagnoli erano
soltanto signori delle province basche, che costituivano un seiiorio e che non erano mai state
soggette a un governo centrale come altri territori della penisola.
Per i generali il ruolo principale dell'esercito era imporre l'unità nazionale, soprattutto
dopo la perdita dell'impero americano. Come i centralisti castigliani, erano sbigottiti dalla
prospettiva di vedere la frontiera dei Pirenei occupata da nazioni separatiste basche e
catalane ed erano inoltre implacabili nella loro opposizione al federalismo, per cui, quando
vennero proclamate in altre zone regioni ad autogoverno, non esitarono a reprimere questo
movimento contro Madrid oltre a quelli carlisti e baschi. La Prima Repubblica durò soltanto pochi mesi.
Il conservatore Canovas del Castillo aveva pianificato la restaurazione dei Borboni fin
dalla caduta di Isabella; voleva inoltre costituire un governo stabile e fare rientrare le truppe
nelle caserme. Ciò gli riuscì quando alla fine del 1874 il generale Martinez Campos proclamò
re Alfonso XII. Questi era figlio di Isabella (e di conseguenza presumibilmente di buona stirpe
militare), ma era ancora soltanto un cadetto di Sandhurst.
Sotto la Costituzione di Canovas, che doveva durare per mezzo secolo, la Chiesa e i
latifondisti erano tornati forti e avevano tutte le intenzioni di restare tali; di conseguenza le
elezioni vennero spudoratamente manipolate: contadini e affittuari dovevano votare come il padrone comandava, se non volevano venire cacciati; gli scrutini erano effettuati da caporioni
politici, i caciques, che sguinzagliavano bande armate note come El Partido de fa Porra (il
partito del manganello), e se queste non risultavano efficienti, le schede elettorali venivano distrutte o sostituite. La corruzione politica ed economica si estese da Madrid in misura molto
superiore rispetto a quanto accaduto nei secoli precedenti. I tribunali erano corrotti fino alle
preture di villaggio e nessun povero poteva sperare di fare sentire le proprie ragioni, per non
parlare di ottenere giustizia.
Anche se può esserci stata spesso una feroce rivalità fra progressisti e
conservatori nelle province, fra i loro leader nella capitale vigeva una specie di tacito accordo.
Ogni volta che c' era qualche misura impopolare da prendere i conservatori si ritiravano e i
liberali, ormai praticamente indistinguibili dai loro avversari, intervenivano alloro posto; ma
qualunque personaggio di alta levatura, anche se aristocratico, avesse denunciato la
corruzione, veniva considerato traditore e isolato. La triade di Chiesa, esercito e monarchia,
che aveva a suo tempo fondato l'impero, doveva presiedere al suo disfacimento finale. Nel
1898 la guerra ispano-americana vide la sconfitta delle forze armate e la perdita di Cuba,
delle Filippine e di Portorico. Gli ufficiali si erano venduti la maggior parte dei viveri e
dell'equipaggiamento dei soldati.
Nemmeno la misera fine della visione della Reconquista a Cuba nel 1898 riusci a
strappare i governanti spagnoli dal loro arrogante e miope compiacimento; non riuscirono ad
ammettere che l'ossessione dell'impero aveva rovinato la nazione: se lo avessero fatto,
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avrebbero minato le istituzioni dell'aristocrazia, della Chiesa e dell'esercito. Questo rifiuto di
affrontare la realtà cominciò a scontrarsi con nuove forze politiche che stavano crescendo
rapidamente e che, a differenza del liberalismo dei primi anni del XIX secolo, non potevano
venire assorbite nella struttura di governo. L'incompatibilità tra la «Spagna Eterna» e questi
nuovi movimenti politici si trasformò nello scontro che avrebbe in seguito smembrato la
nazione.
Alfonso XIII, il guidatore di quell'auto in panne, diventò re a sedici anni, nel 1902. La
povertà era così grande, all'inizio del XX secolo, che oltre 500.000 spagnoli, su una
popolazione di 18,5 milioni, emigrò nel Nuovo Mondo nel solo primo decennio del secolo.
L'aspettativa di vita era sui trentacinque anni, come ai tempi di Ferdinando e Isabella; il livello
di analfabetismo, che variava molto da regione a regione, era del 64 per cento come media
generale; due terzi della popolazione attiva spagnola lavorava ancora nei campi. Tuttavia non
c'era soltanto un problema di diritti di proprietà e di tensioni fra proprietari e contadini senza
terra: su un totale di 5 milioni di contadini e coltivatori, esistevano enormi differenze di tenore
di vita e di capacità tecnica, a seconda delle regioni. In Andalusia, in Estremadura e nella
Mancia l'agricoltura rimaneva primitiva e inutilmente faticosa; in molte altre zone, come la
Galizia, il Le6n, la Vecchia Castiglia, la Catalogna e il nord, i piccoli proprietari coltivavano
la loro terra con fiera indipendenza, mentre la ricca piana costiera del Levante forniva forse il
miglior esempio di coltivazioni intensive d'Europa.
Industria e miniere fornivano soltanto il 18 per cento dei posti di lavoro disponibili: poco
più di quelli domestici e di altri servizi. Le esportazioni principali della Spagna venivano dalla
produzione agricola, soprattutto dalla fertile regione costiera attorno a Valencia, e soltanto in
parte dalle miniere. Ma dopo il crollo delle ultime vestigia dell'impero il denaro rientrò in
patria e, assieme ad altri investimenti europei, soprattutto dalla Francia, ci fu un boom degli
istituti bancari, dopo il quale vennero fondate alcune delle principali banche di oggi. I governi
finanziarono lo sviluppo industriale e, soprattutto in Catalogna, si crearono enormi fortune.
La nazione rimase neutrale durante la Prima guerra mondiale. Le sue esportazioni di
prodotti agricoli, di materie prime e una crescente produzione industriale diedero vita a quello
che sembrava un miracolo economico, con migliaia di nuove imprese. Tale nuova prosperità
comportò un significativo aumento delle nascite, che avrebbe avuto il suo effetto vent'anni
dopo, a metà degli anni Trenta. La bilancia dei pagamenti spagnola era tanto favorevole da
fare aumentare in modo sensazionale le riserve auree della nazione. Ma quando la guerra
fini, il miracolo economico svani e i governi ritornarono al protezionismo. Alla nascita della
speranza, avevano fatto seguito la delusione e il risentimento dovuti alla disoccupazione.
© by Antony Beevor
© 2006, RCS Libri S.p.A.
Titolo originale: The Battle for Spain
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
su licenza RCS Libri S.p.A.
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