1 Il modello di domanda e offerta aggregata

“IL MODELLO DI DOMANDA E L’OFFERTA AGGREGATA”
PROF. MATTIA LETTIERI
Università Telematica Pegaso
Il modello di domanda e l’offerta aggregata
Indice
1
IL MODELLO DI DOMANDA E OFFERTA AGGREGATA ------------------------------------------------------- 3
2
LA CURVA DI DOMANDA AGGREGATA ----------------------------------------------------------------------------- 7
3
LA CURVA DI OFFERTA AGGREGATA ------------------------------------------------------------------------------ 13
3.1
3.2
4
LA TEORIA KEYNESIANA ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
LA TEORIA CLASSICA ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 18
LE DUE TEORIE A CONFRONTO -------------------------------------------------------------------------------------- 21
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Il modello di domanda e l’offerta aggregata
Il modello di domanda e offerta aggregata
Il modello di domanda e offerta aggregata permette di analizzare la relazione che esiste tra il
livello dei prezzi e il livello di produzione o reddito di equilibrio.
Nello studio della microeconomia le curve di domanda e di offerta sono state utilizzate per
esaminare la relazione tra quantità domandata e offerta di un singolo bene rispetto al suo prezzo e
per capire come si determina la condizione di equilibrio tra prezzi e quantità con riferimento ad uno
specifico mercato.
Ora, riutilizzeremo le curve di domanda e di offerta, ma la relazione che studieremo
riguarderà la determinazione del livello di produzione totale e del livello generale dei prezzi con
riferimento all’intero sistema economico e non ad un solo mercato.
Nel modello reddito-spesa abbiamo parlato della domanda aggregata e si era assunto che i
prezzi fossero fissi, ora, invece, ipotizzeremo che essi possano cambiare ogni qual volta vi siano
condizioni di eccesso di domanda o di offerta sui mercati.
La variabile prezzo, quindi, non sarà più considerata come una variabile data e prefissata al
di fuori del modello teorico ma diventerà una variabile endogena, poiché cercheremo di spiegare il
suo andamento all’interno del nostro modello di riferimento.
Il meccanismo dei prezzi a livello dell’intero sistema economico è importante al fine di
affrontare due temi economici fondamentali, ovvero l’inflazione e la disoccupazione.
La crescita economica, l’occupazione e la stabilità dei prezzi sono i principali obiettivi di
politica economica.
Si tratta di indicatori importanti dello stato di salute dell’economia di un paese.
Infatti, quando, ad esempio, i responsabili della politica economica di un paese assumono
decisioni di politica fiscale o monetaria, si interrogano sui possibili effetti delle loro manovre sul
livello generale dei prezzi e sull’occupazione.
Gli economisti hanno spesso opinioni diverse su come funziona il mercato del lavoro, sulle
cause della disoccupazione e dell’instabilità dei prezzi, nonché sulle relazioni esistenti tra inflazione
e disoccupazione.
Il modello di domanda e offerta aggregata consente anche di confrontare le posizioni delle
due più importanti teorie macroeconomiche, ovvero quella Keynesiana e quella classica, su questi
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temi, oltre a capire quali ricette di politica economica esse suggeriscono per determinare la crescita
della produzione e dell’occupazione e la stabilità dei prezzi.
La domanda aggregata è quella particolare domanda formata da tre componenti essenziali,
consumi, investimenti e spesa pubblica.
In precedenza abbiamo ipotizzato, per cercare di comprendere come si forma la domanda
aggregata, una economia molto semplice dove non esistono scambi con il resto del mondo, ma non
esistono neanche la moneta e le banche.
Attraverso il modello reddito-spesa, abbiamo visto che si realizza una condizione di
equilibrio macroeconomico ogni qual volta il livello di produzione e di reddito è uguale alla
domanda aggregata, Y = AD.
Successivamente, abbiamo introdotto anche la moneta e il sistema delle banche, analizzando
il ruolo che ha il tasso di interesse nelle decisioni di investimento da parte delle imprese, di
risparmio da parte delle famiglie e così via.
Con il
modello IS-LM
è stato possibile individuare la coppia di valori di
reddito/produzione e di tasso di interesse in corrispondenza della quale sia il mercato dei beni,
espresso dalla relazione IS, sia il mercato della moneta, espresso dalla relazione LM, sono in
equilibrio, con riferimento ad una economia chiusa agli scambi con il resto del mondo.
Sia con il modello reddito-spesa sia con lo schema IS-LM, l’ipotesi fondamentale era che i
prezzi fossero rigidi o fissi ignorando, quindi, l’influenza che questa variabile esercita sulle scelte
degli agenti economici.
In queste circostanze non è necessario distinguere tra grandezze monetarie e grandezze reali.
Una qualunque grandezza nominale, prodotto, reddito, consumo, domanda od offerta di
moneta, può essere espressa in termini reali semplicemente dividendola per il livello generale dei
prezzi P.
Se i prezzi sono fissi ad un dato livello P = P0, la distinzione tra variabili reali e variabili
monetarie è inutile.
Se, però, i prezzi possono variare, la differenza tra grandezze reali e monetarie assume una
importanza notevole.
Ad esempio, l’occupazione dipende dal livello reale della produzione. In generale, in un
periodo di crescita economica in cui la produzione industriale cresce in termini reali, ovvero cresce
effettivamente come quantità fisica di produzione e non semplicemente come valore monetario
della produzione, anche l’occupazione cresce.
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Se al contrario, la crescita è solo nominale, cioè è dovuta al semplice aumento dei prezzi,
difficilmente possiamo sperare in un aumento dell’occupazione.
Ora dobbiamo capire come si arriva ad una condizione di equilibrio macroeconomico
quando i prezzi non sono più fissi ma variano.
Rappresenteremo una posizione di equilibrio sul mercato dei beni, ovvero tra produzione
aggregata e livello generale dei prezzi, che sia però compatibile con una analoga condizione di
equilibrio anche sul mercato delle attività finanziarie.
Per poter realizzare questo scopo il modello IS-LM, così come è stato fino ad ora presentato,
non è più adeguato.
Esso considera l’equilibrio in entrambi i mercati, dei beni e delle attività finanziarie, ms
limita l’attenzione alla relazione tra tasso di interesse e livello di produzione o reddito.
Ora, invece, noi vogliamo conoscere anche gli effetti che una variazione dei prezzi può
determinare sulle singole variabili economiche, consumi, investimenti, domanda e offerta di
moneta, esaminate all’interno del modello.
L’unica ipotesi semplificatrice che manterremo è che il sistema economico sia un sistema
chiuso verso l’esterno.
Introdurre l’ipotesi di prezzi variabili non significa semplicemente risolvere dei problemi
tecnici legati al fatto che le grandezze economiche possono variare al variare del livello dei prezzi.
La differenza è che cambia in modo radicale la visione sul funzionamento dell’economia.
Fino ad ora l’impostazione teorica alla base dei modelli macroeconomici esaminati era
quella Keynesiana la quale assume che i prezzi siano sostanzialmente rigidi nel breve periodo.
L’ipotesi che i prezzi siano variabili e che il loro meccanismo di aggiustamento permetta di
raggiungere una condizione di equilibrio è, invece, una ipotesi tipica dell’economia classica e
neoclassica.
Il dibattito macroeconomico tra le scuole di pensiero classica e Keynesiana è stato per lungo
tempo molto vivace, poiché ciascuna di esse interpreta in modo molto diverso il funzionamento del
sistema economico, e, anche le ricette di politica economica suggerite per realizzare i tre
fondamentali obiettivi macroeconomici, produzione, occupazione e stabilità dei prezzi, sono
inevitabilmente diverse.
Inoltre, con il passare del tempo, anche a seguito dell’incapacità di entrambe le teorie di
descrivere e prevedere alcuni fatti economici importanti accaduti in questo secolo, si sono formate
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nuove scuole, come quella dei monetaristi, dei nuovi economisti classici o dei teorici dell’offerta,
che hanno contribuito ad alimentare ed arricchire il dibattito.
Per ora, ci limiteremo a studiare il modello di domanda e di offerta aggregata e a vedere
come si determina l’equilibrio macroeconomico tra livello di produzione e livello dei prezzi.
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La curva di domanda aggregata
Il modello IS-LM, così come è stato formulato, non è adeguato in presenza di prezzi
variabili.
Nello schema IS, in particolare le decisioni di consumo e di investimento, il fatto che i
prezzi siano fissi o variabili non comporta particolari problemi.
Le scelte dei singoli agenti economici si basano su grandezze reali: i prezzi relativi dei beni
e il reddito realmente disponibile per quanto riguarda i consumatori; i prezzi relativi dei fattori
produttivi, nel caso delle imprese.
L’ipotesi è che gli operatori economici non siano soggetti a fenomeni di illusione monetaria
e quindi mettano in atto le loro scelte in base alle grandezze reali anziché monetarie, ad esempio, se
il reddito aumenta del 10% ma contemporaneamente i prezzi dei beni subiscono lo stesso
incremento, il consumatore non si considera più ricco, il suo potere di acquisto, o reddito reale,
infatti non cambia , quindi non aumenta i propri consumi.
Possiamo riscrivere, quindi, le stesse variabili che descrivono il comportamento degli
operatori economici, famiglie, imprese, Stato, sul mercato dei beni in termini reali anziché
monetari. Diremo, quindi, che il consumo dipende dal reddito reale, gli investimenti dal tasso di
interesse reale e così via, ovvero la sostanza del ragionamento non cambia.
Anche la domanda aggregata può essere espressa in termini reali MD / P senza che questo
alteri l’analisi IS-LM condotta in precedenza.
Se gli individui, infatti, non sono affetti da illusione monetaria, basano le loro decisioni sulle
grandezze reali anziché su quelle nominali, domandando moneta in relazione al reddito reale di cui
dispongono e al tasso di interesse reale.
Il discorso dell’offerta di moneta, invece, è diverso, poiché viene espressa in termini
nominali.
Le curve LM venivano tracciate con riferimento ad una data quantità nominale di moneta,
per un dato livello di prezzi P0, fissato in modo autonomo, quindi per un dato stock reale di moneta
Ms / P 0 .
Quindi, se variano i prezzi, a parità di offerta nominale Ms, l’offerta reale Ms /P varia.
In particolare:

Se il livello dei prezzi diminuisce, l’offerta reale di moneta aumenta;
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
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Se i prezzi salgono, il rapporto M/P diventa più piccolo, l’offerta reale
diminuisce.
In entrambi i casi, per riportare in equilibrio il mercato monetario, il tasso di interesse dovrà
variare e ciò determina nuovi livelli di reddito e di produzione di equilibrio.
Questo significa che per ogni livello di prezzo abbiamo un diverso livello di produzione di
equilibrio.
Valutiamo graficamente cosa succede alla curva LM se, a parità di ogni altra circostanza, il
livello dei prezzi aumenta.
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Figura n.77
La figura n. 77/a riporta lo schema IS-LM come già lo conosciamo.
Assumiamo inizialmente che il livello dei prezzi sia dato e pari a P=P0: data la quantità
nominale di moneta M, possiamo tracciare la curva LM e, dati i prezzi, sappiamo che all’offerta
nominale di moneta corrisponde l’offerta reale Ms/P.
Dall’incontro fra le curve IS e LM , inoltre, possiamo vedere che i mercati dei beni e delle
attività finanziarie sono in equilibrio, E0, con un tasso di interesse i0 a cui corrisponde un livello di
reddito e di produzione pari a Y0.
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Quindi, se il livello dei prezzi aumenta passando da P0 a P1, fermo restando l’offerta
nominale di moneta Ms, l’offerta reale Ms/P diminuisce.
Ad esempio, se l’offerta nominale di moneta è pari a 600 milioni di euro e il livello dei
prezzi passa da P0 = 1 a P1= 1,5, l’offerta reale di moneta passa da 600 da 400 milioni di euro.
Inizialmente il mercato della moneta era in equilibrio , quindi, se l’offerta di moneta era pari
a 600 milioni di euro, al tasso di interesse di equilibrio i0, anche la domanda di moneta era dello
stesso ammontare.
Ora, se la domanda reale di moneta non varia e l’offerta reale di moneta diminuisce per
effetto del rialzo del livello di prezzi, per riportare il mercato della moneta in equilibrio è necessario
che i tassi di interesse salgono in modo da ridurre la domanda reale di moneta.
Quando si riduce l’offerta di moneta la curva LM si sposta verso sinistra.
Il nuovo equilibrio è indicato con E1, in corrispondenza del quale sia il mercato dei beni sia
il mercato della moneta sono nuovamente in equilibrio ma con un tasso di interesse i1 superiore e
un livello di produzione inferiore rispetto alla condizione iniziale. Poiché il tasso di interesse è più
elevato, è più difficile ottenere crediti, per questa ragione, gli investimenti diminuiscono e di
conseguenza anche il livello di produzione di equilibrio è più basso.
L’aumento del livello di prezzi ha quindi determinato una riduzione dell’offerta reale di
moneta, un aumento del tasso di interesse, e come conseguenza, una riduzione del livello di
produzione di equilibrio.
Questa relazione inversa tra il livello dei prezzi e il livello di produzione e reddito è riportata
nella figura n. 77/b.
Nel caso opposto, ovvero di diminuzione del livello dei prezzi, il ragionamento sarebbe stato
del tutto simile. Infatti, un abbassamento del livello dei prezzi comporta, a parità di offerta nominale
di moneta, un aumento dell’offerta reale di moneta.
Per incentivare il pubblico ad incrementare la sua domanda di moneta il tasso di interesse
deve necessariamente scendere.
La curva LM si sposta in basso verso destra.
Il nuovo equilibrio si viene a determinare in corrispondenza di un tasso di interesse inferiore
e quindi di una produzione di equilibrio superiore.
Ancora una volta la relazione tra prezzi e produzione è di segno opposto: se i prezzi
diminuiscono la produzione aumenta.
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La curva di domanda aggregata AD, derivata dallo schema IS-LM: esprime la quantità
complessiva di prodotto, la spesa complessiva, che gli operatori economici, famiglie, imprese e
Stato, desiderano acquistare in corrispondenza di diversi livelli di prezzo.
Ora, la curva AD assume un significato più esteso, poiché tiene conto di ciò che accade sia
sul mercato dei beni sia su quello della moneta.
La curva AD esprime cioè tutte le combinazioni possibili tra produzione e livelli di prezzi
tali per cui sia il mercato dei beni sia il mercato delle attività finanziarie sono contemporaneamente
in equilibrio.
Ad ogni punto sulla curva AD corrisponde una situazione di equilibrio tra la curva IS e la
curva LM. Inoltre, poiché la curva di domanda aggregata è ricavata direttamente dal modello ISLM, è chiaro che la sua posizione sul sistema di assi cartesiani e la sua inclinazione dipendono sia
dalla politica fiscale, espressa dalla curva IS, sia dalla quantità nominale di moneta, espressa dalla
curva LM.
È necessario distinguere ciò che avviene lungo la curva da ciò che determina uno
spostamento dell’intera curva.
Il significato da attribuire a spostamenti lungo la curva AD e quindi le ragioni per cui tale
curva è inclinata negativamente sono quelle state appena discusse.
L’andamento decrescente, significa che il prodotto reale domandato complessivamente dagli
operatori diminuisce all’aumentare del livello dei prezzi.
Questo andamento decrescente dipende principalmente dall’effetto esercitato dai prezzi
sull’offerta reale di moneta, sui tassi di interesse e quindi sulla produzione di equilibrio.
Se i prezzi aumentano, l’offerta reale di moneta diminuisce, la scarsità di denaro determina
un aumento dei tassi di interesse, necessario per riportare in equilibrio il mercato della moneta.
Tassi di interesse più elevati riducono gli investimenti e il livello di produzione di equilibrio
è più basso.
I fattori che invece determinano lo spostamento dell’intera curva AD sono principalmente
legati a scelte di politica economica o ad eventuali imprevisti.
Una politica fiscale espansiva attuata, ad esempio, attraverso un aumento della spesa
pubblica o una riduzione dei tributi determina un aumento della domanda aggregata.
Uno spostamento analogo della curva AD verso l’esterno si sarebbe verificato anche a
seguito di una politica monetaria espansiva.
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Una politica monetaria espansiva attuata attraverso un aumento dell’offerta nominale di
moneta determina anche un incremento dell’offerta reale.
Se lo stock di moneta disponibile è superiore rispetto alla domanda, i tassi di interesse
dovranno scendere per riportare in equilibrio il mercato monetario.
Tassi di interesse più bassi hanno l’effetto di aumentare la domanda aggregata e quindi
anche il reddito e la produzione di equilibrio.
Anche in questo caso la nuova curva di domanda aggregata si colloca più a destra rispetto a
quella iniziale.
Oltre che per effetto di questi strumenti di politica economica, è possibile che la curva AD si
sposti anche a seguito di fattori esterni.
Il progresso tecnico, ad esempio, crea nuove opportunità di investimento e di consumo
determinando un aumento della domanda aggregata, come ad esempio innovazioni come le prime
ferrovie o i computer.
Anche eventi politici favorevoli che aumentano la fiducia degli operatori economici,
investitori e consumatori, possono determinare una crescita degli investimenti, dei consumi e quindi
della domanda aggregata.
Uno stimolo favorevole alla domanda aggregata può venire, inoltre, da un aumento della
domanda estera di beni.
Al contrario, politiche fiscali o monetarie di tipo restrittivo, così come eventi sfavorevoli di
vario genere, producono spostamenti delle curve IS e LM di segno opposto, determineranno anche
uno spostamento verso l’interno della curva AD.
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La curva di offerta aggregata
Ora consideriamo l’altro lato del mercato: quello relativo all’offerta.
L’offerta aggregata AS: esprime la quantità complessiva di prodotto, beni e servizi, che le
imprese sono disposte a produrre e offrire sul mercato in corrispondenza di diversi livelli di prezzo.
Figura n.78
La figura n. 78 presenta, oltre la curva di domanda aggregata AD, anche la curva di offerta
AS.
Nel punto in cui le due curve si incontrano individuiamo il livello di prezzo e il livello di
produzione e reddito di equilibrio.
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Al livello di prezzo P0 le imprese sono disposte a produrre e vendere esattamente ciò che gli
acquirenti sono disposti ad acquistare Y0.
Muovendoci lungo la stessa curva di offerta possiamo individuare le quantità
complessivamente offerte di beni e servizi da pare delle imprese in relazione ai diversi livelli di
prezzo, a prezzi più elevati corrisponde una offerta maggiore, e questo spiega perché la curva AS è
inclinata positivamente.
Spostamenti dell’intera curva di offerta si vengono, invece, a determinare quando, ad
esempio, si modifica la quantità disponibile di fattori produttivi o il livello dei fattori stessi, se a
parità di ogni altra circostanza, aumenta la disponibilità di capitale o di lavoro o si abbassa il costo
di questi fattori, le aziende sono disposte a produrre e ad offrire quantità maggiori di beni. Quando,
invece, per effetto del progresso tecnico, migliora l’insieme delle conoscenze e della tecnologia
disponibili all’interno di un paese, la curva di offerta si sposta verso il basso e a destra.
Quando parliamo di livello di produzione e di offerta può essere utile distinguere il breve dal
lungo periodo.
Nel breve periodo la capacità produttiva, cioè l’insieme delle risorse a disposizione
dell’economia, gli impianti, i lavoratori e in generale tutti i fattori produttivi, è data e non può
essere aumentata.
A seconda dei casi, questa capacità produttiva può essere impiegata per intero oppure
soltanto in parte ma soltanto nel lungo periodo la capacità produttiva può aumentare.
La teoria economica distingue infatti tra due diversi concetti di prodotto o reddito:

Il prodotto effettivo Y, vale a dire la quantità di beni e servizi
complessivamente ed affettivamente prodotta all’interno di un sistema economico in un dato
momento;

Il prodotto potenziale Yp , cioè il massimo livello di produzione che un
sistema economico può realizzare utilizzando per intero la capacità produttiva disponibile.
Nel breve periodo il prodotto effettivo può essere al massimo uguale o inferiore al prodotto
potenziale.
Se il prodotto , o reddito nazionale, raggiunge il suo livello massimo, o potenziale, significa
che non vi sono risorse inutilizzate, che non esistono, ad esempio, disoccupazione, per questa
ragione si parla anche di reddito o prodotto di pieno impiego o di piena occupazione.
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La produzione effettiva può essere inferiore rispetto al suo livello potenziale nelle cosiddette
fasi di recessione economica.
Invece, nel lungo periodo, il prodotto potenziale può modificarsi per effetto delle
innovazioni tecnologiche o della maggior disponibilità di fattori produttivi.
Lo studio della dinamica dei sistemi economici, cioè dei fattori che determinano un aumento
del prodotto, è chiamato teoria della crescita.
Abbiamo visto che la curva di domanda aggregata AD viene ricavata direttamente dal
modello IS-LM e la forma che essa assume dipende dall’effetto che una variazione nella quantità di
moneta determina sulle scelte degli operatori e quindi sul livello di produzione e di spesa.
Ad esempio, se per una data variazione dell’offerta reale di moneta, l’effetto sulla
produzione di equilibrio è molto forte, la curva AD è piuttosto piatta, questo significa che è
sufficiente una piccola variazione del livello dei prezzi per determinare una variazione molto più
grande sulla produzione di equilibrio.
Al contrario, se la curva AD è molto inclinata, la stessa variazione dei prezzi, e quindi la
stessa variazione dell’offerta reale di moneta, si associa ad una variazione molto più modesta sulla
produzione di equilibrio.
Sulla forma assunta dalla curva di offerta la teoria economica si presenta in disaccordo.
Infatti, secondo la teoria Keynesiana la curva di offerta è relativamente piatta nel breve
periodo se non addirittura orizzontale.
La teoria classica, al contrario, ritiene che la curva di offerta aggregata sia sostanzialmente
rigida e possa essere rappresentata da una retta verticale.
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3.1
Il modello di domanda e l’offerta aggregata
La teoria Keynesiana
L’idea centrale della macroeconomia Keynesiana è che la domanda determina la produzione
effettiva e quindi il livello di occupazione, principio della domanda effettiva.
Quando la domanda aggregata è elevata, la capacità produttiva è utilizzata per intero, non vi
è disoccupazione. Quindi il prodotto effettivo è anche uguale al prodotto potenziale.
Se, invece, la domanda è scarsa, le imprese riducono la loro produzione, quindi anche il
numero di lavoratori occupati, fino a quando la quantità di beni offerta è pari alla domanda
aggregata.
Secondo la teoria Keynesiana non sol è possibile, anzi, è piuttosto frequente che il prodotto
effettivo sia inferiore rispetto al suo livello potenziale. Questo significa che possono esserci
condizioni di equilibrio macroeconomico accompagnate dalla presenza di disoccupazione.
Il principio della domanda effettiva di Keynes può essere sintetizzato nel seguente modo:

Se AS > AD allora AS decresce fino a quando AS=AD (la disoccupazione
aumenta);

Se AS< AD allora AS aumenta fino a quando AS=AD (la disoccupazione
diminuisce).
In queste circostanze, la curva di offerta può essere rappresentata con una retta orizzontale
ad indicare il fatto che, per un dato livello dei prezzi, le imprese possono offrire qualsiasi quantità di
beni venga domandata poiché esiste capacità produttiva in eccesso.
Secondo la teoria Keynesiana non è vero che il meccanismo dei prezzi è sempre in grado di
portare in equilibrio la domanda e l’offerta in ogni mercato perché, nel breve periodo, i mezzi e in
particolare i salari dei lavoratori sono sostanzialmente rigidi verso il basso.
Ciò significa che quando la domanda aggregata è bassa, l’offerta si riduce e con essa
l’impiego di lavoro da parte delle imprese.
Questo crea disoccupazione, ma poiché i salari reali dei lavoratori non possono scendere al
di sotto di un certo livello, questo eccesso di offerta di lavoro non viene riassorbito attraverso una
riduzione del salario e quindi la disoccupazione può persistere.
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Il modello di domanda e l’offerta aggregata
Il risultato finale è che il sistema economico può trovarsi intrappolato in una situazione di
equilibrio di sottoccupazione , ovvero un equilibrio in cui il prodotto effettivo è inferiore rispetto al
suo livello potenziale.
Gli economisti Keynesiani basano l’assunzione che i salari sarebbero rigidi nel breve
periodo, sul fatto che i salari vengono normalmente definiti attraverso contratti di lavoro stipulati tra
organizzazioni dei lavoratori e delle imprese. Questi contratti hanno una durata di più anni e in
questo periodo difficilmente i salari diminuiscono in relazione alle vicende macroeconomiche.
Anche in assenza di contratti collettivi di lavoro, nella maggior parte dei paesi vi sono
norme legislative che fissano un minimo salariale e le stesse aziende stabiliscono livelli retributivi
minimi per le diverse figure professionali.
Per tutte queste ragioni, le variazioni dei salari si manifestano con una frequenza ed una
intensità minore rispetto a quanto previsto dal meccanismo di aggiustamento tra domanda e offerta.
D’altra parte, anche per le imprese non è conveniente licenziare e riassumere lavoratori a
seconda dell’andamento della domanda, perché questo tipo di flessibilità comporta costi molto
elevati di ricerca, di selezione, di addestramento e di formazione del lavoratore.
Quando vi sono squilibri sul mercato del lavoro, in modo particolare quando c’è
disoccupazione, la ricetta Keynesiana è quella di agire sulla domanda aggregata.
Lo Stato, usando in modo adeguato gli strumenti di politica fiscale, può far sì che si
realizzino livelli più elevati di produzione e quindi anche di occupazione.
Secondo Keynes, quindi, lo Stato deve intraprendere una politica fiscale espansiva che
sposti la curva IS e quindi anche la AD.
Si determina, in questo modo, un nuovo equilibrio con un livello di produzione superiore
rispetto alla situazione iniziale, quindi maggiore occupazione, ma nessuna variazione sui prezzi.
In modo del tutto analogo, anche una politica monetaria espansiva che sposti la curva AD
verso destra determinerebbe un aumento della produzione effettiva senza alcun effetto sul livello
dei prezzi.
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3.2
Il modello di domanda e l’offerta aggregata
La teoria classica
La teoria economica prevalente, prima degli anni trenta, era quella formulata dai classici, i
quali ritenevano che i sistemi economici tendessero spontaneamente verso posizioni di equilibrio tra
domanda e offerta in cui tutte le risorse disponibili trovano impiego.
Diversamente da quanto afferma la teoria Keynesiana, per gli economisti classici il prodotto
nazionale di equilibrio è sempre pari al livello potenziale ed è l’offerta che crea la domanda.
Quest’ultima affermazione è nota come legge di SAY, dal nome dell’economista francese
che la formulò agli inizi dell’Ottocento.
Il punto centrale della legge di Say è che in un sistema economico non può esserci
sovrapproduzione nel senso che, qualunque sia la quantità di beni e servizi che le imprese
producono ed offrono sul mercato, questa verrà interamente acquistata dai consumatori.
Può succedere che vi sia un eccesso di domanda o un eccesso di offerta sul mercato di un
determinato bene, ma il meccanismo dei prezzi provvederà a riportare rapidamente in equilibrio il
mercato. Il valore complessivo dei beni prodotti dalle imprese, l’offerta aggregata, risulta così
sempre uguale al valore complessivo dei beni domandati dai consumatori, la domanda aggregata.
La legge di Say si basa su di un meccanismo di raggiungimento dell’equilibrio
macroeconomico che è esattamente opposto a quello formulato da Keynes con il principio della
domanda effettiva.
Sul fronte dell’occupazione, l’ipotesi è che il mercato del lavoro funzioni esattamente come
un qualsiasi altro mercato.
I salari sono perfettamente flessibili e gli eventuali eccessi di domanda o di offerta si
annullano attraverso il consueto meccanismo di aggiustamento dei prezzi, fino a portare in
equilibrio anche questo mercato.
D’altra parte, in situazione di equilibrio i fattori produttivi sono impiegati fino a quando il
costo che le imprese devono sostenere per il loro utilizzo è uguale alla produttività marginale dei
fattori stessi.
Ad esempio, se il salario dei lavoratori è uguale alla produttività marginale del lavoro, tutte
le forze lavoro sono occupate.
In presenza di disoccupazione, ovvero di un eccesso di offerta di lavoro rispetto alla
domanda, come accade per qualunque altro bene, il prezzo, il salario, in questo caso, diminuisce
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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fino a riportare il mercato in equilibrio. Ad un salario più basso tutti i lavoratori troveranno
occupazione.
Poiché la capacità produttiva è interamente utilizzata, la curva di offerta aggregata può
essere rappresentata con una retta verticale ad indicare il fatto che, qualunque sia il livello dei
prezzi, nel breve periodo le imprese offrono un livello massimo di produzione. Questa offerta è pari
alla produzione potenziale e garantisce il pieno impiego delle risorse disponibili all’interno del
sistema economico.
Ora valutiamo quali effetti esercitano le politiche economiche sui prezzi e sulla produzione
secondo la teoria classica.
Rispetto alla condizione iniziale di equilibrio si viene a creare un eccesso di domanda,
poiché la spesa pubblica non è altro che una componente della domanda aggregata e quindi, se
aumenta la prima, aumenta anche la seconda.
Le imprese non sono, però, in grado di aumentare l’offerta.
La capacità produttiva è infatti pienamente utilizzata e non può essere ulteriormente
aumentata nel breve periodo.
Anche se le imprese offrono salari più elevati la produzione non può superare il suo livello
potenziale e l’unico risultato che si ottiene è quello di far aumentare il livello dei prezzi.
Prezzi più elevati comportano, sul mercato monetario, una riduzione dell’offerta reale di
moneta, un aumento dei tassi di interesse e una riduzione della domanda aggregata.
Nel nuovo equilibrio la produzione è ritornata al suo livello iniziale di pieno impiego mentre
il livello dei prezzi è più alto.
Le conclusioni raggiunte sono opposte rispetto a quanto accadeva nel caso precedente: per i
classici, un aumento della spesa pubblica non solo non determina un aumento della produzione e
dell’occupazione, ma spiazza completamente gli investimenti privati.
L’aumento dei tassi di interesse provocato da una politica fiscale espansiva riduce la spesa
privata in investimenti di un ammontare pari all’aumento della spesa pubblica: la domanda
aggregata ritorna al suo livello iniziale.
Una politica monetaria espansiva avrebbe prodotto risultati simili, ovvero lo spostamento
verso destra della curva AD provoca un temporaneo eccesso di domanda rispetto all’offerta che è
pari al livello di pieno impiego.
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Questo eccesso di domanda viene riassorbito attraverso un aumento dei prezzi fino a quando
si ritorna ad un equilibrio finale: la produzione torna al suo livello iniziale mentre i prezzi risultano
più alti rispetto all’equilibrio iniziale.
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Le due teorie a confronto
Non è facile stabilire quale fra le due teorie è più vicina alla realtà, non solo perché i fatti
economici nella realtà si presentano sempre più complessi rispetto a quanto schematizzato dalle
teorie, ma anche perché la teoria dell’offerta aggregata è forse uno dei punti più discussi dalla
macroeconomia.
Secondo la teoria classica non dovrebbero esistere situazioni di disoccupazione poiché
prezzi e salari si adeguano rapidamente garantendo sia l’equilibrio tra domanda e offerta di lavoro,
sia una produzione pari al livello potenziale.
In queste circostanze, qualsiasi intervento di politica economica non solo sarebbe inutile, ma
produrrebbe come unico risultato un rialzo dei prezzi e quindi inflazione.
Osservando la realtà non sembra, però, che il mercato del lavoro si aggiusti così rapidamente
al punto da garantire in ogni circostanza il pieno impiego delle risorse.
La presenza di una disoccupazione elevata e persistente all’interno di molti sistemi
economici, oggi come nel passato, sarebbe pertanto piuttosto difficile da spiegare con la teoria
classica.
Fu proprio l’incapacità di spiegare la fortissima disoccupazione e di suggerire ricette di
politica economica contro la Grande Depressione degli anni Trenta che segnò il declino della teoria
classica e la contemporanea ascesa dell’economia Keynesiana.
Anche l’ipotesi Keynesiana secondo la quale i prezzi e i salari sono del tutto rigidi non
sembra essere troppo realistica, soprattutto quando l’orizzonte temporale è di lungo periodo.
Quando la disoccupazione è elevata è molto probabile che il mercato del lavoro prima o poi
si adegui creando le condizioni per un graduale aumento dell’occupazione attraverso una
diminuzione del livello dei salari.
La spiegazione Keynesiana sul meccanismo di funzionamento dell’economia e la
conseguente necessità di intervenire a sostegno della domanda aggregata e quindi dell’occupazione,
non si rivelò del resto come la soluzione più efficace in ogni circostanza.
Durante la crisi economica degli anni Settanta caratterizzata da una fase di ristagno
dell’economia , da una elevata inflazione e una persistente disoccupazione, ovvero il fenomeno
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della stagflazione, le politiche Keynesiane non solo si dimostrarono incapaci di stabilizzare
l’economia, di ridurre il tasso di inflazione e di creare nuova occupazione, ma talvolta produssero il
risultato opposto.
Una posizione intermedia è che l’ipotesi Keynesiana di rigidità dei prezzi, e in particolare
dei salari, sia tutto sommato adeguata a descrivere ciò che avviene nel breve periodo, mentre nel
lungo periodo sia più appropriata l’ipotesi classica di flessibilità dei salari.
In questi casi la curva di offerta potrebbe presentarsi piuttosto piatta nel breve periodo, ma
rigida e quindi verticale nel lungo periodo.
Nel breve periodo, quando la curva di offerta presenta un primo tratto in cui è crescente, ma
relativamente piatta, la produzione effettiva è inferiore rispetto al suo livello potenziale.
A seguito di un aumento della domanda aggregata generata, ad esempio, da un aumento
della spesa pubblica, le imprese sono disposte ad offrire quantità maggiori di prodotto se i prezzi
sono più elevati.
Però, nel breve periodo, questo aumento della produzione ha un limite, rappresentato dal
prodotto potenziale.
Man mano che il sistema si avvicina al pieno impiego, ovvero all’utilizzo dell’intera
capacità produttiva, aumenti della produzione non sono più possibili e l’unico effetto esercitato da
un aumento della domanda è quello di far lievitare i costi, compreso quello del lavoro, e quindi i
prezzi.
Nel lungo periodo la curva di offerta è rappresentata da una retta verticale, così come
previsto dal modello classico e il livello di produzione coincide con il prodotto potenziale.
In questi casi un aumento della domanda aggregata influirà solo sui prezzi ma non sulla
produzione.
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