Pietro Mascagni ed il verismo musicale
Il solo desiderio di uscire dall'anonimato e sentirsi importante è
il motivo che di solito più spinge gli uomini durante l'estate, la stagione più movimentata nella quale l'imperativo è divertirsi a qualunque costo e nella quale anche i piccoli centri aspiranti a ruoli di
turismo, esplodono fra concerti, show e festival. Nonostante i ritmi
della musica afro-cubana, sovrana nei « ghetti » portoricani, i problemi
da noi si accavallano pericolosamente, tranne la strana psicosi — più
che mania — che esplode dalla Rai-TV e che non trova modo migliore
di scaricarsi al di là di quello di mortificare indiscriminatamente gli
italiani ed il loro limitato sofferto tempo libero.
In così fatta Babele accade che la presunzione ha la meglio o
crede di averla: i pittorucoli scendono spavaldi e invadono strade e
sale, mentre i poetastri recitano tra un ballo e l'altro e gli omosessuali,
uomini e donne, danno fiato alle trombe della protesta contro la discriminazione che li impedisce nella libertà di amare come tutti gli
esseri del mondo alla luce del sole.
Sono sempre di mezzo coloro che, dal labirinto dominante degli
incalzanti e arroventati prodotti offerti per l'estate, riescono a districarsi per ritrovarsi con se stessi nella gioia del puro, anche se ormai
timido, idealismo.
Questo anelito di evasione alla ricerca di libertà dalle insidie della
distrazione ad ogni costo, chi si é trovato a Livorno il 4 agosto 1972,
ha sentito rafforzarsi imperiosamente dalla cronaca del ricordo —
onoranze a Mascagni in ricorrenza di sua morte contemporaneamente la stampa locale, riproducendo la foto del monumento al musicista all'interno del cimitero della Misericordia imprigionato da impalcature, avvertiva l'inizio dei lavori per la sua sistemazione (v. foto).
Nel comunicato stampa si ricordava anche che i fondi per finanziare il lavoro erano stati raccolti dall'Associazione Culturale « Livorno Nostra » e che la tomba era in cattivo stato per la mancata
attuazione dei lavori di manutenzione che avevano reso urgentemente
il bisogno di un restauro.
Il rinverdirsi del ricordo di Pietro Mascagni e della sua opera da
parte della natia Livorno, anche se tardivo, non si può e non si deve
arrestare alla funerea memoria della « Misericordia ».
Troppo tempo è passato dal giugno 1951, durante il quale si svolsero le onoranze livornesi al grande figlio, con rappresentazioni dell'Iris e con il complesso del Teatro dell'Opera di Roma diretto da
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La tomba di Pietro Mascagni tra le impalcature, al cimitero
della Misericordia di. Livorno.
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Giannandrea Gavazzeni. Furono quelle le onoranze maggiori, se non
uniche, al maestro dopo 5 anni dalla morte e trassero motivo dal
ritorno della sua salma al paese natale (nato a Livorno nel 1863, é morto a Roma all'età di 82 anni).
Il persistere del condannevole oblìo da quella data non avrebbe
ormai più alcuna giustificazione, non dalle istanze o dal gusto della
nostra società, non dall'errata tesi che l'arte « è convinzione stabilita
fra gli uomini » per cui l'ammissione contrastante con tale affermazione
che « nessun fatto artistico e soprattutto nessuna espressione teatrale
nasce per caso, o per miracolo provvidenziale », ritenendo « provvidenziale — solo — il genio artistico nella sua primiera formulazione,
non i generi artistici, non forme espressive ».
Queste le obiezioni mosse agli antiveristi della Rivista Musicale Italiana di Bocca, ancora nel 1954, da Giannandrea Gavazzeni nella sua
pregevole opera «La musica e il teatro» nella collana di Saggi di varia
umanità, diretta da Francesco Flora, ed. Nistri-Lischi.
Come si potrebbe sostenere, ancora oggi, la tesi del Torchi e di
altri, che il Verismo non era che la riproduzione fotografica del vero?
Il vero è da inventare, affermava già il Verdi, scrivendo al Ricordi,
e, a ggiungeva, a proposito dei ritocchi del Boccanegra «che tutti i drammaturghi o gli operisti grandi erano stati veristi. Anche Shakespeare;
l'importante era esserlo senza saperlo; esserlo, cioè, nel profondo e
nell'immediato di una realtà umana» (pag. 67 op. cit.).
Questo era stato e così aveva operato Verdi, seguito dagli operisti
della giovane scuola italiana: Ponchielli, Boito, Mancinelli, Catalani,
Zanella, Franchetti, Wolf Ferrari, Zandonai. Respighi, Perosi, Mascagni,
Puccini, Giordano, Cilea, il Leoncavallo ed altri, tutti veristi anche se
proiettati e impegnati in angolazioni complesse di estetica morale e
spiritualità diverse.
Mascagni, come ogni grande artista, ha interpretato il vero dopo
esservi penetrato nel profondo, trasfigurando la materia con il potere
donatogli dalla Provvidenza, per quindi esprimere con il « suo » felice
e spontaneo canto le immagini ed i simboli della sua tormentata
trasfigurazione, sulle ali eternamente misteriose dello spirito, dove
gli uomini dotati di sensibilità non possono che incontrarsi, contro
ogni artificio della materia che l'arte vince e disintegra.
Il liguaggio musicale di Pietro Mascagni è così ricco che insufficiente è ia tavolozza cromatica delle aggettivazioni a nostra disposizione per caratterizzarlo; in ogni sua opera il personaggio è sempre
stagliato e armonicamente sincretizzato. A titolo di esemplificazione
Cavalleria può a ragione essere considerata « il dramma della carne
fremente, bramosa, tradita, gelosa, crudele ». L'Amico Fritz su libretto
di N. Daspuro, venuto un anno dopo (1891), ne prosegue l'ardore, la
giovanilità, il fervore melodico, sia pure in un diverso clima fantastico
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e sentimentale: un clima di intimità psicologica, di idillico senso della
natura, di velata tristezza armonica, come d'un ammodernato Settecento, d'un Pergolesi e d'un Paisiello ripensati attraverso la passione
romantica.
Paragonato alla prima opera, il Fritz porta dal dramma a forti
tinte al romanzo, dalla tragedia all'idillio, dalla terra siciliana bruciata
dal sole al giardino del melodramma (A. Capri, Storia della Musica...
Milano, Vallardi, 1971; vol VI, pp. 43-81).
In ogni epoca, sempre diremo, da che mondo è mondo, ín tutti i
campi e sotto ogni aspetto la degenerazione delle opere della morale
e dei gusti coesiste con le ascese e gli slanci sia romantici che veristici,
tutto sta nel quanto le opere ed i gusti abbiano saputo prendere dal
passato per farne forza di propulsione nell'avvenire, nell'interpretazione come nell'estetica e nello spiritualismo. Scrive il Gavazzeni «L'episodio perfetto di Cavalleria mentre ancora persiste la stanchezza romantica interviene gagliardamente con la novità, l'eloquenza del suo linguaggio musicale, insieme a un rapporto tutto nuovo instaurato per energia
geniale tra arte e vita, tra artista e società.
Eppure, nello stesso tempo, è ancora lo stesso Mascagni che indulge e presta orecchio alle sirene di una specie romantica ormai
svuotata, portando in fondo, quasi in una scommessa con se stesso
e con la propria capacità inventiva, la rischiosa impresa del Guglielmo
Ratchiff ».
Non va dimenticato che arte, in genere ed in particolare, è gioia,
piacere e riposo dello spirito, così come allo stesso tempo è e può
essere luce e ombra, angoscia, amarezza e amore, allegria e pianto,
gioia e dolore.
Al di sopra di ogni polemica, se le melodie di Mascagni abbiano
più di questo o di quel movimento estetico e spirituale, dell'impressionismo o del simbolismo, sta il fatto che il maestro in piena libertà,
sincerità e spontaneità spazia dal melodramma alla commedia dell'arte,
all'opera buffa, senza smarrirsi per i meritati successi o per i transitori insuccessi come quello dell'Amica, romantica neo verista, di
insufficiente capacità drammatica anche se impreziosita da delicato
e violento cromatismo paesistico.
Nessuno può più contestare a Pietro Mascagni la magica carica
delle sue opere che donano a chi vi si accosta godimento trascendentale con la partecipazione alla sua gioia corale, nell'eleganza delle figurazioni sonore, nei ritmi echeggianti, anche per virtù di stile, ed elevata
possente poesia. Sono questi gli affascinanti motivi che da sempre
hanno spinto gli uomini del mondo dello spirito, favorendone i puri incontri nelle comuni e più spinte attese di pace, di libertà e di solidarietà.
Riteniamo e crediamo non a torto che per Pietro Mascagni e la
sua opera musicista e operistica sia ormai matura la critica serena
e obiettiva, libera da pregiudizi. Wagneriani puristi nonchè da pre-
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concetti, da passioni e da interessi, per cui alle sue melodie ed alle
sue armonie non va più contestata bellezza, suggestione, colore, potenza, poesia, emozione. Le definizioni teoriche della critica, come
verismo, idealismo, simbolismo, impressionismo etc. anche per noi
servono alla definizione generica di aspetti e tendenze senza però servire a rilevare ed a presentare il particolare valore ed il carattere
della singola opera espressiva.
Vale il discorso: per l'impressionismo melodico della Cavalleria,
dell'Amico Fritz e dell'Iris come ,l'Isabeau, le romantiche Ratzan
e Silvano, la dannunziana Parisina (913) le veriste Lodoletta e Piccolo
Marat, lo Zanetto (su libretto di Frainois Coppet), la Maschere ed anche il Nerone, l'ultimo canto in ordine di tempo del grande livornese
ritenuto, dalla frettolosa critica contemporanea, stanco e inutile.
Non importa se alcune di codeste opere ebbero fortune brevi e
alterne, il ruolo dei cantanti, della moda, del gusto, della critica e della pubblicità, se non sempre, sono spesso cause determinanti di fortune e di cadute.
Se non fosse così, che valore e quanto credito potremmo attribuire
a certe esplosioni riservate oggi sulla musica-cultura d'America in
continua penetrazione in Europa. « Dieci giorni — ha detto con incisività la vedova Satchmo Armstrong —• bastano per ammalarsi per
sempre di un ritmo che finisce per entrarti nelle vene e possederti »;
eppure si tratta della musica uragano Jazz originata a Newport ed
alla quale New York ha dedicato addirittura un museo, il museo del
realismo americano.
Se Giannotto Bastianelli della « Voce » di Prezzolini — come ricorda il Gavazzeni — ha riconosciuto all'opera mascagnana, carattere
popolare e di vocalità popolare, in armonia coi caratteri stessi della
vita italiana, del suo costume, delle sue prospettive borghigiane, rusticane e provinciali, è evidente che l'intera opera è pur sempre di
viva attualità, essendo i suoi caratteri di natura eterna anche se mutevoli, così impercettibilmente comunque da non urtare mai in assoluto con l'origine, la loro efficacia e la loro influenza sugli spiriti.
Il tempo come il vento corre e quanto è fragile o spento strappa
e travolge; quanto è vivo e vitale, invece, come il vento, al tempo resiste e sopravvive. Così è per le grandi scoperte e per le opere d'arte
create dall'uomo per grazia e dono di Dio.
Attraverso l'artista e lo scienziato è Dio che si manifesta nel
tempo, per cui opere e conquiste anche se diverse nel divenire storico
non possono non essere considerate, nel loro insieme, patrimonio sempre valido e non deteriorabile.
Se così non fosse non si spiegherebbe l'interesse del pubblico per
espressioni ritenute ormai superate e di sapore solo storico-documentario.
Per avere la riprova di quanto affermiamo, in campo teatrale-lirico
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basta riportarsi ai successi incontestabili delle ultime rappresentazioni
(1972) di Macerata, di Sant'Arcangelo, della Scala, di Caracalla e dell'Arena di Verona (alla 50a edizione). E' il caso del musicista Mascagni
e dell'intera sua opera, nella quale col Bastianelli, anche noi non esitiamo a riconoscere la voce che, pur elevandosi in un tempo particolare
di decadimento naturalistico, é la voce autentica di uomini di ogni
tempo, voce che seppe liberarsi dall'etica e dalla disperazione religiosa rimanendo avvinta alle popolane di Sicilia, alle fanciulle giapponesi, alle affettuose fioraie parigine, ai pittori e ai poeti affamati.
Serve a noi come servì al Gavazzeni nel 1951 la conclusione critica
di 40 anni — oggi più che mai valida — del più volte citato Bastianelli con il quale quindi condividiamo l'approdo dell'analisi dell'opera
mascagnana, dalla Cavalleria all'Amico: «Mi sia permesso affermare,
che, presentemente, chi sia davvero puro, e non per moda, nauseato
dalle malatticcie raffinatezze di Debussy e dagli spasimi sadistici di
Riccardo Strauss; se non si rassegna tristemente a chiudersi nel passato, ma voglia godere di un poco di vita sempre viva... non abbia
altro scampo che dissetarsi alla polla zampillante di una bella melodia
di Pietro Mascagni » (pag. 69 op. cit.).
Le opere di Pietro Mascagni: Cavalleria Rusticana (libretto di
Targioni Torzetti e G. Menasci, Roma, Teatro Costanzi 1890); I Rantzan
(libretto Targini Torzetti; Firenze, Teatro la Pergola, 1892); Guglielmo
Ratcliff (da Heine, Milano, Scala, 1895); Silvano (Tagioni Torzetti, Milano, Scala 1895); Zanetto (Targioni Torzetti, da Coppée, Pesaro, Teatro Rossini, 1896); Amica (P. Berel, Montecarlo, 1905); Isabean (Illica,
Buenos Aires, Teatro Coliseo, 1911); Parisina (G. D'Annunzio, Milano,
Scala, 1913); Lodoletta (G. Forzano, Roma, Teatro Costanzi, 1917); Sì
(operetta, C. Lombardo e A. Franchi, Roma, Teatro Quirino, 1919); Il
Piccolo Marat (G. Forzano, Roma, Teatro Costanzi, 1921); Pinotta, rifacimento della giovanile In Finlanda, del 1881 (San Remo, 1932); Nerone
(Targioni, Torzetti, da P. Sossa, Milano, Scala, 1935).
Composizioni Orchestrali: Danza Esotica, Rapsodia Satanica, Contemplando la Santa Teresa del Bernini.
MARIO MOSCARDINO
Alla presente rievocazione del Maestro e della sua opera, associamo lo storico ricordo delle eccezionali stagioni liriche del Politeama « Greco » di Lecce
che, all'avanguardia fra tutti i teatri italiani, nei suoi prestigiosi cartelloni,
ha sempre dato, come continua a dare posto di amore ad opere di Pietro Mascagni.
Le più abili bacchette ed i più lodati attori danno storicità al Teatro della
Città di Tito Schipa, anche egli stella di prima grandezza della lirica italiana.
Fra i direttori di orchestra lo stesso Mascagni nel 1928 vi diresse un'edizione
di eccezione del suo Piccolo Marat, del quale Gavazzeni, giustamente pone in
evidenza il « generoso melodismo di Mariella del protagonista.
La fotografia del Maestro dedicata a nostro padre, stimato orchestrale, documenta quella storica stagione.
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