“COMUNICARE CON FILOSOFIA”
PROF. MAURO DI GIANDOMENICO
Università Telematica Pegaso
Comunicare con Filosofia
Indice
1
CHE COS’È LA FILOSOFIA (OCCIDENTALE)? --------------------------------------------------------------------- 3
2
CHE COS’È LA FILOSOFIA (EXTRA EUROPEA)? ----------------------------------------------------------------- 5
3
LA FILOSOFIA ARABA ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3.1.
4
LA FILOSOFIA INDIANA -------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
4.1.
4.2.
4.3.
5
IL CONFUCIANESIMO ---------------------------------------------------------------------------------------------------------13
IL TAOISMO O DAOISMO -----------------------------------------------------------------------------------------------------14
IL BUDDISMO CINESE ---------------------------------------------------------------------------------------------------------15
IL SECOLO XX ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------16
LA FILOSOFIA GIAPPONESE ------------------------------------------------------------------------------------------- 17
6.1.
6.2.
6.3.
7
IL BUDDISMO -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------10
L’INDUISMO -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------10
IL SECOLO XX ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------11
LA FILOSOFIA CINESE --------------------------------------------------------------------------------------------------- 13
5.1.
5.2.
5.3.
5.4.
6
IL SECOLO XX ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
IL BUDDISMO ZEN ------------------------------------------------------------------------------------------------------------17
IL NEO-CONFUCIANESIMO ---------------------------------------------------------------------------------------------------18
IL SECOLO XX ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------19
FILOSOFIA AFRICANA---------------------------------------------------------------------------------------------------- 22
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Che cos’è la filosofia (occidentale)?
L’origine del termine è abbastanza nota: si ritrova nel greco antico philosophía, composto a
sua volta da philèin (amare) e sophía (sapienza, saggezza); letteralmente perciò significa “amore
della sapienza, della saggezza”. Si tratta in effetti di un’attività e di una disciplina che esiste fin
dall’antichità sia nelle civiltà occidentali che in quelle orientali (ma queste ultime saranno solo
accennate) e si presenta come un’interrogazione, un’interpretazione ed una riflessione sul mondo e
sull’esistenza umana, le quali hanno come fine la ricerca della verità, la meditazione sul bene, sul
bello, sul giusto, l’indagine sul senso della vita e sulla felicità, sull’esistenza di un Essere superiore
e sul futuro dopo la morte.
Sono celebri le parole del più grande pensatore del Settecento, il
tedesco Immanuel Kant (scomparso ottantenne nel 1804): “la filosofia mira alla soluzione di tre
grandi problemi: 1) che cosa posso sapere? 2) Che cosa devo fare? 3) Che cosa mi è lecito sperare?.
A questi si aggiunge il quarto: che cos’è l’uomo?”.
E’ significativo il fatto che i termini “filosofia” e “filosofo” facciano parte del lessico del
greco antico e non siano dei neologismi costruiti in età moderna, come, ad esempio, “utopia”
(inventata dal filosofo inglese Tommaso Moro nel 1516 unendo le voci greche où=non e
tòpos=luogo, per indicare un inesistente stato ideale): essi infatti si trovano in uso già 500 anni
prima di Cristo, nella metà del sesto secolo, nello stesso periodo che vede la nascita di Confucio in
Cina e di Buddha in India: è l’età di Solone in Grecia, di Zaratustra nell’Iran antico, di
Nabucodonosor in Babilonia, di Ciro il grande di Persia, di Servio Tullio, il sesto re di Roma. E dei
primi “filosofi” greci (secondo la tradizione il grande matematico Pitagora usò per primo tale nome,
definendolo come colui che cerca la verità disinteressatamente).
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Dall’antica Ellade nascono due fondamentali e diversi modi d’intendere la pratica del
filosofare (che durano fino ai nostri giorni): il primo (la filosofia come ricerca), che ha come
riferimento Socrate (morto a 71 anni nel 399 a.C.) e Platone (scomparso settantaseienne nel 348
a.C.); il secondo (la filosofia come disciplina, come scienza), che si riallaccia ad Aristotele (defunto
a 62 anni nel 322 a.C.): filosofi di tre generazioni successive ed uno discepolo dell’altro!
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2 Che cos’è la filosofia (extra europea)?
Prima di passare ad illustrare quei due modi modo d’intendere la pratica del filosofare
(come ricerca e come disciplina razionale), è opportuno fare una rapida panoramica sulle più
significative tradizioni filosofiche degli altri continenti (Asia, Africa, Americhe) dal momento che
viviamo in una situazione di comunicazione globale tra culture molteplici che si sono sviluppate nei
millenni e nei secoli passati molto spesso in un regime di ignoranza o di indifferenza reciproca.
Oggi, infatti, a differenza del passato, le influenze reciproche tra il pensiero occidentale ed il
pensiero di India, Cina, Giappone, Africa non sono più un fatto saltuario e rapsodico, ma
rappresentano una forma di dialogo culturale che si indirizza verso un tentativo significativo di
individuare e descrivere una specie di comuni valori filosofici, sia pure tra mille incomprensioni e
difficoltà.
Questa impresa è certo facilitata da due strumenti fondamentali creati dalla nostra cultura
occidentale: la prima è costituita dall’insieme delle attività teoriche e pratiche che vanno sotto il
nome di scienze esatte e naturali; la seconda è rappresentata dall’invenzione di tutte quelle tecniche
e tecnologie della comunicazione, sia delle persone che delle informazioni, le quali stanno
rapidamente trasformando non solo l’accesso sempre più diffuso al sapere, ma addirittura la
concezione stessa, e quindi lo statuto epistemologico, dei saperi e dei valori. La funzione
facilitatrice di questa globalizzazione culturale, come è noto, è svolta dall’inglese quale strumento
di comunicazione mondiale (lingua franca o interlingua), oggi. Non sappiamo se lo sarà anche nel
futuro.
In maniera estremamente sintetica darò qualche cenno sulla filosofia araba, sulla filosofia
indiana, sulla filosofia cinese, sulla filosofia giapponese e sulla filosofia africana, con una premessa
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valida per tutte. Mentre la speculazione filosofica occidentale ha saputo raggiungere l’autonomia
della ragione dalla fede religiosa, nelle tradizioni di pensiero non occidentali religione e filosofia
non sono chiaramente distinte, anzi spesso si supportano reciprocamente in una visione
globalizzante di uomo, cosmo e divinità.
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3 La Filosofia araba
Quando si parla di filosofia araba in genere si fa riferimento (almeno per coloro che ne
hanno un ricordo scolastico) al periodo medievale della filosofia, ai più noti filosofi arabi di allora,
Avicenna ed Averroè, alla teoria della doppia verità, e magari all’Inferno di Dante, che pone il
secondo (“Averroè, che ‘l gran commento feo”) nel Limbo tra gli Spiriti magni.
In realtà, dopo il periodo medievale, nel quale la cultura araba veicolò in Europa la filosofia
dell’antica Grecia, allora da noi mal conosciuta, i rapporti tra la prima e la seconda declinarono
quasi del tutto. Fu solo agli inizi dell’Ottocento, dopo l’avventura napoleonica in Egitto, che il
mondo arabo-islamico si aprì alla cultura ed alla filosofia europee e Il Cairo divenne il centro di
diffusione delle idee dell’illuminismo e del positivismo. Ma esse, che affermavano l’idea di una
filosofia laica, si scontrarono ben presto con l’impostazione integralistica dell’islamismo teologicopolitico-religioso.
3.1.
Il secolo XX
Molti studiosi occidentali ritengono che non si possa parlare di filosofia arabo-islamica vera
e propria nell’età contemporanea, anche se nel Novecento si sono sviluppate tendenze di pensiero
che sono in genere interessate ai problemi essenzialmente politici delle nazioni islamiche, come il
nazionalismo ed il socialismo arabo. In questi ultimi decenni si è però sviluppata un’opera di
profondo rinnovamento della filosofia araba, rivolta a temi quali la critica della filosofia politica, il
problema della razionalità, l’indagine sui concetti di identità e cultura, condotta dal marocchino
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Muhammad Abdib al-Jabri (scomparso a 74 anni nel 2010) autore di una celebre Critica della
ragione araba, la proposizione di una “filosofia della convivenza” da parte del tunisino Fathi Triki
(nato nel 1947) fondata su un’idea forte di ragionevolezza, la trattazione di questioni “laiche”, come
il femminismo ed i diritti umani, avanzate dal palestinese Fehmi Jadaane (nato nel 1939), la
discussione, avviata dal tunisino Sarhan Dhouib (nato nel 1974) sul problema della trasmissione
interculturale dei diritti umani e della loro transculturalità, a partire dalla prospettiva della filosofia
arabo-islamica contemporanea.
Tutto ciò, però si inquadra in una situazione di drammatico e sanguinoso contrasto tra la
razionalità sunnita ed il misticismo gnostico sciita che comincia a lambire sempre più il mondo
occidentale.
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4 La Filosofia indiana
La riflessione filosofica indiana, plurimillenaria, costituisce uno dei pilastri fondamentali
della storia del pensiero mondiale. Essa ha influenzato tutto l’Oriente, dalla Cina al Giappone ed al
mondo arabo, le cui speculazioni filosofiche ha assorbito ed interiorizzato, trasformandoli in nuovi
elementi culturali. Si può dire che il pensiero indiano ha spaziato in tutti i campi del sapere, dalla
filosofia alla psicologia, dalla medicina all’estetica, dalla letteratura alla logica ed alla matematica
(ha inventato lo zero ed i numeri “arabi” che noi usiamo). Inoltre, ha collegato l’indagine metafisica
con l’esperienza mistica e con un’interpretazione dell’impegno del filosofo non ristretto al campo
della pura riflessione teorica, ma volto a preparare la strada alla liberazione dell’uomo.
All’origine della filosofia indiana si collocano una raccolta di testi sacri, i Veda (conoscenza,
saggezza in sanscrito) risalenti al secondo millennio avanti Cristo, e le Upaniṣad, (dottrina arcana o
segreta) risalenti al primo millennio a. C. Da questi testi, considerati sacri ed accessibili solo agli
iniziati, si svilupperà nei secoli successivi l’induismo. Mentre i Veda sono considerati rivelazioni
divine dall’autorità religiosa indiscutibile, le Upaniṣad espongono una filosofia monistica, in cui
non c’è differenza fra il sé individuale (ātman) e il sé universale (brahman) e sottolineano
l’importanza dell’autorealizzazione per la liberazione dalla vita mondana.
A partire da queste fonti, si sono costituite nel corso dei secoli due scuole filosofiche: la
prima, comprendente le cosiddette “scuole ortodosse” (darśana) che accettano l’autorità sacrale dei
Veda; e la seconda, costituita dalle “scuole eterodosse”, (nāstika) che la rifiutano.
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4.1.
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Il Buddismo
Prima però di esaminare brevemente le caratteristiche della filosofia sviluppata
dall’induismo, è opportuno ricordare la svolta impressa dalla diffusione del buddismo, sorto
inizialmente nel sesto-quinto secolo a.C. come movimento di asceti attorno a Siddhārta Gautama,
detto il Buddha (il “Risvegliato”). Egli propone un metodo filosofico, simile all’intervento clinico
di un medico, per liberare l’essere umano dalla condizione di disagio esistenziale. Esso consiste in
quattro “nobili verità”: 1) diagnosi: la transitorietà e l’inconsistenza della vita provoca disagio; 2)
eziologia: il desiderio, la sete di esistere con cui l’individuo si aggrappa illusoriamente alla vita e
all’Io è all’origine del disagio; 3) prognosi: la cessazione del disagio e la possibilità di raggiungere
uno stato di liberazione totale (nirvāṇa); 4) terapia: il nobile sentiero a otto rami che conduce alla
cessazione del disagio. Esso appare pertanto come ricerca speculativa e pratica di vita intesa a
trovare la soluzione del problema dell'eterno morire e rinascere dell'uomo, nel ciclo delle esistenze.
Nei secoli successivi il buddismo assume i caratteri di dottrina filosofica e di religione postvedica, diffondendosi in gran parte dell’India e in vaste zone dell'Asia orientale: nella penisola
indocinese, in Cina, Corea e Giappone (dove nasce la scuola buddista Zen), nel Tibet, in Mongolia e
nel Nepal. Il Buddhismo in Occidente è presente negli Stati Uniti, in Europa ma anche in Canada in
Australia e Italia.
4.2.
L’induismo
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Se il buddismo ha assunto una visione ed una diffusione a livello planetario, l’induismo
invece si mostra come il pensiero religioso e filosofico-metafisico della grande maggioranza delle
persone che vivono nel subcontinente indiano. In realtà si tratta di un fenomeno estremamente
complesso ed articolato di diverse credenze e pratiche religiose ed etiche, giuridiche e sociali (ad
esempio, la divisione in caste della popolazione) che caratterizzano il “modo di vivere” indiano nei
suoi vari periodi di sviluppo. Tuttavia, alla base di questo pluralismo teoretico e pratico permane
ancor oggi la profonda convinzione che esso non sia altro che la molteplice manifestazione di una
oggettiva realtà spirituale (il Dharma perenne) atemporale, trascendente ed invulnerabile rispetto al
mutare delle vicissitudini storiche, di una verità metafisica unica e sempre identica, nonostante i
diversi idiomi e dottrine filosofiche con le quali parla.
4.3.
Il secolo XX
Il forte impatto con il colonialismo britannico ha però imposto all’induismo, a partire dal
secolo XIX, una radicale riflessione sui propri valori e sul senso della tradizione. Attualmente esso
si presenta articolato in tre direzioni fondamentali: 1) posizione assolutista, rappresentata da
(1879-1950), caratterizzata da una rigorosa forma interiore ed esteriore per
giungere alla realizzazione della propria identità col Divino o Assoluto; 2) posizione teistica,
assunta da Swami Vivekananda (1863-1902), rivolta a promuovere il miglioramento delle
condizioni spirituali e materiali dell'umanità intera, senza alcuna distinzione di casta, credo, razza,
nazionalità, genere e religione ed a favorire la fratellanza fra gli adepti delle diverse religioni, nella
consapevolezza che si tratta di forme differenti di unica Religione eterna ed universale; 3) posizione
attivistica, eroicamente illustrata dal Mahātmā (la “grande anima”) Mohandās Gāndī (1869-1948),
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che indica la via che realizza il divino nell’agire per il bene comune, che si traduce in azione
politica, il cui strumento operativo è il metodo della non-violenza. Ma non si può non ricordare la
figura e l’opera di Aurobindo Ghosh (1872-1950). Dopo aver compiuto la sua educazione in
Inghilterra, egli fu, dal 1905 al 1910, uno dei capi del movimento nazionalista indiano. Perseguitato
dalle autorità britanniche, si rifugiò nella colonia francese di Pondicherry, dove fondò il suo āśrama
(ritiro ascetico), e sviluppò il pensiero yoga, dedicandosi interamente all'elaborazione di una sintesi
tra la filosofia tradizionale indiana e il pensiero occidentale, che ha avuto una profonda influenza
spirituale e morale sull'India contemporanea. Questa direzione dell’induismo ha rappresentato
l’orientamento speculativo tra i più diffusi nei decenni a noi vicini.
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5 La filosofia cinese
E’ significativo il fatto che il termine cinese zhéxué (importato dal giapponese), col quale si
traduce il concetto di filosofia, nasca soltanto alla fine dell’Ottocento, non prima, cioè, dell’incontro
con la filosofia occidentale moderna. La stessa distinzione tra filosofia e religione, come per la
cultura indiana, risulta estranea alla Cina tradizionale, anche se è possibile individuare dottrine di
tipo metafisico, di tipo cosmologico, di tipo etico-politico.
I più antichi documenti del pensiero cinese sono, il Libro della Storia; il Libro delle Odi il
Libro delle Mutazioni;il Libro dei Riti e il Libro della Musica. Queste opere, autentiche più nel
contenuto che nella forma, contengono testimonianze storiche che coprono un arco di 1.700 anni dal regno del mitico Huangdi (c. 2500 a.C.) al periodo dei Regni combattenti (480-222 a.C.). Esse
costituiscono l'eredità di pensiero della quale fruiranno le Scuole filosofiche sorte a partire dal sec.
VI a.C., in un’età chiamata “il periodo delle Cento scuole”. In effetti, le correnti di pensiero più
significative possono ridursi a tre (sacrificandone molte altre): il confucianesimo, il taoismo ed il
buddismo cinese.
5.1.
Il confucianesimo
È la scuola di pensiero che ha avuto l'influenza più durevole sulla vita cinese. La sua eredità
scritta, i classici confuciani, divennero più tardi il fondamento della società tradizionale e per secoli
furono la base dell'istruzione richiesta per chiunque volesse occupare cariche pubbliche, attraverso
il sistema degli esami imperiali. Confucio (551-479 a.C.) non sviluppa un pensiero metafisico o
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teologico, ma si occupa dei valori umani e del miglioramento della condotta di vita. Egli guarda ad
un sistema di governo efficace che si basa su un preciso schema di relazioni fra gli individui,
governati da un sovrano virtuoso e giusto. Per Confucio, il potere politico e l’ordine sociale devono
essere sostenuti da valori etici. I doveri dell’uomo consistono soprattutto nel praticare le due virtù
fondamentali della rettitudine e dell’umanità: la prima consiste nel seguire l’imperativo che impone
ad ogni persona di osservare i doveri derivanti dalla sua posizione sociale; la seconda è la virtù della
sensibilità tipica dell’uomo, che consiste nell’amare il prossimo al quale non si deve mai fare ciò
che non si vorrebbe fosse fatto a se stessi.
Il confucianesimo è stato il fulcro ideologico del Celeste Impero e della sua struttura sociale
e burocratico-amministrativa (tranne brevi periodi di crisi) fino agli inizi del XX secolo (come è
noto, nel 1912 la Cina divenne repubblica, trasformatasi in repubblica popolare nel1949, dopo la
rivoluzione comunista).
5.2.
Il taoismo o daoismo
Il taoismo o daoismo designa sia le dottrine a carattere filosofico e mistico, esposte
principalmente nelle opere attribuite a Laozi e Zhuāngzǐ (composte tra il IV e III secolo a.C.), sia la
religione taoista, istituzionalizzatasi come tale all'incirca nel I secolo d.C. Esso è basato sul Tao ("la
via, il percorso"), il principio cosmico, assoluto, misterioso, ultimo, che dà origine alla sostanza ed
alla forma, al mutare come all’essere. Il Tao, non è un essere personale, pur essendo onnipotente,
onnipresente, intelligente, eterno.
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A differenza del confucianesimo, non pone al centro del proprio insegnamento le norme
regolatrici della vita morale e politica, ma si interessa essenzialmente dello sviluppo interiore
dell’individuo nella sua capacità di rapportarsi alle leggi di natura e di sapervisi conformare.
Attraverso l’imitazione della natura, la vita semplice, la purificazione da ogni desiderio e furbizia, è
possibile raggiungere la pace e l’armonia di una realtà che supera l’individuo, nel flusso cosmico,
nell’eterno ritorno in cui quest’ultimo è come una particella insignificante e passeggera.
L’antropologia taoista porta lo sguardo dell’uomo al di là della vita presente, preannunciando premi
e castighi per le azioni compiute nella vita terrena; ma, nello stesso tempo, proclama che è possibile
vincere la morte con la contemplazione, l’estasi, le pratiche ascetiche, la mortificazione e la
concentrazione. Di qui il sorgere di attività liturgiche e di luoghi rituali e di culto, con monaci e
templi, come sarà col buddismo.
5.3.
Il buddismo cinese
Il buddismo cinese è considerato come il primo movimento filosofico-religioso importato in
Cina nel primo secolo d. C. Come le altre religioni e correnti di pensiero, anche il buddismo
presenta alterne vicende: periodi in cui ottiene il favore della classe dirigente, oltre che delle masse,
sono seguiti da altri nei quali subisce persecuzioni da parte di imperatori taoisti o da burocrati che
ne temono la concorrenza politica, oltre che economica.
In Cina il buddismo manifesta una grande capacità di adattamento sia alle credenze popolari
che alle dottrine religiose preesistenti, diventandone una specie di complemento. Esso non cerca di
ricostruire la cultura cinese secondo la propria immagine indiana, anzi prende esso stesso un volto
cinese, acquisendo così pieno diritto di cittadinanza. In tal modo esso esercita un grande influsso
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sulla vita spirituale dell’intero paese, fecondandone l’arte ed il pensiero filosofico, suscitando
elaborate teorie sulla reincarnazione, sulla ricompensa delle azioni buone e cattive oltre il limite
della presente esistenza. Inoltre, presenta una decina di scuole di pensiero come risposta ai grandi
interrogativi che il buddismo pone: l’illuminazione è riservata a pochi eletti oppure è possibile a
tutti? Essa avviene all’improvviso o gradatamente attraverso lo sforzo umano? Qual è il valore della
realtà esterna che ci circonda? Il Budda è unico (il principe indiano Gautama scomparso a 80 anni
nel 486 a. C.) o vi è una serie ininterrotta di sue reincarnazioni?
5.4.
Il secolo XX
Negli anni più recenti con la rivoluzione comunista del1949 il buddismo, come tutte le
religioni e le filosofie non marxiste, viene messa al bando, le terre, i templi ed i monasteri vengono
confiscati ed il Governo comunista crea una Associazione buddista patriottica ad esso asservita.
Con la caduta del maoismo non cambia l’atteggiamento dei nuovi governanti, almeno per quanto
riguarda il buddismo tibetano. Ma, dopo l’abbandono del maoismo, agli inizi del XXI secolo il
“New Confucian Movement” si propone di recuperarne i valori, facendo proprie, al tempo stesso, le
istanze di modernizzazione provenienti dalla cultura occidentale, seguendo in ciò la prospettiva
teorica del filosofo e storico Feng Youlan (1895-1990), autore di una celebre Storia della filosofia
cinese.
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6 La filosofia giapponese
La filosofia giapponese si è storicamente formata in seguito all’incontro tra la tradizionale
religione del Sol Levante, lo shintoismo, ed il buddismo ed il confucianesimo d’importazione
cinese. Quest’incontro ha dato luogo al sorgere del buddismo Zen e del neo-confucianesimo
giapponese. Successivamente, verso la metà del XVI secolo, grazie alla nascita di rapporti
commerciali con l’Europa (soprattutto con l’Olanda) ed alla conoscenza della cultura occidentale, si
sviluppano numerose attività ed iniziative di traduzione e diffusione di opere scientifiche e
filosofiche che portano ad una riconsiderazione di ciò che si era appreso dalla Cina e dall’India.
L’esigenza di sintetizzare la scienza e la filosofia europee con le tradizioni filosofiche nipponiche
trova una soluzione in un atteggiamento molto pratico, consistente nell’accettazione della saggezza
orientale e della scienza occidentale in base all’utilità concreta per la soluzione di casi specifici.
6.1.
Il Buddismo Zen
Il Buddismo Zen è professato da una serie di scuole fondate, a partire dal VI fino al XIII
secolo d.C., da monaci cinesi e coreani, ma si configura presto con caratteristiche peculiari
nipponiche. Il termine zen, meditazione, indica una tecnica di riflessione mentale senza un oggetto
specifico, o meditazione del vuoto, perseguita e affinata con esercizî di postura corporea
apparentemente paradossali, (quali lo zazen, lo star seduti con le gambe ripiegate, accompagnato da
determinate posizioni delle mani e da precisi ritmi respiratori). Il fine è di raggiungere
l’illuminazione (satori), cioè lo stato di assoluta trasparenza di chi si è perfettamente realizzato. Il
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satori è il momento dell'illuminazione, il momento in cui l'intera esperienza personale e cosmica è
proiettata in un unico istante. Ciò porta il soggetto meditante ad un annullamento cosciente che non
deriva da una rinuncia al mondo esterno, ma dalla partecipazione ad esso tramite un’esperienza
intuitiva e personale, la quale si realizza in un attimo o dopo tempi lunghi di riflessione meditativa
senza oggetto.
E’, questa riflessione, l’esperienza del nulla (mu). Tale esperienza si distacca dal nihilismo
occidentale, che interpreta il nulla come morte, cessazione, mancanza, privazione e negazione. Il
mu, invece, si presenta come qualcosa di estremamente dinamico, stato germinale di tutte le cose,
condizione di ogni possibilità, contenitore del tutto. Infatti, l’obiettivo dello Zen è pervenire al
satori, l’illuminazione che porta al più alto grado di coscienza. Satori (illuminazione) e mu (nulla)
sono due concetti complementari che si sostengono reciprocamente e ciò fa capire la differenza tra
il concetto di nirv
(annullamento) della tradizione buddista indiana ed il satori. Se il primo si
presenta, infatti, fondamentalmente come rinuncia al mondo e distacco da esso, il secondo si
propone una partecipazione attiva e consapevole al mondo stesso, giacché il principio di base dello
Zen è di vivere in armonia col proprio corpo ed il proprio spirito, ma altresì garantire il benessere
del proprio prossimo.
6.2.
Il neo-confucianesimo
Il neo-confucianesimo si diffonde in età moderna, nel periodo “Edo”, o dell’età feudale, che
abbraccia il Seicento, il Settecento e i primi sessant’anni dell’Ottocento. In questo periodo esso
diventa l’unica forma di studio autorizzato e le sue scuole si diffondono nelle varie regioni
dell’Impero.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Come il confucianesimo cinese e coreano, il neo-confucianesimo è una filosofia etica e
sociale basata su presupposti metafisici. Esso si caratterizza come una riflessione umanistica e
razionalistica che sostiene l’intellegibilità dell’universo da parte della ragione umana, alla quale è
affidato il compito di creare un rapporto armonico tra l’universo e l’individuo. A differenza del
misticismo del buddismo zen, il razionalismo neo-confuciano sottolinea la positività della realtà, ma
ne caratterizza la stratificazione, in particolare per quanto riguarda l’organizzazione sociale. La
società giapponese viene divisa in quattro classi principali: i guerrieri (samurai), i contadini, gli
artigiani ed i commercianti, la cui gerarchia ha un fondamento celeste e si basa sul principio della
giustizia nelle relazioni sociali, interpretato come rapporto reciproco di giustizia tra un superiore,
che deve essere benevolo, ed un subordinato, che deve essere obbediente e corretto nei
comportamenti.
Quattro sono le caratteristiche teoriche dell’ideologia neo-confuciana: razionalismo,
umanesimo, storicismo ed etnocentrismo: quest’ultimo conduce alla dipendenza assoluta
dall’imperatore ed all’isolazionismo xenofobico (come si è visto nel periodo delle due guerre
mondiali del XX secolo).
6.3.
Il secolo XX
Con la fine della politica di isolamento volontario e l’inizio della modernizzazione del
Giappone, intervenuti nel periodo Meiji (1868-1912, regno dell’imperatore Mutsuhito), anche il
rapporto tra filosofia occidentale e pensiero giapponese viene affrontato in maniera nuova e diversa.
Questo nuovo approccio tra le problematiche filosofiche dei due mondi culturali è formalizzato
dalla “Scuola di Kyoto” (sorta negli anni venti del Novecento), che sembra rappresentare il
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fenomeno filosofico più importante del Giappone contemporaneo. Essa raggruppa una serie di
filosofi legati ad un significativo progetto di ricerca volto ad unificare il pensiero occidentale con la
spiritualità tipica della tradizione culturale nipponica. Il suo fondatore è Kitaro Nishida (18701945), laureato a Tokyo con una tesi su David Hume e docente all’Università di Kyoto di Etica,
Filosofia della religione, Filosofia. Profondo conoscitore della filosofia occidentale , ma anche dei
capolavori della sua letteratura, è anche attento studioso della Bibbia, delle opere di Confucio e del
Buddismo Zen, le cui pratiche segue. Nishida ha il merito di avere impostato la speculazione
filosofica analizzando criticamente concetti e teorie sia del pensiero orientale che di quello
occidentale. Il suo scopo è quello di individuare una terza via originale che spieghi ed anche
accolga le contraddizioni tra i due mondi filosofici.
L’analisi dell’idea di esperienza ”pura” si connette sia alla visione zen che a quella della
fenomenologia di Edmund Husserl (1859-1938), col quale dialoga epistolarmente. Questa idea
emerge nel flusso creativo della coscienza prima ancora che soggetto ed oggetto si distinguano. La
verità di un giudizio, pertanto, si fonda sull’intuizione originaria che tutta la realtà è coscienza
immediata e, nello stesso tempo, che la coscienza è la realtà unica. Ma la coscienza, che nella sua
attività di pensiero segue un percorso logico, alla fine giunge in un vicolo cieco e si arrende alla
mistica: terreno del tutto oscuro per la logica. Si tratta, però, commenta Nishida, di una “oscurità
abbagliante”, di una “tenebra luminosa”.
Questa oscurità si identifica con la nozione metafisica zen di mu (nulla), secondo
l’affermazione: “Tutto ciò che è e che non è, deve essere negato; tutto ciò che è sostanziale, è fluire
di vuoto”. Ma per Nishida occorre giungere ad una nuova concezione del nulla che si ponga come
mediazione tra l’essere/ente occidentale ed il nulla orientale: il primo basato sulla logica formale,
fondata sulla struttura predicativa della proposizione e diretta verso l’oggetto, ed il secondo basato
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sulla logica paradossale, diretta verso la coscienza.
Infatti la logica dell’”identità a sé” è
assolutamente contraddittoria, come insegna la tradizione zen: è la logica “agonistica” dell’”è,
dunque non è”, vale a dire è la logica della simultaneità e della condizionalità reciproca degli
opposti, senza però la sintesi superiore.
Ma questa attività autocosapevole del mu (nulla) viene ad assumere successivamente nella
filosofia di Nishida un’ impronta attivo-pratica, quando egli affronta il tema della formazione
storica del mondo dialettico, confrontandosi con il marxismo.
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7 Filosofia africana
Esiste una filosofia africana, come esiste una filosofia occidentale, o cinese, o indiana, o
giapponese? La domanda può sembrare strana, se non addirittura provocatoria nei confronti
dell’Africa e della sua plurimillenaria cultura. Il fatto è che nel caso dell’ Africa non abbiamo una
documentazione storicamente certificata da fonti scritte, sulla cui base è possibile ricostruire il
passato, remoto e prossimo, di una filosofia africana. A ciò bisogna aggiungere che la
colonizzazione europea del continente africano ha portato l’imposizione della cultura europea (e
quindi anche della filosofia) sulle sue molteplici tradizioni di civiltà, analogamente a quanto è
avvenuto per le Americhe. Con l’abbandono del modello ottocentesco delle “colonie”, dopo la
seconda guerra mondiale e con il sorgere di nuovi stati africani, è nata la questione del recupero e
della valorizzazione di quelle tradizioni di pensiero indigeno, dai miti alle visioni magico-religiose
dell’uomo e del mondo.
E’ sorta così la categoria di etnofilosofia africana, per indicare la visione del mondo di quei
popoli, appartenenti all’etnia bantu, dotati di cultura orale, che sono vissuti e che vivono nella parte
subequatoriale del continente. Si tratta di un patrimonio di saggezza tradizionale in cui si può
riconoscere e ricostruire una struttura logica, ontologica e metafisica implicita. Questo patrimonio
ha dato origine a recenti e molto combattivi filoni di ricerca filosofica che elaborano l’esigenza di
un nuovo universalismo e di un nuovo cosmopolitismo transnazionale e transculturale nel luogo
specifico del mondo globalizzato, che è quello nel quale ci troviamo a vivere ed a filosofare.
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